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L’INDUSTRIA DEL FERRO IN VERSILIA DALL'ETÀ COMUNALE AI NOSTRI GIORNI L'attività estrattiva in Versilia è documentata già agli inizi del XIII secolo dalle controversie dei Signori di Corvaia e Vallecchia che si contendevano le miniere di piombo argentifero di Val di Castello, di Gallena e di Stazzema 1 , benché le escavazioni minerarie nelle Apuane si possano far risalire ai Romani e forse agli Etruschi 2 . Probabilmente si estraeva anche minerale ferroso dal monte Arsiccio e dalle altre miniere conosciute fin dalla antichità—Monte Ornato, Stazzema, Vernacchietto e Palatina—che, almeno in parte, alimentavano l'industria locale nei primi decenni del '400 3 . Inoltre, fin dal XIV secolo era conosciuta la cava della pietra refrattaria per l'uso dei forni fusori 4 , situata in località Pietrapania nella valle del torrente Cardoso, tra gli abitati di Cardoso e Malinventre. [20] La disponibilità di materia prima, la presenza di estesi boschi di proprietà comunale e l'abbondanza di corsi d'acqua perenni che garantissero il movimento delle ruote idrauliche che azionavano mantici, magli, distendini e battiloppo 5 favorirono il sorgere, lungo la valle del Versilia e dei torrenti limitrofi, di numerose piccole attività metallurgiche, poco più che 1 Cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze, presso l'Autore, 1841, IV, p. 234 dove si cita un istrumento di consorteria del 9 ottobre 1219 fra i diversi Visconti di Corvaja e di Vallecchia nel quale si dichiara che le Argentiere di Valbona [Valdicastello] e di Galleno toccarono di parte ai nobili di Vallecchia, mentre quelle situate nel distretto di Stazzema dovevano appartenere ai nobili di Corvaja . 2 Cfr. A. PICCININI, Il Ferro elbano in Italia dall'epoca etrusca alla fine dell'Impero romano, in AA.VV., Miniere e ferro dell'Elba dai tempi etruschi ai nostri giorni, Roma, Mostra autarchica del minerale italiano. Giunta dei minerali ferrosi, 1938, pp. 5-32. cir. inoltre G. DESSAU, Studi sulla miniera del Bottino, Boll. Soc. Geol. It. , 54, 1935 p. 333 e V. SANTINI C. ZOLFANELLI, Guida alla Alpi Apuane, Firenze, Tip. G. Barbera, 1874, p. 131 (rist. an. Roma, Multigrafica Editrice, 1983). 3 Cfr. Archivio di Stato di Firenze (d'ora in poi A.S.F.), Segreteria di Finanze, 1155, Notizie sulla Magona del Ferro di S.M. il re d'Etruria, (1804). E. REPETTI, Dizionario, cit. IV, p. 235 e P. GINORI CONTI, Le Magone della vena del ferro di Pisa e di Pietrasanta sotto la gestione di Piero dei Medici e compagni (1489-1492), Firenze, Olschki, MCM XXXIXXVII in cui si riporta, dal Libro di Mercatura scritto da Giovanni di Antonio da Uzzano nel 1442, il cap. LVII, relativo al Ferro di Pietrasanta, contado di Lucca. 4 Cfr.V.SANTINI-C. WOLFANELLI, Guida, cit., p.145. Queste pietre servono per fare i Cannicchi, cioè foderare i forni nei quali si fonde la Vena del Ferro. Il fuoco di questi Forni è veementissimo, e lunghissimo, sicché non ci è altra pietra che questa, la quale vi possa reggere lungo tempo senza vetrificare. Ella è della natura del Sasso morto, ma ha la grana un poco più grossetta, più filamentosa, di colore d'Acquamare, e tra' fascetti delle fibre, ha delle frequenti e larghe, ma sottilissime lamine di talco, lustranti come vernice argentina, sicché molto si assomiglia ad alcune specie d'Amianto. Questo gran mescuglio di Talco o si voglia supporre anche Amianto, è, per quanto io credo, la cagione del suo gran resistere al fuoco, senza calcinare o vetrificare. Vien detta comunemente Pietra di Rosina con tuttoché ella si cavi in un comune diverso, e molto lontano da Rosina. Di esse verisimilmente intese parlare il Cesalpino dicendo: "in Petrasancta Etruriae Mons est, cuius saxa argenteo nitore splendent in igne invicta, fragilia tamen, ob idque inepta operi quadrato" (G. TARGIONI TOZZETTI, Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, Stamperia Granducale, VI, 1773, pp. 145-146). 5 Per notizie sugli strumenti e le tecniche di lavorazione del ferro cfr. A. PICCININI, Cenni sui processi siderurgici usati in Italia dal Medio Evo ai nostri giorni, in AA.VV. Miniere e Ferro dell'EIlba, cit., p. 337 e AA.VV., L'industria del ferro nel territorio pistoiese. Impianti, Strumenti e tecniche di lavorazione dal Cinquecento al Novecento, Pistoia, ed. Istituto storico della Resistenza di Pistoia (Prato, la Topografia Pratese), 1983, pp. 81 e seg. Fino al 1700 per ossigenare il fuoco dei forni, delle ferriere, dei distendini venivano utilizzati dei mantici di cuoio che si muovevano alternativamente, poi sostituiti con le trombe idroeoliche. Il maglio, era la macchina che forgiava pezzi metallici posti sull'incudine muovendosi come una mazza battente. Il suo manico, lungo circa 3 metri, era costituito da un tronco di noce o di acacia e veniva messo in movimento dalle palmole , sporgenze dentate che si trovavano a metà dell' albero, un tronco di quercia lungo circa 4,5 metri, fissato al centro della ruota. L'acqua giungeva alla ruota dal bottaccio attraverso la tromba uno stretto canale con una caduta di alcuni metri. Il bottaccio era il serbatoio in muratura in cui si raccoglieva l'acqua della gora. Di dimensione variabile, nel caso degli edifici del Pietrasantino era posto esternamente agli stessi, mentre talvolta per motivi di ordine climatico o di localizzazione poteva essere pensile per garantire la caduta della tromba o trovarsi all'interno dell'edificio. Anche il battiloppo, un grosso mortaio multiplo usato per frantumare le loppe , cioè le scorie di fusione del minerale, era azionato idraulicamente.

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L’INDUSTRIA DEL FERRO IN VERSILIA DALL'ETÀ COMUNALE AI NOSTRI GIORNI

L'attività estrattiva in Versilia è documentata già agli inizi del XIII secolo dalle controversie dei Signori di Corvaia e Vallecchia che si contendevano le miniere di piombo argentifero di Val di Castello, di Gallena e di Stazzema1, benché le escavazioni minerarie nelle Apuane si possano far risalire ai Romani e forse agli Etruschi2. Probabilmente si estraeva anche minerale ferroso dal monte Arsiccio e dalle altre miniere conosciute fin dalla antichità—Monte Ornato, Stazzema, Vernacchietto e Palatina—che, almeno in parte, alimentavano l'industria locale nei primi decenni del '4003. Inoltre, fin dal XIV secolo era conosciuta “ la cava della pietra refrattaria per l'uso dei forni fusori ”4, situata in località Pietrapania nella valle del torrente Cardoso, tra gli abitati di Cardoso e Malinventre. [20] La disponibilità di materia prima, la presenza di estesi boschi di proprietà comunale e l'abbondanza di corsi d'acqua perenni che garantissero il movimento delle ruote idrauliche che azionavano mantici, magli, distendini e battiloppo5 favorirono il sorgere, lungo la valle del Versilia e dei torrenti limitrofi, di numerose piccole attività metallurgiche, poco più che

1 Cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze, presso l'Autore, 1841, IV, p. 234 dove si cita “ un istrumento di consorteria del 9 ottobre 1219 fra i diversi Visconti di Corvaja e di Vallecchia nel quale si dichiara che le Argentiere di Valbona [Valdicastello] e di Galleno toccarono di parte ai nobili di Vallecchia, mentre quelle situate nel distretto di Stazzema dovevano appartenere ai nobili di Corvaja ” . 2 Cfr. A. PICCININI, Il Ferro elbano in Italia dall'epoca etrusca alla fine dell'Impero romano, in AA.VV., Miniere e ferro dell'Elba dai tempi etruschi ai nostri giorni, Roma, Mostra autarchica del minerale italiano. Giunta dei minerali ferrosi, 1938, pp. 5-32. cir. inoltre G. DESSAU, Studi sulla miniera del Bottino, “ Boll. Soc. Geol. It. ”, 54, 1935 p. 333 e V. SANTINI C. ZOLFANELLI, Guida alla Alpi Apuane, Firenze, Tip. G. Barbera, 1874, p. 131 (rist. an. Roma, Multigrafica Editrice, 1983).3 Cfr. Archivio di Stato di Firenze (d'ora in poi A.S.F.), Segreteria di Finanze, 1155, Notizie sulla Magona del Ferro di S.M. il re d'Etruria, (1804). E. REPETTI, Dizionario, cit. IV, p. 235 e P. GINORI CONTI, Le Magone della vena del ferro di Pisa e di Pietrasanta sotto la gestione di Piero dei Medici e compagni (1489-1492), Firenze, Olschki, MCM XXXIXXVII in cui si riporta, dal Libro di Mercatura scritto da Giovanni di Antonio da Uzzano nel 1442, il cap. LVII, relativo al Ferro di Pietrasanta, contado di Lucca. 4 Cfr.V.SANTINI-C. WOLFANELLI, Guida, cit., p.145. Queste pietre “ servono per fare i Cannicchi, cioè foderare i forni nei quali si fonde la Vena del Ferro. Il fuoco di questi Forni è veementissimo, e lunghissimo, sicché non ci è altra pietra che questa, la quale vi possa reggere lungo tempo senza vetrificare. Ella è della natura del Sasso morto, ma ha la grana un poco più grossetta, più filamentosa, di colore d'Acquamare, e tra' fascetti delle fibre, ha delle frequenti e larghe, ma sottilissime lamine di talco, lustranti come vernice argentina, sicché molto si assomiglia ad alcune specie d'Amianto. Questo gran mescuglio di Talco o si voglia supporre anche Amianto, è, per quanto io credo, la cagione del suo gran resistere al fuoco, senza calcinare o vetrificare. Vien detta comunemente Pietra di Rosina con tuttoché ella si cavi in un comune diverso, e molto lontano da Rosina. Di esse verisimilmente intese parlare il Cesalpino dicendo: "in Petrasancta Etruriae Mons est, cuius saxa argenteo nitore splendent in igne invicta, fragilia tamen, ob idque inepta operi quadrato" (G. TARGIONI TOZZETTI, Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, Stamperia Granducale, VI, 1773, pp. 145-146).5 Per notizie sugli strumenti e le tecniche di lavorazione del ferro cfr. A. PICCININI, Cenni sui processi siderurgici usati in Italia dal Medio Evo ai nostri giorni, in AA.VV. Miniere e Ferro dell'EIlba, cit., p. 337 e AA.VV., L'industria del ferro nel territorio pistoiese. Impianti, Strumenti e tecniche di lavorazione dal Cinquecento al Novecento, Pistoia, ed. Istituto storico della Resistenza di Pistoia (Prato, la Topografia Pratese), 1983, pp. 81 e seg. Fino al 1700 per ossigenare il fuoco dei forni, delle ferriere, dei distendini venivano utilizzati dei mantici di cuoio che si muovevano alternativamente, poi sostituiti con le trombe idroeoliche. Il maglio, era la macchina che forgiava pezzi metallici posti sull'incudine muovendosi come una mazza battente. Il suo manico, lungo circa 3 metri, era costituito da un tronco di noce o di acacia e veniva messo in movimento dalle “ palmole ”, sporgenze dentate che si trovavano a metà dell' “albero”, un tronco di quercia lungo circa 4,5 metri, fissato al centro della ruota. L'acqua giungeva alla ruota dal bottaccio attraverso la tromba uno stretto canale con una caduta di alcuni metri. Il bottaccio era il serbatoio in muratura in cui si raccoglieva l'acqua della gora. Di dimensione variabile, nel caso degli edifici del Pietrasantino era posto esternamente agli stessi, mentre talvolta per motivi di ordine climatico o di localizzazione poteva essere pensile per garantire la caduta della tromba o trovarsi all'interno dell'edificio. Anche il “battiloppo”, un grosso mortaio multiplo usato per frantumare le “loppe ”, cioè le scorie di fusione del minerale, era azionato idraulicamente.

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fucine di fabbro, dove la conformazione delle valli o la possibilità di derivare una gora consentivano lo stabilirsi di una fabbrica6. [21] Le difficoltà di estrazione del minerale locale, la scarsa entità della produzione e la sua cattiva qualità, tuttavia, fecero sì che già nella seconda metà del '400 fosse attiva in Pietrasanta una Magona gestita dalla Compagnia genovese degli Spinola, alimentata esclusivamente dal minerale proveniente dall'Isola d'Elba7. La Magona, istituzione di origine genovese, altro non era che una sorta di appalto, di privativa nel commercio, in questo caso, del minerale ferroso. La Magona di Pietrasanta fu probabilmente la prima a sorgere in Toscana. Riconfermata nel 1478 agli Spinola, passò nel 1489 ad una compagnia lucchese, finché pervenne ai Medici attraverso la mediazione di Giovanni Cambi nel 1488. La vena acquistata dalla Magona di Pietrasanta, circa 30 centi l'anno8, veniva smistata tra i fabbrichieri della Versilia (Albiano, Stazzema, Retignano, Ruosina, Pruno, Calcaferro), della Lunigiana e della Garfagnana (Aulla, Forno e Camporgiano). A Pietrasanta esistevano un magazzino fuori le mura ed un altro alla foce del Motrone, mentre per gli acquirenti della zona di Massa la consegna del materiale avveniva alla foce del fiume Frigido. La fusione della vena “facevasi al fuoco di Ferriera, poco dissimile dal Forno alla catalana”9, cioè “ a basso fuoco”. I1 minerale, unito ad una quantità tripla di carbone di castagno si fondeva con un fuoco di otto-dieci ore e si raccoglieva in “massello” nel crogiolo. Veniva quindi estratto, spezzato con mazze a braccia, riscaldato nuovamente e sottoposto al maglio per farne verghe, quadroni, spiagie per le successive lavorazioni10. [23] Oltre al “maestro di fornace”, che impostava la produzione e ne fissava il metodo, per far lavorare una ferriera erano necessari un “menatore di mantici”, addetto alla manutenzione ed al funzionamento dei mantici qualora l'acqua scarseggiasse, uno “scaldatore” addetto al funzionamento dei forni, alcuni “fucinatori” che battevano il ferro alle incudini ed al maglio, alcuni “manovali” addetti alla triturazione ed al lavaggio del minerale ed al suo “arricchimento”, cioè allo scarto del materiale inerte, e, talvolta, un “ maestro carbonaio ” il cui compito era quello di controllare le squadre di carbonai e di coordinare i rifornimenti e lo stivaggio del combustile11. La produzione di ferro lavorato era costituita per lo più da ferri e chiodi da cavalli, da bullette e gangheri, almeno da quanto risulta dal libro Azzurro B della Compagnia di Piero di Lorenzo Dei Medici in Pisa studiato da Pietro Ginori Conti e relativo al triennio 1489-149212. Era destinata per lo più al mercato locale, ma i magonieri, pur di incrementare la vendita della vena, accettavano spesso in cambio il ferro lavorato per collocarlo, pur con mediocre guadagno, su mercati meno asfittici di quello locale.

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Nel territorio di Pietrasanta dovevano essre in attività, nel '300, non meno di 10 fabbriche (cfr. P. PELÙ , Cenni sull'industria e sul commercio del ferro in Versilia nei secoli XIV e XV, Lucca, Nuova Grafica Lucchese, 1975, p. 12). Le prime rudimentali fucine si erano localizzate il più possibile vicino alle miniere, ma già nel '300 lo sfruttamento della vena locale doveva essere quasi cessato e si privilegiava la vicinanza alle vie più agevoli cioè la posizione di fondovalle. Nel 1385 secondo la testimonianza di un corrispondente dell'azienda pratese di Francesco Datini riportata da Paolo Pelù (ibidem, p. 13), erano attive sicuramente 5 fabbriche nella valle del Versilia, ma altri documenti riportavano industrie a Valventoso, Retignano e Giano: “ Il detto Bartholomeo Panicho fa lavorare a cinque fabbriche intorno a Pietrasanta [...]. Le dette fabriche sono ne' luoghi vi dirò: a Ruosino n'à due e una a Chalcaferro, e una a Stazema, e una a Valdichastello. L'una da Ruosino è migliore che tutte le altre quattro, e poi Chalchaferro seghue, e l'altre tre a uno modo ” (in Archivio Datini Prato, D 528, Lettera Lucca-Pisa, 25 maggio 1385).7 Cfr. P. GINORI CONTI, Le Magone, cit., p. 61 e R. CARDARELLI, Le miniere di ferro dell'Elba durante la signoria degli Appiano e l'industria siderurgica toscana nel '500, in AA.VV., Miniere e ferro, cit., p. 104.8 Più o meno 335 tonnellate. Ma secondo Paolo Pelù (P. PELÙ , Motrone di Versilia porto medievale (sec. XI-XV), Lucca, M. Pacini-Fazzi, 1974) nel 1380 furono scaricati a Motrone 49 centi di vena e 64 centi nel 1400.9 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, Notizie, cit. 10 Cfr. A. PICCININI, Cenni sui processi cit., p. 331 e M. BORRACELLI, Una nota sulla siderurgia in area senese nel medioevo: ferriere e fabbriche in Valdimerse, “ Ricerche storiche ”, XIV (1984), n. 1, p. 52.11 Cfr. P. PELÙ, Cenni sull'industria, cit., p. 20.12 Cfr. P. GINORI CONTI, Le Magone, cit.

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Il termine "Magona" mutò di significato quando Cosimo I, ottenuto il 17 marzo 1543 l'appalto generale delle vene dell'Elba, decise di acquistare e ristrutturare mulini e antiche ferriere e di far costruire un forno sulla montagna Pistoiese ed un altro a Ruosina in Versilia, al fine di gestire l'attività siderurgica dall'acquisizione del minerale alla commercializzazione del prodotto finito. In Versilia, così come nel Pistoiese, l'iniziativa granducale venne a sovrapporsi alla tradizione siderurgica locale determinandone il rapido decadimento. Alcune ferriere e fucine private furono convertite in mulini o in altri opifici ad acqua, altre continuarono a sopravvivere benché emarginate dalla impari concorrenza delle fabbriche medicee sostenute da una quantità di privilegi. Al riguardo, tuttavia, non è stato possibile raccogliere che notizie sporadiche. Per necessità, quindi, la ricerca si è soffermata sugli edifici granducali per i quali copioso materiale si trova nel fondo Magona del l'Archivio di Stato di Firenze, in considerazione anche del fatto che la storia della siderurgia toscana, in effetti, coincide in larga misura con la storia e l'evoluzione dell'azienda siderurgica statale [24]. Il complesso siderurgico dell'alta Versilia ruotava intorno al forno di Ruosina, costruito nel 1560, cui vennero immediatamente affiancati un distendino, le ferriere del Gatto e di Cansoli acquistate nello stesso anno, la ferriera del Malinventre acquistata nel 1567 e le chioderie fabbricate nel 1566 vicino al forno13. Gli anni dello ''Stabilimento della Magona del Ferro" furono caratterizzati anche da una febbrile attività di ricerca in campo minerario. Il Capitanato di Pietrasanta, in cui erano state attive miniere di ferro e d'argento fin dall'antichità e sicuramente nel Medio Evo, fu oggetto di molteplici tentativi rivolti però soprattutto ai filoni argentiferi14. Non è pertanto da escludersi che proprio l'attività mineraria, e quindi la presenza di manodopera esperta e di specifiche infrastrutture, oltre alla tradizione locale in campo metallurgico, abbiano suggerito a Cosimo I di localizzare nel pietrasantino un polo siderurgico. Per seguire queste attività nelle quali aveva profuso denaro ed energie, Cosimo I si fece erigere un palazzo a Seravezza per risiedervi nella stagione estiva. I lavori iniziarono nel 1561, forse sotto la direzione del Buontalenti, e già dal 1564 Cosimo non tralasciò di trascorrere almeno qualche tempo ogni anno in Versilia15. Anche le nuove "fabbriche" furono costruite rapidamente, utilizzando in parte strutture preesistenti, da Maestro Giovanni Zambonardi da Gardone che aveva già edificato il forno di Pracchia, “quantunque egli Fosse contumace con la giustizia”16. [25] Lo stesso si incaricò anche di ridurre “alla bresciana” le ferriere “già smesse” acquistate dal Granduca. La prima "campagna" ebbe inizio nel settembre 1561: “dopo i Fornelli, o Fornaci nelle quali si colava la miniera come la calcina per mezzo di legna”17, i forni di Pracchia e di Ruosina—e prima ancora quello di Barga—rappresentarono una vera rivoluzione tecnologica, con il passaggio dal metodo diretto di fusione, quando “si lavorava a vena da Ferro alle ferriere solamente”18, a quello indiretto con la distinzione tra forno, dove si produceva la ghisa detta ferraccio, ferriera dove, per rifusione della ghisa si otteneva il ferro sodo o malleabile, e distendino dove il ferro veniva foggiato in barre, piastre e lamine. Tale processo consentì una maggiore specializzazione della manodopera e delle

13 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, Notizie, cit.14 Si scavò soprattutto all'Argentiera e al Bottino, ma tentativi furono fatti anche a Campa, Pipistrelli, Salto del tedesco,Scala, S. Cristofano, S. Giovanni, Stazzema Strettoia, Vacha e Boddaio (cfr. M. FABRETTI-A. GUIDARELLI,Miniere d argento e cave di marmo, in Potere centrale e strutture periferiche nella Toscana del '500, a cura di G. Spini,Firenze, Olschki, 1980, pp. 139-154. È singolare che la manodopera locale sia stata utilizzata solo per lavori generici,mentre quella specializzata provenisse dalla Germania e dall'Austria.15 Sulla storia del Palazzo Mediceo di Seravezza ed in particolare sulla paternità del progetto cfr. F. BUSELLI, PalazzoMediceo a Seravezza, Empoli, 1965, p. 41 e per un'opinione antitetica cfr. A. FARA, Buontalenti architettura e teatro,Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1979. Cfr., inoltre AA.VV. "Il Giardino dei frutti ", una proposta per il recuperostorico-paesaggistico dell'ambiente di pertinenza del Palazzo Mediceo di Seravezza, Atti della Tavola Rotonda(Seravezza, 15 dicembre 1984), “ Studi Versiliesi ”, IV (1986), pp. 35-80.16 A.S.F., Magona, 2751, Provenienza degli effetti stabili sia propri che livellari della Magona del Ferro di S.A.R.(1740), c. 63.17 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, Notizie, cit.18 A.S.F., Magona, 2751, c. 63. Sul “ fuoco alla bresciana ” cfr. A. PICCININI, Cenni sui processi siderurgici, cit., p.338.

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tecniche di lavorazione, consentendo rendimenti migliori in termini qualitativi e quantitativi. Il minerale giungeva dall'Isola d'Elba alla foce del Motrone dove veniva stivato parte nel magazzino sulla spiaggia, parte nel più grande deposito in Pietrasanta. Da lì, prima con barrocci, quindi a dorso di mulo19, giungeva fino a Ruosina. La prima cottura del minerale avveniva in forni aperti detti delle ringrane. Il minerale torrefatto con carbone minuto detto “brasca”, veniva lavorato più volte per eliminare le impurità ed in particolare lo zolfo. La vena ricotta veniva allora posta nel canicchio del forno alternata con strati di carbone. La fiamma veniva alimentata con mantici idraulici finché il metallo colava da un'apertura a livello del fondo in appositi stampi. Mediante colate alternate, senza arrestare il forno, era possibile estrarre anche le scorie allo stato liquido, ottenendo in questo modo di lavorare a ciclo continuo con grande risparmio di combustibile. Per ottenere ferro malleabile era però necessaria una rifusione a “basso fuoco” nelle ferriere20. [26] Il ferro lavorato veniva venduto al magazzino di Pietrasanta ad un prezzo mediamente più basso che non a Pisa, così da compensare il costo del trasporto fino a là: “il pregio del [...] ferro battuto di ferriera ordinario”era “a ragione di lire centoventidua e mezzo per il migliaro delle libbre in detta terra di Pietrasanta”; le chiodagioni “per servitio delle galere, arsanale o per ogni altra persona [...] lire 115 il migliaro” e “branche di catene, manigli, perni e chiavette da forzati [...] 110 il migliaro”21. I "nodi" della siderurgia versiliese erano i trasporti ed il combustibile. L'eccentricità degli edifici della Versilia rispetto ai luoghi di estrazione del minerale ed il cattivo stato dell'unica strada esistente, quella che correva lungo la sponda destra del torrente Versilia, rendevano i trasporti costosi e difficili, soprattutto in inverno. Per quanto riguarda il problema dell'approvvigionamento del combustibile, da alcuni documenti emerge come nel mantello boschivo dovevano essere già stati operati larghi vuoti. La Magona, in virtù di un Istrumento del 1573, aveva ottenuto di poter tagliare nei boschi di Pietrasanta e della Cappella per un canone annuo di 40 scudi e nei boschi di Terrinca e Levigliani per 25 scudi22. Ma, nonostante le ridotte dimensioni del forno di Ruosina, che doveva consumare annualmente non più di 20 centi di vena ed una quantità proporzionale non elevata di combustibile, e la proibizione agli abitanti del Capitanato di “tagliare arbore di qualsivoglia sorte” senza licenza, i boschi comunali non erano evidentemente più in grado di far fronte alle necessità degli edifizi del ferro23. Al “conduttore” degli edifizi di Ruosina era infatti “lecito tagliare [...] legname salvatico ne boschi de Comuni di Terrinca et in quelli di Livigliano et anche [...] legnami ne boschi del comune della Cappella e così in qual sia di detti boschi tagliare [...]”, ma, si aggiunge: “se ne resta”24. Nel 1583, a vent'anni dalla costruzione del forno, era, quindi, divenuto necessario il ricorso all'acquisto di carbone dai privati; ciò che doveva favorire la distruzione anche di quei boschi, dopo quella operata nei boschi comunali.[27] La figura più importante per ciò che riguarda l'amministrazione dell'attività siderurgica granducale dal 1544 al 1589 fu Agnolo di Piero Popoleschi, cassiere e, dal 1 luglio 1560, Ministro Generale della Magona. A lui si deve la scissione dell'appalto vero e proprio dalla gestione di forni e ferriere e dalla commercializzazione dei manufatti, oltre al primo tentativo di dare un assetto organico agli edifici granducali ed in particolare proprio a quelli della Versilia. Nell'ottobre del 1583, infatti, il Popoleschi “ alluogò ” al nobile fiorentino Ferrando di Ridolfo Carnesecchi il forno di Ruosina e le ferriere del Gatto e di Cansoli oltre al magazzino di Marina. I patti prevedevano la cessione degli opifici (senza pagamento alcuno di affitto) e la privativa della vendita del ferro in Pietrasanta, contro l'impegno di produrre ogni anno almeno trecento migliara di ferro battuto e di effettuare la manutenzione degli edifici25. I1 contratto, che doveva durare tre anni,

19 Un mulo poteva trasportare circa 1,5 q; un carro 5 q.20 Cfr. A. PICCININI, Cenni sui processi siderurgici, cit., pp. 332-336.21 A.S.F., Magona, 1618, c. 15.22 Ibidem, 1478, ins. Sui tagli nella Comunità di Pietrasanta.

Le due ferriere di Cansoli e del Gatto dovevano consumare, ciascuna, circa il doppio del carbone utilizzato per fondere il minerale. 24 A.S.F., Magona, l618, (l0.10.1583), c. 14.25 A.S.F., Magona, 1418, (l0.10.1583), c. 14.

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dal settembre del 1584 all'agosto del 1587, venne prorogato fino al 159026. Nel frattempo il Popoleschi provvide a ridurre il forno in “ edificio da Fabbricare arme ”. Questa ristrutturazione venne affidata a due Maestri provenienti da Castiglione de' Gatti che si erano impegnati a trasferirsi a Ruosina con la famiglia ed i lavoranti27. È evidente che nel settore siderurgico, come in quello minerario28, si ricorreva a manodopera specializzata non locale, anche se sembra strano che non fosse possibile trovare fabbri o fonditori in una terra tradizionalmente legata a questo settore di attività.

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Il sistema di dare in locazione gli edifici del ferro in cambio di una percentuale sugli utili—che si protrasse fino alla fine del governo mediceo —sollevò i Granduchi da ogni preoccupazione imprenditoriale, ma determinò scelte gestionali e produttive meramente speculative, con grave danno per gli impianti ed i boschi29. [28] Era anche vero, come riconosce un perito della Magona, che le fabbriche magonali “nel loro primo essere furono sì malamente costruite che non è maraviglia se hanno richiesto un'incredibile spesa per mantenerle ”, e se “ ancora al giorno d'oggi si trovano molte cose, che hanno necessità d'essere resarcite, essendo molto difficile che restino totalmente assicurate e ristabilite tante fabbriche, ciascheduna delle quali non solo ha molta necessità per le proprie male strutture, ma di più per il tormento continovo, e necessario delle mura in questa sorta d'Edifizi, e per lo strazio che n'è fatto da quelle sorte di gente che devono praticarle, ed inoltre per la lontananza de' luoghi, e per la mala situazione, dov'è convenuto piantarli per comodo dell'acqua e Boscaglie ”30. Se per gli impianti, a torto o a ragione, era possibile chiamare in causa carenze costruttive, polemizzare con scelte di localizzazione che non avevano dato sufficiente peso all'accessibilità degli edifici e con l'incapacità e la noncuranza dei fabbrichieri, per lo scempio dei boschi era possibile incolpare solamente la politica di rapina degli amministratori e l'assenza di una programmazione nel settore selvicolturale. Del resto la legislazione in materia di boschi aveva in parte contribuito a ciò31. Infatti, mentre “ ai particolari non era permesso senza la licenza della Magona di tagliare né vendere albero alcuno, né meno di farci un palo né anche per proprio uso ”, la Magona “ ne faceva tagliare quando ne aveva bisogno per i suoi edifizi dai suoi uomini, in quella maniera che voleva lei, con lasciarvi i soli tronchi e per conseguenza in pregiudizio dei veri padroni e con rovina totale di quelle macchie e con pagarle poi quello che voleva la Magona ”32. [29] Nel corso del '600 erano riprese anche le ricerche minerarie. Negli anni 1637-1638 furono fatti saggi nelle antiche miniere di ferro di Monte Arsiccio, Monte Ornato, Stazzema, Vernacchietto e Palatina, ma “ fu risoluto di abbandonarle per essere tutte povere e cattive ”33. Più interessante e di più lunga

26 Ibidem, c.53 (7.10.1586).27 Ibidem, cc.51-52 (4.3.1584). Castiglione de’Gatti è, oggi, Castiglion de’Pepoli.28 Cfr. M. FABRETTI-A. GUIDARELLI, Miniere d’argento, cit., p. 145.29 Cfr. Segreteria di Finanze, 1155, cit. Amministratori della Magona durante il governo dei Medici furono: dal 1549 al 1560 Bartolomeo Gualtierotti, dal 1560 al 1588 Agnolo Popoleschi; dal 1588 al 1604 Giò Batta Capponi e Iacopo Quarantesi; dal 1604 al 1620 Iacopo Quarantesi; dal 1620 al 1630 Cosimo Del Sera; dal 1630 al 1633 Carlo Capponi; dal 1633 al 1636 Cosimo Portinari e Ippolito Folchi; dal 1636 al 1641 Folchi e Paganucci; dal 1641 al 1644 Paganucci e Vincenzio Renzini; dal 1644 al 1655 Sen. Niccolò Degli Albizzi; dal 1655 al 1663 V. Renzini, Andrea Salvini e Alessandro Fiorini; dal 1663 al 1687 A. Salvini e A. Fiorini; dal 1687 al 1703 Faloio Ferroni; dal 1703 al 1719 Lorenzo Biliotti; dal 1719 al 1722 Quarantesi; dal 1722 al 1723 Quarantesi e Gerini; dal 1723 al 1742 Marchese Giovanni Gerini. 30 A.S.F., Magona, 1652, Consegna a Giò Francesco Martin, Relazione Gio. M. Veraci (1740).31 Ad esempio il "Bando delle otto miglia per gli edifizi del ferro" fu promulgato nel 1660 e ripreso nella legge del 1726 quando le miglia di rispetto divennero 10. Cfr. A.S.F., Miscellanea di Finanza, 541, Nota di Leggi uscite di tempo in tempo contro il tagliare e zappare, e A. GABBRIELLI, Principi di vincolo forestale in alcune disposizioni medicee del XVI e XVII secolo, “ Annali dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali ”, XVI (1967).

PIETRO LEOPOLDO D'ASBURGO LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, Firenze, Olschki, MCMLXIX, vol. I, p. 338.33 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, cit., par. 3.

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durata, anche se ugualmente sfortunato, fu il tentativo di sfruttamento delle miniere locali da parte di una Compagnia creata da un frate minore, P. Bonaventura Paci, agostiniano. Questi, “ Minor Conventuale Dottor Sorbonico, ed un tal Capitano Escoviel Tedesco, uomo inquietissimo ”34, ottennero nel 1697 la concessione per riaprire le miniere d'argento del Bottino e di Gallena e quelle di ferro di Monte Arsiccio, Monte Ornato, Palatina e Pansutero. Iniziata l'estrazione del minerale di ferro con risultati, sembra, soddisfacenti, la Compagnia decise di lavorarlo in proprio. In un piccolo forno sul torrente di Stazzema (o del Cardoso) veniva colato il ferro estratto dalla Buca della Vena, sulle pendici settentrionali del Monte di Stazzema; dai Monti di Palatina il minerale veniva inviato ai forni di Rimagno, mentre a Verzaglia esisteva una fornace per effettuare la prima “ cotticchiata ” del minerale estratto a Monte Arsiccio. Questa attività fu interrotta per iniziativa granducale, dietro continue richieste dei magonieri, ma, forse proprio perché rappresentò l'unico vero tentativo di contrastare il monopolio della Magona, le vicende del frate Paci alimentarono una vera e propria leggenda. Si disse che appena la Compagnia riuscì ad ottenere “ considerabili guadagni [...] i Ministri della Magona del Ferro [...] fecero diverse rappresentanze al Granduca, donde ne seguì la proibizione alla Compagnia di tirar avanti il lavoro. Dicesi che la Compagnia si esibì di dare alla Magona il Ferraccio per quello stesso prezzo che costava quello dell'Elba, ma non lo poté ottenere, e fu obbligata a lasciare in tronco l'impresa, e vi fece grande scapito di denaro ”, tantoché “ i signori Paci Livornesi Parenti del Frate, ancor'essi interessati, per tal disastro furono costretti a far punto; e [...] il Frate se ne andò via disperato, e morì in Francia ”35. [30] Il celebre naturalista viaggiatore Giovanni Targioni Tozzetti, poco prima della metà del '700, poté “ osservare le rovine de' Forni [di Rimagno], dove non molti Anni fà si fondeva il Ferro, ed altri Metalli ancora ” e, vicino a Verzaglia, sopra Val di Castello, le rovine di una fornace “ detta la Cotticciana, dove si cuoceva la Vena, per spogliarla del molto zolfo che aveva mescolato ”. In rovina era anche il fornetto di Stazzema36.

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Nel 1768 l'Amministrazione della Magona passò all'Uffizio delle Finanze. Ispettore Generale venne nominato Carlo Setticelli. L'opera di risanamento e di razionalizzazione dell'azienda statale durante la sua ventennale amministrazione si articolò nel Pietrasantino in alcuni importanti interventi, primo tra i quali la sistemazione della rete viaria. La strada da Seravezza a Marina, infatti, era spesso impraticabile soprattutto nei mesi invernali ed in particolare quando il torrente Versilia esondava nella pianura37, rendendo assai difficoltoso il trasporto del ferro e delle pietre da forni estratte alle cave del Cardoso. Tuttavia, poiché altrettanto grave era il danno sofferto dagli abitanti —sia per le accresciute difficoltà negli spostamenti sia perché il torrente uscendo dal proprio letto “ ed attraversando i terreni già coltivati passava al Padule con grave danno ai Possidenti, e con Infettare l'Aria poiché rendeva molta estensione di terreno paludosa ”38 —nacque ben presto una controversia tra la Magona e la Comunità di Pietrasanta, relativamente alla ripartizione delle spese da sostenersi per la sistemazione della strada e la bonifica dei terreni circostanti39. Finché, nel 1781, il Granduca,

34 G. TARGIONI TOZZETTI, Relazioni, cit., VI, p. 351.35 Ibidem, p. 353.36 Ibidem, p. 351.37 A.S.F., Magona, 2534, Gita 1773, par. 39 e ibidem, 2535, Gita 1774, par. 48 e 49.38 Ibidem, par. 49.39 Cfr. ibidem, 1478, ins. Comunità di Pietrasanta e Magona in causa resarcimento fatti alla strada di Marina: “ La Magona che sente gran incomodo nella difficoltà di trasporto de suoi Ferri dalle Fabbriche di Ruosina a Marina ha continuamente fatto premure istanze al Magistrato de nove per il Resarcimento di questa strada, senza niente ottenere sempre pel motivo di mancarli il denaro, ma principalmente per indurre la Magona stretta dalla necessità a concorrere nel resarcimento suddetto, ma come che si è rassettata altre volte questa strada anco con spesa considerabilissima, senza che la Magona vi abbia mai concorso altro che nel 10 giugno 1711, che essendo rovinato un ponte situato sopra a detta via e trovandosi la Magona nelle circostanze, che al presente si trova di necessità di passare con i suoi Ferri per detta strada non per via di Imposizione, ma per convenzione con i nove sborsò il refacimento di esso Ponte scudi 80. Ma

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con [31] “ uno speciale atto di clemenza verso la Comunità di Pietrasanta ” stabilì “ che tutta la spesa occorsa nella costruzione della nuova strada di Marina resti a carico della Real Magona la quale dovrà supplire altresì per l'intero a quell'indennizzazioni che saranno dovute a Particolari per conto della strada medesima ” , mentre a carico della Comunità restavano le spese di mantenimento40. I lavori, diretti dagli ingegneri Agostino Fortini, Carlo Maria Mazzoni e Francesco Pieraccini e realizzati tra il 1776 ed il 1781, consisterono essenzialmente nella inghiaiatura di ampi tratti, nella costruzione o ricostruzione di palizzate di sostegno, spallette e traboccatori, nel livellamento dei tratti più difficoltosi da percorrere e nella realizzazione di un nuovo ponte detto “ della Barbiera ” , per una spesa di lire 10406.6.8, oltre a lire l067.11.8 per il ponte41. Contemporaneamente, al fine di sanare in modo definitivo la piana di Pietrasanta, si tentò la colmata delle lame create dal torrente Baccatoio e dalle tortuosità dell'ultimo tratto del torrente Versilia: il padule dell'Oncino, sulla destra del torrente, e il padule di Caranna, a sinistra, con risultati abbastanza soddisfacenti42. [32] Si provvide anche ai restauri più urgenti degli edifici in

avendo la medesima creduto di non dovere concorrere neppure nel presente resarcimento da farsi è restato sempre sospeso l'affare suddetto premessa però anche la protesta della Magona suddetta che si facesse il lavoro, e che se di ragione fusse stato giudicato che vi dovesse concorrere non si sarebbe allontanata dal farlo, benché non credeva essere tenuta e per non essere altre volte concorso e perché quantunque per essa strada passino i Ferra della Magona, non tenendo Ella Carri, né Cavalli non si è creduto vi sia maggior ragione che ella paghi il mantenimento di questa strada [...] ed avendo la Comunità deliberato che il lavoro si faccia a forma della relazione di Pier Antonio Tosi Ingegnere con spesa di circa scudi 950 con ricavare detta somma dalle Imposizioni delle Tavole e che la Magona nonostante non essere compresa nel reparto di detta Relazione deva concorrere a proposizione e nel modo che concorse nel risarcimento del Ponte delle Tavole cioè scudi 80 sopra la somma di scudi 240 ”. Cfr., inoltre, ibidem, 2518, cit., ins. H. 40 A.S.F., Magona, 1478, c. 38 (7 agosto 1781).41 Ibidem, ins. Recapiti contenenti il Rifacimento della strada di Marina che conduce agli Edifizi della Magona di Ruosina, c. 36 e ibidem, c. 2, Visita della strada lungo il fiume di Seravezza dalla Chiesa del Cardoso fino al luogo detto il Ponte di Tavole fatta nel mese di marzo 1776 da Agostino Fortini Ingegnere. In Ibidem, c. 35 si trova la Relazione riguardante il metodo da tenersi per costruire la nuova strada di Marina stabile e permanente, con la nota della spesa occorrente a detto lavoro dell'ingegner Luigi Fortini del 23 novembre 1777: “ la detta strada incomincia al l.d. al Ponte di Tavole, e seguita fino al luogo detto in fondo alla Macchia, contiene da un punto all'altro lo spazio di pertiche numero cinquecento sessanta nove di braccio cinque fiorentine per ciascheduna pertica. N. 1 per le prime pertiche trenta non vi occorre spesa, essendo la detta strada in buono stato, e solo può farvisi, volendo una piccola Rifioritura di Ghiaia con la spesa di scudi 5. N. 2 per le seguenti pertiche quaranta vi occorre sfondare una Fossa lungo detta strada dalla parte del Fiume, fonda braccia uno, e un terzo, larga braccia uno e dentro tal fossa piantarvi una palonata doppia tessuta con vetrici, o' rami di altro albero, e accosto ad essa alzarvi un argine alto braccia due dal piano della Campagna, qual argine dovrà essere largo braccia nove in base, e braccia sette nella sommità incalsato d'ambi le parti con pelliccie, per il qual lavoro vi occorre la spesa di scudi 420. N. 3 seguono pertiche 141 quali in linea retta da fortificarsi con palonata semplice intessuta di pelliccia, scudi 980. N. 4 20 pertiche come sopra scudi 140 ”. Seguono 144 pertiche “ da fortificarsi con palonate e vetriciato e colmarla con mattone e ghiara per l'altezza di braccia 1 e 112 dal piano della Campagna ” per scudi 1722. Le seguenti 4 pertiche richiedevano “ farvi un ponticello a sassi e calcina largo braccia 5 e di luce altre braccia 5 per dare scolo all'acque della contigua Campagna della parte di Tramontano ”, in sostituzione di uno preesistente di legno, per scudi 240. Altre 190 pertiche erano “ da fortificarsi dalla parte del fiume con palonata e vetriciato e d'alzarsi braccia uno e un quarto ” per scudi 2188. L'intero rifacimento sarebbe venuto, quindi, a costare 5692 scudi. “ Il tronco di strada stata costruita dal l.d. il Ponte di Tavole fino in vicinanza del Magazzino della Magona ”, costata L. 2888, consisteva “ soltanto in piccola elevazione del terreno per la parte di Tramontana con Ghiaia e Terra senza alcuna palizzata, e devesi propriamente chiamare un'Argine giacché lungo il medesimo scorre il Fiume ” (ibidem, c. 34 Relazione concernente lo stato attuale della strada riattata in Marina e dei lavori che tuttavia vi occorrono a perfezionarla di Francesco Pieraccini, 7 dicembre 1777). La spesa effettiva trascese largamente i progetti nonostante i lavori effettuati non riuscissero comunque a garantire la praticabilità della strada in ogni tempo.42 Ibidem, 1479, Filza di Recapiti, Conti e Documenti attenenti alle spese occorse per i lavori delle Colmate e nelle Pianure di Pietrasanta. Le spese sostenute per le Colmate ammontarono a L. 35590, oltre a L. 17593.20.8 per la costruzione di un ponte sulla strada di Marina sotto il quale passava il nuovo fosso per la colmata del Padule dell'Oncino. I lavori, tuttavia, a detta dell'ing. Salvetti che dirigeva i lavori, non potevano considerarsi definitivi: “ trattasi di tre diversi spazi assai vasti con molte arginature, e di canali procedenti da un fiume e torrente ove scorrono delle piene impetuose, e che la qualità del terreno, nel quale sono escavati i detti canali, non avendo per tutto molta resistenza per ciò e per altri inconvenienti inevitabili in simili imprese, è probabile che le piene danneggeranno i lavori dei quali si tratta; e che per ciò è necessario di autorizzare qualcheduno sul posto a farvi porre immediatamente riparo ”.

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attività, come la ferriera di Casa, del Gatto e dell'Argentiera43, tenuta in affitto dalla Magona dal 1726, e i distendini di Cansoli e di Casa. Anche in Versilia, come nel Pistoiese e in Maremma, il Setticelli, pur non operando scelte innovative, tentò di razionalizzare la distribuzione degli edifici privilegiando quelli più facilmente accessibili e in grado di funzionare senza interruzione per tutto l'anno. [33] In quest'ottica si può collocare la decisione di costruire una nuova ferriera ed un distendino vicino al Palazzo Mediceo44. Una scelta per molti aspetti anacronistica, giustificata in parte dal fatto che anacronistiche erano anche le tecniche di lavorazione, in particolare l'uso di "fuochi alla bergamasca" che per il loro elevato consumo di combustibile imponevano la vicinanza ai boschi. Rispetto alle altre ferriere del Pietrasantino avrebbe avuto il grosso vantaggio della facile accessibilità dopo la costruzione, nel 1715, della strada sul lato sinistro del torrente Versilia45. La costruzione di un distendino, del resto, si rendeva necessaria, considerata la periodica forzata inattività di quello di Casa. Inoltre, i folti castagneti di Seravezza avrebbero fornito senza alcun problema il combustibile necessario ai nuovi edifizi. I lavori iniziarono nel 1784 per concludersi nel 1788. Da allora la ferriera ed il distendino continuarono l'attività anche nei periodi di maggiori difficoltà per l'azienda magonale. La Magona ottenne anche il Palazzo Mediceo come sede amministrativa e fu deciso di acquistare dalla famiglia Laldi la ferriera dell'Argentiera, già tenuta a livello, proprio perché situata poco fuori Seravezza, lungo la strada per Ruosina, localizzazione che offriva gli stessi vantaggi dei nuovi edifizi “ del Palazzo ”. Al contrario, del complesso di Ruosina restò in attività solo la ferriera, mentre il distendino che da tempo era costretto a lavorare in modo discontinuo, perché l'acqua non era sufficiente per entrambi gli edifici, fu definitivamente abbandonato. A differenza di quanto osservato per le altre aree produttive, in Versilia, secondo il Setticelli, il combustibile non mancava ed anzi erano molti i carbonai che non riuscivano a vendere il proprio prodotto alla Magona. Gli impianti di Ruosina consumavano circa 11.000 some di carbone di castagno in una stagione di otto mesi per produrre 700 migliara di ferro lavorato. [34] Il carbone veniva acquistato dai proprietari dei castagneti “ con fare l'obbligo a’ due o quattro Famiglie insieme ”, ma al momento della consegna “ tutti gli altri Particolari ” venivano “ a portar carbone [ ..] formandosi una confusione ”, così che non essendo possibile per il segnasome “ esaminare la qualità del medesimo e se sia ben freddo può seguire con facilità di incendiarsi il carbonile e di ricevere del carbone di cattiva qualità, come in fatto i Ferrazzuoli se ne sono fortemente lamentati ”46. La Magona possedeva alcune selve nel comune di Stazzema e di Farnocchia, oltre ad un “ bosco stipato ” sopra il distendino di Cansoli, acquistati nel corso del '600 per garantire comunque il combustibile necessario agli edifici ma a fine '700 erano in fase di ricrescita dopo i tagli effettuati47. Viceversa, il Macchione di Livigliani, da cui la Magona traeva da sempre parte del combustibile necessario alle ferriere, era stato allivellato nel 1798, assecondando il desiderio più volte espresso dalle “ famiglie comode ” di Livigliani48. Cosicché, “ restituito dalle moderne leggi l'intero esercizio delle facoltà ai proprietari e assicurati i diritti del libero commercio dové la Magona provvedersi a prezzi più alti del taglio delle boscaglie per ridursi a carbone procurando intanto di assicurarne la proprietà ”49. Furono, infatti, acquistate da privati alcune

Si proponeva in sostanza di affidare alla Magistratura Comunitativa di Pietrasanta il regolamento delle colmate,addebitando, inizialmente alla Magona e quindi alla Comunità, le eventuali spese per miglioramenti e restauri.43 La ferriera dell'Argentiera era situata tra la sponda destra del torrente Versilia e la strada da Seravezza a Ruosina inlocalità l'Argentiera. Sulle vicende di questo edificio cfr. la scheda relativa.44 A.S.F., Magona, 2518, Relazione di C. Setticelli, 23 giugno 1768, par. 34.45 Cfr. F. BUSELLI, Palazzo Mediceo, cit., p. 34.46 A.S.F., Magona, 2518, cit., par. 28.47 Ibidem, 2751, cit., c. 75. Le selve acquistate erano situate in località I Boschi e Canaletto del Bottino in comune diFarnocchia.48 Ibidem, 2544, Relaz. e Allegati della Gita fatta dall'Aiuto Magoniere Paur a Seravezza dal 24 settembre al 9 ottobre1798, par. 4. La Magona aveva tentato di far approvare il “ patto di preferire la Magona qualunque volta i Liviglianesi sirisolvano a far tagliare il Macchione ”, ma era stato obiettato che non ne sarebbe mai stato permesso il taglio per cui sirivelarono inutili ulteriori pressioni.49 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, par. 17.

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faggete nella comunità di Stazzema e le macchie comunitative di Petrosciana e Mosceta50. Le visite ai tagli fatte nelle macchie di faggi di Terrinca e Livigliani avevano tuttavia rivelato l'assoluta mancanza delle più elementari regole di selvicoltura e la negligenza dei tagliatori della Magona: “ i tagli fatti nel Culaccio, nel Tavolino, nel Malancino, Piastraie e Campanice [...] erano stati fatti per la massima parte a scamollo e a capitozzo avendo lasciato dei faggi all'altezza di due o tre braccia diritti, non grossi né nodosi per sola incuria, e voglia di fare sollecitamente del legname ”, pratica assai dannosa “ e per l'abbandono del legname e perché cadendo questo dalle putredine dopo alcuni anni guasta e rompe i piccoli faggetti ivi nati ”51. [35] Ciò nonostante, concludeva il Setticelli, “ le macchie di Faggio sono belle all'estremo e capaci di dare molto carbone essendo quella del Freddone tutta in taglio di un'altezza considerabile, unita al nuovo acquisto della Petrosciana e Mosceta assicura la lavorazione della Magona per un tempo indeterminato ”52. Per il carbone di castagno, invece, esistevano “ concorrenti all'acquisto ” che portavano “ pregiudizio alla qualità ed al prezzo ”53. I carboni del Ruosinese, del resto, erano considerati di buona qualità tantoché ai ferrazzuoli si “ abbuonava ” un “ calo ” di ferraccio pari a un quinto, mentre “ nelle Maremme, essendo fiacchi i carboni si abbuonava un terzo e nelle Montagne di Pistoia un quarto ”54. Notevoli contrasti con le comunità locali la Magona li ebbe per il taglio nella macchia costiera da cui traeva legname da costruzione e tronchi per “ fare ruote e alberi da maglio ”. “ Appresso i Pietrasantini fino da' tempi antichissimi è stata questa Macchia con somma gelosia custodita e conservata come un oggetto di Barriera e Antemurale formato dalla natura per difesa dei venti marini, Libecci, Scirocchi e Provenzali, dai quali si sarebbe portata l'infezione, e insalubrità dell'Aria, e così il pericolo della vita degli abitanti, e il danno delle coltivazioni, dei prodotti delle raccolte di quella fertile pianura, e dei bestiami, avendo la loro Terra per la sua molto infelice situazione sotto altissimi monti per la parte di Levante e Tramontana, un impedimento alla libera, e perfetta ventilazione, dal quale ostacolo della natura ne deriva che l'esalazioni, ed effluvij di quei Paduli, ed acque stagnanti vanno a cadere sopra detti Abitanti, Loro Case e beni ”55. [36] Alle preoccupazioni per la salute dei cittadini si aggiungeva la volontà di salvaguardare due importanti proventi per la Comunità: la “ tassa da pagarsi [...] da quelli che vorranno tenere nelle Boscaglie di Marina a pascolare i bestiami ”56 e il ricavato della vendita della legna segata nella macchia per conto della Comunità. La selva era “ di lunghezza cinque miglia, di larghezza più di un miglio dalla Torre di Motrone a quella del Cinquale ”57 e popolata per lo più da lecci e ontani. Tale macchia era stata protetta da una serie di bandi e dagli stessi statuti comunali che proibivano “ in detta Selva il Bestiame Caprino et il ferro da taglio ”58. La Magona aveva ottenuto qualche deroga59 che peraltro, a detta dei rappresentanti della Comunità, aveva portato più danno che utile; ma dal 1720, con quella presunzione di diritto che caratterizzava spesso il loro operato, i Magonieri “ si fecero lecito di propria autorità, e senza licenza né consenso alcuno della Comunità e senza pagargliene il prezzo di fare tagli in detta Macchia [...]. E non solo per parte di quei Ministri e Agenti della Magona si

50 A.S.F., Magona, 2401, c. 6.51 A.S.F., Magona, 2544, par. VIII.52 Ibidem, par. IX.53 Ibidem. Tra questi Francesco Pacchiani che aveva proposto di rinunciare ad acquistare carbone di castagno qualora laMagona gli avesse ceduto “ alcune delle sue Macchie Faggete capaci di somministrare il necessario carbone ”.54 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, par. 6.55 Ibidem, 1478, ins. Sui tagli nella Comunità di Pietrasanta.56 1bidem, Sembrava inoltre che la Comunità avesse “ posta all'incanto la detta Macchia per allivellarsi, e ridursi asementa in ventidue porzioni ” (ibidem, 2527, Relazione sopra gli Edifici del Dipartimento di Pistoia e di Ruosina intempo di Ripesature, 18 febbraio 1771, c. 49), ma di tale progetto non si ha altra notizia ed anzi sembra in apertocontrasto con le tesi addotte dalla Comunità in difesa della lecceta.57 Ibidem.58 Ibidem.59 Nel 1649 aveva ottenuto di tagliare 50 alberi “ per far ruote e alberi da maglio e altri istrumenti ” e nel 1663 unalicenza per “ taglio di ontani senza riserva di numero di piante e per lo spazio di mesi sei ”, per la quale licenza laComunità soffrì “ per le cattive esalazioni ed infezioni portate dai venti marini ” (ibidem).

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facevano dei Tagli impunemente, ma si davano ancora delle licenze ad altri di fargli ”60. Il Setticelli, che visitò la lecceta nel maggio 1768, la trovò “ talmente devastata, e ridotta in situazione tale da non esservi in breve tempo da ricavare i legnami da Magistero che bisognano continovatamente per mantenimento di quelli Edifizi ”61. Tale scempio, secondo l'Ispettore Generale della Magona, era stato causato “ dai Fornai, da più, e diversi devastatori, ed occupatori di Beni Pubblici, e dai Massesi che si sono dati a fare i Tagli di notte con il beneficio della Luna, e fare esito della legna per via di mare ai mercanti forestieri ”62. [37] I Massesi ricorrevano spesso nelle lamentele della Magona. Si sosteneva ad esempio che venissero “ in truppe a fare nelle [...] macchie di montagna [tenute in affitto dalla Magona] ogni anno il carbone per uso della ferriera che hanno in Massa ”63, ma è chiaro che non potevano essere stati solo i tagli effettuati nottetempo a ridurre in tale stato di degrado la macchia costiera. La causa andava cercata nei conflitti di competenza e nella convergenza sulla lecceta delle esigenze e degli interessi della Comunità di Pietrasanta, della Direzione Generale dei Boschi64 e della Magona. La questione fu in parte risolta dal Granduca con il motuproprio del 21 marzo 1770 che dichiarò la Macchia di Marina di proprietà, dominio e pertinenza della Comunità di Pietrasanta e regolò i tagli da effettuarsi, aumentando i controlli nei confronti dei "forestieri"; tuttavia la devastazione della Macchia proseguì, com'è dimostrato dalla necessità, emersa nella seconda metà dell’800, di sostituirvi la pineta. [38] L'opera di razionalizzazione intrapresa dal Setticelli interessò anche il settore della “ vendita del ferro a minuto ” che venne levata “ di fattoria ” e concessa ad un rivenditore privato65, e il settore delle maestranze. Per ogni ferriera occorrevano “ sette maestranze, due compagnie di carbonai e sei di tagliatori, tre vetturini e due barroccianti ” e “ tre maestranze ” per ogni distendino66, ma dalle Filze di conti delle

60 Ibidem.61 Ibidem, 2518, Relazione di C. Setticelli, del 25 giugno 1768.62 A.S.F., Segreteria di Finanze, 2518, cit. Cfr., inoltre, ibidem, 2529, Relazione sopra la gita fatta agli Edifizi eFondachi di Pistoia, Ruosina, Maremma, Rio dell'Elta, Portoferraio da 4 novembre 1772 a 10 maggio 1773 (26 maggio1773).63 F. CAMPANA, Analisi Storica, politica, economica sulla Versilia Granducale del '700, a cura di F. Giannini, Massarosa, Ed. del Testimone, 1968, vol. II, p. 69. Campana riconosce che i Massesi effettuarono tagli nella macchia costiera (Ibidem, vol. III, p. 77-78), ma oltre a loro accusa altre “ Persone Privilegiate come il Proposto e le Monache di Pietrasanta, il Commissario e il Presidio del Salto della Cervia, il Conduttore del Lago di Perotto, il Provveditore dei Fiumi e Fossi ed infine i Ministri della Magona, i quali non solo fanno tagliare per servizio di essa Magona, ma ancora per uso loro privato ”, aggiungendo “ bene inteso però che io parlo di ciò che essi fecero nel tempo dell'Affitto, non dell'Amministrazione ”. I Pietrasantini, al contrario, erano convinti che tale malcostume persistesse. Secondo loro “ gli stessi Agenti della Magona prendono per loro i fusti delle Piante, e i Rami e il Rimanente del legname, ne fanno quell'uso che gli piace, avendone in ultimo luogo fatto dono ai Cappuccini di Massa ”; sembrava impossibile, infatti, che “ per uso di far manichi ed altri Istrumenti per la Magona, che hanno la sua durata, si siano impiegati, e s'impieghino ogn'anno tante piante, lo che fà sospettare, che altro uso se ne faceva fuori di quello, che si suppone ”. 64 La Direzione Generale dei Boschi fu costituita nel 1743 da Francesco I di Lorena al fine di “ provvedere più efficacemente di quel che sia stato fatto fin'ora alla conservazione di Boschi, e Legnami di questi nostri felicissimi Stati, e ridurre in una sola le differenti Leggi veglianti ”. (A.S.F., Miscellanea di finanze, 470, cc. 215 e segg.). Pietrasanta dipendeva dal Dipartimento di Pisa il cui Commissario era Niccolao Rosselmini. Da quanto risulta dall'inserto Sui tagli nella Comunità di Pietrasanta (A.S.F., Magona, 1478), sembra di capire che anche la Direzione Generale dei Boschi autorizzava “ tagli per fuori ”. 65 I fratelli Simonini si impegnarono a tenere la vendita privativa del ferro e chiodi in Seravezza, “ conforme viene praticato in Pietrasanta fino a che verrà loro concessa la licenza; si impegnarono, inoltre, a pagare una tassa annua di L. 40 a favore della Magona ”. 66 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, cit. par. 5. Erano necessari “ tre uomini per fuoco, cioè Maestro lavoratore, Puttello ed il Breschino, che è un ragazzo che regola e dà l’acqua al maglio ” (F. CAMPANA, Analisi Storica Politica Economica sulla Versilia Granducale del '700, cit., I, p. 64-66). “ Il lavorante cola il Ferraccio, il Putello lo riduce in masse e cotticci e di questi passati al fuoco se ne forma dal Maestro verghe al Maglio o pezzo di altra figura: e comeché si lavora in dette ferriere anche la notte; quando il Maestro riposa lavora al Maglio il Lavorante: il Puttello lavora sempre al fuoco e quando questi dorme vi lavora il Lavorante e il Maestro al fuoco ”. “ Il guadagno dei lavoranti è relativo al loro lavoro poiché il Ferro ordinario vien pagato loro di manifattura il migliaio L. 9.13.10. Il ferro di modello L. 13. I vomerali per gomere L. 13.10. Per ogni migliaio che fabbricano dei suddetti generi o sorterie viene assegnato loro some 16 e 4/12 di carbone di staia 16 la soma se ne consumano di più lo debbono pagare, se meno la Magona dà

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maestranze di Ruosina risulta che, ad esempio, nella stagione 1755-1756 tutti i "maestri" provenivano dalla montagna di Pistoia: fabbrichiere alla ferriera di Casa era Giuliano Magnini di Pracchia, al Gatto Bartolomeo Bartoli di Cireglio e all'Argentiera Giovanni Marchionni di Maresca, mentre distendiniere sia a Cansoli che a Casa era Giuseppe Potenti di Piteccio67 In nove stagioni, dal 1749, al 1758 l'unico fabbrichiere di Ruosina fu Iacopo Pierucci che lavorò alla ferriera dell'Argentiera nella stagione 1749-1750. Per lo più i maestri, che si alternavano spesso da un impianto all'altro ed erano soggetti ad un veloce ricambio, provenivano dalla Montagna Pistoiese e in minor misura dalla Garfagnana. [39] Anche la lavorazione dei chiodi era affidata in larga parte a maestranze “forestiere”: capi chiodaioli erano nel 1768 Sabatino Lagosta di Pistoia e Michelangelo Rossi di Ruosina. Questi due maestri avevano “ i lavoranti parte dello Stato di Modena, e parte della Garfagnana, e di Ruosina medesima, andandosene i forestieri nei loro Paesi finita la lavorazione ”68. Il Setticelli, nella sua visita agli impianti del 1768, deplorò “ l'abuso introdotto di servirsi di Forestieri ” e giunse a proporre a costoro di stabilirsi a Ruosina o di lasciare il lavoro per non rendere “ pregiudizio allo stato non estraendo quell'utile che vi fanno ”69. A sostituirli, tuttavia, non sarebbero stati lavoranti locali, ma “ Pistoiesi, i quali sono in una quantità così numerosa, che difficilmente possono aver tanto da lavorare in quella parte che li sia sufficiente per vivere ”70. Sembra emergere, quindi, una profonda dicotomia tra questo “ importante ramo d'industria ” e la realtà locale, nonostante Pietro Leopoldo valutasse l'importanza dell'industria siderurgica proprio in relazione al fatto che “ dà da vivere ad una gran quantità di gente e che mantiene metà della popolazione della Maremma, Montagna di Pistoia e Pietrasanta ”71. Nella realtà anche i taglialegna ed i carbonai, che rappresentavano il maggior numero dei lavoratori della Magona, erano spesso fortemente indebitati con la Magona stessa per aver riscosso in anticipo caparre di carbone senza essere poi riusciti a far fronte agli impegni presi72, e si vedevano talvolta sostituiti da maestranze pistoiesi73. [40] E’ significativo, del resto, che nella propria relazione il Vicario di Pietrasanta, Francesco Ceramelli, scriva che non ci sono in Versilia “ altri mezzi d'industria che la manipolazione dei Tabacchi e l'escavazione dei marmi ”74. La pianura, che legava la propria prosperità essenzialmente alla coltivazione degli olivi, era sufficientemente ricca benché divisa “ in

loro una gratificazione corrispondente ”. I ferrazzuoli riuscivano a fabbricare in una stagione di 7 mesi 125 migliaia di ferro per ogni ferriera ed “ il Reparto del guadagno si fa come appresso: la metà attiene al Lavorante ed il restante 213 al Lavorante ed 1/3 al Puttello ”. Il Breschino era invece a carico delle suddette maestranze per L. 10 il mese in una ferriera ad un fuoco e L. 14 in una a due fuochi. Il ferro lavorato nei distendini “ di qualunque sorta che sia, cioè Spiaggetta o Righetta, Tondino, Quadretto, Verzella etc. vien pagato ai lavoranti lire 6.2.3 il migliaio e più scudi 12 l'anno per recognizione delle rotture e guastature dell'edificio, per il tempo che perdono, ed il tutto ripartono fra loro alla medesima proporzione dei suddetti lavoranti delle ferriere. Al Capo Maestro si accorda il 4 % di calo se cala meno non lucra niente, se più debbe pagarle ”. 67 A.S.F., Magona, 1344, Filza di conti delle maestranze di Ruosina dal 1749/5O al 1758. 68 (68) A.S.F., Magona, 2518, cit. (par. 3). “ Le due chioderie una detta la Fontana, l'altra detta del Rossi ossia di Casa hanno un fuoco per chioderie, quattro ceppi per fuoco due uomini per ceppo ossia ancudine [...] ”. “ Le sorterie dei Chiodi che vi si fabbricano sono le seguenti: chiodi dell'11 e 1/2 che servono per ferrar bestie debbono essere per tutti N. 87. Chiodi del 100 n. 60—Chiodi del 60 n. 40—Chiodi del 48 n. 16—Chiodi del 36 n. 12—Chiodi del 12 e del 15non vi è regola; siccome di qualunque altra sorteria straordinaria che venisse ordinata poiché si fabbrica secondo ilModello dato al Capo Maestro. Le bullette dette volgarmente da zoccoli n. 200. Sebbene non vi è regola fissa nonpotendo per la loro picciolezza esser tirate a modello, come i chodi [...] la Magona paga di manifattura per ogni libbra100 ”.69 Ibidem.70 Ibidem.71 PIETRO LEOPOLDO D’ASBURGO LORENA, Relazioni, cit., I, p. 340.72 A.S.F., Magona, 2544, Relazione della gita fatta a Seravezza da Francesco Paur e Gaetano Piz il 7 ottobre 1798,par.3.73 Nel 1796, ad esempio, si chiede di “ spedire di Pistoia prontamente n. 4 Persone per far più presto il Taglio della legna, unitamente agli altri che già si ritrovano alla Macchia e due Carbonai pure per cuocere assieme con i Frullani di Livigliani l'altra che esiste in essere nelle suddette some 1550 carbone ” (ibidem, 2544, Lettera in adempimento degli ordini ingiunti Dall'Ill. Sig. Carlo Setticelli con sue Istruzioni del 23 maggio 1796).74 A.S.F., Segreteria di Gabinetto, 316, ins. 10.

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due porzioni l'una di fertilissimo terreno che supera l'inerzia del lavoratore e la mediocrità della cultura; l'altra di pagliareti e di prata che sono la sorgente dei più vistosi danni dati ”75, in quanto nonostante gli sforzi del governo e le ingenti somme stanziate per la bonifica delle aree palustri, tale operazione era riuscita solo parzialmente. Si era, infatti, trascurato “ il ripulimento dei principali Recipienti ed Emissari, quantunque questo sia l'unico mezzo di mantenere il corso delle acque ”, cosicché, diceva il Vicario, “ i Pietrasantini potrebbero assomigliarsi a quegli Ammalati che calunniano il medico, e ricusano le medicine per tenersi addosso il loro male ”76.Gli abitanti della montagna ricorrevano alla pianura solo se la raccolta delle castagne era insufficiente e integravano la chiusa economia agro-silvo-pastorale con il lavoro nelle cave di marmi. Tuttavia, anche se il Vicario non accenna alla presenza di attività siderurgiche o metallurgiche, altri documenti fanno trasparire il permanere di una tradizione locale nel settore, rappresentata da eclettici imprenditori come Francesco Pacchiani, commerciante di ferro livornese, da piccoli proprietari come i fratelli Belloni e da artigiani come i molti fabbri o i coltellinai di Pomezzana77, la cui attività aveva trovato nuovo impulso nelle disposizioni legislative pietroleopoldine che avevano abolito la privativa della lavorazione dei chiodi e, dopo poco, della produzione e vendita di ferro sodo e lavorato78. [41] Durante la dominazione francese l'industria siderurgica non fu segno di particolari interventi anche se ad essa, alla sua storia ed alla sua struttura, è dedicata un'ampia, circostanziata relazione79. In Versilia erano allora “ andanti e lavoranti ” le ferriere di Seravezza, dell'Argentiera, di Ruosina e del Gatto, tutte a due fuochi, ed i distendini di Seravezza, di Cansoli e del Cardoso. Nonostante una situazione sostanzialmente favorevole per l'aumentata richiesta di ferro lavorato, e soprattutto nonostante il regime quasi monopolistico in cui si trovava ad operare la Magona, gli anni del Regno d'Etruria rappresentarono un periodo di stasi produttiva; anzi fu proprio allora che si toccarono “ minimi storici per l'azienda statale ”80. Al contrario era ripresa con un certo fervore l'attività estrattiva, in parte stimolata dal fiorire di studi di geologia e mineralogia realizzati con metodo diretto nella seconda metà del '700 da geologi e naturalisti tra i quali il Mazzoni, il Targioni Tozzetti, il Funck e l'Angerstein. Numerose furono le richieste di concessione per estrarre i minerali più svariati81 e la stessa miniera del Bottino fu riaperta per un breve periodo alla fine del '700 dal colonnello inglese Mill82. Con la Restaurazione e l'annessione al Granducato dello Stato dei Presìdi e del Principato di Piombino si determinò una congiuntura particolarmente favorevole per l'industria toscana del ferro in quanto fu finalmente possibile associare alla Magona le ricche miniere elbane ed il centro siderurgico di Follonica, consentendo “ lo stabilirsi di un sistema verticalmente integrato ”83. [43] L'apparato produttivo era, tuttavia, in stato di profonda arretratezza, ancora fondato sull'impiego del carbone di legna e dell'energia idraulica. Le ferriere continuavano

75 Ibidem. 76 Ibidem. 77 Cfr. A.S.F., Regia Consulta, 2738, Relazione del Vicario Luigi Berti (7 marzo 1820) e U. SANTINI C. ZOLFANELLI, Guida, cit., p. 143.78 “ Con ordine del di 1 1uglio 1776 fu abolita la privativa del lavoro dei Chiodi permettendo ad ognuno di poterli fabbricare; e nel 9 dicembre 1780 fu estesa la permissione a tutte le altre specie di bullettami. Con editto del dì 30 agosto 1781 fu abolita la privativa della fabbricazione e vendita del ferro che importava L. 20.000 l'anno, permettendo ad ognuno di aprir ferriere e lavorare il ferro; e già con ordine del dl 29 luglio 1780 era stato diminuito il prezzo del ferro nella vendita al pubblico di due quattrini per libbra. Nel 21 agosto 1779 fu permessa la rivendita libera delle ferracce comprese nella privativa della Magona ”; (PIETRO LEOPOLDO D’ ASBURGO LORENA, Relazione, cit., I, pp. 338-339).79 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, cit., par. 4.80 R. BRESCHI, La Manifattura del ferro pistoiese nella siderurgia toscana del XVIII secolo e della prima metà del XIX secolo, in AA. VV. L'industria del ferro nel territorio pistoiese, cit., p. 32.81 Cfr. G. MORI, L'estrazione dei minerali nel Granducato di Toscana durante il periodo delle riforme (1737-1790), Estr. dall'“ Archivio Storico Italiano ”, Firenze, Olschki, 1958, parte I, p. 218.82 Cfr. U. SANTINI C. ZOLFANELLI, Guida, cit., p. 140.83 G. MORI, L'industria del ferro in Toscana dalla Restaurazione alla fine del Granducato (1815-1859), Torino, ILTE, 1966, p. 5.

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ad utilizzare la tecnica di lavorazione "alla bergamasca", con grande dispendio di combustibile, mentre la loro eccentricità rispetto ai forni fusori contribuiva ad elevare il costo del prodotto finito. La quasi totalità della produzione di ferro sodo e lavorato proveniva, del resto, dagli stabilimenti pistoiesi e della Versilia. Nella stagione 1815-1816 gli impianti di Seravezza e di Ruosina fornirono un terzo della produzione totale dei ferri sodi, 1.000.512 libbre su 3.368.740 libbre in tutto84. La crisi della siderurgia toscana aveva imposto ovunque la riduzione delle lavorazioni ed il licenziamento di quasi duecento lavoratori che solo in parte era stato possibile utilizzare nei lavori in Maremma. Alcuni impianti furono temporaneamente chiusi e anche in Versilia lavorarono solo la ferriera ed il distendino di Seravezza, la ferriera del Gatto ed il distendino di Cansoli85. Il rilancio della siderurgia toscana, tuttavia, non venne affidato alla razionalizzazione della produzione e della distribuzione degli impianti, all'adozione di nuove tecnologie ed alla riduzione dei costi di produzione, bensì ad una politica protezionistica ed a scelte gestionali di compromesso. Nel luglio 1816 fu vietata l'introduzione di ferri esteri nel Granducato86 e nel settembre, dopo una lunga discussione sull'assetto e sulle forme di gestione della Magona, fu scelta la formula della Regìa mista che poneva alla direzione dell'Azienda tre capitalisti, Luigi Morel De Bouvine, Sebastiano Kleiber e Cesare Lampronti, ed un commissario regio, Giuseppe Gazzeri87. Questa formula prevedeva la cessione degli impianti da parte dello Stato dietro pagamento di un canone annuo di L. 200.000 ma, se da un lato affidava ai tre imprenditori l'impegno di effettuare gli investimenti necessari a riqualificare l'azienda, dall'altro ne limitava la capacità di azione, sottoponendo le scelte gestionali alla valutazione del commissario e limitando a 12 anni la durata del contratto. [46] Tali clausole, nonché l'elevata quota di partecipazione agli utili che lo Stato si era riservata determinarono, di fatto, scelte gestionali più speculative che imprenditoriali. L'Amministrazione Imperiale e Regia delle Miniere e Magona concentrò il proprio interesse nello sfruttamento delle miniere elbane e nel settore della produzione di ghisa che consentivano utili più cospicui ed immediati rispetto alle successive lavorazioni sulle quali pesavano gli elevati costi di trasporto e di approvvigionamento di combustibile. Gli impianti di Follonica, infatti, furono ristrutturati e potenziati con la costruzione di un “ Forno Tondo alla Tedesca ” che permise di decuplicare la produzione giornaliera di ghisa e di iniziare contemporaneamente la produzione di ghisa da getti88. Al contrario, gli impianti del Pistoiese e della Versilia furono oggetto in quegli anni solo di modesti e indilazionabili interventi di restauro. Alla conclusione del contratto i periti incaricati di valutare i “ miglioramenti e deterioramenti trovati esistere negli stabilimenti che costituivano il Patrimonio dell'I. e R. Magona ” si espressero in toni estremamente critici: “ che diremmo dello Stabilimento di Ruosina? Sembra non aver questo appartenuto alla medesima Regìa, non avendo risentito alcuno dei molti benefizi, che ha questa compartiti agli altri stabilimenti affidati alla di Lei Amministrazione. Tutte le fabbriche che lo compongono furono nel 1816 ricevute generalmente in mediocre stato dalla Regìa mista; oggi essa le restituisce molto al di sotto di questo se si eccettuano alcuni miglioramenti fatti ai Bottacci dei diversi Edifizi ”89. Il Catasto Generale della Toscana tra il 1824 e il 1826 aveva censito nella valle del Torrente Versilia quattro ferriere ed un distendino di proprietà della Magona: la fabbrica di Seravezza con annesso il distendino90, [47] quella di

84 A.S.F., Ministero Finanze Capirotti, 1218, Conti delle miniere e Magona (1815-1832).85 Cfr. A.S.F., Magona, 2336, c. 333, c. 552; c. 734 e c. 736.86 Cfr. Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana pubblicati dal I gennaio 1816 a tutto dicembre detto,Firenze, 1816, n. 83.87 A.S.F., Segreteria di Finanze, 443, Prot. Straordinario (settembre 1816), ins. 12.88 (88) Cfr. al riguardo, L. ROMBAI, Follonica sotto i Lorena e nello Stato unitario, in L. ROMBAI-I. TOGNARINI, Follonica e la sua industria del ferro. Storia e beni culturali, cit., pp. 155-163.89 (89) A.S.F., Magona, 2407, c. 102 (Riconsegna dei Regj Stabili spettanti al Patrimonio dell'I. e R. Miniere e Magona del Ferro di Toscana fatta all'I. e R. Governo per parte dei signori Morel, Kleiber e Lampronti Amministratori componenti la vecchia Regìa di cui cessò l'esistenza il 31 agosto 1828).90 Archivio di Stato di Lucca (d'ora innanzi A.S.L.), Catasto Generale della Toscana, Comunità di Seravezza, Parrocchia di Seravezza, sez. I detta della Costa, Tavole Indicative e Mappe. Erano di proprietà della Magona le particelle n. 234: ferriera di bq 1428; n. 235: distendino di bq 540; n. 231: casa di abitazione (Palazzo Regio) di bq

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Ruosina91, del Gatto92 e di Cansoli93, fino ad allora indicata come distendino, mentre le chioderie, il distendino di Casa ed il distendino del Cardoso94, erano stati classificati come “ case e resedi ”. La Magona possedeva anche alcune case in Ruosina, una presso l'Argentiera ed il Magazzino del ferro di Forte dei Marmi95. Il patrimonio boschivo, piuttosto ingente, era costituito per lo più da faggete (117 ha); da bosco misto ceduo (70 ha) e da macchie (173 ha) a cui dovevano aggiungersi 15 ha di terre pascolative e 11 ha di terre improduttive96. [48] Le faggete rivestivano il versante settentrionale del Monte Corchia tra Fociomboli ed il Monte Freddone, inframezzate da pasture, mentre sulla Costa Pulita e in località Le Calle e Le Porchette, sotto Stazzema, la Magona possedeva ampi tratti per lo più a bosco ceduo, oltre a faggi e pasture. In località Le Mulina sorgeva la piccola ferriera del conte Andrea Mazzetti Del Medico Staffetti97: un edificio di soli 76 mq, costruito tra il torrente Versilia di Stazzema e la strada che conduceva da Ponte Stazzemese a Le Mulina, del quale sono oggi difficilmente riconoscibili pochi ruderi sui quali corre la strada per Stazzema. La ferriera di Gaetano e Giuseppe Belloni, proprietari di case e terreni in località Cerreta, sorgeva tra la strada maestra da Seravezza a Ruosina ed il torrente Versilia, all'altezza, appunto, dell'abitato di Cerreta. Di dimensioni più ragguardevoli (350 mq che comprendevano però anche la casa di abitazione ed un piccolo mulino)98, ebbe vita più lunga della ferriera Mazzetti. Nel 1831 era “ la sola Ferriera particolare che si trovi [...] nel Vicariato di Pietrasanta ”99, ma operava in condizioni di difficile sopravvivenza. I fratelli Belloni lamentavano, infatti, “ che i prodotti di questa loro fabbrica smerciavano anteriormente al 1814 liberi da ogni dazio doganale in Toscana, e

2448; n. 225: rimessa (ex stalle) di bq 1815; n. 230: oratorio di bq 130; ed inoltre alcuni terreni lavorativi (mq 3350),pasture (mq 11.627) incolti (mq 442) e 4 ha di terre boscate per lo più a castagni (3,56 ha).91 Ibidem, Comunità di Stazzema, sez. F detta di Ruosina e Gallena, Tavole Indicative e Mappe. Erano di proprietà dellaMagona oltre alla ferriera (part. n. 577 di bq 831) le particelle: n. 572: casa e resedo (ex chioderie di E,q 685); n. 574:casa (prima casa con annessi carbonili di bq 287; n. 576: casa e resedo (prima magazzini) di bq 484; n. 582: magazzino(prima carbonili) di bq 325. n. 584: carbonile di bq 629; n. 583 e 585: piazze di bq 35 e 471. Inoltre possedeva 788 mqdi terreni, parte lavorati e parte incolti e poco più di 2 ha di bosco.92 Ibidem, Comunità di Stazzema, sez. G. detta di Retignano, Tavole Indicative e Mappe, p. 737, di bq 1110. Annessialla ferriera erano: un carbonile di bq 480 (part. 738); bq 1870 di lavorativo e bq 1020 di pastura.93 Ibidem, Comunità di Seravezza, Sez. D. detta di Basati e Giardino, Tavole Indicative e Mappe, part. n. 3 di bq 2192 con annessi 6763 mq di bosco. Nelle Tavole Indicative la ferriera di Cansoli viene descritta come un unico edificio, mentre nelle mappe appare costituita da due corpi distinti come in realtà doveva essere. Già nel 1825 il distendino di Cansoli era “ chiuso ed inattivo ” (A.S.F., Segreteria di Gabinetto Appendice, 330, c. non numerate).94 Ibidem, Comunità di Stazzema, Sez. L. detta di Pruno, Cardoso e Volegno, Tavole Indicative e Mappe, part. 686 di bq 349. Annesso all'edificio classificato come casa e resedo (benché gli anziani di Malinventre ricordino la ferriera in attività fino agli inizi del '900) erano due piccoli appezzamenti a “ pastura ” e a “ canapale con noci ” rispettivamente di 139 e di 200 mq. Il carbonile posto di fronte alla ferriera dal lato del torrente non era più di proprietà della Magona. Nella stessa "sezione" la Magona possedeva anche 1817 mq di terre a pastura ed una casa di pietra (part. n. 1O74) in località "I Bozzi". In A.S.F., Segreteria di Gabinetto Appendice, 330 (1829) si dice che il distendino del Cardoso “ non agisce da qualche anno, ma potrebbe al bisogno ”. 95 Ibidem, Comunità di Pietrasanta, Parrocchia di Querceta, Sez. L., detta di Vajana, Martella e Piovana, Tavole Indicative e Mappe, part. n. 666 di bq 704.96 Ibidem, Comunità di Stazzema, Sez. A., detta di Campanice, Tavole indicative eMappe; part. 1, 15, 16, 17, 18, 22, 27, 28, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 209, 620-633, 1283, 1938, 1941-51, 1968-80 e Sez. B. detta dell'Alpe di Stazzema; Tavole Indicative e Mappe, part. 1-5, 40, 41, 227, 228, 232, 233, 235, 236, 254-261, 290.97 Ibidem, Comunità di Stazzema, Sez. M. Tavole Indicative e Mappe, p. 933 (bq 225).98 Ibidem, Comunità di Seravezza, Sez. F. detta di Cerreta e Ruosina, Tavole Indicative e Mappe, p. 589 (bq 1026).99 A.S.F., Magona, 2348, c. 14, lettera di Gaetano e Don Giuseppe Belloni del 4 febbraio 1831. Il governo aveva concesso la deduzione dei due terzi sulla gabella d'introduzione nel territorio riunito dei ferri fabbricati a Ruosina anche alla Regìa Mista fin dal 1819, ma gli Amministratori della Magona dimostrarono con un Promemoria l'effettiva inconsistenza del beneficio, dal momento che “ il solo terzo del quale si trova aggravata la Regìa è costato L. 7697O.4.1 nei vari anni già decisi cioè dal 1819 al 1825 ed in conseguenza L. 12828.7.4 annue ”, mentre durante il periodo francese, dal 18O8 al 1813, il dazio era stato interamente soppresso. “ Dunque l'Erario pubblico, benché l'attuale Regìa comparisca essere stata da lui favorita, ha esatto dalla medesima, per questo titolo, delle somme annue più che doppie di quelle che gli pagava per l'antica Magona ” (ibidem, Segreteria di Finanze, 1155, Promemoria della Direzione dei Lavori dell'I. e R. Amm. delle Miniere e Magona del 31 agosto 1825).

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in qualunque altra parte a prezzi convenienti ”, ma “ ritornate in vigore le antiche leggi di Finanza sul ferro sia in Toscana che altrove restò soggetto il loro genere alla Gabella di L. 3 il cento delle libbre per introdurlo nel Territorio riunito, egualmente che nel Lucchese. [49] Che quindi non convenendo più agli stessi fabbricanti di smaltire il loro Ferro all'estero per tale forte gravame, furono costretti, loro malgrado, a ristringere assai le loro successive lavorazioni con uniformarle unicamente al consenso dei soli avventori del Vicariato di Pietrasanta. Che due anni dopo cioè nel 1816 i medesimi Fabbricanti ebbero a soffrire altro crollo nel loro traffico, stante il ribasso sopravvenuto di L. 2 per ogni cento libbre di ferro, che piacque alla R. Magona di adottare per la vendita al Magazzino di Seravezza ”. I Belloni, tuttavia, “ per non lasciar deperire le loro fabbriche e conservare questo ramo d'industria, si sforzarono di sostenere alla meglio le stesse ristrette lavorazioni anche nel tempo successivo ”. Nel 1825, concluso con la Magona un contratto di permuta di ferro lavorato contro il ferraccio occorrente per le lavorazioni, iniziò un periodo positivo per la piccola impresa in cui fu possibile “ aumentare lo smercio del genere manufatto e in conseguenza [...] ricominciare per l'intiero le [...] campagne ” sebbene, a detta dei Belloni, “ con scarso profitto attesi i tenui prezzi del ferro fissati, in correspettività del prezzo del ferraccio da consumarsi ”. La disdetta del contratto nell'agosto 1829 e l'adozione, il 29 marzo 1830, delle nuove “ Tariffe di Vendita del Ferro nel Pietrasantino ”, che prevedevano un'ulteriore diminuzione di 4 lire il cento, portarono la piccola azienda sull'orlo del tracollo considerata, in particolare, “ la vistosa ineguaglianza del prezzo attuale del Ferraccio della R. Magona dirimpetto ai prezzi del ferro fissati nella vigente tariffa al magazzino di Seravezza ”. Ai Belloni, che richiedevano una indennità che compensasse almeno in parte “ lo scapito sofferto nelle rimanenze del Ferro che si trovavano in magazzino all'epoca delle nuove Tariffe ”, furono condonati due terzi della gabella dovuta sui ferri fabbricati nella loro ferriera. Si trattava, evidentemente, di un provvedimento in grado di tamponare una situazione di particolare difficoltà, ma non risolutivo del grave stato di disagio comune a tutta la siderurgia privata per la quale, del resto, il governo granducale sembrava mostrare scarso interesse se non, addirittura, palese ostilità come si legge tra le righe della risposta della R. Segreteria di Finanze alla supplica dei fratelli Belloni nella quale si fa espresso riferimento a particolari cautele da adottarsi “ per impedire ogni abuso trattandosi specialmente di privato fabbricante ”100. [50] A Stazzema “ e nei castelli di Farnocchia e Pomezzana ” scrive nel 1820 il Vicario Berti, “ si contano alquante famiglie che incassano le canne da schioppo, e fabbricano Forbici, Temperini, ed anche gl'acciarini per armi da fuoco fra i quali sono rinomatissimi quelli della Famiglia Tommasi, che non hanno minor credito all'estero. Le famiglie che fanno questo mestiere vi traggono tutta o in parte la sussistenza ”, mentre il resto della popolazione “ si sostenta colla riunione dell'agricoltura, del mestiere del Pastore e del carbonaio ” per “ l'approvigionamento di più Edifizi da Ferro, che sono in quello Comune101. Nel Comune di Seravezza, inoltre, “ esisteva da molto tempo una Fabbrica di Canne da Schioppo, detta la Fabbrica dei Leoni di Ruosina, che ne sono i proprietari e gl'artefici. Quelle in specie dette a Tortiglione sono di un lavoro stupendo per cui vengono moltissimo apprezzate anche presso l'Estero. Ma se per il passato, e specialmente nelle prossime decorse annate calamitose la povertà dei suddetti artefici rese quasi inerte questa lavorazione non tanto per mancanza di commissione, quant'anche per non potere tenere persi dei capitali fino a tanto che se ne ravvivassero le richieste adesso poi è in una totale inazione, poichè nel mese di ottobre decorso una veemente escrescenza straordinaria del Fiume Seravezza avendogli nell'essenziale distrutta la Fabbrica, mancano gli assegnamenti, in forza della loro stessa povertà, per riedificarla, e riattivare questo edifizio102 ”. Nonostante le relazioni peritali avessero evidenziato le caratteristiche meramente speculative della gestione di Morel, Kleiber e Lampronti si deliberò, alla conclusione della prima Regìa mista, di rinnovare l'esperienza per non sottrarre l'industria siderurgica al controllo statale e soprattutto per evitare il formarsi di un monopolio privato. Tra le numerose

100 A.S.F., Magona, 2348, c. 25, lettera del 4 febbraio 1831. 101 A.S.F., Regia Consulta, 2738, ins. 33, cit.

Ibidem 102

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offerte pervenute da parte di imprenditori già attivi [51] nel settore come lo stesso Morel, o i Vivarelli-Colonna, o di Compagnie “rampanti” come quella “Mineralogica” di Naro Perres, proprietaria, tra l'altro, di terreni nella Comunità di Stazzema103, fu scelta quella di Kleiber e Lampronti che si erano dichiarati disposti ad accettare condizioni anche più gravose rispetto al precedente contratto, in particolare la separazione della miniera dagli edifizi del ferro104. La seconda Regìa Mista iniziò la propria attività il 1o settembre 1829, sempre sotto il controllo del Gazzeri, ma dopo un inizio stentato, caratterizzato dal calo delle vendite e degli utili, con l'abolizione del divieto di importazione dei prodotti dell'industria siderurgica, operante dal 1° gennaio 1832, si giunse alla decisione di rescindere il contratto105. Dal novembre 1832, in attesa di una decisione sul futuro assetto dell'azienda, gli stabilimenti magonali ritornarono sotto la diretta amministrazione statale. Come già evidenziato, i limiti della siderurgia toscana erano rappresentati dall'arretratezza tecnologica degli impianti e dalla irrazionale distribuzione degli edifici che si occupavano degli stadi più avanzati di lavorazione, elementi che concorrevano a determinare elevati costi di produzione e di conseguenza scarsa commerciabilità del prodotto finito. Facevano eccezione gli impianti maremmani, oggetto di importanti ristrutturazioni durante la prima Regìa mista, e le miniere dell'Elba che per l'abbondanza e l'ottima qualità del minerale e i ridotti costi di estrazione e di trasporto rappresentavano una voce da sempre in attivo dell'azienda Magonale. Tali considerazioni emergono anche da una relazione “ Sulla sistemazione della R. Magona del Ferro ” nella quale, insieme all'invito a rescindere il contratto con Kleiber e Lampronti, si suggerivano ipotesi di riassetto dell'azienda siderurgica statale. In particolare, si osservava che, mentre gli edifici della Maremma “ esigono pochi capitali, molti ne esigono gli Edifizii distaccati da quelli. [52] Infatti per la marcia ordinaria delle officine di Pietrasanta e del Pistoiese occorre anticipata di un anno la provvista del Ferraccio, del Carbone, e generi diversi, ciò che porta ad un rilevante disborso ed alla conseguenza della maggior parte dei depositi che compariscono nelle scritture della Magona

106. Quindi, dal momento che “ gli Edifizi di Pistoia e di Ruosina non solo assorbiscono le risorse che al Patrimonio Magonale provengono da quelli della Maremma, ma [...] sono la origine di tanti depositi e disborsi cui esso è esposto ” si giunge a suggerire di allivellare gli edifizi del Pistoiese e di Ruosina107. Tale ipotesi, sostanzialmente ripresa nella Relazione di Fossombroni, Corsini e Cempini del 26 ottobre 1835108, venne definitivamente accolta dal motuproprio del 3 novembre 1835 con cui si decise di sopprimere l'azienda statale della Magona, separando il centro siderurgico maremmano e le miniere, da gestire attraverso la costituzione di un'Imperiale e Regia Amministrazione delle miniere di Rio e delle Fonderie di Ferro, dagli impianti del Pistoiese e del Pietrasantino che si decise di allivellare a privati. Per gli edifizi di Pistoia e del Pietrasantino fu condotta anche la campagna 1835-36 sotto il controllo di Giovanni Baldasseroni così da consentire a Pietro Municchi e a Francesco Leoni di approntare le stime degli impianti da allivellare109. Il bando d'asta fu pubblicato il 16 aprile 1836 sulla "Gazzetta di Firenze". Gli impianti della Versilia vennero aggiudicati inizialmente a Francesco Pacchiani, commerciante di ferro e proprietario di una fabbrica di rame in Valventosa. Ma la cessione degli edifici magonali fu risoluta anzi tempo, “ per la ragione che si pretendeva dal precitato conduttore (col pubblico Istrumento del dì 3 settembre 1836) di aver stipulato il contratto nel supposto di dover pagare Gabella di L. 1 soldi 5 e centesimi

103 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155 (offerta Morel). Cfr., inoltre, ibidem, ins. "Suppliche dei Fratelli Vivarelli-Colonna" che contiene richieste avanzate tra il 1826 ed il 1829 per ottenere in affitto il complesso siderurgico magonale o proposte di assumerne la direzione. Cfr., inoltre, ibidem, “Supplica di Ago. Magnani” (14 agosto 1826) e ibidem,"offerta di Luigi Morel" (agosto 1828) e, per la Compagnia Mineralogica, A.S.F., Magona, 2348, c. 44. Cfr. per quantoriguarda la proprietà della Compagnia Mineralogica nella Comunità di Stazzema: A.S.L., Catasto Generale dellaToscana, Comunità di Stazzema Sez. F., p. 125-13S, 147, 496 e 497.104 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155 e A.S.F., Magona, 2348.105 Ibidem, c. 9.

A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, ins. Sulla situazione della Regia Magona del ferro di Toscana. 107 Ibidem. 108 Ibidem, Relazione del Consiglio di Stato (26 ottobre 1835).109 Cfr. G. MORI, L'industria del ferro, cit., p.357.

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75 per l'introduzione del ferro lavorato in detti edifici nella linea doganale toscana e non di L. 3 soldi 5 fiorini 2 e centesimi 25 stabilita dalla legge vigente ”110. [53] Fu così accettata l'offerta di Pietro Gazzarrini di Livorno e di Sebastiano Gelli di Pistoia, possidenti e commercianti, ai quali vennero allivellati in data 24 ottobre 1836: la ferriera ed il distendino di Seravezza, la casa di abitazione del ministro, la ferriera di Casa e gli altri fabbricati esistenti in Ruosina (carbonili, magazzini, due abitazioni e l'edificio dell'antica chioderia), le ferriere dell'Argentiera con l'abitazione del segnasome e due carbonili, la ferriera del Gatto ed il distendino del Cardoso, giudicati per lo più in “ buono stato ”, ed il magazzino allo Scalo dei Marmi di Pietrasanta e Albereta dove la Magona possedeva anche un “ terreno prativo, alberato a pioppi di alta cima ” di circa mq 4000. A Gazzarrini e Gelli pervennero anche le macchie che la Magona possedeva nel comune di Stazzema: “ un vastissimo appezzamento di terra in monte intersecato da molte vie, da vari fossatelli e principalmente dal Fosso delle Verghe ossia del Teverone e tutto Boschivo a Faggi con molte grotte e terre pasturabili ” di circa 193 ha in località Corchia, Mosceta e Mura del Turco; “ un appezzamento di terra in monte intersecato dal torrente di Battiferro e altri fossatelli e stradelle tutto boschivo a Faggi e pasturabile con molte grotte ” di 66 ha in località Colle Mastio; [54] una faggeta di 57 ha sul Monte Forato e in località Petrosciana ed un'altra sulla Costa Pulita (17 ha); vaste aree boscate a faggi e pascolative al Freddone (50 ha); in Solcomonte (57 ha); al Monte di Tobbio (17 ha) ed infine un piccolo bosco di faggi (2 ha) al Bottino111.

* * *

Alla privatizzazione degli edifici del Pietrasantino non fece riscontro la modernizzazione degli impianti ed il rilancio della siderurgia locale: immutate rimasero le antiquate tecniche di lavorazione, le strutture occupazionali ed immutate pure le difficoltà di commercializzazione del ferro lavorato112. Inutilmente il Peruzzi additava “ la strada del progresso ” come la sola percorribile dall'industria toscana del ferro, invitando a pur limitati miglioramenti tecnici come sostituire il “ metodo alla comptese ” a quello “ alla bergamasca ”, più costoso, e utile solo nel caso si debbano raffinare "ferracce" manganesifere quali non erano quelle elbane113. I progressi della siderurgia straniera avevano, tuttavia, reso obsolete le soluzioni basate ancora sul combustibile vegetale e, soprattutto, su una realtà di frammentazione e dispersione aziendale quale era quella toscana. Fino agli anni '50, tuttavia, gli edifici del ferro della Versilia continuarono a sopravvivere proprio grazie alle loro ridotte dimensioni e ai risparmi legati al tipo di conduzione familiare o semifamiliare, all'adiacenza dei mercati di vendita (Toscana, Modenese, Parmense, lo stesso territorio comunitativo) e, soprattutto, alla protezione doganale. Nel 1846 erano attive, secondo l'analisi del Peruzzi, cinque ferriere che producevano 1.500.000 libbre di ferro lavorato, pari a circa il 16% dell'intera produzione toscana114. [55] Nel 1850115 il numero delle ferriere era salito a sei. Gazzarrini e Gelli possedevano tre ferriere nel comune di Stazzema (Gatto, Ruosina e Cardoso, presumibilmente) e la ferriera dell'Argentiera; Gaetano Belloni manteneva in attività la sua ferriera di Cerreta; ad essi si era aggiunto Francesco Pacchiani. A fianco delle ferriere operavano numerosi artigiani del ferro: due officine di archibusieri e sette di fabbri ferrai a Stazzema, tre di fabbricanti di forbici e coltelli a Pomezzana e due officine per lavori in ferro ed acciaio, una a Cerreta, di Gaetano

110 A.S.F., Magona, 2485, I. e R. Depositeria Generale e Pacchiani, affare 609. A.S.F., Magona, 2485, L. e R. Depositeria Generale e Pacchiani, affare 609.

112 Cfr. G. MORI, L'industria del ferro in Toscana, cit., p. 433 in cui si cita un opuscolo del 1845 che riferiva delle crescenti difficoltà dei due imprenditori sul piano commerciale.113 A. S.F., Segreteria di Gabinetto, 250, ins. 2 h, Dello stato attuale della fabbricazione del ferro in Toscana, e di alcuni miglioramenti che potrebbero esserle adottati. Memoria del Sig. Ubaldino Peruzzi, già alunno della Scuola Reale delle Miniere di Parigi, letta all'I. e R. Accademia dei Georgofili di Firenze, nell'adunanza del 3 maggio 1846, Estr. dal vol. XXIV degli “Atti”. 114 A.S.F., Segreteria di Gabinetto, 250, ins. 2 h, cit. 115 A.S.F., Segreteria di Gabinetto, 334, Statistica industriale del Granducato (1850).

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Belloni, l'altra in Seravezza, di proprietà di Matteo Pea116. Nel 1852117 le ferriere di Gazzarrini e Gelli avevano prodotto 300.000 libbre di ferro sodo; la ferriera di Francesco Pacchiani 530.000 libbre e quella di Belloni l60.000 libbre. Ai quattro imprenditori si era aggiunto Pieroni la cui produzione, 200.000 libbre, aveva superato quella della ferriera di Cerreta. I1 ridotto numero di addetti per ferriera è chiaro segno delle dimensioni aziendali delle medesime. Le tre ferriere di Gazzarrini e Gelli nel comune di Stazzema occupavano 28 operai; quella di Belloni 20, ma probabilmente erano compresi anche gli addetti all'officina per lavori in ferro e acciaio annessa alla ferriera: “ in quasi tutte le ferriere un fuoco è servito da 4 lavoranti, 2 aiuti e da un facchino per il trasporto del carbone che serve due fuochi nel tempo istesso ”118. Un maestro guadagnava L. 2,80 per mille libbre di ferro prodotto e L. 1,85 per una giornata. La giornata di un sottomaestro era pagata L. 1,21, quella di un lavorante L. 1,02; quella del “ puttanello ” L. 0,83, quella del “ braschino ” L. 0,44. [58] Per produrre 1000 libbre di ferro occorrevano per la manodopera L. 10,90; per attivare un fuoco per una giornata L. 7,20. Secondo il Peruzzi i lavoranti erano tutti toscani ed in effetti l'analisi del censimento nominativo del 1841119 rileva tra i ferrazzuoli per lo più cognomi locali, ma talvolta è possibile risalire alle radici familiari come nel caso degli Allagosta il cui avo, Sabatino, capochiodaiolo a Ruosina nel 1768, proveniva da Pistoia. I Bardini provenivano da Satornana sul Rio Sirobbio, ed anche Tedeschi era un cognome frequente nel Pistoiese. Nella Comunità di Pietrasanta furono censiti 3 lavoratori di ferro nella parrocchia di S. Stefano di Vallecchia, dove aveva sede la ferriera Pacchiani, e 3 fabbri, uno a Vallecchia e 2 a Pietrasanta. Nella Comunità di Stazzema furono censiti a Cardoso un ferrazzuolo e un distendiniere (Gaudenzio Pacini di Piteccio), a confermare l'attività del locale distendino; un fabbro a Farnocchia, Francesco Bertelli di 64 anni, “ possessore di pochi fondi ”, ed un altro a Levigliani, Lorenzo Simi di 27 anni. Inoltre 17 forbiciai a Pomezzana (Gherardi, Domenici, Intaschi, Polidori, Agolini, Viviani, Lorenzi); due chiodaioli a Retignano (Evangelisti, Bertozzi) e 11 armaioli a Stazzema (Tommasi, Cipollini, Garbati, Puliti). Da Basati, nel comune di Seravezza, Domenico, Lorenzo e Matteo Giannarelli di 22, 19 e 48 anni erano andati a lavorare a Follonica, il primo come “ porta-vena ”, gli altri ai forni. A Ruosina, tra gli attivi, erano ben 44 i ferrazzuoli, 7 i fabbri. Evidente la specializzazione familiare: i Coppedé erano fabbri, i Buselli, i Carducci, i Casseri, i Bardini ed i Tedeschi ferrazzuoli. A Cerreta, oltre a Gaetano Belloni, proprietario della omonima ferriera risiedevano 5 ferrazzuoli, 4 della ferriera Belloni ed uno della ferriera Pacchiani. A Seravezza furono censiti 5 ferrazzuoli, ben 22 fabbri per lo piu delle famiglie Bandelloni, Maluberti e Pea e 4 fabbricanti di canne da fucile, i Leoni, proprietari della fabbrica lungo la strada da Seravezza a Ruosina, poco dopo il ponte sul torrente Versilia. Anche le ricerche minerarie proseguirono, incoraggiate dall'aumento della richiesta di minerale. [59] In contrasto con quanto si era fino ad allora supposto, “ la miniera di Pietrasanta esperimentata ai forni di Roma da terzi speculatori ”, si era dimostrata “ più fusibile di quella di Rio dell'Elba ”, dando “ un prodotto molto vicino ad essa in quantità e preferibile in bontà per alcuni rapporti ”120. Tecnici italiani e stranieri chiamati ad esprimere un parere sull'economicità dello sfruttamento della miniera del Cardoso, posta in località Buca della Vena, la ritennero “ felicemente ubicata ” e addirittura suscettibile di essere “ scavata a cielo aperto ”121. Fu anche proposto di costituire una società per la fabbricazione del ferro per l'estero e di costruire un forno grande o più forni piccoli per colare localmente la vena, utilizzando le ferriere locali per le lavorazioni successive, ma la Società Anonima costituita all'uopo non

Ibidem. Nella Comunità di Seravezza era ancora in attività anche I'officina per utensili e lavori in rame, bronzo, ottone di proprietà Pacchiani che impiegava un operaio.117 A.S.F., Ministero delle Finanze, 115, Prot.Grand., 1853, Relazione di G.B. Lapi del 28 luglio 1852.118 A.S.F., Segreteria di Gabinetto, 250, ins. 2 h, cit. 119 A.S.F., Stato Civile, 12148 (anno 1841).120 A.S.F., Segreteria di Finanze, 1155, Relazione di Giovanni Pierallini del 1 marzo 1830. Cfr. inoltre A.S.F., Magona, 2348, c. 28 in cui si fa riferimento ad esperimenti di fusione “ della vena Ferrea delle miniere di Valdicastello ” da effettuarsi al Forno Fusorio di Follonica (27 marzo 1830).121 Cfr. G. MORI, L'industria del ferro, cit., p. 382.

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effettuò mai alcuna escavazione perché il direttore dei lavori si sarebbe “compromesso nei movimenti politici che agitarono 1'Italia nel 1849 ”122. Nel 1829 era stata riaperta anche la miniera di piombo argentifero del Bottino da una Società di Livorno che nel 1841 prese il nome di Società Anonima del Bottino. Nel 1850 occupava 170 operai, direttore dei lavori era l'ingegner Federico Blanchard e la produzione annua era pari a 1100 libbre di argento e 180.000 di piombo123. La ditta Guglielmo Höhner tentò l'estrazione di ferro, piombo argentifero, rame grigio e vetriolo dalle miniere di S. Anna, dall'Argentiera e dell'Angina, impiantando in Val di Castello uno stabilimento metallurgico con annesso pestatoio, lavatoio per le miniere, laboratori ed alcuni forni fusori, ma l’attività, iniziata nel 1831, cessò dopo 16 anni124. La miniera del Bottino e la fonderia annessa, che nel 1883 occupavano 144 operai, tra cui 29 donne e un fanciullo, producendo annualmente 570 tonnellate di piombo argentifero, cessarono le lavorazioni nel 1884. [60] Anche la miniera di Stazzema, da cui nel 1882 erano state estratte l00 tonnellate di pirite, nel 1884 era inattiva125. Dal censimento del 1841, tuttavia, gli addetti alle miniere metallifere sembrano pochissimi: 4 picchiavena e 2 minatori, un mastro minatore ed una maestra “ lavatrice ” provenienti dalla Savoia, due Ministri e tre Impiegati delle RR. Miniere e Fonderie, residenti a Ruosina e 2 fonditori di metalli, residenti a Stazzema126. Secondo il Santini, nel 1874, era ancora attiva a Seravezza la ferriera dell'Argentiera ed una fonderia con maglio in Valventosa. A Stazzema lavoravano 8 ferriere, 4 distendini, 3 officine di armaiolo e 3 di forbici. A Ponte Stazzemese era stata aperta da poco una “ lavorazione in grande di viti, di punte e chiodi in un bello edificio corredato di ottime macchine e di eccellenti meccanismi ”, mentre a Pomezzana si lavoravano “ forbici, coltelli, raspe da scultori che, se non hanno l'eleganza delle manifatture estere, sono però stimate e ricercate per l'ottima loro tempera ”127. A Pietrasanta esisteva un solo distendino con 2 lavoranti, sul Torrente Rio a Strettoia, che aveva prodotto, nel 1862, Kg 13.500 di ferro128. La statistica industriale del 1887129

rilevava la presenza di tre ferriere a Stazzema in grado di produrre 214 tonnellate di assi, cerchioni per carri, mazze e mazzuoli, ferramenta per opifici meccanici e per segherie di marmo, occupando 11 lavoranti. A Pietrasanta era in attività una fabbrica di bullette, mentre la presenza delle cave di marmo aveva favorito il sorgere, o il sopravvivere, di alcune officine meccaniche destinate alla costruzione e riparazione dei meccanismi delle segherie. [61] Una di tali officine, a Corvaia, presso Seravezza, occupava 10 operai, un'altra 5, una terza, a Valventosa, 55 e possedeva due motori, uno idraulico con 14 cavalli, l'altro a vapore con 2 cavalli.

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Nel 1911 la Camera di Commercio e Industria di Lucca censì due “ officine del ferro ” nel Comune di Stazzema, una officina meccanica nel Comune di Pietrasanta e due in quello di Seravezza, mentre l'unica attività estrattiva era rappresentata dalla produzione di baritina proveniente dalla miniera del Bottino130. Una delle due officine del ferro era quasi certamente "La Ferriera" di

122 Ibidem, p.383.123 U. SANTINI-C. ZOLFANELLI, Guida, cit., p. 140.124 Ibidem, p.154.125 MlNISTERO Dl AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO. Direzione generale della statistica, Annali di Statistica, Statistica Industriale, fasc. VI, Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Lucca, Roma, Tip. Botta, 1887. 126 A.S.F., Stato civile, 12148. 127 U. SANTINI C ZOLFANELLI, Guida, cit., p. 143. La ferriera Belloni, probabilmente, era già stata trasformata in molino e tale restò fino al 1952 quando il proprietario Basilio Battistini ristrutturò l'intero edificio riducendolo ad abitazione privata. Nel giardino è ancora visibile l'ampio bottaccio e in un deposito prossimo al fiume è conservata parte dei meccanismi e degli attrezzi del mulino.128 Ibidem, p. 152.129 MIN AGRIC. IND. COMM., Annali di Statistica Industriale, 1887, cit. L officina di Valventosa apparteneva a Buselli. 130 Cfr. CAMERA Dl COMMERCIO E INDUSTRIA DI LUCCA, Le industrie e i Commerci del Distretto e la loro Rappresentanza, Lucca, Stabilimento Tipografico G. Giusti, 1911.

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Gaetano Migliorini a Malinventre di Cardoso. Questo edificio, censito come "Molino" nel Vecchio Catasto Terreni, era stato trasformato in ferriera nel 1884 dalla famiglia Barsanti131. Quando nel 1903 la ferriera passò ai Migliorini, che già vi risiedevano almeno dal 1895, l'edificio era costituito da 7 vani posti su due piani132 e comprendeva sia l'abitazione che l'opificio, dotato di due forge e maglio idraulico. Il censimento industriale e commerciale del 1927133 confermò la specializzazione dell'industria locale nel settore della costruzione di macchine, componenti per macchine e attrezzi per la lavorazione del marmo. A Pietrasanta vennero registrate 37 industrie meccaniche con 87 addetti, a Seravezza 22 con 69 addetti e a Stazzema 4 con 15 addetti. Le ridotte dimensioni aziendali, con una media di 3 addetti per unità locale, sono comunque testimonianza del permanere del carattere artigianale delle imprese134. [62] Lo stesso censimento rilevò anche la presenza di una industria siderurgica con 47 addetti, la fonderia di Giorgini e Maggi a Vallocchia a cui era annessa un'officina per costruzioni meccaniche, mentre la fonderia e la ferriera di Lorenzo Bardini in Valventosa avevano cessato le lavorazioni135. Anche la miniera dell'Argentiera, riaperta nel 1918 da una società mineraria che aveva dotato l'impianto di moderne attrezzature, di un piano inclinato di 800 metri per il trasporto del minerale e di una teleferica, era in liquidazione. Viceversa recenti saggi avevano suggerito lo sfruttamento di una miniera di limonite e pirite presso Farnocchia nel Comune di Stazzema da parte della società S.I.M.A. di Firenze136. Anche i censimenti più recenti confermano il permanere di una tradizione locale nel settore metallurgico e meccanico strettamente legata alla escavazione e lavorazione del marmo. Accanto alle antiche ferriere trasformate in segherie sono spesso sorti capannoni che ospitano officine di riparazione; talvolta, imprese di costruzioni meccaniche hanno trovato sede proprio in antichi edifici del ferro, al Gatto e a Malinventre, o in fabbricanti legati all'attività estrattiva, come la sede della Società Mineraria dell'Argentiera137. Nel 1951 l'industria meccanica era rappresentata da 106 imprese con 335 addetti, con una media, quindi, di poco più di 3 lavoratori per impresa138. [63] Nel 1961 le officine meccaniche erano 121 con 355 addetti e a Pietrasanta era presente un'industria metallurgica con 14 addetti139. Nel 1971 le industrie meccaniche salirono a 174 con 840 addetti140. La situazione

A.S.L., Catasto Generale della Toscana, Comunità di Stazzema, Sez. M detta di Cardoso, Tavole Indicative e Mappe, part. 1234. Sulla ferriera di Malinventre cfr. M. G. ARMANINI, La ferriera Migliorini a Malinventre nella valle del Cardoso. Tradizioni e ipotesi di ricerca in occasione del centenario, “ Studi Versiliesi ”, II, 1984, pp. 99-104.132 Ibidem. 133 ISTITUTO CENTRALE Dl STATISTICA DEL REGNO D'ITALIA, Censimento industriale e commerciale al 15 ottobre 1927, Roma, Provveditorato Generale dello Stato—Libreria 1928, I. 134 Un censimento della Camera di Commercio e Industria di Lucca del 1927 (La provincia di Lucca e i suoi valori economici, Lucca, Tipografia A. Croccolo, 1927) fornisce un quadro più dettagliato delle attività produttive nel settore siderurgico e meccanico. Secondo questo censimento erano attive nell'alta Versilia 2 fonderie di seconda fusione a Seravezza; 15 fal'13ri ferrai con macchine a mano e a motore; 3 maniscalchi; 11 officine di costruzioni meccaniche. un'officina meccanica per costruzioni di pesi e misure a Seravezza ed una fabbrica di nastri e dischi per seghe di Taruffi a Querceta. In particolare producevano utensili per la lavorazione del marmo la ditta Dazzini di Querceta, Pocai e Battelli di Pomezzana e Barsanti di Pietrasanta (Cfr. CONSIGLlo E UFFICIO PROVINCIALE DELL'ECONoMIA-LUCCA, Esercizi industriali e commerciali denunciati al 31 dicembre 1928, Lucca, Stab. Grafico A. M. Amedei, 1929).135 Ibidem. Sembra, invece, che tale fonderia, sempre di proprietà Bardini, fosse ancora in attività nel 1965. oggi è un deposito di automezzi del Comune e vi sono stati ricavati alcuni piccoli appartamenti per sfrattati.136 Ibidem. 137 Ibidem. 138 ISTAT, III censimento generale dell'industria e del commercio, 5 novembre 1951, Roma, Tip. Failli, 1954, I, tomo 2. Le industrie meccaniche erano 60 (65 unità locali) con 65 addetti a Pietrasanta; 36 (37 unità locali) a Seravezza e 10 (11 unità locali) con 26 addetti a Stazzema. Totalmente assenti erano le industrie metallurgiche, mentre risultano attive una ditta per l’estrazione di minerali metallurgici a Stazzema (4 unità locali; 84 addetti) e 2 unità locali con 14 addetti complessivi a Pietrasanta.139 ISTAT, IV censimento generale dell'industria e del commercio, 16 ottobre 1961 Roma, 1964, II, fasc. 46. Erano, inoltre, in attività un'industria per la costruzione di mezzi di trasporto con 3 addetti a Pietrasanta e 24 imprese per la costruzione di macchinari non elettrici e carpenteria metallica con 327 addetti (7 a Stazzema, 13 a Pietrasanta e 4 a Seravezza). Un'impresa con 30 addetti nel Comune di Pietrasanta ed una con 86 addetti nel Comune di Stazzema rappresentavano il settore estrattivo di minerali metallurgici.

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all'epoca dell'ultima rilevazione censuaria non è moto dissimile. Pur non essendo stata rilevata alcuna attività estrattiva, esistono a Pietrasanta 2 piccole imprese artigianali di prima trasformazione dei metalli che occupano 9 lavoranti. Le imprese costruttrici di prodotti in metallo sono 66 con 381 addetti; quelle dedite alla costruzione e installazione di macchine e materiale meccanico sono 37 con 419 addetti141. La distinzione tra imprese artigianali e non, rende possibile una valutazione delle differenze strutturali tra questi due tipi di imprese che si possono riassumere nelle diverse dimensioni aziendali valutate attraverso il numero medio di addetti per impresa, che è pari a 3,3 unità nelle imprese artigiane e a 25,2 unità nelle imprese non artigiane. La dimensione artigianale rappresenta, comunque, la realtà aziendale dell'86% delle imprese e non è raro che si conservino antichi processi di lavorazione ed antichi strumenti. Nella ferriera di Vinicio Migliorini a Malinventre, che ora produce componenti di macchine per la lavorazione del marmo utilizzando lingotti di ferro provenienti da fonderie di Brescia e di Bergamo, la forgia e i due magli sono azionati elettricamente, ma gli attrezzi del mestiere, pinze, tenaglie, martelli sono gli stessi delle antiche fucine. [64] È stato abbandonato l'antico edificio ormai fatiscente, sulla riva sinistra del Cardoso e l'officina si è spostata in un capannone costruito nel 1927 sulla opposta riva del torrente per accogliere i nuovi macchinari. Nella vecchia ferriera esisteva ancora un maglio ad acqua, ma da poco è stato trasferito in un Museo di Arte e Mestieri a S. Maria degli Uliveti142. Restano però ancora visibili il canale della soffieria, la ruota ad acqua che azionava il maglio, due forge ed il carbonile con corridoio in discesa per agevolare il trasporto del combustibile. Anche a Pomezzana lavorano dei "ferrazzuoli": sono Renzo Milani ed i figli e Dino Gherardi che ancora esercitano in modo artigianale il mestiere o meglio "l'arte" del coltellinaio. La fucina Milani si trova in località Grotta del Papa lungo la carrozzabile per Pomezzana mentre la bottega di Dino Gherardi è situata in paese. Per lo più vi si fabbricano raspe di varie dimensioni e altri utensili per la lavorazione del marmo, del legno, del ferro, ma recentemente sono state introdotte nuove produzioni, strumenti chirurgici, ad esempio, destinati anche all'esportazione. L'elettricità si è ovviamente sostituita all'energia idraulica ma parte della lavorazione non può che avvenire ancora a mano, come la fucinatura o l'intagliatura dei denti delle raspe ottenuta “ con uno speciale bulino azionato dai colpi velocissimi di un martelletto ”143. Anche a Seravezza ed a Pietrasanta sono in attività alcuni laboratori artigiani per la lavorazione del ferro e di altri metalli di proprietà, talvolta, di famiglie tradizionalmente impegnate nel settore. Anche le imprese di maggiori dimensioni come Barsanti e Giorgini e Maggi, del resto, hanno iniziato questa attività nei primi decenni del Novecento. L'unica industria estrattiva di minerali ferrosi è oggi la E.D.E.M. di Valdicastello che estrae pirite utilizzata per la preparazione di zavorre. La stretta valle del torrente Versilia è oggi in parte spogliata del manto boschivo, depauperato da secoli di tagli irresponsabili effettuati in primo luogo proprio dall'industria siderurgica, e non ha l'aspetto ridente di molte valli apuane: le acque dei torrenti sono imbiancate dagli scarichi delle segherie, molti opifici sono abbandonati, altri, e prime fra tutti le antiche ferriere granducali, sono stati trasformati snaturando completamente le antiche strutture. [65] È ovvio che l'angustia della valle non avrebbe permesso diverse localizzazioni industriali, tuttavia, ci si sarebbe atteso un recupero più rispettoso degli antichi edifici del ferro, tanto più che tale attività secolare sopravvive in questa valle, certo più conosciuta per le sue cave, in molte botteghe artigiane e dimostra, anzi, una certa vitalità e capacità di adeguarsi alle richieste del

ISTAT, V censimento generale dell'industria e del commercio, 27 ottobre 1971 Roma, 1972, I, tomo 2. Furono censite anche 2 industrie metallurgiche con 3 addetti e un'industria per la costruzione di mezzi di trasporto con 3 addetti. Risultava, invece, cessata ogni attività estrattiva. Le industrie meccaniche erano 98 con 515 addetti a Pietrasanta; 69 con 302 addetti a Seravezza e 7 con 23 addetti a Stazzema. Il numero medio di addetti per impresa era di quasi 5 unità.141 ISTAT, VI censimento generale dell'industria del commercio, dei servizi e dell'artigianato, 26 ottobre 1981, Roma, 1985, II, tomo 1, fasc. 46. Anche in questo censimento compare un'impresa costruttrice di mezzi di trasporto con 2 addetti. 142 Una ferriera che ha ancora il maglio ad acqua è quella di Giuseppe Barsi di Caudalla vicino a Camaiore, che produce attrezzi agricoli.143 G. SALVATORI, Gli ultimi ferrieri, Ripa di Versilia, Ed. Graficatre, 1988, p. 99.

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mercato sia pure locale. La convinzione che “ l'organizzazione attuale del territorio dovrebbe contemplare obbligatoriamente—nei suoi schemi di progettazione—oltre ai fatti funzionali, anche i valori formali, ossia storico-culturali, dei quadri ambientali ”144 ha spinto alla realizzazione di questo lavoro che ha inteso ricostruire, sia pure con ampie lacune per ciò che riguarda l'iniziativa privata, la storia dell'attività siderurgica nella valle del Versilia. Alle note introduttive di questa pagine, seguono, infatti, alcune schede nelle quali si è tentato di fornire una conoscenza storico-topografica delle ferriere e dei distendini granducali il più possibile completa, senza la quale non si ritiene possibile alcun piano di recupero, di salvaguardia e di valorizzazione non solo dei singoli edifici individuati, ma dell'intera valle, evitando interventi di "museificazione" di singole componenti storico-architettoniche e favorendo, viceversa, un riuso "funzionale", rispettoso delle antiche strutture. [67]

144 L. ROMBAI, Paesaggio e territorio: il contributo della Geografia storica alla programmazione e alla politica dei beni culturali e ambientali in Italia, in AA.VV., La geografia per un mondo in transizione, Atti del XXIV Congresso Geografico Italiano, (Torino, 26-31 maggio 1986), (in stampa).