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INDICE

INTRODUZIONE _________________________________________________________________ 5

RELAZIONI______________________________________________________________________ 6

L'ORIGINE DELLA DISPNEA NELLA BPCO ________________________________________ 7

ESAMI RADIOLOGICI IN URGENZA_______________________________________________ 9

IL RUOLO DEL BNP NELLA DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE DELLE DISPNEE ACUTE IN PS ___________________________________________________________________________ 10

LA BPCO RIACUTIZZATA _______________________________________________________ 11

TRATTAMENTO DELL’ATTACCO ACUTO DI ASMA_______________________________ 13

LA DISPNEA NEL TRAUMA TORACICO __________________________________________ 21

LE DISPNEE METABOLICHE ____________________________________________________ 22

LA GESTIONE DEI PAZIENTI CON SOSPETTO CLINICO DI EMBOLIA POLMONARE NON MASSIVA IN PRONTO SOCCORSO __________________________________________ 27

LE POLMONITI ACQUISITE IN COMUNITÀ: CRITERI PER IL RICOVERO __________ 41

LO SCOMPENSO CARDIACO ACUTO. ____________________________________________ 45

LA DISPNEA PSICOGENA________________________________________________________ 49

DISPNEE DA OSTRUZIONE DELLE ALTE VIE RESPIRATORIE _____________________ 52

INDICAZIONI ALLA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA ________________ 55

ABSTRACTS ____________________________________________________________________ 63

GESTIONE DELL’ASMA ACUTO IN PRONTO SOCCORSO: RISPETTO DEL PROTOCOLLO DEDICATO E RISULTATI DI PERFORMANCE ED OUTCOME DEI PAZIENTI ______________________________________________________________________ 64

VALUTAZIONE PRIMARIA IN PS DI 453 PAZIENTI CON SOSPETTA TROMBOEMBOLIA POLMONARE. __________________________________________________________________ 66

AFFIDABILITÀ DELLA TC SPIRALE NELLA DIAGNOSTICA DELL’EMBOLIA POLMONARE: VALUTAZIONE IN 263 PAZIENTI. __________________________________ 67

IL FRAMMENTO AMINO-TERMINALE DEL PRO-PEPTIDE NATRIURETICO CEREBRALE (NT-PROBNP), MARCATORE DI DISFUNZIONE DEL VENTRICOLO SINISTRO IN CORSO DI SINDROME DISPNOICA ACUTA- LA NOSTRA ESPERIENZA 68

IL SISTEMA BAYPAD (BAYES PULMONARY EMBOLISM ASSISTED DIAGNOSIS) ____ 70

INSUFFICIENZA RESPIRATORIA (IR) ED EDEMA POLMONARE ACUTO (EPA) PRESSO IL PRONTO SOCCORSO DEL POLICLINICO SAN MATTEO DI PAVIA _______________ 71

RIACUTIZZAZIONI IN CORSO DI BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO) : PUNTO DI PARTENZA PER UNA GESTIONE ATTIVA DELLA MALATTIA. __ 73

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ASMA IN PRONTO SOCCORSO: ESACERBAZIONI O SCARSO CONTROLLO?________ 74

LA DISPNEA COME MARKER PROGNOSTICO EVOLUTIVO PRECOCE NEL TRAUMA75

TRATTAMENTO DELL’EDEMA POLMONARE CARDIOGENO ACUTO CON PRESSIONE POSITIVA CONTINUA DI FINE ESPIRAZIONE (CPAP) IN PAZIENTI ANZIANI _______ 77

AEROSOL VERSO NEBULIZZAZIONE: CONFRONTO TRA DUE MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEL SALBUTAMOLO NELLA BPCO RIACUTIZZATA CON INSUFFICIENZA RESPIRATORIA IPERCAPNICA TALE DA RICHIEDERE NIMV _____ 78

DISPNEE DA OSTRUZIONE DELLE ALTE VIE RESPIRATORIE _____________________ 79

CASI CLINICI __________________________________________________________________ 80

INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA DA COMPRESSIONE TRACHEO-BRONCHIALE SECONDARIA A FISSURAZIONE DI ANEURISMA AORTICO _________ 81

TROMBOEMBOLIA POLMONARE SUBMASSIVA IN CORSO DI CRISI IPOSURRENALICA ACUTA ______________________________________________________ 83

ARRESTO CARDIO-CIRCOLATORIO DA DISSOCIAZIONE ELETTROMECCANICA IN CORSO DI EMBOLIA POLMONARE MASSIVA: DESCRIZIONE DI 3 CASI TRATTATI IN PRONTO SOCCORSO ____________________________________________________________ 84

UNA DISPNEA ACIDA ___________________________________________________________ 86

UNA BRUTTA DISPNEA__________________________________________________________ 88

DISPNEA POST-PARTUM “DNDD” ________________________________________________ 90

EFFETTI DEL SINERGISMO FRA BOSENTAN E GLIBENCLAMIDE: CASO CLINICO _ 92

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INTRODUZIONE Non c’è forse sintomo più spaventoso della dispnea. La mancanza di aria, la fatica a respirare sono condizioni che atterriscono qualunque persona. E anche chi vi è abituato a causa di una malattia cronica, al momento della riacutizzazione o dell’insorgenza di un nuovo episodio ha bisogno “subito” di terapia e di conforto appropriati. Oggi il luogo dove “la gente” cerca “subito” terapia e conforto è il Pronto Soccorso degli ospedali. E qui i medici devono fornire “subito” terapia e conforto, ma anche formulare diagnosi, prognosi e indicare i percorsi di cura, dentro o fuori la struttura sanitaria. I Medici di Pronto Soccorso sono medici di frontiera che lavorano ai massimi livelli perché ai massimi livelli è l’aspettativa della gente nei loro confronti. A loro è richiesto non di sapere “tutto” di “una” patologia (per questo ci sono gli specialisti e i super-specialisti) ma “molto” di tutte le patologie. E di saperle discriminare. Di saper discernere il grave dal meno grave, il rischio dall’azzardo e dal pericolo. E di tranquillizzare i pazienti, di dare loro sicurezza lavorando con sicurezza. Ecco la ragione di un corso come questo che sono orgogliosa di proporre ai Medici di Pronto Soccorso (e non solo). I migliori specialisti nel campo delle patologie respiratorie mettono la loro competenza a disposizione dei colleghi meno esperti, ma più esposti agli errori di diagnosi e di terapia che si possono fare nel territorio di frontiera tra cittadini e Sanità. Di questo sento il dovere di ringraziarli anche a nome di chi potrà trarne frutto. Sono questi, tempi difficili per la Sanità: nello specifico, la figura del Medico d’Urgenza e di Pronto Soccorso sta configurandosi sempre più come quella di uno “specialista del discernimento”, “maestro dell’accoglienza” e “campione di umanità”, ancor prima che “militare dell’emergenza” o “addestrato all’impossibile”. A essa competono doti di grande intelligenza, di sicurezza, di preparazione e di prudenza e anche di indipendenza e autonomia di giudizio che raramente si ritrovano, tutte insieme, in altre categorie professionali. La sede di questo incontro, le aule storiche della nostra gloriosa “Ticinensis Universitas”, rafforza l’intento di alzare il livello della “conoscenza”, lasciando ad altri e in altre sedi l’esigenza meno universale di “addestramento”.

Maria Antonietta Bressan

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RELAZIONI

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L'ORIGINE DELLA DISPNEA NELLA BPCO Ernesto Pozzi

Direttore Clinica Malattie dell'Apparato Respiratorio - Università degli Studi di Pavia IRCCS Policlinico S. Matteo di Pavia

La dispnea, sconfortante sensazione soggettiva di difficoltà respiratoria, rappresenta uno dei sintomi cardine della BPCO; si intensifica con il progredire della malattia, con il risultato di limitare ogni forma di attività e quindi di ridurre in modo significativo la qualità di vita del malato. Le nostre conoscenze sulle cause ed i meccanismi fisiopatologici della dispnea e della limitazione delle attività in corso di BPCO sono, indubbiamente, accresciute nel corso degli ultimi anni, con ciò rendendo più facili e rigorosi gli interventi terapeutici efficaci. È stato anche rilevato come la sensazione soggettiva di difficoltà respiratoria si raccordi con l’interazione di multipli fattori fisiologici, psicologici, sociali ed ambientali che ne influenzano la percezione. In corso di BPCO in particolare la dispnea è provocata e/o aggravata dall’esercizio e le maggiori informazioni sulle sue cause in corso di BPCO sono state condotte in soggetti sottoposti , appunto, a fatica. I fattori fisiopatologici che contribuiscono nella BPCO ad indurre dispnea da sforzo includono: 1) l’aumento del carico meccanico dei muscoli inspiratori 2) l’aumento della restrizione meccanica del torace 3) la fatica dei muscoli inspiratori 4) l’aumento della domanda ventilatoria rispetto alle capacità ventilatorie stesse 5) l'anormalità degli scambi gassosi 6) la compressione dinamica delle vie aeree 7) fattori cardio-vascolari 8) la combinazione di tutti i fattori sopra ricordati. Si tratta di fattori tra loro altamente interdipendenti il cui contributo relativo all’intensità della dispnea varia considerevolmente tra i diversi individui. Quanto alla anormalità della meccanica si ricorda come, pur sapendo che l’ovvio difetto funzionale in corso di BPCO è rappresentato dalla limitazione al flusso espiratorio dovuto alla riduzione del ritorno elastico polmonare e al collasso delle vie aeree, la più importante conseguenza meccanica di questo difetto ventilatorio “restrittivo” è dovuto alla iperinflazione polmonare. Durante l’esercizio l’aumento della ventilazione nel soggetto “flow-limited” determina un ulteriore aumento del volume residuo definito appunto come iperinflazione dinamica. L’iperinflazione dinamica determina l’impossibilità ad aumentare il volume corrente con conseguente riduzione della riserva inspiratoria. L’ulteriore conseguenza è l’incapacità del diaframma di generare pressione. Le alterazioni della meccanica in corso di BPCO comportano anche un aumento della domanda ventilatoria cui contribuisce l’aumento dello spazio morto fisiologico, la precoce acidosi lattica, l’ipossiemia, l’elevata domanda metabolica ed altri fattori non metabolici di stimolo alla ventilazione come ad esempio l’ansia. È dimostrato che a parità di FEV1 i soggetti con maggior richiesta ventilatoria presentano una più marcata dispnea da sforzo. L’intensità della dispnea è fortemente correlata con la condizione di iperinflazione dinamica. La compressione dinamica delle vie aeree viene ritenuta un meccanismo di dispnea attraverso le informazioni fornite dai meccanocettori delle vie aeree; peraltro è noto che l’applicazione di una pressione positiva espiratoria ha scarso effetto sull’intensità della dispnea in tali tipi di soggetti. La percezione della sensazione di dispnea da sforzo varia tra soggetti, la maggior parte dei quali descrive una difficoltà inspiratoria più che espiratoria e viene suggerito che la difficoltà inspiratoria derivi dalla disparità tra l’attività dei muscoli e l’entità della ventilazione stessa. Le basi fisiopatologiche della dispnea prendono in considerazione il fatto che il drive respiratorio centrale in tali soggetti è aumentato e che la presa di coscienza dell’output centrale avviene attraverso interneuroni che collegano i centri respiratori con la corteccia sensitiva. A giustificare la dispnea potrebbe quindi essere l’eccesso di stimolo ventilatorio, d’altra parte appare intrigante anche l’origine

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di una dissociazione neuromeccanica della pompa ventilatoria , cioè la dissociazione tra l’ampiezza della scarica centrale e i modesti effetti ventilatori che raggiungono l’area sensoriale ad opera delle vie afferenti dai numerosi meccanocettori periferici del polmone, dei muscoli respiratori e della gabbia toracica. In considerazione dei potenziali meccanismi della dispnea si ricordano infine gli interventi medici, chirurgici e riabilitati nei BPCO la sensazione di dispnea.

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ESAMI RADIOLOGICI IN URGENZA Roberto Dore, Valentina Vespro

Istituto di Radiologia , UOS Radiologia Toracica e TC IRCCS Policlinico S. Matteo Pavia

Il procedimento diagnostico del paziente dispnoico, iniziato con la raccolta dei dati anamnestici e con la ricerca di segni e sintomi, prevede il radiogramma toracico come esame strumentale di base. La radiografia del torace (RxT) è utile per distinguere prontamente paziente dispnoici con radiografia del torace patologica e quelli con radiografia normale. Gli aspetti patologici della radiografia possono contemplare varie situazioni e possono essere utili o decisivi nell’orientare diversamente il procedimento diagnostico: malattia polmonare, malattia cardiaca, malattia pleurica e mediastinica. La ipotesi radiologica indirizza e fa intraprendere strade diagnostiche cliniche-laboratoristiche o strumentali e competenze cliniche differenti. In questi percorsi la Diagnostica per Immagini (DI) può avere ulteriore ruolo nella seconda fase, nel caso di malattia polmonare, o pleurica o mediastinica, soprattutto mediante tomografia computerizzata (TC) per conferma, esclusione o ulteriore affinamento diagnostico, con la possibilità di definire diagnosi o di quantificare una situazione patologica. La normalità della radiografia del torace è comunque in grado di escludere: masse mediastiniche, masse polmonari, versamenti pleurici come causa di dispnea; in questi casi l’iter diagnostico viene completato con i test funzionali respiratori, scintigrafici, cardiologici. Inoltre la radiografia del torace negativa non esclude soprattutto alterazioni parenchimali degli spazi o delle vie aeree, interstiziali, o vascolari. I dati clinici e funzionali possono essere confermati e verificati da tomografia computerizzata ad alta risoluzione (TCAR) del polmone, in grado di evidenziare, anche se RxT è negativo: alterazioni interstiziali, iniziale impegno degli spazi aerei, alterazioni delle piccole vie aeree, malattie tromboemboliche polmonari. Alterazioni radiografiche che consentono di definire la dispnea cardiogena: versamenti, modificazioni di calibro e di distribuzione dei vasi polmonari, deformazione e ingrandimento cardiaco; tuttavia i segni radiografici di incompetenza cardiaca possono essere non evidenti nei pazienti gravemente enfisematosi o BPCO. Nelle dispnee da cause polmonari la RxT può essere normale nella embolia polmonare, nelle malattie interstiziali in esordio, in alcune malattie infettive polmonari, nella distrofia muscolare. La RxT può essere aspecifica in particolare in: riacutizzazioni da BPCO, malattie polmonari diffuse, reliquati di pregresse malattie, alterazioni pleuroparenchimali complesse. Queste situazioni beneficiano della TC come esame di seconda linea. La Rxt può essere fuorviante in particolare in: rotture dell’esofago, tumori (per paralisi frenica), tromboembolia (per versamenti). Nello stato di male asmatico le informazioni che derivano dalla RxT sono raramente di aiuto per il primo trattamento, anche se le alterazioni radiografiche sono bene correlate alla gravità della compromissione funzionale. E‘ invece utile ricorrere a RxT ed anche a TCAR quando l’esame clinico induce a sospettare eventuali complicanze.

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IL RUOLO DEL BNP NELLA DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE DELLE DISPNEE ACUTE IN PS

Andrea Bellone, Emilia Bareggi, Vittorio Berruti, Chiara Bonetti, Dante Clerici, Massimiliano Etteri, Giancarlo Gini, Massimo Mariani

Pronto Soccorso-Ospedale Valduce, Como RAZIONALE Una grande messe di lavori è stata pubblicata negli ultimi anni incentrati sul mondo dei peptidi natriuretici cardiaci e sulla disamina del loro ruolo un una grande varietà di condizioni cliniche. Più recentemente il Brain Natriuretic Peptide (BNP), peptide biologicamente dotato di attività ormonale, ha ridestato l’interesse della comunità scientifica. Il dosaggio di questo peptide, del suo precursore proBNP, e della frazione N-terminale dello stesso (NT-proBNP) è stato proposto come “marker” in differenti condizioni cliniche. La misura del peptide natriuretico B è in grado di stabilire ed escludere la diagnosi di insufficienza cardiaca congestizia in pazienti con dispnea acuta. Questo è un dato in grado di “rivoluzionare l’approccio diagnostico ai pazienti che si presentano in Pronto Soccorso con una dispnea acuta. In studi precedenti era gia’ risultato evidente che nel 20-30 per cento circa di tali pazienti spesso veniva posta diagnosi di scompenso cardiaco congestizio laddove viceversa la diagnosi esatta era la presenza di BPCO riacutizzata associata ad insufficienza respiratoria. La diagnosi differenziale fra l’eziopatogenesi ”cardiogena” o “respiratoria” della dispnea acuta non sempre è semplice alla luce dell’esame obiettivo, dei dati di laboratorio e/o radiologici e questo rappresenta un nodo cruciale per i dipartimenti di emergenza che gestiscono l’arrivo di pazienti critici con dispnea acuta, talora senza dati anamnestici. In aggiunta, la precoce identificazione di una condizione di scompenso congestizio in un paziente che si presenta in ED lamentando dispnea può permettere di impostare tempestivamente il trattamento adeguato, mentre la sua esclusione può evitare la somministrazione di farmaci che potrebbero influenzare negativamente l’evoluzione di una dispnea non cardiogena. LIMITI la determinazione del cut-off più appropriato, appare non priva di problemi. La accuratezza diagnostica varia molto cambiando il cut-off e la sua determinazione univoca è sicuramente molto problematica, se non, come da molti sostenuto, non utilizzabile soprattutto considerando come la enorme variabilità dei livelli di possibile riscontro renda più corretto un differente approccio statistico. Negli over 75 è sicuramente necessario un cut-off piu’ elevato, la recente introduzione dell’ecografia nella pratica clinica del medico d’urgenza offre vantaggi drammatici nella diagnostica differenziale anche della dispnea acuta in PS. Se questa metodica come prevedibile trovera’ il giusto spazio che le compete, è probabile che l’utilizzo del BNP perdera’ di valore CONCLUSIONI Ritengo comunque fondamentale per i PS un periodo “osservazionale” in cui si possa testare la reale utilita’ del BNP soprattutto al fine di migliorare la qualita’ dell’approccio clinico al paziente dispnoico oltre a contribuire allo sviluppo di un approccio ragionato ad una tematica cosi’ importante come quella della dispnea in PS.

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LA BPCO RIACUTIZZATA Isa Cerveri , Angelo Corsico Fisiopatologia Respiratoria

IRCCS Policlinico S. Matteo Pavia

Negli ultimi anni sono state divulgate linee guida internazionali, in particolare quelle del progetto GOLD (Global Initiative for chronic Obstructive Lung Disease) e quelle congiunte ERS/ATS, per migliorare la gestione della broncopneumopatia cronica ostruttiva (Chronic Obstructive Pulmonary Disease, COPD, BPCO in italiano). Tali documenti hanno come obiettivo di migliorare la gestione della BPCO promuovendo la prevenzione della malattia attraverso un intervento sui fattori di rischio, in particolare il fumo di sigaretta, e ottimizzando la cura di coloro che ne sono affetti. La BPCO è una delle principali cause di morbilità cronica e di mortalità nel mondo. Molte persone soffrono per numerosi anni di questa malattia e muoiono prematuramente a causa delle sue complicanze. Le riacutizzazioni che richiedono intervento medico sono eventi clinici importanti nella storia naturale della malattia. Il peggioramento della dispnea rappresenta il principale sintomo di una riacutizzazione, spesso associata anche a respiro sibilante, senso di costrizione toracica, incremento della tosse e dell’escreato, e/o viraggio del colore e/o della viscosità dell’escreato e febbre. Le riacutizzazioni possono essere accompagnate da sintomi non specifici quali malessere, insonnia o sonnolenza, astenia, depressione e confusione mentale. Spesso una riduzione della tolleranza allo sforzo, febbre e/o nuove alterazioni radiologiche suggestive di patologia polmonare precedono la riacutizzazione. Nella nostra esperienza nel 2002, 244 pazienti hanno fatto ricorso al Pronto Soccorso per un aumento della dispnea e dell’escreato. La diagnosi di BPCO riacutizzata come causa principale dei sintomi è stata confermata in 200 pazienti e circa 1/3 di loro, benché affetto da BPCO di grado medio-grave (taluni con insufficienza respiratoria) non avevano mai avuto la diagnosi di BPCO in precedenza e non erano mai stati trattati. Quindi l’esacerbazione e l’accesso al Pronto soccorso avevano consentito di porre l’attenzione sulla malattia divenendo il punto di partenza per un intervento attivo per la gestione del paziente. La prima cosa da fare in pronto soccorso è fornire ossigenoterapia e verificare se l’episodio mette in pericolo la vita del paziente, nel qual caso il paziente deve essere ricoverato immediatamente in Terapia Intensiva, altrimenti può essere trattato in Pronto Soccorso o in degenza ordinaria. E’ quindi necessario valutare la gravità dei sintomi, l’emogasanalisi e la radiografia del torace e controllare l’adeguatezza della ossigenoterapia, ripetendo l’emogasanalisi dopo 30’. Il trattamento è costituito dall’uso dei broncodilatatori inalatori (aumentare la dose o la frequenza di somministrazione e associando beta2-agonisti ed anticolinergici), della teofillina e degli steroidi sistemici. Poiché le cause più frequenti di una riacutizzazione sono le infezioni dell’albero tracheo-bronchiale (anche se restano ignote le cause di circa un terzo delle riacutizzazioni gravi) un incremento del volume e della purulenza dell’espettorato devono essere considerate indicative di una genesi batterica. In generale, gli agenti batterici responsabili di riacutizzazioni “non complicate” sono S. pneumoniae, H. influenzae e M. catarrhalis. La scelta degli antibiotici più appropriati deve tenere conto dalle sensibilità locali; sono consigliati Amoxicillina/Clavulanato o Azitromicina o Claritromicina. Nelle forme “complicate”(eziologia: S.pneumoniae, H.influenzae, M.catarrhalis, K.pneumoniae), visto il rischio di infezione da germi Gram negativi e l’aumentata probabilità di resistenza ai beta-lattamici, va considerata la terapia con Levofloxacina o altri chinolonici. Nei pazienti più gravi o qualora si sospetti una infezione da P.aeruginosa ed Enterobatteriaceae si devono considerare farmaci iniettivi attivi anche su Pseudomonas. Qualora si evidenziasse uno scompenso della pompa ventilatoria con un incremento dei valori di capnia arteriosa e acidosi respiratoria correlata è necessario intraprendere la ventilazione meccanica che può essere effettuata in modo conservativo, cioè per via nasale senza l’intubazione endotracheale. La

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ventilazione meccanica invasiva, va necessariamente intrapresa quando è presente deterioramento dello stato di coscienza, arresto cardiaco o respiratorio, esaurimento ed estrema fatica dei muscoli respiratori.

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TRATTAMENTO DELL’ATTACCO ACUTO DI ASMA Daniele Coen

Direttore Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda, MIlano

La relazione fa riferimento alle linee guida SIMEU pubblicate nel 2000, delle quali sottolinea alcuni degli aspetti fondamentali. In considerazione del fatto che la sede del convegno è il Congresso Regionale SIMEU e che le linee guida di cui sopra non hanno trovato una ampia diffusione, si ritiene di fare cosa utile riportandole in questi atti. LINEE GUIDA SIMEU Nonostante gli avanzamenti nella comprensione degli aspetti fisiopatologici dell’asma e lo sviluppo di nuovi ed efficaci approcci terapeutici a questa malattia, l’incidenza dell’asma è in crescita in numerosi Paesi (1) (ndr. In realtà dopo il 2000 questo trend si è invertito). La maggior parte delle morti per asma (stimate in 1.500-2.000 per anno in Italia) si associano ad una sottostima della severità dell’attacco acuto tanto da parte del paziente che da parte del medico, cui consegue una terapia inappropriata o subottimale (2). Nonostante la maggior parte delle morti per asma avvenga fuori dall’ospedale, un corretto trattamento in Pronto Soccorso può avere importanti implicazioni prognostiche. Il Dipartimento di Emergenza è per molti pazienti asmatici un abituale punto di riferimento, per questa ragione medici ed infermieri che vi lavorano possono avere un ruolo significativo nel controllo della malattia anche al di là del trattamento dell’acuzie. Il trattamento ottimale dell’attacco acuto di asma in un Dipartimento di Emergenza comprenderà dunque anche l’identificazione dei pazienti ad alto rischio per futuri attacchi gravi o minacciosi per la vita ed una dimissione protetta, che comprende un preciso protocollo per il follow-up (dal curante o presso un centro specialistico) e chiare informazioni scritte sulla terapia da assumere e sul comportamento da tenere nel caso di recidiva della crisi. RIASSUNTO DELLE RACCOMANDAZIONI PONDERATE Valutazione della severità dell'attacco GRADO Gli aspetti dell'esame obiettivo più importanti B nella valutazione dell'attacco d'asma sono: la frequenza cardiaca e respiratoria, la capacità di parlare, la eventuale presenza di torpore o esaurimento muscolare. La misurazione del picco di flusso espiratorio (PEF), B insieme al monitoraggio del quadro clinico, è utile per identificare i pazienti in condizioni più gravi e quelli per i quali è fin dall'inizio ipotizzabile il rinvio a domicilio. L'emogasanalisi non è necessaria per i pazienti B con PEF e saturazione di ossigeno non gravemente compromesse, che rispondono in modo soddisfacente alla terapia.

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Una radiografia del torace è indicata solo nei casi più C gravi, o quando si sospetti un pneumotorace o un focolaio infettivo. Trattamento iniziale Tutti i pazienti devono ricevere 02 con l'obiettivo di C raggiungere una saturazione di ossigeno >95%. Il farmaco di prima scelta è un broncodilatatore di A tipo beta adrenergico da somministrare a dosi elevate con un nebulizzatore o con aerosol dosato e spaziatore. Nei casi di asma moderato-grave, l'associazione del beta A adrenergico con un anticolinergico è più efficace del solo beta adrenergico. Un cortisonico a dose piena somministrato nel corso A della prima ora per via orale o parenterale migliora l'outcome del trattamento acuto. L'aminofillina non è un farmaco di prima scelta e A deve essere riservata ai casi nei quali le prime ore di terapia con beta adrenergici, anticolinergici e cortisonici non abbiano risolto la crisi. Monitoraggio Il progressivo miglioramento di PEF e saturazione B di ossigeno e la riduzione della frequenza cardiaca sono i pricipali indici di miglioramento clinico. La comparsa di torpore e di esaurimento muscolare, C un progressivo incremento della PC02 e valori di P02 < 60 mm Hg nonostante 02 terapia e trattamento farmacologico sono indicazioni al ricovero in unità di terapia intensiva. Rinvio al domicilio E' imprudente dimettere pazienti con valori di PEF B <75% del normale o del miglior valore individuale o comunque con un PEF < 200 l/min. Alla dimissione il paziente dovrebbe discutere con il A medico le cause dell'attacco, rivalutare la propria tecnica nell'uso dei farmaci per inalazione e ricevere consigli scritti su come comportarsi in caso di recidiva.

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Ogni paziente con esacerbazione asmatica di grado A moderato o severo dovrebbe assumere trattamento steroideo per via orale fino alla risoluzione completa della esacerbazione asmatica.

ANALISI DELLA LETTERATURA CHE GIUSTIFICA LE RACCOMANDAZIONI PONDERATE

VALUTAZIONE DELLA SEVERITA' DELL'ATTACCO

Obiettività clinica - Sulla base di dati descrittivi (7), le linee guida internazionali alle quali facciamo riferimento (3-6) identificano i seguenti criteri come indicativi rispettivamente di un attacco asmatico grave e minaccioso per la vita: ATTACCO ASMATICO GRAVE • Non riesce a completare una frase • Frequenza respiratoria > 25/min • Frequenza cardiaca > 110/min ATTACCO ASMATICO MINACCIOSO PER LA VITA • Silenzio respiratorio • Confusione, esaurimento muscolare • Bradicardia La autovalutazione del paziente (8) e la presenza di un polso paradosso (9) sono invece inaffidabili e/o non aggiungono informazioni utili. Pazienti con attacchi gravi o minacciosi per la vita possono non presentare tutti i segni clinici sopra elencati e possono apparire relativamente tranquilli. E' dunque importante un controllo continuo del malato e l'utilizzo di parametri obiettivi di valutazione. Obiettività strumentale - Il flusso di picco espiratorio (PEF), valutabile con semplici ed economici misuratori (per es. mini-Wright) è un utile aggiunta ai parametri clinici per predire l’evoluzione di un attacco. Il suo ruolo preciso è peraltro controverso, poiché alcuni lo considerano come indicatore capace in sé di identificare i pazienti con crisi d’asma minacciosa per la vita, per i quali si impone il ricovero (PEF prima del trattamento< 33% del normale o del miglior valore individuale o valore assoluto < 100 l/min ) (10,11), mentre altri ne negano l’utilità (12) o lo impiegano all’interno di indici clinici più complessi (13,14). In pratica può risultare difficile una accurata valutazione del PEF all'arrivo in PS per malati poco collaboranti, molto agitati o con tosse molto intensa. I valori di PEF dopo la terapia, e la loro evoluzione nel tempo, sono probabilmente indicatori più attendibili (15). Le linee guida di riferimento consigliano di considerare il ricovero per i pazienti con valori di PEF dopo il trattamento <50% o < 200 l/min(3,6,16). I pazienti con PEF < 75% del normale o del miglior valore individuale o con variazioni diurne > 25% sono a maggior rischio per un nuovo ricovero a breve termine (17). In modo empirico e con obiettivi di praticità alcuni indicano nel valore assoluto di 200 l/min il livello di PEF al di sotto del quale si impone una terapia di urgenza (5,6) L'emogasanalisi può essere ragionevolmente differita o evitata nei pazienti con SaO2 > 92% che non presentino un quadro clinico minaccioso per la vita (18). Andrà comunque effettuata nel caso di una inadeguata risposta alla terapia o di un deterioramento del quadro clinico. La radiografia del torace non è necessaria in tutti i casi. E' di norma da eseguirsi nel caso si sospetti una polmonite o un pneumotorace, e nei pazienti che non rispondono alla terapia (19). Sulla base di quanto qui esposto la valutazione iniziale del paziente asmatico può beneficiare di un approccio sistematico, come quello riportato a titolo di esempio nell' Allegato 2.

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TRATTAMENTO INIZIALE Ossigenoterapia - Pur mancando, per motivi etici, studi clinici controllati, l'indicazione ad un'ossigenoterapia ad alto flusso è comunemente ritenuta come sicuramente indicata, sulla base di conoscenze fisiologiche e di esperienze incontrovertibili (3,4,5,6). Nei pazienti con insufficienza respiratoria di tipo II (ipercapnici), un alto flusso di ossigeno può ridurre lo stimolo ipossico inducendo bradipnea ed alterando ulteriormente il rapporto di ventilazione-perfusione. Ciò causa una ritenzione di CO2 ed una acidosi respiratoria potenzialmente letale. In questi casi (non più del 15 % dei pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva) è bene iniziare il trattamento con basse concentrazioni di ossigeno (24-28%), da incrementare sulla base della risposta clinica e di emogasanalisi ripetute, con l'obiettivo di ottenere una pO2 > 50 senza spingere il pH al di sotto del 7.26 (20). Terapia farmacologica - Il trattamento di scelta è un broncodilatatore beta-adrenergico (salbutamolo o terbutalina) somministrato ad alte dosi per nebulizzazione o per via endovenosa (21). La nebulizzazione è preferibile perché più efficace e legata a minor incidenza di effetti collaterali (21-26). Molti studi suggeriscono che possa essere altrettanto o più efficace l'uso di uno spaziatore nel quale vengono nebulizzati 4-8 spray da un normale inalatore (6,27-31). Sembra per ora ragionevole limitare questa scelta, che può ridurre il numero delle infezioni ed i costi, ai pazienti collaboranti con asma non minaccioso per la vita. L'uso della via endovenosa dovrebbe essere riservato ai pazienti che tossiscono eccessivamente o presentano già esaurimento muscolare. Per i dosaggi vedi l'Allegato 3. L'aggiunta di un anticolinergico come l' ipratropio bromuro al broncodilatatore può ridurre l’eccessiva risposta colinergica tipica delle esacerbazioni asmatiche contribuendo al controllo dei sintomi. L’uso di un anticolinergico deve essere preso in considerazione nei pazienti con crisi asmatica moderata o grave e in quelli che non migliorano con la terapia standard, prima di considerare l'uso dell'aminofillina. Gli studi clinici in proposito non sono univoci nel dimostrare un sicuro beneficio, specie per quanto riguarda le crisi asmatiche più lievi (32-37). L’ipratropio è peraltro virtualmente privo di effetti collaterali di rilievo ed è economico. Per i dosaggi vedi l'Allegato 3 I corticosteroidi per via sistemica facilitano una più veloce riduzione dell'attacco asmatico acuto (38-40). Poiché il loro effetto non è immediato, ma richiede alcune ore per svilupparsi, è bene somministrare la terapia steroidea appena possibile, con l'eccezione delle crisi più lievi (3-5). Il prednisolone per via orale è risultato altrettanto efficace dell'idrocortisone per via endovenosa (41-43). Per i dosaggi vedi l'Allegato 3 L'aminofillina può essere considerata nel trattamento di pazienti con attacco d'asma grave o minaccioso per la vita o nel caso in cui la terapia di prima scelta con beta-adrenergici e cortisonici non abbia indotto un miglioramento del quadro clinico (44). In generale però, l'evidenza di numerosi studi e di una meta-analisi è contraria all'uso di routine dell'aminofillina nelle crisi asmatiche acute (45-47). Infine, l'aminofillina non deve essere impiegata, o deve essere impiegata solo previo un monitoraggio dei livelli plasmatici, nel caso di pazienti che siano in terapia cronica con teofillinici (3,4). Per i dosaggi vedi l'Allegato 3 L’impiego del magnesio solfato è stato controverso per molto tempo, ma gli studi più recenti ed una accurata metanalisi presentano dati favorevoli al suo utilizzo nelle crisi asmatiche più gravi, mentre il suo uso non offre particolari vantaggi nei pazienti con asma moderata (48,49). Nei pazienti con attacco d'asma sono assolutamente da evitare i farmaci sedativi (4). I mucolitici e gli antistaminici non sono di documentata efficacia. MONITORAGGIO I pazienti con attacco asmatico acuto, specie se moderato o grave non devono essere mai lasciati soli. L'evoluzione dei segni clinici, dei valori del PEF , della saturimetria ed eventualmente della

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emogasanalisi, è il criterio per confermare il progressivo superamento dell'attacco o un peggioramento che richieda ulteriori interventi terapeutici, ivi compresi il ricovero ospedaliero e l'invio in una unità di terapia intensiva. Alcuni studi hanno documentato che si ha una maggior mortalità intraospedaliera tra i malati che non sono stati monitorizzati con la valutazione del PEF (50,51). Le indicazioni a considerare il ricovero in terapia intensiva e l'eventuale intubazione del malato sono in genere le seguenti (3-5): • Comparsa di confusione, torpore o perdita di coscienza • PCO2 > 45 mmHg o in progressivo deterioramento • Ipossiemia con PO2 < 60 mmHg nonostante adeguata ossigenoterapia • PEF < 33% o in progressivo deterioramento • Scarsa risposta alla terapia effettuata in Pronto Soccorso. RINVIO AL DOMICILIO E' ragionevole considerare per il rinvio al domicilio tutti i pazienti che al loro arrivo in ospedale presentino un PEF > 50% del normale o del miglior valore individuale, in assenza di segni minacciosi per la vita e che, dopo il trattamento, abbiano raggiunto valori di PEF > 75% (3,4,6,17), o comunque almeno > 200 l/min, che persistono per almeno un'ora dopo la fine della nebulizzazione con beta-adrenergici. Al momento della dimissione, il paziente dovrebbe discutere con il medico le cause dell'attacco, rivalutare la propria tecnica nell'uso dei farmaci per inalazione e ricevere consigli scritti su come comportarsi in caso di recidiva. Più di uno studio ha documentato che istruzioni di questo genere migliorano il controllo cronico dell'asma e riducono le recidive acute (52-55). Il paziente dovrebbe essere inoltre invitato a presentarsi per un controllo dal curante entro le 24-48 ore successive. I pazienti dimessi dal Pronto Soccorso dopo la risoluzione di una crisi d'asma di intensità moderata (PEF all'arrivo 50%-75%) devono essere dimessi con precise indicazioni terapeutiche e dopo essersi assicurati che dispongano dei farmaci necessari in una dose equivalente a 3-5 giorni di terapia (4). Gli stessi pazienti manifestano una riduzione degli attacchi recidivi d'asma se vengono dimessi con una terapia steroidea (40-60 mg di prednisolone) da proseguire fino ad un massimo di due settimane o al controllo totale dell'esacerbazione asmatica (42,56). Entro il limite delle due settimane, lo steroide può essere sospeso senza necessità di scalare progressivamente la dose. BIBLIOGRAFIA

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Ultima revisione della letteratura in data 14 aprile 2000

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LA DISPNEA NEL TRAUMA TORACICO G. Neretti, C. Ruffini

U.O. Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza A.O. “Luigi Sacco” – Milano

L’importanza della valutazione di B (breathing-respiro), nella sequenza di inquadramento del trauma, emerge già nella composizione dei punteggi che ne costituiscono il linguaggio internazionale di valutazione. Il Revised Trauma Score (RTS) che annovera fra i suoi tre componenti la frequenza respiratoria, ne è l’esempio più consolidato. La raccolta dell’anamnesi secondo lo schema A.M.P.L.E consente di stabilire su quali condizioni fisiopatologiche “basali” si innesta il trauma toracico. Ancora, l’esame obbiettivo condotto secondo la ben nota sequenza della primary e secondary survey, identifica la complessità delle lesioni che sottendono al sintomo dispnea. A tal fine, è utile ricordare che sono almeno tre i grandi capitoli in cui si suddividono le tipologie di lesioni che si manifestano con la dispnea: polmonari (contusione; pneumotorace); vascolari (lesioni dell’aorta o delle vene cave) ed intratoraciche per contiguità (erniazione transdiaframmatica dei visceri addominali). L’embolia grassosa, che può conseguire alle fratture complesse delle ossa lunghe, rappresenta un ulteriore eziologia per la dispnea, da non trascurare soprattutto in considerazione del numero di morti evitabili che sono ascrivibili a questo tipo di lesione. Il ruolo eziopatogenetico dello pneumotorace traumatico è stato nell’ultimo decennio ampiamente chiarito e reso accessibile precocemente nel contesto diagnostico, al punto da determinare forse un certo calo di interesse nel clinico, ad eccezione dei casi di conclamata dispnea; tuttavia appare importante sottolineare che nella sua variante anteriore, lo pneumotorace è uno dei quadri clinici più insidiosi, non rendendosi evidente alla tradizionale radiografia del torace in proiezione antero-posteriore e rivelandosi pertanto solo allo stadio di pneumotorace iperteso. L’impiego della TAC, come approccio diagnostico di base in sostituzione dalla diagnostica radiologica tradizionale, trova anche in quest’ambito una sostanziale conferma. La caratteristica “tempo-dipendenza” delle lesioni traumatiche toraciche, come ad esempio la contusione polmonare, riafferma l’evidenza che la dispnea possa e debba essere considerata, un marker diagnostico e prognostico importante per la sua precocità e semplicità di individuazione. Nella sua accezione più squisitamente fisiopatologica, il paziente con dispnea richiede un trattamento possibilmente non invasivo, almeno nella prima fase della gestione del trauma ad RTS >9, che vede la C-PAP (continous positive airways pressure) effettuata con il casco, proporsi come trattamento di prima linea al fine di “pilotare” lo sviluppo della contusione polmonare e ridurre il lavoro respiratorio, in quei pazienti che non associano lo pneumotorace. Non trascurabile inoltre, è il ruolo emergente dell’analgesia locoregionale tramite catetere peridurale, per migliorare la meccanica respiratoria nel caso di fratture costali che condizionino una dispnea “antalgica” e conseguentemente facilitino il collasso alveolare polmonare sottostante. L’abbinamento di queste due tecniche nei pazienti suscettibili si rivela utile nel garantire il reclutamento degli spazi alveolari con effetti positivi sugli scambi, soprattutto in termini di correzione dell’ipossia. Bibliografia American College of Surgeons Advanced Trauma Life Support for Doctors; ACS 1997 ed aggiornamenti

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LE DISPNEE METABOLICHE Achille Guariglia, Fernando Porro

Dipartimento di EAS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena Milano

Introduzione Il capitolo delle cosiddette “dispnee metaboliche” - termine forse improprio se si vuole mantenere lo specifico carattere di soggettività del sintomo – comprende tutte quelle alterazioni del respiro che hanno un meccanismo di innesco riconducibile ad uno o più squilibri del metabolismo. In questa accezione, il tema si presenta assai vasto ed articolato, perché pressoché tutti gli squilibri metabolici, specie se tra essi comprendiamo anche quelli secondari a farmaci, tossici o droghe, si esprimono di norma con alterazioni del respiro, con una gamma di “patterns” patologici che riguardano sia l’ampiezza che la frequenza o ancora la ritmicità dello stesso. L’ipopnea e/o la bradipnea sono ad esempio espressioni caratteristiche delle intossicazioni da sedativi centrali, come gli oppiacei ed i barbiturici; l’iperpnea e/o la tachipnea, viceversa, sono tipiche delle intossicazioni da salicilati, dell’uremia, della sepsi, della insufficienza epatica e sono presenti in tutti gli stati acidosici (fino al respiro di Kussmaul), ove riflettono la “normale” risposta compensatoria da parte del centri respiratori all’accumulo di H+; il respiro atassico di Biot e quello di Cheyne-Stokes possono infine ritrovarsi, anche se di rado, negli squilibri metabolici più gravi (v. intossicazioni), ove spesso preludono all’arresto respiratorio. Lasciando da parte la precedente classificazione tratta dalla semeiologia classica, che non sembra offrire alcuna ricaduta sul piano clinico-diagnostico, le dispnee metaboliche possono essere più facilmente inquadrate a seconda dei riflessi funzionali che esse determinano, tenendo conto degli effetti sulla ventilazione. Sotto questo aspetto, distingueremo le condizioni che comportano ipoventilazione, decorrenti quindi con ipercapnia, da quelle ove invece sussiste uno stato di iperventilazione, associate quindi ad ipocapnia. Verranno qui di seguito trattate le principali varianti cliniche inseribili in queste due grandi categorie, cercando di sottolinearne gli aspetti fisiopatologici più peculiari e di focalizzare soprattutto quegli elementi che possono portare a chiavi interpretative più immediate. Sindromi ipercapniche. Tra le prime (Tabella I), oltre, ovviamente, ai già menzionati stati di grave depressione centrale del respiro riconducibili ad intossicazione da ipnotici e sedativi, vogliamo sottolineare situazioni meno comuni e sicuramente sottovalutate, ma che hanno un particolare significato per il frequente ruolo giocato da interventi iatrogeni non corretti (v. sindrome da “refeeding”). Mi riferisco alle severe ipofosfatemie ed alle ipopotassiemie (meno, delle ipo-ipermagnesiemie e delle ipo-ipercalcemie): in queste, la depressione centrale, se mai esiste, ha comunque un ruolo marginale, essendo soprattutto il deficit della muscolatura respiratoria su base metabolica ad assumere il maggior peso in termini fisiopatologici e quindi semeiologici. Sempre su base miopatica sono le ipoventilazioni sostenute dagli aminoglicosidi, per il blocco selettivo dell’attività colinergica che essi possono produrre, in caso di sovradosaggio, a livello della placca neuro-muscolare, come quelle verificabili nell’obesità severa e nelle sindromi ipercapniche che possono subentrare in squilibri (v. acidosi metaboliche, insufficienza epatica) comportanti inizialmente uno stato di iperventilazione (v. sotto), essendovi però sottese alterazioni organiche o funzionali (v. malnutrizione) della muscolatura respiratoria. La fatica respiratoria è il meccanismo fisiopatologico univoco di queste forme, che si manifestano più frequentemente con un quadro di acidosi mista o di acidosi respiratoria acuta. Sempre un meccanismo miopatico è richiamabile anche nell’ipercapnia acuta che può insorgere nei soggetti BPCO con deficit ventilatorio, di base ben compensato, quando sottoposti ad un eccessivo introito di glucidi: l’ aumento della produzione di CO2 indotta dalla ossidazione di tali substrati non può infatti tradursi in un

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incremento adeguato della ventilazione/min, per l’esaurimento della riserva funzionale che sussiste, o si può rapidamente instaurare, in tali condizioni. Una ipoventilazione centrale è infine alla base della ipercapnia che segue alla severa alcalosi metabolica (v. possibile ruolo aggiuntivo della deplezione di K), ove evidentemente gioca l’inibizione sul “drive” respiratorio indotto dall’alcalemia. Sindromi ipocapniche. Tra le sindromi che si esprimono con ipocapnia (Tabella II) vanno distinte quelle in cui la riduzione della CO2 sussiste come disturbo primario, configurando un quadro di alcalosi respiratoria, da quelle ove essa invece rappresenta il compenso, più o meno completo, ad uno stato di acidosi metabolica (v. pH). a) Tra le alcalosi respiratorie ritroviamo sia quadri del tutto tranquilli sotto il profilo prognostico, come le varie “forme funzionali” o quelle reattive a stress, come il dolore, la febbre, etc. , che, invece, sindromi cliniche anche assai complesse, come la sepsi, l’insufficienza epatica, le intossicazioni da farmaci, l’abuso di droghe eccitanti, ove l’alcalosi o la stessa ipocapnia possono rientrare nel determinismo oltre che della sintomatologia anche degli eventi patogeni che vi sottendono, fino a divenire elemento di chiara valenza prognostica. Tra le conseguenze dell’alcalosi – e/o dell’ipocapnia – ricordiamo lo sbilanciamento tra richieste di O2, di fatto aumentate, e la disponibilità di O2, invece ridotta (per ischemia secondaria a vasocostrizione, per spostamento a sinistra della curva di dissociazione della Hb), lo stimolo alla sintesi di acidi organici (v. lattato), mentre all’aumento della ventilazione non segue un corrispondente ed atteso incremento della PaO2, essendo prevalenti, come elementi fisiopatologici negativi, la secondaria bronco-costrizione, l’attivazione di alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione, fino all’incremento di fenomeni di shunt. Le aumentate richieste di O2 attribuibili all’alcalosi e/o all’ipocapnia rispecchiano sostanzialmente l’aumento di attività dei tessuti eccitabili, in particolare l’encefalo, ove si dimostra ridotta la soglia epilettogena, anche per l’aumento di AA eccitatori e della dopamina. A livello cardiaco, l’analogo sbilanciamento tra DO2 e richieste favorisce uno stato ischemico e sembra cooperare all’azione aritmogena dell’alcalosi. L’effetto ischemizzante si può associare all’aumento del numero e dell’attività piastrinica (v. aumento dell’aggregazione) ed entrambi i fattori divengono critici nella genesi delle CAD acute frequentemente verificate in corso di alcalosi ipocapnica. Altro organo che può essere definito target elettivo dell’azione patogena dell’alcalosi-ipocapnia è il polmone, in cui, oltre alle già menzionate compromissioni funzionali, possono instaurarsi lesioni organiche ben definite, sulla base di una aumentata permeabilità della barriera alveolo-capillare, di un danno diretto sull’epitelio e di alterazioni del surfactante, tutte alterazioni che possono confluire in quadri anatomo-patologici simili all’ARDS. Sulla base di tutte questo, sembra quindi del tutto giustificato l’assunto che “l’ipocapnia non può essere definita né una entità clinica benigna, né un epifenomeno”, come sottolineato in un recente editoriale sul tema (v. n° 6 in bibliografia). b) Nelle ipocapnie che si associano ad un pH “normale” è evidentemente in causa uno squilibrio misto controbilanciante, con associazione di acidosi metabolica ed alcalosi respiratoria. Dalla tabella (Tabella II) si evince chiaramente come questo squilibrio si ritrovi in sindromi cliniche di assoluta gravità, con stimoli all’iperventilazione che si attivano per eventi patogeni severi, come l’ipossiemia (TEP, EPA) o l’ipovolemia. La componente metabolica può essere strettamente connessa a questi, come nel caso dell’acidosi lattica (LA) su base ipossica e/o ipoperfusiva, oppure è riconducibile a patologie o sindromi acidogene autoctone (DKA, insufficienza renale), con la sovrapposizione però di stimoli aggiuntivi (v. ipossia, etc) sull’attesa risposta iperventilatoria di compenso. Come per tutti gli squilibri misti, anche per questo disordine la letteratura è assai scarsa, pur essendo esso di assoluta rilevanza in termini epidemiologici. Sotto il profilo fisiopatologico non è definito quale sia il principale segnale tra il Δ PCO2 , il Δ H o il Δ HCO3 a regolare l’emodinamica distrettuale, soprattutto cerebrale, essendo differente la loro diffusibilità tissutale (PCO2 > H > HCO3): ciò può

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essere importante soprattutto quando lo squilibrio è acuto (v. sotto), o quando la terapia modifica rapidamente uno dei parametri, potendo convergere sui centri del respiro stimoli di segno opposto di cui non si conosce appieno l’effetto risultante. c) Nel terzo gruppo ritroviamo tutte le forme di acidosi metabolica, in cui sussista una “normale” risposta iperventilatoria di compenso. Ricordiamo che il compenso respiratorio “normale”, ovvero in un range tra 1.2 – 1.4 mm Hg di calo della PaCO2 per ogni mEq di calo dell’HCO3, non permette mai un ritorno alla normalità del pH o dell’acidemia. Questo in realtà è vero solo nelle acidosi stabilizzate e non trattate. Se infatti si esamina la dinamica temporale degli eventi in un’acidosi acuta (diarree ileali profuse, intossicazioni acidogene, DKA) o iperacuta (LA) vi può essere uno sfasamento tra la fase di induzione dell’acidosi stessa, che può realizzarsi in minuti o poche ore, ed il completamento invece del compenso respiratorio, che è più tardivo (12-36 ore). Ne può risultare una fase di acidemia sproporzionata al grado di deplezione bicarbonatica. Se ci si limita alla sola analisi numerica (i.e. calcolo del livello di compenso), si può erroneamente ipotizzare, a quel punto, uno squilibrio misto, con relativa ipercapnia e quindi con una associata acidosi respiratoria. Solo nello steady state lo squilibrio può invece svelarsi nel suo vero carattere di primitività.. La LA ipossica o ipoperfusiva può sfuggire alla regola: in questo modello clinico, infatti, il fenomeno potrebbe essere amplificato dal carattere esplosivo dell’acidosi. In realtà, la fase di “acidosi mista” viene ad essere di fatto minimizzata dall’elettivo stimolo iperventilatorio che vi sussiste, per cui l’ipocapnia è in genere appropriata anche in fase precoce. Da sottolineare che la stessa fase di recupero dell’acidosi, specie se la correzione è indotta rapidamente con l’intervento di alcali esogeni, può proporre analoghi problemi interpretativi, potendosi realizzare uno stato di relativa “alcalosi mista”, la cui componente metabolica è legata alla terapia e quella respiratoria invece alla relativa inerzia della risposta dei centri respiratori: essi infatti tendono a mantenere uno stato iperventilatorio, che è destinato poi a scemare secondo una tempistica analoga alle fasi di induzione (12-36 ore). I problemi clinici connessi a questa alcalemia acuta non sono irrilevanti: anche se transitorio, il brusco innalzamento del pH può infatti portare ad aritmie minacciose, sostanzialmente riconducibili ad ipopotassiemia (ed ipomagnesiemia), a quadri tetanici, in cui entra in gioco la riduzione acuta del Ca++, ed ad un aggravamento di eventuali stati ipossici tissutali, per l’annullamento dell’effetto Bohr che, nella fase acidemica, garantiva una “normale” cessione di ossigeno a fronte del calo del 2-3 DPG. Sono già stati descritti poi gli effetti gli effetti emodinamici negativi, che, soprattutto a livello cerebrale, possono risultare critici sulla perfusione d’organo. Conclusioni Questi, in sintesi, i più immediati spunti di riflessione:

• i riflessi respiratori che sono evocabili in corso di squilibri metabolici possono dar luogo ad espressioni sintomatologiche le più varie, anche se esse sono sostanzialmente suddivisibili in due principali categorie funzionali: quelle che si esprimono con ipoventilazione o quelle invece con iperventilazione;

• tra le sindromi ipercapniche quelle che più di altre richiamano il concetto di “dispnee metaboliche” riconoscono, come meccanismo di fondo, una condizione miopatica, avente nella muscolatura respiratoria, quella cioè più soggetta a stress, la componente maggiormente interessata. Vi si ritrovano patologie primitivamente metaboliche, come il mixedema, l’obesità, la malnutrizione, mentre per altre il problema metabolico può subentrare per interventi iatrogeni non corretti, come nel caso delle miopatie disioniche (ipopotassiemia, ipofosfatemia) o dell’ipercapnia secondaria a carico di glucidi nelle BPCO;

• alla alcalosi ipocapnica, generalmente ritenuta lo squilibrio acido-base primitivo più benigno, è invece sottesa una potenzialità patogena intrinseca ben definita, per i molteplici effetti negativi che essa è in grado di indurre su diversi organi od apparati;

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• l’ipocapnia “a pH normale” va letta, nella clinica, come un preciso segnale d’allarme, in quanto è più spesso associata a gravi sindromi cliniche, di cui a volte è un indicatore precoce;

• l’iperventilazione compensatoria alle acidosi metaboliche non implica mai un compenso completo, deve cioè associarsi ad un pH acidosico. Nell’approccio a tale situazione, va tenuto conto della tempistica della risposta ventilatoria in rapporto alla rapidità dell’evento acidogeno: questo, per meglio inquadrare il problema e quindi evitare il ricorso ad interventi terapeutici (v. alcalinizzazione aggressiva), in grado di produrre danni ben più gravi di quelli che potrebbero derivare dall’acidosi lasciata a sé.

IPOVENTILAZIONE (IPERCAPNIA) Da cause centrali Acuta Farmaci, droghe, alcool Ossigenoterapia in BPCO ipercapnica cronica Arresto cardiaco Cronica Obesità Cerebropatie croniche (rara) Alcalosi metabolica sovracompensata Da cause muscolari e della parete toracica Acuta Miastenia Sindrome di Guillain-Barré Paralisi periodica ipokaliemica, ipopotassiemia, ipofosfatemia Tossicità da esteri fosforici, aminoglicosidi, curaro Carico di glucidi in BPCO con deficit ventilazione Malnutrizione + squilibri con iperventilazione iniziale Cronica Obesità Cerebropatie croniche (rara) Traumi spinali, poliomielite, SLA, SM, mixedema Cifoscoliosi Da ostruzione vie aeree (acuta) Corpi estranei, inalazione “sleep apnea” laringospasmo Alterazioni degli scambi gassosi Acuta BPCO riacutizzata ARDS, EPA, asma severo, polmoniti PNX, emotorace Cronica BPCO Obesità Ventilazione assistita TABELLA I NB: in grassetto-corsivo sono evidenziati le sindromi in cui sono in causa squilibri metabolici

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IPERVENTILAZIONE (IPOCAPNIA) Con alcalemia (alcalosi respiratoria) Acuta Ansia, dolore Ipossia, intossicazione da CO Patologie polmonari ipossiemizzanti (polmoniti, traumi, EPA) TEP Febbre, sepsi, colpo di calore Insufficienza epatica acuta Patologie endocraniche acute (traumi, infezioni, stroke) Intossicazioni (salicilati nell’adulto) Farmaci o droghe (Teofillina, L Tiroxina, Amfetamine, Cocaina) Cronica Altitudine Insufficienza epatica cronica Pneumopatie restrittive Gravidanza Tireotossicosi Patologie endocraniche (ICV, neoplasie, traumi) Con pH normale (acidosi metabolica + alcalosi respiratoria) TEP Insufficienza epatica terminale EPA, scompenso cardiaco cronico Insufficienza renale con “fluid lung” o EPA Ipovolemia con deficit di bicarbonato (diarree, DKA, LA iniziale) Con acidemia (acidosi metabolica con compenso respiratorio) Tutte le acidosi metaboliche TABELLA II NB: in grassetto-corsivo sono evidenziati le sindromi in cui sono in causa squilibri metabolici

Bibliografia di riferimento

• Adrogué HJ, Madias NE: Management of life-threatening acid-base disorders. First of two parts. N Engl J Med, 1998, 338 (1): 26-34

• Adrogué HJ, Madias NE: Management of life-threatening acid-base disorders. Second of two parts. N Engl J Med, 1998, 338 (2): 107-111

• Swenson ER: Metabolic acidosis. Resp Care, 2001, 46 (4): 342-353 • Epstein SK, Singh N: Respiratory acidosis. Resp Care, 2001, 46 (4): 366-381 • Foster GT, Vaziri ND, Sassoon CSH: Respiratory alkalosis. Resp Care, 2001, 46 (4): 384-391 • Laffey JG, Kavanagh BP: Hypocapnia. N Engl J Med, 2002, 347 (1): 43-53 • Rose BD, Post TW: Clinical physiology of acid-base and electrolyte disorders. Mc Graw-Hill 5

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LA GESTIONE DEI PAZIENTI CON SOSPETTO CLINICO DI EMBOLIA POLMONARE NON MASSIVA IN PRONTO SOCCORSO

Sergio Siragusa Professore Associato di Ematologia,

Responsabile Unità Malattie Tromboemboliche ed Emorragiche Università degli Studi di Palermo e-mail: [email protected]

INTRODUZIONE. L’Embolia Polmonare (EP) è una frequente complicanza della Trombosi Venosa Profonda (TVP); essa può essere fatale o causare serie disabilità. Sebbene comune, l’EP è raramente riconosciuta a causa della eterogeneità dei segni e sintomi che spesso portano il medico a diagnosi confondenti. La stretta interdipendenza con la TVP, da cui origina, fa si che attualmente si preferisce descrivere le due patologie con il termine di Trombo-Embolismo Venoso (TEV) acuto. Negli ultimi anni, la migliore conoscenza del TEV, l’uso di profilassi e terapia adeguate, i problemi medico-legali hanno reso attuale e particolarmente attraente la razionalizzazione dell’approccio al paziente affetto da TEV ed in particolar modo da EP. Sebbene la diagnosi di EP sia difficile, è ormai chiaro che il rapido riconoscimento, quindi trattamento della malattia riduce sensibilmente le complicanze acute ed a lungo termine (1). EPIDEMIOLOGIA. L’esatta incidenza della EP sintomatica non è nota; informazioni epidemiologiche attendibili riguardano la casistica nord-americana dove si verificano circa 600.000 episodi per anno, con 100.000-200.000 casi fatali. In Europa l’incidenza sembra attestarsi su circa 2 casi per 1.000 abitanti (1). Tali dati sono comunque inferiori agli episodi complessivi di TEV che riguardano circa 1-50 casi per 1.000 abitanti. Un aspetto interessante è che la mortalità per EP, che rimane alta (25% ad 1 mese dalla diagnosi)(2) è drasticamente ridotta quando la diagnosi viene posta correttamente e viene iniziata una terapia adeguata. Ciò riguarda anche i casi che sintomatologicamente appaiono più gravi. Viceversa, la mancata diagnosi ha una prognosi infausta anche nelle formi paucisintomatiche dove la terapia viene spesso condotta in maniera inadeguata (3). Un registro internazionale (Italia compresa) ha evidenziato che l’incidenza di mortalità a 3 mesi per EP è di circa il 18% (4). FATTORI DI RISCHIO

La conoscenza dei fattori di rischio per TEV aumenta la probabilità di eseguire una diagnosi corretta o aiuta nell’impostare una profilassi adeguata. Nella tabella 1 sono riportati i più comuni fattori di rischio per TEV:

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FATTORI DI RISCHIO PER EP

Ambientali Viaggi aerei a lunga distanza Obesità Fumo di sigarette Ipertensione Immobilità

Naturali Invecchiamento Legati alla donna Terapia anticoncezionale (specialmente pillola III

generazione) Gravidanza Terapia ormonale sostitutiva

Malattie internistiche Precedente TVP o EP Cancro Insufficienza Cardiaca Congestizia BPCO Diabete Malattie infiammatorie croniche CVC (catetere venoso centrale) Pace-maker Farmaci antipsicotici Stroke con emiparesi Allettamento prolungato Vene varicose

Procedure chirurgiche Trauma Chirurgia ortopedica (artroprotesi d’anca e ginocchio, artroscopia) Chirurgia generale, specie se oncologica Chirurgia ginecologica ed urologia Neurochirurgia

Trombofilia Mutazione Fattore V Leiden Mutazione FII (G20210A) Iperomocisteinemia Presenza di Lupus AntiCoagulant (LAC ad alto titolo) Sindrome da anticorpi antifosfolipidi Deficit di AntiTrombina (AT), Proteina C (PC) e Proteina S (PS) Elevati valori di Fattore VIII o IX Incremento della Lipoproteina (a) Resistenza alla Proteina C

RAPPORTO TRA SEDE DELLA TVP E RISCHIO DI EMBOLIZZAZIONE La maggior parte degli episodi di EP originano da trombi localizzati alla pelvi ed agli arti inferiori. Il trombo può pertanto migrare (embolo) attraverso il sistema venoso e raggiungere la circolazione dell’arteria polmonare. I casi di EP fatale dipendono da emboli voluminosi che bloccano la circolazione polmonare in maniera repentina ponendosi a cavallo della biforcazione delle arterie polmonari. Più frequentemente gli episodi di EP sono dovuti ad emboli che determinano una sintomatologia molto eterogenea a seconda dell’entità del distretto vascolare polmonare coinvolto (casi di EP massiva o episodi oligosintomatici). Nella tabella 2 sono riportate le percentuali di eventi embolici in corrispondenza della sede di TVP

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Sede della trombosi Probabilità di dislocazione polmonare

Percentuale sulle EP totali

Pelvi Elevata (>70%) 5-10% Arti inferiori (circolo prossimale)

Elevata (> 50%) 80%

Arti inferiori (circolo distale) Bassa (5-15%) 5% Arti inferiori (circolo della grande safena)

Alta se < 2 cm dalla crosse (> 50%)

2-3

Arti superiori Elevata (> 50%) 3-5% Altre sedi (mesenterica etc) Non conosciuta, possibilmente

bassa 1-2%

L’EP determina alterazioni acute e croniche a livello del circolo polmonare: aumento delle resistenze vascolari polmonari, alterazione dello scambio di gas, aumento dello spazio morto polmonare, broncocostrizione, edema polmonare, emorragia polmonare. Il quadro cronico di maggiore importanza è rappresentato dalla ipertensione polmonare trombo-embolica cronica (IPTC) che si verifica nel 15-20% degli episodi di EP, indipendentemente dall’entità dell’evento embolico. Anzi nei casi di EP oligo o pauci-sintomatica la mancanza di una rapida diagnosi e terapia aumentano il rischio di sviluppare un quadro di IPTC. RACCOMANDAZIONI SULLA RICERCA DELLE CAUSE DI EP IDIOPATICA

• Lo screening trombofilico deve sempre essere preso in considerazioni nei pazienti con EP idiopatica (escludere bene le cause secondarie!) in soggetti di età < 50 anni (grado 1C).

• La ricerca per neoplasia occulta dovrebbe essere presa in considerazione solo quando questa è sospettata clinicamente (da test radiologici o test ematochimici) (Grado 1C)

LA GESTIONE DELLA EMBOLIA POLMONARE

1. Approccio al paziente con sospetto clinico di EP Nel momento in cui la EP è sospettata, le procedure diagnostiche e terapeutiche sono altamente dipendenti dalla presentazione clinica del paziente, dalle risorse locali e dall’esperienza dei medici. Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi algoritmi che aiutano nella interpretazione dei segni e sintomi della EP e nella gestione del paziente nella fase acuta e cronica (5-7). Sfortunatamente, non è ancora presente un approccio universalmente accettato per la gestione del paziente con EP. Il maggiore problema è dato dalla eterogeneità della sintomatologia della EP che può essere estremamente blanda (lieve dispnea o dolore puntorio) o life-threating (EP massiva o sub-massiva). Paradossalmente è proprio la prima forma a destare le maggiori preoccupazioni in quanto è più frequente e spesso non diagnosticata; sono queste forme che, non trattate, hanno un elevato rischio di recidiva anche potenzialmente fatale. Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi test diagnostici (prevalentemente non invasivi) per definire il grado di probabilità clinica del paziente o per escludere la presenza di un fenomeno embolico (8-12). Sebbene molti di questi siano dotati di elevata accuratezza diagnostica ed elevato valore predittivo negativo, essi tuttavia risentono dell’expertise del medico e delle risorse delle Istituzioni. Un approccio metodologicamente corretto è quello di gestire l’iter diagnostico/terapeutico del paziente in base al grado di probabilità clinica (PC) di EP. Ad esempio, un paziente con bassa PC e con test del D-dimero negativo potrebbe interrompere l’iter diagnostico in quanto la possibilità di avere una EP clinicamente significativa in questi casi è molto bassa (< 1%) (8-9). In tutti gli altri casi è necessario eseguire ulteriori accertamenti diagnostici, integrando la PC ed il D-dimero con test che esplorino il circolo venoso profondo (Ecodoppler degli arti inferiori), la perfusione polmonare (Scintigrafia polmonare per

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fusoria e ventilatoria), il circolo polmonare (TAC spirale del polmone o angiopneumografia), a seconda del grado clinico di presentazione, delle risorse della Istituzione dove il paziente è ricoverato e, non da ultimo, dalla sensibilità della componente medica. Nella figura 1 è riportato un algoritmo validato ed usato nel Pronto Soccorso dell’IRCCS Policlinico S. Matteo di Pavia. Diversi algoritmi sono stati pubblicati e suggeriscono il corretto “timing” per l’uso di tali test. Tuttavia, è ormai prassi comune usare la TAC polmonare come test di prima diagnosi nei pazienti con sospetto elevato di EP; essa ha il vantaggio di essere facilmente reperibile, disponibile 24/24 h, e fornire eventuali diagnosi alternative. Va tuttavia ricordato che la TC polmonare (anche la spirale) ha una bassa accuratezza negli emboli sub-segmentali, che pertanto possono non essere diagnosticati (13). Un altro problema, frequente nella pratica clinica durante la notte o week-end e nelle Istituzioni ospedaliere periferiche, è la mancanza di immediata disponibilità di test diagnostici (scintigrafia polmonare, TAC spirale etc). In questi casi il medico deve decidere se ricoverare o meno il paziente e se iniziare o meno la terapia eparinica: un approccio possibile è presentato nell’algoritmo (figura 2) (14). Figura 1. Approccio per la diagnosi di EP non massiva basato su test non invasivi

ECG

EPV/Q scan o AngioTC

EPC Pos

EPC seriata2/3° giorno, 7/10 gg

EPC Neg/D-d Pos

F.U. 90 gg

EPC/D-d Neg

BASSA senza DA

F.U. 90 gg

NO PE

BASSA con DA

Inizio TAO

Alta prob.

Angiopneumo

Mod./Bassa

F.U. a 90 gg

STOP eparina

Normale

V/Q scaneventuale° terapia EBPM

EPC/D-d Neg

RICOVEROV/Q scan o AngioTC

EPC Neg/D-d Pos

EPV/Q scan o AngioTC

EPC Pos

MODERATA/ALTA

PCP

RX torace Emogasanalisi

SOSPETTO DI EP

Legenda: EP (Embolia Polmonare), PCP (Probabilità Clinica Pre-test), EPC (Ecografia per Compressione), D-d (D-dimero), DA (Diagnosi Alternativa), V/Q (scintigrafia polmonare), TAO (Terapia Anticoagulante Orale)

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Figura 2. Algoritmo di intervento in caso di test diagnostici oggettivi non immediatamente disponibili

RACCOMANDAZIONI SULLA GESTIONE DEL PAZIENTE CON SOSPETTO CLINICO DI EP

• E’necessario che i pazienti abbiano una determinazione standardizzata del sospetto clinico (grado 1C)

• Pensare alla diagnosi alternativa se la EP è esclusa (grado 1C) • Il test del D-dimero dovrebbe essere considerato dopo avere stabilito il grado di probabilità

clinica (grado 1B) • Il D-dimero non dovrebbe essere eseguito nei pazienti con alta probabilità clinica di EP (grado

1B) • Un D-dimero negativo esclude la diagnosi di EP solo nei pazienti con bassa probabilità clinica;

in questi pazienti non è necessario proseguire con l’iter diagnostico (grado 1B) • Ogni Ospedale dovrebbe conoscere l’accuratezza diagnostica del proprio D-dimero in quanto

questo influenza la correttezza della diagnosi (grado 1C). • La scintigrafia polmonare (perfusoria e ventilatoria o solo perfusoria in pazienti con radiografia

del torace negativa) dovrebbe essere il test iniziale; tuttavia esso ha alcuni limiti dati dal non ubiquitaria reperibilità e dal frequente riscontro di immagini non diagnostiche (40%). Il vantaggio del test è che esso viene interpretato in maniera standardizzata (criteri PIOPED) ed ha una elevata accuratezza diagnostica nei casi giudicati a bassa (esclude la EP) o alta (conferma la EP) probabilità. Il reperto di intermedia probabilità deve sempre essere seguito da altri test diagnostici (grado 1B).

• La TAC polmonare (meglio se spirale) è di fatto il test più usato per la diagnosi di EP (grado 1B); in strutture con buon expertise nella gestione dell’EP e con esame tecnicamente accurato,

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la TAC negativa esclude la EP. Da notare tuttavia che la TAC (anche spirale) ha una bassa accuratezza diagnostica nelle EP subsegmentali (rischio di falsi negativi) (grado 1A).

• In pazienti sintomatici per TrombosiVenosa Profonda (TVP) degli arti inferiori, la positività dell’ecografia vascolare per compressione conferma anche la diagnosi di EP (grado 1B)

2. Brevi cenni sulla profilassi e terapia della ep non massiva La EP è la principale causa di morte ospedaliera prevenibile; è pertanto ormai diffusa la prassi di eseguire una profilassi antitrombotica nei soggetti a rischio di TEV (15). Nella tabella sono brevemente riassunte le principali modalità di prevenzione primaria del TEV nei pazienti ospedalizzati; è ad tenere bene in mente che anche i pazienti internistici hanno un rischio di TEV tale da suggerire una profilassi farmacologia nella maggior parte dei casi (15). Nei pazienti chirurgici la profilassi è iniziata 12-24 ore prima della procedura chirurgica. Tabella 3. Strategie di prevenzione antitrombotica

STRATEGIE DI PREVENZIONE ANTITROMBOTICA Fattore di rischio ospedaliero Strategia antitrombotica

Pazienti ricoverati per malattie internistiche Enoxaparina 4.000 UI/die, Dalteparina 5.000 U/die, calze elastiche (CE), EBPM + CE in pazienti ad alto rischio

Chirurgia generale EBPM 4.000 UI/die o Eparina Non Frazionata (ENF) 5.000 UI ogni 8 ore (per almeno 7 giorni dall’intervento)

Chirurgia oncologica Enoxaparina 4.000 UI/die per almeno 28 giorni dopo la procedura

Chirurgia d’anca e ginocchio, Frattura d’anca Enoxaparina 4.000 UI/die per almeno 28 giorni dopo la procedura; Nadroparina 0.3 ml/die (24-36 h post chirurgia) e poi secondo peso corporeo; Dalteparina 5000 UI/die per 35 giorni; Fondaparinux 2.5 mg 4-8 ore dopo la chirurgia e per almeno 5-9 giorni

Neurochirurgia Enoxaparina 4.000 UI/die 12-24 ore dopo l‘intervento, almeno fino le dimissioni, CE in aggiunta

Craniotomia per neoplasia cerebrale Enoxaparina 4.000 UI/die almeno 24 ore dopo l‘intervento, almeno fino le dimissioni; ENF 5.000 UI ogni 12 ore; CE in aggiunta

3. La terapia della EP L’uso delle Eparine a Basso Peso Molecolare (EBPM) ha rivoluzionato la terapia della fase acuta della EP emodinamicamente stabile. Le dosi ed i metodi di somministrazione sono semplici, il monitoraggio laboratoristico non è richiesto in quanto le EBPM vengono somministrate in base al peso corporeo (16). La terapia con EBPM è sicura sia in ambiente ospedaliero che nella terapia domiciliare del TEV (15). Questi dati sono ormai ben consolidati nella terapia della TVP e nuove evidenze rendono sicuro l’uso della EBPM anche nella terapia della EP non massiva; studi in corso stanno validando l’efficacia della EBPM anche nella terapia a medio termine della EP massiva o instabile (17-20). Di fatto, l’uso delle EBPM è ormai suggerito da linee guida internazionali e la 7° conferenza dell’American College of Chest Physician suggerisce di preferire le EBPM, rispetto la

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ENF, nei pazienti con EP non massiva (15) (raccomandazione di grado 1A). Sebbene la TVP e l’EP rappresentino diverse manifestazioni cliniche di una stessa malattia, esiste ancora una certa riluttanza da parte del medico ad applicare ai pazienti sintomatici per EP gli stessi approcci terapeutici e gestionali (ad esempio la terapia domiciliare) che ormai vengono applicati ai pazienti con TVP acuta. In effetti, un episodio di EP, anche clinicamente stabile, viene vissuta in maniera drammatica da parte del paziente e, spesso, anche da parte del medico. Ma è lecito considerare il rischio di EP analogo a quello di TVP? Per cercare di rispondere a questa domanda bisogna fare alcune considerazioni. Recenti dati hanno dimostrato che i pazienti con TVP e/o EP tendono a recidivare con la stessa malattia iniziale. Quindi chi ha sviluppato una EP come primo episodio, in caso di recidiva avrà una probabilità maggiore di sviluppare un’altra EP. Alcuni Autori sostengono che il rischio di re-ospedalizzazione per recidiva di EP (Rischio Relativo –RR- di 4.2) sia più alto che quello per di recidiva di TVP (RR di 2.1). Tuttavia, sembra che il cattivo outcome dei pazienti con EP non sia legato al fenomeno embolico per sé, ma dipenda dalle patologie concomitanti quali ad esempio il cancro la BPCO, lo scompenso cardiaco, l’insufficienza renale (2). Nonostante la cattiva prognosi in alcuni pazienti, recenti trial clinici hanno dimostrato che i pazienti adeguatamente trattati inizialmente con EBPM o con ENF e quindi con Terapia Anticoagulante Orale (TAO) hanno un rate di morte per recidiva di EP inferiore all’1%; questo è particolarmente vero nei primi 14 giorni di terapia (21). Recentemente, i risultati dello studio LITE (22) hanno valutato il ruolo di alcuni fattori di rischio quali preddittivi di recidiva o associati ad elevata mortalità; solo la neoplasia correla significativamente con l’aumentata mortalità precoce (28 giorni) ed il rischio di recidiva a 6 mesi. La presenza di EP non sembra costituire un fattore prognostico peggiore della TVP. Tabella 4. Peso di alcuni fattori di rischio per la mortalità o recidiva in pazienti con TEV sintomatico

Hazard ratio (95% Confidence Intervals) Caratteristica Mortalità a 28 giorni Recidiva di TEV Sesso (maschi vs femmine) 2.3 (0.6-9.4) 1.8 (0.5-7.2) Età (>65 vs < 65) 1.0 (0.2-4.1) 1.6 (0.4-6.8) Tipo di TEV (TVP vs EP) 0.9 (0.2-3.6) 2.2 (0.5-9.4) Cancro (vs no cancro) 5.2 (1.4-19.9) 9.2 (2.0-41.7)*

* statisticamente significativo Un punto cruciale nella gestione semplificata della EP risiede nella possibilità di usare le EBPM al posto della ENF che dovrebbe essere data per via endovenosa monitorando i valori di aPTT (Tempo di Tromboplastina Parziale attivata) 1.5 -2.0 volte i valori basali. E’chiaro che l’uso di un farmaco che non richiede monitoraggio laboratoristico, che viene somministrato per via sottocute e che viene dato in base al peso corporeo rende possibile non solo una facile gestione ospedaliera ma consente anche la terapia domiciliare. Quali sono le evidenze che dimostrano che le EBPM sono analoghe all’ENF nel trattamento della fase iniziale della EP? E’ormai consolidato il fatto che le EBPM abbiano sostituito l’ENF nella terapia ospedaliera e domiciliare della TVP (16); sebbene molti di questi studi abbiano incluso pazienti con EP concomitante sintomatica, solo recentemente sono stati pubblicati studi ad hoc sulla terapia di pazienti che abbiano manifestato la EP come primo o unico episodio di TEV. Una recente meta-analisi riassume i principali end-points che hanno confrontato il trattamento con EBPM rispetto a quello standard con ENF nella terapia della EP sintomatica, emodinamicamente stabile (tabella 5)(23).

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Tabella 5. TEV sintomatico e mortalità alla fine del trattamento in trials confrontanti le EBPM versus la ENF nel trattamento della EP acuta sintomatica

Outcome EBPM n/n (%)

ENF n/n (%)

Odds Ratio (95% CI)

Ogni evento di TEV 14/1023 (1.4) 22/928 (2.4) 0.63 (0.33-1.18) TVP 1/926 (0.1) 7/825 (0.8) 0.47 (0.17-1.26) EP 13/926 (1.4) 14/825 (1.7) 0.91 (0.45-1.85) Mortalità 14/1023 (1.4) 11/928 (1.2) 1.20 (0.59-2.45)

Tali risultati confermano che le EBPM sono almeno efficaci e sicure quanto la ENF anche nel trattamento di pazienti che si presentano con segni e sintomi clinici tipici per EP, anche se tali dati riguardano prevalentemente pazienti con forme emodinamicamente stabili. Anche se non statisticamente significativo, l’uso delle EBPM mostra un trend nella riduzione degli eventi recidivanti (sia di casi di TVP o EP); tale dato dovrebbe essere ulteriormente confermato in studi ad hoc con una numerosità campionaria sufficiente. Anche il rischio emorragico è stato sovrapponibile; nella tabella 6 è riportata l’incidenza di emorragia maggiore e minore che si è verificata nei pazienti trattati con EBPM ed in quelli con ENF. Da segnalare un trend in favore dell’uso delle EBPM nel ridurre il rischio di emorragie maggiori:

Outcome EBPM n/n (%)

ENF n/n (%)

Odds ratio (95% CI)

Emorragia maggiore 14/1023 (1.4) 21/928 (2.3) 0.67 (0.36-1.27) Emorragia minore 67/928 (6.8) 48/874 (5.5) 1.08 (0.73-1.59)

Si discute molto sulla necessità che alcuni clinici sentono di garantire una migliore sicurezza al paziente mediante l’applicazione di filtri cavali sia temporanei che definitivi; tale approccio è generalmente motivato dal riscontro di un trombo “flottante”. In realtà non esistono criteri metodologicamente corretti che possano definire un trombo più a rischio di un altro; il riscontro di un trombo che possa apparire all’ecodoppler o ad altre indagine invasive come “flottante” non correla con l’aumentato rischio di embolizzazione. L’unico criterio per cui un trombo potrebbe essere a maggiore rischio di embolizzazione è dato dalla sede prossimale (più elevato il rischio embolico nei trombi iliaci o pelvici). Tuttavia, è di riscontro clinico la presenza di EP che originino da trombi localizzati in sede distale (polpaccio). Pertanto, l’unico criterio che deve guidare all’uso di un filtro cavale è dato dalla impossibilità di eseguire una corretta anticoagulazione (emorragia in atto, ad esempio) o dalla presenza di recidive di EP anche in corso di corretta anticoagulazione. Inoltre, l’applicazione di un filtro è associato ad un elevato rischio di recidiva di TVP (anche se il paziente viene anticoagulato) perdendo pertanto il vantaggio di un ridotto rischio di embolizzazione ottenuto nella fase iniziale (primi 15 giorni). In uno studio del 1998, non si sono ottenuti vantaggi in termini di sopravvivenza tra i pazienti con TVP che hanno applicato un filtro rispetto a quelli sottoposti a sola terapia antitrombotica (24). Il ruolo sul lungo periodo dei filtri rimovibili, sebbene promettente, è ancora in fase di investigazione. RACCOMANDAZIONI SULLA TERAPIA DELLA FASE ACUTA DELLA EP NON MASSIVA La trombolisi non dovrebbe essere usata come primo approccio nei pazienti con EP non massiva (o emodinamicamente stabile) (grado 1B)

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• In attesa della diagnosi strumentale, bisognerebbe dare EBPM nei pazienti con rischio clinico moderato/alto (grado 1C)

• E’ preferibile l’uso di EBPM rispetto all’ENF (grado 1A) • La dose di EBPM è quella terapeutica (grado 1A) • In pazienti con severa insufficienza renale (creatinina > 2.5), è preferibile usare ENF

e.v. rispetto alle EBPM (grado 1C) • La durata della terapia eparinica (sia EBPM o ENF e.v.) dovrebbe essere proseguita per

almeno 5 giorni fino a quando la terapia anticoagulante orale abbia raggiunto un INR > 2.0 da almeno 24 ore (grado 1A)

• Non dovrebbe essere usata la trombolisi loco-regionale, la trombectomia o altri approcci di frammentazione meccanica del trombo (grado 2A)

• L’uso di filtri cavali (sia temporanei che definitivi) dovrebbe essere limitato solamente ai casi in cui sia impossibile eseguire una corretta anticoagulazione o nei casi con recidiva certa in presenza di un adeguato trattamento antitrombotico (grado 1A)

La terapia a lungo termine della EP non massiva è essenzialmente sovrapponibile a quella della TVP; i pazienti con EP confermata iniziano, insieme alle EBPM, la terapia dicumarolica (Warfarin) con schemi terapeutici che portino entro 4-6 giorni il paziente ad avere un valore di INR compreso tra 2.0-3.0. Tale target di anticoagulazione si è dimostrato essere associato ad una elevata protezione dal rischio di recidiva con un rischio emorragico < 1% (15). Non appena in range per almeno 24 ore, il paziente può sospendere la terapia eparinica. Per quanto tempo dovrebbe essere proseguita la terapia anticoagulante orale (TAO)? Sebbene la EP sia considerata a maggior rischio rispetto la TVP, i criteri per la durata della TAO sono analoghi a quelli per la TVP; di seguito sono riportate le attuali indicazioni, in base all’evento che ha determinato il fenomeno trombo-embolico: RACCOMANDAZIONI SULLA TERAPIA A LUNGO TERMINE DELLA EP NON MASSIVA

• Nei pazienti con un primo episodio di EP secondaria a fattori di rischio transitori, la TAO dovrebbe essere condotta per almeno 3 mesi (grado 1A).

• Nei pazienti con episodio idiopatico di EP, la TAO dovrebbe essere condotta per 6-12 mesi. (grado 1A). Alcuni autori possono considerare anche una terapia indefinita (grado 2A)

• Nei pazienti con EP dovuta a sindrome da anticorpi antifosfolipidi o dalla presenza di 2 o più condizioni trombofiliche (ad esempio la presenza di F V Leiden e FII G20210A), la TAO dovrebbe durare per almeno12 mesi (grado 1C); altri autori suggeriscono la terapia indefinita (Grado 2C).

• Tale approccio è indicato anche nei casi di deficit di AntiTrombina, proteina C ed S, iperomocisteinemia o elevati valori di FVIII.

• In pazienti con 2 o più episodi di EP idiopatica, è consigliabile eseguire la TAO indefinitivamente (grado 2A).

4. La terapia domiciliare Grazie all’uso delle EBPM, è possibile programmare un trattamento domiciliare nei pazienti con TEV acuto sintomatico. In realtà, le Istituzioni che applicano la terapia domiciliare per la TVP variano in maniera consistente in quanto la terapia domiciliare richiede una buona organizzazione e la corretta individuazione del paziente a basso rischio di recidiva. Tale approccio è più facile nel paziente con TVP, dove diverse investigazioni hanno confermato la sicurezza e fattibilità di tale approccio sia mediante una breve ospedalizzazione (2-3 giorni), sia con la dimissione immediata

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del paziente dopo conferma della diagnosi e piano terapeutico. Le linee guida internazionali (ACCP) indicano alcuni tra i criteri minimi per garantire la riuscita di un piano domiciliare(15):

• Condizioni generali stabili e segni vitali normali • Basso rischio emorragico • Assenza di insufficienza renale severa • Sistema pratico per la somministrazione di EBPM e il monitoraggio della TAO • Sorveglianza e terapia delle complicanze (recidiva di TEV, emorragie) • Assenza di patologie associate richiedenti il ricovero

Nei pazienti con EP la scelta di un trattamento domiciliare è sicuramente più difficile, in quanto il paziente è considerato a più elevato rischio di complicanze. In realtà, come precedentemente evidenziato, il rischio di recidiva di EP rimane comunque molto basso se il paziente viene correttamente trattato. Pertanto alcuni gruppi hanno esplorato la sicurezza della terapia domiciliare anche nei pazienti con EP sintomatica, emodinamicamente stabile. I criteri più usati per selezionare i pazienti a minor rischio sono stati quelli di sopra elencati a cui si aggiungono, nel caso dell’EP, i seguenti:

• pazienti che necessitano di ossigenoterapia • quadro dubbio di stabilità emodinamica • chirurgia recente (48 ore)

Nella tabella 7 sono riportati i risultati di 2 investigazioni, per un totale di 226 pazienti che hanno valutato prospetticamente un approccio domiciliare immediato nei pazienti con EP sintomatica (25-26). Tali pazienti sono stati trattati con dosi terapeutiche di Dalteparina 200 UI/Kg/die o Enoxaparina 100UI/Kg/12h.

Eventi a 3 mesi di follow-up Terapia domiciliare 143/226 (63.2%)

Ricovero 83/226 (36.7%)

Recidiva di TEV 4.9% (7/143) 7.2% (6/83)

Emorragia maggiore 1.4% (2/143) 3.6% (3/83)

Mortalità non legata al TEV 4.1% (6/143) 4.8% (4/83)

Sebbene i risultati di tali investigazioni siano incoraggianti, è opportuno considerare che prima di rendere esportabile a tutte le strutture sanitarie un tale approccio, è necessario aspettare il risultato di ulteriori studi clinici e la possibilità di ben selezionare i requisiti minimi per una sicura terapia a domicilio. 5. Il problema del cancro Il legame tra trombosi e cancro è ben conosciuto; circa il 20% dei pazienti oncologici ha o svilupperà un fenomeno tromboembolico venoso nel corso della sua malattia. Le cause sono molteplici e solo in parte conosciuti (citochine, chemio- e radioterapia, chirurgia, allettamento, terapia ormonale etc). Non è scopo di questa rassegna quella di esplorare i rapporti tra tumore e trombosi, ma senza dubbio il problema del cancro sarà di predominante interesse nei prossimi anni in quanto la maggior parte dei pazienti con TEV sono ormai oncologici.

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Il ruolo delle EBPM nel paziente oncologico è estremamente importante in quanto la terapia anticoagulante orale è, nei pazienti oncologici, poco efficace (elevato rischio di recidive) e poco sicura (elevato rischio di emorragie). Alcune investigazioni recenti hanno dimostrato che la terapia prolungata con EBPM sia efficace e sicura nel paziente oncologico; in questi casi le EBPM, generalmente a dosi ridotte di 1/3, sostituiscono la TAO per tutta la durata della terapia (27). Un aspetto molto interessante, già evidenziato da alcuni autori diversi anni fa, risiede nel fatto che le EBPM riducano la mortalità nei pazienti oncologici; questo è particolarmente vero nei soggetti con neoplasia non metastatizzata (16). Sembra infatti, che le EBPM posseggano, tra l’altro, un effetto antiangiogenetico che sia in grado di inibire la vascolarizzazione tumorale, purchè questo avvenga ovviamente nelle fasi precoci di malattia. Tali dati devono comunque essere confermati in studi clinici disegnati ad hoc. Ad ogni modo, la terapia con EBPM sta modificando radicalmente la terapia del TEV nel paziente oncologico, ed è diventata di fatto il farmaco di prima scelta. Essa infatti permette anche la terapia domiciliare nei pazienti affetti da cancro che possano usufruire di tale trattamento (25) RACCOMANDAZIONI SULLA TERAPIA A LUNGO TERMINE DELLA EP NON MASSIVA, NEI PAZIENTI ONCOLOGICI

• Nei pazienti oncologici con EP, la terapia di prima scelta sono le EBPM che devono essere proseguite per almeno 3-6 mesi (grado 1A) o fino a quando il processo oncologico si sia risolto (grado 1C).

• La dose di EBPM dovrebbe essere quella terapeutica per il primo mese, e poi ridotta di 1/3 per il restante periodo

CONCLUSIONI

L’embolia polmonare rappresenta una frequente e spesso misconosciuta patologia in Pronto Soccorso e medicina d’urgenza. Paradossalmente sono le forme meno gravi a poter creare i maggiori problemi in quanto, se non riconosciute ed opportunamente trattate, possono portare il paziente a frequente recidiva e complicanze a lungo termine. Di contro, una eccessiva attenzione al problema porterebbe all’esecuzione di indagini strumentali e diagnostiche non necessarie, comportando un incremento dei costi sanitari, dei ricoveri inappropriati e dei trattamenti inopportuni. Attualmente, in assenza di linee guida ubiquitarie (difficilmente applicabili in considerazione delle diverse risorse delle Istituzioni ospedaliere) esistono alcuni percorsi diagnostici/terapeutici che possono aiutare i medici in urgenza nel discriminare il paziente a basso o alto rischio di EP. La scelta di un approccio basato su indagini invasive (ad esempio TAC o scintigrafia polmonare) o non invasive (probabilità pre-test, score clinico, D-dimero) dipende essenzialmente dalle risorse a disposizioni del medico di P.S.; entrambi gli approcci, se correttamente interpretati ed applicati, permettono di ridurre ricoveri inappropriati o complicanze a lungo termine. E’ tuttavia necessario che tali percorsi vengano validati nelle singole strutture prima di essere applicati.

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LE POLMONITI ACQUISITE IN COMUNITÀ: CRITERI PER IL RICOVERO Lorenzo Minoli

Cattedra Malattie Infettive Università di Pavia IRCCS Policlinico San Matteo Pavia

La classificazione delle polmoniti che si è rilevata più utile nella pratica clinica sotto l’aspetto diagnostico/terapeutico comprende 1. la polmonite acquisita in comunità (CAP) o polmonite extra-ospedaliera o contratta a domicilio, 2. la polmonite nosocomiale, 3. la polmonite nel paziente immunocompromesso. Viene definita CAP l’infezione del parenchima polmonare in pazienti che nei 14 giorni precedenti l’esordio della malattia non sono stati ricoverati in reparti ospedalieri; viceversa , le polmoniti acquisite in ospedale sono quelle insorte durante la degenza ospedaliera o nelle due settimane successive alla dimissione. Si stima che le polmoniti in Italia siano circa 1 milione per anno. Nel 1999 gli ospedali italiani hanno avuto 130.000 ricoveri per polmonite con 1.416.000 giornate di degenza e un costo di oltre 500 milioni di euro. Le polmoniti trattate a domicilio sono invece costate 700.000 euro. La letalità in Italia è di 12 casi per 100.000. Nella maggior parte dei Paesi industrializzati la polmonite batterica, da sola o in associazione a precedente sindrome influenzale, costituisce la 6^ causa di morte. I soggetti anziani (> 65 anni) presentano tassi di letalità per polmonite 4-5 volte maggiori rispetto alle altre fasce di età. La maggior suscettibilità dell’anziano è correlata alla presenza di numerosi fattori di rischio e co-morbilità: 1. ridotta riserva respiratoria per progressiva riduzione dell’elasticità alveolare, 2. presenza pressocchè costante di insufficienza cardiaca con stasi polmonare, 3. riduzione del trasporto muco-ciliare, 4. riduzione del riflesso tussigeno, 5. ridotta idratazione. Solo nel neonato prematuro si hanno simili incidenze. Gli agenti responsabili della polmoni vengono identificati solo nel 50% dei casi rendendo cosi necessaria in molti casi una terapia empirica della CAP. Il principale patogeno che si osserva nelle CAP è Streptococcus pneumoniae (11-48%) che in ¼ dei casi viene isolato anche dalle emocolture; segue H. influenzae (2,7-11%). Dati molto variabili sono invece riportati per i microrganismi atipici come Mycoplasma pneumoniae (2,5-32,5%), Chlamydia pneumoniae (0-16,3%), frequenti nei pazienti giovani, e Legionella pneumophila (0-8%). Altri patogeni comprendono Staphylococcus aureus (1,4-5%), Moraxella catarrhalis (0,2-3%), Enterobatteri (1-11%), Pseudomonas aeruginosa (0-2%), influenza A e virus respiratorio sinciziale. L’algoritmo diagnostico della CAP comprende l’anamnesi e l’esame obiettivo per rilevare i sintomi (febbre, brivido, rigidità, dolore pleurico,mialgie,cefalea, confusione) e i segni di consolidamento lobare e di compromissione del parenchima. Negli ultimi anni sono stati preparati diversi sistemi di valutazione a punti volti a quantificare il rischio complessivo nei pazienti con polmonite. Il modello di Fine (N Engl J Med, 1997;336:243-250) è uno dei più accreditati e assegna i pazienti con CAP a 5 classi sulla base di numerosi parametri prognostici (vedi Tabella 1).

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CLASSE 1

I criteri aiutano ad identificare i pazienti con CAP a basso rischio per morte o altri eventi avversi. L’uso di questi criteri può aiutare il medico a stabilire quali pazienti debbano essere ricoverati in ospedale per il trattamento della loro malattia.

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La maggior parte dei pazienti quindi viene gestita a domicilio, ambulatoriamente o presso case di riposo con una terapia antibiotica empirica, laddove la radiografia del torace viene eseguita se possibile o se necessario e dove le indagini microbiologiche non vengono per lo più effettuate. Di quelli ospedalizzati dopo una valutazione radiologica , emogasanalisi, emocromo con formula leucocitaria e esami biochimici non più del 10-20% richiede di essere curato in unità di terapia intensiva se presenti almeno 2 di questi 3 rilievi: pressione sistolica < 90 mmHg, rapporto PaO2/Fi02 < 250, infiltrati multilobari. Nei pazienti ricoverati devono essere messe in atto tutta una serie di indagini microbiologiche contestualmente all’inizio di una terapia antibiotica empirica (Tabella 2). emocolture (⊇ 2)………………………………………………………………..+++ Colorazione di Gram e coltura espettorato………………….+++ Ag urinario per Legionella………………………………………………..+++ Ag urinario per Streptococcus pneumoniae…………………+ Sierologie (Chlamydia, Mycoplasma, etc)…………………….+/- Toracentesi (coltura)………………………………………………………..++ Broncoscopia (Bal, brushing)……………………………………………+ (++) (+++) Nel processo decisionale terapeutico della CAP vanno infine presi in considerazione i seguenti fattori : Gravità della malattia Possibili patogeni Emergenza di profili di resistenza Disponibilità di linee guida condivise (ATS, ICSI, IDSA, FADOI…) Durata del trattamento Profilo di sicurezza del trattamento scelto Costi e risultati di efficacia clinica Il farmaco ideale deve coprire i patogeni associati alla CAP, compresi i ceppi resistenti. Deve essere battericida e penetrare bene nei tessuti. Non devono esserci interazioni farmacologiche, effetti avversi. E’ auspicabile una somministrazione singola giornaliera di farmaco, a bassa possibilità di resistenza e a costi accettabili. Nel paziente adulto immunocompetente con CAP la terapia prevede: macrolide + ceftriaxone/cefotaxime macrolide + amoxi-clavulanico (3-4 g/die) fluorchinolone (levofloxacina/moxifloxacina) Telitromicina (solo per os)

• se Pseudomonas spp: Ceftazidime/Cefepime/Piperacillinatazobactam/Carbapenemici + Ciprofloxacina/Aminoglicosidi

• se polmonite da aspirazione: Amoxi-clavulanato e.v.

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o Levofloxacina e.v. + Clindamicina/Metronidazolo In Italia la resistenza dello pneumococco ai macrolidi è riportata attorno al 31% e alla doxiciclina attorno al 35%. Segnalata nel mondo resistenza ai fluorchinolonici. Nei pazienti ospedalizzati il miglioramento clinico si osserva tipicamente dopo 72 ore di trattamento. In passato era d’uso un trattamento parenterale per almeno 7 giorni,; oggi appena possibile si passa alla terapia orale con dimissione del paziente se stabile. La durata della terapia per lo Streptococcus pneumoniae è di 7-14 giorni e di 10-21 giorni per la polmonite da atipici. Per il paziente che non risponde o non migliora dopo 72 ore è necessaria una rivalutazione della diagnosi e della terapia antibiotica, considerando anche la possibilità di un agente microbico resistente. Per trattare la polmonite pneumococcica con resistenza alla penicillina di grado intermedio (concentrazione minima inibente [MIC] da 0,1 a 2 ug/ml), possono essere impiegati il ceftriaxone , la cefotaxima o alte dosi di penicillina e.v. (12 milioni di unità/die nell’adulto). Per i ceppi altamente resistenti (MIC > 2 ug/ml), possono essere necessari un fluorchinolone e.v. , la vancomicina o il linezolid, e questi dovrebbero essere aggiunti in tutti i pazienti in gravi condizioni e in quelli che non rispondono al ceftriaxone, alla cefotaxima o ad alte dosi di penicillina.

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LO SCOMPENSO CARDIACO ACUTO. C. Campana, M. Pasotti, F.I. Gambarin, N. Ajmone Marsan, G. Magrini, S. Ghio, A. Serio

Unità Scompenso Cardiaco e Trapianti, Dipartimento di Cardiologia IRCCS Policlinico S.Matteo Pavia

Acute heart failure is defined as the rapid onset of symptoms and signs secondary to abnormal cardiac function, according to the definition of “Executive summary of the guidelines on the diagnosis and treatment of acute heart failure” made by the Task Force of the European Society of Cardiology. The acute cardiac failure can be related to systolic or diastolic dysfunction, to abnormalities of cardiac rhythm or to pre-load and after-load mismatch. Acute heart failure can present as acute de novo or acute decompensation of chronic heart failure. Several ndifferent clinical conditions are recognized at presentation:

• acute decompensated heart failure • hypertensive acute heart failure • pulmonary oedema • cardiogenic shock • high output failure • right heart failure

The diagnosis of AHF is based on symptoms and clinical finding, supported by several investigations, as ECG, chest X-ray, Doppler echocardiography, bichemical markers including BNP and right heart catheterization. The clinical evaluation can be adequately performed according with the Nohria classification. The ECG is able to identify the rhythm and it contributes in the definition of the etiology of cardiac disease. Chest X-ray should be performed early for all patients with AHF to evaluate pre-existing chest or cardiac conditions and to assess pulmonary congestion. Among the laboratory tests, arterial blood gas analysis enables assessment of oxygenation, respiratory adequacy, acid-base balance and base deficit; plasma BNP can be used to exclude and/or identify congestive heart failure in patients evaluated for dyspnoea. Echocardiography and Doppler imaging should be used to define regional and global left and right ventricular function, valvular structures and function and post-infarction complications. The role of pulmonary artery catheterization (PAC) is controversial: the results of ESCAPE trial showed that a non invasive diagnostic and therapeutic approach is not inferior than another guided by PAC; nevertheless PAC is to be considered a useful tool to define the pulmonary vascular resistances and cardiac output in patients who need a more complex diagnostic and prognostic approach or a surgical procedure. The immediate goals of the treatment are to improve symptoms and to stabilize the hemodynamic conditions; however an isolated improvement in hemodynamic assessment may be misleading and a concomitant favourable effect on symptoms is generally required. Therapy: The rationale for oxygen and ventilatory assistance in AHF is related to the need to maintain an SaO2 within the normal range (95-98%), usually able to maximize the oxygen delivery to the tissues.(Continuous positive pulmonary pressure (CPAP) is generally associated with a decreased need for intubation and a trend to decreased in-hospital mortality; non-invasive positive pulmonary ventilation (NIPPV) is a more sophisticated technique that requires a ventilator and it appears to decrease the need for endotracheal intubation, without a significant reduction in mortality or improvement in long-term function. The early application of CPAP and NIPPV in acute cardiogenic oedema is associated with a significant reduction in the need for tracheal intubation and mechanical ventilation; moreover mechanical

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ventilation with endotracheal intubation in AHF can be effectively used in more compromised patients to reverse AHF-induced respiratory muscle fatigue. Medical treatment. Among the first line medical therapies of AHF, vasodilators should be considered a useful tool in presence of hypoperfusion associated with signs of pulmonary congestion and low diuresis; nitrates relieve pulmonary congestion without compromising stroke volume or increasing myocardial oxygen demand. Sodium nitroprusside is more indicated in patients with increased afterload as in hypertensive heart failure or in presence of severe mitral regurgitation. Nesiritide is a new drug, actually registered by FDA but not by EMEA; it represents a new class of vasodilators – a recombinant human brain or B-type natriuretic peptide (BNP) analogous of the endogenous hormone. It is a venous, arterial and coronary vasodilator that reduces preload and afterload, increasing the cardiac output. The beneficial hemodynamic actions are related with an enhanced sodium excretion and a suppression of the renin-angiotensin-aldosterone and sympathetic overstimulation.Nesiritide may cause hypotension and renal side effects. The diuretics are indicated in patients with acute decompensated heart failure in the presence of symptoms secondary to fluid retention; their practical use can be sometimes difficult because of a condition of diuretic resistance. The administration of inotropic agents is suitable in the presence of peripheral hypoperfusion (hypotension, decreased renal function) with/without congestion or pulmonary oedema refractory to diuretics and vasodilators at optimal doses; their use is potentially harmful as they increase oxygen demand and calcium loading; among them, beta-receptor agonists and/or phosphodiesterase inhibitors are used for a long time. Levosimendan represents a new inotropic agent characterized by two different mechanisms of action: Ca** sensitization of the contractile proteins responsible for a positive inotropic action and a smooth muscle K* channel opening responsible for peripheral vasodilation; levosimendan is indicated in patients with symptomatic low cardiac output heart failure secondary to cardiac systolic dysfunction without severe hypotension. The use of vasopressor agents (epinephrine, norepinephrine) should be reserved in cases of cardiogenic shock. The digitalis administration represents a controversial issue: in acute heart failure cardiac glycosides produce only a small increase in cardiac output and a reduction of filling pressures but these drugs are effective in the rate control of tachyarrhythmias precipitating acute heart failure. The device implementation should be certainly evaluated in several conditions of acute heart failure: in patients with severe renal dysfunction and refractory fluid retention continuous veno-venous haemofiltration (CVVH) can restore a normovolemic conditions with evidence of beneficial effects on the neurohormonal balance. In presence of severe bradyarrhythmias, in case of no response to medical therapy including atropine and isoproterenol, a temporary pacemaker should be inserted; for the treatment of life-treathening arrhythmias, when the drug are insufficient, the treatment needs electrical cardioversion, if necessary, with ventilator assistance. Themporary mechanical circulatory assistance may be indicated in patients with acute heart failure not responding to conventional therapy and in presence of a possible myocardial recovery or as a bridge to heart transplant or conventional cardiac surgery. Intra-aortic balloon counterpulsation (IABP) is generally indicated in acute heart failure related to cardiogenic shock or acute left heart failure: in patients who don’t respond to medical treatment or in ischemic heart disease complicated by severe mitral regurgitation or interventricular septum rupture. Ventricular assist devices are a more powerful options; these devices are able to unload the ventricle, decreasing the myocardial work and pump blood into the arterial system, increasing peripheral and end-organ flow. Continuous or pulsatile flow devices are available which enable to warrant short or long-term mechanical assistances.

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ALLEGATO 1 Gradi di raccomandazione impiegati nell'estensione di queste linee guida (in accordo con le indicazioni della US Agency for Health care Policy and Research).

GRADO RACCOMANDAZIONE A E' richiesto almeno uno studio clinico controllato e randomizzato,

come parte di un corpo di letteratura di buona qualità e consistenza che sostiene una specifica raccomandazione.

B E' richiesta la disponibilità di studi clinici ben condotti, in assenza di studi clinici randomizzati sulla specifica raccomandazione.

C E' richiesta la sola evidenza derivante da conferenze di consenso e/o da opinioni o esperienze cliniche di autorità riconosciute nel campo. Implica l'assenza di studi clinici direttamente applicabili alla singola raccomandazione.

ALLEGATO 2 Schema per la raccolta dei dati relativi ad un paziente con attacco d'asma .

Marker Valori obiettivo Ore: Ore: Ore: PARLA SI POLSO < 110 FREQ RESP < 25 ESAUSTIONE NO MURMURE PRESENTE PEF > 75% o

> 200 l/min

SaO2 > 92% PaO2 > 60 mmHg PaCO2 < 45 mmHg pH > 7,3

Nel caso anche uno solo di questi parametri sia al di sotto dei valori indicati: 1. Iniziare O2 ad alto flusso, beta-adrenergici per nebulizzazione e steroidi. 2. Se PaCO2 > 45 mmHg, o se il paziente è esausto, il murmure vescicolare è assente o la frequenza cardiaca sale nonostante la terapia, considerare trasferimento in unità di terapia intensiva.

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ALLEGATO 3 Dosaggio dei principali farmaci impiegati nel trattamento dell'attacco d'asma.

FARMACO DOSE INTERVALLO TRA LE DOSI

Salbutamolo 2,5-5 mg per nebulizzazione in O2 a 6l/min; 4 puff (400 mcg) per inalazione da uno spaziatore di grande volume; 250 mcg per infusione endovenosa in 10 minuti.

Ripetibili ogni 20 minuti nella prima ora di trattamento e poi ogni 60-240 minuti sulla base delle condizioni cliniche.

Idrocortisone Prednisone/metilprednisolone

200 mg per iniezione endovenosa lenta. 40-60 mg per via orale o per iniezione endovenosa lenta.

Ripetibile ogni 4-6 ore nelle prime 24 ore.

Ipratropio bromuro 0,5 mg per nebulizzazione, (in associazione con salbutamolo)

Ripetibile ogni 20 minuti nella prima ora di trattamento.

Magnesio solfato 2g in bolo lento Aminofillina 250 mg per infusione

endovenosa in 20 minuti. Semel. Si può proseguire con infusione endovenosa 0,4-0,6 mg/Kg/h. NOTA: non impiegare nei pazienti già in trattamento cronico.

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LA DISPNEA PSICOGENA Pierluigi Politi

Università di Pavia, DSSAeP – Sezione di Psichiatria Cercando “dispnea psicogena” su PubMed (maggio 2005), si trovano tre lavori soltanto: uno cinese, uno russo, uno giapponese; gli ultimi due in lingua originale. Incredibile, viene da pensare; ci sarà un motivo. O siamo in odor di Nobel, o trattiamo dell’acqua calda. Propenderei per la seconda ipotesi. Anche se, spesso, l’acqua calda è utile… Tra ansia e dispnea esiste, peraltro, una relazione biunivoca: quasi sempre la dispnea comporta ansietà; molto spesso l’ansia viene descritta nei termini di mancanza d’aria, di fatica a respirare. Dunque, nella maggior parte dei casi dobbiamo trattare l’una e l’altra, senza farci, a nostra volta “soffocare” dall’ansia del malato o degli accompagnatori. Qui sta il problema. È facile, a volte così facile da essere istintivo, avere pregiudizi nei confronti dei malati “psi”, dei quadri clinici “psi” e, soprattutto, dei nostri personali aspetti “psi”. Spesso diventiamo addirittura psico-razzisti, senza rendercene conto. Vi chiedo una sospensione del giudizio per un quarto d’ora, in modo da riflettere su alcune frequenti ma difficili situazioni cliniche. 1) Fobia del soffocare. È una condizione assai diffusa. Chi non ha mai fatto la fantasia, ad esempio, di poter essere sepolto vivo? Basta vedere una certa letteratura horror. È una fobia prossima – per un verso - alla paura dei luoghi chiusi (non abbiamo idea di quante persone “preferiscano” le scale all’ascensore, ad esempio, o “rinuncino” ai viaggi aerei…). Su un altro versante il terrore di soffocare ha qualcosa in comune con la fobia dei luoghi ampi ed affollati (piazze, chiese, centri commerciali, ecc.). Spesso la “mancanza di fiato” o ancor più il timore che il fiato manchi, costituiscono un importante aspetto del quadro clinico.

Fobia specifica “…caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione a un oggetto o a una situazione temuti, che spesso determina condotte di evitamento. (DSM-IV-TR)

2) Attacchi di panico (AP). Esiste una ricca letteratura al riguardo, a partire dagli studi di Donald F. Klein (1993), che hanno teorizzato una importante relazione causale fra respirazione inefficace e insorgenza dell’AP. Klein ha ipotizzato l’esistenza di un sistema di allarme per il soffocamento (asfissiostato), erroneamente attivato in caso di AP, con la conseguente induzione di iperventilazione e dispnea. Tale attivazione scatterebbe non soltanto per stimolazioni biologiche (ipercapnia) ma anche per stimoli psichici (paura di essere intrappolati), interpretati come un erroneo segnale di mancanza di aria “utile” alla respirazione. Per documentare l’esistenza di questo specifico sistema di allarme, Klein adduce un’impressionante elenco di evidenze convergenti, che non sto qui a riassumere. Lo stato attuale delle conoscenze è più controverso (Martinez et al 2001, Klein 2002).

Attacchi di panico “…un periodo preciso durante il quale vi è l’insorgenza improvvisa di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati con una sensazione di catastrofe imminente. Durante questi attacchi sono presenti sintomi come dispnea, palpitazioni, dolore o fastidio al petto, sensazione di asfissia o di soffocamento, e paura di “impazzire” o di perdere il controllo” (DSM-IV-TR)

3) Disturbi somatoformi (ipocondria). Spesso localizzati al torace con sintomatologia che non è agevole localizzare, ma comunque suggestiva di interessare l’apparato respiratorio, quello cardiovascolare o il sistema nervoso, insieme a sintomi gastrointestinali e urogenitali.

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Disturbo somatoforme “…presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica generale, da cui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica generale, dagli effetti diretti di una sostanza, o da un altro disturbo mentale (per esempio, il Disturbo di Panico)” (DSM-IV-TR)

Vi ricordo che l’etimologia di ansia, angoscia, ecc. è in comune con angusto (luoghi chiusi), ma anche con angor, angina, ecc. È stato ipotizzato che l’angoscia, non solo dal punto di vista etimologico, sia collegata all’esperienza del primo luogo “stretto” in cui transitiamo: quel canale del parto in cui il feto, dopo nove mesi di tepore, tranquillità, idromassaggi, ecc. si ritrova proiettato, compresso ed espulso nel mondo che sappiamo. Il luogo chiuso (esterno) soffocante avrebbe così un corrispettivo interno, quello che è all’origine di infarto, ictus, e ischemie varie, strangolando le arterie, o all’origine della dispnea, soffocando la trachea; attraverso un percorso di questo tipo si costituirebbe il luogo chiuso psicologico dell’ansia, topos in cui a soffocare è la mente. Per contiguità anatomica, fisiologica e psicologica avvicinerei a questo timore anche alcuni disturbi alimentari in cui la disfagia, o meglio, il terrore che qualcosa “vada per traverso”, dominano il quadro clinico. Ho appreso molte di queste cose da un mio paziente, che vive terrorizzato dall’incrocio fra cibo e respiro: ogni volta che deglutisce vive l’attimo in cui il boia apre la botola ed il cappio si stringe al collo. Mi sembra paradigmatico di una situazione psicogena, severa. Il chiasmo aria-cibo esiste nella realtà, regolato da meccanismi automatici. Nel momento in cui iniziamo a considerare la possibilità di errore del meccanismo, cominciano i guai. Ecco un esempio clinico:

Giorgio: io sento tutti gli organi del mio corpo, i polmoni mai. L’altra sera mi si è seccata tutta la gola. Ho provato con un collutorio, ho pensato di morire… Io: sembrava di soffocare, cioè? Giorgio: no, sembrava che la gola si gonfiasse… Mi si blocca il respiro, in alto. Pensi che una vecchietta che ho conosciuto usava quello stesso collutorio come lassativo! Beh, a me dà la stessa sensazione di quando fanno la gastroscopia. Potrebbe essere solo paura. Quando capitano queste cose non so mai. Provo a mandar giù un po’ d’acqua, con il terrore che tutto si chiuda… Io: chissà che paura… Giorgio: da matti!

Questo ci porta ad alcune riflessioni su come affrontare le persone con problemi di ansia. Ad esempio: 1) Se ad un malato diciamo:

- non ha (è) niente, è solo ansia compiamo, senza accorgercene ed in buona fede, una svalutazione pesante. Infatti, le malattie psichiatriche hanno diritto di cittadinanza come le malattie somatiche. In più peggioriamo la situazione del malato, perché la rabbia (come non ho niente?!? Io sto male!!) peggiora sempre l’ansia e spesso è ad essa collegata. 2) Tutte le operazioni di edulcorazione della frase di cui sopra, peggiorano la situazione:

- non ha niente, è solo un po’ d’ansia…: l’ansia spesso induce il terrore di morire e/o impazzire: qualunque riduzione della gravità trasmette al paziente l’impressione di essere stato sottovalutato.

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3) Tutte le rassicurazioni la peggiorano ulteriormente:

- stia tranquillo, non è niente, è solo ansia…: le rassicurazioni sono utili strumenti terapeutici, a condizione di saperle utilizzare per rassicurare il paziente invece di noi stessi e di non abusarne; così non servono a nulla, anzi. 4) Sia ben chiaro che non esiste la frase giusta per tutte le occasioni. Esiste un atteggiamento diverso dal precedente. Se io credo che le malattie psichiatriche siano malattie come le altre, mi comporterò di conseguenza. Ad esempio:

- penso che lei abbia un attacco di panico. Ho escluso altre possibilità, come un infarto, un ictus. Adesso le darò un tranquillante per poter affrontare la crisi, poi vedremo insieme cosa fare.

- (in un secondo momento, ad attacco “sbollito”) Come si sente ora? (…) Ora possiamo fare due cose: fingere che non sia successo nulla o affrontare il problema. (Se il paziente si dichiara motivato è il momento per invitarlo a parlare di queste cose con uno specialista. Spesso, se gli si lascia lo spazio sufficiente, è il paziente stesso a richiederlo)

Un intervento di questo tipo non è molto diverso, se non per l’atteggiamento di fondo. Se però ci mettiamo nei panni del paziente, la differenza balza all’occhio. Un ultima considerazione e poi chiudo. Non mettiamo i disturbi d’ansia in diagnosi differenziale, se possibile. Consideriamo sempre la possibilità che siano in comorbidità con disturbi somatici. Anche gli ipocondriaci (1-2% di prevalenza nella popolazione generale) vanno incontro ad infarti del miocardio. Anche chi soffre di attacchi di panico (1% di prevalenza nella popolazione generale, ma fino al 60% dei pazienti ospedalizzati) può sperimentare una dispnea di qualsiasi natura. E così via. È vero, non c’è paziente più antipatico dell’ansioso in un pronto soccorso imballato. Ma non c’è nulla di peggio, per un ansioso, del giorno in cui si ha, oltre all’ansia, qualcosa di organico. Bibliografia

• American Psychiatric Association (2000): DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text Revised. Tr.it. Milano: Masson 2001

• De Peuter S, Van Diest I, Lemaigre V, Verleden G, Demedts M, Van den Bergh O: Dyspnea: the role of psychological processes. Clin Psychol Rev. 2004 Sep;24(5):557-81.

• Klein DF (1993): Fals Respiratory variability in panic disorder e suffocation alarms, Spontaneous Panics, and related conditions. An integrative hypothesis. Archives of General Psychiatry 50:306-317.

• Klein DF (1994): Testing the suffocation false alarm theory of panic disorder. Anxiety 1: 1-7. • Klein DF (1996): Panic disorder and agoraphobia. Hypothesis Hothouse. Journal of Clinical

Psychiatry 57: 21-27. • Klein DF (2002): Response Differences of Spontaneous Panic and Fear. Arch Gen Psychiatry.

2002;59:567-569. • Martinez JM, Kent JM, Coplan R, Browne ST, Papp LA, Sullivan GM, Kleber M,

Perepletchikova F, Fyer AJ, Klein DF, Gorman JM (2001): Respiratory variability in panic disorder. Depression and Anxiety 14:232-237, 2001.

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DISPNEE DA OSTRUZIONE DELLE ALTE VIE RESPIRATORIE M. Benazzo, G. Bertino

Clinica Otorinolaringoiatria, Università di Pavia IRCCS Policlinico S. Matteo Pavia

La dispnea da ostruzione delle alte vie respiratorie possiede delle caratteristiche peculiari capaci di differenziarla dalle manifestazioni di difficoltà respiratoria legate ad altre condizioni morbose. E’ infatti una dispnea di tipo inspiratorio (tab. I), l’atto inspiratorio si accompagna a rumore laringeo (cornage) e l’aumento della pressione negativa intratoracica determina una retrazione dei tessuti molli del giugulo (tirage). La voce, che è normale nelle altre forme di dispnea, nella dispnea laringea è quasi sempre modificata. Spesso si associa tosse sorda. L’atto espiratorio non è invece compromesso in quanto il flusso aereo sposta lateralmente e verso l’alto le corde vocali e tutti gli eventuali processi ostruttivi.

Tab. I Caratteristiche della dispnea da ostruzione delle alte vie respiratorie Sintomatologia Caratteristiche Dispnea Inspiratoria con allungamento della fase espiratoria Voce Modificata Posizione del paziente Capo in estensione Movimenti della laringe Abbassamento in inspirio; innalzamento in espirio Tosse Sorda Stridore respiratorio Solo in inspirazione Rientramento di zone del torace

Inspiratorio, soprattutto al giugulo e in sede sovraclaveare

Sebbene le dispnee di pertinenza otorinolaringoiatria siano imputabili prevalentemente a cause agenti a livello laringeo, non mancano cause a sede faringea (tab. II).

Tab. II Cause più comuni di dispnea faringea e laringea Dispnee faringee Dispnee laringee Acute Croniche Acute Croniche Bambino -Adenoflemmone

retrofaringeo -Tonsilliti acute complicate -Arresto corpi estranei in ipofaringe

-Ipertrofia tonsillare -Malformazioni cranio-facciali

-Edemi -Traumi -Laringiti -Paralisi laringee -Atresia glottide -Stenosi congenite -Fistola laringo-esofagea -Laringomalacia -Diaframma sottoglottico -Traumi ostetrici

-Papillomatosi laringea -Malformazioni laringee

Adulto -Ematomi/enfisemi parafaringei -Arresto corpi estranei in ipofaringe

-Ipetrofia tonsilla linguale -Neoplasie faringee, parafaringee

-Edemi -Traumi -Ematomi -Paralisi laringee bilaterali -Corpi estranei -Spasmi laringei

-Neoplasie -Laringiti croniche specifiche -Edemi -Stenosi cicatriziali -Laringocele secondario -Patologie neurologiche

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La diagnosi si basa sull’indagine anamnestica, sulla semiologia clinica, sull’esame endoscopico faringolaringeo indiretto o diretto. La laringoscopia diretta può assumere, oltre al valore diagnostico, uno terapeutico nei casi di dispnea da inalazione di corpi estranei o di stenosi cicatriziali. Indagini complementari sono rappresentate dall’esame radiologico (standard o TC) ed elettromiografico (nelle patologie neurologiche). La terapia della dispnea delle alte vie respiratorie si divide in terapia sintomatica e causale. La terapia sintomatica è destinata a controllare il sintomo dispnea e le conseguenze generali (metaboliche, circolatorie, neurovegetative). Si basa sulla terapia medica antiedemigena, sull’ossigenoterapia e sulla terapia chirurgica (tracheotomia). Le principali indicazioni all’esecuzione di tale procedura chirurgica sono riassunte in tabella III. Sono elencate non solo le cause meramente ostruttive delle alte vie, ma anche patologie delle basse vie o patologie neurologiche in cui la tracheotomia diviene importante per ridurre lo sforzo respiratorio, garantire una ventilazione spontanea o meccanica adeguata, favorire l’aspirazione delle secrezioni tracheo-bronchiali o proteggere l’albero tracheo-bronchiale da fenomeni di broncopolmonite ab-ingestis.

Tab.III Condizioni eziologiche suscettibili di tracheotomia Ostruzioni meccaniche alte vie respiratorie

Ostruzioni secretive basse vie respiratorie

Paralisi deglutizione da lesioni nervose centr./periferiche

Ipoventilazione di origine centrale

Paralisi muscolatura respiratoria

Neoplastiche Neurologiche Infettiva Stati comatosi Mieliti Infiammatorie Traumatiche Tumorale Polinevriti Corpi estranei Congestizie Vascolare Miastenie Traumatiche Degenerativa Miopatie Nervose

La tracheotomia, grazie all’apertura della trachea cervicale e alla conseguente introduzione di una cannula per garantire la ventilazione, risolve la dispnea perché realizza un by-pass delle vie respiratorie superiori. A seconda delle modalità d’insorgenza della dispnea la tracheotomia può essere preventiva, d’urgenza o di estrema urgenza (tracheotomia intercrico-tiroidea). Mentre la tracheotomia preventiva è una procedura d’elezione e quindi può essere effettuata a paziente intubato, le tracheotomie d’urgenza o di estrema urgenza vengono effettuate a paziente sveglio, in genere in anestesia locale. Le incisioni tracheali orizzontali sono riservate all’adulto in quanto nel bambino possono dare luogo a stenosi cicatriziali. La procedura chirurgica dovrebbe sempre mirare ad eseguire un’apertura della trachea al di sotto del secondo anello tracheale per evitare il rischio di stenosi cicatriziali, mentre l’apertura della membrana intercricotiroidea dovrebbe essere riservata solo ai casi di immediato pericolo di vita. Qualora si realizzi questa evenienza è comunque necessario procedere dopo 24 o al massimo 48 ore all’esecuzione di una tracheotomia standard per evitare il rischio di lesioni delle corde vocali o di stenosi cicatriziali. La terapia causale della dispnea delle alte vie respiratorie mira invece a risolvere la patologia determinante la dispnea e può essere anch’essa medica (anti-infiammatoria, antibiotica, anti-allergica) o chirurgica. Bibliografia

• De Filippis C, Marioni G, Bertino G, Staffieri A. Dispnee, disfonie, disfagie. In: Cortesina G. ed. Argomenti di Otorinolaringoiatria. Archimedica Editori Torino 1996; vol. 2: 259-264.

• Bradley PJ. Management of the obstructed airway and tracheostomy. In: Kerr AG. ed. Scott Brown’s Otolaryngology. Butterworth Heinemann 1997; vol. 5(cap.7): 1-20.

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• Colombo E. ed. Le tracheotomie. Quaderni monografici di aggiornamento AOOI. TorGraf 2001.

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INDICAZIONI ALLA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA R. Cosentini, C. Folli, S. Aliberti*, C. Canetta, G. Graziadei, G. Milani*, A.M. Brambilla, M. Pappalettera, P. Tarsia* (Gruppo NIV Policlinico)

Divisione di Medicina d’Urgenza, *Istituto di Malattie Respiratorie, Università degli Studi di Milano, Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena , Fondazione IRCCS Milano

La ventilazione meccanica non invasiva (NIV) ha subito negli ultimi anni crescente attenzione non solo da parte di specialisti del campo, quali intensivisti, pneumologi, rianimatori etc., ma anche di internisti impegnati in Pronto Soccorso o nei reparti di medicina d’urgenza. Questa relazione ha lo scopo di illustrare le indicazioni all’impiego di questa metodica nelle varie sindromi di insufficienza respiratoria acuta. INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA IPOSSIEMICA Edema polmonare acuto cardiogeno CPAP E’ sicuramente il campo di maggiore applicazione della NIV, soprattutto attraverso la metodica della CPAP (Continuous Postive Airway Pressure). In letteratura è stato ormai dimostrato che il trattamento con CPAP comporta (v. tabella) una più rapida correzione degli scambi gassosi e miglioramento parametri clinici Riduzione del 26% della necessità di intubazione (ogni 4 pz trattati viene evitata 1’intubazione); una tendenza (non significativa) alla riduzione della mortalità intraospedaliera Tabella 1. meta-analisi della riduzione di ETI con CPAP vs. trattamento tradizionale (Pang D, et al. Chest 1998;114:1185-92)

Questi risultati hanno fatto sì che il trattamento con CPAP venisse inserito nelle linee-guida della terapia dell’edema polmonare acuto cardiogeno. E’ interessante notare, però, che per le linee guida della BTS il ricorso alla CPAP è indicato soltanto se il paziente rimane ipossiemico dopo terapia medica massimale, mentre nella pratica clinica l’impiego della CPAP è il primo approccio terapeutico. E’ infatti esperienza di tutti la rapidità e semplicità con la quale è possibile instaurare un trattamento mediante CPAP. NIV L’edema polmonare acuto cardiogeno è il campo in cui la NIV vera e propria (intesa come PSV o bi-level ventilation, vedi Tabella 2) ha la maggiore probabilità di successo, con una frequenza di fallimento intorno al 10%.

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Tabella 2. Successo della NIV in relazione alle patologie trattate (Antonelli M et al. ICM 2001; 27:1718-1728)

Anche in questo caso, sono ormai numero si gli studi che hanno mostrato la superiorità della NIV rispetto alla terapia tradizionale. In particolare, nello studio di Nava et al., cui ha partecipato anche il nostro gruppo, si è visto che il beneficio della NIV era evidente soprattutto nei pazienti che si presentavano con EPA ipercapnico. Quello che in letteratura non è stato ancora chiarito è l’eventuale vantaggio della NIV nei confronti della CPAP, anche se l’ultimo studio di Crane et al. ha mostrato una minore mortalità intraospedaliera nei pazienti trattati con CPAP rispetto a quelli trattati con bilevel o terapia standard. In ogni caso, il trattamento on CPAP non è mai stato indicato come peggiore rispetto alla NIV vera e propria (PSV/bilevel) e risulta sicuramente più semplice nell’apprendimento e nell’utilizzo. Quando iniziare I criteri più comunemente utilizzati in letteratura e adottati dal nostro Gruppo nel nostro ospedale sono:

• Segni di fatica respiratoria • Dispnea moderata o severa • Uso della muscolatura accessoria • Movimento paradosso dell’addome • Segni di insufficienza respiratoria • Frequenza Respiratoria > 30 atti/min • pH < 7.35 con PaCO2 > 45 mmHg • Ipossiemia nonostante FIO2 elevata (con rapporto PaO2/FiO2 < 250)

Quale interfaccia utilizzare In letteratura sono state utilizzate tutte le interfacce, dalla maschera nasale a quella oronasale allo scafandro. Escludendo la maschera nasale, di difficile impiego in pazienti acuti che frequentemente tengono la bocca aperta perché hanno “fame d’aria”, si è visto che sia la maschera che lo scafandro

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sono interfacce efficaci. In particolare, la maschera sembra più adatta alla NIV vera e propria ma è poco tollerata per la frequente insorgenza di decubiti, mentre lo scafandro è molto ben tollerato ma è inizialmente meno rapido nel “lavaggio” della CO2. Quando la NIV è controindicata Controindicazioni assolute

• Arresto respiratorio o necessità d’intubazione • Aritmie gravi • Coma/paziente non collaborante • Impossibilità a rimuovere le secrezioni • Incapacità di proteggere le vie aeree • Recente intervento a livello di cranio, esofago o stomaco • Controindicazioni relative • Trauma o ustioni cranio-facciali • Estrema agitazione • Ipotensione arteriosa con PA sistolica < 90 mmHg • Obesità marcata • Eccesso di secrezioni

Quando interrompere (successo) I criteri da noi utilizzati per l’interruzione della NIV (CPAP/bi-level) sono:

• FR<25/min • SaO2>90% • pH >7.35

Per quanto riguarda il rischio di IMA in corso di EPA trattato con NIV, due recenti lavori hanno ormai sfatato questo vecchio pregiudizio (Bellone et al. Crit Care Med 2004; Park et al. Crit Care Med. 2004). Quando interrompere (fallimento) Di fondamentale importanza è l’utilizzo di criteri che definiscano quando la ventilazione fallisce, criteri che devono essere definiti a priori dallo staff che se ne occuperà (internisti, intensivisti, rianimatori, pneumologi etc.) e che devono essere discussi e condivisi con i rianimatori. Noi definiamo il fallimento quando si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

• coma • arresto respiratorio • shock • incremento/mancato miglioramento a 1 h in termini di FR e/o scambi respiratori (P/F, pH)

Polmonite acquisita in comunità (CAP) grave L’esperienza in letteratura con la NIV è piuttosto limitata, inizialmente riferita a casistiche di pazienti ipossiemici di cui facevano parte anche alcuni soggetti con polmonite; il primo lavoro randomizzato e controllato che ha confrontato la t. standard vs. NIV è uscito nel 1999 sull’Am J Respir Crit Care Med. Gli autori hanno riscontrato che l’utilizzo della NIV ha comportato un minor riscorso all’intubazione tracheale ed una minor durata del ricovero in UTI nel sottogruppo dei pazienti con BPCO.

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Confalonieri et al . Am J Respir Crit Care Med 1999,160:1585-61 Più selezionata e limitata è la casistica in cui è stata dimostrata l’efficacia della CPAP, dove la metodica si è dimostrata efficace nella popolazione di soggetti immunocompromessi. Nella nostra casistica, l’utilizzo di CPAP con scafandro ha permesso di trattare oltre 50 CAP gravi in due anni con ventilazioni di durata molto elevata (media 98.4 ± 43.5 ore), ma ben tollerata (edema agli arti superiori, ma soltanto in 2/51 pazienti particolarmente magri). I criteri di impiego della CPAP da noi utilizzati e che si ritrovano anche in letteratura sono:

• FR > 35 atti/min • Distress respiratorio, respiro paradosso, discinesia toraco/addominale • P/F < 250 • Polmonite multilobare • PAS < 90 mmHg e/o PAD < 60 mmHg • Necessità di vasopressori > 4 h

Da notare però che la presenza di fatica muscolare (pH < 7.4 con PaCO2 > 40) è prognosticamente molto sfavorevole e richiede l’immediato utilizzo di un supporto muscolare mediante bi-level e di un ancor più attento monitoraggio clinico-strumentale. Infatti, nell’IRA ipercapnica secondaria all’IRA ipossiemica (ARDS, CAP grave quando il trattamento con CPAP fallisce [Evidenza C], EPA cardiogeno non responsivo al trattamento con CPAP [Evidenza B], svezzamento dall’intubazione oro-tracheale [Evidenza B]) la mortalità è molto più elevata. I fattori di rischio associati al fallimento sono: SAPS II ≥ 35, età > 40 anni, ARDS/CAP (fallimento = 50-60%), PaO2/FIO2<146 dopo 1h di NIV.

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Hess DR Respir Care. 2004 Jul;49(7):810-29 Quale interfaccia utilizzare Considerando che il trattamento della CAP grave con CPAP è generalmente più lungo rispetto a quanto avviene nell’EPA, è senz’altro consigliabile come interfaccia lo scafandro, in quanto la sua migliore tollerabilità ne permette un utilizzo prolungato. INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA IPERCAPNICA BPCO riacutizzata E’ sicuramente il campo in cui la NIV ha raccolto le maggiori soddisfazioni ed i primi lavori risalgono alla fine degli anni ’90, quando già fu chiaro che il tempestivo utilizzo della NIV comportava una riduzione del tasso di intubazione e mortalità. I dato sono ormai così probanti che la ventilazione meccanica non invasiva è contemplata ormai in tutte le linee guida sul trattamento dell’insufficienza respiratoria come intervento di evidenza A/I (v. tabella).

Hess DR Respir Care. 2004 Jul;49(7):810-29 Quando iniziare I criteri utilizzati per iniziare un trattamento con NIV si possono suddividere in criteri clinici ed emogasanalitici.

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Criteri clinici di fatica respiratoria FR > 30 atti/min. Distress respiratorio (dispnea, cianosi, rumori respiratori, respiro paradosso, utilizzo di muscoli accessori) Discinesia toraco/addominale Alterazioni del sensorio Criteri di insufficienza respiratoria pH < 7.35 PaCO2 > 45 mmHg o repentino ↑ di PaCO2 > 15 – 20 mmHg PaO2/FiO2 < 250 SaO2 < 88% in O2 con ↑ FiO2 E’ importante notare che la NIV dovrebbe essere intrapresa precocemente in corso di insufficienza respiratoria acuta nei pazienti affetti da BPCO con acidosi respiratoria. Vi è da notare però che, se da un lato il beneficio della NIV è indubbio, dall’altra in un recente lavoro è stato evidenziato che i pazienti dimessi dopo un trattamento con NIV hanno, a distanza di un anno, un rischio di riammissione per grave patologia del 77% e di morte del 49%. Ma dove iniziare? In letteratura si è visto che il pH è correlato alla gravità e quindi alla prognosi; perciò l’orientamento è quello di iniziare la NIV secondo i seguenti criteri emogasanalitici:

• pH 7.20 - 7.35 => reparto medico* • pH < 7.20 => ICU/RICU/subintensiva

*a patto che siano disponibili: ETI urgente; ventilatori; medici esperti [BTS, evidence B] Elementi predittivi di succeso: Anche in questo caso i criteri riguardano la clinica e gli scambi gassosi Riduzione della FR Riduzione dei segni di distress respiratorio Miglioramento dell’EGA a 1 - 2 ore dall’inizio della ventilazione Stato nutrizionale del paziente Buono stato di coscienza Presenza del riflesso della tosse Quando sospendere (successo): La ventilazione viene generalmente sospesa quando vengono raggiunti i seguenti obiettivi:

• FR<25/min • SaO2>90% • pH >7.35

Criteri predittivi di fallimento:

• polmonite • Apache alto • Secrezioni abbondanti • Edentulia • Cachessia • Confusione/sopore

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• GCS <= 11 a 2 h* • pH <7.25 a 2 h* • FR > = 35 a 2 h*

Recentemente, Confalonieri et al. hanno studiato una scala di rischio che identifica, a due ore dall’inizio della NIV, i pazienti che verosimilmente andranno incontro a fallimento (v. tabella). Ad esempio, i pazienti con pH iniziale < 7.25 hanno un OR di fallimento pari a 1.97, mentre se lo stesso valore di pH non è astato ancora superato a 2 ore, l’OR incrementa a oltre 21.

*Confalonieri M et al. Eur Respir J 2005;25:348-355 Quale interfaccia? Per quanto riguarda l’interfaccia resta valido quanto accennato per l’insufficienza respiratoria acuta (IRA) ipossiemica. La maschera è efficace ma poco tollerata, mentre lo scafandro permette un’ottima tolleranza, ma comporta una riduzione meno rapida della CO2 a 3h, anche se vi è da dire che questo non influisce negativamente sulla frequenza di intubazione o sulla mortalità. IRA ipercapnica non COPD-correlata Nel trattamento dell’IRA ipercapnica (acuta o acuta su cronica) secondaria a deformità della parete toracica (scoliosi, toracoplastica) o malattie neuromuscolari la NIV ha fornito discreti risultati, ed è indicata con livello di Evidenza C, anche se si è visto che, in un confronto con pazienti affetti da IRA COPD-correlata, questi ultimi hanno avuto un esito migliore. Il futuro Numerosi sono i campi in cui la NIV potrebbe essere impiegata con successo. La CPAP, ad esempio, è stata utilizzata aneddoticamente con successo in pazienti traumatizzati con “flail chest”, nei bambini con bronchiolite, mentre la bilevel è stata impiegata nei bambini e adolescenti con fibrosi cistica e nei pazienti terminali come trattamento compassionevole, ma efficace sul sintomo della dispnea. Conclusioni La ventilazione non invasiva trova un impiego sempre più vasto, ma proprio per questo motivo è necessario conoscerne le caratteristiche e i limiti e lavorare sul campo utilizzando protocolli condivisi. E’ una metodica efficace su popolazioni selezionate, deve essere considerata un complemento e non la sostituzione della ventilazione meccanica invasiva; deve essere iniziata precocemente e, se fallisce nelle prime ore, non deve ritardare il ricorso all’intubazione.

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In conclusione, la ventilazione non invasiva è una metodica affascinante, ma impegnativa, per il successo della quale occorre un’équipe dedita all’aggiornamento continuo e fornita di un entusiasmo instancabile. Ringraziamenti: ringrazio l’allegria e l’entusiasmo di tutti i componenti del gruppo NIV Policlinico. BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

• BTS Consensus Conference on NIMV, Am J Respir Crit Care Med 2001 • State of the Art – Non invasive Ventilation. Am J Respir Crit Care Med 2001; 163:540-577 • BTS Guideline: NIV in ARF. Thorax 2002;57:192-211 • Pang D, et al. Chest 1998;114:1185-92 • Nava S et al. Am J Respir Crit Care Med 2003; 15;168:1432-7 • Antonelli M et al. ICM 2001; 27:1718-1728 • Park M et al. Crit Care Med. 2004 Dec;32(12):2546-8. • Crane SD, Elliott MW, Gilligan P, Richards K, Gray AJ. Emerg Med J. 2004;21(2):155-6 • Bellone et al. Crit Care Med 2004;32(9):1860-1865, 2004. • Confalonieri et al . Am J Respir Crit Care Med 1999,160:1585-61 • Bret A, et al. Thorax 1993;48:1280-1 • Delclaux, et al. JAMA 2000;284:2352-60 • Gregg RW. Crit Care Med 1990;18:21-4 • Cowan M. Crit Care Clin 1997;13:523-52 • Hilbert G. Crit Care Med 2000;28:3185-90 • Principi T. Intensive Care Med, 2004; 150:147-150 • Rocco M et al. Chest 2004; 126:1508-1515 • Zhao Z. J Med Microbiol. 2003;52:715-20 • ATS: NIV Consensus Conference. Am J Respir Crit Care Med 2001; 163: 283-91 • J Lightowler et al. BMJ 2003; 326: 185 • Sinuff T et al.. J Crit Care. 2004;19(2):82-91. • Simonds AK, et al. Thorax 1995;50:604-9 • Chu CM et al. Thorax 2004; 59:1020-1025 • Antonelli M et al, Crit Care Med, 2002

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ABSTRACTS

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GESTIONE DELL’ASMA ACUTO IN PRONTO SOCCORSO: RISPETTO DEL PROTOCOLLO DEDICATO E RISULTATI DI PERFORMANCE ED

OUTCOME DEI PAZIENTI S. Cattaneo, M. Bastazza, P. Caspani, L. Cazzaniga, M. Celano,C. Ciaramella,

G. Favia, C. Iacono, F. Loprete, B. Quarisa, F. Guzzini. Ospedale Saronno: Pronto Soccorso-DEA

La gestione dell’asma acuto (AA), della BPCO riacutizzata e del laringospasmo nel bambino sono regolati nella nostra U.O. da specifici protocolli, rivisti l’ultima volta due anni fa, che definiscono step terapeutici, criteri di dimissione/ricovero e modalità di dimissione protetta. Materiali e metodi. Abbiamo analizzato i verbali di 187 pazienti (pz) visti consecutivamente in P.S. per AA, al fine di valutare l’aderenza al protocollo, il grado di autonomia nella loro gestione da par-te dei medici di P.S., l’esito dei pz (risoluzione/miglioramento della crisi, ricovero o dimissione). Sono stati considerati come asma grave i casi caratterizzati da almeno 3 dei seguenti parametri: FR > 30/min, evidente impegno della muscolatura respiratoria accessoria, difficoltà a terminare una frase, riduzione importante del MV, SaO2 < 91%, Fc > 120/min, obnubilamento del sensorio. I pz esaminati sono stati 187, di età media 42 anni, (range 18-75), 47,1% maschi, 52,9% femmine; in 55 (29,4%) ricorrevano i criteri dell’asma grave. Cinquantadue (27,8%) erano stranieri, in mag-gioranza privi di assistenza sanitaria di base. In 67 (35,8%) era nota una allergopatia e la crisi era verosimilmente determinata da riesposizione all’allergene. Risultati. Tutti i pz sono stati trattati in accordo con le indicazioni del protocollo, in particolare sot-toposti ad ossigenoterapia se SaO2 < 95%, terapia con bolo di steroide e.v. + aerosol o puff ripetuti mediante distanziatore di beclometasone + salbutamolo + ipratropio in caso di mancata risolu-zione aerosol o puff ripetuti di salbutamolo + ipratropio Mg solfato o aminofillina. Si è proce-duto a ricovero nel caso di impegno respiratorio mag-giore persistente e/o SaO2 < 92% e/o compli-canze. Il medico di P.S. ha gestito da solo l’urgenza in 151 casi (80,7%), nei restanti 36 (19,3%) è stata richiesta la consulenza dello pneumologo e/o del rianimatore. Sono stati dimessi 167 pz (89,3%), 20 (10,7%) sono stati ricoverati, di cui 2 per motivi diversi dall’AA, mentre 2, ancora impegnati, hanno rifiutato il ricovero. Sempre nell’89,3% dei casi la crisi asmatica è stata risolta o comunque erano soddisfatti tutti i criteri di dimissibilità (scomparsa o marcata riduzione della dispnea, FR < 25/min, SpO2 > 92%, Fc < 110/min). I 20 ricoveri sono avvenuti in Pneumologia o, in assenza di posto-letto nel Reparto specialistico, in Medicina; nessuno è stato ricoverato in Terapia Intensiva. Diciassette pz (85%) sono stati inviati in Reparto direttamente dal medico di P.S., 3 (15%) dopo consulenza pneumologica e/o rianimatoria. Dei 167 dimessi 60 (35,9%) sono stati avviati a visita presso l’Ambulatorio di Broncopneumologia, per lo più in forma differita; gli altri 107 (64,1%) sono stati ricontrollati nei giorni successivi in P.S. o rinviati al curante, con indicazioni terapeutiche di mantenimento. Solo 4 dei pz dimessi (2,4%) sono tornati in P.S. per recidiva di AA nei 30 giorni successivi (tutti entro le prime due settimane): tre sono stati ancora dimessi dopo trattamento, 1 ricoverato. Conclusioni. I dati della nostra indagine dimostrano che l’adozione di un protocollo clinico, redatto sulla scorta di Linee-Guida internazionali e/o nazionali, discusso e condiviso da tutti gli operatori e dagli spe-cialisti, periodicamente rivisto e implementato, con verifica annuale mediante il sistema degli indi-catori di qualità, viene effettivamente rispettato nella pratica clinica e consente soddisfacenti risul-tati in termine di outcome dei pazienti e di filtro al ricovero. Particolarmente interessante è il rilievo di una buona capacità di gestione autonoma di questa ur-genza respiratoria, anche per quanto riguarda il follow-up dei pz, che si è mostrato efficace, stante la trascurabile percentuale di rientri in P.S. per recidiva della crisi a breve distanza di tempo. Va infatti

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considerato che la nostra U.O., pur avendo organico autonomo, è composta da medici con diversa estrazione culturale e vede, in particolare, la presenza di tre sanitari di provenienza chirurgica.

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VALUTAZIONE PRIMARIA IN PS DI 453 PAZIENTI CON SOSPETTA TROMBOEMBOLIA POLMONARE.

F. Porro, R. Castelli, D. Papaccioli, S. Serafini, M. Piantelli, L. Balzarini, A. Guariglia Medicina d’Urgenza, Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano.

Obiettivi. In soggetti con sospetta tromboembolia polmonare (TEP), abbiamo ricercato differenze clinico-epidemiologiche, rilevabili nella valutazione di I° livello, tra pazienti con diagnosi confermata (dopo indagini di II° livello) e quelli per cui l’embolia è stata esclusa. Casistica e metodi. 453 pazienti visitati nel nostro PS dal 2001 al 2004, di cui 239 D e 214 U, di età compresa tra 17 e 101 anni. La valutazione di I° livello comprendeva ECG, Rx torace, emogasanalisi, D-dimero, punteggio di Wells. Sono state poi effettuate indagini di II° livello (TCs, e/o scintigrafia polmonare e/o ecodoppler venoso e/o ecocardiogamma). Abbiamo confrontato i dati relativi alla valutazione di I° livello dei paz. con embolia confermata (TEP+) e di quelli con diagnosi finale diversa (TEP-). Risultati La TEP è stata confermata in 187 casi, esclusa in 266. Dal confronto tra i soggetti TEP+ e TEP- emergono alcune differenze. ETA’: la media è superiore nei soggetti TEP+ (71,2 vs 67,9, p= 0,03); il 73% dei TEP+ e il 67% dei TEP- ha un’età ≥ 65; la fascia più rappresentata in entrambi i gruppi è quella tra 75 e 84. FATTORI DI RISCHIO. Il più rappresentato in entrambi i gruppi è l’età ≥ 65 ; il 43% dei TEP+ con meno di 65 anni non presenta nell’anamnesi f. di rischio. QUADRO CLINICO. E’ caratterizzato da dispnea (più frequente nel gruppo TEP+), sincope/lipotimia e toracoalgia (più frequente nei TEP-), tachicardia e tachipnea; segni di TVP sono rilevati nel 25% dei TEP+, l’emottisi è rara ( 2% nei TEP- e 1% nei TEP+). ECG: è indicativo di impegno cardiaco dx nel 43 % dei TEP+ e nel 27% dei TEP- (p<0,001). RX TORACE: è suggestivo per TEP nell’ 11% in entrambi i gruppi;. EMOGASANALISI: mostra valori medi di PaO2, PaCO2 inferiori e valori di P(A-a)O2 superiori nei TEP+. WELLS e D-DIMERO. Il D-dimero è positivo nel 100% dei TEP+ e nel 76% dei TEP-. La positività del D-dimero in rapporto alla classe di probabilità e all’età nei soggetti senza embolia (TEP-) è rappresentato nella seguente tabella: Tab. I Postività D-d in rapporto all’età e alla probabilità secondo Wells in soggetti TEP-

Età Probabilità bassa Probabilità intermedia Probabilità alta < 65 46 % 54% 100 % ≥ 65 90 % 93 % 100 %

Conclusioni la casistica da noi osservata è composta in gran parte da anziani ove il fattore di rischio più evidente al momento della presentazione è l’età stessa. L’emogasanalisi , l’ECG e (solo nel 25% dei casi) i segni di TVP sono utili per differenziare i pazienti TEP+ e TEP-. Il punteggio di Wells abbinato al D-dimero è utile soprattutto nei soggetti di età inferiore a 65 anni.

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AFFIDABILITÀ DELLA TC SPIRALE NELLA DIAGNOSTICA DELL’EMBOLIA POLMONARE: VALUTAZIONE IN 263 PAZIENTI.

F. Porro, S. Serafini, R. Castelli, L. Balzarini, M. Piantelli, G. Schinco, A. Guariglia Medicina d’Urgenza, Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano.

Introduzione. La TC spirale (TCs) è oggi largamente utilizzata per la diagnostica della tromboembolia polmonare (TEP). E’ tuttavia ancora discussa l’attendibilità dell’indagine. Scopo del nostro studio è valutare la sensibilità e la specificità della TCs, eseguita con apparecchio multistrato, nella diagnosi della TEP. Casistica e metodi. Abbiamo valutato 263 pazienti afferenti al nostro Pronto Soccorso (PS) con sospetto di TEP. Per ogni paziente è stata calcolata la probabilità clinica di Wells e sono state eseguite indagini di primo livello (ECG, Rx Torace, emogasanalisi, D-dimero). Il risultato della TCs è stato confrontato con quello ottenuto con altre metodiche non invasive (scintigrafia polmonare, ecodoppler venoso degli arti inferiori). I soggetti con indagine negativa sono stati seguiti ambulatoriamente per 3 mesi. Risultati. In 141 casi la TCs iniziale era negativa per TEP. L’assenza della malattia tromboembolica è stata confermata in 137 pazienti: mediante scintigrafia polmonare (20 casi) o dimostrazione di condizioni patologiche diverse dall’embolia, gestite con successo senza anticoagulanti (117 casi). Al contrario in 4 casi con TC iniziale negativa, è stata successivamente evidenziata una TEP: in 3 casi grazie alla positività della scintigrafia polmonare e dell’ecodoppler venoso, in 1 caso a seguito della comparsa di TEP in corso di follow-up. La TCs era positiva per TEP in 113 casi. In 111 di essi la diagnosi è stata confermata con altre metodiche, mentre in 2 pazienti la TEP è stata esclusa dalla negatività della scintigrafia polmonare. La TCs ha dato esito dubbio in 9 pazienti. In 2 di essi la diagnosi è stata confermata dalla scintigrafia. In 7 è stata invece esclusa da una scintigrafia negativa (6 casi) o da un follow up privo di eventi in assenza di anticoagulanti (1 caso). I nostri dati ci permettono di calcolare per la TCs una sensibilità di 0.94, una specificità di 0.93, un valore predittivo positivo di 0.98 e un valore predittivo positivo di 0.96. Abbiamo inoltre analizzato (vedi tabella) il comportamento della TCs in pazienti con diversa probabilità pretest.

Diagnosi Risultato TCs n (%)

Wells alta n (%)

Wells interm. n (%)

Wells bassa n (%)

Wells bassa e D-d neg n (%)

positiva 30 (75) 69 (39,8) 12 (26) 0 dubbia 1 (2,5) 1 (0,7) 0 0

TEP +

negativa 0 3 (1,7) 1 (2) 0 positiva 0 2 (1,2) 0 0 dubbia 1 (2,5) 4 (2,3) 1 (2) 1 (20)

TEP -

negativa 8 (20) 93 (54) 32 (70) 4 (80) Conclusioni: I noti dati sono soddisfacenti per quanto concerne l’affidabilità della TCs per la diagnostica della TEP in PS. L’impiego contemporaneo di un punteggio di probabilità clinica e del dimero D contribuisce a migliorare l’affidabilità dell’indagine.

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IL FRAMMENTO AMINO-TERMINALE DEL PRO-PEPTIDE NATRIURETICO CEREBRALE (NT-PROBNP), MARCATORE DI

DISFUNZIONE DEL VENTRICOLO SINISTRO IN CORSO DI SINDROME DISPNOICA ACUTA- LA NOSTRA ESPERIENZA Renato Guido Martinotti, Marco Biancardi, Alexandra Mazzarri ,

Luigi Flocco, Paolo Calgaro, Barbara D’Agostino DEA/UO MEDICINA D’URGENZA,

Azienda Ospedaliera “OSPEDALE SAN CARLO BORROMEO” via Pio II, n° 3, 20154 Milano Premessa: Il dosaggio dei peptidi natriuretici (BNP e frammento amino-terminale [NT] del pro-ormone [proBNP] ) è stato proposto come test di “screening” di disfunzione del ventricolo sinistro (Sagnella G. Clin Sci 1998;95:519-29) .Il BNP è stato valutato nella diagnostica differenziale della dispnea in Pronto Soccorso (Maisel AS et al. N Engl J Med 2002;347:161-7) .Bayès-Genis (Eur J Heart Fail 2004;6(3):301-8) ha studiato l’NT-proBNP nei pz con dispnea acuta e disfunzione del ventricolo sinistro. Un “cutoff” di NT-proBNP (dosato mediante metodo immuno-enzimatico ad una fase , Roche Diagnostics GmbH, Mannheim,Germania) di 115 pmol/l è risultato differenziare tra dispnea di origine cardiaca e dispnea di altra origine con una specificità del 93%,una sensibilità del 90% ed una accuratezza del 91,8% . Casistica e metodi: Abbiamo valutato 21 pz giunti al DEA/PS del nostro Ospedale per dispnea acuta , tutti sottoposti a dosaggio di NT-proBNP (metodo immuno-enzimatico Dade Behring) e suddivisi in :1)10 pz con insufficienza cardiaca scompensata (“decompensated heart failure”= DHF ) diagnosticata in base ai criteri Framingham (McKee PA et al N Engl J Med 285:1441-46,1971). Età media :79 ± 9,8 (maschi 70%).2)11 pz con insufficienza cardiaca mascherata (“masked heart failure”= MHF), definita come insufficienza cardiaca clinicamente difficile da diagnosticare per la presenza di una concomitante patologia polmonare o di altra patologia responsabile di “overlapping signs and symptoms” (Bayes-Genis A et al Eur J Heart Fail 2004;6(3):301-8).Età media 73 anni ± 15 (maschi 73%) Risultati e conclusioni : Tre segni e sintomi maggiori , un segno ed un dato anamnestico della criteriologia Framingham sono risultati capaci di discriminare, ad un livello statisticamente significativo, tra dispnea di origine cardiaca (DHF) e dispnea di altra origine ( MHF) .La troponina e l’NT-proBNP discriminano anch’essi tra i due gruppi DHF e MHF ( livello di significatività pari a 0.0443 per troponina e 0.0092 per NT-proBNP). L’identificazione di un valore di “cutoff” di NT-proBNP corrispondente al quartile inferiore nella distribuzione dei valori osservati ( = 2921 pg/ml) ( Tab. I) ci ha consentito di differenziare i due gruppi con un livello di sensibilità ( 90%) , di specificità (82%) e con una accuratezza (86%)(Tab.II), del tutto confrontabili con quelli ottenuti da Bayès-Genis.

Tab. I - NT-proBNP DHF ( n. pz) MHF ( n. pz) -da 112 a 2921 pg/ml 1 9 -da 2922 a 5954 pg/ml 7 1 -da 5955 a 8988 pg/ml 1 0 -da da 8989 a 18088 pg/ml 1 1

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Tab.II – Sensibilità, specificità,PPV,NPV,Accuratezza,LR+ e LR- di NT-proBNP nello Studio di Bayès –Genis e nella esperienza della Medicina d’Urgenza dell’Ospedale San Carlo Borromeo NT-proBNP

« Cutoff » Sensibilità Specificità PPV* NPV** Accuratezza LR+ ° LR- °°

Osp. S. Carlo

2921 pg/ml

90 % 82 % 82% 90% 86% 5 0.12

Bayes-Genis

973 pg/ml 91.4% 93.3 % 98.5 % 70% 91.8% 14 0.09

PPV : valore predittivo positivo ; ** NPV : valore predittivo negativo ° LR+ : rapporto di verosimiglianza positivo; °° LR+ : rapporto di verosimiglianza negativo

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IL SISTEMA BAYPAD (BAYES PULMONARY EMBOLISM ASSISTED DIAGNOSIS)

Luciani D (MD) (1), Pelicon A (1), Antiga L (PhD) (2), Bertolini G (MD) (3)

Unità di Ingegneria della Conoscenza Clinica, Laboratorio di Epidemiologia Clinica, (2) Laboratorio di Tecnologie Biomediche, (3) Laboratorio di Epidemiologia Clinica,

Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’, Centro 'Aldo e Cele Daccò', Ranica (Bergamo) “BayPAD” è un sistema esperto probabilistico costruito per assistere il medico nella diagnosi di Embolia Polmonare (EP), offrendo suggerimenti rivolti sia alla conferma diagnostica che alla pianificazione di nuovi accertamenti. BayPAD propone gli esami da eseguire disponendoli in una lista ordinata secondo la loro informatività, che dipende dalle osservazioni già acquisite sul paziente. Oltre alla utilità dell’indagine, sono considerati il costo economico e clinico ad essa associati, la cui accettabilità dipende dalla probabilità di EP. Il funzionamento del sistema dipende da una rete probabilistica (bayesian network) composta da 72 variabili, in grado così di rappresentare innumerevoli scenari basati sulla combinazione di fattori di rischio e conseguenze fisiopatologiche del trombo-embolismo venoso. La flessibilità di BayPAD deriva dalla sua capacità di produrre suggerimenti coerenti con le informazioni che è possibile ottenere, senza che il ricorso a uno specifico tipo di indagini sia obbligatorio. Lo studio di validazione in corso coinvolge 31 Centri in diverse regioni italiane, e prevede la valutazione della performance diagnostica di BayPAD, la verifica del grado di accordo tra i suoi suggerimenti e le scelte dei medici, nonché il perfezionamento e ulteriore sviluppo della rete probabilistica. I Centri che partecipano a questo progetto saranno di fatto i protagonisti della realizzazione di uno strumento concepito per simulare il ragionamento dei clinici più esperti di fronte un problema diagnostico di notevole complessità e rilevanza medica. A questo proposito, il progetto in corso si avvarrà dei risultati di audit clinici mirati alla discussione dei casi dove le scelte del medico sono discordanti rispetto a quelle del sistema.

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INSUFFICIENZA RESPIRATORIA (IR) ED EDEMA POLMONARE ACUTO (EPA) PRESSO IL PRONTO SOCCORSO DEL POLICLINICO SAN MATTEO

DI PAVIA Guarnone R, Vecchio S, Crescenzi G, Gelatou S, Koutelou A, Tatoni P, Bressan MA

Servizio di Pronto Soccorso-Accettazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia

SCOPO DELLO STUDIO Valutare il numero di pazienti (pz) visitati al Pronto Soccorso (PS) di Pavia, unico PS cittadino con un bacino di utenza di circa 200.000 persone, per insufficienza respiratoria o edema polmonare acuto e studiarne il successivo percorso diagnostico-terapeutico e gli eventuali rientri (accessi per la stessa patologia a distanza di meno di 15 giorni uno dall’altro). METODI Si tratta di uno studio retrospettivo effettuato tramite ricerca sul supporto informatico attualmente in uso per la registrazione elettronica delle cartelle cliniche di PS. La chiave di ricerca è stata una diagnosi finale di Insufficienza Respiratoria (IR) o Edema Polmonare Acuto (EPA). È stato considerato un periodo di 6 mesi, dal 1° ottobre 2004 al 31 marzo 2005 (accessi totali in PS: 29631). RISULTATI Sono stati identificati 469 casi (1,6% degli accessi totali in PS): 352 casi di IR (75%) e 117 casi di EPA (25%). Dei 469 casi il 48% erano femmine (età media 78 anni, con un minimo di 32 e un massimo di 98 anni) e il 52% erano maschi (età media 71,7 anni, con un minimo di 20 e un massimo di 95 anni). In particolare l’età media dei pz acceduti in PS per IR è 73 anni (20-98 anni) mentre l’età media dei pz acceduti per EPA è 78,8 anni (50-94 anni). I pz più giovani risultano affetti da patologie congenite quali tetraparesi spastica, leucodistrofia, Sindrome di Down, ipertensione polmonare da shunt del setto interventricolare, fibrosi polmonare, distrofia muscolare, SLA. Quindi non si rileva una differenza significativa tra gli accessi di maschi e femmine ma i pz affetti da IR sono tendenzialmente più giovani di quelli con EPA. Per quanto riguarda i casi di IR, 147 (42%) erano cardiopatici noti e 184 (52%) BPCO noti. In assenza di una storia di BPCO, 22 presentavano una neoplasia polmonare, 11 una patologia neuromuscolare congenita, 5 avevano subito un trapianto di polmone e 47 risultavano affetti da patologie cerebrovascolari croniche. La causa di accesso, oltre alla dispnea, è stata: coma (1 caso), alterazioni del sensorio (18 casi), dolore toracico (25 casi), altre cause (26 casi). Per i pz entrati per IR, la diagnosi finale è stata embolia polmonare in 6 casi e polmonite in 39 casi. Per quanto riguarda gli accertamenti effettuati, la quasi totalità dei pazienti è stata sottoposta a emogasanalisi, ECG, Rx torace, esami ematochimici. 7 pz (2%) sono stati sottoposti a TC torace e 102 (29%) a pannello cardiaco. Oltre alla terapia medica, 37 pz (10,5%) hanno effettuato CPAP o BiPAP. Sono state richieste 27 (7,6%) consulenze rianimatorie, 18 (5,1%) cardiologiche e 97 (27,6%) pneumo-tisiologiche. Al termine del percorso diagnostico-terapeutico, le dimissioni sono state 50 (14,2%). con un tempo medio di permanenza di 2,3 ore con un massimo di 8 ore, i decessi 2 (0,6%), i ricoveri 300 (85%), di cui 8 (2,6%) in cardiologia, 19 (6,3%) in rianimazione, 103 (34,3%) in pneumologia/tisiologia e i rimanenti (56,6%) in reparto internistico, con un tempo medio di permanenza di 2 ore e un massimo di 12 ore e mezza. I rientri sono stati 24: nel 50% dei casi i pazienti sono stati dimessi al primo accesso, sono tornati in PS entro una settimana (da meno di 1 giorno ad un amassimo di 7 giorni) e ricoverati. Per quanto riguarda i casi di EPA, 81 (69,2%) erano cardiopatici noti e 23 (19,6%) BPCO noti. Tra i pz che non avevano in anamnesi una storia di cardiopatia, 12 erano ipertesi, 7 diabetici, 3 in dialisi o affetti da IRC, 1 affetto da neoplasia polmonare e 6 BPCO noti. Le cause di accesso prevalenti sono state: dolore toracico-epigastrico (11 casi), ipertermia (4 casi), dispnea (50 casi). Alla dimissione le diagnosi principali sono state di EPA (52%), EPA+angina (1,7%), EPA+fibrillazione atriale (2,6%),

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EPA+Infarto Miocardico Acuto (5%), EPA+polmonite (5%). Per quanto riguarda gli accertamenti effettuati, la quasi totalità dei pazienti è stata sottoposta a emogasanalisi, ECG, Rx torace, esami ematochimici. 7 pz (6%) sono stati sottoposti a ecocardiografia e 2 (1,7%) a TC torace. Oltre alla terapia medica, 70 pz (59,8%) hanno effettuato CPAP e 4 (3,4%) BiPAP. Sono state richieste 46 (39,3%) consulenze di cui 17 (14,5%) rianimatorie. Al termine del percorso diagnostico-terapeutico, ci sono stati 3 decessi (2,6%), 32 (27,3%) ricoveri in cardiologia, 16 (13,7%) ricoveri in UTIC, 9 (7,7%) ricoveri in rianimazione, 56 (47,9%) ricoveri in reparto internistico e 1 rientro all’istituto di provenienza. Il tempo medio di permanenza è stato di 1,47 ore con un massimo di 6 ore. CONCLUSIONI Pur rappresentando una bassa percentuale rispetto agli accessi totali in PS, i pazienti affetti da IR e EPA comportano un notevole impegno in termini di tempo di permanenza in PS e di utilizzo di risorse, sia per il PS (pazienti monitorizzati e gestiti nelle sale adibite all’urgenza) che per la Struttura Ospedaliera, a causa della costante necessità di ricovero di tali pazienti. È da sottolineare però che il trattamento di queste patologie in PS mediante tecniche di ventilazione non invasiva permette di ridurre i ricoveri in reparti di terapia intensiva o comunque i tempi di degenza del paziente.

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RIACUTIZZAZIONI IN CORSO DI BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA

OSTRUTTIVA (BPCO) : PUNTO DI PARTENZA PER UNA GESTIONE ATTIVA DELLA MALATTIA.

G. Cervio1, R. Niniano1, M.C. Zoia1, A. Corsico1, M. Beccaria1, E. Ansaldo1, M.A. Bressan2, R. Guarnone2 e E. Pozzi1.

1 Clinica di Malattie dell’ApparatoRespiratorio, IRCCS Policlinico San Matteo Pavia; 2 Servizio Pronto Soccorso Accettazione, IRCCS Policlinico San Matteo Pavia.

Le riacutizzazioni per BPCO, nei casi di malattia non precedentemente diagnosticata, potrebbero rappresentare l’occasione per avviare una gestione attiva della malattia che va oltre il mero intervento terapeutico. L’entità della mancata diagnosi e dell’inadeguato trattamento non è noto. Nel 2002, abbiamo ricontattato 131 pazienti affetti da BPCO in condizioni stabili, 4-8 settimane dopo l’accesso e la dimissione dal Pronto Soccorso (PS) del nostro Ospedale per raccogliere informazioni in merito all’eventuale diagnosi e relativo trattamento precedenti il ricorso al PS e contemporaneamente effettuare un controllo spirometrico ed emogasanalitico. Ad un terzo dei pazienti non era mai stata diagnosticata e trattata la BPCO nonostante l’83% di essi avesse gia un quadro clinico-funzionale da moderato a severo ed il 30% fosse già in insufficienza respiratoria. Solo il 20% era stato informato sulla natura della malattia e nessuno aveva ricevuto istruzioni scritte sulla gestione ed il trattamento. Solo il 60% era in terapia con broncodilatatori a lunga durata d’azione ed il 41% era in ossigenoterapia domiciliare. Un numero considerevole di pazienti affetti da BPCO di grado moderato-severo, senza una diagnosi precedente e con una terapia inadeguata, erano giunti alla nostra attenzione a causa della riacutizzazione. Tutto ciò sottolinea l’importanza delle riacutizzazioni come punto di partenza per una gestione attiva della BPCO e l’accesso in PS come un valido campanello d’allarme per identificare questo sottogruppo di pazienti.

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ASMA IN PRONTO SOCCORSO: ESACERBAZIONI O SCARSO CONTROLLO?

R. Niniano1, M.C. Zoia1, A. Corsico1, M. Beccaria1, G. Cervio1, E. Ansaldo1, M.A. Bressan2, R. Guarnone2 e E. Pozzi1.

1 Clinica di Malattie dell’ApparatoRespiratorio, IRCCS Policlinico San Matteo Pavia; 2 Servizio Pronto Soccorso Accettazione, IRCCS Policlinico San Matteo Pavia.

Ogni anno molti pazienti si rivolgono al Pronto Soccorso (PS) per crisi asmatiche (8% in Italia de Marco; R. Allergy 2003). Le esacerbazioni sono di solito conseguenti all’esposizone a fattori scatenanti (infezioni virali o allergeni) mentre un deterioramento più graduale può riflettere un fallimento del piano terapeutico di gestione della malattia. Identificare i fattori di rischio che portano all’accesso in PS può contribuire ad evitare il ricorso a prestazioni più costose per il Servizio Sanitario Nazionale. Nel 2002, 89 soggetti (età media 42 anni; 24% extracomunitari) si sono presentati al PS del nostro Ospedale per crisi asmatica di entità moderata-severa; 10 avevano saturazione dell’ossiemoglobina arteriosa (HbSaO2) inferiore al 95% e 19 sono stati ricoverati. I pazienti sono stati poi rivalutati in condizioni stabili ed hanno compilato un questionario relativo alla storia clinica e all’eventuale diagnosi e terapia dell’asma prima dell’accesso al PS. In 17 pazienti la crisi asmatica era di prima insorgenza e ne aveva richiesto il ricovero ospedaliero. Dei rimanenti 72 pazienti il 60% aveva avuto un asma moderata-severa mentre il 40% intermittente o lieve (secondo la classificazione GINA basata sul regime terapeutico giornaliero e sulla risposta alla terapia). Il 40% riferiva frequenti accessi al PS. L’asma era stata precedentemente diagnosticata in tutti questi pazienti ad eccezione di 2, ma solo il 51% aveva eseguito una spirometria. Nel 64% dei casi la principale causa della crisi asmatica era l’inadeguato trattamento a lungo termine; nel 15% le infezioni respiratorie; nel 14% l’esposizone acuta ad allergeni o altri scatenanti; nel 7% si trattava di asma steroide-resistente. In conclusioni gli accessi al PS per attacchi asmatici potrebbero esseri evitati, in almeno la metà dei pazienti, migliorando il controllo della malattia.

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LA DISPNEA COME MARKER PROGNOSTICO EVOLUTIVO PRECOCE NEL TRAUMA

C. Ruffini; A. Milanesi; S. De Martini; G. Nervetti* U.O. Medicina e Chirurgia di Accettazione e d’Urgenza – A.O. “Luigi Sacco” Milano

La dispnea nel paziente vittima di trauma acquisisce dignità prognostica solo se associata ad alterazioni di altri parametri. Riteniamo importante rivalutarne il valore come marker dell’evolutività del paziente trauma, anche e soprattutto quando si presenta come unica evidenza sintomatica. Il caso: U.M maschio, anni 43 anni, vittima di incidente stradale. Meccanismo di lesione: in scooter con casco impatta vs. autovettura. I testimoni segnalano alla COEU 118 perdita di coscienza, pertanto viene inviato il M.S.A. che alle ore 08:43 esprime la seguente valutazione: GCS 15; RTS 12 (PA110/80); Fc 100; frattura esposta tibio-tarsica sin; sospetta frattura bacino, amnesia per l’evento. Vengono infusi 1000 ml di cristalloidi, ed effettuata analgesia con fentanyl 100μ. Ore 09:20 in Pronto soccorso; primary e secondary survey :” GCS 15; RTS 11 (Fr >25), addome trattabile non dolente; PA 115/80, Fc 100, frattura esposta tibio-tarsica sin, dispnea”. Ore 10:00, durante la diagnostica strumentale, rivalutazione secondary survey: GCS 13; RTS 8, dispnea grave, comparsa di bombè addominale, eco addome positivo per versamento; ematuria. Previa richiesta di emoderivati, viene eseguita laparatomia d’emergenza che evidenzia complessa lesione epatica maggiore con interessamento delle vene sovraepatiche e sanguinamento, che si rivela non dominabile. Discussione: i punti di riflessione, proposti dal caso clinico che presentiamo, si evidenziano già nella fase extraospedaliera, in cui non ricorrendo i criteri di trauma maggiore e con un paziente che presenta un profilo emodinamico, compatibile con la presenza di una lesione distraente, che richiede analgesia è presente una tachicardia persistente, che non si corregge né sul rimpiazzo volemico né sull’analgesia. Inoltre, a fronte di un meccanismo di lesione apparentemente non grave, vi è stato amnesico, nonostante il casco correttamente indossato, ed è presente una lesione distraente che influenza i parametri dell’RTS. Nella fase intraospedaliera, l’unico elemento di progressione che si evidenzia è la dispnea, che per 40 minuti rimane il solo sintomo evolutivo. Successivamente l’RTS perde punti in maniera rapida e sostanziale, configurandosi il quadro di shock emorragico post-traumatico. La dispnea si evidenzia all’ingresso in pronto soccorso, con un dato di Hb pari a 10,6 (è presente una frattura esposta scomposta e un sospetto di lesione del bacino) e la progressione verso la dispnea grave con perdita di punti di RTS, avviene in 75 minuti dal momento del soccorso avanzato extraospedaliero. Conclusioni: il caso in esame rappresenta a nostro avviso, la conferma di come alcune lesioni maggiori si appalesino con segni “minori”, singoli e tuttavia costanti e non correggibili. La “fase libera” dell’emorragia da lesione vascolare epatica del versante venoso, consente l’instaurarsi di meccanismi di compenso progressivi che, in un paziente giovane con A.M.P.L.E negativa, possono mascherare il quadro reale. Nel nostro caso, unico segno presente costantemente era la dispnea, quale tentativo precoce di adeguare la disponibilità di ossigeno all’aumento progressivo della richiesta. Ricordiamo infine che, proprio in relazione a quei meccanismi di compenso di cui sopra, raramente l’emogasanalisi precoce è dirimente ai fini del sospetto diagnostico. La stima della gravità e dell’evolutività del paziente vittima di trauma rimane dunque, a nostro avviso, funzione dell’accuratezza dell’esame clinico-obbiettivo e della corretta attenzione anche ai sintomi “minori” in presentazione isolata. Bibliografia

• American College of Surgeons Advanced Trauma Life Support for Doctors; ACS 1997 • C. Staudacher, et al “ L’organ damage control nel paziente politraumatizzato” • L’ospedale maggiore Vol. 94 - Marzo 2000.

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• Commissione Trauma Italian Resucitation Council. “Prehospital Trauma care, approccio e trattamento del politraumatizzato”. IRC - Ed 1998; Compositori Bologna.

• G. Nardi, E. Cerchiari, et al. “ Impatto di un modello di gestione integrata dei pazienti con trauma grave (ISS>15) sulla qualità del trattamento ospedaliero e sulla mortalità ospedaliera”. Min. Anest. (2002) 68: 25-28.

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TRATTAMENTO DELL’EDEMA POLMONARE CARDIOGENO ACUTO CON PRESSIONE POSITIVA CONTINUA DI FINE ESPIRAZIONE (CPAP) IN

PAZIENTI ANZIANI Stefano Aliberti, MD 1, Paolo Tarsia, MD 1, Anna Maria Brambilla, MD 2, Giuseppe Milani, MD 1, Maria Pappalettera, MD 2, Ciro Canetta, MD 2, Giovanna Graziadei, MD 2, Christian Folli, MD 2, Francesca Macera, MD 2 e Roberto Cosentini, MD 2. 1 Istituto Malattie dell'Apparato Respiratorio,

IRCCS Ospedale Maggiore di Milano, e 2 Unità Operativa di Medicina d'Urgenza, IRCCS Ospedale Maggiore di Milano.

Abbiamo analizzato retrospettivamente 100 pazienti accettati dal nostro Pronto Soccorso con Edema Polmonare Acuto Cardiogeno. Tutti i pazienti, trattati con terapia medica standard e CPAP ad alto flusso (Vital Flow 100, USA), sono stati divisi in due gruppi in base all’età: Gruppo 1 > 80 anni ( 47 pazienti, età media 88 ± 4.3) e Gruppo 2 ≤ 80 anni (53 pazienti, età media 70.6 ± 9.06). I valori medi di pH, frequenza respiratoria e P/F all’ammissione, dopo 60 e 180 minuti erano comparabili tra i due gruppi (tabella). L’acidosi respiratoria era regredita in entrambi i gruppi dopo 180 minuti con durata del trattamento con CPAP comparabile (GR1= 288.6 ± 237.8 min vs GR2= 295.9 ± 262.9). Una differenza significativa è stata notata nei pazienti con età superiore a 80 anni in termini di intolleranza (Gr1= 8 vs Gr2= 2, p=0.046) e morte (Gr1= 6 vs Gr2= 0, p= 0.012), come era stato anticipato dai valori SAPS II (47.4±7.1-Gr1- vs 40.5±8.7-Gr2-, p=0.0001). La somma degli end-point (morte, intubazione, intolleranza e ventilazione con Bilevel) era significativamente più alta nei pazienti del Gruppo 1 (17-Gr1- vs 7-Gr2-, p=0.008) con un rischio relativo di 3.6 (95% CI, 1.35-9.84). I nostri dati suggeriscono che gli effetti del trattamento con la CPAP sui parametri clinici e fisiologici sono simili nei pazienti anziani quando comparati con quelli degli adulti. Comunque, la maggiore severità del quadro clinico all’ammissione, come predetto dai valori di SAPS II, spiegherebbe la più alta mortalità osservata in ospedale nei pazienti anziani.

T0 60 180

pH 7.23 0.14 7.32 0.11 7.35 0.09 Gr1

7.24 0.12 7.34 0.07 7.39 0.06 Gr2

P/F 126.7 53.6 232.9 99.1 250.3 86.3 Gr1

125.4 50.3 203.8 99.8 287.7 277.1 Gr2

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AEROSOL VERSO NEBULIZZAZIONE: CONFRONTO TRA DUE MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEL SALBUTAMOLO NELLA BPCO

RIACUTIZZATA CON INSUFFICIENZA RESPIRATORIA IPERCAPNICA TALE DA RICHIEDERE NIMV

Maria Pappalettera, MD 1, Ciro Canetta, MD 1, Stefano Aliberti, MD 2, Christian Folli, MD 1, Giuseppe Milani, MD 2, Annamaria Brambilla, MD 1, Giovanna Graziadei, MD 1, Paolo Tarsia, MD 2,

Francesca Macera, MD 1 e Roberto Cosentini, MD 1. 1 Divisione di Medicina d'Urgenza, IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, e 2 Istituto di Malattie dell'Apparato Respiratorio, IRCCS

Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. Abbiamo confrontato la somministrazione del salbutamolo (aerosol vs nebulizzazione) in 17 pazienti accettati al nostro Pronto Soccorso con insufficienza respiratoria acuta (pH < 7.32 con PaCO2 >45 mmHg) e trattati con NIMV. I pazienti sono stati randomizzati per ricevere il salbutamolo o attraverso MDI con camera spaziatrice (200 mcg ogni 4 ore, DHD Healthcare AceSpacer) inserita lungo la linea inspiratoria durante NIMV (Gruppo “M”) o attraverso nebulizzazione (5 mg ogni 4 ore, AeronebProNebuliser) interrompendo temporaneamente la NIMV (Gruppo “N”). La frequenza respiratoria si è ridotta significativamente in entrambi i gruppi (“M”, da 36±8 bpm a 26±6.5, e “N” da 33±6.5 a 25.6±5.1); dopo 24 ore però i valori del pH nel Gruppo “M” erano significativamente più alti rispetto a quelli del Gruppo “N” (tabella). La somministrazione di salbutamolo attraverso MDI sembra essere più efficace rispetto alla nebulizzazione, permettendo un trattamento con NIMV di minor durata e riducendo il carico di lavoro infermieristico (il tempo di somministrazione del salbutamolo era di 4 minuti con MDI, contro i 25 minuti di media con la Nebulizzazione).

pH variation in Group M and Group N Time Group M Group N T0 7.23 0.07 7.20 0.09 T1h 7.27 0.09 7.30 0.01 T6h 7.31 0.06 7.28 0.09 T24h 7.37 0.04 7.30 0.05

*p = 0.0098

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DISPNEE DA OSTRUZIONE DELLE ALTE VIE RESPIRATORIE M. Benazzo, G. Bertino

Clinica Otorinolaringoiatria Università di Pavia

IRCCS Policlinico S. Matteo Pavia La dispnea da ostruzione delle alte vie respiratorie possiede delle caratteristiche peculiari capaci di differenziarla dalle manifestazioni di difficoltà respiratoria legate ad altre condizioni morbose. E’ infatti una dispnea di tipo inspiratorio, l’atto inspiratorio si accompagna a rumore laringeo (cornage) e l’aumento della pressione negativa intratoracica determina una retrazione dei tessuti molli del giugulo (tirage). Si distinguono dispnee da cause agenti a livello faringeo (adenoflemmoni, ipertrofia tonsillare, neoplasie ipofaringolaringee, corpi estranei in ipofaringe, ecc.) e da cause agenti a livello laringeo. Quest’ultime possono essere ad insorgenza acuta (edemi, traumi, paralisi laringee bilaterali, cause malformative, ecc.) o lenta e progressiva (neoplasie, stenosi cicatriziali, laringiti specifiche, patologie, neurologiche, laringocele, ecc.). La diagnosi si basa sull’indagine anamnestica, sulla semiologia clinica, sull’esame endoscopico faringolaringeo indiretto o diretto. La laringoscopia diretta può assumere, oltre al valore diagnostico, uno terapeutico nei casi di dispnea da inalazione di corpi estranei o di stenosi cicatriziali. Indagini complementari sono rappresentate dall’esame radiologico (standard o TC) ed elettromiografico (nelle patologie neurologiche). La terapia della dispnea delle alte vie respiratorie si divide in terapia sintomatica e causale. La terapia sintomatica è destinata a controllare il sintomo dispnea e le conseguenze generali (metaboliche, circolatorie, neurovegetative). Si basa sulla terapia medica antiedemigena, sull’ossigenoterapia e sulla terapia chirurgica (tracheotomia). La tracheotomia, grazie all’apertura della trachea cervicale e alla conseguente introduzione di una cannula per garantire la ventilazione, risolve la dispnea perché realizza un by-pass delle vie respiratorie superiori. A seconda delle modalità d’insorgenza della dispnea la tracheotomia può essere preventiva, d’urgenza o di estrema urgenza (tracheotomia intercrico-tiroidea). Mentre la tracheotomia preventiva è una procedura d’elezione e quindi può essere effettuata a paziente intubato, le tracheotomie d’urgenza o di estrema urgenza vengono effettuate a paziente sveglio, in anestesia locale. La procedura chirurgica dovrebbe sempre mirare ad eseguire un’apertura della trachea al di sotto del secondo anello tracheale per evitare il rischio di stenosi cicatriziali, mentre l’apertura della membrana intercricotiroidea dovrebbe essere riservata solo ai casi di immediato pericolo di vita. Qualora si realizzi questa evenienza è comunque necessario procedere dopo 24 o al massimo 48 ore all’esecuzione di una tracheotomia standard per evitare il rischio di lesioni delle corde vocali o di stenosi cicatriziali. La terapia causale della dispnea delle alte vie respiratorie mira invece a risolvere la patologia determinante la dispnea e può essere anch’essa medica (anti-infiammatoria, antibiotica, anti-allergica) o chirurgica.

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CASI CLINICI

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INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA DA COMPRESSIONE TRACHEO-BRONCHIALE SECONDARIA A FISSURAZIONE DI ANEURISMA AORTICO

M. Bastazza, R. Adami *, C. Capra **, S. Cattaneo, G. Favia, V. Osti ***, B. Quarisa, F. Guzzini Ospedale Saronno: Pronto Soccorso-DEA, * Pneumologia,

** Anestesia-Rianimazione, *** Radiologia Nella letteratura internazionale sono molto pochi i casi descritti di insufficienza respiratoria acuta da compressione tracheale per complicanza di aneurisma dell’aorta toracica (AAT). Descriviamo un caso di compressione delle vie aeree tracheo-bronchiali per fissurazione di aneu-risma dell’arco aortico-aorta discendente toracica. Caso clinico. Uomo di 74 anni, giunto in Ospedale per tosse stizzosa e dispnea ingravescente. In anamnesi broncopneumopatia cronica ostruttiva, cardiopatia ischemico-ipertensiva, arteriopatia multi-distrettuale, AAT e addominale. In terapia domiciliare con diuretico, cortisonico, broncodilatatori, nitroderivato e ACE-inibitore. E’ intensamente dispnoico, tachipnoico (FR 32/min), cianotico (SpO2 88% in aria ambiente e 98% in O2 terapia a 10 l/min), lievemente tachicardico (92/min con ritmo sinusale), senza segni di vaso-costrizione cutanea. All’auscultazione toracica riscontro di ronchi e sibili diffusi su tutto l’ambito, murmure vescicolare notevolmente ridotto a sinistra. I polsi periferici sono isosfigmici; nega dolore toracico o dorsale. All’emogasanalisi arteriosa pH 7.38, pCO2 50.5 mm Hg, pO2 57.6 mm Hg. La Rx torace mostra riduzione volumetrica del polmone sinistro con area di opacità sospetta per atelettasia a livello del campo inferiore sinistro, immagine mediastinica non francamente ingrandita; non segni di ischemia miocardica all’ECG. Dopo inefficace somministrazione di terapia medica broncodilatatrice a dosi massimali (ipratropio, beta2-stimolante aerosol, cortisonici aerosol ed e.v., magnesio solfato) si assiste ad improvviso peggioramento della meccanica e funzionalità respiratoria (FR 40/min, SpO2 90% nonostante O2 ad alto flusso, tendenza ad esaurimento muscolare), per cui si pone indicazione ad intubazione tracheale. Viene prima effettuata una broncoscopia, che rileva diffuso edema tracheale con restrin-gimento del lume e occlusione del bronco principale sinistro, come da compressione ab extrinseco. La successiva TAC torace con m.d.c. conferma la presenza di aneurisma dell’arco aortico di 5,5 x 4 cm, adeso al quale si nota vasto ematoma di 9,5 x 8,5 cm, compatibile con raccolta di recente formazione da fissurazione a livello del tratto terminale dell’arco. L’espanso comprime la trachea a circa 2 cm dalla carena e il primo tratto del bronco principale di sinistra; è presente atelettasia del lobo polmonare inferiore sinistro. La consulenza cardiochirugica pone controindicazione assoluta all’intervento per dimensioni dell’aneurisma e condizioni generali del paziente. Trattato solo sintomaticamente, dopo alcune ore decede in P.S. per insufficienza cardio-respiratoria ingravescente. Conclusioni. La presentazione clinica con tosse e dispnea, dovute a compressione sulle vie respiratorie, non è comune nei pazienti con AAT; nel nostro caso è derivata da fissurazione dell’aneurisma al passaggio arco-aorta discendente. Tuttavia questa correlazione deve essere sempre considerata nei casi con anamnesi positiva per patologia aneurismatica. Nel sospetto (sostenuto dall’immagine della Rx torace) si impone l’esecuzione di TAC torace con m.d.c. per la conferma. L’intervento chirurgico è il trattamento di scelta e presenta una mortalità del 10% circa in elezione; la sopravvivenza a 5 anni è del 70%. La mortalità è molto più elevata nel caso di procedura d’urgenza per dissecazione o rottura/fissurazione. Non sono invece riportate in letteratura casistiche di interventi in emergenza per AAT con compressione delle strutture tracheo-bronchiali.

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Bibliografia. • Bickerstaff LK, Pairolero PC, Hollier LH, Melton LJ, Van Peenen HJ, Cherry KJ, Joyce JW,

Lie JT. Thoracic aortic aneurysm : A population-based study. Surgery. 1982; 92: 1103 • Crawford ES, Walker HSJ, Saleh SA, Normann NA. Graft replacement of aneurysm in

descending thoracic aorta: Results without bypass or shunting. Surgery. 1981; 89: 73 • Ghote B, Harris L. Thoracic aortic aneurysm causing acute brochospasm. Crit Care Med 1981

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Nihon Kyobu Shikkan Gakkai Zasshi. 1996 Feb; 34 (2): 200-3 • Svensson LG, Crawford ES, Hess KS, Coselli JS, Safi HJ. Experience with 1509 patients

undergoing thoracoabdominal aortic operations. J Vasc Surg. 1993; 17: 357

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TROMBOEMBOLIA POLMONARE SUBMASSIVA IN CORSO DI CRISI IPOSURRENALICA ACUTA

M. Bastazza, N. Carioni *, P. Caspani, S. Cattaneo, L. Cazzaniga, C. Ciaramella, F. Guzzini Ospedale Saronno: Pronto Soccorso-DEA, * Radiologia

La crisi iposurrenalica acuta è un evento molto raro: le cause più frequenti sono lo shock settico e la CID, l’emorragia spontanea nel contesto di metastasi ghiandolari bilaterali, eventi stressanti in pazienti con iposurrenalismo cronico, l’atrofia con blocco funzionale transitorio del surrene residuo dopo surrenectomia controlaterale. Caso clinico. Donna di 41 anni, con storia di sindrome di Cushing da adenoma surrenalico sinistro (amenorrea secondaria, ipertensione arteriosa, habitus lievemente cushingoide). Dodici giorni prima è stata sottoposta presso altro Ospedale a surrenectomia sinistra videolaparoscopica: l’intervento è stato complicato da ematoma della parete toraco-addominale con anemizzazione. È stato praticato Synachten Depot 1 + 1 mg i.m.: non profilassi antitrombotica alla dimissione. Dal giorno precedente comparsa di dolore addominale, vomito profuso, ripetute scariche diarroiche acquose (15), astenia profonda, cardiopalmo; dalla notte si è aggiunta dispnea. All’arrivo in P.S. condizioni generali gravi, dispnoica, subcianotica (SpO2 88% in aria ambiente), polsi piccoli, PA 90/60 mmHg, mucose leggermente aride, giugulari non turgide, al cuore frequenza di 150/min e ritmo di galoppo, al torace ipofonesi e qualche crepitio alla base sinistra. L’ECG mostra tachicardia sinusale ed un blocco di branca destra non segnalato in recenti tracciati. Viene subito iniziata reidratazione rapida (Fisiologica + Ringer 2.000 cc/ora) e somministrato idro-cortisone 100 mg e.v. nel sospetto di una crisi surrenalica acuta. Dagli esami di laboratorio di emergenza emergono iponatremia (Na+ 129 mEq/l), potassiemia normale (4,53 mEq/l) nonostante le profuse perdite gastroenteriche, Hb di 13,3 g/dl, Ht 41,1%, pO2 54.9 mmHg, pCO2 26.6 mmHg, con D(A-a)O2 molto elevata (61,85 mm Hg), HCO3 20.2 mEq/l, pH 7.49. Nel sospetto di una concomitante embolia polmonare (EP) viene praticato bolo di eparina non frazionata (ENF) e richiesta angioTAC polmonare: l’indagine evidenzia trombosi di entrambe le arterie lobari inferiori e parziale del ramo destro dell’arteria polmonare, addensamento di tipo ischemico, a cuneo con base periferica, nella doccia costo-vertebrale destra, addensamento di aspetto flogistico e versamento pleurico reattivo alla base polmonare sinistra. Perviene successi-vamente esito del D-dimero, pari a 12.310 ng/ml. Ricoverata in UCC, é trattata con ENF in perfusione warfarin e antibiotici. L’ecodoppler degli arti inferiori non reperta immagini di trombosi venose. I controlli TAC e scintigrafici rilevano a 10 giorni di distanza parziale regressione dell’occlusione/ipoperfusione embolica, mentre permane l’addensamento polmonare basale sinistro e l’incremento del versamento pleurico richiede una toracentesi evacuativa (liquido essudatizio lievemente emorragico). La TAC addome riscontra modesta raccolta liquida nella loggia surrenalica sinistra, estesa all’ilo splenico, spazio retrorenale e paracolico sinistro. Il tasso di emoglobina scende, dopo due giorni di infusioni, a 8,3 g/dl. Un successivo dosaggio dell’ACTH su campione di plasma raccolto all’ingresso in P.S. indica valo-re nettamente elevato (286 pg/ml). L’evoluzione clinica è favorevole. Commento. È senz’altro singolare l’associazione tra le due patologie acute: è verosimile che oltre agli altri fattori predisponenti (trauma chirurgico, immobilizzazione), la marcata emoconcentrazione, secon-daria alla disidratazione indotta dalla crisi iposurrenalica, abbia favorito l’evento tromboembolico. L’immediato sospetto clinico di entrambe le condizioni ha consentito una rapida diagnosi in Pronto Soccorso e l’inizio di un trattamento globale efficace.

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ARRESTO CARDIO-CIRCOLATORIO DA DISSOCIAZIONE ELETTROMECCANICA IN CORSO DI EMBOLIA POLMONARE MASSIVA:

DESCRIZIONE DI 3 CASI TRATTATI IN PRONTO SOCCORSO S. Cattaneo, M. Bastazza, M. Bisioli *, N. Carioni **, V. Castiglione **,

M. Celano, F. Loprete, C. Iacono, P.L. Pittana *, M. Romano *, F. Guzzini Ospedale Saronno: Pronto Soccorso-DEA, * Cardiologia-UCC, ** Radiologia

L’embolia polmonare (EP) massiva, associata a instabilità emodinamica (PA sistolica < 100 mm Hg), rappresenta un’emergenza sia diagnostica che terapeutica: sono essenziali il sospetto clinico, un percorso diagnostico rapido e semplificato con il solo ecocardiogramma (EcoCG) come test di conferma immediata, il pronto inizio, ove non sussistano controindicazioni assolute, del trattamento fibrinolitico. Nei casi più gravi e/o in soggetti con preesistente compromissione cardio-polmonare lo shock “ostruttivo” da EP può evolvere sino all’arresto cardiaco da dissociazione elettromeccanica (DEM). Ne descriviamo tre casi osservati negli ultimi mesi. Caso clinico 1. O.C., 81 anni, ipertesa, vasculopatia cerebrale, in terapia con ASA, diuretico, nebivololo. Negli ultimi giorni peggioramento delle condizioni generali con marcata astenia e allettamento. Giunge in P.S. come codice rosso per dispnea, associata a lieve agitazione: è sudata, pallido-cianotica con giugulari modicamente turgide; PA 70/40; al cuore toni ritmici a frequenza 92/min, ipofonesi base polmonare destra. All’ECG S1-Q3 e blocco di branca destra focale. Inizia O2 + terapia infusionale con Dopamina 5 gamma/Kg/min + bolo di Eparina non frazionata (ENF). All’EcoCG dilatazione ventricolare destra (ventricolo dx (VD) > sin) e marcata ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro con cinetica conservata. Durante l’esame convulsione gene-ralizzata con arresto respiratorio e scomparsa prolungata dei polsi; al monitor presenza di attività elettrica sinusale tachicardica. Si riprende dopo massaggio cardiaco esterno (MCE) e ventilazione con Ambu e O2. Viene immediatamente somministrato Alteplase 10 mg e.v. 90 mg/2 ore dalla giugulare esterna. Già verso il termine della trombolisi risalita dei valori pressori; ritmo sinusale stabile, a parte sporadiche salve di tachicardia ventricolare non sostenuta. Ricoverata in UCC, prosegue terapia anticoagulante con ENF 25.000 UI/die. La troponina I sale fino a 2,04 ng/ml in II giornata; all’ecocolordoppler si evidenza la fonte emboli-gena in una trombosi venosa profonda (TVP) della femorale comune destra. Alcuni giorni dopo la scintigrafia polmonare evidenzia il persistere di un’ampia ipoperfusione che interessa il lobo supe-riore del polmone destro. Il decorso clinico è favorevole Caso clinico 2. L. R.D. 37 anni, anamnesi patologica remota silente, obesa in terapia con estro-progestinico. Qualche giorno prima episodio di oppressione toracica prolungata, cui sono residuati lieve dispnea da sforzo, ansietà, cardiopalmo. Si reca in P.S. per il peggioramento dei sintomi, è classificata come codice giallo e accede alla visita dopo 13’. Mentre si sta sdraiando sul lettino-visita in Ambulatorio, perde improvvisamente conoscenza e sviluppa convulsione generalizzata con scomparsa dei polsi centrali per oltre 1’, cianosi intensa e arresto respiratorio. Si riprende dopo MCE e ventilazione con Ambu e O2; in coda al malore, mentre ancora assenti i polsi, si registra al monitor ritmo sinusale tachicardico. Nei minuti seguenti appare pallida, sudaticcia, dispnoica e cianotica (SpO2 86-87% sotto O2), tachicardica (> 140/min), con polsi sottili e PA 90/60 mm Hg. Al cuore ritmo di galoppo, buona ventilazione polmonare senza rumori patologici, non segni di TVP arti inferiori. L’ECG mostra quadro S1-Q3-T3 e ripolarizzazione come da sovraccarico acuto del VD. L’ecocardiogramma in urgenza evidenzia spiccata dilatazione delle cavità destre, movimento paradosso del setto, pressione arteriosa polmonare sistolica di 50 mmHg. Viene somministrata subito ENF 5.000 UI e.v. e – dopo l’EcoCG – iniziata la trombolisi con Alteplase 10 mg e.v. bolo + 90 mg/2 ore. La paziente é intanto avviata ad

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angioTAC polmonare, che conferma una EP massiva, con obliterazione quasi completa del lume dell’arteria polmonare destra e di buona parte di quella sinistra, circolazione pressoché assente a tutto il polmone destro e al lobo inferiore sinistro. Ricoverata in UCC, l’evoluzione clinica è favorevole. L’ecocolordoppler venoso non evidenzia se-gni di TVP agli arti inferiori (probabile dislocazione in toto del trombo). Una scintigrafia polmonare di controllo a 10 giorni dal ricovero rileva ipoperfusione circoscritta al lobo medio destro e inferiore sinistro. Caso clinico 3. Donna di 63 anni, ipertesa con pregresse crisi di FA, in terapia domiciliare con sotalolo e ACE-inibitore. Da 2-3 giorni dispnea/ortopnea. Giunge in P.S. in codice rosso, agitata, intensamente dispnoica e cianotica, con giugulari turgide, PA 85/60 mm Hg, SpO2 83%. All’ECG S1-Q3-T3 e lieve ritardo di conduzione intraventricolare destra. Obiettività polmonare, per quanto valutabile, indifferente. In pochi minuti la pz sviluppa quadro di periarresto con polsi centrali appena percepibili e viene pertanto sottoposta a rianimazio-ne cardiopolmonare (sedazione intubazione tracheale; Dopamina 10 gamma/Kg/min, Dobuta-mina 10 gamma/Kg/min); riceve bolo di ENF 5.000 UI e.v. ed esegue ecocardiogramma, che conferma il quadro di cuore polmonare acuto (dilatazione VD + setto paradosso). Inizia quindi a 12’ dall’ingresso trattamento fibrinolitico con Alteplase 10 mg bolo + 90mg/2 ore da vena giugulare esterna femorale destra. Proprio all’inizio della fibrinolisi compare franco arresto c.c. da DEM. Prosegue trombolisi e rianimazione cardio-polmonare con alte dosi di amine, con temporanee fasi di ripresa del circolo. Decede tuttavia dopo oltre 4 ore per arresto c.c. da asistolia irreversibile. Conclusioni. I casi descritti (shock ostruttivo culminato in arresto c.c. da DEM) rappresentano l’evoluzione estrema dell’EP massiva, definita per la presenza di compromissione emodinamica (PAS < 100 mmHg o < di 40 mmHg rispetto ai valori abituali). In tutte le tre pazienti il sospetto clinico, avvalorato dall’ECG, ha immediatamente condotto a praticare bolo di eparina, ottenere rapida con-ferma dall’EcoCG-FAST (subito eseguito dallo stesso medico di P.S. o dal cardiologo in P.S.) e iniziare trattamento fibrinolitico rapido. Nei primi due casi brevi manovre rianimative hanno con-sentito la ripresa del circolo e sono state associate da subito O2 terapia ad alto flusso e infusione di Dopamina. Ottimo il risultato clinico. Nel terzo caso la rianimazione cardiopolmonare si è protratta a lungo con impiego “eroico” di amine, purtroppo senza risultato utile, verosimilmente condizionato dal ritardo di presentazione della paziente al Pronto Soccorso.

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UNA DISPNEA ACIDA G. Crescenzi, F. Di Dio, F. Falaschi, S. Vecchio, R. Guarnone, G. Evangelisti, MA Bressan

Servizio Pronto Soccorso-Accettazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia

Caso clinico In data 14/5/2005, la sig.ra M.S.,di anni 23, affetta da diabete mellito tipo 1, giunge in Pronto Soccorso per sopore. All’ingresso paziente (pz) vigile, lievemente saporosa, tachipnoica. Peso stimato 70 kg circa. PA 120/70 mmHg, FC 120 R, TC: 37,6°C; SatO2 al dito 96%. Addome trattabile, non dolente e non dolorabile, peristalsi presente e valida. Al torace MV su tutto l’ambito. Emogasanalisi in aria ambiente all’ingresso:

pH: 7,030 pCO2: 9,6 mmHg pO2:135,8 mmHg

HCO-3:2,4 mmol/L Anion GAP: 39, mmol/L Lattati: 2,7 mmol/L

Elettroliti sierici e glicemia:

K+:6,1mmol/L Na2: 134 mmol/L Ca++:1,39 mmol/L

Cl-: 91 mmol/L Glicemia: 961 mg/dl Osmolarità: 344 mOsm/kg

Esami ematochimici (significativi):

GB: 19.400/μl Creatininemia: 1,86 mg/dl GOT: 50 mU/ml GPT: 81 mU/ml GGT: 378 mU/ml Fosf. alcalina:781 mU/ml Amilasi: 183 mU/ml Bil. Totale: 0,35 mg/dl Bil. dir: 0,05 mg/dl Fibrinogeno: 738 mg/dl

Presenza di chetoni nelle urine. La pz è stata trattata con: Insulina rapida : 12 U in bolo ev e a seguire 0,1 U/kg/ora Soluzione fisiologica infusa alla velocità di 400 ml/ora KFlebo 40 mEq in fis 250 ad infusione lenta (target potassiemia 4-5 mEq/l) Sono stati eseguiti controlli seriati della glicemia, dell’emogasanalisi e degli elettroliti sierici. È stata inoltre eseguito Rx torace risultato negativo per lesioni pleuroparenchimali a focolaio in atto. Durante il periodo di osservazione in Pronto Soccorso la pz ha presentato episodio di vomito biliare con comparsa di dolorabilità in ipocondrio destro. Sono stati somministrati 2 gr di Rocefin ev. Nel sospetto di patologia a carico delle vie biliari è stata eseguita TC addome che non ha evidenziato alterazioni a carico degli organi addominali, in particolare assenza di lesioni a carico delle vie biliari e colecisti, pancreas e fegato. Non è stata evidenziata nemmeno la presenza di ascessi subfrenici.

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L’ultimo controllo emogas sempre in aria ambiente evidenziava: pH: 7,275 pCO2: 27,7 mmHg pO2:93,6 mmHg

HCO-3:12,4 mmol/L Anion GAP: 18,6 mmol/L Lattati: 1,7 mmol/L

La pz alle ore 24.00 è stata trasferita in reparto di degenza. Ringraziamenti: Un ringraziamento particolare agli infermieri che hanno collaborato nella gestione della malata. Bibliografia

• Hyperglycemic Crises in Patients With Diabetes Mellitus. • Diabetes Care suppl. n. 1- 2003 (s 109)

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UNA BRUTTA DISPNEA E. Rodeano, D. Toniolo, M. Pasqua, Mario Conti

Ospedale di Vallecamonica-Sebino Esine (BS)

Domenica mattina nel tranquillo Pronto Soccorso di un ospedale periferico. Ore 12.10: si presenta, accompagnato da un parente a cui aveva chiesto aiuto, M.M., maschio, 27 anni. Il ragazzo si presenta molto agitato e con un’evidente difficoltà respiratoria; dichiara di “sentirsi morire”. Viene immediatamente accompagnato nell’ambulatorio riservato alle emergenze e visitato dal medico di guardia. I parametri vitali sono i seguenti: PA 140/85, FC 110r, FR 40/min, Sat O2 65% in aa; E.O. toni cardiaci validi, tachicardici, ritmici, pause apparentemente libere. MV presente, sibili diffusi. COME INQUADRESTE QUESTO PAZIENTE? QUALI SONO LE PRIME MISURE CHE ADOTTERESTE? Al paziente viene posizionata una maschera facciale con FiO2 0.5, viene reperito un accesso venoso ed eseguito prelievo per esami ematochimici.Viene somministrata la seguente terapia: idrocortisone 2 g e.v, aniistaminico 1 fl e chiamato con urgenza l’anestesista reperibile. Durante l’esecuzione di queste operazioni il paziente perde conoscenza. Sono le 12.35. COME AFFRONTERESTE IL PROBLEMA? E’ CORRETTO CIÒ CHE È STATO FATTO FINO AD ORA? Ore 12.40 : giunge in PS l’anestesista. Il medico di Guardia sta tentando di ventilare manualmente il paziente con un va e vieni. Il paziente è incosciente, cianotico, in “gasping”, crisi convulsiva in atto. I parametri vitali sono i seguenti: PA 120/70, FC 120r, Sat O2 47% in aa; E.O. toni cardiaci validi, tachicardici, ritmici, pause apparentemente libere. MV appena percepibile bilateralmente. QUAL E’ L’INTERVENTO PIU’ APPROPRIATO? QUAL E’ LA POSSIBILE DIAGNOSI? Viene eseguita intubazione oro tracheale e ventilazione con Fi02 1; Vengono somministrati 10 mg di diazepam e.v. Viene eseguito prelievo arterioso per emogasanalisi che presenta questo risultato: pH 7.0, p O2 65 mmHg, pCO2 108 mmHg, HCO3 29.2 mmol/L, COHb 4.2%; viene richiesta RX Torace. E’ CORRETTO CIO’ CHE E’ STATO FATTO? COME PROCEDERESTE A QUESTO PUNTO? Nel sospetto di una crisi asmatica grave vengono iniziati adrenalina e salbutamolo in infusione continua. Dopo la terapia ed alcuni minuti di ventilazione manuale, la situazione appare migliorare. I parametri vitali sono i seguenti: PA 130/80, FC 130r, SatO2 85%; Un EGA di controllo riporta i seguenti dati: pH 7.19, pO2 62 mmHg, pCO2 85 mmHg, HCO3 31,4 mmol/L. E.O: L’obiettività cardiaca è invariata. Il MV è scomparso a destra e appena percepibile a sinistra. Persistono dei sibili all’apice di sinistra. E’ presente iperfonesi plessica bilaterale. La moglie, arrivata nel frattempo, riferisce che la dispnea è insorta tre giorni prima e che il marito non si è rivolto subito ad un medico perché alcuni anni fa aveva sperimentato una situazione analoga che si era risolta spontaneamente in pochi giorni. QUALCHE SOSPETTO? Ore 13.10 giunge al letto del paziente il tecnico di radiologia. Viene eseguito un rx Torace. Viene eseguito un ECG che mostra tachicardia sinusale, alterazioni della ripolarizzazione ventricolare con basso voltaggio in sede laterale. Nel frattempo sono arrivati i risultati degli esami ematochimici: GB 12.600, restanti valori nella norma AST 114, ALT 93, CK 147, CK-MB 33, LDH 504 Glic. 237, INR, PTT, FDP e dDIMERO nella norma Urea, creatinina, bilirubinemia, amilasemia nella norma Elettroliti nella norma. COSA VI ASPETTATE DALL’ RX TORACE? COME PROSEGUIRESTE IL TRATTAMENTO? IMPROVVISAMENTE IL PAZIENTE PEGGIORA La satO2 crolla improvvisamente da 87% a 50%, PA 120/65, FC 135, E.O. L’obiettività cardiaca è invariata. Il MV è assente bilateralmente. A destra si rileva soffio bronchiale. E’ presente iperfonesi bilaterale.

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COSA E’ SUCCESSO? Mentre l’anestesista si appresta ad eseguire una puntura esplorativa nel sospetto di PNX, arriva il risultato della radiografia che mostra PNEUMOTORACE SPONTANEO BILATERALE. A questo punto viene immediatamente eseguito un drenaggio pleurico bilaterale con immediato miglioramento dei parametri respiratori. I parametri cardiocircolatori restano invariati, stabili. La Sat O2 ora è 100%. Un EGA di controllo riporta i seguenti valori: pH 7.22, pO2 379 mmHg, pCO2 69 mmHg, HCO3 27,3 mmol/L. A questo punto il paziente viene trasferito nel reparto di Rianimazione di riferimento dove viene sottoposto a ventilazione meccanica per 24 ore, viene estubato con successo, senza sequele neurologiche. La TC del torace eseguita al momento del ricovero, evidenzia una distrofia bollosa apicale bilaterale. Dopo 3 giorni il polmone destro non si è ancora riespanso completamente. Il paziente viene trasferito presso un reparto di chirurgia toracica e sottoposto con successo ad intervento.

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DISPNEA POST-PARTUM “DNDD” Granzow K, Papiri E, Scorletti E, Maggi E, Bressan MA

Servizio di Pronto Soccorso-Accettazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia

Caso clinico Paziente 39 aa, sottoposta a parto cesareo per crisi ipertensiva 2 mesi prima dell’accesso in Pronto Soccorso. Ipertensione persistente post-partum, trattata con Aldomet, sospeso spontaneamente dalla paziente. Fumatrice. Giunge in PS per dispnea parossistica notturna. All’arrivo: PA 160/115, FC 120 bpm, Sat O2 97%. Eupnoica a riposo. Al torace non stasi. Non segni di TVP in atto. ECG: tachicardia sinusale, diffuse anomalie aspecifiche della ripolarizzazione. Non segni di ischemia acuta in atto EGA: paO2 71.9 mmHg, paCO2 34.3 mm Hg. PH 7.406, HCO3- 21.1 mmol/L Ia IPOTESI DIAGNOSTICA: TEP POST-PARTUM. Si eseguono: Rx torace: diffusa riduzione della trasparenza parenchimale: interstiziopatia? Lieve ipertrofia ventricolare sinistra. Esami ematochimici: WBC 9.260 con lieve neutrofilia (76%), Hb 12.3 g/dl, d-dimero 0,19 (v.n < 0,20), troponina I 0,02 (v.n.< 0,06) Pertanto: DISPNEA PAROSSISTICA CON IPOSSIEMIA E TACHICARDIA IN IPERTENSIONE. Apparentemente NON SEGNI DI TROMBOEMBOLISMO ACUTO II IPOTESI DIAGNOSTICA: INTERSTIZIOPATIA ?? o SOVRACARICO VENTRICOLARE SX A base del referto radiologico si richiede consulenza pneumologica: Lo specialista ipotizza componente asmatica e consiglia aerosol con salbutamolo e clenil A…Rimane dubbia l’interpretazione del quadro radiologico. Dopo aerosol comparsa di crepitii bibasilari al torace. Il consulente cardiologo interpellato suggerisce calo ponderale, ripresa della terapia antiipertensiva ed approfondimento diagnostico in regime ambulatoriale con ecocardio. A questo punto si decide di sottoporre la paziente a TAC torace per escludere con maggiore sicurezza evento embolico e definire meglio la “interstiziopatia”che rimane poco plausibile anche per la totale asintomaticità della paziente durante la gravidanza. TC torace (senza e con MDC): Non evidente embolia polmonare. Normale cuore destro, non dilatato, non ipertrofia del VD. Non dilatazione del tronco comune della arteria polmonare; pertanto non segni sospetti di ipertensione polmonare. Il VS ha mm 56 di diametro trasversale, pertanto piuttosto ampio e dilatato, normale spessore parietale; normale orientamento settale IV. Abbondante versamento pleurico bilaterale, prevalente a destra, senza versamento pericardio. Poco collasso polmonare. Invece nel parenchima inomogenea lieve velatura diffusa, con chiazzette maggiori nei settori assiali, come da iniziale edema: ispessimento di setti interlobulari alle basi, dilatazione dei vasi venosi in maggiore distribuzione antigravitaria; ci sono pertanto segni di ipertensione venosa del piccolo circolo e modesto edema polmonare. Si consiglia ecocardio. Si conferma pertanto l’ipotesi di Insufficienza ventricolare sinistra con edema polmonare e si ricovera in Cardiologia. In reparto la paziente è stata sottoposta ai seguenti esami diagnostici:

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Ecocardio: ventricolo sinistro lievemente dilatato con diffusa ipocinesia più severa a carico del setto, dell’apice e della parete inferiore; funzione sistolica globalmente severamente depressa (FE 25%). Non vizi valvolari emodinamicamente significativi. Ventricolo destro di dimensioni nei limiti della norma e funzione sistolica discretamente conservata. Pressioni polmonari lievemente aumentate (PAP ca. 35 mm Hg). Non pletora cavale. Cateterismo cardiaco destro: profilo emodinamico caratterizzato da lieve riduzione dell’indice cardiaco in presenza di normali pressioni di riempimento ventricolare sinistra e striale dx, normali pressioni polmonari, normali resistenze vascolari polmonari e sistemiche. Funzione ventricolare destra conservata. E’ stata istaurata terapia con diuretici, ace-INH e b-bloccante con repentino miglioramento clinico Diagnosi di dimissione. SCOMPENSO CARDIACO ACUTO IN PAZIENTE CON CARDIOMIOPATIA PERI-PARTUM. CONCLUSIONE: utilità dell’ecocardio nella diagnostica differenziale in regime d’urgenza. Sorprendente inoltre la diversità tra Rx torace AP e TC torace considerata l’entità del versamento pleurico.

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EFFETTI DEL SINERGISMO FRA BOSENTAN E GLIBENCLAMIDE: CASO

CLINICO C. Ruffini; A. Milanesi; R. Magrì*; A. Piacentini* , G. Nervetti

U.O. Medicina e Chirurgia di Accettazione e d’Urgenza – A.O. “Luigi Sacco”- Milano *U.O. SAR I – A.O. “Luigi Sacco”- Milano

Il caso: alle ore 08:10 la sig.ra M.C. di anni 66 giunge nel Pronto Soccorso della nostra A.O. in seguito ad episodio di vomito alimentare seguito da stato confusionale evoluto successivamente in agitazione psicomotoria. La prima valutazione è GCS 9, midriasi bilaterale iporeflessica, amaurosi, deviazione coniugata dello sguardo verso l’alto e a destra, amaurosi bilaterale, non rigor nucalis, motilità generale conservata. La paziente già nota alla nostra A.O. in quanto portatrice di ipertensione polmonare primaria (IAP) in terapia con bosentan, abbina in anamnesi ipertensione arteriosa e diabete mellito tipo II per cui assume glibenclamide. L’emogasanalisi evidenzia una marcata acidosi metabolica (ph 6,7; HCO3 4mmol; lattati>15) e glicemia pari a 43. Viene posto il sospetto di intossicazione di natura da determinare e programmata TAC dell’encefalo. Iniziata terapia di riequilibrio metabolico con somministrazione di Na2HCO3 250 mEq, soluzione glucosata al 33% ponendo sotto controllo i valori del potassio, viene esclusa la possibilità che la paziente abbia assunto sostanze tossiche di qualsivoglia natura. Alle ore 09:45 il quadro clinico deteriora manifestandosi ipotensione, bradicardia da allungamento del QT ed anuria; viene pertanto iniziata infusione di dopamina ed eseguita TAC encefalo che esclude acuzie in atto. Alle ore 12:15 la paziente viene ricoverata in rianimazione per essere sottoposta ad emofiltrazione in quanto l’acidosi metabolica risulta incorreggibile. Discussione: il bosentan è un antagonista competitivo dell’endotelina (ET-1), per il trattamento dei pazienti portatori di IPA di classe W.H.O III o IV e agisce sui recettori delle cellule muscolari lisce vascolari, il suo legame farmaco-proteico è pari al 98%, viene assunto per via orale. L’ET-1 è un potente vasocostrittore endogeno con effetti proliferativi, profibrotici e proinfiammatori; nei pazienti affetti da IAP, l’ET-1 esprime alti livelli plasmatici e tessutali polmonari. L’inibizione dell’ET-1 comporta riduzione delle resistenze vascolari polmonari ed attenua gli effetti dell’ipertensione sul rimodellamento vascolare. Fra le interazioni farmacologiche del bosentan è nota quella con la glibenclamide che comporta l’aumento del rischio di danno epatico. La glibenclamide è un ipoglicemizzante orale che stimola il rilascio di insulina dalle cellule pancreatiche aumentando la sensibilità dei siti bersaglio periferici e riduce la gluconeogenesi epatica. L’effetto ipoglicemizzante viene potenziato dall‘interazione con i farmaci ad elevato legame farmaco-proteico. Fra gli effetti collaterali figurano la riduzione del visus, la nausea ed il vomito. La L-acidosi lattica di tipo B, consegue alla diminuita capacità di convertire il lattato levogiro a glucosio, tipica dall’azione dei farmaci inibitori della gluconeogenesi epatica. La L-acidosi lattica di tipo A è determinata dall’ipossia distrettuale che si accompagna alle alterazioni della perfusione o della funzionalità polmonare. Conclusioni: nel caso clinico presentato l’acidosi metabolica lattica levogira è stata imputata al sinergismo fra bosentan e glibenclamide. Il trattamento mira all’inibizione della produzione di H+. In emergenza l’approccio terapeutico è consistito nella somministrazione di Na2HCO3 garantendo l’integrità dello scambiatore polmonare, nella rimozione del ristagno gastrico. L’emofiltrazione con attento bilancio degli ioni HCO3

- nel reinfusato, oltre ovviamente all’adeguato sostegno del circolo sono stati i provvedimenti della seconda fase. Bibliografia: “The Medical Letter on Drug and Therapeutics” anno XXXI, N°9 (N° 1127 Ed. USA) 1 maggio 2002 A.Donnelly, et al. “Anestesiology and Critical Care Drug Handbook” 4th Edition Lexi-Comp Halperin and Goldstein “ Fluid, electrolyte, and acid-base physiology” 3th Edition Saunders

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