LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

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LINFOCITI T E IMMUNITÀ ACQUISITA CONTENUTO DELLA LEZIONE 1 Riepilogo della lezione precedente 2 Classificazione dei linfociti T 2.1 Sottoclassi dei linfociti T helper 2.1.1 T H 1 e T H 2 2.1.2 T H 17 2.1.3 Linfociti T regolatori 2.1.4 Linfociti T naive 3 Antigene 3.1 Definizione di antigene 3.2 Immunogenicità degli antigeni 3.3 Epitopi 4 Recettori di membrana linfocitari 4.1 Struttura e funzionamento del BCR 4.2 Struttura e funzionamento del TCR 4.3 Differenze tra BCR e TCR nel riconoscimento dell’antigene 4.3.1 Interazione con l’antigene 4.3.2 Solubilità 4.3.3 Coinvolgimento di molecole MHC. 4.3.4 Natura chimica degli antigeni 4.3.5 Proprietà dell’epitopo 5 Organi linfoidi 5.1 Linfa 5.2 Localizzazione degli organi linfoidi 5.3 Struttura degli organi linfoidi 5.3.1 Linfonodo 5.3.2 Organizzazione del tessuto linfoide della milza 6 Selezione ed espansione clonale 6.1 Proliferazione e generazione dei linfociti 6.2 Selezione clonale 6.3 Espansione clonale 7 Cellule dendritiche e presentazione dell’antigene (cenni) 1 RIEPILOGO DELLA LEZIONE PRECEDENTE Ci siamo lasciati l’altra volta parlando di attivazione della risposta immunitaria, attivazione della immunità innata, tramite l’interazione del PRR (Pattern Recognition Receptor) con il PAMP (Pattern Associated Molecular Pattern) e poi siamo andati a vedere chi è responsabile dell’attivazione dell’immunità innata (che rammento significa l’insieme delle funzioni immunitarie mediate da linfociti T e linfociti B). Abbiamo iniziato ad anticipare che il riconoscimento degli antigeni da parte dai linfociti T e B induceva l’attivazione dell’immunità innata. Avevamo anche visto che questa attivazione di linfociti T e linfociti B in sintesi si configurava come la secrezione di anticorpi (immunoglobuline) da parte di linfociti B (che è la loro funzione principale) mentre per i linfociti T c’eravamo fermati perché la situazione è un po’ più complessa, perché ci sono vari tipi di linfociti T: helper, citotossici e regolatori. 2 CLASSIFICAZIONE DEI LINFOCITI T Verso la fine della scorsa lezione abbiamo visto che i linfociti T citotossici hanno i CD8 e sono in grado di eliminare eventuali cellule pericolose, es le cellule tumorali. Ci sono altri linfociti indispensabili per la risposta immunitaria, sia per i citotossici, sia per la secrezione di immunoglobuline e sia per l’attivazione dei fagociti, e sono i linfociti T helper, caratterizzati dalla molecola CD4. 2.1 SOTTOCLASSI DEI LINFOCITI T HELPER 2.1.1 T H 1 E T H 2 A questo punto c’è una ulteriore divisione dei linfociti T helper: T H 1 e T H 2, che sono sottopopolazioni di linfociti T helper, che hanno funzioni diverse, nel senso che danno aiuto. Un esempio è il rilascio di citochine; a seconda del tipo di citochine si può attivare un certo tipo di risposta piuttosto che un'altra. I T H 1 sono prevalentemente impegnati nell’attivazione di monociti, macrofagi, e aiutano, così facendo, anche i linfociti citotossici, producendo IL-2 (interleuchina 2) che è il fattore di crescita dei linfociti, mentre la sottopopolazione T H 2 secerne delle altre citochine, le IL-4, IL-5 e IL-6. Lezione “Immunologia e Immunopatologia” n°3 del 19/3/2013 Prof. Ferlazzo (studente: Andrea De Meco)

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LINFOCITI T E IMMUNITÀ ACQUISITA

CONTENUTO DELLA LEZIONE

1 Riepilogo della lezione precedente

2 Classificazione dei linfociti T 2.1 Sottoclassi dei linfociti T helper

2.1.1 TH1 e TH2 2.1.2 TH17 2.1.3 Linfociti T regolatori 2.1.4 Linfociti T naive

3 Antigene 3.1 Definizione di antigene 3.2 Immunogenicità degli antigeni 3.3 Epitopi

4 Recettori di membrana linfocitari 4.1 Struttura e funzionamento del BCR 4.2 Struttura e funzionamento del TCR 4.3 Differenze tra BCR e TCR nel riconoscimento dell’antigene

4.3.1 Interazione con l’antigene 4.3.2 Solubilità 4.3.3 Coinvolgimento di molecole MHC. 4.3.4 Natura chimica degli antigeni 4.3.5 Proprietà dell’epitopo

5 Organi linfoidi 5.1 Linfa 5.2 Localizzazione degli organi linfoidi 5.3 Struttura degli organi linfoidi

5.3.1 Linfonodo 5.3.2 Organizzazione del tessuto linfoide della milza

6 Selezione ed espansione clonale 6.1 Proliferazione e generazione dei linfociti 6.2 Selezione clonale 6.3 Espansione clonale

7 Cellule dendritiche e presentazione dell’antigene (cenni)

1 RIEPILOGO DELLA LEZIONE

PRECEDENTE

Ci siamo lasciati l’altra volta parlando di attivazione

della risposta immunitaria, attivazione della immunità

innata, tramite l’interazione del PRR (Pattern

Recognition Receptor) con il PAMP (Pattern Associated

Molecular Pattern) e poi siamo andati a vedere chi è

responsabile dell’attivazione dell’immunità innata (che

rammento significa l’insieme delle funzioni immunitarie

mediate da linfociti T e linfociti B). Abbiamo iniziato ad

anticipare che il riconoscimento degli antigeni da parte

dai linfociti T e B induceva l’attivazione dell’immunità

innata. Avevamo anche visto che questa attivazione di

linfociti T e linfociti B in sintesi si configurava come la

secrezione di anticorpi (immunoglobuline) da parte di

linfociti B (che è la loro funzione principale) mentre per

i linfociti T c’eravamo fermati perché la situazione è un

po’ più complessa, perché ci sono vari tipi di linfociti T:

helper, citotossici e regolatori.

2 CLASSIFICAZIONE DEI LINFOCITI T

Verso la fine della scorsa lezione abbiamo visto che i

linfociti T citotossici hanno i CD8 e sono in grado di

eliminare eventuali cellule pericolose, es le cellule

tumorali. Ci sono altri linfociti indispensabili per la

risposta immunitaria, sia per i citotossici, sia per la

secrezione di immunoglobuline e sia per l’attivazione

dei fagociti, e sono i linfociti T helper, caratterizzati

dalla molecola CD4.

2.1 SOTTOCLASSI DEI LINFOCITI T HELPER

2.1.1 TH1 E TH2

A questo punto c’è una ulteriore divisione dei linfociti T

helper: TH1 e TH2, che sono sottopopolazioni di linfociti

T helper, che hanno funzioni diverse, nel senso che

danno aiuto. Un esempio è il rilascio di citochine; a

seconda del tipo di citochine si può attivare un certo

tipo di risposta piuttosto che un'altra. I TH1 sono

prevalentemente impegnati nell’attivazione di

monociti, macrofagi, e aiutano, così facendo, anche i

linfociti citotossici, producendo IL-2 (interleuchina 2)

che è il fattore di crescita dei linfociti, mentre la

sottopopolazione TH2 secerne delle altre citochine, le

IL-4, IL-5 e IL-6.

Lezione “Immunologia e Immunopatologia” n°3 del 19/3/2013

Prof. Ferlazzo (studente: Andrea De Meco)

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Contrariamente ai TH1, i TH2 sono prevalentemente

coinvolti nell’attivazione e nel differenziamento dei …

[si è spento il proiettore xD, credo volesse dire “linfociti

B”]. Quindi i TH1 che assistono i macrofagi e le cellule

dendritiche, e i TH2 che assistono i linfociti B, ovvero le

cellule che producono gli anticorpi. Il secondo tipo di

citochine che il TH2 produce influenza l’attivazione dei

linfociti B, per cui ci potranno essere vari tipi di

immunoglobuline secrete (ricordate, ci sono 5 classi di

immunoglobuline). Dunque c’è un differenziamento dei

linfociti B che appunto viene aiutato proprio da questa

sottopopolazione di T Helper, i TH2.

Vi parlo di queste sottopopolazioni perché, in effetti,

molte delle patologie, più precisamente delle

immunopatologie, che oggi conosciamo, si possono

asserire specificamente a un certo tipo di risposta di

tipo 1, di tipo 2 o di altri tipi di helper, che ora

vedremo. Il fatto che ci siano delle malattie correlate a

T helper di tipo 1 e 2 è importante in quanto è un

target terapeutico perché c’è una “bilancia” tra tutte

queste popolazioni, nel senso che stanno in equilibrio.

Questo implica che riuscire a muovere con degli

interventi di immunomodulazione più verso una parte

o verso l’altra significa interferire con i decorsi delle

malattie. Per esempio, tutte le allergie sono mediate da

una risposta tipica di TH2, mentre ci sono delle malattie

autoimmuni, ad esempio il morbo di Crohn [1], una

patologia in grande espansione, che è mediata da

risposte di tipo TH1 dove la secrezione di interferone γ

(gamma) gioca un ruolo molto importante.

2.1.2 TH17

Secondo una classificazione più moderna, esistono

delle altre sottopopolazioni di T helper oltre il TH1 e

TH2. Un nuovo subset che discutiamo (e che non spesso

troviamo ancora sui libri) è il TH17. Mentre il TH1 e il

TH2, sono sequenziali in quanto responsabili di risposte

di tipo primo, risposte di tipo secondo, il TH17 è stato

chiamato così perché è un subset di linfociti che

produce esclusivamente IL-17. Vi parlo di questo subset

perché si è visto che questo subset, e quindi il

differenziamento di cellule T helper in cellule di tipo

TH17, è molto coinvolto in processi autoimmunitari.

Quindi oggi troverete che si sta espandendo questo

settore; molte patologie autoimmuni hanno delle basi

immunopatologiche che proprio dipendono da questo

subset di linfociti che secerne IL-17. Per noi, per il

momento, è sufficiente sapere che esistono.

2.1.3 LINFOCITI T REGOLATORI

Aggiungiamo a questo, un ulteriore subset di linfociti T

helper, che sono i cosiddetti linfociti T regolatori

(regulatory T cells). Queste le incontreremo, e anche

queste sono molto importanti dal punto fisiologico e

clinico perché rappresentano, anche queste, un

bersaglio importante di nuove terapie biologiche e

farmacologiche nel trattamento delle patologie

autoimmuni e altro. Si chiamano “regolatorie” perché

regolano la risposta immunitaria, ma dire questo è

insufficiente. In realtà sono delle cellule che

controllano la risposta immunitaria, oltre a

(eventualmente) sopprimerla. Quindi

fondamentalmente controllano il lavoro degli altri

linfociti, e ne spengono le funzioni.

Nei vecchi testi si può ancora trovare la definizione di

“T soppressori”, con cui venivano indicati dei tipi di

linfociti T citotossici che avevano il marcatore CD8.

Questo perché negli anni ’80 si pensava esistesse

T Cells

Cytotoxic

CD8

Helper

CD4

TH1

produces IL-2

TH2

produces IL-4, IL-5 and IL-6

TH17

produces IL-17

involved in autoimmunity

processes

Regulatory T cells

Foxp3+ cells

involved in autoimmunity

and cancer

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questa sottopopolazione. In realtà la classificazione era

erronea perché è una popolazione che non “esiste”.

Oggi sappiamo che le cellule T soppressorie sono

queste [le regulatory T cells], hanno i CD4, e sono in

grado di sopprimere e controllare l’attività dei linfociti;

fondamentalmente servono a mantenere una

tolleranza immunitaria nel rispetto dell’equilibrio

dell’organismo, e servono a spegnere una risposta

immunitaria eccessiva. Producono, inoltre, delle

citochine con azione immunosoppressoria esempio IL-

10.

Principalmente sono caratterizzate - e quindi

facilmente riconoscibili - da un fattore di trascrizione

nucleare, detto Foxp3, che è tipico esclusivamente dei

linfociti T regolatori. Tali cellule vengono quindi dette

Foxp3+ (Foxp3 positive) e hanno funzione regolatorie,

o se volete, soppressorie. La loro importanza è

ovviamente quella di mantenere il rispetto verso il

“self”, verso il nostro organismo durante le risposte

immunitarie. In vari esperimenti, se in un animale

sopprimiamo il gene che regola il differenziamento

delle cellule T regolatorie (oppure sottraiamo tali

cellule), l’animale va incontro spontaneamente a delle

patologie autoimmuni gravissime. Quindi è evidente

che queste cellule T regolatorie sono coinvolte nel

controllo dell’autoimmunità.

Le cellule T regolatorie giocano un ruolo importante

anche nella risposta immunitaria ai tumori. Questa

volta però nel senso negativo, nel senso che, ahimè,

aiutano le neoplasie a crescere, o meglio, ostacolano la

risposta immunitaria contro le neoplasie,

consentendone la crescita. Fondamentalmente le

neoplasie vengono riconosciute dal sistema

immunitario come qualcosa che ci appartiene, che

cresce al nostro interno e che assomiglia troppo a un

nostro tessuto, spesso a un tessuto sano, e come tali

vengono rispettate. Pertanto le neoplasie sono spesso

“infiltrate” da queste cellule T regolatorie che tendono

a sopprimere la risposta immunitaria. Quindi questo è

uno dei meccanismi con cui il cancro (le neoplasie)

sfugge al controllo del nostro sistema immunitario. In

pratica lo stesso meccanismo che ci protegge

dall’autoimmunità ci espone a un potenziale attacco di

una neoplasia, perché vengono soppresse le risposte

immunitarie. In oncologia, oggi, si usano delle terapie

che tendono ad eliminare le cellule T regolatorie,

ovviamente con rischio di autoimmunità, però, in un

paziente in un quarto stadio neoplastico, è un rischio

che si può iniziare a considerare per potenziare la

risposta immunitaria contro la neoplasia.

2.1.4 LINFOCITI T NAIVE

Un linfocita T che non ha mai visto un antigene, si dice

che “non è polarizzato”, cioè non è né TH1, né TH2, né

TH17 e né T regolatore. Si definiscono naive, che

significa “vergini”, nel senso che non hanno mai

incontrato un antigene. Una volta che lo incontrano, a

seconda dell’ambiente in cui si vanno a differenziare,

loro riconoscono l’antigene e, a seconda delle esigenze,

possono differenziare e quindi polarizzare in uno dei

subset di linfociti.

Quindi tornando al nostro discorso che è

prevalentemente il meccanismo fisiologico,

ricordiamoci queste classi di linfociti con il CD4: TH1,

TH2 e i nuovi TH17 e cellule T regolatorie. Con questo

abbiamo concluso le sottopopolazioni di linfociti T,

ovviamente ne riparleremo.

3 ANTIGENE

3.1 DEFINIZIONE DI ANTIGENE

Focalizziamo ora la nostra attenzione sull’attivazione

della risposta immunitaria acquisita, che, come

sappiamo, avviene a carico degli antigeni. Il

riconoscimento degli antigeni è il momento in cui

l’immunità acquisita si attiva, con tutto quello che ne

consegue (quindi tutto quello che abbiamo visto: le

immunoglobuline, le varie fasi effettrici della risposta

immunitaria, quindi tossicità, produzione di citochine, e

soppressione varie a seconda della citochina che viene

rilasciata). Ora vediamo cosa sono questi antigeni.

Abbiamo visto che non è qualcosa che fa partire la

risposta innata, perché in quel caso ci vuole una

interazione precisa con il PRR, e non sono questi. Come

definizione di antigene, a me piace questa:

“Un antigene è una sostanza che, introdotta in un

organismo, è in grado di reagire specificamente con

anticorpi e/o recettori per l’antigene che sono presenti

sulla membrana dei linfociti T e linfociti B”.

Da un punto di vista biochimico, gli antigeni sono delle

molecole e come tali devono avere una loro identità

chimica. In linea di massima si tratta quasi sempre di

proteine (nella stragrande maggioranza dei casi). Però

è stato documentato che anche altre sostanze possono

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legare anticorpi o i recettori di membrana per

l’antigene per cui sono specifici, e sono i polisaccaridi.

Inoltre ci sono anche lipidi (più spesso glicolipidi) e

anche gli acidi nucleici, questi ultimi più raramente, ma

comunque è stato documentato che tali acidi nucleici

possono essere legati e quindi come tali dobbiamo

considerarli potenziali antigeni.

3.2 IMMUNOGENICITÀ DEGLI ANTIGENI

Perché abbiamo dato una definizione così ermetica? In

realtà essa è esaustiva! Perché non necessariamente un

antigene evoca la risposta immunitaria; se lo fa è

immunogenico. Quindi, un antigene, che induce, una

risposta immunologica nell’organismo, è un

“immunogeno”, o un “antigene immunogenico”. Di

conseguenza ci sono anche gli antigeni semplici, ovvero

sostanze o microorganismi più o meno innocui, che si

possono legare ai recettori dei linfociti o agli anticorpi

ma non inducono nessuna reazione immunitaria.

Da cosa dipende se un antigene evoca una risposta

immunologica oppure “rimane lì” nel senso che viene

riconosciuto ma non accade nulla? I fattori che

influenzano la capacità di indurre la risposta

immunitaria o meno sono ricercabili tra questi:

Caratteristiche chimico-fisiche: peso molecolare,

la possibilità di essere solubile o meno (quindi la

diffusione che ha all’interno dell’organismo), la

possibilità che questo antigene possa essere

fagocitato dalle cellule dell’immunità innata e

quindi scatenare una attivazione dell’immunità

innata.

Quantità: anche la quantità è un fattore influente.

La risposta potrebbe non essere evocata se la

quantità è troppo piccola o paradossalmente se è

troppo grande, infatti in questo caso potrebbe

indurre un’allergia, o una tolleranza.

Via di ingresso o somministrazione: abbiamo

imparato che la cute e le mucose sono vie di

ingresso dei patogeni e a seconda di dove viene

somministrato un determinato antigene noi

possiamo avere un tipo di risposta o un'altra.

Estraneità: è l’elemento più importante di tutti,

che decide se quell’antigene è in grado di evocare

una risposta immunitaria o meno, ed è la

possibilità che questo antigene sia estraneo al

nostro organismo, ovvero non faccia parte di

nessun costituente del nostro organismo, e quindi

il cosiddetto “non self” (tutto ciò che è “self” è

tutto ciò che ci appartiene e fa parte del nostro

organismo; ciò che è “non self” è qualcosa che

viene dall’esterno). Per evocare una risposta

immunitaria è necessario che il nostro organismo

lo riconosca come qualcosa non self, e ci sono dei

meccanismi che permettono questo

riconoscimento, e che poi andremo a vedere.

Il nostro sistema immunitario, dalla nascita (anzi

dall’epoca fetale), evolve imparando a riconoscere ciò

che ci appartiene e a rispettarlo, e viceversa evocare

una risposta immunitaria verso qualcosa che arriva

dall’esterno e che ci sta invadendo. Questa è la

tolleranza immunitaria, di cui dovrò parlare in

dettaglio. In questa lezione ci fermiamo a questo

concetto di antigene, antigene immunogenico, e a

queste caratteristiche che ne determinano la possibilità

che questo evochi la risposta immunitaria o meno.

3.3 EPITOPI

(L’immunoglobulina abbiamo visto com’è fatta nella

lezione precedente, quindi la Y rovesciata che aveva le

2 braccia, con una porzione variabile che è quella che

può riconoscere l’antigene, avendone la specificità).

Altro concetto importante: che sia grande o piccola,

l’antigene è una molecola. L’antigene può essere

riconosciuto o dalle immunoglobuline o dai recettori

per l’antigene che sono espressi sulla membrana dei

linfociti T o B. In entrambi i casi, essi non riconoscono

l’intera molecola, ma riconosceranno solamente una

porzione, tale porzione viene definita epìtopo o

determinante antigenico. Quindi l’epitopo è la parte di

quella molecola che viene riconosciuta dai siti specifici

delle immunoglobuline o dei recettori.

Se pensiamo ad esempio ad una proteina, noi

sappiamo che può avere migliaia di amminoacidi, ha

una sua struttura terziaria quaternaria ecc., ma, di

questa proteina, soltanto poche sequenze

amminoacidiche verranno riconosciute dalle

immunoglobuline o dai recettori. Quindi soltanto

alcune corte catene peptidiche rappresentano il

determinante antigenico; tali porzioni fanno parte di

quella struttura, ma solo quella parte viene

riconosciuta, ovvero una piccola porzione lunga

mediamente da 10 a 20 amminoacidi. Va aggiunto che

una stessa molecola può avere più epitopi, quindi più

determinanti antigenici, ciascuno riconosciuto da

differenti immunoglobuline o da differenti linfociti.

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4 RECETTORI DI MEMBRANA

LINFOCITARI

Allora chi riconosce gli antigeni? Abbiamo detto gli

anticorpi o i recettori di membrana linfocitari.

Che cosa sono gli anticorpi, e come sono fatti,

l’abbiamo detto la scorsa volta: proteine secrete da

linfociti B quando questi riconoscono l’antigene; hanno

la forma di una Y rovesciata, quindi con 2 braccia, e

hanno una porzione variabile che è quella che può

riconoscere l’antigene, avendone la specificità. Come

fanno ad essere secreti? Il linfocita B deve prima

riconoscere l’antigene. Il riconoscimento avviene grazie

a questi recettori di membrana. Vediamo quali sono

questi recettori.

I recettori di linfociti B e linfociti T sono diversi; quello

del linfocita B si chiamerà B cell receptor (BCR), quello

del linfocita T si chiamerà T cell receptor (TCR).

4.1 STRUTTURA E FUNZIONAMENTO DEL

BCR

Il BCR ha la stessa struttura delle immunoglobuline, e,

di fatto, è una immunoglobulina, la cosiddetta

immunoglobulina di membrana, ed è simile (salvo

piccole differenze strutturali) alle immunoglobuline

rilasciate dal linfocita B. Vi ricordo che, sulla membrana

dei linfociti B, non c’è un recettore, ma migliaia di

recettori, tutti con la stessa specificità.

Quando questa immunoglobulina, legata alla

membrana tramite il dominio transmembranario,

incontra il suo antigene, lega l’epitopo con la sua

porzione variabile, o meglio, con una, l’altra o

entrambe le porzioni variabili (tanto sono uguali,

speculari). A questo punto parte un segnale che va al

nucleo e questo linfocita si attiva: ecco l’attivazione

dell’immunità acquisita. Questa attivazione del

linfocita B determina la secrezione delle

immunoglobuline, stavolta libere, non legate alla

membrana, e vengono rilasciate nel mezzo che

circonda il linfocita. La cosa interessante è che queste

immunoglobuline che verranno rilasciate (allo scopo di

precipitare o neutralizzare virus o batteri ad esempio)

hanno la stessa specificità di queste immunoglobuline

di membrana. Quindi (ripeto) una volta che un linfocita

B, con la sua immunoglobulina di membrana, lega un

antigene, produce immunoglobuline libere con la

stessa specificità dell’antigene che è stato riconosciuto

dall’immunoglobulina di membrana, e che quindi l’ha

attivato. Questo perché il legame comporta un segnale

all’interno della cellula che induce la trascrizione di

queste immunoglobuline.

4.2 STRUTTURA E FUNZIONAMENTO DEL

TCR

Per il TCR avviene qualcosa di simile. Intanto bisogna

dire che i geni che codificano per i recettori vanno

incontro a continuo riarrangiamento, e questo

comporta la differenziazione dei linfociti in specie

diverse, o meglio, con specificità diverse, capaci di

riconoscere infinite variabili di molecole con il loro TCR.

Vi dicevo che noi abbiamo la possibilità di riconoscere

(teoricamente) circa mille miliardi di molecole. In realtà

ne riconosciamo circa un milione di molecole; gli altri

vengono eliminati. Quindi quando viene fuori un

linfocita maturo con un recettore che ha una certa

specificità con qualche antigene, nel corso della sua

vita biologica questi linfociti (da quando nascono a

quando muoiono, perché tutte le cellule una certa

emivita) potrebbero con questo recettore incontrare o

non incontrare mai l’antigene per il quale sono

specifici. Infatti ci sono quelli che nascono con una

certa specificità, “stanno lì”, ma non riconosceranno

nulla. Altri avranno una specificità che gli consentirà di

riconoscere ad esempio determinanti antigenici

(epitopi) che sono espressi su dei virus, cellule

neoplastiche o famiglie di batteri, e quindi tali antigeni

potranno essere riconosciuti da questo linfocita.

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Quando questo linfocita T lega il suo antigene

(vedremo come, è un po’ più complesso), parte un

segnale, che, questa volta, per come è strutturato il

recettore, non invia direttamente un segnale ma ha

bisogno di una molecola adattatrice, che è il CD3. Il CD3

è una proteina che si associa al TCR quando questo

viene a contatto con il suo antigene, ed è responsabile

dell’invio del segnale.

ITAM sta per Immunoreceptor Tyrosine-based

Activation Motif [2], sono delle chinasi che fosforilano

e quindi trasmettono il segnale. Quindi la differenza per

quanto riguarda (senza entrare troppo nei dettagli) tra

il BCR e il TCR è che il BCR ha una coda citoplasmatica

che gli consente di inviare un segnale al nucleo, mentre

il TCR ha bisogno del CD3. Tra l’altro il CD3 è un

marcatore dei linfociti T, perché è espresso sulle

membrane di tutti i tipi di linfociti T, e la sua funzione è

quella di trasmettere il segnale dopo il legame

dell’antigene al recettore TCR.

4.3 DIFFERENZE TRA BCR E TCR NEL

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE

E questi sono i due recettori, espressi sui linfociti, in

grado di dare il via alle varie funzioni effettrici dei due

subset cellulari. Abbiamo visto che ci sono delle

differenze conformazionali per quanto riguarda i due

recettori, abbiamo visto che ci sono delle differenze

nella trasduzione del segnale, ora vi faccio vedere che

ci sono ancora ulteriori differenze nel riconoscimento

dell’antigene, differenze che ci cominciano a far

entrare nei meccanismi della risposta immunitaria, e

come questa viene a svolgersi quando c’è la necessità

di fronteggiare un pericolo che arriva dall’esterno.

Vediamo quali sono queste differenze nel

riconoscimento dell’antigene da parte dei due tipi di

linfociti (fate attenzione perché questi sono concetti sui

quali poi ritorniamo ma si dovrebbe già ad iniziare ad

avere un’idea, in modo che in futuro vi viene più

semplice).

4.3.1 INTERAZIONE CON L’ANTIGENE

L’interazione con l’antigene è diversa: nel linfocita B è

un processo binario, nel linfocita T è un processo

ternario. Nel linfocita B è semplice: l’immunoglobulina

(ovviamente è quella di superficie, perché stiamo

parlando di recettori per l’antigene) riconosce

l’antigene. Nel linfocita T il processo è ternario: c’è il

TCR, c’è l’antigene (o se volete, determinante

antigenico, con cui il recettore reagisce specificamente

e con alta specificità) e c’è anche il MHC [3], che sta per

“Major Histocompatibility Complex”, ovvero

complesso maggiore di istocompatibilità, ed è

rappresentato da una serie di molecole che sono

presenti in tutti i vertebrati e che nell’uomo prende il

nome di HLA (Human Leukocyte Antigen [4]) che è

espresso su tutte le cellule dell’organismo umano (non

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esiste una cellula del nostro organismo che non abbia

delle molecole di HLA). L’HLA ha varie classi e pian

piano le andremo a vedere e conosceremo le varie

funzioni e tutto quello che ci riguarda. L’HLA è

differente per ogni individuo, e rappresenta quindi una

sorta di codice identificativo, tant’è che quando

facciamo i trapianti è preferibile che donatore abbia un

HLA simile, ma comunque è talmente specifico per

ognuno di noi questo complesso sistema di molecole

che gli unici che hanno un HLA assolutamente identico

sono i gemelli monovulari. Neppure i gemelli biovulari

ce li hanno identici, al massimo ne possono avere

qualcuno condiviso, ovviamente, quindi qualcuno in

comune, e questo è il motivo per cui si preferiscono i

parenti come donatori nei trapianti. Dell’HLA ne

riparleremo, ma per il momento è necessario sapere

che la funzione fisiologica dell’HLA, che potete

immaginare come una sorta di tasca sulla membrana

cellulare di tutte le cellule dell’organismo, è quella di

accogliere l’antigene e di presentarlo (è esattamente

questo il termine che si usa in immunologia) ai linfociti

T. Non ai linfociti B! Per i B non c’è bisogno,

riconoscono gli antigeni direttamente (processo

binario). Il linfocita T non può riconoscere l’antigene

direttamente tranne che questo antigene non sia in

questa tasca che è appunto il nostro HLA. Quindi

processo ternario: TCR – ANTIGENE – HLA.

4.3.2 SOLUBILITÀ

Ne consegue che il legame di antigeni solubili, quindi

liberi nei liquidi extracellulari, può avvenire solo da un

linfocita B ma mai da un linfocita T, perché (per essere

riconosciuto dal linfocita T) deve essere dentro l’HLA, e

quindi l’antigene non deve essere libero ma attaccato a

una cellula, più precisamente all’interno dell’HLA

presente sulla superficie cellulare dell’organismo.

4.3.3 COINVOLGIMENTO DI MOLECOLE

MHC.

Non è necessario nei linfociti B, mentre i linfociti T

necessitano della presentazione dell’antigene

(l’accoglimento dell’antigene nell’HLA che lo presenta,

lo mostra, ai linfociti T), altrimenti non possono

riconoscerlo. E questo è di fondamentale importanza,

perché se il linfocita T helper non riconosce l’antigene,

non c’è “help”, e quindi questo è un passaggio

fondamentale per tutta l’immunità acquisita, altrimenti

la risposta non parte.

4.3.4 NATURA CHIMICA DEGLI ANTIGENI

Le proteine sono sempre preponderanti, però anche

lipidi e polisaccaridi possono essere riconosciuti dai

linfociti B (per la verità anche gli acidi nucleici di cui

parlavo prima, al momento, sono stati riscontrati solo

come leganti immunoglobuline, e non linfociti). Gli

antigeni riconosciuti dai linfociti T sono quasi

esclusivamente proteine e a volte lipidi presentati da

molecole MHC-simili, (non sono HLA ma

semplicemente MHC-simili; per il momento restate con

questa definizione).

4.3.5 PROPRIETÀ DELL’EPITOPO

In un antigene di natura proteica, l’epitopo può essere

costituito da una serie di amminoacidi; tra questi

possiamo distinguere tra amminoacidi sequenziali, e

amminoacidi non sequenziali; entrambi possono

essere riconosciuti dai linfociti B, purché siano

accessibili (esposti sulla superficie della proteina). Il

concetto si spiega meglio se pensiamo ad una molecola

proteica che ha una certa struttura quaternaria, e

questa può presentare degli epitopi sulla sua superficie.

Tali epitopi potrebbero essere costituiti da

amminoacidi che nella sequenza peptidica si trovano a

distanza, ma spazialmente, in ragione del folding, e

quindi della conformazione della catena, si possono

trovare vicini tra di loro. In altre parole se prendiamo

una proteina, con determinati epitopi, e immaginiamo

di denaturarla fino ad ottenere una catena lineare,

avremo che di quegli amminoacidi che formano gli

epitopi, alcuni saranno localizzati in sequenza sulla

catena, altri saranno sparsi, ma che nella

configurazione originale si trovavano spazialmente

vicini. Bene, i linfociti B riescono a riconoscere

entrambi i tipi di amminoacidi. Al contrario, il linfocita T

ha bisogno di peptidi lineari prodotti dalla

processazione dell’antigene [5]. Ma cosa è la

processazione dell’antigene? Mentre il linfocita B

riconosce direttamente la proteina con il suo recettore

(interazione binaria), il recettore del linfocita T, invece,

deve riconoscere degli epitopi all’interno dell’MHC;

inoltre non può riconoscere l’intera molecola, deve

riconoscere solo quella sequenza amminoacidica, e

quindi la molecola deve essere “spezzettata”, ovvero ci

deve essere una “rottura” della proteina in tante parti

(questo meccanismo lo vedremo nella prossima

lezione).

Page 8: LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

Cerchiamo di capire meglio: i linfociti B riconoscono sia

gli aa. sequenziali e sia non sequenziali. Immaginiamo

una proteina come quella mostrata nell’immagine

seguente, con un suo ripiegamento che ne determina la

sua struttura terziaria. In questa proteina consideriamo

gli epitopi T e gli epitopi B.

Gli epitopi T sono interni e quindi non potrebbero mai

essere riconosciuti da un linfocita B, mentre un linfocita

T che viceversa incontrando questa proteina può

vedere col suo TCR questo tipo di sequenza e

riconoscerla direttamente, e quindi avere la sua

attivazione.

“Se noi svolgiamo questa proteina avremo che dovuta

al ripiegamento, alcuni di questi sono in sequenza, altri

no! Quindi gli epitopi B che erano riavvicinati dal

folding (ripiegamento) e quindi potevano essere

riconosciuti come tali, una volta denaturata la proteina

non saranno più disposte vicine tra di loro, ma sparse

all’interno della catena. Se questa proteina dobbiamo

classificarla quindi la spezziamo in tante parti per

poterla mettere dentro l’HLA, è chiaro che questi non

potranno fare parte del riconoscimento dei linfociti T

ma abbiamo bisogno di una sequenza peptidica che sia

vicina, perché questo peptide tagliato che si andrà ad

incastrare all’interno dell’HLA deve essere formato da

sequenze amminoacidiche lineari, cioè una accanto

all’altra. Quindi linfociti B: amminoacidi che possono

essere localizzati in luoghi diversi sulla catena ma

avvicinati dal ripiegamento della molecola, epitopi T

devono essere necessariamente in sequenza, e questo

è importante per la presentazione.”

*A mio parere il concetto trascritto per come l’ha detto

il prof è poco chiaro, cerco di spiegare a parole mie:

- Il riconoscimento del BCR è un processo binario, vale

a dire che l’antigene viene riconosciuto dal linfocita B

così com’è. Se parliamo di un antigene proteico,

l’epitopo sarà un insieme di amminoacidi, disposti

spazialmente vicini e localizzati sulla parte esterna

della proteina (altrimenti sarebbero inaccessibili). Tali

epitopi, nella catena peptidica possono essere disposti

in entrambi i modi, in maniera sequenziale o non

sequenziale. Ovviamente nel secondo caso, tali

amminoacidi si vengono a trovare spazialmente vicini in

seguito al folding della proteina.

- Il riconoscimento da parte del TCR è un processo

ternario, quindi, oltre all’antigene partecipa anche

l’MHC, (nel caso dell’uomo l’HLA). L’antigene, però,

viene prima processato [5], e quello che viene esposto

nella tasca dell’HLA è una porzione della proteina,

quindi dei peptidi più piccoli che contengono l’epitopo.

Da questo ne deriva che gli epitopi riconosciuti dai

linfociti T sono porzioni di peptidi interni (i prodotti

della processazione dell’antigene) formati da

amminoacidi disposti in modo sequenziale.

Faccio presente che si tratta di una interpretazione

personale.]

5 ORGANI LINFOIDI

Continuiamo a parlare di questi antigeni e vediamo

cosa causano all’interno del nostro organismo. Questa

immagine ve l’ho già fatta vedere e vi dicevo che i

linfociti T che circolano nel nostro organismo

incontrano l’antigene negli organi linfoidi periferici

secondari. Avevamo fatto l’esempio che quando noi

abbiamo l’entrata di un patogeno in una regione

periferica, questi antigeni dovranno essere trasportati

negli organi linfoidi secondari per essere riconosciuti

dai linfociti, sia T che B. Vi ricordo che gli organi linfoidi

secondari sono prevalentemente i linfonodi, e ogni

parte del nostro organismo drena la linfa a dei

linfonodi, che sono concatenati tra loro.

5.1 LINFA

Che cos’è la linfa? Altro non è che il liquido

extracellulare, cioè tutto il liquido tra una cellula e

l’altra; tutto questo liquido nei nostri tessuti tra una

cellula e l’altra è un liquido che viene drenato con la

linfa. La funzione del drenaggio è sia quella di

rimuovere i cataboliti che vengono rilasciati dai tessuti,

sia di favorire le funzioni immunologiche, perché se

Page 9: LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

qualcosa entra nel nostro organismo viene drenata

tramite la linfa afferente, ossia quella che arriva

all’organo linfoide secondario, mentre quella efferente

è quella che esce dal linfonodo e che va a reimmettersi

nella circolazione sanguigna. Inoltre vi ricordo che tutti

gli organi linfoidi secondari hanno la linfa efferente

tranne la milza (ora vedremo). Tutti gli organi linfoidi

immettono la linfa in dotti collettori di calibro via via

maggiore, fino a ricondursi al dotto toracico. Il dotto

toracico, poi, sbocca nella vena cava superiore, dunque

la linfa si ricongiunge al circolo venoso e quindi rientra

in circolo. Tutto ciò che questo liquido contiene

all’uscita del linfonodo viene quindi reimmesso nella

circolazione.

5.2 LOCALIZZAZIONE DEGLI ORGANI

LINFOIDI

Oltre ai linfonodi, ci sono altri organi linfoidi, esempio

l’anello del Waldeyer, le adenoidi e la milza, che è un

importante organo linfoide, ed è l’unico che non è

colonizzato da vasi linfatici, infatti ci sono solo

arteriole e vene, non c’è linfa.

Ma d’altronde la milza non è esclusivamente un organo

linfoide, ma solo una sua piccola parte; infatti

sappiamo che per il resto ha funzioni eritrocateretiche,

ovvero di distruzione dei globuli rossi invecchiati.

Ci sono molti altri aggregati linfoidi, ad esempio

nell’intestino, nella cute e varie altre zone, e sono

piccoli follicoli distribuiti e organizzati nel nostro

organismo. Tutti hanno la stessa funzione: raccogliere

gli antigeni e presentare questi antigeni, o comunque

farli incontrare ad esempio con i linfociti T e B che non

hanno mai incontrato un antigene. Questo avviene

perché i linfociti che non hanno mai visto antigeni

ricircolano continuamente negli organi linfoidi

secondari in cerca della specificità del loro recettore.

5.3 STRUTTURA DEGLI ORGANI LINFOIDI

Vediamo come sono fatti gli organi linfoidi. Essi hanno

particolari di struttura in comune, ad esempio la

segregazione in aree.

5.3.1 LINFONODO

L’immagine mostra un linfonodo. Ha una capsula

fibrosa, è vascolarizzato regolarmente con una arteria

ed una vena, ed inoltre possiede una circolazione

linfatica, ovviamente. I linfatici afferenti arrivano da

questi dotti, penetrano all’interno della capsula del

linfonodo, la linfa percorre il linfonodo e si raccoglie in

questo seno da cui ripartirà poi il linfatico efferente.

Esistono delle aree segregate e sono le cosiddette aree

B dette anche follicoli (che nell’immagine sono

schematizzate come cerchietti gialli). All’interno di

queste aree B ci sono linfociti B. Questi, se stanno

riconoscendo l’antigene vanno incontro a

proliferazione; in questo caso tali aree si ingrossano e

vengono definiti centri germinativi (si vedono anche in

microscopia e sono molto ben definiti). Tutto al di sotto

(in azzurro) c’è l’area paracorticale, o area T. Anche

questi possono andare incontro ad una ipertrofia

quando c’è una proliferazione cellulare. Il linfocita B

che si è attivato produce immunoglobuline e si va

trasferendo all’interno del seno, dove si trasforma in

plasmacellula. Le plasmacellule sono arricchite in

questa parte del seno della zona midollare e rilasciano

immunoglobuline. Queste immunoglobuline, tramite la

linfa efferente, vengono portate fuori dall’organo

linfoide e rimesse nella circolazione sanguigna.

Page 10: LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

Anche i linfociti T proliferano, e questi, ad esempio, se

si tratta di linfociti T citotossici, dovranno ritornare nel

sito di infezione per eliminare il patogeno, e lo faranno

nella stessa maniera: prenderanno la via efferente,

verranno messe in circolo e poi andranno nella regione

dove è presente il patogeno. In effetti nel linfonodo è

arrivato l’antigene, ma l’infezione è periferica.

Domanda di una studentessa che in sintesi voleva dire:

“quando ci sono i linfonodi ingrossati, cosa si ingrossa?

I follicoli o cosa?”.

È una domanda interessante ma prematura.

Innanzitutto i linfonodi ingrossati li abbiamo in molte

patologie, esempi sono la mononucleosi, ma può

capitare anche con un mal di denti. Ovviamente in

quest’ultimo caso, i linfonodi ingrossati non saranno

certo quelli poplitei, o inguinali o ascellari, ma saranno

ad esempio quelli sottomandibolari, cervicali. Questo

per dirvi che la regione in cui possono ci possono

essere linfonodi ingrossati può variare.

L’ingrossamento del linfonodo è dovuto alla

proliferazione dei linfociti T e/o linfociti B; questo

perché a volte ad esempio ci sono degli antigeni che

sono immunogeni, quindi evocano la risposta

immunitaria, che avviene all’interno di quel linfonodo.

In pratica il rigonfiamento è determinato dal fatto che il

linfonodo è colmo di cellule che stanno proliferando.

La presenza del linfonodo ingrossato sta a significare

che sta avvenendo una risposta immunitaria. A volte,

quando ci sono delle infiammazioni croniche, alcuni

linfonodi continuano a rimanere ingrossati. Se la

condizione persiste, all’interno dell’organo linfoide può

iniziare una produzione di fibre collagene intorno a

questa capsula fibrosa, e ciò determina la formazione

di un linfonodo indurito, non più dolente e non più

morbido, ma duro. Questi sono linfonodi che

rimangono generalmente dopo che c’è stata una

infiammazione cronica, per tanto tempo, quindi in

alcune zone spesso capita ad esempio di riuscire a

palparle, quelle ascellari, inguinali, sottomandibolari.

Quelli che più frequentemente rimangono palpabili

sono quelli inguinali e sono legati ad infiammazioni

croniche. Anche ad esempio un ascesso dentario può

determinare la presenza di qualche linfonodo

sclerotico. In generale, però, i linfonodi ingrossati

regrediscono, e regrediscono quando cessa la risposta

immunitaria.

La mononucleosi, ad esempio, è una malattia provocata

dal virus di Epstein-Barr [6] che infetta i linfociti B e ne

determina l’iperproliferazione, ed in casi particolari può

anche determinare un processo neoplastico (dipende

dal tipo di latenza del virus). Tale iperproliferazione

determina l’ingrossamento di tutti i centri germinativi.

5.3.2 ORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO

LINFOIDE DELLA MILZA

Vediamo un altro po’ di organi linfoidi, ad esempio la

milza. Più o meno sono strutturati in modo simile. In

particolare, nella milza non ci sono vasi linfatici.

Page 11: LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

I linfociti sono in questa zona, detta “zona pulp”; c’è

l’arteriola centrale (questa è la sezione - riferito

all’immagine - siamo in un follicolo linfatico eh!). E poi

c’è un centro germinativo come negli altri organi

linfoidi. Ricordatevi anche che qui i follicoli

rappresentano una piccola parte all’interno della polpa

rossa. Ognuno di questi follicoli è un tessuto linfoide a

se stante, irrorato da una arteriola che porta i linfociti

naive all’interno dell’organo linfoide. Anche qui c’è una

segregazione ben precisa tra i linfociti B e i follicoli, i

centri germinativi che sono proprio le zone dove c’è la

crescita dei linfociti B e la differenziazione.

6 SELEZIONE ED ESPANSIONE CLONALE

E poi arriviamo alla domanda che il vostro collega ha

anticipato: cosa avviene all’interno di questi organi

linfoidi quando i linfociti incontrano questo antigene?

Cosa succede all’interno del linfonodo? Vengono

riconosciuti gli antigeni, quindi viene attivata la risposta

immunitaria acquisita, perché ci sono dei linfociti che

hanno il recettore specifico per questo antigene che è

giunto, in un modo o nell’altro, nell’organo linfoide.

Cosa succede? Avviene quella che viene definita

espansione clonale, ed è proprio la proliferazione di un

singolo linfocita che ha riconosciuto l’antigene. Quindi

in seguito all’incontro con l’antigene quel linfocita

dovrà espandersi clonalmente; “clonalmente” perché è

appunto una cellula che deve dividersi in altre cellule.

La selezione e l’espansione clonale sono due concetti

importantissimi nell’ambito della risposta immunitaria

del nostro organismo.

I primi 2 riquadri (immagine precedente) sono legati

alla selezione clonale e avvengono negli organi linfoidi

Page 12: LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

primari, gli ultimi 2 riquadri sono l’espansione clonale

e avvengono negli organi linfoidi secondari.

6.1 PROLIFERAZIONE E GENERAZIONE DEI

LINFOCITI

Abbiamo visto che i linfociti provengono da un

precursore, e questo, da buon precursore emopoietico,

ha la possibilità di differenziare in una progenie. È

dunque una cellula in grado di differenziarsi in tante

cellule diverse. Man mano che differenzia produrrà dei

linfociti T o B ognuno con il suo “bravo” recettore

specifico; ognuno di questi linfociti avrà una sua

specificità perché questi recettori saranno diversi l’uno

dall’altro. Tale diversità deriva dal polimorfismo di

questi geni che codificano per i recettori. Quindi man

mano che si differenziano, ognuno avrà il suo recettore

specifico.

6.2 SELEZIONE CLONALE

I linfociti maturano negli organi linfoidi primari. La

maturazione dei linfociti B avviene nel midollo, mentre

per i linfociti T avviene nel timo (si chiamano T proprio

per questo, perché differenziano nel timo). A livello di

questi organi linfoidi primari i linfociti B e T non sono

ancora completamente maturi dal punto di vista

funzionale, infatti sono in uno stadio di timociti e pre-

cellule B. Hanno già il loro recettore, ma hanno delle

caratteristiche funzionali particolari. Una di queste

caratteristiche funzionali importantissima è legata al

comportamento in seguito al riconoscimento di un

antigene. Abbiamo detto che quando sono

completamente maturi (si trovano negli organi linfoidi

secondari) la risposta al riconoscimento dell’antigene è

l’attivazione. Al contrario, in questa fase, e cioè quando

non sono ancora maturi (siamo negli organi linfoidi

primari), se riconoscono un antigene, invece che

attivarsi, vanno incontro a delezione: muoiono.

È chiaro che, timo e midollo, sono strutturati in una

maniera tale per cui i linfociti non ancora maturi

vengono a contatto con tutto ciò che è del nostro

organismo, quindi, tutto quello con cui vengono a

contatto è “self”. A questo punto risulta logico il

motivo di questo meccanismo: se un linfocita riconosce

qualcosa in questa fase, non può che trattarsi di

qualcosa “self” e dunque tale linfocita non deve

assolutamente essere liberato nell’organismo,

altrimenti indurrebbe un attacco autoimmunitario,

ecco perché viene eliminato. Il meccanismo

autoimmunitario è terribile! Anche perché è molto

potente! Gli antichi lo chiamavano horror autotoxicus.

Ed è questo uno dei modi con cui ci difendiamo

dall’attacco autoimmunitario.

6.3 ESPANSIONE CLONALE

Ne residua un pool di linfociti in grado di riconoscere

tutto, tranne quello che ci appartiene. Questo

“qualcosa che non ci appartiene” in grado di essere

riconosciuto potrebbe essere ad esempio un pericoloso

antigene, ma anche qualcosa di innocuo, o addirittura

qualcosa che non esiste! Questi linfociti cominceranno

la loro storia biologica, che è quella di ricircolare

continuamente nel nostro organismo tra linfa e tessuti

(organi linfoidi ad esempio) in cerca del loro antigene.

Nel momento in cui uno di questi linfociti incontra

l’antigene (e l’incontro avviene negli organi linfoidi

secondari, come abbiamo imparato oggi) si va incontro

all’espansione clonale, cioè alla moltiplicazione seriale

di questo singolo linfocita, quindi non avremo più un

solo linfocita in grado di conoscere quell’antigene, ma

ne avremo tanti. E la moltiplicazione andrà avanti

finché ci saranno almeno tanti linfociti quanti ne

saranno necessari per eliminare l’antigene.

Quando l’antigene viene eliminato, la risposta si

contrarrà, finirà; il nostro linfonodo ingrossato si

sgonfierà solamente quando questo antigene non darà

ulteriore stimolo agli altri linfociti, altrimenti questi

continueranno a proliferare; proliferando vedono altri

antigeni e continueranno a suddividersi, creando

cellule effettrici. Man mano che proliferano, una parte

diventa cellule effettrici, e comunque, continuando ad

essere stimolate, continuano a moltiplicarsi. Se è in

atto una infezione importante, possono diventare

veramente numerosi. Nella milza può verificarsi che

fino a metà dei linfociti siano, se non monoclonali,

oligoclonali, cioè derivati da una o pochi linfociti, tutti

specifici per il virus che ci sta invadendo in quel

momento. Poi finito il virus, tutto si contrae e ritorna

alla situazione di normalità.

7 CELLULE DENDRITICHE E

PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE

(CENNI)

Questi concetti sono importantissimi: delezione ed

espansione clonale dei linfociti (“clonale” perché è una

singola cellula che prolifera indefinitamente fino a

Page 13: LINFO ITI T E IMMUNITÀ A QUISITA - Altervista

quando c’è la necessità). Se questi sono linfociti B

produrranno immunoglobuline specifiche per

l’antigene, se invece sono linfociti T una volta che

legano l’antigene svolgeranno la loro funzione

effettrice, e quindi eliminare la cellula infettata che

presenta l’antigene, produrre le citochine che servono

da helper, ecc.

Come arrivano gli antigeni agli organi linfoidi

secondari? Abbiamo detto con la linfa, ed è vero! Molti

antigeni solubili ci possono arrivare perché trascinati

dalla linfa. Però molti di questi antigeni liberi non

potrebbero evocare una risposta immunitaria nei

linfociti T, perché questi hanno bisogno che gli antigeni

gli siano presentati. Nella presentazione dell’antigene,

un ruolo fondamentale è svolto dalle cellule

dendritiche.

Come ricorderete, l’attivazione della risposta innata

avviene quando c’è un segnale di pericolo, per

interazione PRR – PAMP, e l’attivazione delle cellule

dendritiche comporta la fagocitosi dell’antigene

(ricordiamoci che è un fagocita). Le cellule dendritiche

attivate, a differenza dei macrofagi o dei granulociti,

sono in grado di lasciare il tessuto di infezione, e

migrano negli organi linfoidi secondari. E sono le

uniche cellule a poter fare questo lavoro. Quindi sono

una sorta di shuttle dalla periferia agli organi linfoidi

secondari. In questo caso quindi dopo la cattura

dell’antigene, queste cellule lasciano il sito di infezione,

migrano attraverso i linfatici e si localizzano negli

organi linfoidi secondari. Questo carico di antigene

viene poi presentato sull’HLA di queste cellule ai

linfociti T. Se un linfocita T riconosce sulla cellula

dendritica il suo antigene, ecco che parte l’espansione

clonale, e quindi si moltiplicheranno per quanto

necessario. Infatti, se c’è ancora antigene in periferia,

arriveranno (negli organi linfoidi secondari) altre cellule

dendritiche a presentare l’antigene, e ancora i linfociti

continuano a proliferare. Questi linfociti poi lasceranno

l’organo linfoide secondario, rientreranno nel circolo,

arriveranno in periferia sul sito di infezione ed

elimineranno a questo punto il patogeno. Quando non

arriva più patogeno agli organi linfoidi, la risposta si

contrae.

[1]. Malattia di Crohn. [Online]

http://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Crohn.

[2]. ITAM. [Online]

http://en.wikipedia.org/wiki/Immunoreceptor_tyrosine-

based_activation_motif.

[3]. MHC. [Online]

http://en.wikipedia.org/wiki/Major_histocompatibility_compl

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[4]. HLA. [Online]

http://en.wikipedia.org/wiki/Human_leukocyte_antigen.

[5]. Processazione dell'antigene. [Online]

http://en.wikipedia.org/wiki/Antigen_processing.

[6]. Virus di Epstein-Barr. [Online]

http://it.wikipedia.org/wiki/Human_herpesvirus_4.