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Lezioni di Geometria e Algebra Fulvio Bisi, Francesco Bonsante, Sonia Brivio

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Lezioni di Geometria e Algebra

Fulvio Bisi, Francesco Bonsante, Sonia Brivio

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CAPITOLO 0

Preliminari.

1. Insiemistica e logica

Il presente Capitolo introduttivo ha lo scopo di ripassare alcuni argomentidi base gia visti nei corsi di studio liceali o tecnici superiori, approfondendoalcuni aspetti, allo scopo di porre le basi per un linguaggio matematico comune,corredato di simboli definiti e condivisi.

1.1. Insiemi.

La prima parte di questo Capitolo verra dedicata a richiami riguardanti lateoria degli insiemi cosiddetta elementare, per distinguerla dalla teoria assio-matica degli insiemi, ben piu formale, che esula dagli scopi di questi appunti edel corso stesso.

Cominciamo ricordando che assumeremo come primitivo il concetto di insie-me, e che normalmente gli elementi degli insiemi che vengono presi in considera-zioni formano l’insieme ambiente o universo U . Come possiamo caratterizzareun insieme A? La risposta e: in qualunque maniera possiamo stabilire se undato elemento appartiene (∈)o non appartiene (/∈) all’insieme A; Questo si puoottenere, sostanzialmente, in due maniere principali.

(1) Fornendo l’elenco degli elementi dell’insieme {a1, a2, a3}; ad esempio

A =

{

1, 3, 7,1

2,−2.5, π

}

Notiamo che l’ordine con il quale vengono elencati gli elementi non esignificativo. In altre parole {1, 2, 3} e {3, 1, 2} indicheranno lo stessoinsieme.

In base a questo, potremo scrivere

1

2∈ A, 1 ∈ A, 34 /∈ A

(2) Caratterizzando gli elementi dell’insieme dicendo che sono quelli presinell’universo e godono di una certa proprieta A = {a ∈ U | p(a)}; labarretta verticale | , o i due punti : corrispondono, in questo conte-sto, alla locuzione “tale che”; quindi possiamo leggere la precedentescrittura come “A e l’insieme degli a minuscolo appartenenti ad U taliche vale la proprieta p(a), dove p(a) indica un qualunque enunciatoche riguarda a. Ad esempio, se indichiamo con N l’insieme dei numeri

3

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4 0. PRELIMINARI.

naturali (quelli, per capirsi, che servono al pastore per contare le suepecore: 0 –se non ne ha nessuna– 1, 2, 3, . . . ) l’insieme

P = {n ∈ N : n = 2k per qualche k ∈ N}indica l’insieme dei numeri naturali pari. Pertanto, fra l’altro scrive-remo

0 ∈ P, 34 ∈ P, 3 /∈ P, π /∈ P .

La seconda modalita diventa essenziale nel momento in cui, come il caso del-l’esempio, non esiste un numero finito di elementi, per cui l’elenco sarebbeimpossibile. A tale proposito, ricordiamo subito che, se un insieme contiene unnumero n finito di elementi, questo corrisponde con la cardinalita dell’insieme:n = card(A).

L’insieme che non contiene nessun elemento viene detto insieme vuoto, e siindica con il simbolo ∅. Osserviamo che esso e unico.

Definizione 0.1. Diremo che B e sottoinsieme di A (B ⊆ A) se ognielemento di B e anche elemento di A. In simboli, introducendo il simbolodell’implicazione (di cui parleremo estesamente piu avanti):

b ∈ B =⇒ b ∈ A.

Se almeno un elemento di A non appartiene a B diremo che si ha un inclusionepropria, ossia che B e un sottoinsieme proprio di A (Figura 0.1):

B ⊂ A : B ⊆ A, ed esiste x ∈ A |x /∈ B

AB

x

Figura 0.1. Rappresentazione schematica mediante i diagram-mi di Eulero-Venn dell’inclusione propria; B ⊂ A poiche esisteun elemento x di A che NON appartiene a B.

Due insiemi sono uguali (o coincidono) se contengono gli stessi elementi,ossia se A ⊆ B e B ⊆ A. Ad esempio, con i simboli di prima, l’insiemeA = {n ∈ P |n ≤ 10} e l’insieme B = {0, 2, 4, 6, 8, 10} contengono esattamentegli stessi elementi, dunque sono uguali: A = B.

Ogni studente nel proprio corso di studi ha incontrato insiemi di numeri edha imparato a svolgere alcune operazioni in questi insiemi. Il primo di questi el’insieme N dei numeri naturali:

N = {0, 1, 2, 3, . . . }

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 5

Il secondo insieme e l’insieme Z dei numeri interi o relativi:

Z = {0,±1,±2,±3, . . . }ricordiamo che il sottoinsieme di Z degli interi positivi viene identificato con l’in-sieme dei numeri naturali. Il terzo insieme e l’insieme Q dei numeri razionali,ossia delle frazioni:

Q =

{

±1

2,±1

3,±2

3,±4

1, . . .

}

ricordiamo che il sottoinsieme di Q delle frazioni apparenti (ossia, quelle condenominatore unitario, o equivalenti a queste ultime) viene identificato con Z.Infine l’ultimo insieme numerico conosciuto e l’insieme R dei numeri reali, dicui fanno parte i numeri razionali ed i numeri irrazionali, cioe i numeridecimali che non sono periodici. Sono numeri irrazionali ad esempio:

√2, π, e.

Abbiamo quindi l’inclusione di insiemi:

N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R.

Conveniamo di indicare con un asterisco ()∗ l’insieme numerico corrispondenteprivato dello zero:

N∗ := N − {0} ,

eccetera.Riprenderemo in seguito nella sezione 2 in modo piu formale questi insiemi

numerici, introducendo anche l’ultimo insieme che useremo a volte nel corso:quello dei numeri complessi C.

Vi sono due operazioni fondamentali che possiamo eseguire con gli insiemi(Figura 0.2):

Definizione 0.2. Siano A e B due insiemi.

• L’unione dei due insiemi, indicata con A∪B, e l’insieme che contienegli elementi di A e B, in comune e non.

• L’intersezione dei due insiemi, indicata con A ∩ B, e l’insieme checontiene gli elementi che A e B hanno in comune.

• L’insieme differenza A − B e formato privando A degli (eventuali)elementi che sono anche in B (ossia, togliendo ad A gli elementi diA ∩ B).

Come caratterizziamo tutti i possibili sottoinsiemi di un dato insieme?

Definizione 0.3. Dato un insieme A, l’insieme formato da tutti i sottoin-siemi di A viene detto insieme delle parti di A:

P(A) := {B |B ⊆ A}Osservazione 0.1. Con il simbolo := indicheremo le uguaglianze per defi-

nizione.

Esempio 0.2. Sia A = {1, 5, 7}. L’insieme delle parti di A e:

P(A) = {∅, A, {1}, {5}, {7}{1, 5}, {5, 7}, {1, 7}} .

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6 0. PRELIMINARI.

A B

A ∪ B

A ∩ B

Figura 0.2. Rappresentazione schematica mediante i diagram-mi di Eulero-Venn degli insiemi A, B, della loro intersezioneA ∩ B e dell’unione A ∪ B (le tre aree insieme).

Se il numero di elementi di un insieme e finito, ha senso chiedersi quanti in-siemi si troveranno in P(A). La risposta viene da un teorema che dimostreremobasandoci su un noto principio valido per i numeri naturali:

Proposizione 0.1 (Principio di induzione). Sia A un sottoinsieme di N

caratterizzato dalle seguenti proprieta:

(1) 0 ∈ A;(2) se n ∈ A, allora n + 1 ∈ A.

L’insieme A coincide con N.

Una dimostrazione che una certa proprieta vale per tutti i numeri n ∈ N

puo essere basata sul Principio 0.1 mostrando che la proprieta vale per 0 (o per1, se si parte da questo numero) e che, se vale per n (ipotesi induttiva), alloravale per n + 1.

Siamo in grado ora di enunciare il nostro semplice

Teorema 0.2. Sia A un insieme di cardinalita card(A) = n ∈ N. Lacardinalita di P(A) e allora 2n.

Dimostrazione. Forniamo la dimostrazione come esempio di applicazione delprincipio di induzione.

• Il primo passo e verificare che l’affermazione contenuta nella tesi sia vera pern = 1 (in realta, vale anche per 0, visto che la cardinalita dell’insieme vuotoe nulla, per definizione: per maggiore chiarezza, partiamo con il caso piuconcreto)

Se A ha cardinalita n = 1, contiene solo 1 elemento; i suoi possibilisottoinsiemi sono l’insieme vuoto ∅ e l’insieme stesso A: l’insieme delle particontiene 2 elementi, quindi la cardinalita card(A) = 2 = 21.

• Supponiamo ora (ipotesi induttiva) che la tesi sia vera per un certo numeron:

card(A) = n =⇒ card(P(A)) = 2n.

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 7

Mostriamo che allora e vera per n + 1; costruiamo un insieme B unendo adA un insieme B che contiene un solo elemento, diverso da tutti quelli di A.Ad esempio

A = {♦,♣,♠,♥}B = {•}

A ∪ B = {♦,♣,♠,♥, •} .

E chiaro che A∪B contiene n+1 elementi. Quanti sottoinsiemi possiamofare per esso?

Tutti quelli che sono sottoinsiemi di A, che sono 2n, e poi tutti quelli cheotteniamo unendo a ciascuno di essi l’elemento •: questi sono tutti diversi daquelli di A soltanto (perche contengono un elemento che non appartiene adA), e non ve ne sono altri. Quindi, in tutto abbiamo 2n + 2n sottoinsiemi,cioe 2(2n) = 2n+1, come volevamo dimostrare.

Quindi, siccome la tesi vale per n = 1, vale anche per n = 2 = 1 + 1; allora valeper n = 3 = 2 + 1; allora vale per n = 4 = 3 + 1, ecc.

Vale, insomma, per ogni n ∈ N (per n = 0, 20 = 1, e l’unico sottoinsieme del-

l’insieme vuoto e l’insieme vuoto stesso, quindi anche in questo caso l’affermazione e

corretta). �

1.2. Logica matematica elementare.

Nella logica matematica, si considerano proposizioni che hanno la possibi-lita di essere valutate come vere (V) o false (F) senza ambiguita (ossia, peresempio, senza che questo riguardi un’opinione o simili). Le proposizioni ven-gono di solito indicati con le lettere minuscole: p, q, r, . . . ; puo accadere che unadata proposione contenga una o piu variabili, che vengono messe tra parentesi:p(x), q(x, y), . . . . Ad esempio

p = “7 e un numero pari”,

q = “36 e divisibile per 9”;

r(x) = “x e un numero primo”.

Evidentemente, p e falsa, q e vera, r(x) e vera per x = 31, e falsa per x = 25,ad esempio.

La negazione di una proposizione e simboleggiata da una barra sopra lalettera che indica la proposizione. Per esempio, se

p = “42 e divisibile per 7”

la sua negazione e

p = “42 NON e divisibile per 7”.

Per formulare enunciati, risulta utile l’utilizzo di due simboli, detti quanti-ficatori :

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8 0. PRELIMINARI.

(1) il quantificatore universale ∀ (“per ogni”): indica che cio che segue siassume per tutti gli esemplari indicati, senza esclusione. Per esempio,se A indica l’insieme dei numeri primi, possiamo scrivere

∀n ∈ A, n ha come divisori solo se stesso e 1.

(2) il quantificatore esistenziale ∃ (“esiste”): indica l’esistenza di almenoun elemento, per cui vale cio che segue, ma non necessariamente questodeve valere per tutti, o esiste un solo elemento che si comporta in talemaniera (se si vuole indicare anche l’unicita, si fa seguire al simbolo unpunto esclamativo: ∃!, che si legge “esiste un unico”). Per esempio, secon A indichiamo i numeri primi, e con B i numeri naturali maggioridi 1, possiamo dire che l’enunciato

∀n ∈ B ∃p ∈ A | p e divisore di n

e vero (convincetevi di questo ragionando sul suo significato).

Occorre fare attenzione alla negazione di enunciati che contengono i quan-tificatori: se voglio negare tutti i bottoni di questo cassetto sono neri (unaquantificazione “per ogni”) basta trovare almeno UN bottone NON nero (unaquantificazione “di esistenza del contrario”). In simboli, possiamo scrivere chel’opposto di

∀x, p(x)

sara∃x | p(x).

Vale anche il viceversa: la negazione di

∃y | q(y)

e∀y, q(y).

I due connettivi logici fondamentali sono la congiunzione (“e”), che rappre-sentiamo con il simbolo ∧ e la disgiunzione (“o, oppure”), che rappresentiamocon il simbolo ∨. Osserviamo che la proposizione

p ∧ q

e vera solo se p e q sono vere, altrimenti e falsa; invece, la proposizione

p ∨ q

e vera se almeno una delle due fra p e q e vera, e falsa solo se sono entrambefalse; in altre parole, non si intende un “o” esclusivo (per chi ha dimestichezzacon il latino, corrisponde al connettivo vel, non al connettivo aut).

Basandoci sui connettivi, possiamo definire formalmente le operazioni dibase sugli insiemi (Figura 0.2): l’unione fra due insiemi A e B sara quindi

A ∪ B := {x ∈ U |x ∈ A ∨ x ∈ B}e l’intersezione

A ∩ B := {x ∈ U |x ∈ A ∧ x ∈ B}Una struttura importante della logica, e della matematica, e quello di implica-zione; i teoremi sono normalmente enunciati in forma di implicazione del tipo

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 9

“se queste condizioni si verificano (ipotesi), allora queste conseguenze si devonoverificare (tesi)”. In simboli descriveremo la struttura come

(0.1) p =⇒ q

che possiamo leggere

• p implica q;• se p allora q;• p e condizione sufficiente (c.s.) per q;• q e condizione necessaria (c.n.) per p.

La doppia implicazione, ossia l’implicazione reciproca di p e q corrispondeall’equivalenza; pertanto in simboli

p ⇐⇒ q

si leggera

• p se e solo se (sse) q;• p equivale a q;• p e condizione necessaria e sufficiente per q (c.n.&s.)

L’enunciato simbolico (0.1) equivale a dire che se non vale q, allora nonpuo valere p, che chiameremo l’enunciato contronominale del primo: in simboli,scriveremo che

(0.2) (p =⇒ q) ⇐⇒ (q =⇒ p)

Questo viene utile, perche a volte l’enunciato contronominale e di piu agevoleapproccio; ad esempio, invece di “se n e dispari allora non e divisibile per 10”risulta piu chiaro o piu facilmente dimostrabile la forma contronominale: “se ne divisibile per 10 allora e pari (non e dispari)”.

Analogamente, a volte per dimostrare un enunciato p =⇒ q, si puo proce-dere per assurdo, ossia, si suppone che l’ipotesi p sia vera, e si mostra che, sela tesi q fosse falsa, si arriva ad una contraddizione (per esempio, che p e falsa,oppure che una proposizione r e contemporaneamente vera E falsa).

1.3. Ancora sugli insiemi.

Vediamo ora alcune operazioni e alcuni concetti ulteriori sugli insiemi chepossono essere utili per descrivere in modo sintetico vari argomenti che citroveremo ad affrontare.

Definizione 0.4. Dati due insiemi A e B (non necessariamente distinti),chiameremo prodotto cartesiano A × B l’insieme delle coppie ordinate (a, b)ottenibili prendendo come primo elemento della coppia un elemento di A ecome secondo elemento un elemento di B:

A × B := {(a, b) | a ∈ A, b ∈ B}

(Diamo per assodato che sia chiaro il concetto di coppia ordinata (a, b). Eimportante ricordare che la coppia (a, b) e la coppia (b, a) NON sono coincidenti(ossia, importa anche l’ordine con cui diamo gli elementi a e b).

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10 0. PRELIMINARI.

Definizione 0.5. Se gli insiemi che consideriamo sono i sottoinsiemi di uncerto ambiente o universo U , dato un insieme A diremo che il suo complementarein U e l’insieme degli elementi di U che non stanno in A:

CU (A) := {x ∈ U |x /∈ A}(quando sara chiaro in quale ambiente ci si trova, ometteremo l’indice U nelsimbolo, e scriveremo semplicemente C(A)).

A volte occorre considerare quali elementi di un insieme A sono correlatiagli elementi di un altro insieme B (ossia, si vuole identificare un particolaresottoinsieme di A×B); scriveremo aR b per esprimere che esiste questa relazionefra a ∈ A e b ∈ B (per esempio, la relazione “e figlio di”).

Osservazione 0.3. Osserviamo che la conoscenza della relazione R fra gliinsiemi A e B equivale a selezionare un particolare sottoinsieme del prodottocartesiano A × B; in altre parole, possiamo indentificare R con un elementodelle parti di A × B:

R ∈ P(A × B).

Di particolare interesse risulta il caso delle relazioni in cui A e B coincidono,e, ulteriormente, vi sono fra esse alcune che godono di proprieta peculiari: sonole relazioni di equivalenza.

Definizione 0.6. Una relazione fra gli elementi di un insieme A viene dettadi equivalenza se valgono per essa le seguenti proprieta, valide per ogni sceltadi elementi in A:

(1) proprieta riflessiva: aR a;(2) proprieta simmetrica: xR y =⇒ yRx;(3) proprieta transitiva: xR y, yR z =⇒ xR z.

In altre parole le proprieta dicono che ogni elemento e in relazione con se stesso;che quando x e in relazione con y, y e nella stessa relazione con x; che sepossiamo dire che x e in relazione con y e che y e in relazione con z, allora x ein quella relazione con z.

L’uguaglianza fra numeri e un esempio banale di relazione di equivalenza.In geometria euclidea, la relazione di equivalenza per antonomasia fra figurepiane e “ha la stessa area di”: infatti, due figure che hanno la stessa area sidicono equivalenti. Per indicare che due elementi a, a′ ∈ A sono equivalenti,scriveremo

a ≃ a′ .

Una volta che in un insieme viene introdotta una relazione di equivalenza ≃,possiamo radunare in un sottoinsieme di A tutti gli elementi che sono equivalentiad uno scelto:

Definizione 0.7. dato A ed una relazione di equivalenza R(≃) in esso,scelto un elemento a ∈ A, l’insieme di tutti gli elementi di A che sono equivalentiad esso viene detto la sua classe di equivalenza [a], modulo R:

[a] := {x ∈ A |x ≃ a} .

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 11

Osservazione 0.4. Lasciamo allo studente il compito di convincersi delleseguenti proposizioni:

(1) per ogni a ∈ A, la classe [a] e non vuota: infatti, contiene almeno a,visto che a ≃ a;

(2) Dati a, b ∈ A le due classi [a] e [b] hanno intersezione non vuota se esolo se a ≃ b e questo avviene se solo se [a] = [b];

(3) l’unione di tutte le possibili classi di equivalenza coincide con l’insiemedi partenza:

a∈A

([a]) = A.

In altre parole, tutto questo si esprime sinteticamente dicendo che leclassi di equivalenza formano una partizione di A.

Esempio 0.5. Consideriamo l’insieme dei numeri naturali N e la relazionedi equivalenza

R = “ha lo stesso resto nella divisione per 5 di”.

Per esempio, con questa relazione 7 ≃ 12, perche dividendo sia 7 che 12 per 5si ottiene come resto 2 (formalmente, si direbbe che 7 ≃ 12 (mod 5), letto “7 eequivalente a 12 modulo 5”).

Cominciamo a chiederci quali numeri sono nella classe di equivalenza di 0:essi sono tutti i multipli di 5, che danno 0, appunto, come resto della divisioneper 5:

[0] = {0, 5, 10, 15, 20, 25, . . . } ;

continuando, ci rendiamo conto che nella classe di equivalenza di 1 stanno tuttii primi successivi dei multipli di 5:

[1] = {1, 6, 11, 16, 21, 26, . . . } ;

e cosı via con le classi di equivalenza di 2, 3, 4:

[2] = {2, 7, 12, 17, 22, 27, . . . } ;

[3] = {3, 8, 13, 18, 23, 28, . . . } ;

[4] = {4, 9, 14, 19, 24, 29, . . . } ;

e abbiamo finito: poiche 0 ≃ 5 la classe [5] coincide con [0], la classe [6] coincidecon [1], ecc.

Osserviamo che ogni classe e disgiunta dalle altre, e che riunendo le clas-si riotteniamo N: abbiamo partizionato N in 5 sottoinsiemi. Naturalmente,mediante altre classi di equivalenza, avrei potuto partizionare l’insieme diver-samente (sia per numero di sottoinsiemi, che per gli elementi che si trovano inciascun sottoinsieme).

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12 0. PRELIMINARI.

1.4. Funzioni.

Il concetto di funzione o applicazione fra due insiemi e tra quelli chiave nellamatematica moderna; vale quindi la pena di dedicare un paragrafo a ripassare ledefinizioni piu comuni in questo campo. Sinteticamente, parleremo di funzionequando esistono due insiemi fatti in modo che esista una “macchinetta” di qua-lunque tipo (una legge matematica, una tabella ecc.) che consente di prendereun qualunque elemento del primo insieme e trovare, grazie alla “macchinetta”,un solo elemento nel secondo insieme che gli corrisponde. Piu formalmenteabbiamo la seguente

Definizione 0.8. Dati un insieme A, detto dominio ed un insieme B, dettocodominio, viene detta funzione (o applicazione) f fra i due insiemi una leggeche permette di associare ad ogni elemento a di A uno ed un solo elemento b diB. In simboli, scriveremo

f : A → B

che leggeremo “f che va da A in B”, o anche f che porta A in B”. Fissato a,l’elemento b che gli corrisponde verra detto immagine di a secondo (o attraverso,o mediante) la f , e per esprimere questo scriveremo b = f(a), o anche a 7→ b o

af7→ b (Figura 0.3).

A B

f

a

b

c

d

♣♠

Im f

Figura 0.3. Rappresentazione schematica mediante i diagram-mi di Eulero-Venn di una funzione f : A → B. Si noti che,fissato x ∈ A, l’immagine f(x) e unica: non possono corrispon-dere ad x due o piu punti nel codominio B; nulla vieta, pero,che y ∈ B sia immagine di diversi elementi in A. L’ovale ros-so racchiude gli elementi di Im f , ossia l’insieme dei “punti diatterraggio” delle frecce.

Esempio 0.6. Vediamo alcuni esempi di funzione:

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 13

(1) Sia A l’insieme dei cittadini italiani iscritti al primo anno di Ingegneriadi una certa sede universitaria (per esempio, Pavia o Mantova); siaB l’insieme di tutti i cognomi dei cittadini italiani. Consideriamo lafunzione f che associa ad ogni elemento di A (ossia, ad ogni studentedel primo anno cittadino italiano) il suo cognome.

(2) Sia A l’insieme dei comuni italiani, sia B l’insieme delle regioni ita-liane; consideriamo la f che associa ad ogni comune la regione diappartenenza.

(3) Sia A l’insieme dei numeri naturali, e sia B l’insieme dei numeri natu-rali. Consideriamo la funzione f che associa ad ogni numero naturalen il suo quadrato (ossia, f(n) = n2).

(4) Sia A l’insieme dei numeri reali, e sia B sempre l’insieme dei numerireali. Consideriamo la funzione f che associa ad ogni numero reale xil suo quadrato (ossia, f(x) = x2). Anche se la legge che permette ditrovare l’immagine e la stessa di prima, le due funzioni sono differen-ti, perche hanno domini differenti, e non basterebbe cambiare solo ilcodominio.

(5) Sia A l’insieme delle coppie (p, q) di numeri razionali, sia B l’insiemedei numeri reali. Consideriamo la f che associa ad ogni coppia (p, q)la loro somma: f(p, q) = p + q.

Osservazione 0.7. Possiamo interpretare la conoscenza della funzione

f : A → B

come la selezione di un particolare elemento di P(A × B).

Risulta interessante qualificare tutti gli elementi del codominio che sono“raggiunti da almeno una freccia”.

Definizione 0.9. Sia f : A → B una funzione. L’insieme di tutte le possibiliimmagini ottenibili tramite la f viene chiamata immagine Im f della funzione:

Im f := {y ∈ B | y = f(x), al variare di x ∈ A} = {f(x), x ∈ A} .

In altre parole, possiamo dire che l’immagine di f e l’insieme di tutti gli elementidel codominio per i quali esiste almeno un elemento nel dominio cheviene trasformato in essi:

Im f := {y ∈ B | ∃x ∈ A : y = f(x)} .

Inoltre, preso un sottoinsieme D del dominio (D ⊂ A), chiamiamo immaginedi D secondo la f l’insieme di tutte le immagini degli elementi di D, e laindicheremo con f(D):

(0.3) f(D) := {y ∈ B | y = f(x), al variare di x ∈ D} .

Risulta evidente che Im f = f(A). Inoltre, per convenzione f(∅) = ∅.

Osservazione 0.8. In altre parole, per verificare che un certo elementoy del codominio appartenga all’immagine di f , occorre (e basta) trovare unelemento x del dominio che ha come immagine y: y = f(x).

Ha anche interesse individuare, fissato un elemento del codominio, qualielemento del dominio “portano” in esso:

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14 0. PRELIMINARI.

Definizione 0.10. Sia f : A → B una funzione. Fissato b ∈ B, l’insie-me di tutti gli elementi di A che hanno per immagine b viene viene chiamatocontroimmagine f−1(b):

f−1(b) := {x ∈ A | f(x) = b} .

Inoltre, preso un sottoinsieme C del codominio (C ⊂ B), chiamiamo controim-magine di C secondo la f l’insieme di tutte le controimmagini degli elementidi C, e la indicheremo con f−1(C):

f−1(C) := {x ∈ A | f(x) = y, al variare di y ∈ C} .

Inoltre, per convenzione f−1(∅) = ∅.

Esempio 0.9. Considerando la f rappresentata schematicamente nella Fi-gura 0.3, abbiamo:

f−1({♥}) = {b} ,

f−1({♦}) = {a, c} ,

f−1({♣}) = ∅.

Osservazione 0.10. Data f : A → B, la controimmagine del codominio etutto il dominio:

f−1(B) = A.

Lo studente avra sicuramente maggiore dimestichezza con le funzioni realidi una variabile reale, per le quali spesso viene usata una rappresentazionegrafica nel piano cartesiano (formalizzeremo meglio il concetto di riferimentocartesiano ortogonale nel Capitolo 1, ma consideriamo che la sua conoscenza alivello di base faccia parte del bagaglio culturale di ogni studente provenientedalle scuole superiori). In effetti, il concetto di “grafico di una funzione” valein generale:

Definizione 0.11. Sia f : A → B una funzione; il grafico Gf della funzionee il sottoinsieme del prodotto cartesiano A×B di tutte le coppie (a, b) formateal variare di a in A, con b immagine di a secondo f :

Gf := {(a, b) ∈ A × B | b = f(a), ∀ a ∈ A}Se ritorniamo all’Osservazione 0.7, possiamo dire che, in ultima analisi la

funzione e il grafico.

Osservazione 0.11. In base alla definizione di funzione f : A → B, visono alcune condizioni che si devono sempre verificare: cerchiamo di vederleesplicitamente, dando anche l’interpretazione di queste in termini di diagrammischematici di Eulero-Venn

(1) Devo sempre potere prendere un elemento nel dominio e trovare un’im-magine nel codominio. In altre parole, da ogni elemento del dominioparte sempre una freccia.

(2) Fissato un elemento del dominio, a questo corrisponde una sola imma-gine. Quindi da ogni elemento del dominio parte una sola freccia.

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 15

(3) Non e detto che ad ogni immagine corrisponda solo un elemento deldominio: quindi per un elemento del dominio possono esservi una,nessuna o piu di una freccia che vi arriva.

Quest’ultimo punto ci fa capire che diventa utile classificare ulteriormentele funzioni in base al loro comportamento; diamo quindi le seguenti definizioni.

Definizione 0.12. Sia f : A → B una funzione:

(1) f viene detta surgettiva (o suriettiva) se la sua immagine coincidecon il codominio, ossia: B = Im f . In altre parole, per una funzionesurgettiva, preso un qualunque elemento y di B, questo e immagine dialmeno un elemento x di A:

∀ y ∈ B ∃x ∈ A | y = f(x) ,

dunque, in ogni elemento di B arriva almeno una freccia (Figu-ra 0.4);

(2) f viene detta iniettiva se porta elementi distinti in elementi distinti,ossia

∀x1, x2 ∈ A x1 6= x2 =⇒ f(x1) 6= f(x2) ,

o anche, nella forma contronominale, se le immagini di due elementicoincidono, i due elementi devono coincidere

∀x1, x2 ∈ A f(x1) = f(x2) =⇒ x1 = x2 .

Schematicamente, per una funzione iniettiva in ogni elemento del co-dominio puo arrivare solo una freccia, o nessuna (Figura 0.5);

(3) f viene detta bigettiva (o biiettiva), o anche f e una corrisponden-za biunivoca se e contemporaneamente surgettiva e iniettiva. Sche-maticamente, tutti i punti del codominio saranno raggiunti da unasola freccia (Figura 0.6).

Esempio 0.12. Per aiutare lo studente a comprendere meglio ed assimilarele definizioni 0.12, riportiamo alcuni semplici esempi di funzioni reali di variabilereale f : R → R.

• Le funzioni f(x) = x, f(x) = 2x e f(x) = x3 sono iniettive. Verifi-chiamo ad esempio che f(x) = x3 e iniettiva. Siano x1, x2 ∈ R numerireali, proviamo che:

f(x1) = f(x2) =⇒ x1 = x2.

Infatti e ben noto che l’uguaglianza (x1)3 = (x2)

3 implica che x1 = x2,da cui ricaviamo l’iniettivita di f .

• Le funzioni f(x) = x2 e f(x) = sinx non sono iniettive. Verifichiamoche f(x) = x2 non e iniettiva. Basta provare l’esistenza di due numerireali x1 e x2 tali che:

x1 6= x2 e f(x1) = f(x2).

Osserviamo che se x1 e x2 sono due numeri reali non nulli oppostiallora si ha (x1)

2 = (x2)2, per cui possiamo concludere che f non e

iniettiva.

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16 0. PRELIMINARI.

A B

f

ab

c

d

e

h

Figura 0.4. Rappresentazione schematica mediante i diagram-mi di Eulero-Venn di una funzione f : A → B surgettiva. Tuttigli elementi del codominio B sono raggiunti da almeno una frec-cia.

A B

f

a

b

c

d

Figura 0.5. Rappresentazione schematica mediante i diagram-mi di Eulero-Venn di una funzione f : A → B iniettiva. Tuttigli elementi del codominio B sono raggiunti al piu da una freccia.

• Le funzioni f(x) = 2x e f(x) = x3 sono suriettive. Verifichiamo adesempio che f(x) = x3 e suriettiva. Proviamo che:

∀y ∈ R ∃x ∈ R |f(x) = y.

Osserviamo che ∀y ∈ R l’equazione x3 = y ammette la soluzione y =3√

x, da cui ricaviamo che f e suriettiva.• Le funzioni f(x) = x2 e f(x) = sinx non sono suriettive. Verifichiamo

che f(x) = x2 non e suriettiva. Basta provare l’esistenza di un numero

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1. INSIEMISTICA E LOGICA 17

A B

f

g = f−1

a

b

c

d

Figura 0.6. Rappresentazione schematica mediante i diagram-mi di Eulero-Venn di una funzione f : A → B bigettiva. Tut-ti gli elementi del codominio B sono raggiunti da una eduna sola freccia. La funzione risulta invertibile: la funzioneg = f−1 : B → A e definita in modo che x = g(y) = f−1(y) sey = f(x).

reale y ∈ R per cui l’equazione f(x) = y non ammetta soluzioni reali.Osserviamo che se y < 0 l’equazione x2 = y non amette soluzioni reali,per cui possiamo concludere che f non e suriettiva.

Osservazione 0.13. Cambiando il codominio, e sempre possibile renderesurgettiva una funzione f : A → B: basta usare come codominio l’immagine dif . La funzione g : A → Im f , definita in modo che g(x) = f(x) per tutti gli xdi A e surgettiva.

L’iniettivita e in generale piu problematica, ma sotto certe condizioni epossibile arrivare ad avere una funzione iniettiva da una generica. Per farequesto, puo essere necessario restringere l’ambito della f , ossia il suo dominio.

Definizione 0.13. Sia f : A → B una funzione, e sia D ⊂ A un sottinsiemedel dominio. Chiameremo restrizione della f a D o anche funzione ristrettaa D la funzione

fD : D → B ,

definita in modo che per ogni x ∈ D si ha

fD(X) = f(x) .

In altre parole, la funzione ristretta e definita solo sugli elementi del sottoinsiemeD, ed ha gli stessi valori che aveva la f originale.

Nelle funzioni biunivoche ogni elemento del dominio ha la controimmaginenon vuota, e questa contiene un solo elemento (controimmagine unica); in talcaso, possiamo “invertire” le frecce e definire una funzione in cui dominio ecodominio si scambiano i ruoli (Figura 0.6).

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18 0. PRELIMINARI.

Definizione 0.14. Sia f : A → B una funzione bigettiva; allora e inverti-bile, e la funzione inversa g = f−1 : B → A e definita da g(y) = f−1(y) = xse y = f(x).

1.5. Composizione di funzioni.

Per finire, ricordiamo un concetto che permette di definire funzioni “incascata”:

Definizione 0.15. Siano f : X → Y e g : Y → Z due funzioni, definite inmodo che il codominio della prima coincida con il dominio della seconda. Vienechiamata funzione composta f ◦ g la funzione che ha come dominio X comecodominio Z e definita in modo che l’immagine di ogni elemento x ∈ X sial’immagine secondo g dell’immagine di x secondo f , ossia:

(0.4) f ◦ g : X → Z, x 7→ g (f(x)) .

Si noti che l’ordine di composizione e essenziale: f ◦ g 6= g ◦ f (sempre chele due composizioni siano possibili, per la scelta dei domini e dei codomini dellef, g).

2. Insiemi numerici e operazioni interne.

In ciascuno degli insiemi numerici visti precedentemente (1.1) sono definitealcune operazioni interne.

Definizione 0.16. Sia A un insieme; chiamiamo operazione interna (o“binaria”) una funzione

f : A × A → A

che associa ad una coppia ordinata a, b di elementi di A un elemento di A stesso;normalmente, l’operazione binaria viene indicata da un simbolo interposto frai due termini a e b, ad esempio:

(a, b) 7→ a ⋆ b

In altre parole, un’operazione su un insieme A e detta interna se puo esseresempre eseguita per ogni coppia di numeri di A ed il risultato e un numeroche appartiene allo stesso insieme.

Esempio 0.14. Vediamo come esempio le due operazioni interne “per eccel-lenza”.L’operazione di addizione fra numeri interi e un’operazione interna:

+: N × N → N

(n1, n2) 7→ n1 + n2 n1, n2 ∈ N

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2. INSIEMI NUMERICI E OPERAZIONI INTERNE. 19

L’operazione di moltiplicazione fra numeri interi e un’operazione interna:

. : N × N → N

(n1, n2) 7→ n1.n2 n1, n2 ∈ N

In effetti, l’idea di “ingrandire” un certo insieme numerico nasce proprio dal-l’esigenza di poter introdurre nuove operazioni interne, altrimenti non eseguibilisempre:

• per poter definire come operazione interna la sottrazione, vengonocreati i numeri interi (relativi) Z, di cui i numeri naturali N sono unsottoinsieme (quello dei numeri positivi o nulli);

• per poter sempre eseguire le divisioni (tranne che per 0), vengono creatii numeri razionali Q, che sono le frazioni (con denominatore non nullo)fra numeri interi (anzi, meglio, le classi di equivalenza delle frazioni);

• per poter sempre estrarre la radice quadrata di numeri positivi nell’in-sieme in cui si opera, si introducono i numeri reali R, un sottoinsie-me dei quali e in corrispondenza biunivoca con i numeri razionali, e,pertanto, si identifica con Q stesso.

Ogni volta che un insieme numerico viene “allargato”, si definiscono nelnuovo insieme le operazioni interne di addizione e moltiplicazione, in modo chei risultati delle operazioni ristrette ad un sottoinsieme “precedente” coincidanocon quelli ottenuti con la definizione “precedente”.

Proprieta 0.3. Ricordiamo alcune proprieta di queste operazioni.

(1) Proprieta commutativa dell’addizione:

∀a, b a + b = b + a,

e verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q R.(2) Proprieta associativa dell’addizione:

∀a, b, c (a + b) + c = a + (b + c),

e verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.(3) Esistenza dell’elemento neutro per la somma:

∃a0| ∀a a + a0 = a0 + a = a,

tale elemento e il numero 0 e la proprieta e verificata in tutti gli insiemiN, Z, Q e R.

(4) Esistenza dell’elemento opposto per la somma:

∀a ∃a′ | a + a′ = a′ + a = 0,

a′ = −a e l’opposto di a e tale proprieta e verificata in Z, Q e R (manon in N).

(5) Proprieta distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:

∀a, b, c (a + b).c = a.c + b.c, c.(a + b) = c.a + c.b,

e verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.

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20 0. PRELIMINARI.

(6) Proprieta commutativa della moltiplicazione:

∀a, b a.b = b.a,

e verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.(7) Proprieta associativa della moltiplicazione:

∀a, b, c (a.b).c = a.(b.c),

e verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.(8) Esistenza dell’elemento neutro per il prodotto:

∃u | ∀a a.u = u.a = a,

tale elemento e il numero 1 e la proprieta e verificata in tutti gli insiemiN, Z, Q e R.

(9) Esistenza dell’elemento inverso per il prodotto:

∀a 6= 0 ∃a′′ | a.a′′ = a′′.a = 1,

a′′ = a−1 e l’inverso di a e tale proprieta e verificata in Q e R, privatidello 0 (ma non in N o Z, neanche escludendo lo 0).

Per risolvere il problema dell’estrazione di radici quadrate di numeri ne-gativi, vengono creati i numeri complessi C. In essi, viene introdotta l’unitaimmaginaria i, fatta in modo che

i2 = −1 .

Cosı facendo, un numero complesso z puo essere composto di una parte realea = ℜ(z) ed una parte immaginaria b = ℑ(z), “sommate”:

z = a + i b .

Un modo molto efficace di rappresentare i numeri complessi e quello dovuto aGauss ed Argand, che realizza una corrispondenza biunivoca fra z ed i puntidi un piano cartesiano in cui si riporta la parte reale sull’asse delle ascisse e laparte immaginaria su quello delle ordinate (Figura 0.7).

I numeri che hanno parte immaginaria nulla si trovano in corrispondenzabiunivoca con i numeri reali stessi, e vengono identificati con questi ultimi.

Riprenderemo nel dettaglio le considerazioni sui numeri complessi nell’Ap-pendice (sezione 5), dove impareremo alcuni strumenti essenziali per lavorarecon essi. Per il paragrafi rimanenti, comunque, serviranno solo alcune operazionie proprieta di base:

(1) l’operazione di coniugazione (o coniugio), che associa ad ogni numeroz = a + i b ∈ C il suo complesso coniugato z che ha uguale parte realee parte immaginaria cambiata di segno

z = a − i b ,

(2) il risultato (Proposizione 0.11) –abbastanza evidente– che un numerocomplesso e reale se e solo se la sua parte immaginaria e nulla:

z ∈ R ⇐⇒ ℑ(z) = 0 .

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3. STRUTTURE ALGEBRICHE. 21

La scrittura algebrica consente di trattare i numeri complessi seguendo le regoledell’algebra “solite”; ad esempio, l’addizione fra due numeri complessi si ottienesommando separatamente le parti reali ed immaginarie:

z1 = a1 + i b1, z2 = a2 + i b2 =⇒ z1 + z2 = (a1 + a2) + i(b1 + b2) ,

e anche, per il prodotto

z1.z2 = (a1 + i b1).(a2 + i b2) = a1a2 + ia1b2 + ib1a2 + i2 b1b2

= (a1a2 − b1b2) + i(a1b2 + a2b1) ,

ossia, trattando formalmente le scritture come se i termini con i fossero deimonomi di primo grado in questa variabile. Cosı operando, ci si convince chele operazioni di addizione moltiplicazione in C godono di tutte le proprieta dicui godono in R.

3. Strutture algebriche.

Nella sezione precedente 2 abbiamo visto, sostanzialmente, che, una voltache abbiamo un insieme dotato di certe operazioni interne che obbediscono adeterminate leggi, abbiamo un modo “standard” di procedere con esse, chepossiamo “riportare” in altri insiemi, con operazioni interne “sovrapponibili”alle prime: formalizziamo ora questo concetto.

Definizione 0.17. Chiamiamo struttura algebrica un insieme A nonvuoto, dotato di una o piu operazioni interne

(A, ⋄, ⋆, . . . )

con

⋄ : A × A → A, (a, b) 7→ a ⋄ b ∈ A,

⋆ : A × A → A, (a, b) 7→ a ⋆ b ∈ A, . . .

Esempio 0.15. Sono strutture algebriche, per esempio: (N, +), (R, +, .),(C, .) ecc.

Cerchiamo ora di classificare le strutture algebriche in base ad alcune pro-prieta; cominciamo con un concetto molto importante nell’algebra astratta, cheuseremo diffusamente anche noi.

Definizione 0.18. Una struttura algebrica (G, ⋆) e un gruppo (o, an-che, “G con l’operazione interna ⋆ ha la struttura algebrica di gruppo”) sel’operazione interna ⋆ gode delle seguenti proprieta.

• G1 (Proprieta associativa)

(g1 ⋆ g2) ⋆ g3 = g1 ⋆ (g2 ⋆ g3) ∀ g1, g2, g3 ∈ G.

• G2 (Esistenza dell’elemento neutro)

∃u ∈ G | g ⋆ u = u ⋆ g = g ∀ g ∈ G.

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22 0. PRELIMINARI.

• G3 (Esistenza dell’elemento inverso (o opposto))

∀ g ∈ G, ∃ g−1 ∈ G | g ⋆ g−1 = g−1 ⋆ g = u.

Inoltre, il gruppo viene detto abeliano o commutativo se vale anche un’altraproprieta.

• G4 (Proprieta commutativa)

g1 ⋆ g2 = g2 ⋆ g1 ∀ g1, g2 ∈ G.

Esempio 0.16. Sono esempi di gruppi (abeliani) le strutture algebriche(Z, +), (Q, +), (Q∗, .).

NON sono invece un gruppo le strutture (N, +) (manca in generale l’oppo-sto in N per la somma: servono i numeri interi relativi: 5 + (−5) = 0), (Z∗, .)(manca in generale l’inverso in Z: servono le frazioni: 3.13 + 1).

Cerchiamo ora di capire come “combinare” due operazioni interne in unastruttura algebrica.

Definizione 0.19. Chiamiamo anello una struttura algebrica (A,⊕, ⋆) do-tata di due operazioni interne (che chiameremo “addizione”, e “moltiplicazio-ne”) che e un gruppo abeliano additivo (ossia, rispetto alla prima operazione+) e con la seconda operazione che gode delle seguenti proprieta.

• A1 (Proprieta associativa)

(a ⋆ b) ⋆ c = a ⋆ (b ⋆ c) ∀ a, b, c ∈ A.

• A2 (Proprieta distributiva della somma sul prodotto)

a ⋆ (b ⊕ c) = (a ⋆ b) ⊕ (a ⋆ c) ∀ a, b, c ∈ A.

Inoltre: l’anello e detto commutativo se vale anche la seguente proprieta.

• A3 (Proprieta commutativa del prodotto)

a ⋆ b = b ⋆ a ∀ a, b ∈ A;

l’anello e detto unitario se vale

• A4 (Esistenza dell’elemento neutro per il prodotto)

∃u (6= 0) |u ⋆ a = a ⋆ u = a ∀ a ∈ A.

(dove 0 e l’elemento neutro di ⊕, che esiste, visto che (A,⊕) e ungruppo).

Infine, l’anello e detto integro se non esistono divisori dello 0, ossia se

• A5 (Legge di annullamento del prodotto)

a ⋆ b = 0 =⇒ a = 0 ∨ b = 0 ;

Esempio 0.17. Le strutture (Z, +, .), (Q, +, .), (R, +, .), (C, +, .), con leordinarie operazioni di addizione e moltiplicazione sono esempi di anello integrounitario commutativo (l’elemento neutro della moltiplicazione e il numero 1)

Ad un anello “manca poco” per essere una struttura algebrica molto im-portante, perche sara quella che servira in molti contesti del nostro corso:

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3. STRUTTURE ALGEBRICHE. 23

Definizione 0.20. Un anello commutativo unitario (K, +, .) viene dettocampo se ogni elemento di K, escluso lo 0 ha l’elemento inverso per l’operazionedi moltiplicazione

Proposizione 0.4. La struttura algebrica di campo equivale ad un insiemeK dotato di due operazioni interne di addizione (+) e moltiplicazione (.), chegodono delle seguenti proprieta:

S1) (Commutativa di +)

a + b = b + a ∀ a, b ∈ K.

S2) (Associativa di +)

(a + b) + c = a + (b + c) ∀ a, b, c ∈ K.

S3) (Esistenza del neutro per +)

∃0 ∈ K | a + 0 = 0 + a ∀ a ∈ K.

S4) (Esistenza dell’opposto per +)

∀ a ∈ K,∃b ∈ K | a + b = 0 (b = −a).

P1) (Commutativa di +)

a.b = b.a ∀ a, b ∈ K.

P2) (Associativa di .)

(a.b).c = a.(b.c) ∀ a, b, c ∈ K.

P3) (Esistenza del neutro per .)

∃1 6= 0 ∈ K | a.1 = 1.a = a ∀ a ∈ K.

P4) (Esistenza dell’inverso per .)

∀ a 6= 0 ∈ K,∃b ∈ K | a.b = 1 (b = a−1 =1

a).

PS) (Proprieta distributiva di . rispetto a +)

a.(b + c) = (a.b) + (a.c) ∀a, b, c ∈ K.

La verifica dell’equivalenza e lasciata allo studente come esercizio.

Esempio 0.18. Sono campi:

• (Q, +, .);• (R, +, .);• (C, +, .).

Infatti, per tutte queste strutture algebriche valgono le proprieta 0.3, chesono proprio quelle richieste dalla Proposizione 0.4.

Invece, (Z, +, .) non e un campo: non sempre c’e l’inverso di un numerointero all’interno dell’insieme dei numeri interi (anzi, in Z esiste solo per inumeri ±1).

Resta da definire cosa intendiamo quando vogliamo dire che due insie-mi, con le operazioni che godono delle proprieta viste sopra, possono essere“sovrapposti”.

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24 0. PRELIMINARI.

Definizione 0.21. Siano (K, +, .) e (K′,⊕, ⋆) due campi; diciamo che esisteun isomorfismo fra campi se esiste un’applicazione f : K → K′ tale che, perogni scelta di a, b ∈ K:

f(a + b) = f(a) ⊕ f(b)

f(a.b) = f(a) ⋆ f(b).

I campi K e K′ sono detti isomorfi.

Sulla scorta di questo diremo, propriamente che

• R contiene un insieme isomorfo a Q.• C contiene in insieme isomorfo a R.

Ecco, quindi, in quale senso diciamo che l’insieme dei numeri complessi chehanno parte immginaria nulla si identifica con i numeri reali.

4. Anello dei polinomi.

Un capitolo fondamentale dell’Algebra e lo studio dei polinomi e delleequazioni algebriche. Ricordiamo innanzittutto la definizione di polinomio acoefficienti reali in una indeterminata x:

Definizione 0.22. Un polinomio p(x) a coefficienti reali in x e un’espres-sione algebrica costituita da una somma finita di monomi che contengono solopotenze (con esponenente ≥ 0) di x, cioe

p(x) = a0 + a1x + a2x2 + .... + anxn, ai ∈ R, i = 0, .., n .

Il grado di p(x) viene indicato con deg p(x) ed e il massimo esponente con cuicompare l’indeterminata x, equivalentemente:

deg p(x) = max{i | ai 6= 0}.

Sono esempi di polinomi in x:

p1(x) = 2 − x3 + 3x4, p2(x) = 2x − 5, p3(x) = 3;

per i quali abbiamo:

deg p1(x) = 4 deg p2(x) = 1 deg p3(x) = 0.

Introduciamo una forma compatta per scrivere espressioni come quella cheabbiamo usato per un polinomio generico nella definizione 0.22. Notiamo,infatti, che si devono sommare molti termini (n + 1, in questo caso) legatidirettamente (tramite indice o esponente i, per esempio) ad un numero naturale.

Definizione 0.23. Chiamiamo sommatoria una somma di termini chedipendono da un numero naturale i (detto indice di sommatoria) che puo assu-mere tutti i valori a partire da un numero iniziale nA fino ad un numero finalenB (detti estremi di sommatoria). Usiamo per questo un simbolo formato da

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4. ANELLO DEI POLINOMI. 25

una lettera greca Σ, con indicazione in calce dell’indice e dell’estremo inferioredi sommatoria, ed in testa dell’estremo superiore di sommatoria. Ad esempio

(0.5)6∑

1 i

ci =6∑

i=1

ci = c1 + c2 + c3 + c4 + c5 + c6 .

Osservazione 0.19. Notiamo che l’indice di sommatoria e muto, ossia

6∑

i=1

ci =6∑

k=1

ck ;

inoltre, oltre alla scrittura base, esistono numerose varianti del simbolo di som-matoria (ad esempio, si possono sommare solo i termini di indice pari o dispari,o altre condizioni ancora). Non svolgeremo qui una trattazione sistematica (eanche, forse, un po’ noiosa) di tutti i numerosi casi riscontrabili, spesso chiariuna volta compreso il meccanismo del simbolo stesso, e rimandiamo l’eventualespiegazione dettagliata della variante del simbolo al momento in cui la si vorrautilizzare.

Definizione 0.24. Usando il simbolo di sommatoria, un polinomio genericodi grado n nella variabile x si potra scrivere come

p(x) =

n∑

i=0

ai xi ,

dove converremo che, per i = 0, diamo alla scrittura xi il significato equivalentedi 1 (anche per x = 0, anche se al simbolo 00 non attribuiamo normalmente unsignificato).

Al variare dei coefficienti in R i polinomi formano un insieme che possiamodotare di una struttura algebrica.

Definizione 0.25. Indichiamo con R[x] l’insieme di tutti i polinomi a coef-ficienti reali in x. Inoltre, indichiamo con Rn[x] l’insieme dei polinomi a coeffi-cienti reali di grado minore o uguale a n. Nell’insieme R[x] (e, analogamente,in Rn[x], per la prima) sono definite due operazioni interne.

(1) La prima operazione e la somma di polinomi: la somma di duepolinomi p(x) e q(x) e il polinomio p(x)+q(x) che si ottiene sommandoi monomi simili tra loro.Ad esempio, se p(x) = 1 − x + x3 e q(x) = 3 + 4x − x2 − x3 + 6x4,abbiamo:

p(x) + q(x) = (1 + 3) + (−1 + 4)x + (0 − 1)x2 + (1 − 1)x3 + 6x4

= 4 + 3x − x2 + 6x4.

Vogliamo stabilire una relazione tra il grado del polinomio somma e igradi dei singoli addendi.Siano p(x), q(x) ∈ R[x] con deg p(x) 6= deg q(x), allora si ha:

deg(p(x) + q(x)) = max(deg p(x), deg q(x));

se invece deg p(x) = deg q(x) = d, puo succedere che deg(p(x)+q(x)) <d.

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26 0. PRELIMINARI.

Ad esempio, se p(x) = 2−x+x5 e q(x) = 3−x5, abbiamo p(x)+q(x) =5 − x, quindi deg(p(x) + q(x)) = 1 < 5.

(2) La seconda operazione in R[x] e il prodotto di polinomi: il prodottodi due polinomi p(x) e q(x) e il polinomio p(x).q(x) che si ottienemoltiplicando ciascun monomio di p(x) per ciascun monomio di q(x)e sommando poi tutti i prodotti ottenuti.

Ad esempio, se p(x) = 3 − 2x + x3 e q(x) = 1 + 4x2, abbiamo:

p(x).q(x) = (3 − 2x + x3).(1 + 4x2) =

= 3.1 + 3.4x2 + (−2x).(1) + (−2x).4x2 + x3.1 + x3.4x2 =

= 3 + 12x2 − 2x − 8x3 + x3 + 4x5 = 3 − 2x + 12x2 − 7x3 + 4x5.

Osserviamo che il grado del polinomio prodotto di p(x) e q(x) soddisfa larelazione

deg(p(x).q(x)) = deg p(x) + deg q(x) ,

e quindi la somma dei gradi dei fattori.

Esercizio 4.1: Consideriamo due polinomi qualunque

q(x) =n∑

i=0

ai xi

e

r(x) =m∑

i=0

ai xi .

Mostrare che il polinomio prodotto p(x) = q(x).r(x) si puo scrivere nella forma

p(x) =m+n∑

i=0

ci xi ,

in cui i coefficienti ci sono dati da

ci =∑

r+s=i

arbs ,

(l’ultimo simbolo va inteso come la sommatoria di tutti i termini in cui la somma degli indici red s e pari a i).

Proprieta 0.5. Le operazioni introdotte in R[x] soddisfano le seguentiproprieta:

(1) Proprieta commutativa dell’addizione:

∀p(x), q(x) ∈ R[x] p(x) + q(x) = q(x) + p(x);

(2) Proprieta associativa dell’addizione:

∀p(x), q(x), r(x) ∈ R[x] (p(x) + q(x)) + r(x) = p(x) + (q(x) + r(x));

(3) Esistenza dell’elemento neutro per la somma:

∀p(x) ∈ R[x] p(x) + 0 = 0 + p(x) = p(x),

tale elemento e il polinomio di grado 0 che e identicamente 0.

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4. ANELLO DEI POLINOMI. 27

(4) Esistenza dell’elemento opposto per la somma:

∀p(x) ∈ R[x] p(x) + (−p(x)) = (−p(x)) + p(x) = 0,

−p(x) e il polinomio opposto di p(x) che si ottiene semplicementecambiando segno a tutti i coefficienti di p(x);

(5) Proprieta distributiva della moltiplicazione rispetto alla somma:∀p(x), q(x), r(x) ∈ R[x]

(p(x) + q(x)).r(x) = p(x).r(x) + q(x).r(x),

r(x).(p(x) + q(x)) = r(x).p(x) + r(x).q(x);

(6) Proprieta commutativa della moltiplicazione:

∀p(x), q(x) ∈ R[x] p(x).q(x) = q(x).p(x);

(7) Proprieta associativa della moltiplicazione:

∀p(x), q(x), r(x) ∈ R[x] (p(x).q(x)).r(x) = p(x).(q(x).r(x));

(8) Esistenza dell’elemento neutro per il prodotto:

∀p(x) ∈ R[x] p(x).1 = 1.p(x) = p(x),

tale elemento e il polinomio di grado 0 che coincide col numero 1.

Osservazione 0.20. Osserviamo che nell’insieme R[x] dei polinomi a coef-ficienti reali in x valgono le stesse proprieta (1)-(8) elencate nella Proprieta 0.3per l’addizione e la moltiplicazione di numeri interi. Per questo motivo, possia-mo dire che R[x] e l’anello dei polinomi a coefficienti reali nell’indeterminatax (Definizione 0.19).

Osserviamo anche che R[x] non e un campo, infatti la proprieta 9 dell’elen-co 0.3 (esistenza dell’inverso) e verificata solo per i polinomi di grado 0, diversida 0.

Infine, limitandosi all’insieme Rn[x], notiamo che

• se n ≥ 1, l’operazione di addizione fra polinomi e interna in Rn[x[, men-tre l’operazione di moltiplicazione tra polinomi non e interna: bastamoltiplicare un polinomio di grado n con uno di grado 1 per convincer-sene (p(x) = xn ∈ Rn[x], q(x) = x ∈ Rn[x]: allora p(x).q(x) = xn+1 /∈Rn[x]);

• se n = 0, R0[x] e formato solo da polinomi di grado 0, ossia solo daitermini noti, ed e in banale corrispondenza biunivoca con R; poiche leoperazioni di addizione e moltiplicazione fra numeri reali e fra polinomidi grado nullo sono definite alla stessa maniera, possiamo dire che R0[x]e isomorfo a R (Definizione 0.21).

La proprieta seguente dell’anello dei polinomi R[x] e la generalizzazione diun’analoga ben nota proprieta dei numeri interi.

Proprieta 0.6 (Algoritmo della divisione). Dati due polinomi a(x)(dividendo) e b(x) (divisore) in R[x], con b(x) non identicamente nullo, esi-stono e sono univocamente determinati due polinomi (q(x), r(x)) appartenentia R[x] tali che

a(x) = b(x).q(x) + r(x),

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28 0. PRELIMINARI.

inoltre deg r(x) < deg b(x) oppure r(x) e il polinomio nullo.Il polinomio q(x) e detto quoziente e il polinomio r(x) e detto resto, in-

fine il procedimento con il quale si determinano i polinomi (q(x), r(x)) e dettoalgoritmo della divisione.

Se r(x) e il polinomio nullo, allora a(x) = b(x).q(x), diciamo che b(x) e unfattore di a(x), o equivalentemente a(x) e divisibile per b(x).

La divisione si esegue ordinando secondo le potenze decrescenti i polinomidividendo e divisore, e procedendo con il classico algoritmo di divisione studiatonelle scuole superiori.

Esercizio 4.1. A titolo di esempio, consideriamo i polinomi

a(x) = x4 − 2x2 + 4x + 8 e b(x) = x − 2 .

Verificare eseguendo la divisione tra i polinomi che si ottiene

q(x) = x3 + 2x2 + 2x + 8 e r(x) = 24 .

ossia

a(x) = (x − 2)(x3 + 2x2 + 2x + 8) + 24.

Introdurremo adesso un po’ di terminologia che, oltre a fornire strumentiper elaborare criteri sotto i quali un polinomio e divisibile per un altro, divieneutile per molti argomenti che affronteremo nel nostro corso.

Definizione 0.26. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n > 0: diremoche α ∈ R e una radice di p(x) se sostituendo α al posto di x nel polinomiop(x) si ottiene 0, cioe se

p(α) = a0 + a1α + a2(α)2 + ... + an(α)n = 0.

Equivalentemente, α e una radice del polinomo p(x) se e solo se e una soluzionedell’equazione che si ottiene uguagliando a zero il polinomio

p(x) = 0;

tale equazione viene chiamata equazione algebrica nell’incognita x di grado n.

Trovare le radici di un polinomio equivale, quindi, a risolvere un’equazionealgebrica in x di grado n.

Ricordiamo la proprieta fondamentale che lega le radici di un polinomio conla sua divisibilita per binomi di primo grado:

Proprieta 0.7 (Teorema di Ruffini). Sia p(x) ∈ R[x], un polinomio digrado n > 0: α ∈ R e una radice di p(x) se e solo se p(x) e divisibile per ilpolinomio (x − α).

Dimostrazione. Infatti, applicando l’algoritmo della divisione ai polinomip(x) e (x − α), otteniamo due polinomi q(x) e r(x) tali che:

p(x) = (x − α)q(x) + r(x),

con deg(r(x)) = 0 (dovendo essere il grado del resto inferiore al grado deldividendo), cioe r(x) = r ∈ R.

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4. ANELLO DEI POLINOMI. 29

Sostituendo α al posto di x in entrambi i membri dell’uguaglianza scrittaotteniamo:

p(α) = 0.q(α) + r = r .

Ora, se il p(x) e divisibile per x − α, il resto della divisione deve essere r = 0,e quindi p(α) = 0, ossia α e radice di p(x). Viceversa, se α e radice di p(x),p(α) = 0, quindi r = 0, cioe p(x) e divisibile per il polinomio (x − α). �

Ricordiamo inoltre la nozione di molteplicita algebrica.

Definizione 0.27. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n > 0 e sia α ∈ R

una radice di p(x):

• α e una radice di molteplicita algebrica µ ≥ 1 se e solo se p(x)e divisibile per il polinomio (x − α)µ e p(x) non e divisibile per ilpolinomio (x − α)µ+1, ossia, se

p(x) = (x − α)µq(x) , con q(α) 6= 0 .

• Se µ = 1 allora diremo che α e una radice semplice.

Le radici reali di un polinomio p(x) ∈ R[x] di grado n > 0 si ottengonoquindi determinando tutti i i fattori di primo grado in x, ossia i cosiddettifattori lineari reali di p(x).

• Se n = 1, allora p(x) = a0 + a1x, con a1 6= 0: il polinomio ha un’unicaradice che si ottiene risolvendo l’equazione di primo grado

a0 + a1x = 0 ⇔ x = −a0.a1−1.

• Se n = 2, allora p(x) = a0 + a1x + a2x2, con a2 6= 0: ricordiamo che

l’equazione di secondo grado

a0 + a1x + a2x2 = 0,

ammette soluzioni reali se e solo il suo discriminante risulta positivo:

∆ = a21 − 4a0a2 ≥ 0.

In tal caso, le due soluzioni reali dell’equazione α1 e α2 sono le radicidel polinomio e p(x) puo essere scritto nel seguente modo:

p(x) = a2(x − α1)(x − α2).

Nel caso in cui ∆ = 0, le radici coincidono, α1 = α2, e la scritturascritta sopra diventa:

p(x) = a2(x − α1)2.

Se invece risulta ∆ = a21−4a0a2 < 0 l’equazione non ammette soluzioni

reali, di conseguenza il polinomio p(x) non ha radici reali, p(x) nonammette fattori lineari reali: p(x) e detto un polinomio irriducibilein R di grado 2.

• Se, invece, n ≥ 2, allora proviamo che p(x) ha al massimo n fattorilineari reali.

Infatti, sia α1 ∈ R una radice di p(x) allora

p(x) = (x − α1)q1(x),

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30 0. PRELIMINARI.

dove q1(x) e un polinomio di grado n − 1. Osserviamo ora che seα2 ∈ R e una radice di q1(x), allora (x − α2) e un fattore di q1(x),quindi otteniamo:

p(x) = (x − α1)(x − α2).q2(x),

dove q2(x) e un polinomio di grado n− 2. Il procedimento ha terminese troviamo un quoziente qi(x) che non ha radici reali, i ≤ n−1, oppuredopo n passi e l’ultimo quoziente qn(x) = an ha grado zero.

Le considerazioni appena fatte ci portano a caratterizzare quei polinomi per iquali la fattorizzazione e “totale”.

Definizione 0.28. Nel caso in cui un polinomio p(x) ∈ R di grado n ≥ 2e prodotto di n fattori lineari reali, non necessariamente distinti, p(x) e dettototalmente decomponibile in R:

p(x) = an(x − α1)(x − α2)....(x − αn), αi ∈ R, i = 1, . . . n .

Osservazione 0.21. Se un polinomio totalmente decomponibile ha k radicidistinte αi, i = 1, . . . k, ciascuna di molteplicita algebrica µk, potremo scrivere

p(x) = an(x − α1)µ1(x − α2)

µ2 . . . (x − αk)µk .

Esempio 0.22. Per chiarire le idee, sono utili alcuni esempi.

(1) Il polinomio p(x) = x2 + 1 non ammette radici reali, quindi e unpolinomio di grado 2 irriducibile in R.

(2) Il polinomio p(x) = 3x2 − 6x + 3 ammette la radice x = 1 conmolteplicita algebrica µ = 2 e puo essere scritto nel seguente modo:

p(x) = 3(x − 1)2,

risulta quindi totalmente decomponibile in R.(3) Il polinomio p(x) = x3 + x − x2 − 1 puo essere scritto come prodotto

di due fattori:

p(x) = (x2 + 1).(x − 1),

le radici di tale polinomio si ottengono quindi determinando le radicidi ciascun fattore. Osserviamo che il polinomio x2 + 1 e irriducibile inR, quindi non ha radici reali. Il polinomo x−1 e lineare ed ha un’unicaradice reale:

x − 1 = 0 ⇐⇒ x = 1.

Il polinomio p(x) ha quindi un’unica radice semplice x = 1.(4) Il polinomio p(x) = −x3 + 3x2 − 3x + 1 puo essere scritto nel seguente

modo:

p(x) = (1 − x)3,

risulta quindi totalmente decomponibile in R, ammette la radice x = 1con molteplicita algebrica µ = 3.

Analogamente a quanto avviene nell’anello dei numeri interi Z per la scom-posizione di un numero in fattori primi, esiste un teorema che garantisce l’uni-cita della scomposizione di un polinomio in fattori. Tale risultato e il Teorema

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4. ANELLO DEI POLINOMI. 31

Fondamentale dell’Algebra e vale piu in generale per polinomi a cofficientinel campo complesso:

Teorema 0.8. Sia p(x) ∈ C[x] un polinomio di grado n ≥ 1, p(x) etotalmente decomponibile in fattori lineari (non necessariamente distinti) inC:

p(x) = an(x − α1)(x − α2)....(x − αn), αi ∈ C, i = 1, .., n;

tale decomposizione e unica a meno dell’ordine dei fattori.

Osservazione 0.23. Come conseguenza del Teorema Fondamentale del-l’Algebra 0.8, ogni equazione algebrica a coefficienti complessi in x di grado nammette n soluzioni (non necessariamente distinte) in C,

Definizione 0.29. Quanto riportato nell’Osservazione precedente 0.23 siesprime sinteticamente dicendo che il campo C e algebricamente chiuso.

Nel caso di polinomi a coefficienti reali vale un risultato molto piu debole:

Teorema 0.9. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n ≥ 1, p(x) sidecompone in R nel prodotto di fattori di grado ≤ 2:

p(x) = anp1(x).p2(x)....pk(x), k ≤ n, deg pi(x) ≤ 2,∀i = 1 . . . k,

con fattori pi(x) tali che, se deg(pi(x)) = 2, allora pi(x) e irriducible. Taledecomposizione e unica a meno dell’ordine dei fattori.

Esempio 0.24. Se consideriamo il polinomio

p(x) = 2x3 − 2

si puo scomporre come

p(x) = 2x3 − 2 = 2(x − 1)(x2 + x + 1) = 2 p1(x) p2(x)

ed il polinomio p2(x) = (x2 + x + 1) e irriducibile (non ha radici reali: ildiscriminante dell’equazione per le radici e ∆ = 1 − 4 = −3 < 0).

Esiste pero un corollario molto utile del Teorema Fondamentale: per unpolinomio reale di grado dispari possiamo garantire l’esistenza di una radicereale di un polinomio.

Corollario 0.10. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n ≥ 1, con ndispari. Allora p(x) ammette almeno una radice reale.

Dimostrazione. Scriviamo esplicitamente il polinomio p(x):

(0.6) p(x) = anxn + an−1xn−1 + · · · + a1x + a0 ,

con ai ∈ R per ogni i = 0 . . . n. Poiche R ⊆ C, possiamo considerare p(z) comeun polinomio di C[z]. Come abbiamo visto sopra, grazie al Teorema Fondamentaledell’Algebra (0.8), p(z) ammette n radici in C, contando le molteplicita, ossia

(0.7) p(z) = anzn + an−1zn−1 + · · · + a1z + a0 = an(z − α1)(z − α2) . . . (z − αn) ,

con gli αi non necessariamente tutti distinti.Mostriamo, anzitutto, che, a queste condizioni, se z0 e una radice, anche il com-

plesso coniugato z0 (Definizione 0.34) e una radice di p(z). Infatti, se z0 e unaradice

(0.8) p(z0) = anzn0 + an−1z

n−10 + · · · + a1z0 + a0 = 0 ;

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32 0. PRELIMINARI.

ora, prendiamo il complesso coniugato di entrambi i membri della 0.8 otteniamo, sfrut-tando le proprieta del coniugio (Proprieta 0.12) ed il fatto che i coefficienti ai sonoreali, quindi ai = ai per ogni i = 0 . . . n:

p(z0) = anzn0 + an−1z

n−10 + · · · + a1z0 + a0

= anzn0 + an−1z

n−10 + · · · + a1z0 + a0

= anzn0 + an−1z

n−10 + · · · + a1z0 + a0

= an(z0)n + an−1(z0)

n−1 + · · · + a1 z0 + a0

= an(z0)n + an−1(z0)

n−1 + · · · + a1z0 + a0

= p(z0) = 0

= 0 ,

(0.9)

quindi p(z0) = 0, cioe p(z0) = 0, ossia, z0 e radice di p(z).

A questo punto, possiamo “scartare” le radici complesse di p(z) a due a due,

prendendo le coppie z0 e z0: in altre parole, possiamo ordinare cosı le radici in C

del polinomio: prendiamo una radice, α1; anche α1 deve essere radice, e diciamo che

questa sia α2; poi, prendiamo un’altra radice, α3 e chiamiamo α4 la radice α3. Siccome

le radici totali sono in numero dispari, restiamo almeno con l’ultima, che deve essere

“accoppiata” con se stessa, ossia αn = αn, che mostra che αn e reale. Ovviamente,

non necessariamente tutte le radici scartate sono complesse, anche fra loro si possono

trovare altre radici reali autoconiugate (in questo caso, scartando le radici complesse

coniugate a coppie, prima di “arrivare in fondo”, troveremo una radice reale). �

Osservazione 0.25. Il Corollario 0.10 non afferma ne che la radice realesia unica, ne che le radici non possono essere tutte reali: in effetti, entrambiquesti casi possono verificarsi tranquillamente.

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5. NUMERI COMPLESSI 33

APPENDICE

5. Numeri complessi

Le prime idee sui numeri complessi sono venute a formarsi nell’epoca ri-nascimentale, in particolare grazie a G. Cardano, che introdusse il concetto diunita immaginaria i =

√−1, ossia tale che

(0.10) i2 = −1

per arrivare ad una formula risolutiva di alcune equazioni di terzo grado; peresempio, in una formula che stava elaborando per risolvere l’equazione x3 =15x + 4 (di cui e nota la soluzione x = 4), Cardano si trova a dover usarela quantita

√−121 = 11

√−1. “Immaginando” che la radice quadrata di −1

esista e sia i, e procedendo, riesce a trovare il numero reale 4 come soluzionedell’equazione.

Con il tempo, si sviluppa l’idea di considerare l’insieme dei numeri “com-plessi”, ossia quelli “composti” da una parte reale e da una parte immaginaria.

Definizione 0.30. Una maniera per “distinguere” le due parti e ovvia-mente quella di rappresentare un numero complesso z tramite la cosiddettarappresentazione algebrica

(0.11) z = a + i b a = ℜ(z) ∈ R , b = ℑ(z) ∈ R ,

dove chiameremo i numeri reali a, b, rispettivamente, la parte reale e la parteimmaginaria del numero complesso z. Indicheremo con C l’insieme di tutti inumeri complessi.

Fino a questo punto, il simbolo + serve solo a distinguere le due parti,assieme alla i che identifica la parte immaginaria. Una maniera alternativa perfare questo, piu formale, sarebbe quella di scrivere il numero complesso z comela coppia ordinata (a, b) in cui il primo elemento e ℜ(z) ed il secondo elementoe ℑ(z).

Vogliamo dotare C di una struttura algebrica, in particolare occorre defi-nire le operazioni interne di addizione e moltiplicazione, che indicheremo con iconsueti simboli.

Definizione 0.31. Siano z1 = (a1, b1) ≡ a1 + i b1 e z2 = (a2, b2) ≡ a2 + i b2

due numeri complessi.

• L’operazione di addizione fra i due numeri e definita in modo che lasomma abbia parte reale coincidente con la somma delle parti reali eparte immaginaria coincidente con la somma delle parti immaginarie:

(0.12) z1 + z2 = (a1 + a2, b1 + b2) ≡ (a1 + a2) + i (b1 + b2).

• L’operazione di moltiplicazione fra i due numeri e definita in modo cheil prodotto sia dato da

(0.13) z1.z2 = (ac − bd, ad + bc) ≡ (ac − bd) + i (ad + bc).

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34 0. PRELIMINARI.

Esercizio 5.1. Si lascia allo studente il compito (un po’ noioso) di verificareche, con le operazioni definite in 0.31:

• l’addizione gode delle proprieta commutativa e associativa;• (0, 0) e l’elemento neutro per la somma: lo indicheremo semplicemente

come 0;• dato (a, b) ∈ C, il numero (−a,−b) e il suo opposto per la somma;• la moltiplicazione gode delle proprieta commutativa e associativa;• vale la proprieta distributiva del prodotto rispetto alla somma;• (1, 0) e l’elemento neutro per il prodotto: lo indicheremo semplicemen-

te come 1.

Quindi, (C, +, .) e un anello commutativo unitario (Definizione 0.19).

Osservazione 0.26. Appare subito chiaro che, per come abbiamo definito ledue operazioni, la rappresentazione algebrica e pienamente giustificata dal fattoche si possono eseguire le operazioni di addizione e moltiplicazione sfruttando leconsuete proprieta, trattando i come una lettera in un polinomio, e ricordandoche i2 = −1.

Ad esempio, se z1 = a + i b e z2 = c + i d :

z1.z2 = (a + i b).(c + i d)

= a.(c + i d) + i b.(c + i d)

= a.c + i a.d + i b.c + i2b.d

= a.c + i (b.c + a.d) − b.d

= (a.c − b.d) + i (b.c + a.d).

Quindi, il simbolo di somma nella rappresentazione algebrica a+ i b puo essere,a tutti gli effetti trattato come la somma tra i numeri complessi (a, 0) = a + i 0e (0, b) = 0 + i b. Risulta pertanto di immediata verifica anche che

• dato (a, b) ∈ C diverso da 0, il numero ( aa2+b2

,− ba2+b2

) e il suo inversoper il prodotto, infatti, usando la rappresentazione algebrica:

(a + ib)(a

a2 + b2− i

b

a2 + b2)

=a2

a2 + b2− i

ab

a2 + b2+ i

ba

a2 + b2− i2

b2

a2 + b2

=a2

a2 + b2+

b2

a2 + b2+ i.0

=a2 + b2

a2 + b2= 1 .

Quindi, (C, +, .) e un campo (Definizione 0.20).

Osservazione 0.27. Conviene sviluppare alcune ulteriori osservazioni.

(1) Esiste una corrispondenza biunivoca immediata fra i numeri complessiC ed i punti del piano cartesiano R2 = R × R; al numero complessoz = a + ib corrisponde il punto del piano di coordinate (a, b). Questopermettera di avere una rappresentazione grafica molto efficace deinumeri complessi.

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5. NUMERI COMPLESSI 35

(2) Questa corrispondenza biunivoca e un isomorfismo tra campi, se inR2 definiamo le operazioni di addizione e moltiplicazione fra le cop-pie ordinate esattamente come abbiamo fatto per i numeri complessi(Definizione 0.31).

(3) I numeri z ∈ C che hanno parte immaginaria nulla sono in corrispon-denza biunivoca con i numeri reali; basta prendere il numero realecoincidente con la parte reale di z.

(a, 0) = a + i 0 ≃ a.

Questa corrispondenza e un isomorfismo con il campo R; se a, b ∈ R:

(a, 0) + (b, 0) = ((a + b), 0) ≃ a + b(0.14)

(a, 0).(b, 0) = (a.b − 0.0, a.0 + 0.b) = ((a.b), 0) ≃ a.b .(0.15)

In base all’osservazione 0.27 (1), possiamo identificare i numeri realicon i numeri complessi con parte immaginaria nulla, ossia vale la

Proprieta 0.11. un numero complesso e reale se e solo se la sua parteimmaginaria e nulla:

z ∈ R ⇐⇒ ℑ(z) = 0 .

Definizione 0.32. Analogamente, chiameremo numeri immaginari purii numeri complessi che hanno parte reale nulla.

5.1. Piano di Gauss-Argand.

La corrispondenza biunivoca che abbiamo stabilito fra numeri complessie coppie ordinate di numeri reali, ci consente di visualizzare in modo efficacei numeri complessi come punti del piano cartesiano, secondo una rappresen-tazione suggerita da Gauss e Argand (Figura 0.7). I due assi coordinati, inquesta rappresentazione vengono chiamati, rispettivamente asse reale ed asseimmaginario.

5.2. Modulo e coniugio.

In questa sezione vogliamo caratterizzare ulteriormente un numero com-plesso. Notiamo che ad ogni numero complesso z = a + ib viene naturalmenteassociata la distanza dall’origine del punto P = (a, b) che lo rappresenta nelpiano di Gauss-Argand; chiameremo modulo di z, quindi, la lunghezza delsegmento OP :

Definizione 0.33. Dato un numero complesso z = a+ib chiamiamo modulodi z il numero reale

|z| =√

a2 + b2 .

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36 0. PRELIMINARI.

z = (a + ib) ≡ (a, b)

z = (a − ib) ≡ (a,−b)

O

P

P ′

x

ℜ(z)

y ℑ(z)

Figura 0.7. Il piano di Gauss-Argand, che realizza l’isomorfi-smo fra il piano cartesiano ed i numeri complessi. Ogni puntoP del piano, identificato dalla coppia ordinata delle sue coordi-nate cartesiane (a, b) e in corrispondenza biunivoca con il nu-mero complesso z = a + i b. Il numero complesso coniugatoz = a − i b corrisponde, pertanto, al punto P ′ simmetrico di Prispetto all’asse delle ascisse.

Osservazione 0.28. Per il modulo valgono le seguenti proprieta:

|z| ≥ 0 ;

|z| = 0 ⇐⇒ a2 + b2 = 0 ⇐⇒ a = 0 ∧ b = 0 ⇐⇒ z = 0 .

Inoltre, possiamo associare a P il suo simmetrico rispetto all’asse reale: l’o-perazione che effettua questa associazione viene detta coniugio o coniugazione:

Definizione 0.34. Dato un numero complesso z = a + ib, chiamiamo nu-mero complesso coniugato di z, il numero z = a − ib, che ha uguale partereale e parte immaginaria opposta

Proprieta 0.12. In base a questo, valgono alcune proprieta, la cui verifica,quasi immediata, viene lasciata come esercizio.

(1) Un numero complesso e reale se e solo se coincide con il suo complessoconiugato

z ∈ R ⇐⇒ z = z .

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5. NUMERI COMPLESSI 37

(2) La parte reale di un numero complesso e la semisomma del numero conil suo complesso coniugato; la parte immaginaria di un numero com-plesso e la semidifferenza fra il numero ed il suo complesso coniugato,divisa per i:

ℜ(z) =z + z

2,

ℑ(z) =z − z

2i.

(3) Il quadrato del modulo di un numero complesso e dato dal prodotto delnumero con il suo complesso coniugato:

z.z = (a + ib)(a − ib) = a2 − (ib)2 = a2 + b2 = |z|2 .

(4) Il coniugato del coniugato di un numero complesso e il numero stesso:

(z) = z .

(5) Il complesso coniugato di una somma o di un prodotto di numeri com-plessi e la somma o il prodotto dei complessi coniugati dei singolinumeri

z1 + z2 = z1 + z2,

z1.z2 = z1.z2.

(6) Un numero ed il suo complesso coniugato hanno lo stesso modulo:

|z| = |z|.(7) Il modulo del prodotto di due numeri complessi e il prodotto dei moduli:

|z1.z2| = |z1|.|z2| .ATTENZIONE! L’ultima proprieta non vale con la somma; infatti, vale

la seguente

Proposizione 0.13 (Disuguaglianza triangolare). Siano

z = a + ib e w = c + id

due numeri complessi; in generale, vale la seguente disuguaglianza

(0.16) |z + w| ≤ |z| + |w|.La disuguaglianza ha un’immediata interpretazione geometrica (da cui il nome),rappresentata nella Figura 0.8.

Dimostrazione. Poiche i moduli sono numeri reali positivi (Osservazio-ne 0.28), equivale a dimostrare la disuguaglianza:

(0.17) |z + w|2 ≤ (|z| + |w|)2,ossia, in base alla definizione di modulo e di somma di numeri complessi, che

(0.18) (a + c)2 + (b + d)2 ≤ (√

a2 + b2 +√

c2 + d2)2,

cioe, sviluppando i quadrati

a2 + c2 + 2ac + b2 + d2 + 2bd ≤ a2 + b2 + c2 + d2 + 2√

a2 + b2√

c2 + d2,

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38 0. PRELIMINARI.

o anche, togliendo a destra e sinistra le quantita uguali e dividendo per 2

ac + bd ≤√

a2 + b2√

c2 + d2.

Ora, se ac + bd ≤ 0, la disugaglianza e vera, essendo il secondo mebbro alpiu nullo; altrimenti, possiamo ancora elevare al quadrato entrambi i membri eresta da dimostrare che

a2c2 + b2d2 + 2abcd ≤ (a2 + b2)(c2 + d2) = a2c2 + b2d2 + a2d2 + b2c2,

equivalente a

2abcd ≤ a2d2 + b2c2,

o anche

(ad − bc)2 = a2d2 + b2c2 − 2abcd ≥ 0,

che e vera, avendo scritto il primo membro di questa nuova disequazione equi-valente a quella di partenza come un quadrato. �

w = c + id

z + w = (a + c) + i(b + d)

z = a + ib

c

b

O ℜ(z)

ℑ(z)

Figura 0.8. La rappresentazione geometrica della somma didue numeri complessi z = a + ib e w = c + id nel piano diGauss-Argand, dalla quale si comprende il fondamento della di-suguaglianza triangolare (Equazione 0.16); il modulo della som-ma z + w e la diagonale del parallelogramma che ha per latii segmenti di lunghezza pari ai moduli di z e w: poiche in untriangolo ogni lato e minore della somma degli altri si ottiene ladisuguaglianza. Lo studente e invitato a convicersi della validitadella disuguaglianza per tutte le combinazioni di appartenenzadi z e w ai differenti quadranti coordinati.

La definizione di numero complesso coniugato ci permette di scrivere inmodo compatto l’inverso di un numero complesso non nullo (ultimo punto

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6. RAPPRESENTAZIONE TRIGONOMETRICA 39

dell’Osservazione 0.27): osservato che

(0.19) z 6= 0 ⇐⇒ |z| 6= 0,

verifichiamo che, per z 6= 0:

(0.20) z−1 =z

|z|2 .

Infatti (punto 3 delle Proprieta 0.12):

(0.21) z.z−1 =zz

|z|2 =|z|2|z|2 = 1.

Esempio 0.29. Calcoliamo l’inverso del numero z = 3 − 2i.Si ha |z| =

√9 + 4 =

√13 e, quindi

z−1 =3 + 2i

13=

3

13+ i

2

13

Verifichiamo:

(3 − 2i)(3 + 2i

13) =

32 − (2i)2

13=

9 + 4

13=

13

13= 1.

Osservazione 0.30. Se z = a + ib ∈ R, allora b = 0, e |z| =√

a2 + 0 = |a|,ossia il modulo definito nei complessi per i numeri reali coincide con il valoreassoluto (o modulo, appunto) sui reali.

Inoltre, se a 6= 0, z−1 = a−i0a2 = 1

a , e anche l’inverso coincide con quellodefinito per i reali.

6. Rappresentazione trigonometrica

Esiste un modo alternativo di rappresentare i numeri complessi, utile percalcolare le potenze di un numero complesso o per risolvere equazioni del tipo

zn = w ∈ C, per z ∈ C.

Si tratta della rappresentazione trigonometrica; in base a questa, anzicheindividuare il punto P nel piano di Gauss-Argand che rappresenta il numerocomplesso z = a+ib con la coppia ordinata di coordinate (a, b), lo individuiamo–come si fa in coordinate polari– mediante

• la distanza di P dall’origine (ossia il modulo del numero complessoρ = |z|);

• l’angolo che il segmento OP forma con il semiasse delle x positive, chechiameremo argomento del numero complesso arg z.

(Figura 0.9). Assegnati un modulo ρ ed un argomento θ = arg z, la parte realee la parte immaginaria si calcolano immediatamente, in maniera univoca:

a = ℜ(z) = ρ cos θ,(0.22)

b = ℑ(z) = ρ sin θ.(0.23)

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40 0. PRELIMINARI.

P

ρ

θ

a

b

O ℜ(z)

ℑ(z)

Figura 0.9. La rappresentazione trigonometrica di un numerocomplesso a confronto con quella algebrica.

Al contrario, assegnati a, parte reale e b, parte immaginaria di un numerocomplesso, risulta immediata la determinazione del modulo:

(0.24) ρ =√

a2 + b2 .

Invece, per l’argomento di z ∈ C dati la parte reale e la parte immaginariaoccorre un minimo di attenzione in piu. Anzitutto, osserviamo che esistonoinfiniti angoli che indiduano P .

Osservazione 0.31. Due angoli che individuano la direzione di OP rispettoal semiasse x positivo differiscono fra di loro per un numero intero di angologiro 2kπ, con k ∈ Z.

Esiste, cioe, una relazione di equivalenza fra argomenti di un numero com-plesso, che consentono di raggrupparli in classi di equivalenza; questo con-sente di definire un argomento “standard” come la classe di equivalenza degliargomenti.

Conveniamo pertanto, quando opportuno, di ricondurre l’angolo dell’argo-mento all’intervallo (−π, π]:

Definizione 0.35. Chiamiamo argomento principale di un numero com-plesso z = a + ib l’argomento di z ricondotto all’intervallo (−π, π], e verraindicato con Arg z.

Sinteticamente, l’argomento principale di z = a + ib e dato dalla funzionearctg*(a, b), che nel dettaglio risulta definita secondo lo schema seguente:

Algoritmo 0.14 (Calcolo di Arg z = arctg*(a, b)). Sia z = a + ib ∈ C

• se b = 0 e a = 0 (cioe, se ρ = 0), Arg z = 0 (per convenzione);

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6. RAPPRESENTAZIONE TRIGONOMETRICA 41

• se b = 0 e a < 0, Arg z = π;• se a = 0 e b > 0, Arg z = π

2 ;• se a = 0 e b < 0, Arg z = −π

2 ;

• se a > 0, Arg z = arctg(

ba

)

;

• se a < 0 e b > 0, Arg z = arctg(

ba

)

+ π;

• se a < 0 e b < 0, Arg z = arctg(

ba

)

− π;

L’algoritmo puo risultare un po’ articolato, ma si puo riassumere brevementedicendo che l’argomento principale e essenzialmente dato dall’arcotangente delrapporto b/a, con l’aggiunta dell’informazione circa il quadrante in cui cade ilpunto corrispondente a z (con questo accorgimento, includiamo anche il casoin cui il rapporto non e definito, cioe a = 0).

Esempio 0.32. Qualche esempio aiuta a comprendere meglio quanto detto.

(1) Sia z =√

3 + 3i; calcolare ρ = |z| e Arg z.Per il modulo, abbiamo

ρ =

(√

3)2 + 32 =√

3 + 9 = 2√

3.

Il numero complesso cade nel primo quadrante del piano di Gauss-Argand, quindi

Arg z = arctg(3√3) = arctg(

√3) =

π

3.

(2) Sia z = −2i; calcolare ρ = |z| e Arg z.Per il modulo, abbiamo

ρ =√

02 + (−2)2 = 2.

Il numero e immaginario puro, con parte reale negativa, quindi:

Arg z = −π

2

(3) Sia z = −1 + i; calcolare ρ = |z| e Arg z.Per il modulo, abbiamo

ρ =√

(−1)2 + 12 =√

2.

Il numero complesso cade nel secondo quadrante del piano di Gauss-Argand, quindi

Arg z = arctg(−1) + π = −π

4+ π =

3

(4) Sia z = −(√

3 + i); calcolare ρ = |z| e Arg z.Per il modulo, abbiamo

ρ =

(√

3)2 + 12 = 2.

Il numero complesso cade nel terzo quadrante del piano di Gauss-Argand, quindi

Arg z = arctg(1√3) − π =

π

6− π = −5

6π.

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42 0. PRELIMINARI.

La rappresentazione trigonimetrica risulta particolarmente utile quando sidevono moltiplicare o dividre fra loro numeri complessi: vale infatti la seguenteregola.

Teorema 0.15. Siano z1, z2 due numeri complessi, e siano ρ1, θ1 e ρ2, θ2,rispettivamente, i moduli e gli argomenti dei numeri.

• Il prodotto z1.z2 ha per modulo il prodotto dei moduli, e per argomentola somma degli argomenti.

• Se z2 6= 0, il rapporto z1

z2ha per modulo il rapporto dei moduli e per

argomento la differenza fra il primo ed il secondo argomento.

In altre parole:

|z1.z2| = ρ1ρ2 Arg(z1.z2) = Arg z1 + Arg z2;(0.25)

|z1

z2| =

ρ1

ρ2Arg(

z1

z2) = Arg z1 − Arg z2;(0.26)

Dimostrazione. Scriviamo esplicitamente in forma algebrica (Equazio-ni 0.22) i due numeri:

z1 = ρ1 cos θ1 + iρ1 sin θ1 = ρ1(cos θ1 + i sin θ1),(0.27)

z2 = ρ2 cos θ2 + iρ2 sin θ2 = ρ2(cos θ2 + i sin θ2).(0.28)

Calcoliamo il prodotto; raccogliendo i termini opportunamente, abbiamo:(0.29)

z1.z2 = ρ1ρ2 [(cos θ1 cos θ2 − sin θ1 sin θ2) + i(sin θ1 cos θ2 + sin θ2 cos θ1)]

ossia, usando le note formule della trigonometria per gli angoli somma:

(0.30) z1.z2 = ρ1ρ2 [cos(θ1 + θ2) + i sin(θ1 + θ2)] ,

che mostra esattamente il primo risultato.Analogamente, si puo procedere per il secondo punto, osservando che la

divisione per z2 equivale alla moltiplicazione per il numero inverso 1z2

, e che

questo numero deve avere modulo pari a 1/ρ2 ed argomento −θ2. Si lascia allostudente di seguire il dettaglio della verifica. �

6.1. Formula di Eulero.

La rappresentazione trigonometrica si puo scrivere in forma compatta usan-do la notazione dovuta ad Eulero:

Definizione 0.36. Sia θ ∈ R; definiamo l’esponenziale di argomento im-maginario iθ come

(0.31) eiθ = cos θ + i sin θ.

La scrittura introdotta nell’Equazione 0.31 consente di scrivere un numerocomplesso di modulo ρ ed argomento θ come

z = a + ib = ρ eiθ,

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6. RAPPRESENTAZIONE TRIGONOMETRICA 43

dove a, b sono legate a ρ, θ come visto prima. La scrittura e molto compatta, esi puo usare per il calcolo dei prodotto e dei rapporti, usando formalmente leconsuete regole per la moltiplicazione/divisione di potenze di uguale base.

Esempio 0.33. Sia z =√

3 + 3i e w = −2i (i primi due numeri complessidell’esempio 0.32). Possiamo scrivere

z = 2√

3 ei π3 w = 2 e−i π

2 .

Il prodotto risulta:

z.w = 4√

3 e−i π6 = 4

√3(

√3

2− i

1

2) = 6 − 2

√3 i = 2(3 −

√3 i)

(verificare il risultato nella forma algebrica).

6.2. Formula di DeMoivre.

Per il calcolo delle potenze di un numero complesso, viene molto utile lacosiddetta formula di De Moivre:

(0.32) (cos θ + i sin θ)n = cos(nθ) + i sin(nθ) ,

con n ∈ N. La dimostrazione della formula si conduce per induzione, e vienelasciata come esercizio.

In base alla formula, se un numero complesso e noto in forma trigonome-trica, possiamo calcolare agevolmente la sua n−esima potenza. Ricorrendo allanotazione di Eulero (Formula 0.31). Se

(0.33) z = (cos θ + i sin θ) = ρ eiθ

allora

(0.34) zn = ρn (cos θ + i sin θ)n = ρn (cos(nθ) + i sin(nθ)) = ρn einθ

Sfruttando la formula di De Moivre, possiamo affrontare problemi comequelli di calcolo di potenze in modo particolarmente efficace.

Esempio 0.34. Calcolare (1 + i)17.Ovviamente, sarebbe possibile procedere algebricamente, moltiplicando la

base (1 + i) per se stessa 17 volte; possiamo pero procedere piu speditamentenella seguente maniera. Poniamo z = 1 + i.

Il nostro compito e quello di calcolare z17; calcoliamo modulo ed argomentodi z:

|z| =√

1 + 1 =√

2, Arg z = arctg 1 =π

4.

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44 0. PRELIMINARI.

Quindi, usando la formula di De Moivre

(1 + i)17 = z17 = (√

2)17 ei 17π4

= (√

2)16√

2

(

cos(17

4π) + i sin(

17

4π)

)

= 256√

2

[

cos

(

16

4π +

1

)

+ i sin

(

16

4π +

1

)]

= 256√

2

[

cos

(

4π +1

)

+ i sin

(

4π +1

)]

= 256√

2

(√2

2+ i

√2

2

)

= 256(1 + i).

Concludiamo con un’applicazione classica: l’utilizzo della formula di DeMoivre per calcolare radici n−esime di numeri complessi, o meglio le soluzionidi equazioni del tipo

zn = w z, w ∈ C

con w noto.

Osservazione 0.35. Ricordiamo che, per numeri reali x, la scrittura n√

xva intesa come la radice aritmetica di x, che esiste sempre se n e dispari, eper x ≥ 0 se n e pari. La radice aritmetica e sempre positiva; in altre parole,per esempio

√4 = 2 ≥ 0; invece l’equazione x2 = 4 ha due souzioni (ossia, il

polinomio x2 − 4 ha due radici (Definizione 0.26), che sono x = ±√

4 = ±2.In questo senso, a volte si parla di “radici” di un numero come sinonimo di

soluzioni dell’equazione algebrica corrispondente.

In base a quanto detto nell’osservazione precedente, affrontiamo un esempiofondamentale.

Applicazione 0.36 (Le radici dell’unita). L’obiettivo e quello di deter-minare in C le radici n−esime di 1, ossia tutte le soluzioni dell’equazione

(0.35) zn = 1, z ∈ C, n ∈ N .

Se scriviamo z in forma trigonometrica, trovare le soluzioni complesse del-l’Equazione 0.35 equivale a trovare i numeri reali ρ, θ per i quali

(0.36) ρn (cos(nθ) + i sin(nθ)) = 1,

in base alla formula di De Moivre.Ora, occorre tenere presente che esistono infiniti argomenti ϕ equivalenti

per il numero reale 1: essi sono tutti i numeri della forma

(0.37) ϕ = 2kπ k ∈ Z.

Quindi, dall’Eq. 0.36 ricaviamo subito che

ρ = 1,(0.38a)

θ =1

n2kπ,(0.38b)

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6. RAPPRESENTAZIONE TRIGONOMETRICA 45

e appare chiaro che la soluzione 0.38b produce n argomenti θ distinti e nonequivalenti: questi si ottengono dando i valori k = 0, 1, . . . n− 1 al parametrok.

In altre parole, per n = 1 la radice e 1, per n = 2 le radici sono ±1, e pern > 2 le radici n−esime dell’unita sono i numeri complessi che corrispondonoai vertici di un poligono regolare di n lati, inscritto nella circonferenzaunitaria centrata in O e con un vertice in (1, 0).

Sulla scorta di questo, e facile mostrare il seguente risultato generale.

Proposizione 0.16. Sia w ∈ C un numero complesso noto; siano σ = |w|e α = Arg w la sua rappresentazione trigonometrica.

Le radici dell’equazione

(0.39) zn = w z ∈ C n ∈ N

sono date da

(0.40) zk = n√

σ

(

cosα + 2kπ

n+ i sin

α + 2kπ

n

)

= n√

σ ei α+2kπn

con k = 1, 2, . . . n − 1.

Concludiamo con un esempio applicativo:

Esempio 0.37. Trovare le soluzioni dell’equazione

(z + i)4 = i.

Cominciamo a risolvere l’equazione ausiliaria

w4 = i.

In base alla Proposizione 0.16, otteniamo

w1 = eiπ/8 w2 = i eiπ/8 w3 = −eiπ/8 w4 = −i eiπ/8

Ossia,

w1 =1

2

(√

2 +√

2 + i

2 −√

2

)

(0.41)

w2 = −1

2

(√

2 −√

2 − i

2 +√

2

)

(0.42)

w3 = −1

2

(√

2 +√

2 + i

2 −√

2

)

(0.43)

w4 =1

2

(√

2 −√

2 − i

2 +√

2

)

,(0.44)

da cui ricaviamo z = wk − i per k = 1 . . . 4.

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CAPITOLO 1

Vettori applicati e geometria dello spazio.

1. Vettori applicati.

Ogni studente ha incontrato nei propri studi grandezze che non si possonoesprimere con un solo numero reale, come ad esempio lo spostamento e la ve-locita istantanea di un punto che si muove nello spazio, o la forza che agisce suun corpo. Tali grandezze si posssono rappresentare con i vettori. Fissato unpunto O nello spazio euclideo E introduciamo il concetto di vettore applicatoin O.

Definizione 1.1. Un vettore applicato in O e un segmento orientato v con

primo estremo O, se P e il secondo estremo di v scriviamo v =−−→OP (vedasi

Figura 1.1).Indichiamo con E3

O l’insieme dei vettori applicati in O.

O

P

v

Figura 1.1. Il segmento orientato v =−−→OP .

Osservazione 1.1. Fissata un’unita di misura per le lunghezze, ogni vet-

tore v =−−→OP , con P 6= O, determina univocamente:

(1) una direzione: quella della retta per O e P ,(2) un verso di percorrenza: da O a P ,(3) un numero reale |v|, detto modulo di v: misura della lunghezza del

segmento OP rispetto all’unita fissata.

47

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48 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Se P = O, la direzione ed il verso di v non sono determinati e |v| = 0: il

vettore−−→OO e il vettore nullo di E3

O, che indicheremo anche con 0E3O, o anche

semplicemente con 0.Infine se |v| = 1: v e un versore di E3

O (convenzionalmente, indicheremo taloracon un “cappuccio” i versori: v).

E noto a tutti come si ottiene la risultante di due forze che agiscono sullostesso corpo, usando la regola del parallelogramma:

Definizione 1.2. Siano−→OA e

−−→OB due vettori applicati in O, la loro somma−→

OA+−−→OB e il vettore

−−→OC, dove C e il secondo estremo del vettore applicato nel

punto A, con uguale direzione, verso e modulo del vettore−−→OB (Figura 1.2).

O

A

B

C

−→

OA

−→

OB

−→

OC

(a) O

AB

C

−→

OA−→

OB

−→

OC

(b)

O

A

BC

−→

OA

−→

OB

−→

OC

(c)

Figura 1.2. La somma di due vettori−→OA e

−−→OB non aventi la

stessa direzione si ottiene costruendo il parallelogramma OACB

che ha per lati OA e OB; il vettore somma corrisponde a−−→OC,

ossia alla diagonale del parallelogramma con un estremo in O(a). Se i due vettori hanno la stessa direzione e lo stesso verso, il

vettore somma ha la stessa direzione e verso, e modulo |−−→OC| =

|−→OA| + |−−→OB| (b). Se i due vettori hanno la stessa direzione everso opposto, il vettore somma ha la stessa direzione, modulo

|−−→OC| = ||−→OA|− |−−→OB||, e verso uguale a quello dei due di modulomaggiore (c).

Osservazione 1.2. Se i punti A, B, O non sono allineati: C e il quar-to vertice del parallelogramma individuato da A, B, O. Applicando le notedisuguaglianze triangolari al triangolo di vertici O, A, C si ottiene:

| |−→OA| − |−−→OB| | ≤ |−−→OC| ≤ |−→OA| + |−−→OB|.Se i punti A, B, O sono allineati: C giace sulla retta contenente i punti e si ha:

(1) se−→OA e

−−→OB hanno lo stesso verso:

−−→OC ha il verso di

−→OA e

−−→OB,

|−−→OC| = |−→OA| + |−−→OB|;

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1. VETTORI APPLICATI. 49

(2) se−→OA e

−−→OB hanno versi opposti:

−−→OC ha il verso dell’addendo con

modulo maggiore e

|−−→OC| = | |−→OA| − |−−→OB| |.

Proposizione 1.1. La somma di vettori introdotta gode delle seguenti pro-prieta:

(1) proprieta commutativa: per ogni−→OA,

−−→OB ∈ E3

O

−→OA +

−−→OB =

−−→OB +

−→OA,

(2) proprieta associativa: per ogni−→OA,

−−→OB,

−−→OC ∈ E3

O

(−→OA +

−−→OB) +

−−→OC =

−→OA + (

−−→OB +

−−→OC),

(3) il vettore nullo e l’elemento neutro: per ogni−−→OP ∈ E3

O

−−→OP + 0 = 0 +

−−→OP =

−−→OP,

(4) ogni vettore−−→OP ∈ E3

O ammette opposto:

−−→OP +

−−→OP ′ =

−−→OP ′ +

−−→OP = 0,

dove P ′ e il simmetrico del punto P rispetto ad O.

Possiamo concludere che (E3O, +) e un gruppo abeliano.

Le proprieta (1), (3) e (4) sono conseguenza immediata della definizionedata di somma, la verifica della proprieta (2) richiede invece maggior impegno,ed e lasciata al lettore come esercizio.

Nell’insieme E3O e possibile definire anche un’operazione “esterna”, la mol-

tiplicazione di un vettore per un numero reale:

Definizione 1.3. Siano α ∈ R e v ∈ E3O, il prodotto di α e v e il vettore

applicato in O che indicheremo α v cosı definito:

(1) se α = 0 o v = 0: α v = 0;

(2) se α 6= 0 e v =−−→OP : α

−−→OP =

−→OS dove S appartiene alla retta OP ,

|−→OS| = |α| |−−→OP |;

infine il verso di−→OS e uguale od opposto al verso di

−−→OP a seconda del

segno di α (si veda per esempio la Figura 1.3).

Proposizione 1.2. La moltiplicazione di un vettore per un numero realegode delle seguenti proprieta:

(1) α (−→OA+

−−→OB) = α

−→OA+α

−−→OB, per ogni

−→OA,

−−→OB ∈ E3

O, per ogni α ∈ R;

(2) (α + β)−→OA = α

−→OA + β

−→OA, per ogni

−→OA ∈ E3

O, per ogni α, β ∈ R;

(3) (αβ)−→OA = α(β

−→OA) = β(α

−→OA), per ogni

−→OA ∈ E3

O, per ogni α, β ∈ R;

(4) 1−→OA =

−→OA, per ogni

−→OA ∈ E3

O.

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50 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

O

P

S

−−→OP

−→OS = α

−−→OP

Figura 1.3. Il segmento orientato w =−→OS = α

−−→OP = α v,

con α ∈ R, ha la stessa direzione di−−→OP e verso concorde a

quest’ultimo se α > 0.

O

A

BC

−→OA

−−→OB

−−→OC α

−→OA

α−−→OB

α−−→OC

Figura 1.4. α (−→OA +

−−→OB) = α

−→OA + α

−−→OB.

Le proprieta (2), (3) e (4) sono di immediata verifica, la proprieta (1) si puoverificare sfruttando le proprieta della similitudine (si usi come traccia per ladimostrazione la Figura 1.4).

Esercizio 1.1.Siano v ∈ E3

O e α ∈ R, verificare che:

αv = 0 ⇐⇒ α = 0 o v = 0.

Fissato nello spazio euclideo E un punto O, che chiamiamo origine, esisteun’ applicazione naturale tra lo spazio E e lo spazio E3

O dei vettori applicati nelpunto O:

(1.1) E → E3O

che associa ad ogni punto P il segmento orientato−−→OP . Osserviamo che per ogni

vettore v ∈ E3O esiste un unico punto P che gli corrisponde: P e il punto finale di

v. Otteniamo quindi una corrispondenza biunivoca tra E e E3O, che ci consente

di identificare i punti dello spazio con i vettori applicati in O. Introduciamo la

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2. SISTEMI DI RIFERIMENTO CARTESIANI. 51

seguente notazione:P = O + v

per indicare che il punto P corrisponde al vettore v applicato in O.In generale, dati un punto P ∈ E e un vettore v ∈ E3

O, indichiamo con

P ′ = P + v

il punto finale del segmento orientato con origine P avente direzione, versoe modulo uguali a quelli di v. Fissato un vettore v ∈ E3

O, consideriamo latrasformazione dello spazio

τv : E → Eche trasforma il punto P nel punto P ′ = P + v.

Definizione 1.1: τv : E → E e detta traslazione di vettore v.

Si verifica facilmente che se v e il vettore nullo, τv e l’identita, ovvero latrasformazione che trasforma ogni punto in se stesso. Per ogni vettore non nullov, τv e biunivoca e la trasformazione inversa (ovvero quella che riporta i puntinella posizione originale) e la traslazione del vettore −v.

Esercizio 1.2.Siano O, A, B tre punti non allineati e sia w =

−−→OB − −→

OA. Verificare cheB = A + w. (Figura 1.5).

O

A

B

−→OA

−−→OB

−−→AB

−−→OB −−→

OA

Figura 1.5. Il vettore differenza w =−−→OB − −→

OA si ottienecostruendo il parallelogramma avente per lati i vettori

−−→OB e

−−→OA.

2. Sistemi di riferimento cartesiani.

Fissato un vettore non nullo u ∈ E3O, possiamo considerare l’insieme di

tutti i vettori applicati che si ottengono moltiplicando u per un numero reale,indichiamo tale insieme con

(1.2) Span(u) = {v ∈ E3O |v = αu, α ∈ R},

ci chiediamo quale sia il significato geometrico. Identificando E3O con lo spazio

E , Span(u) corrisponde al sottoinsieme dei punti P ∈ E tali che:

P = O + αu, α ∈ R.

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52 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Proprieta 1.3. Span(u) rappresenta la retta r per l’origine individuatadal vettore u.

Sia v ∈ Span(u), il punto finale di v e : P = O + αu, α ∈ R. Osserviamoche, per definizione del prodotto αu, P e un punto della retta r.

Sia ora P un punto della retta r: proviamo che esiste un unico numero reale

α tale che P = O + αu, cioe−−→OP = αu. Osserviamo che:

|α| |u| = |−−→OP | ⇔ |α| =|−−→OP ||u| ,

ed il segno di α e positivo o negativo a seconda se i vettori |−−→OP | e u hanno lostesso verso oppure versi opposti.

Nel seguito, diremo brevemente che Span(u) e la retta passante per l’originegenerata dal vettore non nullo u. Osserviamo infine che, viceversa, ogni rettar passante per l’origine O, puo essere identificata con Span(u), per un vettore

non nullo u =−−→OP , P ∈ r.

Dalla proprieta precedente (1.3) si ha che se O, A, B sono punti distinti, essi

sono allineati se e solo se Span(−−→OB) = Span(

−→OA), se e solo se

−−→OB ∈ Span(

−→OA).

Traduciamo questa proprieta geometrica in una propriea algebrica sui vettoriapplicati:

Definizione 1.4. Due vettori u e v di E3O sono detti:

• linearmente dipendenti se v ∈ Span(u),• linearmente indipendenti se v 6∈ Span(u).

Siano ora {u, v} ∈ E3O due vettori linearmente indipendenti, allora Span(u)

e Span(v) rappresentano due rette distinte e incidenti in O, indichiamo con πil piano che le contiene. Consideriamo il sottoinsieme di E3

O dato da tutti ivettori ottenuti sommando un vettore di Span(u) e un vettore di Span(v), cheindichiamo con

(1.3) Span(u, v) = {w ∈ E3O| w = αu + βv, α, β ∈ R },

ci chiediamo quale sia il significato geometrico di tale insieme. Identificando lospazio E3

O con E , Span(u, v) corrisponde al sottoinsieme dei punti P ∈ E taliche:

P = O + αu + βv, α, β ∈ R.

Proprieta 1.4. Span(u, v) rappresenta il piano π per l’origine individuatodalle rette Span(u) e Span(v).

Sia w ∈ Span(u, v), il punto finale di w e : P = O + αu + βv, α, β ∈ R.Per definizione, P e il punto finale della diagonale per O del parallelogrammodi lati αu e βv, quindi e un punto del piano π che contiene le rette Span(u) eSpan(v).

Sia ora P ∈ π, proviamo che P e il vertice di un unico parallelogrammaavente un vertice in O e due lati rispettivamente sulle rette Span(u) e Span(v):basta tracciare le due rette nel piano π passanti per P e parallele alle rette

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2. SISTEMI DI RIFERIMENTO CARTESIANI. 53

Span(u) e Span(v). Detti A e B rispettivamente i punti di intersezione di talirette con Span(u) e Span(v), si ha:

−−→OP =

−→OA +

−−→OB,

−→OA ∈ Span(u)

−−→OB ∈ Span(v),

quindi esistono due numeri reali α e β tali che−−→OP = αu + βv. (Figura 1.6).

O

B

A

P

u

v

span

(v)

span(u)

Figura 1.6. Preso un punto P qualunque nel piano π, e sempre

possibile decomporre il vettore−−→OP in un vettore

−→OA ∈ Span(u)

ed un altro−−→OB ∈ Span(v).

In seguito, diremo brevemente che Span(u, v) e il piano generato dai vettorilinearmente indipendenti u e v. Osserviamo infine che, viceversa, ogni piano πpassante per l’origine O, puo essere identificato con Span(u, v), per una coppiadi vettori linearmente indipendenti u e v.

Osservazione 1.3. Siano u, v ∈ E3O due vettori linearmente indipendenti,

dalla proprieta precedente segue che ogni vettore w ∈ Span(u, v) si puo scriverein un unico modo come somma di un vettore di Span(u) e un vettore di Span(v):

w = αu + βv, α, β ∈ R.

Diciamo per questo che {u, v} costituiscono una base B di Span(u, v). Fissatauna base B possiamo associare ad ogni vettore w ∈ Span(u, v) un’unica coppia

di numeri reali, (α, β), detti coordinate del vettore−−→OP rispetto alla base fissata.

Le coordinate identificano in modo univoco il vettore w, infatti conoscendo ivalori α e β posso ricostruire il vettore w.

Sia π un piano passante per l’origine O, fissiamo due rette ortogonali perO, scegliamo infine due versori ı e su di esse: possiamo identificare il pianoπ con Span(ı, ). La base B = {ı, } e detta base ortonormale per il piano

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54 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Span(ı, ). Abbiamo in questo modo fissato un sistema di riferimento cartesianoortonormale nel piano. Per ogni punto P del piano si ha P = O + xı + y, inumeri reali x e y, univocamente determinati, sono detti coordinate cartesianedel punto P sul piano π nel sistema di riferimento cartesiano ortonormale fissato.

Definizione 1.5. R(O, ı, ) indica un sistema di riferimento cartesianoortonormale nel piano.

Esercizio 2.1. Siano u,v due vettori linearmente indipendenti di E3O e sia

w ∈ E3O. Verificare che i vettori u,v e w sono complanari (cioe esiste un piano

che li contiene) se e solo se w ∈ Span(u, v).

Siano u,v e w tre vettori non complanari di E3O. Consideriamo il sottoinsie-

me di E3O dato dai vettori applicati che sono somma di vettori rispettivamente

di Span(u), Span(v) e Span(w):

(1.4) Span(u, v, w) = {z ∈ E3O : z = αu + βv + γw, α, β, γ ∈ R},

vogliamo determinare il significato geometrico di tale insieme. A tale scopoproviamo la seguente:

Proprieta 1.5. Ogni vettore−−→OP ∈ E3

O ammette un’unica scrittura delseguente tipo:

−−→OP =

−→OA +

−−→OB,

−→OA ∈ Span(w)

−−→OB ∈ Span(u, v).

Osserviamo che la proprieta e vera se−−→OP ∈ Span(u, v): in tal caso si ha−→

OA = 0 e B = P . Supponiamo ora che P non appartenga al piano individuatoda Span(u, v). Proviamo che P e vertice di un unico parallelogrammma avente

un lato−→OA ∈ Span(w) ed un lato

−−→OB ∈ Span(u, v): basta tracciare la retta per

P parallela alla retta Span(w) ed il piano per P parallelo al piano Span(u, v).Detti A e B rispettivamente i punti di intersezione del piano tracciato con laretta Span(w) e della retta tracciata con Span(u, v) (vedi Figura 1.7) si ottieneil parallelogramma O, A, P, B. Otteniamo quindi:

−−→OP =

−→OA +

−−→OB

−→OA ∈ Span(w)

−−→OB ∈ Span(u, v).

Dall’unicita della costruzione del parallelogramma O, A, P, B e poiche−−→OB si

scrive in un unico modo come somma di vettori di Span(u) e Span(v), otteniamola seguente:

Proprieta 1.6. Per ogni z ∈ E3O, sono univocamente determinati tre

numeri reali α, β, γ tali che:

z = αu + βv + γw.

Si ha quindi Span(u, v, w) = E3O.

Osservazione 1.4. Abbiamo quindi provato che una terna di vettori noncomplanari {u, v, w} di E3

O costituisce una base B di E3O. I numeri reali (α, β, γ)

sono detti coordinate del vettore z rispetto alla base fissata.

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2. SISTEMI DI RIFERIMENTO CARTESIANI. 55

O

A

Bw

span

(w)

−→

OA

P

u

v

−→

OB

−→

OP

span(u, v)

Figura 1.7. La costruzione per decomporre ogni vettore−−→OP ∈

E3O in un vettore in Span(w) ed uno in Span(u, v).

Fissate nello spazio tre rette per O, mutuamente ortogonali e tre versori ı, e k su di esse, la base B = {ı, , k} e detta base ortonormale di E3

O. Adogni punto P associamo una terna , univocamente determinata, di numeri reali(x, y, z), tali che

P = O + xı + y + zk,

dette coordinate del punto P nel sistema di riferimento cartesiano ortonormalefissato.

Definizione 1.6. R(O, ı, , k) e un sistema di riferimento cartesiano orto-normale nello spazio.

Notazione 1.7. Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k):

• le rette orientate Span(ı), Span() e Span(k) sono gli assi coordinati;

• i piani Span(ı, ), Span(ı, k) e Span(, k) sono i piani coordinati;

• P =

xyz

indica il punto P di coordinate (x, y, z) in R(O, ı, , k):

P = O + xı + y + zk;

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56 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

O

P

P ′

i

span

(i)

j span(j)

ksp

an(k

)

−→

OP

xi

yj

zk

Figura 1.8. Il riferimento cartesiano ortogonale monometrico R(O, ı, , k).

• −−→OP =

xyz

indica il vettore applicato in O di coordinate (x, y, z) rispetto

alla base B = {ı, , k}:−−→OP = xı + y + zk.

Osservazione 1.5. Sia B = {ı, , k} una base ortonormale di E3O. Consi-

deriamo i seguenti vettori u, v ∈ E3O:

u =

u1

u2

u3

v =

v1

v2

v3

.

Proviamo che le coordinate dei vettori u + v e αv si ottengono rispettivamentesommando le coordinate di u e v e moltiplicando le coordinate di v per α:

u + v =

u1 + v1

u2 + v2

u3 + v3

αv =

αv1

αv2

αv3

.

Ricordiamo che per definizione abbiamo

u = u1ı + u2 + u3k, v = v1ı + v2 + v3k;

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3. RAPPRESENTAZIONI PARAMETRICHE DI RETTE E PIANI. 57

sommando i vettori u e v ed eseguendo la moltiplicazione di α e v, applicandole proprieta delle operazioni della somma e del prodotto per un numero reale,otteniamo:

u + v = (u1 + v1)ı + (u2 + v2) + (u3 + v3)k,

αv = α(v1ı + v2 + v3k) = (αv1)ı + (αv2) + (αv3)k.

Per l’unicita della scrittura di ogni vettore in una base fissata, queste sono ledecomposizioni rispettivamente di u + v e αv nella base B, da cui possiamoleggere le coordinate rispettivamente di u + v e αv nella base B.

Fissata una base B in E3O, le coordinate (x, y, z) di un vettore v identificano

in modo univoco il vettore, cioe conoscendo le coordinate posso ricostruire ilvettore v. Inoltre le proprieta che abbiamo verificato ora, ci consentono dieseguire le operazioni tra i vettori di E3

O direttamente sulle loro coordinate,dove tali operazioni sono piu semplici da eseguire.

Esercizio 2.2. Siano v ∈ E3O e τv : E → E la traslazione di vettore v, che

trasforma il punto P nel punto P ′ = P + v.

Verificare che, per ogni punto P ∈ E , risulta:−−→OP ′ =

−−→OP + v.

Fissato nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano ortonor-male, siano

v =

v1

v2

v3

P =

xyz

,

verificare che le coordiante cartesiane del punto P ′ = τv(P ) sono le seguenti:

x′

y′

z′

=

x + v1

y + v2

z + v3

.

3. Rappresentazioni parametriche di rette e piani.

Iniziamo a studiare la geometria dello spazio in cui abbiamo fissato unsistema di riferimento cartesiano ortonormale R(O, ı, , k).

Una retta r e univocamente determinata assegnando un punto P0 ∈ r edun vettore non nullo v ∈ E3

O parallelo ad r, che da la direzione di r:

Definizione 1.8. v e un vettore direttore di r (Figura 1.9).

Osservazione 1.6. Osserviamo che ogni vettore non nullo w ∈ Span(v) eun vettore direttore di r.

Proprieta 1.7. La retta r e l’insieme di tutti e soli i punti P che soddisfanola seguente equazione parametrica vettoriale:

(1.5) P = P0 + t v, t ∈ R.

Se la retta r passa per l’origine O del riferimento, possiamo scegliere P0 = O,abbiamo visto nella lezione precedente che r = Span(v), quindi e il luogo deipunti P tali che

P = t v, t ∈ R.

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58 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

O

P0

i

x

j yk

z

v

rrv

Figura 1.9. v ∈ E3O e un vettore direttore della retta r se rv =

Span(v) ‖ r.

Se la retta r non passa per l’origine, questa scelta non e possibile. Osserviamo

che r risulta essere la traslazione di Span(v) del vettore−−→OP0: infatti un punto

P ∈ r se e solo si ha (vedi Figura 1.10):

P = P0 +−−→OQ,

−−→OQ ∈ Span(v),

che conclude la verifica.

Osservazione 1.7. L’equazione parametrica di r consiste nel descrivere ipunti della retta in funzione di un parametro reale a partire da un punto e da unvettore direttore, per questo motivo non e univocamente determinata. Infattil’equazione seguente

P = P1 + sw, s ∈ R

rappresenta r per ogni punto P1 ∈ r e per ogni vettore non nullo w ∈ Span(v).Esistono quindi infinite rappresentazioni parametriche di r.

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3. RAPPRESENTAZIONI PARAMETRICHE DI RETTE E PIANI. 59

O

P0

P

Q

i

x

j yk

z

v

r

span

(v)

−→

OP0−→

OQ

−→

OP

Figura 1.10. La retta r si ottiene traslando di un vettore−−→OP0

la retta Span(v) passante per l’origine, con P0 ∈ r, dove v eun direttore della retta. Preso, infatti un punto P qualunquesu r, basta costruire il parallelogramma OP0PQ che ha OP co-me diagonale ed OP0 come lato; per costruzione, il lato OQ eparallelo a PP0, dunque giace sulla retta passante per l’origine

diretta come v, ossia−−→OQ ∈ Span(v).

Scriviamo ora le coordinate dei vettori coinvolti nell’equazione parametricatrovata. Siano

v =

lmn

6=

000

, P0 =

x0

y0

z0

,

indichiamo con

xyz

le coordinate di un punto P ∈ r, sostituendo nell’equa-

zione precedente otteniamo

(1.6)

xyz

=

x0

y0

z0

+ t

lmn

.

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60 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Possiamo concludere che il punto P appartiene alla retta r se e solo se le suecoordinate sono le seguenti, al variare del parametro reale t:

(1.7)

x = x0 + t l,

y = y0 + t m,

z = z0 + t n, t ∈ R.

Abbiamo ottenuto le equazioni parametriche della retta r.

Applicazione 1.8. Retta r per due punti distinti A e B.

Osserviamo che il vettore−−→OB−−→

OA e non nullo ed e parallelo alla retta r, (vediEsercizio 1.2), la retta r e quindi la retta per il punto A avente come direzione

il vettore−−→OB −−→

OA, ha quindi equazione parametrica:

P = A + t(−−→OB −−→

OA), t ∈ R.

Esempio 1.9. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonornormale R(O, ı, , k).

(1) Troviamo una rappresentazione parametrica per l’asse x del sistema diriferimento. L’asse x e la retta Span(ı), quindi ha equazione parame-trica:

P = tı, t ∈ R.

Passando alle coordinate abbiamo:

x = t,

y = 0,

z = 0, t ∈ R.

(2) Troviamo una rappresentazione parametrica per la retta r passante

per il punto A =

11−1

e avente come direzione il vettore v = 2ı− .

La retta ha equazione parametrica:

P = A + t v, t ∈ R,

con v =

2−10

. Sostituendo e passando alle coordinate si ha:

x = 1 + 2t,

y = 1 − t,

z = −1, t ∈ R.

(3) Troviamo una rappresentazione parametrica per la retta r passam-

te per i punti A =

11−1

e B =

−121

. La retta ha equazione

parametrica:

P = A + t(−−→OB −−→

OA), t ∈ R.

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3. RAPPRESENTAZIONI PARAMETRICHE DI RETTE E PIANI. 61

Determiniamo le coordinate del vettore−−→OB −−→

OA:

−−→OB −−→

OA =

−121

11−1

=

−212

,

sostituendo e passando alle coordinate si ha:

x = 1 − 2t,

y = 1 + t,

z = −1 + 2t, t ∈ R.

Vogliamo ora determinare una rappresentazione parametrica per i piani nel-lo spazio in cui abbiamo fissato un sistema di riferimento cartesiano ortonormaleR(O, ı, , k).Un piano π e univocamente determinato assegnando un punto P0 ∈ π ed unacoppia di vettori linearmente indipendenti {u, v} ∈ E3

O paralleli ad r:

Definizione 1.9. {u, v} costituiscono una giacitura di π.

Osservazione 1.10. Osserviamo che per ogni coppia di vettori {u′, v′} taleche Span(u′, v′) = Span(u, v), anche {u′, v′} sono una giacitura di π.

Proprieta 1.8. Il piano π e l’insieme di tutti e soli i punti P che soddisfanola seguente equazione parametrica vettoriale:

(1.8) P = P0 + t u + s v, t, s ∈ R.

Se il piano π passa per l’origine O del riferimento, possiamo scegliere P0 =O, abbiamo visto nella lezione precedente che π = Span(u, v), quindi e il luogodei punti P tali che

P = t u + s v, t, s ∈ R.

Se il piano π non passa per l’origine, tale scelta non e possibile. osserviamo che

π risulta essere la traslazione di Span(u, v) del vettore−−→OP0: infatti un punto

P ∈ π se e solo si ha (vedi Figura 1.12):

P = P0 +−−→OQ,

−−→OQ ∈ Span(u, v),

che conclude la verifica.

Osservazione 1.11. L’equazione parametrica di π consiste nel descrivere ipunti del piano in funzione di due parametri reali a partire da un punto e unacoppia di vettori linearmente indipendenti che danno una giacitura del piano,percio non e univocamente determinata. Infatti, l’equazione seguente:

P = P1 + t′w1 + s′w2, t′, s′ ∈ R

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62 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

π

u

v

O

P0

i

x

j

yk

z

Figura 1.11. Un piano π e univocamente individuato da unsuo punto P0 e da una coppia di vettori {u, v} ∈ E3

O linearmenteindipendenti paralleli ad esso (ossia, tali che Span(u, v) ‖ π).

rappresenta π per ogni punto P1 ∈ π e per ogni coppia di vettore linearmenteindipendenti {w1, w2} tali che

Span(u, v) = Span(w1, w2).

Esistono quindi infinite rappresentazioni parametriche di π.

Scriviamo ora le coordinate dei vettori coinvolti nell’equazione parametricatrovata. Siano

u =

u1

u2

u3

, v =

v1

v2

v3

, P0 =

x0

y0

z0

,

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3. RAPPRESENTAZIONI PARAMETRICHE DI RETTE E PIANI. 63

π′ = span(u, v)

O

x

y

z

uv

π

P

P0

P ′

Figura 1.12. Qualunque sia il punto P nel piano π ottenuto

traslando il piano π′ = Span(u, v) del vettore−−→OP0, il vettore−−→

OP e sempre decomponibile nella somma di−−→OP0 con un vettore−−→

OP ′ in π′.

indichiamo con

xyz

le coordinate di un punto P ∈ π, sostituendo nell’equa-

zione precedente otteniamo

(1.9)

xyz

=

x0

y0

z0

+ t

u1

u2

u3

+ s

v1

v2

v3

, t, s ∈ R.

Possiamo concludere che il punto P appartiene al piano π se e solo se le suecoordinate sono le seguenti, al variare dei parametri reali t e s:

(1.10)

x = x0 + tu1 + sv1,

y = y0 + tu2 + sv2, t, s ∈ R

z = z0 + tu3 + sv3.

Abbiamo ottenuto le equazioni parametriche del piano π.

Applicazione 1.12. Piano per tre punti non allineati A, B e C.Consideriamo tre punti distinti A, B e C: osserviamo chei punti A, B e C sono allineati se e solo se le rette AB e AC coincidono ⇐⇒ lerette AB e AC hanno la stessa direzione.Poiche la direzione della retta AB e data dal vettore

−−→OB −−→

OA, e la direzione

della retta AC e data dal vettore−−→OC −−→

OA, abbiamo che

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64 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

i punti A, B e C sono allineati se e solo se i vettori−−→OB −−→

OA e−−→OC −−→

OA sono

linearmente dipendenti se e solos se−−→OB −−→

OA ∈ Span(−−→OC −−→

OA).Supponiamo ora che i punti A, B e C non siano allineati, allora la coppia di

vettori linearmente indipendenti {−−→OB − −→OA,

−−→OC − −→

OA} danno una giacituraper il piano π determinato dai punti. Il piano π e quindi il piano per il punto A

avente come giacitura {−−→OB−−→OA,

−−→OC−−→

OA}, ha quindi equazione parametrica:

P = A + t(−−→OB −−→

OA) + s(−−→OC −−→

OA), t, s ∈ R.

Esempio 1.13. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Troviamo una rappresentazione parametrica per il piano x, y del si-stema di riferimento. Il piano x, y e il piano Span(ı, ), per cui haequazione parametrica:

P = tı + s, t, s ∈ R.

Passando alle coordinate abbiamo:

x = t,

y = s,

z = 0, t, s ∈ R.

(2) Troviamo una rappresentazione parametrica per il piano π passante

per il punto A =

11−1

e avente come giacitura i vettori u = ı − e

v = 2ı + k.Ricordiamo che i vettori {u, v} sono una giacitura per il piano π ⇐⇒u e v sono linearmente indipendenti ⇐⇒ v 6∈ Span(u). Abbiamo

u =

1−10

v =

201

,

inoltre

Span(u) = {αu, α ∈ R} = {

α−α0

, α ∈ R}.

Il vettore v ∈ Span(u) se esiste α ∈ R tale che:

α−α0

=

201

,

che equivale al seguente sistema di equazioni nell’incognita α:

α = 2

−α = 0

0 = 1

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3. RAPPRESENTAZIONI PARAMETRICHE DI RETTE E PIANI. 65

che non ha soluzioni reali. I vettori {u, v} sono quindi linearmenteindipendenti e il piano π ha equazione parametrica:

P = A + t u + s v, t, s ∈ R.

Sostituendo e passando alle coordinate otteniamo:

x = 1 + t + 2s,

y = 1 − t, t, s ∈ R.

z = −1 + s,

(3) Consideriamo i punti

A =

101

B =

01−1

C =

210

.

Ci proponiamo di verificare che i punti non sono allineati e di trova-re una rappresentazione parametica per il piano da essi determinato.

Abbiamo visto che i punti sono allineati ⇐⇒ i vettori−−→OB − −→

OA e−−→OC −−→

OA sono linearmente dipendenti. Nel nostro caso abbiamo:

−−→OB −−→

OA =

01−1

101

=

−11−2

,

−−→OC −−→

OA =

210

101

=

11−1

,

infine risulta

Span(−−→OC −−→

OA) = {α

11−1

, α ∈ R} = {

αα−α

, α ∈ R}.

Il vettore−−→OB − −→

OA appartiene a Span(−−→OC − −→

OA) se e solo se esiste

α ∈ R tale che

−11−2

= α

11−1

, passando alle coordinate si ha il

sistema

−1 = α

1 = α

−2 = −α

che risulta essere impossibile. Possiamo quindi concludere che i vet-tori sono linearmente indipendenti, quindi i punti A, B e C non sonoallineati e determinano un unico piano π. L’equazione parametrica delpiano π e:

P = A + t(−−→OB −−→

OA) + s(−−→OC −−→

OA), t, s ∈ R.

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66 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Sostituendo e passando alle coordinate otteniamo:

x = 1 − t + s,

y = 0 + t + s,

z = 1 − 2t − s, t, s ∈ R.

4. Prodotto scalare in E3O.

Vogliamo ora occuparci di questioni di carattere metrico in E3O, come ad

esempio la misura di distanze ed angoli. Iniziamo a richiamare il concetto diproiezione ortogonale.Siano r = Span(u) una retta per O e P un punto non appartenente ad r.Consideriamo il piano Σ contenente r e P e nel piano Σ la retta n passante perP e perpendicolare a r, abbiamo: r ∩ n = P ′.

Definizione 1.10. Il punto P ′ e la proiezione ortogonale di P sulla retta

r = Span(u), il vettore−−→OP ′ e la proiezione ortogonale di

−−→OP su r.

O

P

P ′

−→

OP

−→

OP ′

u

r = span(u)

n

Figura 1.13. La proiezione ortogonale del vettore−−→OP sulla

retta r = Span(u) e il vettore−−→OP ′, con P ′ = r ∩ n, dove n e la

retta ortogonale ad r passante per P .

Osservazione 1.14. Sia−−→OP ′ la proiezione ortogonale di

−−→OP su r. Osser-

viamo che:

(1)−−→OP ′ = 0 se e solo se OP e perpendicolare a r;

(2)−−→OP ′ ∈ Span(u), quindi esiste un’unico numero reale k tale che

−−→OP ′ = ku;

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4. PRODOTTO SCALARE IN E3O. 67

(3) se u e un versore, allora k = |−−→OP | cos ϑ, dove 0 ≤ ϑ ≤ π e l’angolo

convesso formato da−−→OP e u (Figura 1.14).

O

P

−→

OP

u

θ

(a)

O

P

−→

OP

u

θ

(b)

Figura 1.14. L’angolo convesso ϑ formato da−−→OP e u puo

essere acuto (a) o ottuso (b).

Siano π = Span(v, w) un piano per O e P un punto non appartenente a π.Consideriamo la retta n passante per P e perpendicolare a π, abbiamo:

π ∩ n = P ′′.

Definizione 1.11. Il punto P ′′ e la proiezione ortogonale di P sul piano π =

Span(v, w), il vettore−−→OP ′′ e la proiezione ortogonale di

−−→OP su π (Figura1.15).

Data una retta r = Span(u) possiamo considerare il piano ortogonale a re passante per l’origine O: indichiamo tale piano con π⊥

r . Consideriamo ora leproiezioni P ′ e P ′′ di un punto P , rispettivamente sulla retta r e sul piano π⊥

r .Abbiamo il seguente risultato:

Proposizione 1.9. Ogni vettore−−→OP ∈ E3

O si puo scrivere nel seguentemodo: −−→

OP =−−→OP ′ +

−−→OP ′′,

dove−−→OP ′ e la proiezione ortogonale di

−−→OP su r e

−−→OP ′′ e la proiezione ortogonale

di−−→OP su π⊥

r . Infine, tale scrittura e unica.

Basta osservare che esiste un’unico rettangolo con un vertice in P , un verticein O e avente due lati rispettivamente sulla retta r = Span(u) e sul piano

π⊥r = Span(v, w): per costruzione i lati

−−→OP ′ e

−−→OP ′′ sono le proiezioni ortogonali

del vettore−−→OP su r e π⊥

r (Figura 1.16).

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68 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

π = span(v, w)O

P

P ′′

n

−→

OP′′

−→

OP

Figura 1.15. La proiezione ortogonale del vettore−−→OP sul piano

π = Span(v, w) e il vettore−−→OP ′′, dove P ′′ e l’intersezione fra il

piano e la retta n passante per P , ortogonale a π (per maggiorechiarezza, la figura omette di illustrare i vettori v e w).

Una proprieta importante della proiezione ortogonale e che si comporta “be-ne” rispetto alla somma di vettori e rispetto alla moltiplicazione di un vettoreper un numero reale.

Proprieta 1.10. Siano r e π⊥r come sopra, proviamo che:

(1) se−−→OR =

−−→OP +

−−→OQ, allora si ha:

−−→OR′ =

−−→OP ′ +

−−→OQ′ −−→

OR′′ =−−→OP ′′ +

−−→OQ′′;

(2) se−−→OR = α

−−→OP , allora si ha:

−−→OR′ = α

−−→OP ′ −−→

OR′′ = α−−→OP ′′.

Verifichiamo la prima proprieta. Notiamo che dalla proprieta precedente ab-biamo:

−−→OP =

−−→OP ′ +

−−→OP ′′

−−→OQ =

−−→OQ′ +

−−→OQ′′

e sommando queste due uguaglianze troviamo

−−→OP +

−−→OQ = (

−−→OP ′ +

−−→OQ′) + (

−−→OP ′′ +

−−→OQ′′).

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4. PRODOTTO SCALARE IN E3O. 69

π⊥rO

P

P ′

P ′′

n

u

−→

OP ′

−→

OP′′

r=

span(u

)

−→

OP

Figura 1.16. Il vettore−−→OP si decompone in un vettore

−−→OP ′,

proioezione ortogonale lungo r = Span(u), ed uno−−→OP ′′ proie-

zione ortogonale nel piano π⊥r = Span(v, w) perpendicolare ad

u. La decomposizione e unica.

Ora (−−→OP ′+

−−→OQ′) ∈ r e (

−−→OP ′′+

−−→OQ′′) ∈ r⊥, per l’unicita della scrittura possiamo

concludere.

Introduciamo finalmente lo strumento fondamentale nello studio della geo-metria analitica, strettamante legato alle proiezioni ortogonali: il prodotto sca-lare, un’operazione che associa a due vettori u, v di E3

O un numero reale, nelseguente modo:

Definizione 1.12. Il prodotto scalare di u, v ∈ E3O e:

(1.11) 〈u, v〉 = |u||v| cos ϑ

dove ϑ e l’angolo convesso compreso tra i due vettori, come nel caso descrittosopra della proiezione ortogonale (Figura 1.14).

Osservazione 1.15. Osserviamo che dalla definizione segue immediata-mente che:- se u e un versore, r = Span(u) e v =

−−→OP , allora la proiezione ortogonale del

vettore−−→OP sulla retta r e:

−−→OP ′ = 〈u,

−−→OP 〉u;

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70 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

- se u = v, si ha: 〈v, v〉 = |v|2;- 〈u, v〉 = 0 se e solo se o uno dei due vettori e il vettore nullo di E3

O oppure sei vettori u e v sono perpendicolari.

Le proprieta seguenti del prodotto scalare sono molto importanti:

Proprieta 1.11. ∀u, v, w ∈ E3O e ∀k ∈ R valgono le seguenti proprieta:

(1) 〈u, v〉 = 〈v, u〉 (proprieta commutativa);(2) 〈ku, v〉 = 〈v, ku〉 = k〈u, v〉;(3) 〈(u + v), w〉 = 〈u, w〉 + 〈v, w〉 (proprieta distributiva).

La prima proprieta segue dalla definizione.La seconda proprieta segue dal fatto che: |ku| = |k||u| e fissato k 6= 0, i vettoriku e v, u e kv formano lo stesso angolo convesso β; inoltre, e facile verificareche si ha:

β =

{

ϑ k > 0

π − ϑ k < 0,

da cui si ricava cos β = k|k| cos ϑ. Si ha quindi:

〈ku, v〉 = |k||u||v| cos β = k|u||v| cos ϑ = k〈u, v〉.La terza proprieta e un po’ piu delicata. Se w = 0 non c’e nulla da dimostrare.Indichiamo con r la retta generata da w e consideriamo il versore w = w/|w|.Osserviamo che

〈u + v, w〉 = |w|〈u + v, w〉〈u, w〉 + 〈v, w〉 = |w|(〈u, w〉 + 〈v, w〉),

dunque e sufficiente provare che 〈(u + v), w〉 = 〈u, w〉 + 〈v, w〉.Poiche w e un versore, dall’osservazione precedente sappiamo che 〈u+v, w〉w ela proiezione ortogonale del vettore u+v sulla retta r, dalla proprieta dimostratasulle proiezioni ortogonali si ha

〈u + v, w〉w = 〈u, w〉w + 〈vw〉w,

da cui segue cio che volevamo dimostrare.

Le proprieta (2) e (3) costituiscono globalmente la proprieta di bilinearitadel prodotto scalare.

Osservazione 1.16. Fissiamo ora in E3O una base ortonormale B = {ı, , k}.

Sfruttando il fatto che i vettori sono mutualmente ortogonali otteniamo lerelazioni:

〈ı, 〉 = 〈ı, k〉 = 〈, k〉 = 0.

Sfruttando il fatto che sono versori ricaviamo invece

〈ı, ı〉 = 〈, 〉 = 〈k, k〉 = 1.

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4. PRODOTTO SCALARE IN E3O. 71

Utilizzando le proprieta di bilinearita e queste relazioni possiamo ricavarel’espressione del prodotto scalare in coordinate. Ovvero rispondere alla doman-da: conoscendo le coordinate di u e di v, in una base ortonormale B, comeposso calcolare 〈u, v〉?

Proprieta 1.12. Fissata in E3O la base ortonormale B = {ı, , k}, consi-

deriamo i seguenti vettori:

u = xı + y + zk v = x′ı + y′ + z′k.

Risulta:

(1) 〈u, v〉 = xx′ + yy′ + zz′;(2) |u| =

x2 + y2 + z2.

Verifichiamo la proprieta (1): sostituendo al posto di u e v la loro scritturanella base B abbiamo:

〈u, v〉 = 〈xı + y + zk, x′ı + y′ + z′k〉,per la linearita del prodotto scalare abbiamo:

〈u, v〉 =xx′〈ı, ı〉 + (xy′ + x′y)〈ı, 〉 + (xz′ + x′z)〈ı, k〉+ yy′〈, 〉 + (yz′ + y′z)〈, k〉 + zz′〈k, k〉,

(1.12)

sostituendo le relazioni trovate abbiamo:

〈u, v〉 = xx′ + yy′ + zz′.

La proprieta (2) segue immediatamente dalla (1).

Osservazione 1.17. Nelle ipotesi precedenti, sia ϑ l’angolo convesso for-mato dai vettori u e v. Dalla definizione di prodotto scalare e dalle proprieta(1) e (2) precedenti risulta:

cos ϑ =xx′ + yy′ + zz′

x2 + y2 + z2√

x′2 + y′2 + z′2.

Esempio 1.18. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Dati i vettori u =

120

e v =

−634

, calcoliamo il loro prodotto

scalare per stabilire se sono ortogonali.Ricordiamo che i vettori u e v sono perpendicolari se e solo se 〈u, v〉 =0, abbiamo

〈u, v〉 = xx′ + yy′ + zz′ = 1 · (−6) + 2 · (3) + 0 · (4) = −6 + 6 = 0,

quindi i due vettori sono ortogonali.

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72 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

(2) Dati i vettori u =

−200

e v =

330

, determiniamo l’angolo convesso

da essi formato.Abbiamo:

〈u, v〉 = xx′ + yy′ + zz′ = −2 · (3) + 0 · (3) + 0 · 0 = −6 6= 0,

quindi i vettori non sono perpendicolari. Calcoliamo i loro moduli:

|u| =√

x2 + y2 + z2 =√

(−2)2 =√

4 = 2,

|v| =√

x′2 + y′2 + z′2 =√

32 + 32 =√

18 = 3√

2.

Indichiamo con ϑ l’angolo convesso formato dai vettori u e v, abbiamo:

cos ϑ =〈u, v〉|u||v| =

−6

6√

2= −

√2

2,

da cui deduciamo che ϑ = 34π.

(3) Dati i vettori u = ı + e v = 2ı + 3 − 1k, determiniamo il vettoreproiezione ortogonale di v sulla retta Span(u).

Scegliamo un versore sulla retta r = Span(u): abbiamo u =

110

,

quindi il modulo di u e:

|u| =√

x2 + y2 + z2 =√

12 + 12 =√

2,

allora possiamo considerare sulla retta r il versore

u =1√2u =

1√2

1√2

0

,

cosı Span(u) = Span(u). Ricordiamo il significato geometrico delprodotto scalare, poiche u e un versore, il vettore proiezione ortogonaledi v sulla retta r e il vettore v′ ∈ Span(u) dato da:

v′ = 〈u, v〉u.

Calcoliamo il prodotto scalare di u e v:

〈u, v〉 =1√2· 2 +

1√2· 3 + 0 · (−1) =

5√2,

da cui otteniamo:

v′ =5√2u =

5

2u =

5

2ı +

5

2.

(4) Dati i vettori u =

12−1

e v =

1−12

, verifichiamo che non sono

ortogonali e determiniamo i vettori w ∈ Span(u, v) ortogonali a v.

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4. PRODOTTO SCALARE IN E3O. 73

Calcoliamo il prodotto scalare di u e v:

〈u, v〉 = xx′ + yy′ + zz′

= 1 · 1 + 2 · (−1) + −1 · (2) = 1 − 2 − 2 = −3 6= 0,(1.13)

da cui deduciamo che i vettori non sono ortogonali.Osserviamo che i vettori u e v sono linearmente indipendenti: infattiv ∈ Span(u) se e solo se esiste un numero reale non nullo k tale chev = ku, ma cio e impossibile poiche il seguente sistema

k = 1

2k = −1

−k = 2

non ha soluzioni. Quindi Span(u, v) e un piano per l’origine e unvettore w ∈ Span(u, v) se e solo se si scrive nel seguente modo:

w = au + bv, a, b ∈ R;

infine w e ortogonale a v se il loro prodotto scalare e zero. Per lalinearita del prodotto scalare abbiamo:

〈w, v〉 = 〈au + bv, v〉 = a〈u, v〉 + b〈v, v〉 = 0,

calcoliamo

〈v, v〉 = x2 + y2 + z2 = 12 + (−1)2 + 22 = 6,

sostituendo otteniamo l’equazione:

−3a + 6b = 0,

le cui soluzioni sono (a, b) tali che a = 2b. Le soluzioni sono quindi iseguenti vettori:

w = 2bu + bv = b(2u + v) b ∈ R,

l’insieme ottenuto e Span(2u+v), quindi la retta per O contenuta nelpiano Span(u, v) perpendicolare alla retta Span(v).

(5) Siano u e v due vettori non nulli linearmente indipendenti. Verifichia-mo che se w e un vettore non nullo perpendicolare a u e a v, allora w

e perpendicolare a tutti i vettori di Span(u, v).Un vettore del piano Span(u, v) si scrive au + bv, con a, b ∈ R, per lalinearita del prodotto scalare abbiamo quindi:

〈w, au + bv〉 = a〈w, u〉 + b〈w, v〉 = a · 0 + b · 0 = 0,

poiche per ipotesi 〈w, u〉 = 〈w, v〉 = 0.

Applicazione 1.19. Distanza di due punti.Dati due punti distinti A e B, la loro distanza e la lunghezza del segmento

che ha per estremi i punti A e B, quindi il modulo del vettore−−→AB:

d(A, B) = |−−→AB|.

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74 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Fissato nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano ortonor-

male, osserviamo che il vettore applicato−−→OB−−→

OA ha direzione, verso e modulo

del segmento orientato−−→AB (vedi Esercizio (1.2). Quindi abbiamo:

d(A, B) = |−−→OB −−→OA|.

Posto A =

xA

yA

zA

e B =

xB

yB

zB

, poiche abbiamo−−→OB − −→

OA =

xB − xA

yB − yA

zB − zA

,

otteniamo la formula:

d(A, B) =√

(xB − xA)2 + (yB − yA)2 + (zB − zA)2,

che generalizza l’analoga ben nota formula della distanza di due punti nel piano.

5. Equazioni cartesiane di rette e piani.

E noto a tutti che, fissato nel piano un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, ), le rette sono descrivibili come luogo dei punti le cuicoordinate sono le soluzioni di un’equazione lineare

ax + by + c = 0, (a, b) 6= (0, 0).

Proviamo che, analogamente, fissato nello spazio un sistema di riferimento car-tesiano ortonormale R(O, ı, , k), i piani sono definiti da un’equazione lineare.Per fare cio utilizzeremo la nozione di ortogonalita.

Dato un piano π esiste un’unica retta l passante per O ortogonale a π: l e dettaretta normale al piano per O. Sia n ∈ E3

O un vettore tale che Span(n) = l:

Definizione 1.13. n e un vettore normale al piano π (Figura 1.17).

Osservazione 1.20. Osserviamo che ogni vettore non nullo n′ ∈ Span(n)e un vettore normale al piano π.

Supponiamo che il piano π passi per l’origine O. Osserviamo che se P ∈ π il

vettore−−→OP risulta ortogonale a n, viceversa se

−−→OP ⊥ n allora il punto P ∈ π

(Figura 1.18); abbiamo, quindi, dimostrato che

(1.14) π = {P ∈ E | −−→OP ⊥ n } = {P ∈ E | 〈−−→OP,n〉 = 0 }.

Posto n =

abc

e P =

xyz

, allora abbiamo

〈−−→OP,n〉 = ax + by + cz,

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5. EQUAZIONI CARTESIANE DI RETTE E PIANI. 75

π

O

l=

span(n

)

n

n′

Figura 1.17. Il vettore n individua la retta l = Span(n) pas-sante per O ed ortogonale al piano π. Ogni vettore n′ ∈ Span(n)e normale al piano π.

πO

l

n

−→

OP

Figura 1.18. Se il vettore n e ortogonale al piano π passanteper l’origine, preso un qualunque punto P del piano π, il vettore−−→OP e ortogonale a n, ossia alla retta l = Span(n) individuatada n, e viceversa. Il piano π e dunque il luogo dei punti che

individuano vettori−−→OP ortogonali ad n.

dunque otteniamo l’equazione cartesiana del piano π per O e di direzionenormale n:

(1.15) ax + by + cz = 0,

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76 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

π0

π

O

P

P0

Q

n

v0 =−→

OP0

−→

OQ

l

−→

OP

Figura 1.19. Il piano π si ottiene traslando il piano π0 passante

per O e parallelo ad esso del vettore v =−−→OP0, in cui P0 e

l’intersezione con π della retta l per O, normale ai piani.

ovvero abbiamo espresso π come luogo dei punti le cui coordinate sono le solu-zioni di un’equazione lineare omogenea. I coefficienti di tale equazione sono lecoordinate di n.

Supponiamo ora che il piano π non passi per l’origine O. Consideriamo ilpiano π0 parallelo a π passante per O e sia l la retta normale ai piani per O,

tale retta interseca il piano π in un punto P0: poniamo v0 =−−→OP0. Osserviamo

che risulta:• per ogni punto Q ∈ π0, il punto P = Q + v0 appartiene al piano π,• per ogni punto P ∈ π, il punto Q = P − v0 appartiene al piano π0,possiamo cioe dire che il piano π si ottiene traslando π0 del vettore v0 (Figu-ra 1.19):

(1.16) π = {P ∈ E| P = Q + v0, Q ∈ π0}.

Concludendo, essendo v0 =−−→OP0 si ha:

(1.17) π = {P ∈ E| 〈−−→OP −−−→OP0, n〉 = 0 }.

Infine posto n =

abc

, P0 =

x0

y0

z0

e P =

xyz

, otteniamo l’equazione:

(1.18) a(x − x0) + b(y − y0) + c(z − z0) = 0,

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5. EQUAZIONI CARTESIANE DI RETTE E PIANI. 77

ovvero posto (ax0 + by0 + cz0) = d, otteniamo l’equazione del piano π per P0 edi direzione normale n:

(1.19) ax + by + cz = d.

Definizione 1.14. L’equazione ax+by+cz = d e detta equazione cartesianadel piano π.

Osservazione 1.21. Dato un piano π esistono infiniti vettori normali alpiano: infatti n′ ∈ E3

O e normale al piano se e solo n′ ∈ Span(n), cioe esistek ∈ R, k 6= 0 tale che n′ = kn. Al vettore n′ corrisponde l’equazione cartesiana

kax + kby + kcz = kd,

che rappresenta ancora il piano π. Quindi il piano π ammette infinite equazionicartesiane ed esse sono tutte multiple l’una dell’altra.Infine, ogni equazione lineare

ax + by + cz = d,

con

abc

6=

000

, rappresenta un piano di direzione normale n.

Esempio 1.22. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Scriviamo l’equazione cartesiana del piano π passante per O e avente

direzione normale n = ı − + 2k.

Abbiamo n =

1−12

, da cui otteniamo l’equazione cartesiana del

piano π:

1x − 1y + 2z = x − y + 2z = 0.

(2) Scriviamo l’equazione cartesiana del piano π passante per A =

1−1−1

e avente direzione normale n = ı − 2k.

Abbiamo n =

10−2

, l’equazione cartesiana di π e quindi :

1(x − xA) + 0(y − yA) − 2(z − zA) = 0,

sostituendo le coordinate di A abbiamo :

(x − 1) − 2(z + 1) = 0,

da cui ricaviamo l’equazione del piano.

x − 2z = 3.

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78 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

(3) Vogliamo stabilire se il punto A =

12−3

appartiene al piano π di

equazione 2x − y + 2z = 4.Basta sostituire le coordinate del punto A nell’equazione e vedere se esoddisfatta oppure no:

2(1) − (2) + 2(−3) = −6 6= 4,

per cui concludiamo che il punto A non appartiene al piano.

Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortonormale R(O, ı, , k), ab-biamo visto che esistono due modi per descrivere un piano nello spazio.• Attraverso l’equazione cartesiana: ovvero descrivendo il piano come il luogodei punti le cui coordinate sono le soluzioni di un’equazione lineare;• Attraverso un’equazione parametrica: ovvero descrivendo i punti del piano infunzione di due parametri reali.

Ci si potrebbe domandare quali tra queste due descrizioni conviene usarenella pratica. In realta la risposta a tale domanda e che a seconda del problemaa cui si e interessati conviene usare una o l’altra descrizione. Ad esempio, sevogliamo stabilire se un punto A, di coordinate note, appartiene ad un piano π,(vedi esempio (3)): e piu utile avere l’equazione cartesiana. Vedremo in seguito

esempi di problema i cui e piu utile avere l’equazione parametrica. E naturalequindi chiedersi:Domanda: Dato un piano π, come passare da una descrizione parametrica aduna cartesiana e viceversa?

Supponiamo di volere trovare una rappresentazione parametrica per il pianoπ di equazione cartesiana

ax + by + cz + d = 0,

poiche il piano e il luogo dei punti le cui coordinate sono le soluzioni dell’equa-zione data, trattandosi di un’equazione lineare in 3 incognite, e chiaro che sefissiamo due delle variabili arbitrariamente, possiamo ricavare la terza variabile,e in questo modo ottenere tutte le soluzioni. Vediamo alcuni esempi.

Esempio 1.23. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Troviamo una rappresentazione parametrica per il piano π di equazionecartesiana: x + 2y − 3z = 2.

Poniamo y = t e z = s, sostituiamo nell’equazione:

x + 2t − 3s = 2,

da cui ricaviamo x = 2 − 2t + 3s. Abbiamo quindi trovato le seguentiequazioni parametriche del piano:

x = 2 − 2t + 3s,

y = t,

z = s, t, s ∈ R.

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5. EQUAZIONI CARTESIANE DI RETTE E PIANI. 79

(2) Troviamo una rappresentazione parametrica per il piano π di equazioney − 2z = 3.

Osserviamo che non abbiamo condizioni su x, mentre se fissiamoz allora y e determinato. Dunque poniamo x = t e z = s, sostituendonell’equazione

y − 2s = 3,

abbiamo y = 3 + 2s. Abbiamo quindi trovato le seguenti equazioniparametriche del piano:

x = t,

y = 3 + 2s,

z = s, t, s ∈ R.

Supponiamo ora di volere trovare l’equazione cartesiana del piano π, as-segnato attraverso equazioni parametriche. Cio significa che le coordinate deipunti del piano sono funzioni lineari di due parametri reali t e s: P = P (t, s).L’equazione di π e l’unica equazione lineare, a meno di un fattore moltiplicativo,del tipo

ax + by + cz = d,

che e soddisfatta dalle coordinate dei punti P = P (s, t), ∀t, s ∈ R. Un modo perottenerla e quello di procedere con l’eliminazione dei parametri nelle equazioniparametriche, come e mostrato negli esempi seguenti.

Esempio 1.24. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Troviamo l’equazione cartesiana del piano π di equazione parametrica

P = A + tu + sv, t, s ∈ R,

dove A =

210

, u =

110

e v =

10−1

. Posto P =

xyz

, abbiamo:

xyz

=

210

+ t

110

+ s

10−1

, t, s ∈ R,

passando alle coordinate otteniamo

x = 2 + t + s,

y = 1 + t,

z = −s, t, s ∈ R.

Osserviamo che possiamo ricavare i parametri t e s rispettivamentedalla seconda e terza equazione:

t = y − 1 s = −z,

sostituendo queste espressioni nella prima equazione otteniamo:

x = 2 + (y − 1) + (−z),

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80 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

svolgendo abbiamo un’equazione lineare in x, y e z:

x − y + z = 1,

che e soddisfatta da tutti e soli i punti le cui coordinate sono assegnatedalle equazioni parametriche scritte sopra. Questa e l’equazione di π.

(2) Troviamo l’equazione cartesiana del piano π di equazione parametrica

P = A + tu + sv, t, s ∈ R,

dove A =

200

, u =

011

e v =

02−1

. Posto P =

xyz

, abbiamo:

xyz

=

200

+ t

011

+ s

02−1

, t, s ∈ R,

passando alle coordinate abbiamo:

x = 2,

y = t + 2s,

z = t − s, t, s ∈ R.

Osserviamo che la prima equazione nella rappresentazione parametricanon contiene i parametri t e s:

x − 2 = 0,

e un’equazione lineare soddisfatta da tutti i punti del piano π, e quindil’equazione del piano π.

Fissato nello spazio un riferimento cartesiano ortonormale R(O, ı, , k), ciproponiamo ora di rappresentare una retta nello spazio con equazioni cartesia-ne.Sia r una retta e siano π1 e π2 due piani distinti contenenti la retta r, la rettar risulta essere l’intersezione dei piani π1 e π2:

(1.20) r = π1 ∩ π2.

I punti della retta risultano essere i punti le cui coordinate sodisfano en-trambe le equazioni lineari dei piani, cioe soddisfano il sistema lineare datorispettivamente dalle equazioni di π1 e π2:

(1.21)

{

a1x + b1y + c1z = d1

a2x + b2y + c2z = d2.

Queste equazioni sono dette equazioni cartesiane della retta r.

Osservazione 1.25. Poiche esistono infiniti piani distinti contenenti laretta r, esistono infinite rappresentazioni distinte della retta r con equazionicartesiane.

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5. EQUAZIONI CARTESIANE DI RETTE E PIANI. 81

π1

π2

r

Figura 1.20. La retta r e l’intersezione dei piani π1 e π2 nonparalleli (i piani sono detti incidenti).

Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortonormale R(O, ı, , k), ab-biamo visto che esistono due modi per descrivere una retta nello spazio.• Attraverso le equazioni cartesiane: ovvero descrivendo la retta come il luogodei punti le cui coordinate sono le soluzioni di un sistema di due equazionilineari;• Attraverso un’equazione parametrica: ovvero descrivendo i punti della rettain funzione di un parametro reale.

Come nel caso del piano, a seconda del problema a cui si e interessati con-viene usare una o l’altra descrizione. Ad esempio, se vogliamo stabilire se duerette r e s sono parallele, e piu utile avere l’equazione parametrica, da cui leggofacilmente la direzione. E naturale quindi chiedersi:Domanda: Dato una retta r, come passare da una descrizione parametrica aduna cartesiana e viceversa?

Supponiamo di volere trovare una rappresentazione parametrica per la rettar di equazioni cartesiane

{

a1x + b1y + c1z = d1

a2x + b2y + c2z = d2,

poiche la retta e il luogo dei punti le cui coordinate sono le soluzioni del sistemadato, trattandosi di due equazioni lineari in 3 incognite, e chiaro che, in generale,se fissiamo una delle variabili arbitrariamente, possiamo ricavare le altre duevariabili, e in questo modo ottenere tutte le soluzioni. Vediamo alcuni esempi.

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82 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Esempio 1.26. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Troviamo una rappresentazione parametrica per la retta r di equazionicartesiane:

{

x − y + z = 0

2x + z = 1.

Poniamo z = t, sostituiamo nelle equazioni, spostando i terminicontenenti t a secondo membro:

{

x − y = −t

2x = 1 − t.

Abbiamo ora un sistema lineare di due equazioni nelle incognite x e y,risolviamo:

{

y = x + t = 12(1 − t) + t = 1

2(1 + t)

x = 12(1 − t),

otteniamo quindi la seguente rappresentazione parametrica di r:

x = 12(1 − t)

y = 12(1 + t)

z = t, t ∈ R.

Dalla rappresentazione trovata, osserviamo che un vettore direttore di

r e il vettore n =

−112

.

(2) Troviamo una rappresentazione parametrica per la retta r di equazionicartesiane:

{

x − z = 0

z + 1 = 0.

Osserviamo che la variabile y non compare nelle equazioni dellaretta, significa che tale coordinata puo assumere qualsiasi valore reale:poniamo quindi y = t. Il sistema dato e un sistema lineare di dueequazioni nelle incognite x e z, proviamo a risolverlo:

{

x = z = −1

z = −1,

otteniamo quindi la seguente rappresentazione parametrica di r:

x = −1,

y = t,

z = −1, t ∈ R.

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5. EQUAZIONI CARTESIANE DI RETTE E PIANI. 83

Dalla rappresentazione trovata, osserviamo che un vettore direttore di

r e il vettore n =

010

, quindi la retta r e parallela all’asse y.

Supponiamo ora di volere trovare le equazioni cartesiane della retta r, as-segnata attraverso equazioni parametriche. Cio significa che le coordinate deipunti della retta sono funzioni lineari di un parametro reale t: P = P (t). Leequazioni della retta si ottengono mettendo a sistema le equazioni cartesiane didue qualsiasi piani distinti contenenti la retta r. Un modo per ottenere questeequazioni e quello di procedere con l’eliminazione del parametro nelle equazioniparametriche, come e mostrato negli esempi seguenti.

Esempio 1.27. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Troviamo una rappresentazione cartesiana della retta r di equazioneparametrica

P = A + tv, t ∈ R,

dove A =

210

, e v =

12−1

. Posto P =

xyz

, abbiamo:

xyz

=

210

+ t

12−1

, t ∈ R,

passando alle coordinate abbiamo:

x = 2 + t,

y = 1 + 2t,

z = −t t ∈ R.

Ricaviamo il parametro t da ciascuna equazione:

t = x − 2,

t = 12(y − 1),

t = −z,

otteniamo quindi le seguenti uguaglianze soddisfatte da tutti e soli ipunti della retta r:

x − 2 =1

2(y − 1) = −z.

Osserviamo che queste uguaglianze definiscono le seguenti equazionilineari, soddisfatte dai punti della retta r:

x − 2 − 1

2(y − 1) = 0, x − 2 + z = 0,

1

2(y − 1) + z = 0,

che rappresentano piani contenenti la retta r. Per rappresentare laretta con equazioni cartesiane basta scegliere due tra queste equazioni,

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84 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

ad esempio:{

x + z = 2,

y + 2z = 1.

(2) Troviamo una rappresentazione cartesiana della retta r di equazioneparametrica

P = A + tv, t ∈ R,

dove A =

11−1

, e v =

1−10

. Posto P =

xyz

, abbiamo:

xyz

=

11−1

+ t

1−10

, t ∈ R,

passando alle coordinate abbiamo:

x = 1 + t,

y = 1 − t,

z = −1, t ∈ R.

Osserviamo che nella terza equazione non compare il parametro t, essae quindi un’equazione lineare

z + 1 = 0,

che e soddisfatta dai punti della retta r: quindi definisce un pianocontenente la retta. Ricaviamo ora il parametro t da ciascuna dellerimanenti equazioni:

{

t = x − 1,

t = 1 − y,

otteniamo quindi la seguente uguaglianza soddisfatte dai punti dellaretta r:

x − 1 = 1 − y.

Una rappresentazione della retta r con equazioni cartesiane e la se-guente:

{

x + y = 2,

z + 1 = 0.

6. Posizioni reciproche tra rette e piani.

Abbiamo visto come rappresentare le rette e i piani nello spazio, passiamoora a discutere le posizioni reciproche in cui si possono trovare.

Applicazione 1.28. Posizione reciproca di due pianiFissato nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano ortonor-male, consideriamo i seguenti piani:

π : ax + by + cz = d π′ : a′x + b′y + c′z = d′,

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6. POSIZIONI RECIPROCHE TRA RETTE E PIANI. 85

siano n, n′ ∈ E3O due vettori normali rispettivamente ai piani π e π′.

• I piani π e π′ sono paralleli se e solo se hanno la stessa retta normale per O,se e solo se i vettori n e n′ generano la stessa retta, cioe n′ ∈ Span(n). Ciosignifica che esiste un numero reale non nullo k take che

a′ = ka b′ = kb c′ = kc.

Se inoltre risulta d′ = kd, allora l’equazione di π′ e:

k(ax + by + cz) = kd,

e quindi rappresenta il piano π.• I piani π e π′ sono coincidenti se esiste k ∈ R, k 6= 0, tale che

a′ = ka b′ = kb c′ = kc d′ = kd.

• Se i piani π e π′ non sono paralleli, non sono coincidenti, allora la lorointersezione e una retta:

r = π ∩ π′.

π1

π2

π3

rr′

Figura 1.21. Esempi di posizione reciproca di due piani. Ipiani π1 e π2 sono paralleli; i piani π1 e π3 sono incidenti, e siintersecano secondo la retta r. Conseguentemente, anche π2 eπ3 sono incidenti, e retta la r′ = π2 ∩ π3 e parallela ad r.

Esempio 1.29. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k)cartesiano ortonormale.

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86 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

(1) Verifichiamo che i piani di equazione z = a, a ∈ R, sono tutti parallelial piano x, y.Osserviamo che il piano x, y e il piano Span(ı, ), ovvero il piano per

O perpendicolare al vettore k. Un vettore normale per il piano di

equazione z = a e il vettore n =

001

= k, per cui concludiamo che i

piani sono paralleli.(2) Scriviamo l’equazione cartesiana del piano π parallelo al piano α di

equazione 2x − y + 3z = 5 e passante per il punto A =

1−21

.

Poiche il piano π e parallelo ad α, possiamo prendere come vettore

normale al piano il vettore n =

2−13

. L’equazione di π risulta

quindi del tipo:2x − y + 3z = d,

con d ∈ R. Determiniamo ora per quale valore d il piano contiene ilpunto A, sostituendo le coordinate di A nell’equazione di π otteniamo

2(1) − (−2) + 3(1) = d,

da cui ricaviamo d = 7. L’equazione del piano e la seguente:

2x − y + 3z = 7.

Applicazione 1.30. Posizione reciproca di due rette.Ricordiamo che nel piano due rette distinte o sono parallele oppure si intersecanoin un solo punto. Questa proprieta non vale per due rette nello spazio. Fissia-mo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano ortonormale.Consideriamo due rette distinte r1 e r2 e siano v1, v2 ∈ E3

O rispettivamentevettori direttori di r1 e r2.• Le rette r1 e r2 sono parallele se e solo se hanno la stessa direzione, se e solose i loro vettori direttori generano la stessa retta, cioe v2 ∈ Span(v1).• Le rette r1 e r2 sono incidenti se e solo se si intersecano in un unico punto:

r1 ∩ r2 = {P}.• Le rette r1 e r2 sono sghembe se non sono parallele e non sono incidenti.• Le rette r1 e r2 sono complanari se e solo se esiste un piano π che le contiene.

Osservazione 1.31.- Consideriamo due piani paralleli, π1 e π2. Siano r1 e r4 due rette di

direzioni diverse contenute rispettivamente nei piani π1 e π2. Osserviamo che lerette r1 e r4 sono sghembe: infatti, non sono parallele, perche hanno direzionidiverse, e non sono incidenti perche i due piani sono paralleli, quindi non hannopunti di intersezione: π1 ∩ π2 = ∅.

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6. POSIZIONI RECIPROCHE TRA RETTE E PIANI. 87

π1

r1 r2r3P

Q

π2

r4

Figura 1.22. Esempi di posizione reciproche fra rette. I pia-ni π1 e π2 sono paralleli; r1, r2, r3 ∈ π1; r4 ∈ π2. Le rette r1

ed r2 non hanno punti in comune; sono parallele, essendo nellostesso piano. Le rette r1 ed r3 si intersecano in P : sono pertan-to incidenti; conseguentemente, r2 ed r3 sono incidenti ; la lorointersezione e il punto Q. Le rette r1 ed r4 non hanno puntiin comune e no esiste un piano le le contiene entrambe, sono,pertanto, sghembe.

- Due rette distinte r1 e r2 sono complanari se e solo se o sono parallele osono incidenti.

Esempio 1.32. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k)cartesiano ortonormale.

(1) Scriviamo una rappresentazione cartesiana per la retta r passante per

O parallela alla retta s di equazioni cartesiane

{

x + 2y = 0

x + z = 2.

Troviamo una rappresentazione parametrica per la retta s, poniamox = t e otteniamo:

{

2y = −t

z = 2 − t,

abbiamo quindi trovato una rappresentazione parametrica per la rettas:

x = t

y = 12 t

z = 2 − t, t ∈ R.

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88 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

La direzione della retta r e data dal vettore v =

21−2

, per cui la

retta r e la retta per O di direzione v, di equazione parametrica:

P = O + αv, α ∈ R,

da cui ricaviamo:

x = 2α

y = α

z = −2α, α ∈ R.

Per trovare due equazioni cartesiane per la retta r, ricaviamo il para-metro α dalla seconda equazione α = y e sostituiamo nelle rimanentiequazioni:

{

x − 2y = 0

z + 2y = 0.

(2) Siano r la retta per il punto A =

122

di direzione v = ı − + 2k e s

la retta di equazioni cartesiane:

{

x + y + z = 0

x − z = 1. Ci proponiamo di

stabilire la posizione reciproca delle rette r e s.Troviamo una rapresentazione parametrica per la retta s, poniamoz = t e otteniamo:

{

x + y = −t

x = 1 + t,

sostituendo nella prima equazione al posto di x l’espressione trovata,abbiamo:

{

y = −1 − 2t

x = 1 + t,

abbiamo quindi trovato una rappresentazione parametrica per la rettas:

x = 1 + t

y = −1 − 2t

z = t t ∈ R.

Ricaviamo immediatamente che la direzione di s e data dal vettore

w =

1−21

,

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6. POSIZIONI RECIPROCHE TRA RETTE E PIANI. 89

inoltre si ha: Span(w) = {

k−2kk

, k ∈ R}. Osserviamo che v ∈

Span(w) se e solo se esiste k 6= 0 tale che

k = 1

−2k = −1

k = 2.

Poiche il sistema non ha soluzioni, possiamo concludere che le due rettenon sono parallele.Per stabilire se sono incidenti, troviamo una rappresentazione carte-siana di r. La retta r ha equazione parametrica:

P = A + tv, t ∈ R,

posto P =

xyz

, abbiamo:

xyz

=

122

+ t

1−12

, t ∈ R,

passando alle coordinate abbiamo:

x = 1 + t,

y = 2 − t,

z = 2 + 2t, t ∈ R.

Per stabilire se siste un punto di intersezione tra le rette, vediamo seesiste un punto sulla retta r che verifica le equazioni di s. Sostituen-do le coordinate del punto P = P (t) nelle equazioni cartesiane di sotteniamo il sistema nell’incognita t:

{

(1 + t) + (2 − t) + (2 + 2t) = 0

(1 + t) − (2 + 2t) = 1,

semplificando ottieniamo{

2t + 5 = 0

t + 2 = 0,

che non ammette soluzioni. Le rette sono quindi sghembe.In alternativa, se la retta r e assegnata con equazioni cartesiane si puoprecedere nel seguente modo. Sia r la retta di equazioni:

{

x + y = 3

2x − z = 0,

le rette r e s sono incidenti se e solo se esiste un punto che verifica leequazioni di entrambe le rette. Cio equivale a richiedere che il seguente

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90 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

sistema lineare ammette una soluzione:

x + y + z = 0

x − z = 1

x + y = 3

2x − z = 0.

Facendo la differenza tra la seconda e la quarta equazione , facendo ladifferenza tra la prima equazione e la terza otteniamo:

z = −3

x = −1

x + y = 3

2x − z = 0.

Sostituendo nell’ultima equazione otteniamo 1 = 0, che e impossibile.Possiamo quindi concludere che le rette sono sghembe.

Applicazione 1.33. Posizione reciproca retta-piano.Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano orto-normale. Consideriamo una retta r ed un piano π, siano v ∈ E3

O un vettoredirettore di r ed n ∈ E3

O un vettore normale a π, infine sia {u1, u2} una coppiadi vettori linearmente indipendenti che danno la giacitura di π.

• La retta r ed il piano π sono incidenti se e solo se si intersecano in ununico punto:

r ∩ π = {P}.Cio avviene se solo se v 6∈ Span(u1, u2), se e solo se 〈v, n〉 6= 0.

• La retta r e perpendicolare al piano π se e solo se la direzione di rcoincide con la direzione normale al piano, cioe v ∈ Span(n).

• La retta r e il piano π sono paralleli se e solo v ∈ Span(u1, u2) er ∩ π = ∅. La prima condizione equivale a v ⊥ n, cioe 〈v, n〉 = 0.

• La retta r e contenuta nel piano π se e solo se v ∈ Span(u1, u2) er ∩ π 6= ∅.

Esempio 1.34. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k)cartesiano ortonormale.

(1) Consideriamo il piano π di equazione 2x − y + 2z = 1 e la retta rpassante per O di direzione v = ı− . Verifichiamo che la retta r ed ilpiano π sono incidenti, determiniamo infine il punto di intersezione.

Un vettore direttore di r e il vettore v =

−110

, un vettore normale

al piano e il vettore n =

2−12

. Calcoliamo il prodotto scalare

〈v, n〉 = −1(2) + 1(−1) + 0(2) = −3 6= 0,

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6. POSIZIONI RECIPROCHE TRA RETTE E PIANI. 91

π0 = span(u1, u2)

u1u2

π

wP

r 1v

r2 = span(v)

nr3

r4

O

Figura 1.23. Esempi di posizione reciproca fra rette e piani. Ilpiano π0 passante per l’origine e lo span dei vettori (u1, u2); ilpiano π e parallelo a questo, ma non passante per l’origine. Laretta r1 e incidente al piano π0: lo interseca nel solo punto P(conseguentmente, e anche incidente al piano π). La retta r2 =Span(v) e ortogonale ai due piani: il suo direttore e la normaleai piani n sono paralleli (ossia, Span(v) = Span(n)). La rettar3 e contenuta in π0, poiche il suo direttore w ∈ Span(u1, u2)ed ha almeno un punto in comune con il piano. La retta r4

(parallela ad r3) e parallela a π0: il suo direttore e ancora w ∈Span(u1, u2), ma non ha alcun punto in comune con il piano(essa e, infatti, contenuta in π).

per cui concludiamo che la retta ed il piano sono incidenti.In questo caso e piu utile rappresentare la retta r con equazione para-metrica:

P = O + tv, t ∈ R,

passando alle coordinate otteniamo:

x = −t

y = t

z = 0, t ∈ R.

Determinare il punto di intersezione di r e π equivale a cercare perquale valore di t il corrispondente punto della retta r appartiene alpiano π. Sostituiamo nell’equazione del piano π le rappresentazioniparametriche trovate in funzione di t:

2(−t) − (t) + 2(0) = 1,

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92 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

otteniamo un’equazione lineare in t:

−3t = 1,

da cui ricaviamo t = −13 . Il punto di intersezione e quindi il punto

della retta corrispondente al parametro t = −13 :

P =

13−1

30

.

In alternativa, si puo procedere nel seguente modo: determinare leequazioni cartesiane di r, risolvere il sistema lineare di 3 equazioni e 3incognite dato dalle equazioni di r e π.

(2) Determiniamo la retta r passante per il punto A =

−111

e ortogonale

al piano π di equazione 2x − y + 3z = 8.

Un vettore normale al piano e n =

2−13

. La retta r e la retta per

A di direzione n, percio ha equazione parametrica:

P = A + tn, t ∈ R.

Passando alle coordinate abbiamo:

x = −1 + 2t

y = 1 − t

z = 1 + 3t, t ∈ R.

Per trovare due equazioni cartesiane della retta r, ricaviamo il parame-tro t dalla seconda equazione t = 1 − y e sostituiamo nelle rimanenti:

{

x + 2y = 1

3y + z = 4.

(3) Determiniamo il piano α passante per il punto A =

−121

e ortogonale

alla retta s equazioni

{

x + y = 0

x − y + z = 1.

Innanzittutto troviamo una rappresentazione parametrica per la rettas, poniamo y = t e sostituiamo nelle due equazioni:

{

x = −t

z = y − x + 1 = t − (−t) + 1 = 2t + 1,

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7. FASCI DI PIANI. 93

da cui ricaviamo la rappresentazione seguente:

x = −t

y = t

z = 1 + 2t, t ∈ R.

Osserviamo che la direzione della retta s e data dal vettore

v =

−112

, quindi il piano α e il piano per A con direzione normale

v:

−1(x + 1) + 1(y − 2) + 2(z − 1) = 0,

cioe il piano di equazione cartesiana x − y − 2z = −5.

7. Fasci di piani.

Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano ortonor-male.

Definizione 1.15. L’insieme Fr dei piani contenenti una retta r e dettofascio proprio di piani di sostegno r (Figura 1.24); l’insieme Fn dei piani aventila stessa direzione normale n e detto fascio improprio di piani (Figura 1.25).

Proposizione 1.13. Sia Fr il fascio proprio con sostegno la retta r, i pianidel fascio sono tutti e soli quelli la cui equazione si puo scrivere

(1.22) λ(a1x + b1y + c1z + d1) + µ(a2x + b2y + c2z + d2) = 0 (λ, µ) 6= (0, 0),

dove a1x + b1y + c1z + d1 = 0 e a2x + b2y + c2z + d2 = 0 rappresentano duepiani distinti π1 e π2 appartenenti al fascio.

Osserviamo che ∀(λ, µ) 6= (0, 0), l’equazione scritta rappresenta un piano checontiene la retta r, poiche entrambe le due equazioni sono soddisfatte dai puntidella retta r. Mostriamo infine che ogni piano del fascio puo essere scritto inquesto modo. Sia α ∈ Fr, scegliamo un punto A ∈ α tale che A 6∈ r, osser-viamo che α e l’unico piano del fascio contenente A. Sostituiamo le coordinatedi A nell’equazione (1.22), poiche A 6∈ r, abbiamo un’equazione lineare nonidenticamente nulla:

λ(a1xA + b1yA + c1zA + d1) + µ(a2xA + b2yA + c2zA + d2) = 0.

Questa equazione ammette infinite soluzioni (λ, µ) = ρ(λ0, µ0), che danno infi-nite equazioni tutte proporzionali, quindi definscono un unico piano del fasciocontenente il punto A: il piano α.

Proposizione 1.14. Sia Fn il fascio improprio con direzione normale n, ipiani del fascio sono tutti e soli quelli la cui equazione si puo scrivere

(1.23) ax + by + cz + d = 0,

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94 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

r

Figura 1.24. Rappresentazione schematica di un fascio propriodi piani avente per sostegno la retta r; sono raffigurati alcuni deipiani del fascio, tutti contenenti la retta r.

dove n =

abc

, d ∈ R.

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7. FASCI DI PIANI. 95

π3

π2

n

π1

Figura 1.25. Rappresentazione schematica di un fascio impro-prio di piani, caratterizzati dalla medesima normale n; la rettar′ = Span(n) e ortogonale a tutti i piani del fascio.

Esempio 1.35. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) Consideriamo la retta r passante per A =

100

e di direzione v =

11−2

. Determiniamo il piano π contenente la retta r ed il punto

B =

122

.

Troviamo una rappresentazione parametrica per la retta r:

P = A + tv, t ∈ R,

passando alle coordinate abbiamo:

x = 1 + t

y = t

z = −2t, t ∈ R.

Sostituiamo t = y nella prima e terza equazione, otteniamo le equazionidi due piani contenenti la retta r:

x − y = 1 z + 2y = 0.

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96 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Consideriamo ora il fascio Fr di piani contenenti la retta r, un pianodel fascio ha equazione:

λ(x − y − 1) + µ(z + 2y) = 0, (λ, µ) 6= (0, 0).

Cerchiamo il piano del fascio che contiene il punto B, sostituiamo lecoordinate del punto B:

λ(1 − 2 − 1) + µ(2 + 4) = 0,

otteniamo l’equazione lineare omogenea:

−2λ + 6µ = 0,

che esplicitiamo nella seguente:

λ = 3µ,

le cui soluzioni sono:

(λ, µ) = ρ(3, 1).

Il piano π ha quindi equazione cartesiana:

3(x − y − 1) + 1(z + 2y) = 0,

cioe 3x − y + z = 3.(2) Determiniamo l’equazione del piano π contenente la retta s di equa-

zioni x − y = y − 2z = 0 e perpendicolare al piano α di equazionex − y + 3z = 7.Consideriamo il fascio Fs di piani contenenti la retta s, un piano delfascio ha equazione:

λ(x − y) + µ(y − 2z) = 0, (λ, µ) 6= (0, 0).

Cerchiamo il piano del fascio perpendicolare al piano α: osseviamo cheun piano π ∈ Fs e perpendicolare ad α se e solo se le loro direzioninormali sono perpendicolari. Indicati con nπ e nα rispettivamente duevettori normali ai piani π e α, risulta π ⊥ α se e solo se < nπ, nα >= 0.L’equazione di π e:

(λ)x + (µ − λ)y + (−2µ)z = 0,

da cui otteniamo nπ =

λµ − λ−2µ

, infine abbiamo nα =

1−13

. Cer-

chiamo ora per quali valori dei parametri (λ, µ) il prodotto scalare ezero:

< nπ, nα >= 1(λ) − 1(µ − λ) + 3(−2µ) = 0,

otteniamo l’equazione lineare omogenea:

2λ − 7µ = 0,

le cui soluzioni sono: (λ, µ) = ρ(7, 2). Il piano π ha quindi equazionecartesiana:

7(x − y) + 2(y − 2z) = 0,

cioe 7x − 5y − 4z = 0.

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8. DISTANZA PUNTO-RETTA, PUNTO-PIANO. 97

(3) Stabiliamo se le seguenti rette sono complanari:

r :

{

x + y = 0

z − 1 = 0s :

{

2x − z = 0

y + 1 = 0.

Le rette r e s sono complanari se e solo se esiste un piano che lecontiene. Consideriamo il fascio Fr di piani contenenti la retta r, unpiano del fascio ha equazione:

λ(x + y) + µ(z − 1) = 0, (λ, µ) 6= (0, 0).

Scegliamo due punti distinti sulla retta s, troviamo dapprima unarappresentazione parametrica per la retta s:

x = t

y = −1

z = 2t, t ∈ R.

Ponendo t = 0 e t = 1 otteniamo i punti corrispondenti su s:

A =

0−10

B =

1−12

.

Osserviamo che esiste un piano π ∈ Fr contenente la retta s se e solose esiste un piano π ∈ Fr passante per i punti A e B. Imponendo ilpassaggio per i punti A e B, otteniamo il seguente sistema:

{

λ(−1) + µ(−1) = 0

µ = 0

che amette l’unica soluzione: (λ, µ) = (0, 0), che non rappresenta alcunpiano del fascio. Possiamo concludere che non esiste un piano π delfascio contenente la retta s, quindi le rette r e s non sono complanari.

8. Distanza punto-retta, punto-piano.

Consideriamo un piano π ed un punto A. La distanza del punto A dal pianoπ e definita nel seguente modo:

d(A, π) = inf{|−→AP |, P ∈ π}.Si verifica che risulta:

d(A, π) = |−−→AH|,dove H e il piede della retta perpendicolare al piano π passante per A (Figu-ra 1.26).Osserviamo che d(A, π) = 0 se e solo se A ∈ π.

Consideriamo ora una retta r ed un punto A. La distanza del punto A dallaretta r e definita nel seguente modo:

d(A, r) = inf{|−→AP |, P ∈ r}.Si verifica che risulta:

d(A, r) = |−−→AH|,

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98 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

πH

A

r

d(A, π)

Figura 1.26. La distanza d(A, π) fra il punto A ed il piano πe la lunghezza del segmento aventi per estremi A ed il piede Hdella retta r passante per A e perpendicolare a π.

dove H e il punto di intersezione tra la retta r ed il piano π passante per Aperpendicolare alla retta r (Figura 1.27).

Ricordiamo che nella geometria analitica del piano, esiste una formula checonsente di calcolare la distanza di un punto da una retta, tale formula puoessere generalizzata anche alla geometria dello spazio per la distanza punto-piano.

Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano or-

tonormale, siano π il piano di equazione ax + by + cz + d = 0 e A =

xA

yA

zA

,

risulta:

d(A, π) =|axA + byA + czA + d|√

a2 + b2 + c2.

Verifichiamo la formula. Sia r la retta per A perpendicolare al piano π, rha la direzione del vettore n normale al piano, per cui r ha rappresentazioneparametrica:

x = xA + ta,

y = yA + tb,

z = zA + tc, t ∈ R.

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8. DISTANZA PUNTO-RETTA, PUNTO-PIANO. 99

π

H

A

r

d(A, r)

Figura 1.27. La distanza d(A, r) fra il punto A ed la retta re la lunghezza del segmento aventi per estremi A ed il puntoH di intersezione fra la retta r ed il piano π passante per A eperpendicolare a r.

Il punto H e il punto di intersezione di r e π, sostitendo nell’equazione di π lecoordinate di un punto generico di r, abbiamo:

a(xA + ta) + b(yA + tb) + c(zA + tc) + d = 0,

(a2 + b2 + c2)t + axA + byA + czA + d = 0,

otteniamo quindi un’equazione lineare in t, la cui soluzione e:

tH =−(axA + byA + czA + d)

(a2 + b2 + c2),

valore del parametro che corrisponde al punto H. Si ha quindi:

H =

xA + atHyA + btHzA + ctH

,

|−−→AH| =√

(xA − xH)2 + (yA − yH)2 + (zA − zH)2

= |tH |√

a2 + b2 + c2

=|axA + byA + czA + d|√

a2 + b2 + c2.

Per il calcolo della distanza punto-retta, non esiste una formula analoga checonsente di evitare il procedimento, si procede quindi ogni volta determinandoanaliticamente il punto H.

Esempio 1.36. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

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100 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

(1) Calcoliamo la distanza del punto A =

111

dal piano π di equazione:

x + y − z = 4.Applicando la formula si ha:

d(A, π) =|axA + byA + czA + d|√

a2 + b2 + c2=

|1 + 1 − 1 − 4|√1 + 1 + 1

=√

3.

(2) Calcoliamo la distanza del punto A =

211

dalla retta r di equazioni:

x − y = z = 0.La retta r ha equazioni parametriche:

x = t

y = t,

z = 0, t ∈ R.

La direzione di r e data dal vettore v =

110

. Consideriamo il piano

π passante per il punto A e perpendicolare alla retta r, l’equazione diπ e:

1(x − xA) + 1(y − yA) + 0(z − zA) = 0,

sostituendo le coordinate di A otteniamo

x + y = 3.

Il punto H e l’intersezione di r con il piano π, sostituendo nell’equa-zione di π le coordinate di un punto generico di r abbiamo:

t + t = 3,

risolvendo l’equazione otteniamo tH = 32 , valore dl parametro che

corrsiponde al punto H:

H =

32320

,

e quindi

d(A, r) = |−−→AH| =√

(xA − xH)2 + (yA − yH)2 + (zA − zH)2

=

1

4+

1

4+ 1 =

√6

2.

9. Superficie sferica.

Ricordiamo che nel piano una circonferenza di centro C e raggio R e il luogogeometrico dei punti del piano che hanno distanza uguale a R dal punto C: cioe

e l’insieme di tutti e soli i punti P del piano tali che |−−→PC| = R. Questo luogonello spazio e una nota superficie:

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9. SUPERFICIE SFERICA. 101

Definizione 1.16. Fissati un punto C nello spazio ed un numero realeR > 0, il luogo geometrico dei punti P la cui distanza dal punto C e R:

Σ = {P | d(P, C) = R },e detto superficie sferica o sfera di centro C e raggio R (figura 1.28).

Figura 1.28. Rappresentazione schematica di una sfera dicentro C e raggio R.

Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k) cartesiano or-

tonormale, siano C =

x0

y0

z0

e P =

xyz

, ponendo

d(P, C)2 = R2

otteniamo la seguente equazione

(1.24) (x − x0)2 + (y − y0)

2 + (z − z0)2 = R2,

equazione sodisfatta da tutti e soli i punti appartenenti alla sfera Σ di centroC e raggio R. Sviluppando i quadrati otteniamo:

x2 + y2 + z2 − 2x0x − 2y0y − 2z0z + (x20 + y2

0 + z20 − R2) = 0,

ponendo a = −2x0, b = −2y0, c = −2z0, infine d = (x20+y2

0 +z20−R2), possiamo

scrivere l’equazione della sfera nella forma seguente:

(1.25) x2 + y2 + z2 + ax + by + cz + d = 0,

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102 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

detta equazione cartesiana della sfera Σ.Ci chiediamo ora se una qualsiasi equazione di questo tipo rappresenta una

sfera: proviamo a vedere se e possibile determinare centro e raggio a partire daa, b, c, d. Innanzitutto completiamo i quadrati:

(x2 + ax +a2

4) + (y2 + by +

b2

4) + (z2 + cz +

c2

4) = (

a

2)2 + (

b

2)2 + (

c

2)2 − d,

equivalentemente:

(x +a

2)2 + (y +

b

2)2 + (z +

c

2)2 = (

a

2)2 + (

b

2)2 + (

c

2)2 − d.

Osserviamo che se questa equazione rappresenta una sfera necessariamnete ilsuo centro e il punto

C =

−a2

− b2

− c2

.

Ora l’equazione scritta e l’equazione di una sfera di centro C se e solo se ilnumero reale che compare a secondo membro e strettamante positivo:

(1.26)a2

4+

b2

4+

c2

4− d > 0.

Se questa condizione e soddisfatta poniamo

R =

a2

4+

b2

4+

c2

4− d,

ed otteniamo l’equazione della sfera di centro C e raggio R. Se la condizionenon e soddisfatta, l’equazione non ha soluzioni reali.

Esempio 1.37. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortonormale R(O, ı, , k).

(1) L’equazione della sfera avente come centro l’origine O e raggio R > 0e la seguente:

x2 + y2 + z2 = R2.

(2) L’equazione x2 + y2 + z2 − 2x + 4y + 6 = 0 rappresenta una sfera?Completiamo i quadrati:

(x − 1)2 + (y + 2)2 + z2 = 1 + 4 − 6 = −1,

osserviamo che il numero che compare a secondo membro e negati-vo, l’equazione non ha soluzioni reali e pertanto non rappresenta unasfera.

(3) Determiniamo centro e raggio della sfera Σ di equazione:

x2 + y2 + z2 + 2x − y + 3z = 1.

Completiamo i quadrati:

(x + 1)2 + (y − 1

2)2 + (z +

3

2)2 = 1 + 1 +

1

4+

9

4=

9

2,

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9. SUPERFICIE SFERICA. 103

da cui ricaviamo le coordinate del centro ed il raggio:

C =

−112−3

2

R =

9

2.

Ci proponiamo ora di studiare le posizioni reciproche retta-sfera e piano-sfera.

Date una sfera Σ ed una retta r, per determinare la loro posizione reciprocacerchiamo gli eventuali punti di intersezione. Fissiamo un sistema di riferimentocartesiano ortonormale R(O, ı, , k), rappresentiamo la retta r con equazioneparametrica

P = P0 + tv, t ∈ R,

dove P0 =

x0

y0

z0

e v =

lmn

, sia infine

x2 + y2 + z2 + ax + by + cz + d = 0

l’equazione di Σ. Sostituendo le coordinate di P nell’equazione della sfera Σotteniamo la seguente equazione di secondo grado nell’incognita t:

(l2 + m2 + n2)t2 + t((a + 2x0)l + (b + 2y0)m + (c + 2z0)n)

+ (x20 + y2

0 + z20 + ax0 + by0 + cz0 + d) = 0.

(1.27)

Dalla discussione dell’equazione trovata deduciamo che si possono verificare iseguenti casi (Figura 1.29):

(1) la retta r e esterna: l’equazione non ha soluzioni reali, la retta e lasfera non hanno punti comuni;

(2) la retta r e secante: la retta e la sfera si intersecano in due puntidistinti P1 e P2 corrispondenti alle due soluzioni reali distinte t1 6= t2dell’equazione;

(3) la retta r e tangente: la retta e la sfera si intersecano in due punticoincidenti P1 = P2, corrispondenti alle due soluzioni reali coincidentit1 = t2 dell’equazione.

Date una sfera Σ ed un piano π, per determinare la loro posizione reciprocaconfrontiamo il raggio R di Σ con la distanza del piano π dal centro C di Σ:d(C, π). Si hanno i seguenti casi (Figura 1.30):

(1) d(C, π) > R: allora per ogni punto P del piano si ha |−−→PC| ≥ d(C, π) >R, il piano e la sfera non hanno punti comuni, diciamo che il piano πe esterno;

(2) d(C, π) < R: il piano e la sfera si intersecano, la loro interezione e lacirconferenza γ del piano π avente centro nel punto C ′, intersezione diπ con la retta per C normale al piano π, e raggio R′ =

R2 − d(C, π)2,diciamo che il piano e secante;

(3) d(C, π) = R: il piano e la sfera si intersecano in un solo punto P , ilraggio per P risulta essere perpendicolare al piano π, diciamo che ilpiano e tangente alla sfera in P .

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104 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Figura 1.29. Rappresentazione schematica delle possibili posi-zioni reciproche fra una retta ed una sfera: retta secante (verde),retta tangente (rossa), retta esterna (blu).

Osserviamo che se d(C, π) = R, allora il piano π contiene il centro della sfera,quindi l’intersezione tra la sfera ed il piano π e la circonferenza γ del piano π dicentro C e raggio R, cioe il piano interseca la sfera in un circonfernza di raggiomassimo.Osserviamo che in ogni punto P della sfera Σ esiste un unico piano tangente πalla sfera in P : e il piano per P perpendicolare al raggio per P . Infine se unaretta r e tangente ad una sfera in un punto P , la retta e contenuta nel pianotangente alla sfera nel punto P .

Esempio 1.38. Fissiamo nello spazio un sistema di riferimento R(O, ı, , k)cartesiano ortonormale.

(1) Data la sfera Σ di equazione x2 + y2 + z2 − 4x + 2z = 0, verifichiamoche la retta r di equazioni x−y = z +2y = 0 e secante e determiniamoi punti di intersezione.

Troviamo innanzittutto una rappresentazione parametrica per laretta r:

x = t,

y = t,

z = −2t, t ∈ R.

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9. SUPERFICIE SFERICA. 105

Figura 1.30. Rappresentazione schematica delle possibili po-sizioni reciproche fra un piano ed una sfera: piano secante(giallo-verde), piano tangente (rosso), piano esterno (blu).

Sostituendo le coordinate di un punto P ∈ r nell’equazione della sferaΣ abbiamo la seguente equazione di secondo grado nell’incognita t:

6t2 − 8t = 0,

che ammette le soluzioni reali distinte: t1 = 0 e t2 = 43 . La retta r e

quindi secante, ai valori dei parametri trovati corrispondono due puntidistinti della retta r:

P1 =

000

P2 =

4343−8

3

.

(2) Data la sfera Σ di equazione x2+y2+z2+2x−2y−4z+1 = 0, scriviamo

l’equazione del piano tangente alla sfera nel punto A =

111

.

Per trovare il centro ed il raggio di Σ completiamo i quadrati:

(x + 1)2 + (y − 1)2 + (z − 2)2 = 1 + 1 + 4 − 1 = 5,

da cui ricaviamo

C =

−112

R =√

5.

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106 1. VETTORI APPLICATI E GEOMETRIA DELLO SPAZIO.

Verifichiamo che il punto A appartiene alla sfera, sostituendo le coor-dinate di A nell’equazione di Σ:

22 + 02 + (−1)2 = 5.

Il piano π tangente alla sfera in A e il piano per A perpendicolare alraggio per A. La direzione di tale raggio e data dal vettore:

−→AC =

xC − xA

yC − yA

zC − zA

=

−201

,

il piano π e quindi il piano per A con direzione normale−→AC:

−2(x − xA) + 0(y − yA) + 1(z − zA) = 0,

sostituendo le coordinate di A otteniamo l’equazione del piano tangen-te:

2x − z = 1.

(3) Data la sfera Σ di equazione x2+y2+z2−2x+4y+2z = 0, verifichiamoche il piano π di equazione x − y = 0 e secante, determiniamo centroe raggio della circonferenza γ intersezione di Σ e π.Per trovare il centro ed il raggio di Σ completiamo i quadrati:

(x − 1)2 + (y + 2)2 + (z + 1)2 = 1 + 4 + 1 = 6,

da cui ricaviamo

C =

1−2−1

R =√

6.

Calcoliamo la distanza del piano π dal centro C:

d(C, π) =|xC − yC |√

12 + 12=

3√2.

Osserviamo che risulta d(C, π) < R, per cui il piano e secante, cioetaglia sulla sfera una circonferenza γ. Il centro di γ e il punto C ′ che eintersezione di π con la retta r passante per C perpendicolare al pianoπ. La retta r ha equazioni parametriche:

x = 1 + t,

y = −2 − t,

z = −1, t ∈ R.

Per determinare il punto C ′ sostituiamo le coordinate di un punto dir nell’equazione di π, otteniamo l’equazione di primo grado in t

2t + 3 = 0,

la cui soluzione e t = −32 , che corrisponde al punto C ′ =

−12

−12

−1

.

Il raggio della circonferenza γ si ottiene appplicando il teorema di

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9. SUPERFICIE SFERICA. 107

Pitagora al triangolo rettangolo C, C ′, P , dove P e un punto di γ:

r =√

R2 − d(C, π)2 =

6 − 9

2=

3

2.

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CAPITOLO 2

Spazi vettoriali

Nel capitolo precedente (1) abbiamo visto come, dette x, y, z le coordinatedei punti nello spazio rispetto ad un sistema cartesiano ortogonale, l’insiemedelle soluzioni di un’equazione lineare in tre variabili della forma

ax + by + cz = d

rappresenta geometricamente un piano (una volta che sia stato fissato un siste-ma di riferimento ortogonale). Di conseguenza lo studio di rette e piani nellospazio risulta essere equivalente allo studio di sistemi lineari in tre incognite.

Spesso nella pratica si ha a che fare con problemi in cui il numero delleincognite e maggiore di 3.

In generale le grandezze incognite x1, x2, . . . , xn sono legate da una serie direlazioni esprimibili matematicamente attraverso equazioni. Trovare una solu-zione del problema vuol dire attribuire un valore numerico a ciascuna incognitain modo che tutte le equazioni siano soddisfatte. La complessita del problemae legata a due fattori

(1) La complessita di ciascuna equazione.Ad esempio trovare soluzioni dell’equazione

(2.1) (ex1 − x2) + sin(x21

x1x22 + x6

1 + 1) = 35

e sicuramente piu complicato che trovare soluzioni dell’equazione

(2.2) 3x1 + 2x2 = 7 .

Tra le equazioni possibili, le piu semplici sono quelle lineari, ovveroquelle della forma

a1x1 + a2x2 + . . . + anxn = b

dove a1, . . . , an sono i coefficienti dell’equazione (e dunque sono numeriassegnati).

Ad esempio l’equazione (2.2) e lineare mentre l’equazione (2.1) nonlo e.

(2) Il secondo fattore da cui dipende la complessita del problema e il nu-mero di incognite. Infatti mentre il sistema lineare di due equazioni indue incognite

{

3x1 + 2x2 = 35x1 + 7x2 = −16

109

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110 2. SPAZI VETTORIALI

puo essere risolto in modo elementare, il sistema di 9 equazioni in 9incognite

(2.3)

8x1 + 32x2 + 4x4 + 7x5 + 22x6 − 12x7 − 18x9 = 0−12x1 + 3x2 + 53x4 + 3x5 + 71x6 − 2x7 − 9x9 = −1−10x1 + 2x3 + 25x4 − 7x6 + 2x7 − 12x8 − 11x9 = 37x1 + 9x2 + 5x3 + 18x5 + 14x6 − x7 − 21x9 = 2716x1 + 17x3 + 7x4 + 76x5 + 67x7 + 11x7 − x9 = 1223x1 + 15x2 + 18x4 + 64x5 + 2x6 + 15x7 + 5x9 = 431x1 + 23x3 + 3x5 + 4x6 + 16x6 − x7 − 23x9 = 5−58x1 + 33x2 + 6x3 + 21x4 + 41x5 − 13x7 − 8x9 = 617x1 + 57x3 + 18x4 + 62x5 + 37x6 − 27x7 − 4x9 = 8

rappresenta da un punto di vista teorico e computazionale un problemadi non immediata soluzione.

In questo corso affronteremo problemi in cui il numero delle incognite puoessere arbitrariamente grande, ma le equazioni che legano le varie incognite sonole piu semplici possibili, ovvero sono lineari. In altre parole l’argomento centraledel corso sara lo studio dei sistemi di equazioni lineari in molte incognite.

Questo tipo di sistemi ricorre nella risoluzione di molti problemi, in cam-pi differenti quali, ad esempio, in statica, la determinazione delle incognitevincolari di un sistema di corpi rigidi. Si consideri il seguente

Esempio 2.1. La struttura rigida piana in Figura 2.1 e composta da 3 asterettilinee omogenee: OB, verticale, di lunghezza

√3ℓ e peso vincolata a terra

da una cerniera in O; AB, di lunghezza 2ℓ e peso incernierata alla prima in B,e vincolata da un carrello a terra in A, alla stessa quota di O, a distanza ℓ daquesto punto; CO′, orizzontale, di lunghezza ℓ/2 e peso incernierata a terra inO′ ed all’asta AB nel suo punto medio. In B e applicata una forza Trovare leincognite vincolari.

f

ex

ey

g

O

A

B

p1

OΦOx

ΦOy

ϕBx

ϕBy

Bf

p2

−ϕBx

−ϕBy

ΦAx

ΦAy

A

Figura 2.1. Esempio di struttura statica di cui si voglionodeterminare le incognite vincolari.

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2. SPAZI VETTORIALI 111

Per risolvere il sistema si possono considerare separatamente le tre aste,applicando a ciscuna di esse le corrette forze interne ed esterne, ivi comprese leincognite vincolari; queste risultano (vedi Figura 2.1):

(2.4)

ΦOx = ΦOxex = x1ex

ΦOy = ΦOyey = x2ey

ϕBx = ϕBxex = x3ex

ϕBy = ϕByey = x4ey

ΦAx = ΦAxey = x5ey

ΦAy = ΦAyey = x6ey .

Le equazioni risolutive si ottengono imponendo l’equilibrio delle forze lungo ledirezioni ex ed ey per ogni asta (prima equazione cardinale della statica), e deimomenti calcolati rispetto ai punti O per la prima e rispetto a B per la secondaasta (seconda equazione cardinale della statica).

(2.5)

ΦOx + ϕBx = 0ΦOy + ϕBy − p1 = 0

ϕBy

√3 ℓ = 0

ΦAx − ϕBx + f = 0ΦAy − ϕBy − p2 = 0

ΦAyℓ + ΦAx

√3 ℓ − p2

ℓ2 = 0

Usando le incognite x1 . . . x6 introdotte nelle (2.4) e semplificando, il sistemarisolutivo (2.5) si riduce a:

(2.6)

x1 + x3 = 0x2 + x4 = p1

x4 = 0x5 − x3 = −fx6 − x4 = p2

x6 +√

3x5 = p2

2

che e un sistema del tipo (2.3) discusso sopra. Sembra quindi utile possedereun metodo per risolvere tali sistemi.

Volendo trattare il problema per un qualsiasi numero di incognite sara ne-cessario sviluppare una teoria che sia il piu possibile slegata da tale numero (edunque applicabile a qualsiasi sistema lineare). Questa e la finalita che ci portaa considerare gli spazi vettoriali astratti (che verranno introdotti in questo ca-pitolo). In maniera approsimativa potremmo affermare che ogni soluzione di unsistema di equazioni lineari con n incognite rappresenta un punto in un certospazio vettoriale (ad esempio nel caso di 3 incognite, la soluzione come abbiamovisto rappresenta un punto dello spazio E3

O). Sviluppando una teoria che valgaper tutti gli spazi vettoriali saremo alla fine in grado di trattare sistemi con unnumero arbitrario di incognite.

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112 2. SPAZI VETTORIALI

1. La nozione di spazio vettoriale

1.1. Gli spazi Rn.Fissato un numero intero positivo n, una n-upla ordinata e un insieme

ordinato di n-numeri.Per denotare una n-upla ordinata utilizzeremo la seguente notazione

x =

x1...

xn

dove xi sono i numeri che compongono e vengono chiamati le componenti

della n-upla. Ad esempio v =

234713

e una terna ordinata, mentre w =

2161718

e una quaterna ordinata. La seconda componente di v e v2 = 47 mentre laterza componente di w e w3 = 17.

Osservazione 2.2. Considerare n-uple ordinate significa che due n-uplesono considerate uguali se e soltanto se la prima componente della prima coin-cide con la prima componente della seconda, la seconda componente della primacoincide con la seconda componente della seconda e cosı via.

Ad esempio le terne

234713

134723

verranno considerate diverse.

Definizione 2.1. Fissato un numero intero positivo n, lo spazio Rn el’insieme di tutte le n-uple ordinate di numeri reali.

Ad esempio

313−6598

appartiene a R4 mentre

−1172386

appartiene a R3 e

12−39876001

−35

appartiene a R8.

Abbiamo visto che fissata una base ortonormale B ={

ı, , k}

dello spazio

E3O e possibile associare ad ogni vettore una terna di numeri che rappresentano

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1. LA NOZIONE DI SPAZIO VETTORIALE 113

le coordinate del vettore rispetto alla base. Cosı ad esempio alla terna

11−37

corrisponde il vettore v = 11ı − 3 + 7k e cosı via.Abbiamo gia osservato nello scorso capitolo (1.5) che se le coordinate del vet-

tore v sono

x1

x2

x3

e le coordinate del vettore w sono

y1

y2

y3

allora le coordinate

del vettore v + w sono

x1 + y1

x2 + y2

x3 + y3

mentre le coordinate del vettore λv sono

λx1

λx2

λx3

Tutto cio suggerisce che si possa introdurre un’operazione di somma e dimoltiplicazione per scalare sull’insieme Rn.

Definizione 2.2. In particolare la somma sara definita nel seguente modo.

Dato v =

v1

v2...

vn

e w =

w1

w2...

wn

il vettore v + w e una n-upla ordinata la cui

prima componente e la somma delle prime componenti di v e w, la cui secondacomponente e la somma delle seconde componenti di v e w e cosı via. In simboli

v + w =

v1 + w1

v2 + w2...

vn + wn

Analogamente se λ e uno scalare il vettore λv si otterra moltiplicando tutte lecomponenti di v per il fattore λ. In simboli

λv =

λv1

λv2...

λvn

Per analogia con il caso dei vettori applicati, gli elementi di Rn sono dettivettori numerici. In altre parole, un vettore numerico e una n-upla ordinatadi numeri.

Esempio 2.3. Vediamo quale esempio di queste operazioni con vettori nu-merici:

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114 2. SPAZI VETTORIALI

(1)

4−3910

+

9072

=

13−31612

(2) 3

239

=

6927

(3) 13

6212

=

2234

(4) 5

2−16−3

+ 23

−1023

=

10 − 23

−530 + 4

3−15 + 2

=

283−5943

−13

Osservazione 2.4. Non si puo sommare un elemento di R3 con un elementodi R4 o R5. In generale si possono sommare solo n-uple che contengono lo stessonumero di componenti.

Osserviamo che la somma di vettori numerici gode dell e seguenti proprieta:

(S1) Proprieta commutativa Infatti si ha

v + w =

v1 + w1...

vn + wn

w + v =

w1 + v1...

wn + vn

e poiche vale che v1 +w1 = w1 +v1, v2 +w2 = w2 +v2, . . ., si ricava chetutte le componenti di v+w sono uguali alle corrispettive componentidi w + v e dunque v + w = w + v.

(S2) Analogamente si puo mostrare che la somma gode della proprietaassociativa: (v + w) + u = v + (w + u).

(S3) Il vettore nullo di Rn e la n-upla le cui entrate sono tutte nulle

0n =

00...0

Si noti che 0n e l’elemento neutro della somma ovvero per ogniv ∈ Rn si ha

v + 0n = v .

Osservazione 2.5. L’indice n nella notazione 0n sta a significareil numero di componenti da cui e formato il vettore. Cosı ad esempiosi ha

02 =

(

00

)

03 =

000

04 =

0000

. . .

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2. SPAZI VETTORIALI ASTRATTI 115

Si noti che 02 ∈ R2, 03 ∈ R3 e in generale 0n ∈ Rn.Nel seguito laddove non ci sia ambiguita ometteremo l’indice n

indicando semplicemente con 0 il vettore nullo di Rn.

(S4) Infine che per ogni vettore v =

v1...

vn

∈ Rn l’opposto di v e il

vettore (−1) · v =

−v1...

−vn

, che denoteremo semplicemente con −v.

Chiaramente si ha

v + (−v) =

v1...

vn

+

−v1...

−vn

=

v1 − v1...

vn − vn

= 0n

ovvero −v e l’inverso di v per la somma.

Enunciamo ora le principali proprieta algebriche della moltiplicazione perscalare,

(P1) α(βv) = (αβ)v, ∀α, β ∈ R, ∀v ∈ Rn;(P2) α(v + w) = αv + αw, ∀α ∈ R, ∀v, w ∈ Rn

(proprieta distributiva rispetto alla somma di vettori).(P3) (α + β)v = αv + βv, ∀α, β ∈ R, ∀v ∈ Rn

(proprieta distributiva rispetto alla somma di scalari).(P4) 1 · v = v, ∀v ∈ Rn.

Verifichiamo la seconda di queste proprieta lasciando allo studente il com-pito di verificare le altre.

Osserviamo che

α(v + w) =

α(v1 + w1)...

α(vn + wn)

mentre

αv + αw =

αv1...

αvn

+

αw1...

αwn

=

αv1 + αw1...

αvn + αwn

e confrontando queste espressioni, risulta che ciascuna componente di α(v +w)e uguale alla corrispondente componente di αv+αw, da cui segue l’uguaglianzacercata.

2. Spazi vettoriali astratti

Le considerazioni appena svolte ci portano a identificare in modo astratto egenerale le strutture che si comportano come abbiamo appena visto per lo spazioRn con le operazioni di addizione e moltiplicazione per uno scalare definite in(2.2).

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116 2. SPAZI VETTORIALI

Definizione 2.3. Uno spazio vettoriale reale e un insieme V su cui sianodefinite due operazioni

(1) la somma che ad ogni coppia di elementi v, w di V associa un terzoelemento denotato con v + w.

(2) la moltiplicazione per scalare che ad ogni elemento v ∈ V e adogni scalare λ ∈ R associa un elemento in V denotato con λv.

in modo tale che le seguenti proprieta siano soddisfatte:

(S1) v + w = w + v [proprieta commutativa];(S2) (v + w) + u = v + (w + u) [proprieta associativa della somma];(S3) Esiste un elemento 0V tale che v + 0V = v per ogni v ∈ V [esistenza

dell’elemento neutro];(S4) Dato v ∈ V esiste un elemento in V denotato con −v tale che v +

(−v) = 0V [esistenza dell’opposto];(P1) α(βv) = (αβ)v;(P2) α(v + w) = αv + αw [proprieta distributiva della moltiplicazione

rispetto alla somma di vettori];(P3) (α+β)v = αv+βv [proprieta distributiva della moltiplicazione rispetto

alla somma di scalari];(P4) 1 · v = v per ogni v ∈ V .

Gli elementi di uno spazio vettoriale V sono detti vettori. Normalmenteindicheremo i vettori di uno spazio vettoriale in grassetto per distinguerli dallegrandezze scalari.

L’elemento 0V e detto vettore nullo. A volte, laddove non ci sia ambiguita,denoteremo il vettore nullo semplicemente con il simbolo 0.

Osservazione 2.6. Le proprieta (S1) − (S4) si riassumono dicendo cheV e un gruppo rispetto all’operazione di addizione fra vettori (Sezione 3 delCapitolo introduttivo 0).

In base a questa definizione, ci rendiamo conto che finora abbiamo incon-trato vari esempi di spazi vettoriali:

(1) lo spazio E3O dei vettori geometrici applicati nel punto O;

(2) gli spazi Rn al variare di n.

In effetti esistono molti altri esempi di spazi vettoriali. Riportiamo unesempio.

Esempio 2.7. Lo spazio dei polinomi R[x]. Ricordiamo che un polinomionella variabile x e una funzione della variabile x della forma

p(x) = a0 + a1x + a2x2 + . . . + anxn .

L’insieme di tutti i polinomi nella variabile x e denotato con R[x]. Dati duepolinomi p, q e chiaramente definita una somma di questi polinomi p + q sem-plicemente ponendo

(p + q)(x) = p(x) + q(x)

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2. SPAZI VETTORIALI ASTRATTI 117

e risulta che p + q e ancora un polinomio. Ad esempio se p(x) = 3 + 2x2 − 5x3

e q(x) = 2 − x + x2 allora

(p + q)(x) = p(x) + q(x) =3 + 2x2 − 5x3 + 2 − x + x2 =

= 5 − x + 3x2 − 5x3 .

Analogamente dato un polinomio p e un numero λ e definito il prodotto λpponendo

(λp)(x) = λp(x)

Ad esempio se p(x) = 7−13x+8x2+12x4 allora il polinomio 3p e semplicemente

3p(x) = 21 − 39x + 24x2 + 36x4 .

E facile verificare che le operazioni cosı definite soddisfano le proprieta (S1),(S2), (S3), (S4), (P1), (P2), (P3), (P4).

In particolare notiamo che l’elemento neutro e il polinomio nullo (ovveroil polinomio costantemente uguale a 0), ed il polinomio opposto di p(x) perl’operazione di somma tra polinomi e il polinomio −p(x) (ossia, un polinomiocon tutti i coefficienti ordinatamente opposti a quelli di p(x)). Dunque R[x] euno spazio vettoriale.

Vogliamo ora elencare alcune proprieta che sono conseguenza delle proprieta(S1), (S2), (S3), (S4), (P1), (P2), (P3), (P4) e che quindi sono vere per tutti glispazi vettoriali.

Anche se non riportiamo la dimostrazione completa, invitiamo lo studentea verificarle nel caso in cui lo spazio vettoriale sia Rn.

Proposizione 2.1. Sia V uno spazio vettoriale allora

(1) α0V = 0V .(2) 0 · v = 0V .(3) (−1) · v = −v.(4) se v + u = v + u′ allora u = u′. [regola di cancellazione](5) se αv = 0V allora o α = 0 oppure v = 0V .

Dimostrazione. Convinciamoci, per esempio, della (2); per ogni v ∈ V ,si ha

v + 0 · v = 1v + 0 · v = (1 + 0) · v = 1v = v ,

quindi 0 · v = 0V . �

Osservazione 2.8. La proprieta (5) implica la seguente proprieta, spessoutile nella pratica: se v ∈ V e un vettore non nullo e α, β ∈ R sono due numeritali che

αv = βv

allora necessariamente si deve avere α = β.Infatti se αv = βv, si ha che αv − βv = 0V e dunque (α − β)v = 0V e per

la proprieta (5) deduciamo che α − β = 0 ovvero α = β.

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118 2. SPAZI VETTORIALI

3. Sottospazi vettoriali

3.1. Piani e rette in E3O.

Sia r una retta passante per l’origine nello spazio. La retta r e l’insiemedi tutti i vettori applicati in O con punto finale su r, quindi paralleli ad r; comevisto nel Capitolo 1 (Proposizione 1.7), questa e indentificata con l’insiemeSpan(u), dove u e un qualsiasi vettore che ha la direzione di r.

Osserviamo che se v e w sono vettori applicati in O e paralleli a r, alloralo e anche v + w. Dunque la retta r gode della seguente proprieta:

(SS1) Comunque si fissino v, w ∈ r si ha che v + w ∈ r.Inoltre osserviamo che se v e un vettore applicato in O e parallelo ad r,

allora lo e anche un qualsiasi suo multiplo:(SS2) Comunque sia fissato v ∈ r si ha che λv ∈ r per ogni λ ∈ R.

Osservazione 2.9. Il fatto che la retta r passi per l’origine e un’ipotesiessenziale affinche tali proprieta siano verificate.

In effetti, consideriamo r′ ‖ r; se r′ non passa per l’origine, essa corrisponde

al traslato di r (ossia di Span(u)), mediante un vettore−−→OP0 non parallelo ad

r′, ossia l’insieme dei vettori applicati in O con punto finale su r′.In questo caso i vettori che congiungono O a r non sono paralleli tra loro.

Inoltre, dato un vettore−→OA ∈ r′ e facile verificare che il vettore 2

−→OA, per

esempio, non appartiene a r′ (Figura 2.2).

Consideriamo ora un piano π passante per O. Anche in questo caso pos-siamo identificare π con l’insieme dei vettori applicati in O con punto finale suπ; come visto nel Capitolo 1 (Proposizione 1.7), π si identifica con Span(u, v),con u, v linearemente indipendenti e appartenenti a π.

Utilizzando questa identificazione, i vettori in π sono esattamente tutti ivettori applicati in O paralleli a π, ossia nel piano stesso. Ora, dati due vettori−→OA,

−−→OB paralleli al piano π, si ha che i punti O, A, B appartengono a π e

dunque il parallelogramma P individuato dai vettori−→OA,

−−→OB e contenuto in

π. Segue che anche il quarto vertice Q di P appartiene al piano π. Cio mostra

che−→OA +

−−→OB appartiene al piano. Dunque π soddisfa la proprieta (SS1).

Analogamente se−→OA e contenuto sul piano, allora lo saranno tutti i suoi

multipli. Dunque π soddisfa anche la proprieta (SS2).

Osservazione 2.10. Ancora una volta il fatto che l’origine sia contenutain π e un’ipotesi essenziale!

Osserviamo che un qualsiasi sottoinsieme S dello spazio, per esempio unasfera di centro O e raggio 1, puo essere identificato all’insieme dei vettori ap-plicati in O con punto finale su S. Ci si puo chiedere per quali sottoinsiemi leproprieta (SS1) e (SS2) sono verificate.

Per rette e piani abbiamo gia risposto: tali proprieta sono verificate se esolo se contengono l’origine.

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 119

O

A

r′ r

u−→OA

2−→OA

Figura 2.2. Se la retta r′ non passa per l’origine, i vettori cheindividuano i suoi punti non sono paralleli fra loro, quindi, ad

esempio, se−→OA ∈ r′, si ha che 2

−→OA /∈ r′

Ci sono altri due casi in cui e banale verificare che tali proprieta sianosoddisfatte. Il caso S = E3

O (ovvero tutto lo spazio) e il caso in cui S contengasolo il vettore nullo.

In effetti piu avanti dimostreremo che questi sono gli unici casi possibili:

Proposizione 2.2. I sottoinsiemi di E3O che soddisfano (SS1) e (SS2) sono

soltanto le rette e i piani passanti per l’origine, E3O e

{−−→OO}

.

3.2. Nozione di sottospazio.Dalla Proposizione 2.2 segue che rette e piani sono caratterizzati dal fatto

di soddisfare le proprieta (SS1) e (SS2). Osserviamo che quest’ultime sonoessenzialmente proprieta di tipo algebrico, nel senso che dipendono solo dalleoperazioni di somma e moltiplicazione per scalare. In particolare esse hannosenso in qualsiasi spazio vettoriale.

Cio rende possibile allargare la nozione di retta e piano passante per l’originead un qualsiasi spazio vettoriale.

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120 2. SPAZI VETTORIALI

Piu precisamente, consideriamo uno spazio vettoriale reale V .

Definizione 2.4. Un sottoinsieme W di V e un sottospazio vettorialedi V se W e non vuoto e verifica (SS1) e (SS2) ovvero gode delle seguentiproprieta:

(1) per ogni v, w ∈ W si ha che v + w ∈ W ;(2) per ogni v ∈ W e per ogni λ ∈ R si ha che λv ∈ W .

ossia, come si usa dire sinteticamente, se W e chiuso rispetto all’operazioneinterna di somma e rispetto all’operazione esterna di moltiplicazione per unoscalare.

Osservazione 2.11. Risultano immediatamente le osservazioni riportatenei seguenti.

(1) Con questo linguaggio possiamo riformulare la Proposizione 2.2 inquesto modo:

I sottospazi vettoriali di E3O sono

• Le rette per l’origine.• I piani per l’origine.• E3

O.

•{−−→

OO}

(2) Tutti i sottospazi di E3O contengono l’origine. Questo e un fatto gene-

rale: se W e un sottospazio di V allora contiene 0V .Infatti fissato un qualsiasi elemento v ∈ W si ha che 0 · v ∈ W .

Del resto 0 · v = 0V e dunque abbiamo che 0V ∈ W .(3) Ogni spazio vettoriale V contiene sempre almeno due sottospazi che

sono- V stesso;-{0V }.Tali sottospazi sono detti banali.

(4) Se W e un sottospazio di V allora abbiamo che dati v, w ∈ W e λ ∈ R

v + w ∈ Wλv ∈ W

Cio implica che le operazioni di somma e moltiplicazione per scalaredefinite su V si restringono ad operazioni su W . Rispetto a tali ope-razioni W e esso stesso uno spazio vettoriale. Chiaramente in tal caso0W coincide con 0V .

3.3. Esempi.

(1) In R3 consideriamo l’insieme W =

x1

x2

x3

∈ R3 |x1 = 0

.

Verifichiamo che W e un sottospazio.

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 121

I vettori di W sono vettori la cui prima componente e 0. Ad

esempio

012

appartiene a W , mentre

120

non vi appartiene.

Per prima cosa verifico che 0 ∈ W : questo e chiaro infatti la primacomponente del vettore nullo e 0. Cosı facendo, non solo posso affer-mare che l’insieme non e vuoto, ma anche che la condizione necessaria(punto 2 dell’osservazione 2.11)

Poi devo verificare che presi due vettori v =

v1

v2

v3

e w =

w1

w2

w3

appartenenti a W , la somma v + w ∈ W . Ovvero devo verificare chela prima componente di v + w sia zero.

A titolo di esempio, proviamo a fare la verifica per due specificivettori in W

v =

01−1

, w =

010−3

.

In questo caso

v + w =

011−4

che e ancora un vettore in W .Proviamo ora a fare la verifica per vettori generici v, w di W .La prima componente di v+w e uguale a v1+w1. Del resto poiche

per ipotesi v ∈ W si ha che v1 = 0 e poiche w ∈ W abbiamo anchew1 = 0. Dunque v1 + w1 = 0 + 0 = 0.

Infine devo verificare che fissato v =

v1

v2

v3

∈ W e λ ∈ R si ha che

λv ∈ W , ovvero la prima componente di λv deve essere uguale a 0.

Del resto si ha che λv =

λv1

λv2

λv3

e dunque la prima componente di

λv = λv1. Poiche v ∈ W si ha che v1 = 0 e dunque λv1 = 0.

(2) In R3 consideriamo il sottoinsieme W =

x1

x2

x3

|x1 = 1

. W non e

un sottospazio vettoriale. Infatti 0 /∈ W .(3) In R4 consideriamo il sottoinsieme

W =

x1

x2

x3

x4

|x1 + x2 + x3 + x4 = 0

.

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122 2. SPAZI VETTORIALI

Un vettore appartiene a W se la somma delle sue componenti si annul-

la. Per esempio

2−1−10

appartiene a W mentre

2111

non appartiene

a W .Verifichiamo che W e un sottospazio vettoriale di R4.0 ∈ W : infatti la somma delle componenti di 0 si annulla.

Dati v =

v1

v2

v3

v4

e w =

w1

w2

w3

w4

appartenenti a W devo verificare

che v + w ∈ W .

Ora v + w =

v1 + w1

v2 + w2

v3 + w3

v4 + w4

e dunque devo calcolare

(v1 + w1) + (v2 + w2) + (v3 + w3) + (v4 + w4)

= (v1 + v2 + v3 + v4) + (w1 + w2 + w3 + w4)

Per ipotesi v ∈ W e dunque v1 + v2 + v3 + v4 = 0.Analogamente poiche w ∈ W si ha w1+w2+w3+w4 = 0 e dunque

(v1 + w1) + (v2 + w2) + (v3 + w3) + (v4 + w4)

= (v1 + v2 + v3 + v4) + (w1 + w2 + w3 + w4) = 0

Analogamente si verifica che v ∈ W allora λv ∈ W per ogni λ ∈ R.

(4) In R3 consideriamo l’insieme W =

x1

x2

x3

| |x1| = |x2|

.

In questo caso un vettore appartiene a W se il valore assoluto dellaprima componente e uguale al valore assoluto della seconda. Vettori

di W sono v =

44

100

e w =

4−420

.

Si noti pero che v + w =

80

120

/∈ W . Dunque W non e un

sottospazio di R3.

Osservazione 2.12. Si noti che nell’ultimo esempio il vettore 0 appartienea W , nonostante cio W non e un sottospazio. Dunque per verificare che un datoun sottoinsieme U di uno spazio vettoriale V sia un sottospazio, NON e suffi-ciente verificare che 0 ci appartenga. Cio significa che se 0 non appartiene adU possiamo dedurre che U non e un sottospazio, ma se 0 ∈ U non possiamo de-durre niente. Piu formalmente, diciamo sinteticamente che 0 ∈ W e condizionenecessaria perche W sia un sottospazio vettoriale (ma non sufficiente).

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 123

Osservazione 2.13. Un’equazione lineare omogenea in n incognite eun’equazione della forma

a1x1 + . . . + anxn = 0

dove ai sono coefficienti numerici. Negli esempi (1), (3), (4) visti sopra W coinci-deva con l’insieme delle soluzioni di una particolare equazione lineare omogenea.In tutti quei casi abbiamo verificato che W e un sottospazio.

Come vedremo piu avanti questo e un fatto del tutto generale. Se W el’insieme delle soluzioni di un’equazione lineare omogenea in n incognite, allorae un sottospazio.

Osserviamo che per un’equazione lineare non omogenea (in cui, cioe, iltermine noto e non nullo), il vettore nullo non e mai soluzione. Segue chel’insieme delle soluzioni di un’equazione lineare non omogenea non e mai unsottospazio.

3.4. Operazioni su sottospazi.Dati due sottoinsiemi A, B ⊂ E si possono considerare altri due sottoinsiemi

A∪B, A∩B. Ricordiamo che A∪B e l’insieme degli elementi che appartengonoad A o a B, mentre A ∩ B e l’insieme degli elementi che appartengono ad A ea B (sezione 1.2 del capitolo introduttivo 0).

Sia V uno spazio vettoriale e U, W siano due sottospazi di V . Domanda: ingenerale U ∩ W e un sottospazio? U ∪ W e un sottospazio?

Studiamo prima l’intersezione.Consideriamo il caso E3

O. Abbiamo visto che i sottospazi di E3O sono

• le rette per O,• i piani per O,• E3

O,

•{−−→

OO}

.

Dunque dati U e W sottospazi di E3O per capire cos’e U ∩ W bisogna

distinguere vari casi. Consideriamone alcuni:

(1) U e W sono piani per O: allora U ∩W e una retta per O (a meno cheU = W nel qual caso U ∩ W = U e un piano per O);

(2) U e W sono rette per O: allora se le due rette non coincidono U ∩W ={−−→

OO}

se invece coincidono U ∩ W = U e una retta per O.

(3) U e un piano per O mentre W e una retta per O: se W e contenuta in

U allora U ∩ W = W e una retta per O altrimenti U ∩ W ={−−→

OO}

.

Come si vede in tutti questi casi U ∩ W e sempre un sottospazio. In effettivale questo risultato generale:

Proposizione 2.3. Siano U, W sottospazi di uno spazio vettoriale V . Al-lora U ∩ W e un sottospazio.

Dimostrazione.

• Come sappiamo, conviene come prima cosa verificare che 0V ∈ U ∩W :poiche U e W sono sottospazi allora 0V appartiene ad entrambi.

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124 2. SPAZI VETTORIALI

• Verifichiamo ora che comunque dati v, v′ ∈ U ∩ W si ha che v + v′ ∈U ∩ W . Riportiamo in una tabella prima tutte le informazione cheabbiamo su U, W, v, v′ (le ipotesi) e poi cio che vogliamo verificare.

Ipotesi: 1) U, W sono sottospazi,2) v appartiene sia ad U che a W .3) v′ appartiene sia ad U che a W .

Tesi: v + v′ appartiene sia ad U che a W .

Ora osserviamo che poiche v e v′ appartengono entrambi ad U ed U eun sottospazio, si ha che v +v′ appartiene ad U . Analogamente v e v′

appartengono entrambi a W che per ipotesi e un sottospazio. Dunquev + v′ appartiene anche a W .

• Infine bisogna verificare che comunque dati v ∈ U ∩ W e λ ∈ R si haλv ∈ U ∩ W . Anche in questo caso possiamo riportare una tabellacome sopra:

Ipotesi: 1) U, W sono sottospazi,2) v appartiene sia ad U che a W .

Tesi: λv appartiene sia ad U che a W .

Poiche v ∈ U e U e un sottospazio, si ha che λv ∈ U . Analogamentepoiche v ∈ W e W e un sottospazio abbiamo λv ∈ W . Dunque λv

appartiene contemporaneamente a U e W .

Passiamo ora a considerare l’unione.Osserviamo in questo caso che in E3

O date due rette distinte U, W passanti

per O l’unione U ∪ W non e ne un piano, ne una retta, ne tutto ne{−−→

OO}

.

Dunque in generale l’unione di due sottospazi NON e un sottospazio!Cerchiamo di capire piu da vicino perche l’unione di due rette non e un

sottospazio di E3O. Notiamo che

−−→OO ∈ U ∪ W .

In effetti e anche vero che se v ∈ U ∪ W allora λv ∈ U ∪ W .Osserviamo invece che presi due vettori non nulli u, w ∈ U ∪ W tali che

u /∈ W e w /∈ U , la somma u + w non appartiene ne a U ne a W . Dunqueu + w /∈ U ∪ W , il che mostra che la proprieta (SS1) NON e verificata (vediFigura 2.3).

D’altra parte, abbiamo gia osservato nel precedente capitolo che esiste ununico piano Z che contiene entrambe le rette U e W . Inoltre ogni vettore di Zsi scompone in una parte lungo U e in una parte lungo W .

Dunque il piano Z puo essere caratterizzato algebricamente come l’insiemedei vettori che si ottengono sommando un vettore di U e un vettore di W . Insimboli

Z = {u + w |u ∈ U e w ∈ W} .

In generale possiamo ripetere questa costruzione per due sottospazi di unqualsiasi spazio vettoriale.

Definizione 2.5. Siano U, W sottospazi di uno spazio vettoriale V . Allora

U + W = {u + w |u ∈ U e w ∈ W} .

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 125

O

u

w

u+

w

U = span(u)

W = span(w)

Figura 2.3. Presi due vettori u, w non allineati,siano U =Span(u) e W = Span(w). Cosı facendo, u, w ∈ U ∪ W , mau /∈ W e w /∈ U ; la somma u + w non appartiene ne a W ne aU .

Osservazione 2.14. Segnaliamo un paio di precisazioni.

(1) Nel caso U , W sono due rette distinte passanti per O, allora U + Wha l’interpretazione geometrica chiara di piano passante per l’origine.

(2) Attenzione a non confondere U ∪ W con U + W !

Prima di proseguire con la teoria fermiamoci un attimo a riflettere su cosasia U + W . Per determinare un sottoinsieme di V bisogna determinarne glielementi, ovvero va determinato un criterio per distinguere gli elementi cheappartengono al sottoinsieme da quelli che non vi appartengono. In questocaso dati due sottospazi U e W e un vettore v, se ci si chiede se v ∈ U + W , cisi deve porre la seguente domanda:

Posso scomporre il vettore v come somma di un vettore u ∈ U eun vettore w ∈ W?

Ovvero devo cercare un vettore u ∈ U e un vettore w ∈ W tali che la lorosomma sia v.

Se si riesce a trovare u e w, allora si conclude che v ∈ U +W , se invece ci siaccorge che non e possibile trovare tali vettori allora si conclude che v /∈ U +W .

Esempio 2.15. Consideriamo degli esempi:

(1) Siano π ed r rispettivamente un piano e una retta in E3O passanti per

O e supponiamo che la retta r non sia contenuta in π.Abbiamo visto nel capitolo precedente che tutti i vettori di E3

O siscompongono come somma di un vettore in π e un vettore in r (vedi

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126 2. SPAZI VETTORIALI

Figura 2.4). Dunque in questo caso si ha

r + π = E3O .

O

A

Bw

r P

u

v

−→

OP

π

Figura 2.4. Ogni vettore−−→OP di E3

O puo essere decompostonella somma di un vettore lungo una retta r passante per O eduno posto in un piano π passante per O e non contenente laretta r.

(2) In R3 consideriamo i sottospazi

U =

x1

x2

x3

|x1 = x2 = 0

e W =

x1

x2

x3

|x2 = x3 = 0

Quali tra questi vettori appartiene a U + W?

10−1

30−5

1110

.

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 127

Osserviamo che i vettori di U sono del tipo

00a

mentre i vettori di

W sono del tipo

b00

.

Dunque per verificare se

10−1

appartiene a U + W mi devo chie-

dere se trovo a, b ∈ R tali che

10−1

=

00a

+

b00

Osserviamo che basta porre a = −1 e b = 1

Analogamente per verificare che

305

appartiene a U +W dobbia-

mo trovare a, b tali che

305

=

00a

+

b00

.

Osserviamo che basta porre a = 5 e b = 3.

Invece per verificare se

1110

appartiene a U+W dobbiamo trovare

a, b tali che

1110

=

00a

+

b00

.

Notiamo che in questo caso non e possibile trovare a e b. Cio dipendedal fatto che se sommo vettori di U e di W ottengo comunque vettorila cui seconda componente e nulla. Viceversa dato un qualsiasi vettorela cui seconda componente e nulla riesco ad ottenerlo come somma diun vettore in U e di un vettore in W

a0b

=

a00

+

00b

Dunque

U + W =

x1

x2

x3

|x2 = 0

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128 2. SPAZI VETTORIALI

(3) In R3 consideriamo

U =

x1

x2

x3

|x1 = x2 = 0

e W =

x1

x2

x3

|x1 + x2 = x3 = 0

.

Proviamo a verificare quali tra questi vettori appartiene a U + W

5−53

211

7−72

.

Un vettore di U e della forma

00a

dove il numero a puo essere

arbitrario. D’altra parte i vettori di W sono caratterizzati dal fatto chela terza componente e nulla mentre la seconda componente e l’opposto

della prima, in altre parole sono tutti vettori della forma

b−b0

dove

ancora b puo essere un numero qualunque.

Dunque per verificare se il vettore

5−53

appartiene ad U + W ci

dobbiamo chiedere se esistono due numeri a, b tali che

5−53

=

00a

+

b−b0

Osserviamo che ponendo a = 3 e b = 5 l’uguaglianza e verificata e

dunque

5−53

∈ U + W .

In generale lo stesso ragionamento mostra che i vettori di U + Wsono della forma

(2.7)

b−ba

dove a e b sono numeri arbitrari.Notiamo che i vettori della forma (2.7) hanno la proprieta che

la somma delle prime due componenti si annulla (o equivalentementeche la seconda componente e l’opposto della prima). In particolare il

vettore

211

non puo essere scritto nella forma (2.7) e dunque non

appartiene ad U + W .Viceversa ogni vettore che ha soddisfa la proprieta che la somma

delle prime due componenti si annulla puo essere scritto nella forma

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 129

(2.7) e dunque appartiene ad U + W . Ad esempio il vettore

7−72

si

puo scrivere nella forma (2.7) ponendo b = 7 e a = 2.In definitiva in questo caso abbiamo che

U + W =

x1

x2

x3

|x1 + x2 = 0

.

Vale la pena di sottolineare che il fatto che x3 non compaia nell’equa-zione x1 +x2 = 0 non vuol dire che le soluzioni di tale equazioni hannoultima componente nulla. Infatti una soluzione in R3 dell’equazionex1 + x2 = 0 e una terna di numeri tale che la somma delle prime duecomponenti e nulla. Dunque non si impone alcuna condizione su x3 cheper tale motivo e libera di assumere qualsiasi valore indipendentementedai valori di x1 e x2. Sono ad esempio soluzioni i vettori:

7−72

,

7−718

,

7−7−15

, . . . .

Dalla definizione e chiaro che U + W e un ben definito sottoinsieme di V .Nel caso geometrico considerato in realta abbiamo visto che U + W e proprioun sottospazio di V . In effetti questo fatto e del tutto generale:

Proposizione 2.4. Siano U, W sottospazi di V . Allora U + W e un sotto-spazio di V .

Dimostrazione. Come prima cosa mostriamo che U +W e un sottospazio.

• 0V ∈ U + W : per verificare che il vettore nullo appartiene a U + W ,bisogna riuscire a scrivere il vettore nullo come somma di un elementodi u ∈ U e di un elemento di w ∈ W .

Osserviamo che 0V appartiene sia ad U che a W e dunque possiamoporre entrambi u e w uguali a 0V . Chiaramente si ha

0V = 0V + 0V

e dunque 0V ∈ U + W .• Bisogna verificare che comunque presi v, v′ ∈ U +W si ha che v+v′ ∈

U + W . Riassiumiamo in una tabella ipotesi e tesi:

Ipotesi: 1) U, W sono sottospazi,2) v = u + w con u ∈ U e w ∈ W3) v′ = u′ + w′ con u′ ∈ U e w′ ∈ W .

Tesi: Esistono u′′ ∈ U e w′′ ∈ W tali che v + v′ = u′′ + w′′.

Osserviamo che

v + v′ = (u + w) + (u′ + w′) = (u + u′) + (w + w′)

per cui se poniamo

u′′ = u + u′ w′′ = w + w′ ∈ W

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130 2. SPAZI VETTORIALI

abbiamo che u′′ ∈ U in quanto u, u ∈ U e U e un sottospazio. Analo-gamente w′′ ∈ W in quanto somma di w e w′. Infine v+v′ = u′′+w′′,e dunque siamo riusciti ad esprimere v +v′ come somma di un vettoredi U e di un vettore di W .

• Bisogna verificare che se v ∈ U + W allora per ogni λ ∈ R si ha cheλv ∈ U + W . Ora abbiamo

Ipotesi: 1) U, W sono sottospazi,2) v = u + w con u ∈ U e w ∈ W

Tesi: Esistono u′ ∈ U e w′ ∈ W tali che λv = u′ + w′.

Osserviamo che

λv = λ(u + w) = λu + λw

ed essendo U e W si ha che λu ∈ U e λw ∈ W . Dunque posto u′ = λu

e w′ = λw si ottiene la tesi.

Osservazione 2.16. Suggeriamo ora alcune osservazioni sul comportamen-to della somma di sottospazi:

(1) Siano U, W sottospazi di uno spazio vettoriale V . Allora U e W sonoentrambi contenuti in U + W . Verifichiamo tale proprieta in unesempio.

Siano

U =

x1

x2

x3

|x2 = x3 = 0

e

W =

x1

x2

x3

| 3x1 − 7x2 + 8x3 = x1 + x2 − x3 = 0

.

Verifichiamo se il vettore

400

appartiene a U + W . Come al solito

mi devo chiedere se esistono vettori u ∈ U,w ∈ W tali che

400

= u + w .

Ora osservate che

400

∈ U e dunque se poniamo

u =

400

w =

000

abbiamo

400

= u + w, u ∈ U e w ∈ W . Dunque

400

∈ U + W .

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3. SOTTOSPAZI VETTORIALI 131

(2) Sia U un sottospazio di uno spazio vettoriale V .Allora si ha U + U = U.

Illustriamo anche questa proprieta con un esempio.

U =

x1

x2

x3

|x2 = x3 = 0

.

Cerchiamo di capire chi e U + U . Dall’osservazione precedente U + Ue un sottospazio che include U .

Cerchiamo ora di capire se U + U contiene vettori non appartentiad U oppure coincide con U . Osserviamo che il vettore generico di U

si scrive nella forma

a00

. Se sommo due vettori generici di U ottengo

a00

+

b00

=

a + b00

.

Dunque se v ∈ U + U esso deve avere seconda e terza componentenulla. Dunque deve appartenere ad U .

In definitiva si ha U + U = U ;(3) Si puo generalizzare il precedente risultato nel seguente modo. se

U ⊂ W allora U + W = W: infatti chiaramente W ⊂ U + W . Vi-ceversa se v ∈ U + W , allora v si scrive come somma di un vettoreu ∈ U e un vettore w ∈ W . Poiche stiamo supponendo che U ⊂ W ,risulta che u ∈ W e dunque v = u + w e la somma di due vettori inW e di conseguenza appartiene a W .

(4) (U1 +U2)+U3 = U1 +(U2 +U3) = {u1 + u2 + u3 |ui ∈ Ui} Per questaragione dati k sottospazi U1, . . . Uk denotiamo con

U1 + U2 + . . . + Uk = {u1 + u2 + . . . + uk |ui ∈ Ui}(5) Dati tre sottospazi U, W, Z ci si potrebbe chiedere se gli elementi di

Z che appartengono a U + W si possono decomporre come somma diun elemento di U ∩ Z e un elemento di W ∩ Z, ovvero che valga laseguente uguaglianza (U + W ) ∩ Z = (U ∩ Z) + (W ∩ Z).

Tale uguaglianza e in generale FALSA cio vuol dire che gli elementidi Z che appartengono ad U +W si decompongono come somma di unelemento u ∈ U e un elemento w ∈ W , ma in generale non possiamochiedere che u, w ∈ Z.

Basta considerare il seguente esempio. Siano U1, U2, U3 tre rettedistinte contenute in un piano W . Allora (U1 + U2) = W e dunque

(U1 + U2) ∩ U3 = W ∩ U3 = U3. D’altra parte U1 ∩ U3 ={−−→

OO}

e

U2 ∩U3 ={−−→

OO}

e dunque (U1 ∩U3)+ (U2 ∩U3) ={−−→

OO}

+{−−→

OO}

={−−→

OO}

.

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132 2. SPAZI VETTORIALI

4. Il sottospazio generato da un insieme di vettori

Fin qui abbiamo introdotto il concetto di sottospazio come generalizzazionedella nozione di piano e retta passante per O e abbiamo anche considerato dueoperazioni sui sottospazi. Nonostante fin qui abbiamo fatto alcuni esempi, cimanca ancora una teoria generale su come lavorare con spazi vettoriali astrattie su come descrivere un sottospazio.

Nel caso geometrico la descrizione algebrica di E3O e stata resa possibile

dall’identificazione dei vettori applicati con triple di numeri. Tale identifica-zione e conseguenza dell’introduzione della nozione di base e della nozione dicoordinate.

Ripercorriamo sinteticamente i principali passaggi che ci hanno permessodi associare ad un vettore applicato la terna delle coordinate.

Dato un vettore u0 ∈ E3O, esso individua una retta U . Abbiamo visto che

i vettori di U si ottengono tutti moltiplicando u0 per qualche scalare. Piuprecisamente

U = {λu0 |λ ∈ R}Dati due vettori non paralleli u0, v0, essi individuano due rette non coin-

cidenti U, V e abbiamo visto che il piano contenente U e V e la somma diU + V .

Cio vuol dire che tutti i vettori sul piano U + V possono essere scritti comela somma di un vettore di U e un vettore di V . Ovvero e possibile decomporreogni w ∈ U +V in una parte u ∈ U e una parte v ∈ V in modo che w = u+v.Del resto poiche u ∈ U , esiste λ ∈ R tale che u = λu0 e analogamente esisteµ ∈ R tale che v = µv0 e dunque ogni vettore w ∈ U + V puo essere scrittonella forma

w = λu0 + µv0 .

In particolare U + V = {λu0 + µv0 |λ, µ ∈ R}.Ora se fissiamo un vettore w0 ∈ E3

O non appartenente al piano U + V , essoindividua una retta W = {λw0|λ ∈ R} che non e contenuta nel piano U + V .Da quanto gia visto

(U + V ) + W = E3O

ovvero ogni vettore v ∈ E3O puo essere decomposto in una parte u ∈ U + V e

una parte w ∈ W in modo che v = u + z.Ora il vettore u puo essere scritto nella forma u = λu0 + µv0 mentre il

vettore w e della forma w = νw0.In definitiva otteniamo che

v = λu0 + µv0 + νw0 .

Riassumendo, per ogni vettore v ∈ E3O possiamo trovare una tripla di numeri

λµν

tali che

v = λu0 + µv0 + νw0 .

I numeri λ, µ, ν sono le coordinate del vettore v rispetto alla base {u0, v0, w0}.

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4. IL SOTTOSPAZIO GENERATO DA UN INSIEME DI VETTORI 133

In questo modo riesco ad associare ad ogni vettore geometrico una tripla dinumeri, e in tal modo costruisco un’identificazione tra lo spazio E3

O e lo spazioR3.

Siamo ora interessati ad estendere la nozione di base e di coordinate perqualsiasi spazio vettoriale, in modo da poter avere una descrizione di qualsiasispazio vettoriale per mezzo di n-uple di numeri.

Proviamo a riprodurre la costruzione fatta per E3O per un qualsiasi spazio

vettoriale V .

Definizione 2.6. Fissato un vettore u in V possiamo definire Span(u)esattamente come nel caso geometrico

Span(u) = {λu |λ ∈ R}ovvero Span(u) e l’insieme di tutti i multipli di u.

Lemma 2.5. Span(u) e un sottospazio di V .

Dimostrazione.

• Per verificare che 0V ∈ Span(u), dobbiamo controllare che 0V si possascrivere come multiplo di u (ovvero nella forma λu). Del resto ciosegue facilmente dall’identita

0V = 0 · u .

• Verifichiamo ora che comunque dati v, v′ ∈ Span(u) la loro sommav + v′ appartiene ancora a Span(u). Riassumiamo in una tabellaipotesi e tesi.

Ipotesi: 1) v = µu per un certo µ ∈ R.2) v′ = µ′u per un certo µ′ ∈ R.

Tesi: Esiste un numero µ′′ tale che v + v′ = µ′′u.

Osserviamo che dall’ipotesi si ha

v + v′ = µu + µ′u = (µ + µ′)u

da cui si evince che anche v + v′ e multiplo di u e quindi appartiene aSpan(u).

• Verifichiamo infine che se v ∈ Span(u) allora λv appartiene a Span(u).

Ipotesi: v = µu per un certo µ ∈ R.Tesi: Esiste un numero µ′ tale che λv = µ′u.

Osserviamo che si ha λv = λ(µu) = (λµ)u. Per cui abbiamo λv = µ′ucon µ′ = λµ.

Siano ora u e w due vettori. Possiamo considerare i due spazi U = Span(u)e W = Span(w) e come prima possiamo farne la somma. Esattamente comenel caso dei vettori applicati

U + W = {λu + µw|λ, µ ∈ R}ovvero i vettori di U+W sono quelli che si possono scrivere nella forma λu+µw.

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134 2. SPAZI VETTORIALI

Ora fissati tre vettori u1, u2, u3 possiamo considerare la somma dei tre sot-tospazi U1 = Span(u1), U2 = Span(u2), U3 = Span(u3). Esso e un sottospazioe come prima si puo mostrare che

U1 + U2 + U3 = {λ1u1 + λ2u2 + λ3u3 |λi ∈ R}e cosı via.

Tutto cio suggerisce la seguente definizione.

Definizione 2.7. Sia V spazio vettoriale Dati k vettori u1 . . .uk ∈ V , unacombinazione lineare di u1, . . . ,uk e una somma del tipo

λ1u1 + λ2u2 + . . . + λkuk .

Due combinazioni lineari si dicono uguali, se i rispettivi coefficienti sono adue a due uguali.

Ad esempio fissati 4 vettori u1, u2, u3, u4 in V , una possibile combinazionelineare di questi vettori e la somma

3u1 − u2 + 2u3 − 7u4 .

In questo caso i coefficienti della combinazione sono λ1 = 3, λ2 = −1, λ3 =2, λ4 = −7.

Anche le seguenti sono combinazioni lineari di u1, u2, u3, u4

u1 + 7u3 − u4

u1 + u3

u4

infatti il fatto che non compaia il vettore u2 nella prima combinazione vuol direche il coefficiente per cui viene moltiplicato e 0. I coefficienti di tali combinazionilineari sono rispettivamente

λ1 = 1, λ2 = 0 λ3 = 7, λ4 = −1λ1 = 1, λ2 = 0, λ3 = 1, λ4 = 0λ1 = 0, λ2 = 0, λ3 = 0, λ4 = 1 .

Esercizio 4.1. Fissato V = R3 e posti

u1 =

110

, u2 =

1−10

, u3 =

001

, u4 =

111

si calcoli il risultato delle combinazioni lineari considerate sopra.

Definizione 2.8. Sia V spazio vettoriale. Data una lista di vettori

{u1, . . . ,uk} ,

lo span di tale lista e l’insieme di tutti i vettori di V che si ottengono comecombinazioni lineari di u1, . . . ,uk.

In simboli

Span(u1, . . . ,uk) = {λ1u1 + λ2u2 + . . . + λkuk |λi ∈ R} .

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4. IL SOTTOSPAZIO GENERATO DA UN INSIEME DI VETTORI 135

Cerchiamo di capire qual e il criterio per verificare se un vettore v assegnatoappartiene a Span(u1, . . . ,uk) dove u1, . . . ,uk sono assegnati.

Dalla definizione risulta che il vettore v appartiene a Span(u1, . . . ,uk) se sipuo scrivere come combinazione lineare di u1, . . . ,uk mentre non vi appartienealtrimenti.

Dunque bisogna porsi la seguente domanda:Esistono numeri λ1, λ2, λ3, . . . , λk tali che

v = λ1u1 + λ2u2 + λ3u3 + . . . + λkuk ?

Se la risposta alla domanda e positiva allora v ∈ Span(u1 . . . ,uk), se larisposta e negativa allora v non vi appartiene.

Esempio 2.17. Cerchiamo di mettere in pratica questa procedura con alcuniesempi

(1) Posto v =

20−3

proviamo a verificare se il vettore

80

−12

appartiene

a Span(v).Ci dobbiamo chiedere se esiste un numero λ tale che

80

−12

= λ

20−3

In tal caso la risposta e affermativa, infatti basta porre λ = 4.

(2) Verifichiamo se il vettore

808

appartiene a Span(v). In questo caso

mi devo chiedere se esiste un numero λ tale che

(2.8)

808

= λ

20−3

Uguagliando componente per componente le componenti del mem-bro a destra e del membro a sinistar otteniamo le equazioni (doveλ rappresenta l’incognita)

(2.9)8 = 2λ0 = 08 = −3λ

Notiamo che trovare un λ che verifica la (2.8) vuol dire trovare un λche verifica simultaneamente tutte e tre le equazioni (2.9) (notate chela seconda 0 = 0 non dipende da λ ed e verificata qualsiasi sia λ).

Del resto l’unico valore di λ che verifichi la prima equazione e λ = 4,mentre l’unico valore di λ che verifichi la terza equazione e λ = −8

3 .

Poiche 4 6= −83 segue che non ci sono valori di λ per cui tutte e tre

le equazioni siano verificate e dunque non esiste λ tale che la (2.8) siaverificata.

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136 2. SPAZI VETTORIALI

(3) Sia V = Span

111

,

210

⊂ R3.

Verifichiamo se il vettore

574

appartiene a V . In questo caso

dobbiamo chiederci se esistono numeri λ1, λ2 tali che

(2.10)

574

= λ1

111

+ λ2

210

Ora si ha che

λ1

111

+ λ2

210

=

λ1 + 2λ2

λ1 + λ2

λ1

e dunque affinche valga la (2.10) devono valere simultaneamente leseguenti tre equazioni

(2.11)

λ1 + 2λ2 = 5λ1 + λ2 = 7λ1 = 4

Ovvero il vettore

574

appartiene a V se e soltanto se il sistema lineare

(2.11) ammette soluzione.Ora osserviamo che dalla ultima equazione della (2.11) si deduce

che λ1 = 4. Sostituendo λ1 = 4 nella seconda equazione si ricava4 + λ2 = 7 ovvero λ2 = 3.

Dunque la coppia λ1 = 4, λ2 = 3 e l’unica coppia di numeri cherende simultaneamente vere la seconda e la terza equazione.

Poiche noi vogliamo trovare due numeri λ1, λ2 che verifichino si-multaneamente tutte e tre le equazioni, l’unica possibilita e che lacoppia λ1 = 4, λ2 = 3 verifichi anche la prima.

Del resto sostituendo nella prima equazione i numeri 4, 3 si ottiene

4 + 2 · 3 = 4 + 6 = 10 6= 7

dunque la coppia λ1 = 4, λ2 = 3 non verifica la prima equazione, dacui si deduce che non ci sono coppie di numeri che verificano tutte e etre le equazioni di (2.11).

Segue che il vettore

574

non appartiene a V .

(4) Sia V come nel precedente esempio. Dato un vettore generico v =

abc

cerchiamo di capire per quali scelte di a, b, c tale vettore appar-

tiene a V .

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4. IL SOTTOSPAZIO GENERATO DA UN INSIEME DI VETTORI 137

Ripetendo il ragionamento fatto nei precedenti due esempi cerchia-mo λ1, λ2 tali che

abc

= λ1

111

+ λ2

210

Scrivendo componente per componente questa uguaglianza vettorialeotteniamo il sistema

λ1 + 2λ2 = aλ1 + λ2 = bλ1 = c

dove le incognite sono λ1, λ2, mentre a, b, c sono le componenti delvettore v dato. Dall’ultima ricaviamo che λ1 = c. Sostituendo nellaseconda equazione ricaviamo come sopra λ2 = b − c. Ovvero l’unicacoppia di numeri che verifica simultaneamente la seconda e la terzaequazione e λ1 = c, λ2 = b − c. Dunque il sistema ha soluzione seper tale scelta di numeri anche la prima equazione e verificata, non hasoluzione altrimenti.

Sostituendo λ1 = c, λ2 = b − c nella prima equazione, si ottiene

2b − c = a

ovvero il vettore v =

abc

appartiene a V se e soltanto se le sue

componenti sono soluzioni di tale equazione.

Osservazione 2.18. Span(u1, u2) = Span(u1) + Span(u2).Infatti un vettore v appartiene a Span(u1) + Span(u2) se e soltanto se puo

essere scritto come somma di due addendi

v = v1 + v2

con v1 ∈ Span(u1) e v2 ∈ Span(u2).Del resto quest’ultima condizione precisamente significa che v1 e multiplo

di u1 mentre v2 e multiplo di u2, per cui in definitiva abbiamo che v appartienea Span(u1) + Span(u2) se e solo se e della forma

v = λ1u1 + λ2u2

ovvero se e solo se e combinazione lineare di u1 e u2.Piu in generale si puo vedere nello stesso modo che Span(u1, . . . ,uk) =

Span(u1) + Span(u2) + . . . + Span(uk).

Dall’osservazione ricaviamo la seguente proposizione molto importante

Proposizione 2.6. Span(u1, . . . ,uk) e un sottospazio vettoriale di V .

Definizione 2.9. Span(u1, . . . ,uk) e detto sottospazio generato dai vettoriu1, . . . ,uk.

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138 2. SPAZI VETTORIALI

Dimostrazione. Per il Lemma 2.5 abbiamo che

Span(u1), Span(u2), Span(u3), . . . ,Span(uk)

sono tutti sottospazi di V .Del resto abbiamo visto che

Span(u1, . . . ,uk) = Span(u1) + Span(u2) + . . . + Span(uk)

e poiche la somma di sottospazi e un sottospazio, concludiamo che

Span(u1, . . . ,uk)

e esso stesso un sottospazio. �

Mostriamo ora alcune proprieta dello Span che in seguito utilizzeremo spes-so.

Fissiamo un sottospazio W di uno spazio vettoriale V , e consideriamo unalista di vettori u1, . . . ,uk tutti contenuti in W .

Per le proprieta di sottospazio, si ricava che tutti i multipli di u1, . . . ,uk

sono contenuti in W . Dunque data una combinazione lineare di u1, . . . ,uk

λ1u1 + . . . + λkuk

si ha che tutti gli addendi che vi compaiono sono contenuti in W . Dunque ilvettore dato da tale combinazione lineare e somma di vettori in W e dunque eanch’esso un vettore di W .

In conclusione otteniamo che tutti i vettori che si ottengono come combi-nazione lineare di u1, . . . ,uk sono tutti vettori di W . Possiamo riassumere taleproprieta nel seguente enunciato.

Lemma 2.7. Sia W sottospazio di uno spazio vettoriale V , e siano u1, . . . ,uk

vettori di W . Allora Span(u1, . . . ,uk) e contenuto in W .

Si noti che dal lemma segue che Span(u1, . . . ,uk) e il piu piccolo sottospazioche contiene u1, . . . ,uk.

Dal Lemma 2.7 si possono ricavare alcune altre proprieta dello Span cheutilizzeremo in seguito.

Lemma 2.8. Sia V spazio vettoriale, u1, . . . ,uk ∈ V e v ∈ V Valgono leseguenti proprieta:

(1) Se v ∈ Span(u1 . . . ,uk) allora Span(v) ⊂ Span(u1, . . . ,uk).(2) Span(u1, . . . ,uk) ⊂ Span(u1, . . . ,uk, v)(3) Se v ∈ Span(u1, . . . ,uk) allora

Span(u1 . . . ,uk) = Span(u1, . . . ,uk, v) .

Osservazione 2.19. La proprieta (2) del lemma ha il seguente significato:se ad una lista di vettori u1, . . . ,uk aggiungo un vettore v, lo Span della nuovalista contiene lo Span della vecchia lista.

La proprieta (3) precisa che quando il vettore v e contenuto esso stesso nelloSpan della vecchia lista, allora lo Span della nuova lista coincide con lo Spandella vecchia lista.

Dimostrazione. Proviamo una proprieta per volta:

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4. IL SOTTOSPAZIO GENERATO DA UN INSIEME DI VETTORI 139

(1) Poniamo W = Span(u1, . . . ,uk). Per ipotesi abbiamo v ∈ W e dunqueper il Lemma 2.7, Span(v) e contenuto in W .

(2) Poniamo W = Span(u1, . . . ,uk, v). Osserviamo che ogni vettore ui

appartiene a W e dunque sempre per il Lemma 2.7 Span(u1, . . . ,uk) ⊂W .

(3) Per il precedente punto si ha che Span(u1, . . . ,uk) e contenuto inSpan(u1, . . . ,uk, v). Dunque per mostare che i due insiemi coinci-dono bisogna verificare che tutti gli elementi di Span(u1, . . . ,uk, v)siano contenuti in Span(u1, . . . ,uk). Osserviamo che un vettore w inSpan(u1, . . . ,uk, v) e della forma

w = λ1u1 + . . . + λkuk + αv .

Ma, poiche assumiamo che v ∈ Span(u1, . . . ,uk)

v = µ1u1 + . . . + µkuk + µv ,

e, quindi, sostituendo e riordinando

w = (λ1 + αµ1)u1 + . . . + (λk + αµk)uk ,

dunque w ∈ Span(u1, . . . ,uk), perche ottenuto come combinazionelineare dei vettori u1 . . .uk secondo i coefficienti (λ1 + αµ1) . . . (λk +αµk).

4.1. Generatori e spazi finitamente generati.Torniamo ora al problema da cui si era partiti: cercare una buona ge-

neralizzazione del concetto di base e di coordinate per un qualsiasi spaziovettoriale.

Sia {u0, v0, w0} una base di E3O. Un punto fondamentale per poter definire

le coordinate e che ogni vettore v di E3O si scrive come combinazione lineare

v = λu0 + µv0 + νw0 .

Ovvero con il linguaggio introdotto nella precedente sezione

Span {u0, v0, w0} = E3O .

Tutto cio suggerisce di dare una definizione generale.

Definizione 2.10. Sia V uno spazio vettoriale. Un insieme di vettori{u1, . . . ,uk} genera V se Span(u1, . . . ,uk) = V . L’insieme {u1, . . . ,uk} edetto un insieme di generatori per V .

Osservazione 2.20. Possiamo dire che

(1) I vettori u1, . . . ,uk generano V se e solo se ogni vettore v ∈ V eottenibile come combinazione lineare di u1, . . . ,uk, ovvero se e solo seper ogni v ∈ V esistono λ1, . . . , λk tali che

v = λ1u1 + λ2u2 + . . . + λkuk .

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140 2. SPAZI VETTORIALI

(2) Per la proprieta (1) del Lemma 2.8, segue che se L = {u1, . . . ,uk} euna lista di generatori di V , allora ogni altra lista ottenuta aggiungendoad L altri vettori continua ad essere una lista di generatori di V .

Esempio 2.21. Vediamo alcuni casi.

(1) Una base di E3O e un insieme di generatori per E3

O.

(2) I vettori e1 =

100

, e2 =

010

, e3 =

001

formano un sistema di

generatori di R3. Per verificare cio ci dobbiamo chiedere se ogni vettoredi R3 si puo scrivere come combinazione lineare di e1, e2, e3. Proviamo

a fare la verifica su un esempio numerico. Sia v =

723−14

. Ci poniamo

il problema di scrivere v come combinazione lineare di e1, e2, e3, ovverocerchiamo tre numeri λ1, λ2, λ3 tali che

723−14

= λ1

100

+ λ2

010

+ λ3

001

Notiamo che l’espressione a destra e uguale al vettore

λ1

λ2

λ3

e dunque

scegliendo λ1 = 7,λ2 = 23, λ3 = −14 abbiamo l’uguaglianza cercata.

In generale dato un vettore v =

v1

v2

v3

, cerchiamo di scriverlo come

combinazione lineare di e1, e2, e3, ovvero cerchiamo λ1, λ2, λ3 tali che

v = λ1e1 + λ2e2 + λ3e3

Come prima l’espressione a destra e uguale al vettore

λ1

λ2

λ3

, e dunque

per ottenere l’uguaglianza cercata basta porre λ1 = alla prima com-ponente di v (ovvero v1), λ2 = seconda componente di v (ovvero v2),λ = terza componente di v (ovvero v3).

(3) In un qualsiasi Rn i seguenti n vettori

e1 =

10...0

, e2 =

010...0

, . . . ,en =

0...01

formano un sistema di generatori. Infatti una qualsiasi combinazionelineare di e1, . . . ,en

λ1e1 + . . . + λnen

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4. IL SOTTOSPAZIO GENERATO DA UN INSIEME DI VETTORI 141

e uguale al vettore la cui prima componente e λ1, la cui secondacomponente e λ2 e cosı via.

Dunque, per scrivere un dato un vettore v =

v1...

vn

come combi-

nazione lineare

v = λ1e1 + . . . + λnen

e sufficiente fissare λ1 = v1, λ2 = v2 e cosı via.(4) Consideriamo in R2 i due seguenti vettori

u1 =

(

11

)

, u2 =

(

1−1

)

Verifichiamo se u1 e u2 formano un sistema di generatori di R2.

Dato un vettore v =

(

v1

v2

)

, ci poniamo il problema di scriverlo

come combinazione lineare di u1, u2:

(2.12)

(

v1

v2

)

= λ1

(

11

)

+ λ2

(

1−1

)

.

Ora svolgendo l’espressione a destra troviamo il vettore(

λ1 + λ2

λ1 − λ2

)

e dunque imponendo l’uguaglianza otteniamo che i numeri λ1, λ2 de-vono soddisfare le seguenti condizioni

{

λ1 + λ2 = v1

λ1 − λ2 = v2

Sommando le due equazioni troviamo che 2λ1 = v1 + v2 e dunqueλ1 = v1+v2

2 .Sottraendo la seconda equazione dalla prima troviamo 2λ2 = v1−v2

e dunque λ2 = v1−v2

2 .

Dunque comunque siano fissato v ∈ R2, riusciamo a trovare λ1, λ2

in modo che (2.12) sia verificata. Segue che u1, u2 formano un sistemadi generatori di V .

(5) Consideriamo in R3 i seguenti vettori

u1 =

101

, u2 =

111

u3 =

515

Verifichiamo se tali vettori formano un sistema di generatori di R3. Da-to un vettore v ci poniamo il problema di scriverlo come combinazionelineare di u1, u2, u3

(2.13) v = λ1u1 + λ2u2 + λ3u3 .

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142 2. SPAZI VETTORIALI

Svolgendo l’espressione a destra troviamo

λ1u1 + λ2u2 + λ3u3 =

λ1 + λ2 + 5λ3

λ2 + λ3

λ1 + λ2 + 5λ3

E dunque imponendo l’uguaglianza (2.13) componente per compo-nente, risulta che i numeri λ1, λ2, λ3 devono soddisfare tutte e tre leseguenti condizioni

λ1 + λ2 + 5λ3 = v1

λ2 + λ3 = v2

λ1 + λ2 + 5λ3 = v3

Osserviamo che se v1 6= v3, non sara mai possibile trovare λ1, λ2, λ3

che verifichino sia la prima che la terza equazione, e dunque i vettorila cui prima e la terza componente sono diverse, non potranno essereespressi come combinazione lineare di u1, u2, u3. Segue che u1, u2, u3

non formano un insieme di generatori.

Esercizio 4.2. Si propongono i seguenti esercizi.

(1) Si discuta se

(

11

)

,

(

1−1

)

,

(

57

)

formano un sistema di generatori di

R2

(2) Si discuta se

100

,

110

,

111

formano un sistema di generatori di

R3

(3) Si discuta se

110

,

011

,

10−1

formano un sistema di generatori di

R3

(4) Si mostri che V ={

v ∈ R3|v1 + v2 = 0}

‘e un sottospazio di R3. Si

verifichi che i vettori

001

,

1−10

appartengono a V e si discuta se

essi formano un sistema di generatori per V .

Definizione 2.11. Uno spazio vettoriale si dice finitamente generato seesiste una lista finita di vettori di V , {u1, . . . ,un} che genera V .

Tutti gli spazi Rn sono finitamente generati. Infatti nell’esempio 2.21(3)abbiamo costruito una lista finita di generatori per ciascun Rn.

Ma esistono anche spazi che non sono finitamente generati? Vediamoesplicitamente un esempio che ci convinca della risposta affermativa.

Esempio 2.22 (di spazio NON finitamente generato). Mostriamo che lospazio dei polinomi R[x] non e finitamente generato. Per mostrare cio partiamoda un esempio:

Consideriamo la seguente lista di polinomi

p1(x) = x5 + 3, p2(x) = x7 + x4 − 3, p3(x) = x6 − x5 + 3x4 − x2 .

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5. VETTORI LINEARMENTE INDIPENDENTI 143

Osserviamo che facendo combinazioni lineari dei polinomi p1, p2, p3 possia-mo ottenere solo polinomi di grado ≤ 7, mentre non si potranno mai ottenerepolinomi di grado > 7. Segue che il polinomio x8 /∈ Span(p1, p2, p3) e dunquep1, p2, p3 non formano un sistema di generatori.

Tale argomento si applica a qualunque lista finita di polinomi. Data unalista p1, . . . , pn si considera il grado massimo, d, di p1, . . . , pn, e si osserva che lecombinazioni lineari di p1, . . . , pn hanno tutte grado ≤ d. Dunque il polinomioxd+1 /∈ Span(p1, . . . , pn).

Segue che nessuna lista finita puo essere un sistema di generatori per R[x].

5. Vettori linearmente indipendenti

Torniamo ora al problema da cui eravamo partiti, ovvero trovare una gene-ralizzazione della nozione di basi e coordinate per spazi vettoriali astratti.

Nella precedente sezione abbiamo sottolineato che le basi di E3O sono sistemi

di generatori. Ovvero se u0, v0, w0 e base di E3O, ogni vettore v si puo scrivere

nella formav = λu0 + µv0 + νw0

e le coordinate del vettore v rispetto alla base u0, v0, w0 sono proprio i trecoefficienti λ, µ, ν

Mostriamo pero che la proprieta di generare non e sufficiente per definire lecoordinate.

Per semplicita illustreremo un esempio sul piano E2O.

Dati due vettori u1, u2 ∈ E2O che non hanno la stessa direzione ogni vettore

v ∈ E2O puo essere scritto come combinazione lineare di u1, u2. Ovvero esistono

due numeri λ, µ tali chev = λu1 + µu2 .

In questo modo abbiamo associato al vettore geometrico v la coppia di numeri(λ, µ).

In effetti tale procedura funziona purche ci sia un unico modo di scriverev come combinazione lineare di u1, u2. Infatti se esistesse un’altra coppia dinumeri (λ′, µ′) tali che

v = λ′u1 + µ′u2

non si saprebbe bene se le coordinate di v sono (λ, µ) oppure (λ′, µ′).Per fortuna cio non accade: infatti dovremmo avere:

λu1 + µu2 = λ′u1 + µ′u2

da cui otteremmo(λ − λ′)u1 + (µ − µ′)u2 = 0

da cui, se λ 6= λ′ otterremmo

u1 = −µ − µ′

λ − λ′ u2

ovvero u1 e u2 sarebbero paralleli contro la nostra ipotesi.

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144 2. SPAZI VETTORIALI

Se ai vettori u1, u2 aggiungo un terzo vettore u3 ∈ E2O l’insieme dei vet-

tori u1, u2, u3 ancora genera E2O. Pero dato un vettore v si puo mostrare che

esistono infinite combinazioni lineari tali che

(2.14) v = λ1u1 + λ2u2 + λ3u3

Piu precisamente si puo fissare arbitrariamente il valore di λ3 e trovare λ1

e λ2 che verifichino la condizione (2.14).Se ad esempio poniamo λ3 = 100 posso considerare il vettore v − 100u3.

Poiche u1 e u2 generano trovo dei numeri λ1, λ2 tali che

v − 100u3 = λ1u1 + λ2u2

e dunque

v = λ1u1 + λ2u2 + 100u3

Dunque anche se u1, u2, u3 sono dei generatori, essi non mi permettonodi determinare in modo univoco delle coordinate per v. La ragione diquesta indeterminatezza e che u3 e superfluo, in quanto u1 e u2 gia generanotutto.

Dunque per ottenere una generalizzazione della nozione di base e coordina-te abbiamo allora bisogno di un’altra proprieta che esprime la condizione checombinazioni lineari diverse producano vettori diversi

Tale proprieta va sotto il nome di lineare indipendenza:

Definizione 2.12. Sia {u1, . . . ,un} una lista di vettori di V . I vetto-ri u1, . . . ,uk si dicono linearmente indipendenti se sono tutti non-nulli eciascun elemento ui non e combinazione lineare degli altri elementi della lista.

Viceversa i vettori {u1, . . .uk} si dicono linearmente dipendenti se epossibile scrivere un vettore di tale lista come combinazione lineare degli altri.

Esempio 2.23. Cerchiamo di chiarici le idee con alcuni esempi espliciti.

(1) Una base {u0, v0, w0} di E3O e composta da vettori linearmente indi-

pendenti. Infatti se ad esempio w0 fosse combinazione lineare di u0

e v0, allora necessariamente i tre vettori dovrebbero essere complana-ri, mentre per definizione le basi di E3

O sono composte da vettori noncomplanari.

(2) I vettori u1 =

110

, u2 =

220

sono linearmente dipendenti in quanto

u2 = 2u1.

(3) I vettori u1 =

110

, u2 =

210

sono indipendenti.

Infatti u2 non e multiplo di u1 ne u1 e multiplo di u2.

(4) I vettori u1 =

111

, u2 =

222

, u3 =

110

sono linearmente dipen-

denti, in quanto u2 = 2u1.

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5. VETTORI LINEARMENTE INDIPENDENTI 145

(5) I vettori u1 =

111

, u2 =

121

, u3 =

232

sono dipendenti in quanto

u3 = u1 + u2.(6) Verifichiamo che i vettori

u1 =

1111

, u2 =

11−10

, u3 =

1−100

, u4 =

0001

sono indipendenti.Infatti se proviamo a scrivere u4 come combinazione lineare di

u1, u2, u3

u4 = λu1 + µu2 + νu3

otteniamo che λ, µ, ν sono soluzioni del sistema

λ + µ + ν = 0λ + µ − ν = 0λ − µ = 0λ = 1

Osserviamo che gli unici valori di λ, µ, ν che verificano contemporane-mente le ultime tre equazioni sono λ = µ = 1, ν = 2. Poiche questivalori non soddisfano la prima equazione il sistema non ha soluzioni edunque u4 non e combinazione lineare di u1, u2, u3. Ora proviamo ascrivere u3 come combinazione lineare di u1, u2, u4:

u3 = λu1 + µu2 + νu4 .

Osserviamo che necessariamente ν = 0 altrimenti ricaverei

u4 =1

ν(u3 − λu1 − µu2) .

Dunque ponendo u3 = λu1+µu2, si ricava che λ e µ devono soddisfareil sistema

λ + µ = 1λ + µ = −1λ − µ = 0

che ovviamente non ha soluzioni, e dunque u3 non e combinazione diu1, u2, u4.

Proviamo che u2 non e combinazione lineare di u1, u3, u4. Seponiamo u2 = λu1 + µu3 + νu4, come prima si ha che ν = 0 altri-menti si ricaverebbe u4 come combinazione di u1, u2, u3. Analoga-mente µ = 0 altrimenti potremmo ricavare u3 come combinazione diu1, u2, u4. Dunque l’unica possibilita e che u2 = λu1, ma questo siesclude facilmente. Analogamente si prova che u1 non e combinazionelineare di u2, u3, u4.

Osservazione 2.24. Dall’esempio (1) risulta che due vettori sono dipen-denti se sono uno multiplo dell’altro.

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146 2. SPAZI VETTORIALI

Da tre vettori in su, non c’e una caratterizzazione cosı semplice. Infattil’esempio (4) mostra un caso in cui i tre vettori sono dipendenti ma nessuno deitre e multiplo di un altro.

Ora gli insiemi linearmente indipendenti soddisfano la proprieta che cerchia-mo. Ovvero se {u1, . . . ,uk} e un insieme di vettori linearmente indipendentiposso dedurre che combinazioni lineari diverse producono vettori diversi.

Introduciamo la seguente terminologia.

Definizione 2.13. Data una combinazione lineare

λ1u1 + . . . + λkuk

diciamo che vettore dei coefficienti 1 della combinazione e la k-upla formatadai coefficienti della combinazione

λ1...

λk

.

Proposizione 2.9. Sia {u1, . . . ,uk} un insieme di vettori linearmente in-

dipendenti. Dati due vettori di coefficienti

λ1...

λk

6=

µ1...

µk

si ha che

λ1u1 + . . . + λkuk 6= µ1u1 + . . . + µkuk

Dimostrazione. Partiamo da un esempio: supponiamo di avere 4 vettori

u1,u2,u3,u4

e supponiamo di avere due combinazioni lineari diverse che danno lo stesso vettore:

u1 + 3u2 − 7u3 + 4u4 = −10u1 + 2u2 + 3u3 + 6u4

Cerchiamo di verificare che in tale ipotesi u1,u2,u3,u4 sono per forza dipendenti.Raccogliendo tutti i multipli di u4 ad un membro otteniamo

4u4 − 6u4 = −10u1 + 2u2 + 3u3 − u1 − 3u2 + 7u3

ovvero riordinando i termini

−2u4 = −11u1 − u2 + 10u3

da cui deduciamo che u4 e combinazione lineare di u1,u2,u3:

u4 =11

2u1 +

1

2u2 − 5u3 .

Osserviamo che non avremmo potuto dedurre la stessa cosa se i coefficienti chemoltiplicano u4 fossero stati uguali in entrambi i membri. Se ad esempio avessimoavuto

u1 + 3u2 − 7u3 + 4u4 = −10u1 + 2u2 + 3u3 + 4u4

gli addendi multipli di u4 si semplificano, lasciando un’espressione da cui non e possibilericavare u4.

1ATTENZIONE: il vettore dei coefficienti NON appartiene a V ma ad Rk dove k e il

numero di vettori che consideriamo.

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5. VETTORI LINEARMENTE INDIPENDENTI 147

In questo caso pero avremmo potuto portare gli addendi multipli di u3 (o anchedi u2 o di u1) tutti da una parte e avremmo ricavato

−11u3 = −11u1 − u2

e dunque si otterrebbe u3 come combinazione lineare di u1 e u2.Consideriamo ora il caso generale.Supponiamo che esistano due combinazioni lineari distinte di u1, . . . ,uk che pro-

ducono lo stesso risultato:

(2.15) λ1u1 + . . . + λkuk = µ1u1 + . . . + µkuk .

Se λk 6= µk, allora isolando a sinistra i multipli di un otteniamo

(λk − µk)uk = µ1u1 + . . . + µk−1uk−1 − λ1u1 − . . . − λn−1un−1

e riordinando

(λk − µk)uk = (µ1 − λ1)u1 + . . . + (µk−1 − λk−1)uk−1 .

Infine dividendo per λk − µk (lo posso fare perche sto supponendo λk 6= µk) riesco adesprimere uk come combinazione lineare dei precedenti.

Nel caso in cui λk = µk, si riesce comunque a trovare un indice i per cui si haλi 6= µi (altrimenti le due combinazioni sarebbero uguali).

A questo punto osservo che posso riordinare gli addendi nella (2.15) e ottenere(

λ1u1 + λ2u2 + . . . + λi−1ui−1 + λi+1ui+1 + . . . + λkuk

)

+ λiui =(

µ1u1 + µ2u2 + . . . + µi−1ui−1 + µi+1ui+1 + . . . + µkuk

)

+ µiui .

Isolando a sinistra gli addendi multipli di ui abbiamo

λiui − µiui =(

µ1u1 + . . . + µi−1ui−1 + µi+1ui+1 + . . . + µkuk

)

+−(

λ1u1 + . . . + λi−1ui−1 + λi+1ui+1 + . . . + λkuk

)

e ripeto il ragionamento di sopra. �

Osservazione 2.25. Notiamo che l’enunciato della proposizione non valeper liste di vettori arbitrarie. Ad esempio se considero

u1 =

(

10

)

, u2 =

(

01

)

, u3 =

(

11

)

e facile constatare che

u1 + u2 + 2u3 = 2u1 + 2u2 + u3 = 3u1 + 3u2 .

Definizione 2.14. Diciamo che una combinazione lineare

λ1u1 + . . . + λkuk

e banale, se tutti i suoi coefficienti sono nulli, o, equivalentemente, se il vettoredei coefficienti e il vettore nullo di Rk.

Chiaramente la combinazione lineare banale ha come risultato il vettorenullo 0V .

Dalla proposizione precedente ricaviamo che le liste di vettori indipendenti{u1, . . . ,uk} godono della seguente proprieta:

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148 2. SPAZI VETTORIALI

Proprieta 2.10. Se {u1, . . . ,uk} e una lista di vettori indipendenti l’u-nica combinazione lineare di u1, . . . ,uk che produce il vettore nullo e la combi-nazione banale.

Osserviamo che solo le liste di vettori indipendenti godono di questaproprieta. Infatti data una lista di vettori dipendenti, e sempre possibiletrovare una combinazione lineare non banale che produce il vettore nullo.

A titolo esemplificativo, supponiamo di avere 4 vettori u1, u2, u3, u4 dipen-denti, e supponiamo ad esempio che u4 sia ottenibile come combinazione linearedi u1, u2, u3

(2.16) u4 = 3u1 + 2u2 − 7u3

Allora portando a destra u4 otteniamo una combinazione lineare non banale ilcui risultato da il vettore nullo

3u1 + 2u2 − 7u3 − u4 = 0 .

Chiaramente si puo ripetere lo stesso ragionamento ogni volta che in una listaun vettore puo essere scritto come combinazione lineare degli altri.

Proposizione 2.11. Se i vettori {u1, . . . ,uk} sono linearmente dipendentiallora esiste una combinazione lineare non banale (in cui cioe almeno uno deicoefficienti e non nullo) il cui risultato e il vettore nullo. �

Esempio 2.26. Esaminiamo alcuni esempi.

(1) Verifichiamo che i seguenti vettori di R4

e1 =

1000

, e2 =

0100

, e3 =

0010

, e4 =

0001

sono linearemente indipendenti. Osserviamo che il risultato di unacombinazione lineare di e1, . . . ,e4 e facilmente calcolabile:

λe1 + µe2 + νe3 + ηe4 =

λµνη

Dunque se la combinazione lineare non e quella banale (ovvero almenouno tra i numeri λ, µ, ν, η e diverso da 0), il risultato non e il vettorenullo.

Per la Proposizione 2.11 i vettori e1, e2, e3, e4 non possono esseredipendenti, per cui sono indipendenti.

(2) Si puo generalizzare l’argomento dato sopra e mostrare che i vettori diRn

e1 =

100...0

, e2 =

010...0

, . . . , en =

000...1

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5. VETTORI LINEARMENTE INDIPENDENTI 149

siano indipendenti. Infatti se e possibile calcolare facilmente una com-bianzione lineare di tali vettori

λ1e1 + λ2e2 + . . . + λnen =

λ1...

λn

.

Dunque e evidente che l’unica combinazione lineare che da come risul-tato il vettore nullo e la combinazione banale.

Abbiamo visto nella precedente sezione che se ad una lista di generatori ag-giungiamo altri vettori, continuiamo ad avere liste di generatori. Tale proprietachiaramente non vale per le liste di vettori indipendenti. Infatti se alla lista

di vettori indipendenti

{

e1 =

(

10

)

, e2 =

(

01

)}

aggiungo il vettore u =

(

11

)

,

ottengo una lista di vettori linearmente dipendenti, in quanto u = e1 + e2.In effetti per gli insiemi di vettori linearmente indipendenti vale la proprieta

opposta: ovvero togliendo un po’ di vettori ad una lista di vettori indipendenti,continuiamo ad avere insiemi di vettori indipendenti.

Osservazione 2.27. Sia L = {u1, . . . ,uk} una lista di vettori linearmenteindipendenti di uno spazio vettoriale V .

Se L′ e un sottoinsieme e di L, allora anche L′ e un insieme di vettorilinearmente indipendenti

Infatti ogni combinazione lineare di vettori di L′ e anche una combinazionelineare di vettori di L. Dunque se riuscissimo a scrivere un vettore di L′ comecombinazione lineare degli altri elementi di L′ saremmo riusciti a scrivere talevettore come combinazione lineare degli altri vettori di L contraddicendo lalineare indipendenza.

Per concludere questa sezione vogliamo descrivere un modo semplice perverificare se una lista di vettori e linearmente indipendente.

Proposizione 2.12. Una lista di vettori {u1, . . .uk} in uno spazio vetto-riale V e linearmente indipendente se

• u1 6= 0,• u2 /∈ Span(u1),• u3 /∈ Span(u1, u2),• . . . ,• uk /∈ Span(u1, . . . ,uk−1).

Non daremo una dimostrazione generale di tale proposizione accontentandoci diverificarla nel caso k = 5. L’argomento che diamo pero puo essere utilizzato per listecontenenti un numero arbitrario di vettori.

Supponiamo di avere 5 vettori u1, . . . ,u5 in modo che nessuno si possa scriverecome combinazione lineare dei precedenti (ovvero che valga l’ipotesi della Proposizione).

Ora per ipotesi u5 non si puo scrivere come combinazione lineare di u1,u2,u3,u4.Supponiamo di poter scrivere u4 come combinazione lineare di u1,u2,u3,u5

u4 = λ1u1 + λ2u2 + λ3u3 + λ5u5

allora ci sono due casi:

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150 2. SPAZI VETTORIALI

• λ5 = 0: in questo caso risulta

u4 = λ1u1 + λ2u2 + λ3u3

il che contraddice l’assunzione che u4 non sia combinazione lineare dei pre-cedenti.

• λ5 6= 0: in questo caso isolando il termine λ5u5 otteniamo

λ5u5 = u4 − λ1u1 − λ2u2 − λ3u3

e dividendo per λ5 riusciremmo a scrivere u5 come combinazione lineare deiprecedenti.

Poiche in entrambi otteniamo una contraddizione della nostra ipotesi, ricaviamoche u4 non e combinazione lineare di u1,u2,u3,u5.

Supponiamo ora di poter scrivere u3 come combinazione lineare degli altri vettori

u3 = λ1u1 + λ2u2 + λ4u4 + λ5u5 .

Distinguiamo vari casi:

• λ4 = λ5 = 0: in tal caso avremmo che

u3 = λ1u1 + λ2u2

per cui u3 ∈ Span(u1,u2) che contraddice la nostra assunzione sulla lista divettori.

• λ5 = 0 ma λ4 6= 0: in tal caso avremmo

u3 = λ1u1 + λ2u2 + λ4u4

e dunque isolando il termine λ4u4 otteniamo

λ4u4 = u3 − λ1u1 − λ2u2

da cui dividendo per λ4 ricaviamo che u4 e combinazione lineare dei prece-denti.

• se λ5 6= 0 allora isolando ad un membro l’addendo λ5u5 otteniamo

λ5u5 = u3 − λ1u1 − λ2u2 − λ4u4

da cui ancora si ricava che u5 e combinazione lineare dei precedenti

Dunque in ciascun caso riusciamo a trovare una contraddizione rispetto alla nostraassunzione sulla lista.In definitiva non e possibile che u3 sia combinazione lineare deglialtri elementi della lista.

Ragionando in maniera del tutto analoga si giunge a mostrare che ne u2 ne u1

sono combinazioni lineari dei precedenti.

Esercizio 5.1. Si dimostri l’enunciato della Proposizione per liste contenenti 6vettori (ovvero k = 6).

6. Basi e coordinate

Abbiamo visto che una base {u0, v0, w0} di E3O soddisfa le due proprieta:

• e un sistema di generatori;• e formato da vettori indipendenti.

Vogliamo ora mostrare che tali proprieta caratterizzano le basi di E3O.

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6. BASI E COORDINATE 151

Proposizione 2.13. Sia L = {u1, . . . ,uk} una lista di vettori di E3O tale

che soddisfa le proprieta

• e un sistema di generatori;• e formato da vettori indipendenti.

Allora L e costituito da 3 vettori non complanari (in particolare k = 3).

Dimostrazione. Poiche un vettore genera una retta e due vettori indipen-denti generano un piano sicuramente L deve contenere almeno 3 vettori.

Poiche i vettori di L sono indipendenti allora u1 e u2 non sono paralleli, eu3 non e contenuto nel piano generato da u1 e u2.

Dunque i vettori u1, u2, u3 non sono complanari ed in particolare

Span(u1, u2, u3) = E3O.

Cio implica che L non puo contenere un altro vettore u4, perche altrimentiesso sarebbe una combinazione lineare di u1, u2, u3 contraddicendo l’assunzioneche i vettori di L siano indipendenti. �

La Proposizione 2.13 suggerisce che la definizione di base si puo generaliz-zare ad un qualsiasi spazio vettoriale nel seguente modo.

Definizione 2.15. Una base di V e un insieme B = {u1, . . .uk} di vettoridi V che soddisfa contemporaneamente le due proprieta:

• B e un sistema di generatori di V ;• i vettori di B sono linearmente indipendenti.

Esempio 2.28 ((Base canonica)). Abbiamo visto nelle precedenti sezioniche i vettori di Rn

e1 =

100...0

, e2 =

010...0

, . . . , en =

000...1

sono generatori di Rn linearmente indipendenti. Dunque essi formano una basedi Rn, che viene detta base canonica .

Ora si verifica facilmente che vale la seguente proposizione.

Proposizione 2.14. Sia B = {u1, . . . ,uk} una base di V . Allora dato unvettore v ∈ V esiste un’unica k-upla di numeri λ1, . . . , λk per cui

v = λ1u1 + . . . + λkuk .

Definizione 2.16. I numeri λ1, . . . , λk sono dette le coordinate di v

rispetto alla base B.Il vettore delle coordinate verra indicato nel seguente modo

[v]B =

λ1...

λk

.

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152 2. SPAZI VETTORIALI

Dimostrazione. Poiche B genera V , esiste una scelta di scalari λ1, . . . , λk

tali che

v = λ1u1 + . . . + λkuk .

Poiche u1, . . . ,uk sono indipendenti, si puo applicare la Proposizione 2.9che assicura che qualsiasi combinazione lineare diversa da λ1u1 + . . . + λkuk

produce un vettore diverso da v. �

Esempio 2.29. Come al solito, vediamo esplicitamente alcuni casi

(1) Calcoliamo le coordinate del vettore v =

1510

rispetto alla base

canonica di R3.Dobbiamo trovare tre numeri λ1, λ2, λ3 tali che

1510

= λ1

100

+ λ2

010

+ λ3

001

Osserviamo che calcolando il vettore a destra otteniamo

λ1

λ2

λ3

Dunque per avere l’uguaglianza che cerchiamo dobbiamo porre λ1 =1, λ2 = 5, λ3 = 10 e le coordinate del vettore v rispetto alla basecanonica coincidono con le componenti del vettore.

Chiaramente la stessa cosa vale per qualsiasi vettore di R3 e piu ingenerale vale il seguente risultato: le coordinate di un vettore v diRn rispetto alla base canonica coincidono con le componentidi v.

Come vedremo negli esempi successivi, se calcoliamo le coordinatedi un vettore di Rn rispetto ad una base diversa da quella canonica none piu vero che le coordinate del vettore coincidono con le componentidel vettore.

(2) Mostriamo che i vettori u1 =

110

, u2 =

1−10

, u3 =

001

formano

una base di R3 e calcoliamo le coordinate del vettore v =

201

rispetto

a tale base.Mostriamo che i vettori u1, u2, u3 sono linearmente indipendenti.

Chiaramente u2 non e multiplo di u1. Del resto tutte le combinazionilineari di u1 e u2 hanno l’ultima componente nulla, e dunque u3 nonpuo essere una combinazione lineare di tali vettori.

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6. BASI E COORDINATE 153

Mostriamo che i vettori u1, u2, u3 generano R3. Dobbiam mostrare

che qualsiasi vettore

abc

e combinazione lineare di u1, u2, u3. Ov-

vero, fissati dei valori arbitrari per a, b, c dobbiamo trovare dei valoriper λ1, λ2, λ3 in modo che

abc

= λ1

110

+ λ2

1−10

+ λ3

001

.

Svolgendo la combinazione lineare a destra otteniamo

abc

=

λ1 + λ2

λ1 − λ2

λ3

dunque i numeri λ1, λ2, λ3 che dobbiamo trovare devono essere solu-zioni del sistema

λ1 + λ2 = aλ1 − λ2 = bλ3 = c

ora questo sistema ha sempre soluzione qualsiasi siano i valori a, b, c,infatti si ha che

λ1 =a + b

2, λ2 =

a − b

2, λ3 = c

dunque Span(u1, u2, u3) = R3.Osserviamo che per calcolare le coordinate del vettore v dobbiamo

determinare i numeri per cui

v = λ1u1 + λ2u2 + λ3u3

e quindi dobbiamo ripetere il conto fatto per il generico vettore

abc

nel caso particolare a = 2, b = 0, c = 1 e ricaviamo

λ1 =2 + 0

2= 1, λ2 =

2 − 0

2= 1, λ3 = 1

Esercizio 6.1. Si risolvano i seguenti esercizi proposti.

(1) Si dimostri che i vettori u1 =

111

, u2 =

100

, u3 =

1−11

formano

una base di R3 e si calcolino le coordinate del vettore

324

rispetto a

tale base.

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154 2. SPAZI VETTORIALI

(2) Si dimostri che i vettori u1 =

100

, u2 =

110

, u3 =

1−11

formano

una base di R3 e si calcolino le coordinate del vettore

−374

rispetto

a tale base.

6.1. Esistenza e costruzioni di basi.Poniamoci la seguente domanda: Domanda: in uno spazio vettoriale V

posso trovare sempre una base?Chiaramente affinche si possa trovare una base e necessario che lo spazio

V sia finitamente generato e V 6= {0V }.Mostriamo ora un procedimento per costruire una base di V ogni volta che

sia noto un sistema di generatori per V . In maniera un po’ colloquiale possiamoaffermare che tale algoritmo funziona buttando via i vettori superflui.

In effetti descriveremo un algoritmo che funziona in maniera un po’ piugenerale. Prende come input una lista qualsiasi di vettori di V , diciamo L ={u1, . . .uk} e restituisce come output una sottolista L′ che gode delle seguentiproprieta

(1) L′ e un sistema linearmente indipendente(2) SpanL = SpanL′

Algoritmo 2.15 (di estrazione). Partiamo illustrando il funzionamentodell’algoritmo in un esempio: Supponiamo di avere la seguente lista di vettoriL di R4

u1 =

1010

, u2 =

0101

, u3 =

2323

, u4 =

1000

, u5 =

1111

.

Come prima cosa ci chiediamo se u5 e combinazione lineare dei precedenti(ovvero se u5 ∈ Span(u1, u2, u3, u4)). La risposta e positiva (infatti u5 =u1 + u2) e dunque lo cancelliamo dalla lista.

Ci chiediamo ora se u4 ∈ Span(u1, u2, u3). La risposta e negativa, per cuilo conserviamo.

Proseguiamo nello stesso modo, chiedendoci se u3 ∈ Span(u1, u2)). Larisposta e positiva, infatti u3 = 2u1 +3u2. In questo caso cancelliamo u3 dallalista.

Infine ci chiediamo se u2 ∈ Span(u1). La risposta e negativa e dunque loconserviamo.

Alla fine la lista di output e

L′ = {u1, u2, u4} .

Per costruzione, nessun vettore di L′ e combinazione lineare dei precedenti,per cui i vettori di L′ sono linearmente indipendenti.

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6. BASI E COORDINATE 155

Avendo eliminato due vettori di L, mi devo assicurare che lo SpanL′ siarimasto uguale a SpanL.

Poiche u5 ∈ Span(u1, u2, u3, u4) allora abbiamo visto che

Span(u1, u2, u3, u4, u5) = Span(u1, u2, u3, u4) .

Del resto poiche u3 ∈ Span(u1, u2) abbiamo che

Span(u1, u2, u3, u4) = Span(u1, u2, u4) .

Chiaramente si puo ripetere lo stesso algoritmo per ogni lista di vettoriL = {u1, . . . ,uk}.

Abbiamo un algoritmo in (k − 1)-passi, dove a ciascun passo si controlla seun vettore della lista e combinazione lineare dei precedenti. In caso positivo losi cancella, altrimenti lo si conserva.

L’output L′ sara formato da quei vettori di L che non sono combinazionelineare dei precedenti.

Chiaramente L′ e una lista di vettori indipendenti.Per verificare che SpanL′ = SpanL, possiamo ragionare come sopra. Infatti

osserviamo che a ciascun passo possiamo modificare la lista L, ma lo Spanrimane uguale. La cosa e chiara quando non cancelliamo il vettore che stiamoconsiderando (in questo caso non modifichiamo la lista). Del resto, nel casoin cui cancelliamo un vettore, questo risulta essere combinazione lineare deiprecedenti, e dunque eliminandolo lo Span risulta invariato.

Esercizio 6.2. Si applichi l’algoritmo di estrazione alle seguenti liste divettori

(1)

100

,

200

,

110

,

310

(2)

121

,

111

100

(3)

1100

,

0110

,

21−10

,

0011

,

1221

Quando L e un insieme di generatori per V , lo e anche la lista L′.Infatti si ha SpanL′ = SpanL = V . Poiche L′ e formato da vettori

indipendenti, esso costituisce una base.Con questo, abbiamo allora dimostrato il seguente risultato

Corollario 2.16. Se V e uno spazio finitamente generato diverso da {0V },allora ammette una base �

In effetti non e difficile mostrare che uno spazio vettoriale finitamente ge-nerato contiene infinite basi diverse.

Ad esempio, nel caso E3O abbiamo visto che le basi sono composte da

tre vettori non complanari. Essendoci infiniti modi di scegliere 3 vettori noncomplanari, E3

O contiene infinite basi.

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156 2. SPAZI VETTORIALI

Osservazione 2.30. Quando L non e una base di V , pssiamo considerareil sottospazio W = SpanL. Abbiamo visto che W e esso stesso uno spaziovettoriale in cui le operazioni di somma e moltiplicazione per scalare sono lerestrizioni delle corrispondenti operazioni su V .

Osserviamo che L′ e una lista di vettori indipendenti che genera W e dunqueL′ e una base di W .

Osservazione 2.31. La lista L′ prodotta dall’algoritmo dipende dall’ordinein cui consideriamo i vettori.

Ad esempio se applichiamo l’algoritmo alla lista(

10

)

,

(

01

)

,

(

11

)

otteniamo la lista L′ composta dai vettori(

10

)

,

(

01

)

.

Mentre se ordiniamo i vettori di L diversamente(

11

)

,

(

10

)

,

(

01

)

otteniamo la lista L′(

11

)

,

(

01

)

.

Si osservi che in entrambi i casi L′ e una lista di vettori indipendenti tali cheSpanL′ = SpanL (in questo caso risultano essere basi di R2)

Algoritmo 2.17 (Metodo di completamento). Ci poniamo ora il se-guente problema.

Domanda: Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato e

L = {u1, . . . ,uk}un insieme di vettori linearmente indipendenti di V . E possibile aggiungere adL un po’ di vettori, in modo da ottenere una base?

Per risolvere questo problema si procede in questo modo. Si fissa arbitra-riamente una base di V

{e1, . . . ,en} .

Si aggiungono i vettori ei in coda alla lista L ottenendo una nuova lista

L′ = {u1, . . . ,uk, e1, . . . ,en} .

Osserviamo che L′ e un insieme di generatori per V in quanto SpanL′

contiene Span {e1, . . . ,en} = V .Ora pero la lista L′ non e composta da vettori linearmente indipendenti,

infatti ciascun ui e combinazione lineare di e1, . . . ,en.Dunque applichiamo l’algoritmo di estrazione e otteniamo una base L′′.

Osserviamo che applicando l’algoritmo si cancellano solo i vettori di L′ chesono combinazione lineare dei precedenti. Siccome u1, . . . ,uk sono indipen-denti, nessuno di loro e combinazione dei precedenti e dunque essi sono tutticontenuti nella lista L′′.

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6. BASI E COORDINATE 157

Esempio 2.32. Completiamo la lista di vettori indipendenti

L =

111

,

120

ad una base di R3.Aggiungiamo ad L la base canonica di R3 e otteniamo la lista

L′ =

111

,

120

,

100

,

010

,

001

.

Ora applichiamo l’algoritmo di estrazione. Notiamo che

001

=

111

100

010

e dunque lo eliminiamo dalla lista.Allo stesso modo

010

=1

2

120

− 1

2

100

e dunque va eliminato.

Invece

100

/∈ Span(

111

,

120

), e dunque lo conserviamo e analogamente

120

non e multiplo di

111

e dunque viene conservato.

In definitiva la base che otteniamo e

L′′ =

111

,

120

,

100

6.2. Teorema della base.Abbiamo gia visto che in E3

O una base e formata da 3 vettori non complanari.Dunque, anche se esistono infinite basi di E3

O il numero degli elementi checostituiscono ciascuna base e sempre 3. In effetti tale numero e uguale al nu-mero di coordinate necessarie per individuare un vettore ed e un fatto intuitivoche sono necessari 3 numeri per individuare un punto dello spazio indipenden-temente dal sistema di riferimento. Per questa ragione alla fine diciamo che ladimensione di E3

O e 3.Tale osservazione sullo spazio geometrico si puo generalizzare a qualsiasi

spazio vettoriale. Infatti vale il seguente teorema fondamentale.

Teorema 2.18. Sia V spazio vettoriale finitamente generato e siano B, B′

due basi di V . Allora il numero di elementi di B e uguale al numero di elementidi B′.

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158 2. SPAZI VETTORIALI

Dimostreremo il Teorema 2.18 come conseguenza di alcune proprieta dellebasi che andiamo ora a verificare e riassumere nell’enunciato di due Lemmi.

Lemma 2.19. Aggiungendo o togliendo un vettore ad una base di V si ottieneuna lista che non e una base.

Dimostrazione. Come prima cosa osserviamo che se B = {u1, . . . ,uk} ebase di V , allora la lista B′ che si ottiene cancellando il vettore uk da B nonpuo essere una lista di generatori. Infatti poiche u1, . . . ,uk sono indipendenti,uk non e combinazione lineare dei vettori di B′ = {u1, . . . ,uk−1}. Chiaramentelo stesso discorso vale se cancelliamo da B un qualsiasi vettore.

D’altronde, se aggiungiamo a B un qualsiasi vettore v ∈ V , otteniamo unalista B′′ = {u1, . . . ,uk, v} che non puo essere un sistema linearmente indipen-dente. Infatti poiche u1, . . . ,uk sono generatori, il vettore v e una combinazionelineare dei precedenti nella lista B′′. �

Lemma 2.20. Sia v ∈ V . Sostituendo un vettore uj della lista B con v siottiene ancora una base purche la j-esima coordinata di v rispetto alla base Bsia non nulla.

Dimostrazione. Vediamo ora cosa succede se provo a sostituire il vettore uk

con un altro vettore v ∈ V , ottenendo cosı la nuova lista B′′′ = {u1, . . . ,uk−1,v}.Poiche B e una base, posso scrivere il vettore v come combinazione lineare di

u1, . . . ,uk.

v = λ1u1 + . . . + λkuk

dove λ1, . . . , λk sono le coordinate di v rispetto alla base B.Se λk = 0 risulta che v e combinazione lineare di {u1, . . . ,uk−1}, per cui la lista

B′′′ non e formata da vettori linearmente indipendenti.Invece se λk 6= 0, non e possibile che v sia combinazione di u1, . . . ,uk−1: infatti i

vettori che si ottengono come combinazione lineare di u1, . . . ,uk−1 sono caratterizzatida avere la coordinata λk nulla.

Dunque la lista B′′′ e composta da vettori indipendenti. D’altra parte osserviamoche uk e combinazione lineare di u1 . . . uk−1,v, infatti abbiamo

uk =1

λk

(v − λ1u1 − . . . − λk−1uk−1)

e dunque il vettore uk appartiene a SpanB′′′.Presa una combinazione lineare di u1, . . . ,uk

µ1u1 + . . . + µkuk .

osserviamo che tutti gli addendi che vi compaiono sono contenuti in SpanB′′′ e dun-que lo e anche la loro somma. Poiche tutti i vettori di V si possono ottenere comecombinazioni lineari di u1, . . ., uk, ricaviamo che SpanB′′′ = V .

Dunque B′′′ e anche un sistema di generatori e dunque e una base.

Chiaramente avremmo ottenuto lo stesso risultato sostituendo un qualsiasi vettore

uj di B con un vettore v, purche la j-esima coordinata di v rispetto alla base B fosse

non nulla �

Utilizzando le due proprieta esposte sopra nei Lemmi 2.19, 2.20 e possibiledimostrare il risultato fondamentale che ci permettera di dimostrare il Teorema2.18

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6. BASI E COORDINATE 159

Proposizione 2.21. Sia V spazio vettoriale e sia B = {u1, . . . ,uk} base diV . Una qualsiasi lista di vettori indipendenti D = {w1, . . . ,wk} contenente lostesso numero di elementi di B e una base.

Dimostrazione. L’idea della dimostrazione e quella di mostrare che e possibilescambiare uno alla volta gli elementi di B con gli elementi di D in modo da otteneresempre basi. Alla fine quando avremo scambiato tutti gli elementi risultera che Dstessa e una base.

Per semplicita ci limiteremo a mostrare questa procedura nel caso in cui le liste Be D siano formate da 4 vettori. Il caso generico e pero del tutto simile.

Sostituisco un elemento di B = {u1,u2,u3,u4} con w1. Per scegliere l’elementoda sostituire, guardo le coordinate di w1 rispetto a B e fisso l’elemento in modo chela corrispondente coordinata sia non nulla. Ottengo una nuova base B1 formata daw1 e tre vettori della base B. Poiche non e importante stabilire quali sono questi treelementi, li rinomino per semplicita z1,z2,z3. In tal modo la base B1 e formata daw1,z1,z2,z3.

A questo punto in B1 sostituisco uno tra z1,z2,z3 con w2. Per scegliere taleelemento scrivo w2 come combinazione lineare dei vettori B1, ovvero

w2 = λw1 + µ1z1 + µ2z2 + µ3z3

Poiche w2 non e multiplo di w1, uno tra µ1, µ2, µ3 deve essere non nullo. Scelgo dunquelo zi da sostituire in corrispondenza di un µi 6= 0.

Facendo tale scelta, otteniamo una nuova base B2 formata da w1,w2 e da altri duevettori che rinominiamo y1,y2.

A questo punto sostituisco in B2 uno tra y1,y2 con w3. Per scegliere l’elementoda sostituire come al solito scrivo w3 come combinazione lineare degli elmenti di B2

w3 = λ1w1 + λ2w2 + µ1y1 + µ2y2

Poiche w3 non e combinazione di w1 e w2 ricavo che µ1 e µ2 non possono essereentrambi nulli. Dunque scelgo il yi da sostituire in modo che il corrispondente µi sianon nullo.

Facendo questa sostituzione ottengo ancora una base B3 formata da w1,w2,w3 eun altro vettore che rinominiamo v. Ora se scriviamo w4 come combinazione linearedegli elementi di B4

w4 = λ1w1 + λ2w2 + λ3w3 + µv

osserviamo che µ 6= 0: altrimenti w4 sarebbe combinazione lineare di w1,w2,w3.Segue che sostituendo v con w4 ottengo di nuovo una base.

Ho dunque dimostrato che i vettori {w1,w2,w3,w4} formano una base. �

Possiamo ora dimostrare facilmente il Teorema 2.18

Dimostrazione del Teorema 2.18. Fissiamo due basi B = {u1, . . . ,uk}e D = {w1, . . . ,wh}. Supponiamo che B abbia meno elementi di D (ovverok ≤ h). Consideriamo la lista formata dai primi k vettori di D

D′ = {w1, . . . ,wk} .

Chiaramente D′ e formato da k vettori indipendenti. Applicando la Proposi-zione 2.21 a B e D′, deduciamo che D′ e una base. Poiche togliendo elementi dauna base non si ottiene mai una base (Lemma 2.19) concludiamo che D′ devecontenere tutti gli elementi di D, ovvero D′ = D. Segue che k = h. �

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160 2. SPAZI VETTORIALI

Osservazione 2.33. Come conseguenza immediata del Teorema 2.18, pos-siamo dire che una qualsiasi base di Rn contiene esattamente n elementi.

In base al risultato del Teorema 2.18 resta, pertanto, giustificata la seguente

Definizione 2.17. Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato. SeV 6= {0V } la dimensione di V –che denoteremo dim V – e il numero di elementiche costituiscono una base di V .

Se V = {0V } poniamo per convenzione dimV = 0.

Dal Teorema delle basi 2.18 ricaviamo anche due implicazioni molto impor-tanti:

Proposizione 2.22. Sia V spazio vettoriale con dim V = n, n ≥ 1.

(1) Una lista di vettori indipendenti contiene al massimo n elementi.(2) Applicando il metodo di completamento ad una lista L di k vettori

indipendenti (con k ≤ n), si aggiungono ad L esattamente n−k vettori.(3) Una lista L di n vettori indipendenti e una base.

Dimostrazione. Osserviamo che applicando il metodo di completamentosi ottiene una base B che contiene L. Ora B contiene n elementi come tutte lebasi di V , e L contiene k elementi.

E chiaro che k ≤ n e che il numero di elementi che bisogna aggiungere adL per ottenere una base e n − k.

Se n = k, abbiamo che B e L contengono lo stesso numero di elementi.Poiche L e un sottoinsieme di B, deduciamo che L = B e dunque L e unabase. �

Ed anche

Proposizione 2.23. Sia V spazio vettoriale con dim V = n, n ≥ 1.

(1) Una lista L = {v1, . . . , vk} di generatori contiene almeno n elementi(ovvero k ≥ n)

(2) Applicando l’algoritmo di estrazione ad una lista di k generatori (conk > n) si scartano esattamente k − n vettori

(3) Una sistema di n generatori e una base.

Dimostrazione. Applicando l’algoritmo di estrazione si trova una sotto-lista B di L che e una base e che dunque conta n elementi. Segue che k > n.Inoltre il numero di elementi che si e dovuto cancellare per ottenere B e n − kInfine se n = k, allora B = L e dunque L e una base �

Un modo per sintetizzare i contenuti delle due Proposizioni 2.22, 2.23 e ilseguente.

Corollario 2.24. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n e sia Luna lista di vettori. Se due delle seguenti proposizioni sono vere allora anchela terza e vera:

(1) L contiene n vettori;(2) L e un insieme di generatori;(3) L e un insieme linearmente indipendente.

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7. DIMENSIONE E SOTTOSPAZI 161

Esempio 2.34. Mostriamo che i vettori

u1 =

110

, u2 =

011

, u3 =

111

formano una base di R3.Osserviamo che poiche sono in numero giusto, sara sufficiente mostrare o

che sono indipendenti o che sono generatori di R3

Poiche in generale l’indipendenza e piu semplice da verificare, controlliamoquesta proprieta.

Chiaramente u2 non e multiplo di u1.Vediamo se u3 e combinazione lineare di u1 e u2. Ci chiediamo se e possibile

attribuire dei valori numerici a λ e µ in modo che valga la seguente uguaglianza

u3 = λu1 + µu2

Ora λ e µ dovrebbero essere soluzioni del sistema

λ = 1λ + µ = 1µ = 1

Tale sistema ovviamente non ha mai soluzione e dunque i vettori u1, u2, u3 sonouna base di R3.

7. Dimensione e sottospazi

Abbiamo gia osservato che se W e un sottospazio di uno spazio vettorialeV , allora le operazioni di somma e moltiplicazione per scalare su V induconosu W una struttura di spazio vettoriale.

In questa sezione ci porremo il problema di stabilire se e come sia possibiletrovare una base di un sottospazio di V .

Osserviamo che una base di W e una lista di vettori {w1, . . . ,wk} di W taliche

• Span(w1, . . . ,wk) = W .• {w1, . . . ,wk} sono linearmente indipendenti.

7.1. Sottospazi di spazi finitamente generati.Fissiamo uno spazio vettoriale finitamente generato V con dim V = n. Co-

me prima cosa ci domandiamo se i sottospazi di V sono tutti finitamente ge-nerati. In altre parole, dato un sottospazio W ⊂ V ci chiediamo se esiste unalista di vettori w1, . . . ,wk tali che W = Span(w1, . . . ,wk).

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162 2. SPAZI VETTORIALI

Proposizione 2.25. Sia V uno spazio finitamente generato con dimV =n. Allora ogni sottospazio W di V e finitamente generato. Inoltre si ha chedimW ≤ n. Se dimW = n allora W = V .

Dimostrazione. Fisso w1 ∈ W . Se W = Spanw1 mi fermo.Altrimenti fisso un elemento w2 ∈ W che non appartiene a Span(w1). Se

W = Span(w1, w2) mi fermo.Altrimenti fisso un elemento w3 ∈ W che non appartiene a Span(w1, w2, w3)

e continuo cosı.Questo algoritmo si ferma solo se ad un certo punto avro abbastanza ele-

menti w1 . . . ,wk tali che W = Span(w1, . . .wk). In particolare se W non efinitamente generato l’algoritmo non si ferma mai.

Del resto osserviamo che dopo k passi l’algoritmo produce una lista di kvettori indipendenti (infatti per costruzione nessuno e combinazione lineare deiprecedenti). Dunque per la Proposizione 2.22 mi devo fermare al massimo dopon passi. Supponiamo di fermarci al passo m. Allora abbiamo

(2.17) W = Span(w1, . . . ,wm)

ovvero W e generato da m vettori che sono indipendenti. Duque w1, . . . ,wm euna base di W e segue dim W = m.

Poiche abbiamo visto che mi devo fermare al massimo dopo n passi, si hadimW = m ≤ n.

Se mi fermo esattamente al passo n-esimo (ovvero n = m), allora w1, . . .,wm formano una lista di n vettori indipendenti, e sempre per la Proposizione2.22, essi formano una base di V , per cui abbiamo anche

Span(w1, . . . ,wn) = V

e confrontando tale uguaglianza con (2.17) concludiamo che W = V . �

Osservazione 2.35. Abbiamo ora gli strumenti per verificare che gli unicisottospazi di E3

O sono

(1){−−→

OO}

;

(2) le rette per O;(3) i piani per O;(4) E3

O.

Infatti se W e un sottospazio di E3O la dimensione di W puo assumere i

valori compresi tra 0 e 3.Se W ha dimensione 0 allora coincide con il sottospazio nullo.Se W ha dimensione 1, allora ammette una base composta da un solo vettore

u e dunque W = Spanu e una retta per O.Se W ha dimensione 2 allora ammette una base composta da due vetto-

re u, w. Osserviamo che poiche sono indipendenti, u, w non sono paralleli edunque W = Span(u, w) e un piano per O.

Infine se dimW = 3 allora W = E3O.

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7. DIMENSIONE E SOTTOSPAZI 163

7.2. Ricerca di una base del sottospazio somma.In questa sezione ci occuperemo del seguente problema:Problema: Supponiamo siano dati due sottospazi vettoriali U, W ⊂ V e

che siano note una base di U e una base di W . Come calcolare una base diU + W?

Tale problema ha una risposta molto semplice. Infatti se B = {u1, . . . ,uh}e base di U e B′ = {w1, . . . ,wk} e base di W allora la lista B ∪ B′ ottenutamettendo insieme B e B′ e un sistema di generatori di U + W . E dunqueapplicando l’algoritmo di estrazione a B ∪ B′ si ottiene una base di U + W .

Per verificare che B∪B′ e un insieme di generatori per U +W si osservi cheogni vettore v ∈ U + W puo essere decomposto in

v = u + w

con u ∈ U e w ∈ W . Del resto poiche B e base di U abbiamo che il vettore u

e combinazione lineare di u1 . . .uh

u = λ1u1 + . . . + λhuh

e analogamente avremo

w = µ1w1 + . . . + µkwk

Mettendo insieme queste uguaglianze otteniamo

v = λ1u1 + . . . + λhuh + µ1w1 + . . . + µkwk

ovvero v e combinazione lineare dei vettori u1, . . . ,uh, w1, . . . ,wk.

Esempio 2.36. 2.43 Consideriamo il caso U = SpanB e W = SpanB′ dove

B =

1101

,

1111

, B′ =

10−10

,

20−10

In questo caso B ∪ B′ e la lista

1101

,

1111

,

10−10

,

20−10

.

A questo punto applicando l’algoritmo di estrazione si verifica che il secondovettore non e multiplo del primo ne il terzo e combinazione lineare dei primidue. Invece il quarto si puo scrivere come

20−10

= 2

10−10

+

1111

1101

.

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164 2. SPAZI VETTORIALI

e dunque lo scartiamo. In definitiva una base di U + W e data dai vettori

1101

,

1111

,

10−10

Osservazione 2.37. L’esempio mostra che la lista B∪B′ non e in generaleformata da vettori indipendenti, dunque in generale non e una base diU + W .

Per ottenere una base bisogna applicare a tale lista l’algoritmo di estrazione.

7.3. La formula di Grassmann.In questa sezione dimostreremo un’importante relazione numerica — detta

formula di Grassmann — che lega la dimU e la dimW con la dim(U + W ) e ladim(U ∩ W ).

Proposizione 2.26. Siano U e W due sottospazi vettoriali di uno spaziovettoriale V finitamente generato. Allora si ha

dimU + dimW = dim(U ∩ W ) + dim(U + W )

Dimostrazione. Come prima cosa fissiamo una base di U ∩ W

BU∩W = {v1, . . . ,vk}in tal modo si ha che

(2.18) dim(U ∩ W ) = k .

Ora poiche U ∩ W e un sottospazio di U , possiamo applicare l’algoritmo di completa-mento a BU∩W e aggiungendo un certo numero di vettori u1, . . . ,up di U otteniamouna base di U della forma

BU = {v1, . . . ,vk,u1, . . . ,up}Osserviamo che tale lista contiene k + p vettori (k della base di U ∩ W piu p aggiuntidall’algoritmo di completamento). Dunque si ha

(2.19) dimU = k + p .

Poiche U∩W e anche sottospazio di W possiamo analogamente aggiungere a BU∩W

un certo numero di vettori w1, . . . ,wq di W e ottenere una base di W della forma

BW = {v1, . . . ,vk,w1, . . . ,wq} .

Questa lista contiene k + q elementi per cui si ha

(2.20) dimW = n + q

Da quanto visto nella sezione precedente, mettendo insieme BU e una base di BW

si ottiene un insieme di generatori di U + W . Ovvero la lista

{v1, . . . ,vk, u1, . . . ,up, v1, . . . ,vk, w1, . . . ,wq}e un insieme di generatori di U + W . Notiamo che in tale lista gli elementi v1, . . . ,vk

appaiono due volte, per cui eliminandoli la seconda volta che appaiono otteniamo unalista

L = {v1, . . . ,vk, u1, . . . ,up, w1, . . . ,wq}che e ancora una lista di generatori di U + W .

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7. DIMENSIONE E SOTTOSPAZI 165

Affermiamo ora che i vettori in L sono linearmente indipendenti. Prima di dimo-strare tale affermazione, vediamo come si puo concludere la dimostarzione. Poiche ivettori di L sono indipendenti e generano U +W , essi costituiscono una base di U +W .Dunque la dimensione di U + W e pari al numero di elementi che costituiscono L Talenumero e uguale a k + p + q e dunque si ha

(2.21) dim(U + W ) = k + p + q .

Ora dall’equazioni (2.19) e (2.20) si ha

dimU + dimW = k + p + k + q = 2k + p + q

Del resto per le equazioni (2.18) e (2.21) otteniamo che

dim(U ∩ W ) + dim(U + W ) = k + k + p + q = 2k + p + q .

Per cui conforntando queste uguaglianze deduciamo la formula

dimU + dimW = dim(U ∩ W ) + dim(U + W ) .

Per concludere la dimostrazione e allora sufficiente verificare che i vettori della listaL sono indipendenti. Verificheremo che se abbiamo una combinazione lineare nulla

(2.22) λ1v1 + . . . + λkvk + µ1u1 + . . . + µpup + ν1w1 + . . . + νqwq = 0V

allora necessariamente tutti i coefficienti sono uguali a 0.Come prima cosa mostreremo che sono nulli i coefficienti µ1, . . . , µp. Consideriamo

i due vettori

(2.23) x = λ1v1 + . . . λkvk + µ1u1 + . . . µpup y = ν1w1 + . . . νqwq

Osserviamo che x ∈ U perche e combinazione lineare di elementi di BU , mentre y ∈ Win quanto combinazione lineare di elementi di BW . Del resto per ipotesi si ha x+y = 0V ,per cui si ha

x = −y

Dunque deduciamo che x appartiene anche a W e dunque x ∈ U ∩ W . Questo vuoldire che x si scrive come combinazione lineare dei soli v1, . . . ,vk

x = α1v1 + . . . + vk .

Del resto essendo BU una base di U , se confrontiamo la decomposizione di x in (2.23)con questa decomposizione deduciamo che i coefficienti µ1, . . . , µp sono tutti nulli (eche i coefficienti λi sono uguali ai corrispondenti coefficienti αi).

Ora, se i coefficienti µ1, . . . , µp sono tutti nulli, la combinazione lineare (2.22)diventa

λ1v1 + . . . + λkvk + ν1w1 + . . . + νqwq = 0V

I vettori che appaiono in tale combinazione lineare sono tutti vettori di BW , e dunque

per ipotesi sono indipendenti. Si conclude che anche i coefficienti λ1, . . . λk, ν1, . . . , νq

sono tutti nulli. �

Osservazione 2.38. Definiamo la dimensione del sottospazio nullo ugualea 0. Con tale scelta la formula di Grassmann rimane valida anche quando U∩Wrisulta essere il sottospazio nullo.

Verifichiamo questa formula in alcuni casi particolari:

• Se U = W allora abbiamo visto che U + W = U + U = U mentreU ∩ W = U ∩ U = U , per cui la formula e banalmente vera.

• Se U ⊂ W , allora abbiamo visto che U + W = W mentre U ∩W = U .Ancora la formula risulta banalmente verificata.

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166 2. SPAZI VETTORIALI

• Se U ∩W = {0V }. In questo caso non ci sono vettori non nulli nell’in-tersezione. Per tale motivo la lista B ∪ B′ risulta composta da vettorilinearmente indipendenti (altrimenti il procedimento esposto nella se-zione precedente produrrebbe un vettore non nullo nell’intersezione).Dunque in questo acso abbiamo dim(U + W ) = dim U + dimW .

La formula di Grassmann ha alcune conseguenze molto semplici:

(1) In E3O due piani passanti per l’origine (e non coincidenti) si intersecano

lungo la retta passante per 0. Infatti siano U e W tali piani. AlloradimU = dimW = 2. Dunque per la formula di Grassmann

4 = dim(U + W ) + dim(U ∩ W )

Osserviamo che U + W e un sottospazio di E3O e dunque dim(U +

W ) ≤ 3. Dunque dim(U ∩ W ) ≥ 1. Dunque o dimU ∩ W = 1oppure dim(U ∩ W ) = 2. In quest’ultimo caso U ∩ W sarebbe unsottospazio di U di dimensione 2. Poiche U ha dimensione 2 segue cheU ∩ W = U , ovvero U ⊂ W , ma U e W hanno la stessa dimensione,per cui concluderei che U = W . Dunque dimU ∩ W = 1.

(2) Se U, W sono sottospazi di R10 di dimensioni 7 e 6 allora dim(U∩W ) ≥3: osserviamo in questo caso che dim(U + W ) ≤ 10 e dunque dallaformula di Grassmann otteniamo

13 − dim(U ∩ W ) ≤ 10

da cui dim(U ∩ W ) ≥ 3.(3) Analogamente al precedente caso se U, W sono sottospazi di R7 e U

ha dimensione 4 e W ha dimensione 5 allora dim(U ∩ W ) ≥ 2(4) In generale abbiamo che se dim(U)+dim(W ) ≥ dim(V ) allora dim(U∩

W ) ≥ dim(U)+dim(W )−dimV . In particolare se U ∩W = {0} alloradimU + dim W ≤ dimV .

8. Somma diretta di sottospazi

Definizione 2.18. Siano U, W sottospazi di V . Diremo che i due sottospazisono in somma diretta se U ∩W = {0}. In questo caso il sottospazio U + Wverra denotato U ⊕ W .

Dunque con il simbolo U ⊕ W denoteremo U + W solo nel caso in cuiU ∩ W = {0}.

Esempio 2.39. Due rette non coincidenti in E3O sono sempre in somma

diretta.Osserviamo invce che due piani non sono mai in somma diretta.Infatti che se dimU + dimW > dimV non e possibile che U e W siano in

somma diretta.

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8. SOMMA DIRETTA DI SOTTOSPAZI 167

Osservazione 2.40. Se U e W sono in somma diretta, dalla formula diGrassmann si ricava facilmente che

dim(U ⊕ W ) = dimU + dim W .

In particolare date una base B di U e una base B′ di W , la lista di vettori B∪B′

e una base di U ⊕W (infatti e un insieme di generatori che ha il numero giustodi elementi).

Osservazione 2.41. Supponiamo ora di avere due sottospazi U , W per cuivale la relazione dim(U +W ) = dimU +dimW . Allora sempre dalla formula diGrassmann deduciamo che dimU ∩ W = 0. Dunque U ∩ W e necessariamenteil sottospazio nullo, per cui U e W sono in somma diretta.

In altre parole i sottospazi in somma diretta sono caratterizzati dalla pro-prieta che la dimensione di U+W e uguale alla somma delle dimensioni. Ovveroche l’unione di una base di U e di una base di W e una base di U + W .

Le due osservazioni precedenti suggeriscono che la nozione di somma direttasi possa estendere al caso di molti sottospazi.

Definizione 2.19. Un insieme di sottospazi U1 . . . , Uk si dice in sommadiretta se comunque sia fissata una base B1 di U1, una base B2 di U2 etc.l’unione di tali basi B = B1 ∪ . . .∪B2 e una base per U1 + U2 + . . . + Uk. In talcaso la somma di questi sottospazi verra denotata con

U1 ⊕ U2 ⊕ . . . ⊕ Uk .

Osservazione 2.42. Se U1 . . . , Uk sono in somma diretta allora

dim(U1 ⊕ U2 ⊕ . . . ⊕ Uk) = dimU1 + dimU2 + . . . + dimUk .

ATTENZIONE:per verificare che U1, . . . , Uk siano in somma diretta NON e sufficiente mostrareche siano a due a due in somma diretta. Ad esempio se

U1 = Spanu1, U2 = Spanu2, U3 = Spanu3

sono rette su un piano allora chiaramente si ha che a due a due si intersecanonell’origine (e dunque U1 e U2 sono in somma diretta, cosı come lo sono i duesottospazi U1 e U3 e i due sottospazi U2 e U3)

Del resto U1 + U2 + U3 ıl piano che contiene le tre rette ma non e vero che{u1, u2, u3} e una base del piano.

La caratterizzazione piu semplice di spazi in somma diretta e la seguente.

Proposizione 2.27. U1, . . . , Uk sono in somma diretta se

• U2 ∩ U1 = {0V };• U3 ∩ (U1 ⊕ U2) = {0V };• U4 ∩ (U1 ⊕ U2 ⊕ U3) = {0V }• e cosı via.

Definizione 2.20. Sia U sottospazio di V . Un sottospazio W si dicecomplementare di U in V se

V = U ⊕ W

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168 2. SPAZI VETTORIALI

Se U e un piano passante per l’origine in E3O, un complementare di U e una

qualsiasi retta non contenuta in U passante per l’origine.Analogamente se U e una retta passante per l’origine, un qualsiasi piano

che non la contiene e un suo complementare.In particolare si ha che in generale un sottospazio ammette infiniti

complementari.Se V ha dimensione n e U ha dimensione k, un complementare di U ha

dimensione n − k. Infatti abbiamo visto che per spazi in somma diretta valela proprieta che il sottospazio somma ha dimensione uguale alla somma deisottospazi per cui si ha

dim V = dim(U ⊕ W ) = dimU + dimW = k + dimW

Viceversa se U e W sono in somma diretta e dimW = n − k, allora risultache dim(U ⊕ W ) = k + (n − k) = n e dunque U ⊕ W = V .

Possiamo riassumere questa osservazione con il seguente enunciato.

Proposizione 2.28. Sia V spazio vettoriale di dimensione n e U sottospaziodi V di dimensione k. Un sottospazio W di V e un complementare di U se esolo se U ∩ W = {0} e dimW = n − k

Problema: dato un sottospazio U di W , come faccio a trovarne un com-plementare?

Fisso una base B = {u1, . . . ,uk} di W . Con il metodo di completamento ot-tengo una base B′ = {u1, . . . ,uk, w1, . . . ,wn−k} di V che contiene B. Considerola lista dei vettori che sono stati aggiunti a B

B′′ = {w1, . . . ,wn−k}Pongo W = SpanB′′.

Si osservi che U + W = V infatti la lista B = B′′ = B′ e un sistemadi generatori per V . Inoltre osserviamo che dim U = k, dimW = n − k edim(U + W ) = n per cui U e W sono in somma diretta.

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9. RICERCA DI UNA BASE DEL SOTTOSPAZIO INTERSEZIONE 169

APPENDICE

9. Ricerca di una base del sottospazio intersezione

Nella sezione 7.2 abbiamo mostrato come trovare una base della somma, ciponiamo il problema di determinare una base dell’interesezione. Come vedremola soluzione per questo problema e lievemente piu sofisticata.

Consideriamo l’esempio 2.43. In quell’esempio avevamo U = SpanB e W =SpanB′ dove

B =

1101

,

1111

, B′ =

10−10

,

20−10

Applicando l’algoritmo di estrazione a B∪B′ abbiamo scartato il vettore

20−10

in quanto questo vettore si puo scrivere come combinazione lineare dei prece-denti

20−10

= 2

10−10

+

1111

1101

.

Portando a sinistra il vettore di B′ ricaviamo che

20−10

− 2

10−10

=

1111

1101

=

0010

.

Tali uguaglianze mostrano che il vettore

0010

puo essere scritto sia come com-

binazione lineare dei vettori della lista B sia come combinazione lineare deivettori di B′.

Dunque tale vettore appartiene sia ad U che a W , ovvero abbiamo deter-minato un vettore che appartiene all’intersezione U ∩ W .

Cio succede in generale. Sia B = {u1, . . . ,uh} base di un sottospazio U eB′ = {w1, . . . ,wk} base di W . Applicando l’algoritmo di estrazione a B ∪ B′,ogni volta che viene scartato un vettore, se ne produce contestualmente unaltro che appartiene a U ∩ W .

Proviamo ad analizzare un altro esempio

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170 2. SPAZI VETTORIALI

Esempio 2.43. Supponiamo che U, W siano sottospazi di R4 e che una basedi U sia

B =

1101

,

1111

,

1−10−1

mentre una base di W sia data dai vettori

B′ =

0110

,

1110

,

2221

.

Applicando l’algoritmo di estrazione a B∪B′ scartiamo il vettore

1110

in quanto

(2.24)

1110

=

0110

+1

2

1101

+1

2

1−10−1

e il vettore

2221

in quanto

(2.25)

2221

=

0110

+1

2

1101

+

1111

1

2

1−10−1

Ora se nelle uguaglianze (2.24) e (2.25) raggruppiamo nel primo membro tuttigli addendi corrispondenti a elementi di B′ e nel secondo membro tutti gliaddendi corrispondenti a elementi di B otteniamo le uguaglianze

1110

0110

= 12

1101

+ 12

1−10−1

=

1000

2221

0110

= 12

1101

+

1111

12

1−10−1

=

2111

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9. RICERCA DI UNA BASE DEL SOTTOSPAZIO INTERSEZIONE 171

Come abbiamo scritto i vettori

1000

e

2111

sia come combinazione lineare di

elementi di B sia come combinazione lineare di elementi di B′. Dunque essiappartengono a U ∩ W .

Osservazione 2.44. Vogliamo insistere sul fatto che i vettori che abbiamoottenuto in U ∩W NON sono i vettori della lista B ∪B′ che abbiamo scartato.

Consideriamo ora il caso generale in cui

B = {u1, . . . ,uh}e

B′ = {w1, . . . ,wk} .

Applico l’algoritmo di estrazione a B ∪ B′ = {u1, . . . ,uh, w1, . . . ,wk}.Osserviamo che nessuno dei vettori ui combinazione lineare dei precedenti

per cui nessuno di tali vettori verra scartato nel processo algoritmico.Supponiamo che uno dei wj venga scartato. Allora lui sara combinazione

lineare dei precedenti u1, . . . ,uh, w1, . . . ,wj−1, ovvero potro scrivere wj nelseguente modo

wj = λ1u1 + . . . + λhuh + µ1w1 + . . . + µj−1wj−1 .

Riordinando i termini di questa uguaglianza in modo che tutti i vettori dellalista B si trovino a destra a e tutti i vettori della lista B′ si trovino a sinistraotteniamo

wj − µ1w1 − . . . − µj−1wj−1 = λ1u1 + . . . + λhuh

I due membri di questa uguaglianza sono rispettivamente una combinazionelineare dei vettori di B′ e una combinazione lineare dei vettori di B che diconseguenza producono lo stesso vettore v. Tale vettore e dunque rappresenta-bile sia come combinazione lineare di B che come combinazione lineare di B′ edunque appartiene a U ∩ W

Ora applicando questo processo ogni volta che scarto un vettore nella listaB ∪ B′ ottengo una certa lista di vettori di U ∩ W .

{v1, . . . ,vm}(dove ancora una volta rimarchiamo che in generale i vettori vj non compaiononella lista B ∪ B′).

Vale la seguente proprieta che non dimostreremo

Proposizione 2.29. La lista {v1, . . . ,vm} e una base di U ∩ W .

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CAPITOLO 3

Matrici

1. Lo spazio delle matrici k × n

Definizione 3.1. Una matrice A e una tabella rettangolare di numeri,detti entrate (o elementi, o anche, talora, coefficienti) della matrice, diciamoche A ha ordine k × n se ha k righe e n colonne.Una matrice si dice quadrata se il numero di righe e uguale al numero dicolonne.Una matrice 1× n (con una sola riga) e detta vettore riga, una matrice k × 1(con una sola colonna) e detta vettore colonna.

Esempio 3.1.Ecco un esempio di una matrice 3 × 4:

A =

1 2 −1 247 18 15 −19−1 0 −1 0

.

Questa e una matrice quadrata 3 × 3:

B =

1 −1 3272 −10 779 1 10

.

Questa e una matrice 1 × 4, quindi un vettore riga:(

1 2 −1 17)

,

mentre questa e una matrice 5 × 1, quindi un vettore colonna:

1−1105711

.

Si noti che due matrici hanno lo stesso ordine se hanno sia lo stesso numerodi righe che lo stesso numero di colonne. Ad esempio le matrici seguenti hannoordine diverso:

1 −1 32 7 472 −10 77 15 179 1 10 16 11

1 10 37 −13 79 1 10−9 −1 −73 −3 15

.

Si osservi che il loro ordine e rispettivamente 3 × 5 e 5 × 3.

173

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174 3. MATRICI

Osservazione 3.2. Una matrice 1 × 1 e formata da un solo numero (unariga e una colonna), identificheremo la matrice col numero stesso.I vettori colonna k × 1 possono essere identificati con i vettori di Rk, visti nelcapitolo 2.

Le matrici sono normalmente indicate con lettere maiuscole. Osserviamoche gli elementi di Rk possono essere denotati sia in grassetto (come normal-mente denotiamo i vettori) che con una lettera maiuscola (pensandoli comematrici colonna). Nel seguito utilizzeremo entrambe le notazioni in maniera deltutto equivalente.

Per i vettori di Rn, c’e una chiara numerazione delle entrate. Per cui, adesempio, la terza entrata del vettore

w =

17−531015

e il numero w3 = −5.Per individuare un’entrata di una matrice c’e bisogno di una doppia nume-

razione: bisogna infatti specificare a quale riga e a quale colonna appartiene.Ad esempio se consideriamo la matrice

A =

1 −1 32 7 472 −10 77 15 179 1 10 16 11

l’entrata in posizione (2, 3) viene individuata considerando il numero sullaseconda riga della terza colonna. In questo caso scriviamo

a2 3 = 77

In generale:• aij e l’entrata della matrice A che si trova sulla riga i e colonna j.

Le posizioni delle entrate di una matrice sono dunque individuate da due indici.Il primo viene detto indice di riga e indica la riga in cui l’entrata e posta. Ilsecondo numero e detto indice di colonna e indica la colonna in cui l’entratae posta. Osserviamo che se la matrice ha ordine k × n, l’indice di riga e unnumero intero compreso tra 1 e k, mentre l’indice di colonna e un numerointero compreso tra 1 e n. In altre parole le entrate della matrice sono tuttedella forma aij dove i = 1, . . . , k e j = 1, . . . , n.Dunque la matrice generica k × n puo essere scritta nel seguente modo

A =

a11 a12 a13 . . . a1n

a21 a22 a23 . . . a2n...

......

. . ....

ak1 ak2 ak3 . . . akn

,

oppure A = (aij), i = 1, . . . k j = 1, . . . , n.

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1. LO SPAZIO DELLE MATRICI k × n 175

1.1. Righe e colonne di una matrice.

Notazione 3.2.

• Data una matrice A di ordine k × n denotiamo con A1, A2, . . . , An lesue colonne e scriviamo

A = (A1|A2| . . . |An) .

• Data una matrice A di ordine k × n denotiamo con A1, . . . , Ak le suerighe e scriviamo:

A =

A1

A2...

Ak

.

Ad esempio se consideriamo la matrice 3 × 4

A =

8 7 5 1811 −3 −65 363 8 9 51

avremo

A1 =

8113

, A2 =

7−38

, A3 =

5−659

, A4 =

183651

.

Osserviamo che le colonne di una matrice A di ordine k×n sono vettori colonnak × 1, contenenti esattamente k numeri (uno per ciascuna riga), dunque sonovettori di Rk.La componente i del vettore A1 e l’entrata sulla riga i della prima colonna diA e dunque (A1)i = ai1. In generale si verifica che la componente i-esima delvettore Aj e

(Aj)i = aij .

Inoltre, se consideriamo l’esempio precedente abbiamo

A1 = (8, 7, 5, 18) , A2 = (11,−3,−65, 36), A3 = (3, 8, 9, 51) .

Osserviamo che le righe di A sono vettori riga 1 × n, contenenti ciascuno nentrate (una per ogni colonna).La componente j-esima della prima riga e l’entrata sulla colonna j riga 1. Dun-que si ha (A1)j = a1j . Analogamente la componente j-esima della riga Ai

e

(Ai)j = aij .

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176 3. MATRICI

1.2. Struttura di spazio vettoriale sullo spazio delle matrici k×n.

Definizione 3.3. Dati una matrice A di tipo k×n ed un numero reale λ, sidefinisce la matrice λA come la matrice ottenuta moltiplicando tutte le colonnedi A per il numero λ.Se A = (A1|A2| · · · |An), allora λA = (λA1|λA2| · · · |λAn) .

Osserviamo che:

(1) λA e una matrice di ordine k × n, come la matrice A;(2) λA si ottiene moltiplicando tutte le entrate di A per il numero λ, cioe

l’entrata di posto (i, j) della matrice λA e λaij .

Ad esempio abbiamo:

3

1 −1 32 7 472 −10 77 15 179 1 10 16 11

=

3 −3 96 21 12216 −30 231 45 5127 3 30 48 33

Definizione 3.4. Date due matrici A, B dello stesso ordine, k × n, lamatrice somma A+B e definita come la matrice ottenuta sommando le colonnedi A con le rispettive colonne di B.Se A = (A1|A2| . . . |An) e B = (B1|B2| . . . |Bn), allora

A + B = (A1 + B1|A2 + B2| . . . |An + Bn) .

Osserviamo che:

(1) A + B e una matrice di ordine k × n, come le matrici A e B;(2) A + B si ottiene sommando tutte le entrate di A con le entrate di B

posto per posto, cioe l’entrata di posto (i, j) della matrice A + B eaij + bij .

Ad esempio abbiamo:

1 −1 3010 15 −311 7 −2

+

7 1 35 9 4−3 6 8

=

8 0 3315 24 18 13 6

.

Nota bene: Due matrici di ordini diversi NON possono essere sommate.

Definizione 3.5. Indichiamo con

MR(k, n) = {matrici di ordine k × n ed entrate reali}l’insieme di tutte le matrici di ordine k × n ad elementi in R.

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1. LO SPAZIO DELLE MATRICI k × n 177

Nel caso di matrici quadrate semplificheremo la notazione indicando con MR(n)l’insieme delle matrici n × n.

Nell’insieme MR(k, n) abbiamo definito due operazioni:

(1) la somma di matrici,(2) la moltiplicazione di una matrice per un numero reale.

E semplice verificare che tali operazioni verificano tutte le proprieta (2.3). . . (2.3) e (2.3) . . . (2.3) e enunciate nella Definizione 2.3 del Capitolo 2.

In particolare l’elemento neutro della somma –detta matrice nulla e de-notata con Ok×n– e la matrice k × n le cui entrate sono tutte nulle.

Proposizione 3.1. MR(k, n) e uno spazio vettoriale su R.

Lasciamo la verifica di questa proposizione allo studente interessato.Ci preoccupiamo ora di studiare la dimensione dello spazio MR(k, n). Con-

sideriamo le matrici di MR(k, n) le cui entrate sono tutte nulle tranne una chee uguale a 1. In particolare, fissata una posizione (i, j), denotiamo con Ei j lamatrice composta da tutti 0 tranne 1 nella posizione (i, j).

Ad esempio nel caso k = 3, n = 2 abbiamo

E1 1 =

1 00 00 0

E1 2 =

0 10 00 0

E2 1 =

0 01 00 0

E2 2 =

0 00 10 0

E3 1 =

0 00 01 0

E3 2 =

0 00 00 1

Consideriamo ora una combinazione lineare di tutte le matrici Ei j . Adesempio ne caso k = 2, n = 3 consideriamo la combinazione lineare

10

1 00 00 0

+ 17

0 10 00 0

+ 2

0 01 00 0

− 8

0 00 10 0

+ 7

0 00 01 0

+ 15

0 00 00 1

=

10 172 −87 15

.

Osserviamo che i risultato di questa combinazione e la matrice le cui entratesono proprio i coefficienti della combinazione lineare. Piu precisamente l’entratain posizione (i, j) del risultato e uguale al coefficiente che moltiplica la matriceEi j .

Questo e un fatto generale. Ovvero ogni combinazione lineare delle matriciEi j di MR(k, n)

λ1 1E1 1 + λ2 1E2 1 + . . . + λ12E1 2 + . . . + λ2 nE2 n + . . . + λk 1En 1 + . . . λk nEk n

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178 3. MATRICI

da come risultato la matrice A la cui entrata ai j coincide con il coefficiente λi,j .Cio mostra che l’unica combinazione lineare delle matrici Ei j che produce

la matrice nulla e la combinazione banale (ovvero corrisponde alla scelta ditutti i coefficienti della combinazione nulli). Segue che le matrici Ei j sonoindipendenti.

Inoltre e possibile esprimere una qualsiasi matrice A di ordine k × n comecombinazione delle matrici Eij fissando i coefficienti λij della combinazioneuguale all’entrata aij della matrice. Possiamo quindi concludere con la seguenteproprieta:

Proposizione 3.2. Le matrici Eij formano una base dello spazio MR(k, n).In particolare MR(k, n) e uno spazio vettoriale finitamente generato di

dimensione kn.

2. Moltiplicazione tra matrici

2.1. Moltiplicazione matrice-vettore.

Prima di definire la moltiplicazione tra matrici definiamo il prodotto tramatrice e vettore colonna.

Definizione 3.6. Siano A ∈ MR(k, n) e X ∈ Rn.Il prodotto AX e per definizione la combinazione lineare delle colonne di A

i cui coefficienti sono le entrate di X. In simboli:

AX = (A1|A2| . . . |An)

x1...

xn

= x1A

1 + x2A2 + . . . + xnAn.

Osserviamo che:

(1) Il prodotto tra una matrice A e un vettore colonna X e definito soloquando il numero di colonne di A e uguale al numero di entratedi X.

(2) Nel caso in cui si possa fare il prodotto tra la matrice A e il vettore X,il risultato AX e un vettore colonna in Rk dove k e il numerodi righe di A.

Esempio 3.3.

A =

1 −1 0 32 −5 −1 2−1 1 1 1

X =

210−1

In questo caso abbiamo

AX = 2

12−1

+ 1

−1−51

+ 0

0−11

− 1

321

=

−2−3−2

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2. MOLTIPLICAZIONE TRA MATRICI 179

Elenchiamo le principali proprieta del prodotto matrice per vettore.

Proprieta 3.3.

(1) Proprieta distributiva rispetto alla somma di matrici. Per ognicoppia di matrici A, B di ordine k × n e per ogni X ∈ Rn vale:

(A + B)X = AX + BX.

Infatti da una parte abbiamo che

(A + B)X = x1(A + B)1 + x2(A + B)2 + . . . + xn(A + B)n .

Poiche le colonne di A+B sono la somma delle corrispondenti colonnedi A e di B possiamo concludere

(3.1) (A + B)X = x1(A1 + B1) + x2(A

2 + B2) + . . . + xn(An + Bn) .

Del resto si ha che

AX + BX = (x1A1 + x2A

2 + . . . + xnAn)

+ (x1B1 + x2B

2 + . . . + xnBn)

e riordinando i termini otteniamo

(3.2) AX + BX = x1(A1 + B1) + x2(A

2 + B2) + . . . + xn(An + Bn) .

Confrontando il secondo membro della (3.1) con il secondo membrodella (3.2) si ottiene l’uguaglianza cercata.

(2) Proprieta distributiva rispetto alla somma di vettori. Per ognimatrice A di ordine k × n e per ogni X, Y ∈ Rn vale:

A(X + Y ) = AX + AY.

Infatti da una parte abbiamo

(3.3) A(X + Y ) = (x1 + y1)A1 + (x2 + y2)A

2 + . . . + (xn + yn)An .

Dall’altra si ha

AX + AY = (x1A1 + x2A

2 . . . + xnAn)

+ (y1A1 + y2A

2 + . . . + ynAn)(3.4)

e confrontando la (3.3) con la (3.4) si ha l’uguaglianza cercata.

(3) Omogeneita. Per ogni matrice A di ordine k × n, per ogni X ∈ Rn eper ogni λ numero reale si ha:

A(λX) = (λA)X = λ(AX).

Infatti osserviamo che il primo membro e uguale a

(λx1)A1 + (λx2)A

2 + . . . + (λxn)An

il secondo membro e uguale a

x1λA1 + x2λA2 + . . . + xnλAn

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180 3. MATRICI

mentre infine il terzo membro e uguale a

λ(x1A1 + x2A

2 + . . . + xnAn) .

Confrontando queste espressioni l’uguaglianza cercata segue facilmen-te.

(4) Per ogni matrice A di ordine k × n, si ha:

A0n = 0k.

Infatti A0n e per definizione la combinazione banale delle colonne diA.

(5) Per ogni X ∈ Rn, si ha:

Ok×nX = 0k.

Infatti le colonne di Ok×n coincidono tutte con il vettore nullo di Rk.

(6) Sia ej il vettore j-esimo della base canonica di Rn. Per ogni matriceA di ordine k × n si ha:

Aej = Aj .

Osserviamo che il prodotto di A con e1 e dato da:

(A1|A2| . . . |An)

10...0

= 1A1 + 0A2 + . . . + 0An = A1

ovvero la prima colonna di A.

(7) Per ogni vettore riga A di ordine 1× n e per ogni X ∈ Rn, il prodottoAX e un numero reale.

Esempio 3.4. A = (1,−1, 0, 3) e X =

210−1

. In questo caso

AX = 2 · 1 + 1 · −1 + 0 · 0 + (−1)3 = −2 .

Osservazione 3.5. Ora cerchiamo di capire nel caso generale come calco-lare la prima componente del prodotto AX. Osserviamo che si ha

AX = x1A1+. . .+xnAn = x1

a1 1

∗...∗

+x2

a1 2

∗...∗

+x3

a1 3

∗...∗

+. . .+xn

a1 n

∗...∗

per cui la prima entrata del vettore AX si ottiene sommando i prodotti delleentrate della prima riga di A con le corrispondenti entrate del vettore X. Ovvero

(AX)1 = A1X .

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2. MOLTIPLICAZIONE TRA MATRICI 181

Analogamente la seconda entrata di AX si ottiene moltiplicando la seconda rigadi A per X e cosı via. Sinteticamente abbiamo

AX =

A1XA2X

...AkX

.

2.2. Prodotto tra matrici.

Definizione 3.7. Siano A una matrice di ordine k × n e B una matrice diordine n × h. Definiamo il prodotto

AB = (AB1|AB2| . . . |ABh) ,

dove B1,. . . ,Bh sono le colonne di B.

Nota bene: Ogni colonna Bi della matrice B puo essere considerata unvettore di Rn, e dunque posso moltiplicare tale colonna per la matrice A. Ilprodotto ABi e quindi un vettore di Rk, quindi la matrice AB e una matricedi ordine k × h.

Osservazione 3.6. Date due matrici A, B posso fare il prodotto AB se esolo se il numero di colonne di A e uguale al numero di righe di B.Inoltre il numero di righe di AB e uguale al numero di righe di A mentre ilnumero di colonne di AB e uguale al numero di colonne di B.

Ovvero a livello di ordini si ha

A B = ABk × n n × h → k × h

.

Si noti che se A e un vettore riga allora anche AB e un vettore riga con unnumero di elementi pari al numero di colonne di B.

Invece se B e un vettore colonna allora anche AB e un vettore colonna conun numero di elementi pari al numero di righe di A.

Esempio 3.7. Consideriamo le due matrici

A =

1 −27 33 −2

B =

(

1 3 4 −11 −1 2 −2

)

In questo caso il numero di colonne di A e uguale al numero di righe di B edunque si puo considerare il prodotto AB. Inoltre l’ordine di AB e uguale a3 × 4.

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182 3. MATRICI

Calcolando otteniamo

1 −27 33 −2

(

1 3 4 −11 −1 2 −2

)

=

1

173

+ 1

−23−2

3

173

− 1

−23−2

4

173

+ 2

−23−2

−1

173

− 2

−23−2

=

−1 5 0 310 18 34 −131 11 8 1

.

Osservazione 3.8.

(1) L’elemento (i, j) della matrice AB e’ l’i-esimo elemento della colonnaj. La colonna j e il risultato del prodotto ABj . Da quanto visto l’i-esimo elemento di tale prodotto si ottiene moltiplicando la riga i-esimadi A per il vettore Bi. Ovvero abbiamo

(3.5) (AB)ij = AiBj

Per questo motivo la moltiplicazione di matrici e a volte detta molti-plicazione riga per colonna.

(2) La prima riga della matrice AB si ottiene moltiplicando la prima rigadi A per la matrice B ovvero si ha

(AB)1 = A1B .

Infatti per la (3.5) abbiamo

(AB)1 = (A1B1|A1B

2| . . . |A1Bh)

del resto si ha

A1B = (A1B1|A1B

2| . . . |A1Bh) .

Analogamente si puo mostrare che la seconda riga di AB si ottienemoltiplicando la seconda riga di A per la matrice B. In definitiva siha:

AB =

A1BA2B

...AkB

.

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2. MOLTIPLICAZIONE TRA MATRICI 183

2.3. Proprieta del prodotto tra matrici.

Enunciamo le principali proprieta del prodotto tra matrici:

Proprieta 3.4.

(1) Proprieta distributiva rispetto al primo fattore. Per ogni coppiadi matrici A, B di ordine k × n e per ogni matrice C di odine n × h siha:

(A + B)C = AC + BC.

Osserviamo che la prima colonna di (A + B)C e uguale a (A + B)C1.Per la proprieta distributiva del prodotto matrice per vettore rispettoalla somma di matrici abbiamo che

((A + B)C)1 = AC1 + BC1

il che mostra che la prima colonna di (A + B)C e uguale alla primacolonna di AC + BC. Ragionando in questo modo si mostra che lecolonne delle matrici (A + B)C e AC + BC sono a due a due uguali edunque le due matrici coincidono.

(2) Proprieta distributiva rispetto al secondo fattore . Per ognimatrice A di ordine k×n e per ogni coppia di matrici B e C di ordinen × h, si ha:

A(B + C) = AB + AC.

Confrontiamo la prima colonna di A(B + C) con la prima colonnadi AB + AC. Risulta che esse sono uguali rispettivamente a A(B1 +C1) e AB1 + AC1. Per la proprieta distributiva del prodotto matriceper vettore rispetto alla somma i vettori si conclude che le prime duecolonne sono uguali. Ragionando in questo modo si mostra che lecolonne di A(B + C) sono uguali alle colonne di AB + AC e dunquele due matrici sono uguali.

(3) Omogeneita del prodotto . Per ogni matrice A di ordine k×n, perogni matrice B di ordine n × h e per ogni numero reale λ, si ha:

(λA)B = A(λB) = λ(AB).

Infatti confrontando le colonne di queste matrici, esse risultanouguali per l’omogeneita del prodotto matrice per vettore.

(4) Proprieta associativa del prodotto. Se A, B e C sono matricitali che si possa fare il prodotto (AB)C, allora e possibile anche fareil prodotto A(BC) e inoltre si ha

A(BC) = (AB)C.

Mostriamo che se e possibile fare il prodotto (AB)C allora possoanche fare il prodotto A(BC) e gli ordini dei risultati sono uguali.Osserviamo che se A e di ordine k × n B sara del ordine n × h e il

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184 3. MATRICI

prodotto AB e di ordine k × h. Siccome posso produrre AB con Callora C e di ordine h×p e il risultato (AB)C e di ordine k×p. Dunquein definitiva abbiamo

( A B ) Ck × n n × h h × p → k × p

Osserviamo dunque che possiamo fare il prodotto (BC) che saradi ordine n × p e in definitiva e possibile fare il prodotto A(BC) e ilrisultato e sempre di ordine k × p.

A ( B C )k × n n × h h × p → k × p.

Verifica della proprieta associativa.

• Prima verificheremo l’uguaglianza nel caso particolare che C sia un vettoredella base canonica di Rh.

• In un secondo momento la verificheremo nel caso in cui C sia un qualsiasivettore colonna di Rh (ovvero p = 1).

• Infine lo verificheremo nel caso generale.

Caso 1: Assumiamo che C sia un vettore ei della base canonica di Rh. Allora siha (AB)ei = (AB)i = ABi. Del resto A(Bei) = ABi e dunque ricaviamo

(3.6) (AB)ei = A(Bei) .

Caso 2: Assumiamo che C sia un vettore colonna X di Rh. Considerando ladecomposizione di X

X = x1e1 + . . . + xnen

si ottiene

(AB)X = (AB)(x1e1 + . . . + xnen)

= (AB)(x1e1) + (AB)(x2e2) + . . . + (AB)(xnen)

dove l’ultima uguaglianza si ottiene applicando la proprieta distributiva. Per l’omoge-neita del prodotto abbiamo ancora che

(AB)X = x1(AB)e1 + x2(AB)e2 + . . . + xn(AB)en .

Analogamente si calcola che

A(BX) = x1A(Be1) + x2A(Be2) + . . . + xnA(Ben)

e per la (3.6) si conclude che

(3.7) (AB)X = A(BX) .

Caso 3: Supponiamo ora che C sia una qualsiasi matrice h × p. Allora la primacolonna della matrice (AB)C e il vettore (AB)C1. Del resto la prima colonna di A(BC)e uguale a A(BC)1 = A(BC1). Per la (3.7), la prima colonna di (AB)C e la primacolonna di A(BC) coincidono. Ragionando in maniera analoga si mostra che tutte lecolonne di (AB)C coincidono con le corrispondenti colonne di A(BC) e dunque le duematrici sono uguali.

Esiste anche un modo molto compatto per verificare la proprieta associativa: oc-

corre scrivere il prodotto righe per colonne fra matrici usando una notazione sintetica

di sommatoria, si veda l’appendice 8 alla fine del capitolo.

NOTA BENE: Il prodotto tra matrici NON e commutativo. Infatti:

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2. MOLTIPLICAZIONE TRA MATRICI 185

• Anzitutto, in generale se e possibile fare AB non e detto che si possafare BA. Ad esempio se A e 2 × 3 e B e 3 × 4 e possibile fare AB manon e possibile fare BA.

• Anche quando e possibile fare AB e BA non e detto che queste duematrici abbiano lo stesso ordine. Ad esempio se A e 2 × 3 e B e 3 × 2si ha che AB e 2 × 2 mentre BA e 3 × 3.

• Anche quando sia possibile fare i prodotti AB e BA e i risultati abbianolo stesso ordine non e detto che AB = BA. Ad esempio abbiamo

(

1 01 1

)(

0 11 1

)

=

(

0 11 2

)

,

mentre si ha(

0 11 1

)(

1 01 1

)

=

(

1 12 1

)

.

2.4. Matrice identita.

Definizione 3.8. La matrice identita n× n e la matrice quadrata n× nle cui colonne sono i vettori della base canonica di Rn:

In = (e1|e2| . . . |en) =

1 0 · · · 0 0

0 1...

.... . .

...0 0 1 00 0 · · · 0 1

Tale matrice ha alcune proprieta notevoli che vogliamo mettere in evidenza:

(1) Per ogni X ∈ Rn si ha:

InX = X .

Infatti abbiamo

InX = (e1|e2| . . . |en)X = x1e1 + x2e2 + . . . + xnen = X

(2) Per ogni matrice A di ordine n × h si ha:

InA = A .

Infatti InA = (InA1|InA2| . . . |InAh) e per il punto precedente le co-lonne di InA sono uguali ad A1, A2, . . . , Ah. Per cui in definitivaInA = A.

(3) Per ogni matrice A di ordine k × n si ha:

AIn = A .

Infatti AIn = A(e1|e2| . . . |en) = (Ae1|Ae2| . . . |Aen) e poiche Ae1 =A1, Ae2 = A2 e cosı via si conclude che AIn = A.

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186 3. MATRICI

3. Il prodotto tra matrici quadrate e l’invertibilita

Osserviamo che se A e B sono matrici quadrate n × n allora si puo fare ilprodotto tra A e B e il risultato AB e ancora una matrice n×n. In altre paroleil prodotto tra matrici e un’operazione interna di MR(n).

Vogliamo studiarne le principali proprieta confrontandole con le proprietadel prodotto tra numeri. Abbiamo gia osservato che questa operazione e asso-ciativa e distributiva rispetto alla somma, mentre non e commutativa. Inol-tre osserviamo che la matrice identita In e l’elemento neutro, infatti dallaprecedente sezione risulta che per ogni matrice A ∈ MR(n):

InA = AIn = A.

Questo ci consente di affermare la seguente

Proposizione 3.5. L’insieme MR(n) delle matrici quadrate reali di ordinen con le operazioni interne di addizione e moltiplicazione e un anello unitario(non commutativo).

Scopriremo in seguito che NON e integroL’inverso di un numero a e un numero 1

a caratterizzato dalla proprieta che

a · 1a = 1. Possiamo allora definire l’inverso di una matrice in modo del tutto

simile.

Definizione 3.9. Sia A ∈ MR(n), un’inversa per A e una matrice B ∈MR(n), tale che

(3.8) AB = BA = In .

Osservazione 3.9.

(1) Una matrice A non puo ammettere due inverse distinte. Infatti suppo-niamo che B e C siano inverse di A, e calcoliamo in due modi diversiil prodotto BAC: da una parte BAC = (BA)C = InC = C dall’altraBAC = B(AC) = BIn = B e dunque dovremmo avere C = B.

(2) Se una matrice A ammette un’inversa, questa inversa e unica e verradenotata con A−1.

Ci poniamo ora il seguente problema: quali matrici ammettono un’inversa?Come si calcola l’inversa?

Definizione 3.10. Una matrice A ∈ MR(n) che ammette un’inversa si diceinvertibile.

Come vedremo non tutte le matrici sono invertibili. Per mostrarlo verifi-cheremo prima di tutto che le matrici invertibili soddisfano alcune interessantiproprieta.

Data una matrice A ∈ MR(n), possiamo considerare l’equazione vettoriale

(3.9) AX = 0n .

Le soluzioni di tale equazione sono i vettori di Rn che moltiplicati per la matriceA danno come risultato il vettore nullo. Chiaramente il vettore nullo e sempre

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3. IL PRODOTTO TRA MATRICI QUADRATE E L’INVERTIBILITA 187

una soluzione dell’equazione (3.9), ma in generale non e l’unica soluzione. Adesempio se

A =

(

1 11 1

)

si verifica facilmente, per esempio, che anche X =

(

1−1

)

e soluzione (in realta,

lo sono tutti i vettori della forma X =

(

a−a

)

, con un qualunque numero a).

Lemma 3.6. Sia A ∈ MR(n) una matrice invertibile. Allora l’equazionevettoriale

AX = 0n

ammette come unica soluzione X = 0n.

Dimostrazione. Sia X una soluzione dell’equazione e calcoliamo A−1AXin due modi distinti. Da una parte osserviamo che

A−1AX = A−1(AX) = A−10n = 0n.

Dall’altra si haA−1AX = (A−1A)X = InX = X.

Da cui otteniamo X = 0n. �

Osserviamo subito che non puo esistere l’inversa della matrice A =

(

1 11 1

)

.

Infatti abbiamo visto che l’equazione AX = 02 ha soluzioni diverse dal vettorenullo.

Il fatto che la matrice A nell’esempio precedente non sia invertibile dipendedal fatto che le colonne di A sono dipendenti e dunque esistono combinazionilineari non banali che danno come risultato il vettore nullo.

Infatti vale la seguente semplice osservazione

Lemma 3.7. Sia A ∈ MR(n). Se X =

α1...

αn

e soluzione dell’equazione

AX = 0n allora la combinazione lineare delle colonne di A con coefficienti lecomponenti di X ha come i risultato il vettore nullo:

α1A1 + α2A

2 + . . . + αnAn = 0n .

Viceversa data una combinazione lineare di A1, . . . , An che produce il vettorenullo

λ1A1 + λ2A

2 + . . . + λnAn = 0n

allora il vettore dei coefficienti di tale combinazione e una soluzione dell’equa-zione AX = 0n.

Dimostrazione. La dimostrazione segue direttamente dell’osservazione cheper definizione si ha

AX = x1A1 + . . . + xnAn .

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188 3. MATRICI

Osservazione 3.10. Le colonne di una matrice sono linearmente indipen-denti se e soltanto se l’unica soluzione dell’equazione AX = 0n e X = 0n.Infatti abbiamo visto che la proprieta che caratterizza le liste di vettori indi-pendenti e che l’unica combinazione lineare che produce il vettore nullo e lacombinazione banale (con tutti i coefficienti nulli).

Proposizione 3.8. Sia A ∈ MR(n) una matrice invertibile, allora le co-lonne di A formano una base di Rn.

Dimostrazione. Per il Lemma 3.6 l’equazione AX = 0n ha come unicasoluzione il vettore nullo 0n. Per l’Osservazione 3.10 le colonne di A sonolinearmente indipendenti. Dunque poiche sono esattamente n, esse formanouna base di Rn. �

La Proposizione 3.8 ci da una condizione necessaria affinche una matricesia invertibile. Mostriamo ora che la condizione e anche sufficiente e che quin-di l’insieme delle matrici invertibili coincide con l’insieme della matrici le cuicolonne formano una base di Rn.

Proposizione 3.9. Sia A ∈ MR(n). Se le colonne di A formano una baseBA di Rn allora A e invertibile e le colonne di A−1 sono le coordinate deglielementi della base canonica rispetto alla base BA.

Dimostrazione. Consideriamo la matrice quadrata B di ordine n la cui primacolonna e il vettore delle coordinate di e1 rispetto a BA, la cui seconda colonna e ilvettore delle coordinate di e2 rispetto a BA e cosı via:

B = ([e1]BA| [e2]BA

|, . . . | [en]BA).

Allora si ha

AB = (A[e1]BA|A[e2]BA

| . . . |A[en]BA).

Ora se le cordinate di e1 rispetto BA sono λ1, . . . , λn, si ha

e1 = λ1A1 + λ2A

2 + . . . + λnAn .

Osserviamo del resto che

A[e1]BA= A

λ1

...λn

= λ1A

1 + λ1A2 + . . . + λnAn,

per cui deduciamo che A[e1]BA= e1. Allo stesso modo si deduce che A[ei]BA

= ei, peri = 2, . . . , n. In particolare abbiamo che

AB = (e1|e2| . . . |en) = In .

Ora per mostrare che B e l’inversa di A dobbiamo ancora verificare che BA = In.Mostriamo come prima cosa che le colonne di B sono indipendenti. Per l’Osser-

vazione 3.10 e sufficiente verificare che l’unica soluzione dell’equazione BX = 0n eX = 0n. In effetti se X = u e una soluzione di tale equazione allora abbiamo da unaparte che ABu = A(Bu) = A0n = 0n e dall’altra ABu = (AB)u = Inu = u da cuisegue che u e necessariamente 0n.

In particolare, le colonne della matrice B formano una base di Rn e ripetendo

lo stesso ragionamento fatto per A, esiste una matrice C tale che BC = In. Ora

sappiamo che AB = BC = In. Calcoliamo ABC in due modi diversi. Da una parte si

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3. IL PRODOTTO TRA MATRICI QUADRATE E L’INVERTIBILITA 189

ha ABC = (AB)C = InC = C. Dall’altra abbiamo invece ABC = A(BC) = AIn = A.

Da cio si deduce A = C per cui BA = BC = In. �

Esempio 3.11. Esaminiamo qualche esempio.

(1) Consideriamo la matrice 2 × 2

A =

(

1 11 −1

)

.

Osserviamo che le sue colonne

A1 =

(

11

)

, A2 =

(

1−1

)

sono indipendenti e dunque sono una base di R2. La matrice A edunque invertibile. Proviamo a calcolarne l’inversa: dobbiamo trovarele coordinate degli elementi della base canonica di R2 rispetto alla baseBA = {A1, A2}.

Calcoliamo prima di tutto le coordinate [e1]BA. Dobbiamo trovare

λ, µ tali che(

10

)

= λ

(

11

)

+ µ

(

1−1

)

.

Uguagliando cmponente per componente questa identita vettoriale ot-teniamo il sistema

{

λ + µ = 1λ − µ = 0

la cui unica soluzione e λ = 12 e µ = 1

2 . Ovvero [e1]BA=

(

1212

)

.

Analogamente per calcolare le coordinate del vettore e2 rispettoalla base BA bisogna trovare λ, µ tali che

(

01

)

= λ

(

11

)

+ µ

(

1−1

)

e calcolando come prima si ottiene λ = 12 e µ = −1

2 , per cui [e2]BA=

(

12−1

2

)

.

Dunque abbiamo

A−1 = ([e1]BA|[e2]BA

) =

(

12

12

12 −1

2

)

.

(2) Consideriamo la matrice 3 × 3

A =

1 0 11 1 10 1 1

.

Verifichiamo se le colonne di A sono indipendenti. Chiaramente A2

non e multiplo di A1. Se proviamo a scrivere A3 come combinazione

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190 3. MATRICI

lineare di A1 e A2 si ha

111

= λ

110

+ µ

011

.

Per cui λ e µ dovrebbero essere soluzioni del sistema

λ = 1λ + µ = 1µ = 1

Chiaramente questo sistema non ha soluzioni per cui A1, A2, A3 sonoindipendenti. Segue che la matrice A e invertibile.

Calcoliamo l’inversa.Come prima dobbiamo calcolare le coordinate dei vettori e1, e2, e3

della base canonica di R3 rispetto alla base BA.Ponendo

100

= λ

110

+ µ

011

+ ν

111

otteniamo che λ = 0, µ = −1, ν = 1 ovvero [e1]BA=

0−11

.

Ponendo

010

= λ

110

+ µ

011

+ ν

111

otteniamo λ = 1, µ = 1, ν = −1 ovvero [e2]BA=

11−1

.

Infine ponendo

001

= λ

110

+ µ

011

+ ν

111

si ricava λ = −1, µ = 0, ν = 1 ovvero [e3]BA=

−101

.

In definitiva si ha

A−1 = ([e1]BA|[e2]BA

|[e3]BA) =

0 1 −1−1 1 01 −1 1

.

Possiamo riassumere tutta la questione sull’invertibilita qui discussa nelseguente modo.

Teorema 3.10. Sia A ∈ MR(n), le seguenti proprieta sono equivalenti:

(1) A e invertibile;

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3. IL PRODOTTO TRA MATRICI QUADRATE E L’INVERTIBILITA 191

(2) le colonne di A formano una base di Rn;(3) l’equazione vettoriale AX = 0n ha come unica soluzione X = 0n.

Osservazione 3.12. Consideriamo un’equazione vettoriale del tipo

(3.10) AX = B,

dove A ∈ MR(n), e una matrice di ordine n × n e B e un vettore colonna diRn.

Vogliamo mostrare che se A e invertibile allora l’equazione ammette comeunica soluzione u = A−1B.

Prima di tutto mostriamo che u e soluzione. Infatti abbiamo

Au = A(A−1B) = (AA−1)B = InB = B .

Del resto se w e un’altra soluzione dell’equazione (3.10) allora avremmo

A(u − w) = Au − Aw = B − B = 0n

ovvero u−w sarebbe soluzione dell’equazione AX = 0n. Poiche abbiamo vistoche questa equazione ha solo soluzione banale nel caso in cui A sia invertibilene deduciamo che u−w = 0n, il che contraddice l’assunzione che w sia diversada u.

Riassumendo: nel caso in cui la matrice A sia invertibile, la soluzione del-l’equazione (3.10) si ottiene moltiplicando il termine noto B per l’inversa dellamatrice A.

Enunciamo alcune delle proprieta di cui godono le matrici invertibili.

(1) Se A e invertibile allora anche la matrice inversa A−1 e invertibile e siha (A−1)−1 = A.

(2) Se A e invertibile e λ 6= 0 allora λA e invertibile e si ha (λA)−1 = 1λA−1.

(3) Se A e B sono matrici invertibili di ordine n × n allora lo e anche ilprodotto AB e si ha (AB)−1 = B−1A−1.

Infatti se poniamo C = B−1A−1, allora

(AB)C = (AB)(B−1A−1) = A(BB−1)A−1 = AInA−1 = AA−1 = In

e analogamente C(AB) = B−1A−1AB = In.

(4) Se A e invertibile e AB = On×n allora B = On×n.Infatti calcolando A−1AB si ottiene da una parte (A−1A)B =

InB = B e dall’altra A−1(AB) = A−1On×n = On×n, da cui deduciamoche B = On×n.

Osservazione 3.13. L’ultima proprieta non vale per le matrici non inver-tibili. Infatti abbiamo visto che se A non e invertibile allora esiste un vettorenon nullo X tale che AX = 0n. Se consideriamo la matrice n×n le cui colonnesono tutte uguali al vettore X

B = (X|X|X| . . . |X)

si verifica facilmente che AB = On×n.

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192 3. MATRICI

Esempio 3.14. Si considerino le matrici

A =

(

1 02 0

)

e B =

(

0 01 1

)

.

E facile verificare che AB = O2×2.

Osservazione 3.15. Riassumendo, possiamo affermare, alla luce di quantodetto, che l’anello (MR(n), +, ∗) non e integro (Definizione 0.19).

Esercizio 3.1. Sia

A =

(

1 11 1

)

.

Lo studente determini una matrice 2× 2 B tale che AB = O2×2 (con B 6= B =O2×2).

Osservazione 3.16. Se A e B sono matrici n × n invertibili non e dettoche lo sia la loro somma. Ad esempio se B = −A si ha che A + B = On×n.

Osservazione 3.17. Se il prodotto AB di due matrici n × n e invertibileallora lo sono anche A e B. Infatti sia u una soluzione dell’equazione BX = 0n.Allora abbiamo

(AB)u = A(Bu) = A0n = 0n .

Dunque abbiamo che u e soluzione dell’equazione (AB)X = 0n. Poiche lamatrice AB e invertibile l’unica soluzione di tale equazione e 0n e dunquenecessariamente si deve avere u = 0n. In particolare abbiamo verificato chel’unica soluzione dell’equazione BX = 0n e 0n. Cio implica che la matrice B einvertibile.

Per verificare che A e invertibile osserviamo che possiamo scrivere

A = (AB)B−1

e dunque A e il prodotto di due matrici invertibili.

In base alle osservazioni precedenti e possibile mostrare la seguente propo-sizione; la verifica viene lasciata allo studente per esercizio.

Proposizione 3.11. L’insieme

(3.11) GL(n, R) = {M ∈ MR(n) | M e invertibile} ,

delle matrici quadrate reali di ordine n×n invertibili, e un gruppo (non commu-tativo) rispetto all’operazione di composizione interna data dal prodotto righeper colonne fra matrici. Il gruppo viene denominato gruppo lineare delle matricidi ordine n.

Dimostrazione. Le proprieta di gruppo sono immediatamente verificate;l’elemento neutro del gruppo e la matrice identita, e, per ogni matrice M l’e-lemento opposto (o inverso) e proprio la matrice inversa M−1, che appartienesempre all’insieme GL(n, R) (proprieta (1) della matrice inversa). �

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4. CAMBIAMENTI DI BASE 193

4. Cambiamenti di base

4.1. Calcolo delle coordinate di un vettore di Rn rispetto ad unabase qualsiasi.

Sia B = {u1, . . . ,un} una base di Rn. Dato un vettore v ∈ Rn, le suecoordinate rispetto alla base B sono gli scalari λ1, λ2, . . . , λn tali che

(3.12) v = λ1u1 + λ2u2 + . . . + λnun .

Se consideriamo la matrice A le cui colonne sono u1, u2, . . . ,un:

A = (u1|u2| . . . |un) ,

si osserva che il secondo membro della (3.12) si ottiene moltiplicando la matriceA per il vettore delle coordinate di v (ovvero il vettore ottenuto mettendo percolonna i numeri λi).

Segue che il vettore delle coordinate di v rispetto alla base B (ovvero il

vettore [v]B =

λ1...

λn

) e soluzione dell’equazione

AX = v .

Del resto, poiche la matrice A e invertibile (le sue colonne sono linearmenteindipendenti; vd Teorema 3.10) la soluzione di questa equazione puo esserecalcolata moltiplicando il vettore v per la matrice A−1.

In definitiva deduciamo che per calcolare le coordinate di v rispetto allabase B e sufficiente moltiplicare v per la matrice A−1.

Definizione 3.11. La matrice A−1 e detta matrice di cambiamento dibase e viene denotata con MB.

Tale matrice ha la proprieta che moltiplicata per un vettore v restituisce lecoordinate del vettore rispetto alla base B

[v]B = MBv .

Esempio 3.18. Consideriamo la base di R3

B =

110

,

011

,

111

In questo caso la matrice A e uguale a

A =

1 0 11 1 10 1 1

.

L’inversa di A e stata calcolata nell’Esempio 3.11, per cui si ha

MB = A−1 =

0 1 −1−1 1 01 −1 1

.

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194 3. MATRICI

Proviamo a calcolare le coordinate del vettore v =

142

rispetto alla base

B. Si ha

[v]B = MBv =

23−1

.

In effetti si verifica facilmente che

x

y

zb

O

v

1

4

2

x

y

z

b

O

u1

u2

u3

v

3

2

−1

Figura 3.1. Il vettore v nella base standard ha le coordinate(1, 4, 2), e nella nuova base B = {(1, 1, 0), (0, 1, 1), (1, 1, 1)} hacoordinate (2, 3,−1).

2

110

+ 3

011

111

=

142

.

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4. CAMBIAMENTI DI BASE 195

4.2. Cambiamento di base nel caso generico.

Sia V uno spazio vettoriale di dimesione n. Consideriamo due basi B ={u1, . . . ,un} e D = {w1, . . . ,wn} in V .

Dato un vettore v ∈ V e possibile calcolare le sue coordinate sia rispettoalla base B – ovvero [v]B – che rispetto alla base D – ovvero [v]D.

In questa sezione ci porremo il problema di stabilire un’esplicita relazionetra questi due set di coordinate.

Piu precisamente, supponiamo di conoscere le coordinate dei vettori dellabase D rispetto alla base B, ovvero che siano noti i vettori di Rn

[w1]B, [w2]B, . . . , [wn]B

e consideriamo le seguenti domande:

• Supposto siano note le coordinate di v rispetto a D come calcolare lecoordinate dello stesso vettore rispetto a B?

• Viceversa, supposto che siano note le coordinate di v rispetto a B comecalcolare le coordinate rispetto a D?

La risposta alla prima domanda e abbastanza semplice. Infatti le coordinatedi un vettore v ∈ V sono gli scalari µ1, µ2, . . . , µn tali che

v = µ1w1 + µ2w2 + . . . + µnwn .

Esprimendo questa uguaglianza nelle coordinate date dalla base B si ottiene

(3.13) [v]B = µ1[w1]B + µ2[w2]B + . . . + µn[wn]B

Ora se consideriamo

A = ([w1]B|[w2]B| . . . |[wn]B) .

Il secondo membro della (3.13) si ottiene moltiplicando la matrice A per il

vettore

µ1

µ2...

µn

, che e il vettore delle coordinate di v rispetto alla base D.

Ovvero otteniamo la relazione

(3.14) [v]B = A[v]D

che esprime la semplice proprieta che per calcolare le coordinate di un vet-tore rispetto alla base B e sufficiente moltiplicare per la matrice A le coordinatedel vettore rispetto alla base D.

Per rispondere alla seconda domanda verifichiamo preliminarmente che lecolonne della matrice A sono indipendenti (ovvero che la matrice A e inverti-bile). Infatti se prendiamo una combinazione lineare delle colonne di A che dacome risultato il vettore nullo

λ1[w1]B + λ2[w2]B + . . . + λn[wn]B = 0n ,

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196 3. MATRICI

la corrispondente combinazione lineare dei vettori wi da come risultato il vettorenullo

λ1w1 + λ2w2 + . . . + λnwn = 0V

e poiche i w1, . . . ,wn sono indipendenti, i coefficienti λ1, λ2, . . . , λn sono tuttinulli. In particolare l’unica combinazione dei vettori numerici [wi]B che da ilvettore nullo e la combinazione banale. Cio mostra che la matrice A e invertibile.

Dunque dalla (3.14) ricaviamo che

[v]D = A−1[v]B

che esprime la proprieta che per calcolare le coordinate di un vettore v rispettoalla base D e sufficiente moltiplicare per l’inversa della matrice A le coordinatedel vettore rispetto alla base B

Definizione 3.12.- La matrice A e detta matrice di cambiamento di base da D a B e vienedenotata con A = MB,D.- La matrice A−1 e invece detta matrice di cambiamento di base da B aD e viene denotata con A−1 = MD,B.

La matrice MB,D ha la proprieta di trasformare le coordinate rispetto allabase D nelle coordinate rispetto alla base B, nel senso che vale la seguenteidentita:

(3.15) [v]B = MB,D[v]D

La matrice MD,B e ha la proprieta di trasformare le coordinate rispettoalla base B nelle coordinate rispetto alla base D, nel senso che vale la seguenteidentita:

(3.16) [v]D = MD,B[v]B .

Esempio 3.19. (1) Si consideri nel piano E2O due basi B = {ı, } e

D = {u0, w0} dove u0 = ı + e w0 = ı − . Dato un vettore v = OPindichiamo con x, y le coordinate rispetto a B e con x′, y′ le coordinaterispetto a D.

Osserviamo che si ha

v = x′u0 + y′w0

e passando nelle coordinate di B tale relazione diventa(

xy

)

= x′(

11

)

+ y′(

1−1

)

ovvero

(3.17)

(

xy

)

=

(

1 11 −1

)(

x′

y′

)

In particolare la matrice di cambiamento di base dalla base D alla baseB e semplicemente la matrice

MB,D =

(

1 11 −1

)

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4. CAMBIAMENTI DI BASE 197

(si noti che le colonne di tale matrice sono proprio i vettori dellecoordinate di u0, w0 rispetto alla base B).

Utilizzando la (3.17) e possibile esprimere le coordinate (x, y) intermini delle coordinate x′, y′ infatti si ha

{

x = x′ + y′

y = x′ − y′.

Per esprimere le coordinate x′, y′ in termini delle coordinate x, y dalla(3.17) si ricava che

(3.18)

(

x′

y′

)

=

((

1 11 −1

))−1(xy

)

Dunque ritroviamo che la matrice di cambiamento di base da B aD e l’inversa di MB,D. Tale inversa e stata calcolata nell’Esempio 3.11per cui risulta

MD,B =

(

12

12

12 −1

2

)

e dalla 3.18 ricaviamo

(3.19)

{

x′ = x+y2

y′ = x−y2

che esprime le coordinate x′, y′ in termini delle coordinate x, y.(2) Siano B e D come nell’esempio precedente. Si consideri la retta r nel

piano che ha equazione parametrica (nelle coordinate date dalla baseB)

{

x = 2t + 3y = t − 1

.

Calcoliamo l’equazione parametrica di r nelle coordinate x′, y′. Osser-viamo che l’equazione data esprime le coordinate x, y dei punti sullaretta in termini di un parametro t. Ora per la (3.18) il vettore OP cheha coordinate x = 2t + 3 e y = t − 1 (rispetto a B) ha coordinate

x′ =x + y

2=

3

2t + 1 y′ =

x − y

2=

1

2t + 1

(rispetto a D). Osserviamo che in tal modo abbiamo espresso le coor-dinate x′, y′ dei punti sulla retta r in termini del parametro t e dunqueabbiamo trovato l’equazione parametrica cercata.

Finora abbiamo supposto di lavorare conoscendo le coordinate dei vet-tori della base D rispetto alla base B.

In tali ipotesi risulta piuttosto semplice calcolare la matrice di cambiamentodi base da D a B (ovvero la matrice MB,D). Infatti le colonne di tale matricesono semplicemente i vettori delle coordinate dei vettori di D rispetto a B.

La matrice di cambiamento di base da B a D e invece piu difficile da calcolarein quanto bisogna trovare l’inversa della matrice MB,D (e il calcolo dell’inversa diuna matrice e un’operazione dispendiosa da un punto di vista computazionale).

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198 3. MATRICI

v =

−→

OP

O

P

x = span(i)

y=

span(j

)

i

j

5

2

u0

w0

72

32

Figura 3.2. Le diverse coordinate di un medesimo vettore nelpiano E2

O si ottengono proiettando versi assi il vettore. Per esem-

pio, si consideri il vettore v =−−→OP corrispondente al punto di

coordinate (5, 2), coincidenti con le sue componenti sulla base

canonica B = {ı, }. E facile convincersi che ha le coordinate(7/2, 3/2) nella base D = {u0, w0}, con u0 = ı+ e w0 = ı− .

Chiaramente se lavorassimo nelle ipotesi opposte (ovvero conoscendo lecoordinate dei vettori della base B rispetto alla base D) avremmo esattamentela situazione opposta:

• la matrice di cambiamento di base da B a D si ottiene semplicementemettendo per colonna le coordinate dei vettori u1, . . . ,un rispetto allabase D

• la matrice di cambiamento di base da D a B si ottiene calcolandol’inversa della precedente matrice.

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5. L’OPERAZIONE DI TRASPOSIZIONE 199

5. L’operazione di trasposizione

Definizione 3.13. Sia A una matrice di ordine k×n, definiamo la matricetrasposta di A che indicheremo con AT:

- se A e un vettore riga, AT e semplicemente il vettore A messo per colonna;- se A e un vettore colonna, AT e il vettore A messo per riga;- in generale la matrice AT e la matrice le cui colonne sono le righe di A

trasposte:AT = ((A1)

T|(A2)T| . . . |(Ak)

T).

Esempio 3.20.

(3, 4, 7)T =

347

(

1 7 34 8 12

)T

=

1 47 83 12

Discutiamo alcune semplici proprieta della trasposizione.

(1) Se A e una matrice k × n allora AT e una matrice n × k. Ovvero ilnumero di colonne di AT e uguale al numero di righe di A e viceversail numero di righe di AT e ugual al numero di colonne di A.

(2) Per definizione le colonne di AT sono le righe di A messe per colonnaovvero

(AT)i = (Ai)T per i = 1 . . . k .

Viceversa le righe di AT sono le colonne di A messe per riga, ovvero

(AT)i = (Ai)T per i = 1 . . . n .

(3) Nella posizione (1, 2) della matrice AT c’e la prima componente dellaseconda colonna. Poiche la seconda colonna della matrice AT e ugua-le alla seconda riga della matrice A si ha che l’elemento (1, 2) dellamatrice AT e uguale alla prima componente della seconda riga dellamatrice A, ovvero all’elemento a2 1. In simboli abbiamo (AT)1 2 = a2 1.In maniera analoga si verifica che vale la formula generale

(AT)ij = aji .

(4) Trasponendo due volte una matrice si ritrova la matrice stessa. Ovvero

(AT)T = A .

Infatti la prima riga della matrice (AT)T e uguale alla prima colonnadella matrice AT. Del resto la prima colonna della matrice AT e ugualealla prima riga della matrice A, per cui si ha che la prima riga dellamatrice (AT)T e uguale alla prima riga della matrice A.

Analogamente si verifica che tutte le righe di (AT)T sono ugualialle corrispondenti righe di A.

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200 3. MATRICI

(5) La trasposta della matrice λA e uguale alla matrice che si ottienemoltiplicando per λ la trasposta della matrice A. In simboli

(λA)T = λAT .

(6) La trasposta di una somma di due matrici A + B e uguale alla sommadelle trasposte di A e B. In simboli

(A + B)T = AT + BT .

(7) Se A e una matrice k×n e B e una matrice n×h allora vale la seguenteformula

(AB)T = BTAT .

Prima di tutto verifichiamo che valga la formula a livello di ordini.La matrice AB ha ordine k × h per cui la matrice (AB)T ha ordineh × k.

Del resto le matrici BT e AT hanno ordini rispettivamente h×n en × k, per cui il loro prodotto BTAT ha ordine h × k.

Verifichiamo ora la formula. Se A e un vettore riga e B e un vettorecolonna (ovvero k = h = 1) si ha che AB e BTAT coincidono con ilnumero ottenuto sommando il prodotto delle componenti di A per lerispettive componenti di B. In questo caso inoltre (AB)T = AB inquanto il trasposto di un numero e il numero stesso. Dunque la formulae vera nel caso di prodotto di una riga per una colonna.

Consideriamo ora il caso generico. Calcoliamo l’elemento (2, 3)della matrice (AB)T. Si ha che

(3.20) ((AB)T)2 3 = (AB)3 2 = A3B2

dove nell’ultimo passaggio abbiamo utilizzato la regola della moltipli-cazione riga per colonna.

Calcoliamo ora l’elemento (2, 3) della matrice BTAT. Tale elemen-to e uguale al prodotto della seconda riga della matrice BT per la terzacolonna della matrice AT ovvero

(BTAT)2 3 = (BT)2(AT)3 .

Del resto la seconda riga della matrice BT e uguale alla seconda colonnadella matrice B (messa per riga) e analogamente la terza colonna dellamatrice AT e uguale alla terza riga della matrice A (messa per colonna).Dunque ricaviamo

(3.21) (BTAT)2 3 = (B2)T(A3)T = A3B

2

dove l’ultimo passaggio segue dal fatto che abbiamo verificato la for-mula nel caso del prodotto di una riga per una colonna. Confrontandola (3.20) con la (3.21) si ottiene che l’entrata (2,3) della matrice (AB)T

coincide con le corrispondenti entrate della matrice BTAT.In maniera simile si verifica che tutte le altre entrate coincidono e

dunque le due matrici sono uguali.(8) La trasposta della matrice identita e ancora la matrice identita:

(In)T = In .

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6. IL DETERMINANTE 201

(9) Se A e quadrata ed invertibile allora anche AT e invertibile e l’inversadi AT e la traposta di A−1. In simboli:

(AT)−1 = (A−1)T .

Infatti posto B = A−1 abbiamo

BTAT = (AB)T = (AA−1)T = (In)T = In

e analogamente si verifica che ATBT = In.

6. Il determinante

Definizione 3.14. Ad ogni matrice quadrata A e possibile associare unoscalare detto il determinante della matrice, che indichiamo con detA o con|A|.• Se A e una matrice 1 × 1, A = (a), poniamo detA = a.• Se A e una matrice 2 × 2:

A =

(

a bc d

)

,

il determinante viene calcolato nel seguente modo. Si considera la prima co-lonna di A. Si moltiplica il primo coefficiente di tale colonna (ovvero a) per ilnumero ottenuto cancellando la riga e la colonna che contengono a (ovvero d).Analogamente si moltiplica il secondo coefficiente (ovvero c) per il numero otte-nuto cancellando la riga e la colonna che contengono c (ovvero b) Il determinantedi A e semplicemente la differenza dei numeri cosı trovati. Ovvero

det A = ad − cb .

• Se A e una matrice 3 × 3:

A =

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

,

anche in questo caso consideriamo la prima colonna della matrice A. In cor-rispondenza del numero a11 denotiamo con A[1,1] la matrice 2 × 2 ottenutacancellando la riga e la colonna che contengono a11. Chiaramente si ha

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

→ A[1,1] =

(

a22 a23

a32 a33

)

Analogamente in corrispondenza del numero a21 consideriamo la matriceA[2,1] ottenuta cancellando la riga e la colonna che contengono a21. In questocaso si ha

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

→ A[2,1] =

(

a12 a13

a32 a33

)

.

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202 3. MATRICI

Infine consideriamo la matrice A[3,1] ottenuta cancellando la riga e la colonnache contengono l’elemento a31 ovvero

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

→ A[31] =

(

a12 a13

a22 a23

)

.

Abbiamo visto come calcolare il determinante delle matrici 2×2 e dunque inparticolare possiamo calcolare il determinante delle matrici A[1,1], A[2,1] e A[3,1].Poniamo allora

detA = a11 det A[1,1] − a21 detA[2,1] + a31 det A[3,1] .

• Se A e una matrice n × n, consideriamo la prima colonna di A

A =

a11 ∗ ∗ . . . ∗a21 ∗ ∗ . . . ∗...

......

. . ....

an1 ∗ ∗ . . . ∗

,

Conviene definire in modo generale la notazione introdotta prima.

Notazione 3.15. Denotiamo con A[i,j] la matrice (n−1)× (n−1) ottenutacancellando da A la riga e la colonna che contengono aij .

Allora poniamo:

detA = a11 detA[1,1]−a21 detA[2,1] +a31 det A[3,1] + . . .+(−1)n+1an1 detA[n,1] .

Tale formula e detta sviluppo del determinante lungo la prima colonna,e puo essere anche scritta nel seguente modo:

det A =n∑

i=1

(−1)i+1ai1 det A[i,1] .

Osservazione 3.21. Osserviamo che:

- questa formula permette di scrivere il determinante di A come unasomma a segni alterni di n addendi. L’i-esimo addendo e:

(−1)i+1ai1 det A[i,1] ,

dove

(−1)i+1 =

{

+1 se i + 1 e pari

−1 se i + 1 e dispari;

- questa formula permette di ridurre il calcolo del determinante di A alcalcolo di determinanti delle matrici A[i,1] che hanno ordine (n − 1) ×(n − 1). A sua volta lo sviluppo dei determinanti delle matrici A[i,1]

permette di ridurre il problema al calcolo di determinanti di matrici diordine ancora piu basso. E possibile riapplicare lo sviluppo fino a chenon ci si riduce al calcolo di determinanti di matrici 1× 1 per le qualiil determinante si calcola banalmente.

Esempio 3.22. Consideriamo il calcolo dei seguenti determinanti.

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6. IL DETERMINANTE 203

(1)

det

(

1 23 4

)

= 1 · 4 − 3 · 2 = −4 − 6 = −2 .

(2) Calcoliamo il determinante della matrice A =

1 0 11 1 10 1 1

In questo caso si ha

det A = 1 ·∣

1 11 1

− 1 ·∣

0 11 1

+ 0 ·∣

0 11 1

Ora abbiamo∣

1 11 1

= 1 · 1 − 1 · 1 = 0,

0 11 1

= 0 · 1 − 1 · 1 = −1

da cui segue che

det A = 1 · 0 − 1 · (−1) + 0 · (−1) = 1

(3) Calcoliamo il determinante della matrice A =

4 1 1 12 1 1 05 3 0 01 0 0 0

.

Sviluppando lungo la prima colonna risulta

detA = 4 detA[1,1] − 2 det A[2,1] + 3 detA[3,1] − det A[4,1] .

Dunque dobbiamo calcolare il determinante delle matrici A[i,1].Abbiamo

det A[1,1] =

1 1 03 0 00 0 0

= 1 ·∣

0 00 0

− 3 ·∣

1 00 0

= 0 ,

det A[2,1] =

1 1 13 0 00 0 0

= 1

0 00 0

− 3 ·∣

1 10 0

= 0 ,

det A[3,1] =

1 1 11 1 00 0 0

= 1 ·∣

1 00 0

− 1 ·∣

1 10 0

= 0 ,

det A[4,1] =

1 1 11 1 03 0 0

= 1 ·∣

1 00 0

− 1 ·∣

1 10 0

+ 3

1 11 0

= −3

e dunque

detA = −(−3) = 3 .

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204 3. MATRICI

Ci si potrebbe domandare cosa si ottiene se invece di considerare lo svilup-po lungo la prima colonna si considera lo sviluppo lungo ad esempio la secondacolonna o la terza riga. Piu precisamente, sia A[i,j] la matrice ottenuta can-cellando la riga e la colonna che contengono l’entrata aij (ovvero la riga i e lacolonna j).

Allora, se consideriamo la seconda colonna di A

A =

∗ a12 ∗ . . . ∗a22 ∗ . . . ∗

......

.... . .

...∗ a1n ∗ . . . ∗

svolgendo il calcolo lungo tale colonna, seguendo il procedimento illustratoprima, otteniamo:

−a12 det A[1,2] + a22 detA[2,2] − a32 det A[3,2] + . . . + (−1)n+2an2 detA[n,2],

analogamente, se consideriamo la terza riga

A =

∗ ∗ . . . ∗∗ ∗ . . . ∗

a31 a32 . . . a3n

∗ ∗ . . . ∗...

.... . .

...

otteniamo:

a3 1 det A[3,1] − a32 detA[3,2] + a33 det A[3,3] + . . . + (−1)n+3a3n det A[3,n] .

Il seguente teorema ci dice che sviluppando lungo una qualsiasi colonna origa di A si ottiene det A.

Teorema 3.12 (di Laplace). Sia A una matrice n × n.

• Fissata la colonna j vale che

detA = (−1)j+1a1j detA[1,j]+(−1)j+2a2j det A[2,j]+. . .+(−1)j+nan,j detA[n,j] .

• Fissata la riga i vale che

detA = (−1)i+1ai1 det A[i,1] + (−1)i+2ai2 det A[i,2] + . . . + (−1)i+nain detA[i,n] .

In forma compatta, usando il simbolo di sommatoria:

(3.22) det A =n∑

i=1

(−1)i+j aij detA[i,j] =n∑

j=1

(−1)i+j aij det A[i,j].

Omettiamo la dimostrazione del teorema, un po’ tecnica; in Appendice(Sezione 9) enunceremo e dimostreremo che il calcolo del determinante puoessere effettuato sviluppando lungo la prima riga; la dimostrazione del Teoremadi Laplace 3.12 puo essere condotta con tecniche analoghe.Osserviamo che:calcolando il determinante di A, sviluppando lungo una qualsiasi riga o unaqualsiasi colonna di A, e importante stabilire il segno dell’ addendo aij det A[i,j].Diciamo che:

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6. IL DETERMINANTE 205

• aij occupa un posto pari se i + j e pari,• aij occupa un posto dispari se i + j e dispari.

Il segno del termine aij det A[i,j] e quindi + se aij occupa un posto pari, − seaij occupa un posto dispari.Un modo semplice per ricordarsi il segno, e costruirsi una tabella di segni alternicome la seguente (costruita nel caso 6 × 6):

+ − + − + −− + − + − ++ − + − + −− + − + − ++ − + − + −− + − + − +

,

il segno cercato e esattamente quello che appare nella posizione (i, j) di taletabella. Ad esempio il segno che moltiplica il termine a3,2|A[3,2]| e −.

Vediamo ora alcuni esempi.

Esempio 3.23.

(1) Proviamo a ricalcolare il determinante della matrice A =

4 1 1 12 1 1 05 3 0 01 0 0 0

.

considerata nell’Esempio 3.22 sviluppando lungo la quarta colonna.Otteniamo

det A = −(1) · det A[1,4] + 0 · detA[2,4] − 0 · A[3,4] + 0 · A[4,4] = −detA[1,4]

Ora abbiamo

A[1,4] =

2 1 15 3 01 0 0

e dunque sviluppando il determinante di A[1,4] lungo la terza colonnaotteniamo

det A[1,4] = 1 · det

5 31 0

= −3 .

Da cui si conclude che det A = 3.Osserviamo che in questo caso lo sviluppo lungo la quarta colonna

e risultato molto piu semplice rispetto allo sviluppo lungo la primacolonna. Cio e essenzialmente dovuto alla presenza degli zeri lungola quarta colonna che ci hanno permesso di calcolare unicamente undeterminante 3 × 3.

(2) Calcoliamo il determinante della matrice A =

1 1 3 40 0 1 00 1 4 57 3 13 6

.

Osserviamo che in questo caso conviene sviluppare lungo la secondariga. Otteniamo:

det A = −0 · det A[2,1] + 0 · det A[2,2] − detA[2,3] + 0 · A[2,4] = −det A[2,3].

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206 3. MATRICI

Ora si ha

detA[2,3] =

1 1 40 1 57 3 6

.

Sviluppando lungo la seconda riga si ottiene

det A[2,3] =

1 47 6

− 5

1 17 3

= (6 − 28) − 5(3 − 7) = −2 ,

e dunque detA = 2.

6.1. Determinante di matrici triangolari.

Definizione 3.16. Sia A una matrice di ordine n × n. La diagonaleprincipale di A e la diagonale che va dall’angolo in alto a sinistra all’angolo inbasso a destra.

Ad esempio nella matrice

A =

3 7 42 15 −16 5 8

abbiamo messo in evidenza (in rosso) le entrate sulla diagonale principale. Essesono: 3, 15, 8. Osserviamo che 3 occupa il posto (1, 1), 15 il posto (2, 2) e 8 ilposto (3, 3).

Osserviamo che, in generale, in una matrice A di ordine n × n, le entratesulla diagonale principale occupano i posti (i, i), cioe sono le entrate:

{aii}, i = 1, . . . , n.

Definizione 3.17. Sia A una matrice di ordine n × n.• A si dice triangolare superiore se tutte le entrate sotto la diagonale prin-cipale sono nulle;• A si dice triangolare inferiore se tutte le entrate sopra la diagonaleprincipale sono nulle;• A si dice diagonale se tutte le entrate fuori dalla diagonale principale sononulle.

Ad esempio, la matrice seguente e una matrice triangolare superiore:

A =

8 7 40 5 60 0 2

,

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6. IL DETERMINANTE 207

la matrice seguente e una matrice triangolare inferiore:

B =

1 0 04 5 03 2 2

,

mentre matrice seguente e una matrice diagonale:

D =

3 0 00 7 00 0 4

.

Si osservi che una matrice diagonale e contemporaneamente triangolareinferiore e superiore.

Per le matrici triangolari (inferiori o superiori) il calcolo del determinantee piuttosto semplice.

Esempio 3.24.Calcoliamo il determinante della seguente matrice riangolare:

A =

4 7 8 100 3 2 60 0 5 10 0 0 10

.

Sviluppando lungo la prima colonna si ha

|A| = 4

3 2 60 5 10 0 10

= 4 · 3∣

5 10 10

= 4 · 3 · 5 · 10 ,

cioe il determinante di A e il prodotto degli elementi sulla diagonale principale.

Questa proprieta e vera in generale per le matrici triangolari (superiori,inferiori o diagonali) di ordine n × n.

Proprieta 3.13. Il determinante di una matrice triangolare e il prodottodegli elementi sulla diagonale principale.

Osservazione 3.25. La matrice identita e una matrice diagonale e dunqueil suo determinante e dato dal prodotto degli elementi sulla diagonale. Per cuisi ha:

det In = 1 .

6.2. Proprieta del determinante.

L’utilita del determinante e essenzialmente legata ad alcune sue proprieta,che andremo ora ad elencare.

Proprieta 3.14. Per ogni matrice A quadrata di ordine n × n, valgono leseguenti proprieta:

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208 3. MATRICI

(1) Il determinante di A e uguale al determinante della sua tra-sposta AT:

det A = det(AT).

Osserviamo che poiche le righe di AT coincidono con le colonne diA, sviluppando il determinante di AT lungo la prima riga si ottieneesattamente lo sviluppo del determinante di A lungo la prima colonna.

(2) Scambiando due colonne di A il determinante cambia segno.Verifichiamo prima di tutto questa proprieta nel caso in cui le due co-lonne siano adiacenti. Ci limiteremo a fare la verifica in un caso parti-

colare: sia A =

1 4 72 5 83 6 9

e sia A′ =

4 1 75 2 86 3 9

la matrice ottenuta

scambiando la prima colonna di A con la seconda. Dobbiamo confron-tare il determinante di A con il determinante di A′. Sviluppando lungola prima colonna il determinante di A si ottiene

detA =

5 86 9

− 2

4 76 9

+ 3

4 75 8

.

Sviluppando lungo la seconda colonna il determinante di A′ si ottiene

det A′ = −∣

5 86 9

+ 2

4 76 9

− 3

4 75 8

,

e dunque detA′ = −detA.Chiaramente la cosa dipende dal fatto che la matrice ottenuta cancel-lando la prima colonna da A e uguale alla matrice ottenuta cancellandola seconda colonna da A′ e cio rimane vero ogni volta che scambiamodue colonne adiacenti.Se ora si vuole vedere come cambia il determinante scambiando laprima con la terza colonna di A, e sufficiente osservare che tale scambiopuo essere ottenuto attraverso tre scambi di colonne adiacenti comemostra lo schema qui sotto

A = (A1|A2|A3)A1↔A2

−−−−−→ (A2|A1|A3)A1↔A3

−−−−−→

(A2|A3|A1)A2↔A3

−−−−−→ (A3|A2|A1)

Poiche ad ogni scambio il determinante cambia di segno alla fine avro

det(A3|A2|A1) = (−1)3 det A = −det A .

Ora in generale lo scambio di due qualsiasi colonne si puo ottenereattraverso un numero dispari di scambi di colonne adiacenti. Ciomostra che scambiando due colonne il determinante cambia sempredi segno.

(3) Il determinante della matrice A′ ottenuta moltiplicando unacolonna di A per un numero λ, e uguale a λ detA.

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6. IL DETERMINANTE 209

Verifichiamo questa proprieta in un esempio particolare. Sia A =

1 4 72 5 83 6 9

e consideriamo la matrice A′ =

1 4√

3 7

2 5√

3 8

3 6√

3 9

ottenuta

moltiplicando la seconda colonna di A per il numero√

3. Dobbiamoconfrontare detA e det A′.Sviluppando detA lungo la seconda colonna si ottiene

det A = −4

2 83 9

+ 5

1 73 9

− 6

1 72 8

.

Del resto sviluppando lungo la seconda colonna detA′ abbiamo

detA′ = −4√

3

2 83 9

+ 5√

3

1 73 9

− 6√

3

1 72 8

.

Raccogliendo a fattor comune√

3 risulta evidente che detA′ =√

3 det A.

(4) Se la colonna Aj e la somma di due vettori C1 e C2, il determi-nante di A e uguale alla somma di determinanti delle matriciA′ e A′′ ottenute sostituendo la colonna Aj rispettivamentecon C1 e C2.Anche in questo caso verifichiamo questa proprieta su un esempio.

Consideriamo la matrice A =

1 4 72 5 83 6 9

.

Osserviamo che la seconda colonna di A puo essere scritta come laseguente somma di vettori:

456

=

72−6

+

−3312

Consideriamo le matrici A′ e A′′ ottenute sostitutendo la seconda

colonna di A con i due addendi

72−6

,

−3312

.

Si ha

A′ =

1 7 72 2 83 −6 9

A′′ =

1 −3 72 3 83 12 9

.

Sviluppando lungo la seconda colonna sia detA′ che det A′′ si ottiene

detA′ = − 7 ·∣

2 83 9

+ 2 ·∣

1 73 9

− (−6) ·∣

1 72 8

detA′′ = − (−3) ·∣

2 83 9

+ 3 ·∣

1 73 9

− (12) ·∣

1 72 8

.

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210 3. MATRICI

Da cui deriviamo che

detA′ + det A′′ =

(−7 + 3) ·∣

2 83 9

+ (2 + 3) ·∣

1 73 9

+ (+6 − 12) ·∣

1 72 8

,(3.23)

ovvero

det A′ + detA′′ = −4 ·∣

2 83 9

+ 5 ·∣

1 73 9

− 6 ·∣

1 72 8

,

ma questa espressione coincide proprio con lo sviluppo di detA lungola seconda colonna.

(5) Se una colonna di A e composta da tutti 0 allora il determi-nante di A e uguale a 0.Infatti per verificarlo basta sviluppare lungo quella colonna.

(6) Se due colonne della matrice A sono uguali allora il determi-nante di A e uguale a 0.Supponiamo che la prima colonna sia uguale alla terza. Abbiamo visto,proprieta (2), che scambiando la prima e la terza colonna il determi-nante cambia di segno, Del resto poiche queste colonne sono uguali ef-fettuando questo scambio ritrovo la matrice di partenza. Ne deduciamoche det A = −detA e cio e possibile solo se det A = 0.

(7) Se una colonna di A e proporzionale ad un’altra colonna allorail determinante di A e uguale a 0.Supponiamo ad esempio che A2 = λA1. Allora si ha

det(A1|A2|A3| . . . |An) = det(A1|λA1|A3| . . . |An)

= λ det(A1|A1| . . . |An) ,

dove nell’ultimo passaggio abbiamo utilizzato la proprieta (3). Ora lamatrice (A1|A1| . . . |An) contiene due colonne uguali e dunque il suodeterminante e 0.

(8) Se le colonne di A sono linearmente dipendenti allora il de-terminante di A e uguale a 0.Verifichiamo che il determinante si annulla nel caso in cui la terzacolonna sia combinazione lineare delle prime due. Ovvero, supponiamoA3 = λA1 + µA2 allora utilizzando la proprieta (4) si ottiene

det(A1|A2|A3| . . . |An)

= det(A1|A2|λA1| . . . |An) + det(A1|A2|µA2| . . . |An) .

Ora in entrambi gli addendi a destra di questa espressione la terza co-lonna e proporzionale ad un altra colonna (rispettivamente alla primae alla seconda) e dunque i determinanti di tali matrici sono entrambinulli per la proprieta (7).

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6. IL DETERMINANTE 211

Osserviamo che, nell’elenco precedente:

- tutte le proprieta da (2) a (8), enunciate per le colonne di una matrice,possono essere enunciate anche per le righe;

- la proprieta (8) ci dice quindi che le matrici quadrate non invertibilehanno sempre determinante nullo;

- possiamo enunciare la proprieta (8) anche nel seguente modo: se ildeterminante di una matrice quadrata non e nullo, allora le colonnesono linearmente indipendenti.

Abbiamo quindi il seguente risultato:

Proposizione 3.15. Se una matrice quadrata A ha determinante det A 6= 0,allora A e invertibile.

Nella prossima sezione verificheremo che vale anche il viceversa: una matriceinvertibili ha determinante diverso da 0. Dunque il determinante di una matriceci fornisce un criterio semplice per stabilire se la matrice e invertibile o meno.

6.3. La formula di Binet.

Teorema 3.16 (Formula di Binet). Siano A, B matrici quadrate, vale l’u-guaglianza:

det(AB) = det A detB .

Prima di dimostrare il teorema, vogliamo elencare alcune conseguenze im-portanti del teorema di Binet.

(1) Il determinante della potenza k-esima di una matrice A e lapotenza k-esima del determinante di A:

det(Ak) = (det A)k .

Questa proprieta si ottiene applicando k volte il teorema di Binet. Sinoti che questa formula e utile in quanto ci permette di calcolare ildeterminante di Ak senza dover calcolare esplicitamente Ak (il calco-lo della potenza di una matrice e in generale un’operazione alquantodispendiosa), ma semplicemente elevando alla k il determinante di A.

(2) Se A e invertibile allora detA 6= 0 e detA−1 = 1det A .

Essendo A invertibile, esiste la matrice inversa A−1. Calcoliamo ildeterminante del prodotto AA−1 in due modi diversi. Da una parte,poiche sappiamo che AA−1 = In si ha

det(AA−1) = det In = 1 .

Dall’altra applicando la regola di Binet, si ha

det(AA−1) = det A detA−1 ,

e dunque deduciamo che

det A detA−1 = 1 .

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212 3. MATRICI

Da questa uguaglianza verifichiamo subito che detA non puo essereuguale a 0, e inoltre detA−1 = 1

det A .

(3) Se A e B sono matrici quadrate di ordine n × n, allora si ha:

det(AB) = det(BA) .

Infatti abbiamo

det(AB) = detA det B det(BA) = detB det A ,

e poiche il determinante e una grandezza numerica il prodotto detA det Be uguale al prodotto detB detA.

(4) Se A e una matrice invertibile, allora si ha:

det(ABA−1) = detB .

Infatti si ha

det(ABA−1) = det A detB detA−1 = detA det B1

det A= detB .

Come conseguenza del Teorema di Binet abbiamo quindi il seguente criteriooperativo per stabilire quando una matrice quadrata e invertibile:

Proposizione 3.17. Una matrice quadrata A di ordine n × n e invertibilese e solo se det A 6= 0.

Possiamo ora provare il teorema.Dimostrazione del Teorema di Binet.Fissata una matrice A di ordine n × n, possiamo associare ad ogni matrice B lagrandezza

d(B) = det(AB) .

Per prima cosa dimostreremo che la grandezza d(B) soddisfa proprieta simili a quelledel determinate. Utilizzando poi queste proprieta mostreremo che si ha l’uguaglianzad(B) = detAdet B.

Lemma 3.18. La grandezza d(B) soddisfa le seguenti proprieta:

• Se B′ e la matrice ottenuta scambiando due colonne di B, allora si ha:d(B′) = −d(B).

• Se una colonna Bj di B e una combinazione lineare di certi vettori, Bj =λ1u1 + λ2u2, allora

d(B) = λ1d(B′) + λ2d(B′′)

dove B′ e B′′ sono le matrici ottenute sostituendo in B la colonna Bj rispet-tivamente con i vettori u1,u2.

Dimostrazione:Verifichiamo la prima proprieta. Suppiamo per semplicita che la matrice B′ sia

ottenuta scambiando la prima e la seconda colonna di B, ovvero

B = (B1|B2|B3| . . . |Bn) B′ = (B2|B1|B3| . . . |Bn) .

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6. IL DETERMINANTE 213

Allora abbiamo

AB = (AB1|AB2|AB3| . . . |ABn) AB′ = (AB2|AB1|AB3| . . . |ABn)

ovvero la matrice AB′ si ottiene scambiando la prima con la seconda colonna nellamatrice AB. Per cui abbiamo

d(B′) = det(AB′) = −det(AB) = −d(B) .

Verifichiamo la seconda proprieta. Sempre per semplicita supponiamo

B1 = λ1u1 + λ2u2

allora

AB1 = A(λ1u1 + λ2u2) = λ1Au1 + λ2Au2 .

Poiche AB = (AB1|AB2| . . . |ABn) risulta che

d(B) = det(AB) = λ1 det(Au1|AB2| . . . |ABn) + λ2 det(Au2|AB2| . . . |ABn) .

Del resto abbiamo che B′ = (u1|B2| . . . |Bn) per cui

d(B′) = det(AB′) = det(Au1|AB2| . . . |ABn) ,

analogamente

d(B′′) = det(Au2|AB2| . . . |ABn)

da cui discende facilmente l’uguaglianza cercata.Osserviamo che come nel caso del determinante abbiamo queste semplici conse-

guenze delle proprieta enunciate

• Se due colonne di B sono uguali allora d(B) = 0;• Se una data colonna Bj e combinazione lineare di certi vettori

Bj = λ1u1 + λ2u2 + . . . + λkuk

allora abbiamo

d(B) = λ1d(B(1)) + λ2d(B(2)) + . . . + λkd(B(k))

dove B(1), B(2), . . . , B(k) sono le matrici ottenute sostituendo al posto di Bj

i vettori u1, . . . ,uk.

Utilizzando ora le proprieta espresse nel Lemma si verifica abbastanza facilmentela formula di Binet. Per semplicita di notazione ci limiteremo a verificarla nel caso dimatrici 3 × 3. Cio non di meno il tipo di ragionamento che viene proposta puo esseregeneralizzata facilmente nel caso di matrici di ordine arbitrario.

Dimostrazione della formula di Binet.Verificheremo che

(3.24) d(B) = detAdet B

per passi successivi.Caso 1: Verifichiamo la formula per B = I3.In questo caso d(I3) = det(AI3) = detA mentre det Adet I3 = detA per cui

l’uguaglianza e verificata.Caso 2: Verifichiamo la formula (3.24) per le matrici B le cui colonne sono elementi

della base canonica, ovvero B e della forma (ei|ej |ek).Abbiamo due casi: o una colonna di B e ripetuta oppure le colonne di B sono

esattamente e1,e2,e3 (ma non necessariamente in ordine). Nel primo caso abbiamod(B) = detB = 0 per cui la formula e verificata.

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214 3. MATRICI

Nel secondo caso osserviamo che la matrice B puo essere ottenuta scambiando ripe-tutamente le colonne della matrice identita. Ad esempio se B e la matrice (e3,e1,e2),si osservi che la si ottiene partendo dall’identita con la seguente sequenza di scambi:

(e1|e2|e3) → (e2|e1|e3) → (e3|e1|e2) .

Ora ad ogni scambio sia d che det cambiano di segno per cui si ha

det(B) = (−1)σ d(B) = (−1)σ det A

dove σ e il numero di scambi necessari per ottenere la matrice B da In. Dunque inquesto caso si ha ancora d(B) = detAdet B.

Caso 3: Verifichiamo la formula (3.24) per le matrici B in cui le prime due colonnesono elementi della base canonica. In questo caso B e della forma (ei|ej |u).

Poiche u = u1e1 + u2e2 + u3e3 si ha:

d(B) = u1d(ei|ej |e1) + u2d(ei|ej |e2) + u3d(ei|ej |e3) .

Osserviamo che le matrici che compaiono a destra sono tutte del tipo precedente percui abbiamo

d(B) = u1 det Adet(ei|ej |e1) + u2 det Adet(ei|ej |e2) + u3 det Adet(ei|ej |e3) .

Raccogliendo det A si ottiene

d(B) = detA(

u1 det(ei|ej |e1) + u2 det(ei|ej |e2) + u3 det(ei|ej |e3))

.

Del resto

det(B) = det(ei|ej |u) = u1 det(ei|ej |e1) + u2 det(ei|ej |e2) + u3 det(ei|ej |e3)

e dunque segue facilmente che d(B) = detAdet B per questo tipo di matrici.Caso 4: Verifichiamo la formula (3.24) per le matrici B in cui la prima colonna e

un elemento della base canonica, ovvero B della forma (ei|w|u).In questo caso consideriamo la decomposizione della seconda colonna

w = w1e1 + w2e2 + w3e3

da cui deduciamo che

d(B) = w1d(ei|e1|u) + w2d(ei|e2|u) + w3d(ei|e3|u) .

Ora tutte le matrici al secondo membro sono del tipo precedente, per cui sappiamo chevale la formula e deduciamo che

d(B) = detA(w1 det(ei|e1|u) + w2 det(ei|e2|u) + w3 det(ei|e3|u) .

Del resto si ha

det B = det(ei|w|u) = w1 det(ei|e1|u) + w2 det(ei|e2|u) + w3 det(ei|e3|u) ,

per cui e ancora vero che d(B) = detAdet B.Caso 5: Verifichiamo la formula (3.24) per B matrice qualsiasi, ovvero della forma

(v|w|u).In questo caso, considerando la decomposizione della prima colonna

v = v1e1 + v2e2 + v3e3

abbiamo

d(B) = v1d(e1|w|u) + v2d(e2|w|u) + v3d(e3|w|u) .

Ora tutte le matrici al secondo membro sono del tipo precedente, per cui sappiamo chevale la formula e deduciamo che

d(B) = detA(

v1 det(ei|w|u) + v2 det(e2|w|u) + v3 det(e3|w|u)) .

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6. IL DETERMINANTE 215

Del resto si ha

det B = det(v|w|u) = v1 det(e1|w|u) + v2 det(e2|w|u) + w3 det(e3|w|u)

per cui e ancora vero che d(B) = detAdet B.

6.4. Calcolo dell’inversa con la formula di Cramer.

Abbiamo visto che il determinante permette di caratterizzare le matriciinvertibili (sono quelle con determinante non nullo). La formula di Cramer cipermette di calcolare esplicitamente attraverso l’uso del determinante la matriceinversa di una matrice A invertibile.

Proposizione 3.19 (Formula di Cramer per l’inversa). Sia A una matricequadrata di ordine n×n invertibile. Allora la matrice inversa di A e la seguente:

A−1 =1

det A(αij)

dove αij = (−1)(i+j)|A[j,i]|.Dimostrazione.

Ci limiteremo a dimostrare la formula per matrici di ordine 3. In tal caso la candidatainversa di A e la matrice

1

det A

|A[1,1]| −|A[2,1]| |A[3,1]|−|A[1,2]| |A[2,2]| −|A[3,2]||A[1,3]| −|A[2,3]| |A[3,3]|

.

Consideriamo la matrice

B =

|A[1,1]| −|A[2,1]| |A[3,1]|−|A[1,2]| |A[2,2]| −|A[3,2]||A[1,3]| −|A[2,3]| |A[3,3]|

Il seguente lemma e la chiave per la dimostrazione della Formula di Cramer

Lemma 3.20. Dato un qualsiasi X ∈ R3 e posto Y = BX si ha che

y1 = det(X|A2|A3)

y2 = det(A1|X|A3)

y3 = det(A1|A2|X)

Dimostrazione.

Osserviamo che

y1

y2

y3

=

|A[1,1]| −|A[2,1]| |A[3,1]|−|A[1,2]| |A[2,2]| −|A[3,2]||A[1,3]| −|A[2,3]| |A[3,3]|

x1

x2

x3

per cui si hay1 = x1|A[1,1]| − x2|A[2,1]| + x3|A[3,1]| .

Del resto sviluppando lungo la prima colonna si ha

det(X|A2|A3) =

x1 a12 a13

x2 a22 a23

x3 a32 a33

= x1|A[1,1]| − x2|A[2,1]| + x3|A[3,1]|

e quindi chiaramentey1 = det(X|A2|A3) .

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216 3. MATRICI

Analogamente si verificano le altre uguaglianze cercate. �

Dimostriamo ora la Regola di Cramer enunciata sopra. Calcoliamo il prodotto BA.Si ha

BA = (BA1|BA2|BA3) .

Del resto per il precedente lemma, posto Y = BA1 si ha

y1 = det(A1|A2|A3) = detA y2 = det(A1|A1|A3) = 0 y3 = det(A1|A2|A1) = 0

e dunque BA1 =

detA00

. Analogamente si mostra che

BA2 =

0det A

0

, BA3 =

00

det A

da cui segue che

BA =

det A 0 00 det A 00 0 det A

= detA · I3

da cui si ricava facilmente che A−1 = 1det A

B. �

Osservazione 3.26. Nel caso di una matrice di ordine 2 la formula di

Cramer da un modo molto veloce per calcolare l’inversa. Infatti se A =

(

a bc d

)

allora si ha

A−1 =1

ad − bc

(

d −b−c a

)

.

Infatti in questo caso abbiamo

α11 = |A[1,1]| = a22 = d

α12 = −|A[2,1]| = −a12 = −b

α21 = −|A[1,2]| = −a2,1 = −c

α22 = |A[2,2]| = a11 = a

Anche se apparentemente la formula di Cramer sembra indicare una viamolto semplice per il calcolo dell’inversa, nella pratica questo metodo risul-ta computazionalmente molto dispendioso, in quanto e necessario calcolare ildeterminante di molte matrici. Gia per una matrice 3 × 3 conviene calcolarel’inversa come esposto nella Sezione 3.

Cio non di meno tale formula risulta essere particolarmente utile per ilcalcolo dell’inversa di matrici parametriche.

Esempio 3.27.Consideriamo la seguente matrice A dipendente dal parametro h:

A =

1 1 1h 1 −h0 h 0

.

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6. IL DETERMINANTE 217

Si verifica facilmente che detA = 2h2 e dunque A e invertibile per ogni h 6= 0.L’inversa di A per h 6= 0 e la matrice:

A−1 =1

2h2

α11 α12 α13

α21 α22 α23

α31 α32 α33

dove i coefficienti αij sono dati dalla formula di Cramer. Abbiamo α11 = |A[1,1]|e dunque mettendo in evidenza la sottomatrice A[1,1] in A si ha

A =

1 1 1h 1 −h0 h 0

.

da cui risulta facilmente α11 = h2.Ora α12 = −|A[2,1]| e dunque mettendo in evidenza la sottomatrice A[2,1] si

ha

A =

1 1 1h 1 −h0 h 0

.

da cui α12 = h. Procedendo in questo modo alla fine si ottiene

A−1 =1

2h2

h2 h −(1 + h)0 0 2hh2 −h (1 − h)

.

6.5. Utilizzo delle proprieta del determinante per il calcolo.

Il calcolo del determinante utilizzando lo sviluppo per righe o per colonnee in generale un’operazione molto dispendiosa. Essa risulta semplice come ab-biamo visto nel caso di matrici triangolari, ma nel caso generico il calcolo deldeterminante implica un gran numero di operazioni. Si puo calcolare che pertrovare il determinante di una matrice generica 10× 10 utilizzando lo sviluppolungo una riga bisogna effettuare piu di 8.000.000 moltiplicazioni!

L’osservazione cruciale che ci permette di semplificare notevolmente il cal-colo del determinante e la seguente.

Lemma 3.21. Sia A una matrice n × n e una A′ la matrice ottenuta som-mando ad una colonna di A un multiplo di un’altra colonna. Allora, risulta:

detA′ = detA .

L’idea e allora quella di sommare in modo opportuno ad una colonna/riga diuna matrice un multiplo di un’altra colonna/riga in modo da ottenere matricipiu semplici. Siccome facendo questo tipo di operazioni il determinante noncambia, invece di calcolare il determinante di A si calcola il determinante dellamatrice semplificata A′.

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218 3. MATRICI

Esempio 3.28.

(1) Calcoliamo il seguente determinante

d =

1 0 1 31 1 1 21 2 2 41 3 1 3

.

Sottraendo alla terza colonna la prima colonna si ottiene

d =

1 0 0 31 1 0 21 2 1 41 3 0 3

.

Sviluppando il determinante della matrice cosı ottenuta sulla terzacolonna risulta

d =

1 0 31 1 21 3 3

.

Sottraendo ora alla terza riga la prima risulta

d =

1 0 31 1 20 3 0

,

da cui sviluppando lungo l’ultima riga si ha

d = −3

1 31 2

= 3 .

(2) Calcoliamo il seguente determinante:

d =

1 2 3 42 3 4 33 4 3 24 3 2 1

.

Sottraiamo alla seconda riga la prima riga moltiplicata per 2

d =

1 2 3 40 −1 −2 −53 4 3 24 3 2 1

.

Ora sottraiamo alla terza riga la prima riga moltiplicata per 3

d =

1 2 3 40 −1 −2 −50 −2 −6 −104 3 2 1

.

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6. IL DETERMINANTE 219

Infine sottraiamo alla quarta riga la prima moltiplicata per 4

d =

1 2 3 40 −1 −2 −50 −2 −6 −100 −5 −10 −15

.

Dunque sviluppando lungo la prima colonna risulta

d =

−1 −2 −5−2 −6 −10−5 −10 −15

,

portando fuori un −1 da ciascuna colonna si ottiene

d = (−1)(−1)(−1)

1 2 52 6 105 10 15

= −

1 2 52 6 105 10 15

.

Sottraendo alla terza riga la prima moltiplicata per 5 si ottiene infine

d = −

1 2 52 6 100 0 −10

,

da cui sviluppando lungo la terza riga

d = 10

1 22 6

= 20 .

6.6. Interpretazione geometrica della funzione determinante.

Nel caso di matrici 2×2 e di matrici 3×3 c’e un’importante interpretazionegeometrica del determinante che ora vogliamo brevemente descrivere.

Consideriamo una matrice 2 × 2:

A =

(

a bc d

)

e indichiamo con u1 e u2 le sue colonne.Possiamo considerare la rappresentazione polare dei vettori u1, u2 ∈ E2

O:{

a = ρ1 cos θ1

c = ρ1 sin θ1

{

b = ρ2 cos θ2

d = ρ2 sin θ2

dove ρ1 = |u1| e θ1 e l’angolo che u1 forma con il vettore e1, mentre ρ2 = |u2|e θ2 e l’angolo che u2 forma con il vettore e1.

Allora abbiamo:

det A = ad − bc = ρ1ρ2(cos θ1 sin θ2 − sin θ1 cos θ2) = ρ1ρ2 sin(θ2 − θ1) .

Osserviamo che |θ1 − θ2| coincide con l’angolo ϕ compreso tra u1 e u2, ed ilsegno di θ1 − θ2 e positivo se u2 si ottiene ruotando u1 di ϕ in senso antiorario,e negativo altrimenti.

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220 3. MATRICI

O i

(x) span(i)

j

(y)

span(j

)

u

u′ h = ρ sin ϕ

ϑ

ϑ′ϕ = ϑ′ − ϑ

(a)

O i

(x) span(i)

j

(y)

span(j

)

u′

u

h = ρ sinϕ

ϑ′

ϕ = −(ϑ′ − ϑ)

ϑ

(b)

Figura 3.3. I due vettori u1 ed u2 nel piano cartesiano formanoun angolo ϕ, positivo. A seconda dell’orientamento reciproco frai vettori, si avra ϕ = ϑ′ − ϑ (a), oppure ϕ = −(ϑ′ − ϑ) (b).

In particolare abbiamo che il determinante di A e positivo se u2 si ottieneruotando u1 di angolo ϕ in senso antiorario, e nullo se ϕ = kπ (nel qual casou1 e u2 hanno la stessa direzione), e negativo negli altri casi (quando cioe u2 eottenuto ruotando u1 di ϕ in senso orario).

Inoltre il valore assoluto di detA e uguale a ρ1ρ2 sin ϕ.Osservando che |ρ2 sin ϕ| e l’altezza del parallelogramma individuato dai

vettori u1 e u2, deduciamo che:il valore assoluto di det A e uguale all’area del parallelogramma

individuato dai vettori u1 e u2.

Si puo verificare che vale un risultato simile per le matrici 3 × 3. Seindichiamo con u1, u2, u3 le colonne di una matrice A di ordine 3, si ha che:il valore assoluto di det A e uguale al volume del parallelepipedoindividuato dai vettori u1, u2, u3.

7. Il rango di una matrice

Definizione 3.18. Sia A una matrice di odine k × n. Il rango di A e ladimensione del sottospazio di Rk generato dalle colonne di A:

rg(A) = dim Span(A1, A2, . . . , An) .

Nota Bene: rg(A) = 0 se e solo se A e la matrice nulla di ordine k × n!!

Esempio 3.29.Consideriamo la matrice

A =

1 2 3−1 2 10 1 1

.

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7. IL RANGO DI UNA MATRICE 221

O

uu′

u′′

Figura 3.4. Tre vettori u1, u2 e u3 non complanari individua-no un parallelepipedo; il volume del paralellepipedo si ottienecalcolando il determinante di una matrice di ordine 3 le cui co-lonne sono le componenti nella base canonica dei tre vettori,rispettivamente. Il volume ha un segno legato all’orientamen-to reciproco dei tre vettori. In accordo con le regole di calcolodel determinante, se i vettori sono complanari (ossia, se uno enel sottospazio generato dagli altri due), il parallelepipedo dege-nera in una figura piana a volume nullo; corrispondentemente,il determinante si annulla, poiche una colonna e combinazionelineare delle altre due (punto (8) delle Proprieta 3.14).

Lo spazio generato dalle colonne di A e W = Span(

A1, A2, A3)

, dove:

A1 =

1−10

, A2 =

221

, A3 =

311

.

Dunque per calcolare la dimensione di tale spazio e sufficiente applicare l’algo-ritmo di estrazione alla lista delle colonne di A.

Osserviamo che A1 e A2 sono indipendenti, mentre A3 e combinazionelineare di A1 e A2:

A3 = A1 + A2.

Dunque le colonne A1, A2 formano una base di W , per cui si ha

rg A = dimW = 2 .

Proprieta 3.22. Osserviamo che, data una matrice A di ordine k × n, sihanno le seguenti proprieta:

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222 3. MATRICI

(1) Il rango di A e il massimo numero di colonne linearmenteindipendenti di A.Il rango di una matrice si puo quindi calcolare applicando l’algoritmodi estrazione alle colonne della matrice A.

(2) Il rango di A e minore o uguale al numero di colonne di A:

rg(A) ≤ n.

(3) Il rango di A e minore o uguale al numero di righe di A:

rg(A) ≤ k.

Infatti le colonne di A sono elementi di Rk, quindi Span(A1, . . . , An) eun sottospazio di Rk, la sua dimensione e ≤ k.

(4) Il rango di A e minore o uguale al minimo tra gli interi n e k:

rg(A) ≤ min(k, n) .

(5) Il rango di A e uguale a k se e soltanto se le colonne di A sonoun sistema di generatori di Rk.Infatti si ha dim Span(A1, . . . , An) = k se e solo se si ha:

Span(A1, . . . , An) = Rk.

(6) Il rango di A e uguale a n se e soltanto se le colonne di A sonolinearmente indipendenti.Infatti dim Span

(

A1, A2, · · · , An)

= n se e solo se le colonne A1, . . . , An

sono indipendenti.

(7) Se A′ si ottiene da A scambiando due colonne:

rg(A′) = rg(A).

Infatti lo spazio vettoriale generato dalle colonne non dipende dall’or-dine in cui le colonne appaiono.

Possiamo riassumere le osservazioni precedenti nello schema seguente:

Caso 1 n ≤ k: il rango massimo e n.rg(A) = n ⇒ le colonne di A sono indipendenti(e generano un sottospazio di Rk

di dimensione n.)Caso 2: k ≤ n: il rango massimo e k.

rg(A) = k ⇒ le colonne di A sonoun sistema di generatori di Rk.

Caso 3 k = n: il rango massimo e n.rg(A) = n ⇒ le colonne di A sono una base di Rn.

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7. IL RANGO DI UNA MATRICE 223

7.1. Rango e minori di una matrice.

Osservazione 3.30. Sia A una matrice quadrata di ordine n× n. Il rangodi A e massimo (cioe rg(A) = n) se e solo se le colonne di A sono linearmenteindipendenti e quindi se e solo se la matrice A e invertibile (ovvero detA 6= 0).Otteniamo quindi:

rg(A) = n ⇐⇒ detA 6= 0.

Questa semplice osservazione mostra come vi sia una relazione tra deter-minante e rango. In questa sezione ci occuperemo di generalizzare e precisarequesta relazione mostrando come il rango di una qualsiasi matrice A (non ne-cessariamente quadrata) dipenda dai determinanti delle sottomatrici quadratedi A.

Definizione 3.19. Sia A una matrice di ordine k × n.

- Una sottomatrice di A e una matrice A′ che e possibile ottenerecancellando righe e colonne di A.

- Il determinante di ogni sottomatrice quadrata di A viene chiamatominore della matrice.

- Diremo che un minore ∆ e di ordine h se e il determinante di unasottomatrice h × h.

Notazione 3.20.Utilizzeremo la notazione A′ ⊂ A per indicare che A′ e una sottomatrice di A.

Esempio 3.31.

(1) Consideriamo la seguente matrice:

A =

(

1 2 34 5 6

)

.

Le sottomatrici di ordine 1 × 1 sono semplicemente le entrate dellamatrice e i minori corrispondenti sono le entrate stesse. Dunque iminori di ordine 1 sono 1, 2, 3, 4, 5, 6.Le sottomatrici di ordine 2 × 2 si ottengono cancellando una colonnadi A. Dunque ci sono esattamente 3 sottomatrici di ordine 2 × 2:

(

2 35 6

)

,

(

1 34 6

)

,

(

1 24 5

)

.

I minori di ordine 2 di A sono dunque∣

2 35 6

= −3 ,

1 34 6

= −6 ,

1 24 5

= −3 .

(2) Consideriamo la seguente matrice:

A =

1 2 34 5 69 7 8

.

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224 3. MATRICI

Come prima i minori di ordine 1 sono semplicemente le entrate dellamatrice e dunque sono i numeri da 1 a 9.Le sottomatrici 2× 2 si ottengono cancellando una riga e una colonnada A. Quindi in totale sono 9 e in particolare sono:

(

5 67 8

)

,

(

4 69 8

)

,

(

4 59 7

)

(

2 37 8

)

,

(

1 39 8

)

,

(

1 29 7

)

,(

2 35 6

)

,

(

1 34 6

)

,

(

1 24 5

)

.

Dunque i minori di ordine 2 sono:∣

5 67 8

= −2 ,

4 69 8

= −22 ,

4 59 7

= −17∣

2 37 8

= −5 ,

1 39 8

= −19 ,

1 29 7

= −11,∣

2 35 6

= −3 ,

1 34 6

= −6 ,

1 24 5

= −3 .

L’unica sottomatrice 3×3 e la matrice A stessa e dunque l’unico minoredi ordine 3 e |A| = −9.

(3) Consideriamo la seguente matrice

A =

1 15√

3

2 16 2√

3

3 13 3√

3

4 15 4√

3

.

Osserviamo che A3 =√

3A1. Ora se A′ e una sottomatrice A di ordine3 (ovvero se A′ e ottenuta cancellando una riga di A), la prima e laterza colonna di A′ sono ancora una multipla dell’altra per lo stessofattore di proporzionalita (in questo esempio

√3). In particolare il

determinante di A′ e 0. Segue che tutti i minori di ordine 3 sono nulli.(4) Consideriamo il seguente esempio

A =

1√

2 1 +√

2

2√

2 2 +√

2

3√

2 3 +√

2

4√

2 4 +√

2

.

Si ha A3 = A1 + A2. In questo caso per le sottomatrici 3× 3, A′ ⊂ A,sara vero che (A′)1 + (A′)2 = (A′)3 e dunque anche in questo caso siavra detA′ = 0, per ogni sottomatrice A′ ⊂ A di ordine 3 × 3.

Chiaramente, gli esempi 3 e 4 sono casi particolari di una proprieta piu generale.Supponiamo che la colonna n-esima di A sia combinazione lineare delle altrecolonne

An = λ1A1 + λ2A

2 + . . . + λn−1An−1 .

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7. IL RANGO DI UNA MATRICE 225

Data una sottomatrice A′ di A ottenuta cancellando alcune righe di A (manessuna colonna) si avra ancora

(A′)n = λ1(A′)1 + λ2(A

′)2 + . . . + λn−1(A′)n−1 .

In particolare se A′ e quadrata (cosa che puo avvenire solo se il numero dellerighe e maggiore del numero delle colonne) si avra detA′ = 0.

Possiamo riassumere questa osservazione nella seguente relazione tra ran-go e minori che generalizza la relazione osservata all’inizio nel caso di matriciquadrate.

Proprieta 3.23. Sia A una matrice k × n con n ≤ k.

• Se le colonne di A sono linearmente dipendenti, allora tutti i minoridi A di ordine n sono nulli.

• Se esiste un minore di A di ordine n non nullo, allora le colonne di Asono linearmente indipendenti e rg A = n.

La proprieta 3.23 che abbiamo ricavato sopra si applica SOLO nel casoin cui la matrice A contenga piu righe che colonne. Inoltre, ci fornisce uncriterio (una condizione necessaria e sufficiente) per stabilire quando il rango emassimo.

Vediamo ora come e possibile applicare tale criterio nel caso generale perottenere informazioni sul rango dai minori della matrice. Come sempre iniziamocon un esempio.

Esempio 3.32. Consideriamo la matrice di ordine 4 × 5:

A =

1 2 3 1 11 1 2 7 20 1 4 1 10 1 4 −1 −1

.

Consideriamo la sottomatrice A′ ottenuta scegliendo le colonne A1, A3, A5 e lerighe A1, A3, A4 (e dunque cancellando le colonne A2, A4 e la riga A2) Abbiamo

A =

1 2 3 1 11 1 2 7 20 1 4 1 10 1 4 −1 −1

→ A′ =

1 3 10 4 10 4 −1

.

Osserviamo che A′ e anche una sottomatrice della matrice A′′ formata dallecolonne A1, A3, A5 (che sono le colonne che contengono A′):

A =

1 2 3 1 11 1 2 7 20 1 4 1 10 1 4 −1 −1

→ A′′ =

1 3 11 2 20 4 10 4 −1

.

Poiche il determinante di A′ e −8 6= 0 applicando la Proprieta 3.23 deduciamoche le colonne A1, A3, A5 sono indipendenti.

Ovviamente questo ragionamento si puo applicare ogni volta che ho unminore non nullo. Ne deduciamo che vale la seguente proprieta che generalizzaquella gia studiata.

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226 3. MATRICI

Proprieta 3.24. Sia A una matrice di ordine k × n.

• Se A′ ⊂ A e una sottomatrice quadrata di ordine r con determinantenon nullo, allora le colonne di A che contengono le colonne di A′ sonolinearmente indipendenti.

• In particolare, rg A ≥ r.

Possiamo enunciare la proprieta nel seguente modo:se esiste un minore di A di ordine r non nullo, allora rg(A) ≥ r.

ATTENZIONE! Nel caso in cui abbiamo un minore nullo, non abbiamoalcuna informazione sul rango.

Per ottimizzare l’informazione sul rango che possiamo ricavare guardando iminori, dobbiamo allora cercare il minore di ordine piu grande non nullo.

Definizione 3.21. Sia A una matrice di ordine k × n. Definiamo l’ ordinemassimo dei minori non nulli di A:

rMAX(A) = max{r | esiste un minore di A di ordine r non nullo}.Nota bene: rMAX(A) = r significa che:

- esiste un minore non nullo di A di ordine r,- tutti i minori di ordine > r sono nulli.

Applicando la Proprieta 3.24, abbiamo la relazione: rg(A) ≥ rMAX(A).Mostreremo in effetti che vale l’uguaglianza.

Proposizione 3.25. Sia A una matrice di ordine k × n, vale:

rg(A) = rMAX(A).

Dimostrazione.

Poniamo r = rMAX(A) e supponiamo per semplicita che il minore di ordine r nonnullo sia quello ottenuto scegliendo le prime r righe e le prime r colonne (e cancellandotutto il resto). Sappiamo che le prime r colonne di A sono indipendenti, vogliamomostrare che tutte le colonne Ar+1, . . . , An sono combinazioni lineari di A1, . . . , Ar.Ci limiteremo a verificare che Ar+1 e combinazione lineare delle prime r colonne, inquanto lo stesso ragionamento puo essere applicato alle altre colonne.

Sia A′ la matrice ottenuta scegliendo le prime r righe e le prime r colonne e sia u

il vettore di Rr ottenuto considerando le prime r entrate della colonna Ar+1. In talmodo abbiamo:

A =

∗ . . . ∗A′ u

.... . .

...∗ . . . ∗

∗ . . . ∗ ∗ ∗ . . . ∗...

. . ....

....... . .

...∗ . . . ∗ ∗ ∗ . . . ∗

.

Poiche detA′ 6= 0 sappiamo che (A′)1, . . . , (A′)r formano una base di Rr. Inparticolare il vettore u e combinazione lineare di (A′)1, . . . , (A′)r

u = λ1(A′)1 + λ2(A

′)2 + . . . + λr(A′)r .

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7. IL RANGO DI UNA MATRICE 227

Sia ora C la corrispondente combinazione lineare dei vettori A1, . . . , Ar

C = λ1A1 + λ2A

2 . . . + λrAr .

Osserviamo che le prime componenti di C coincidono con le componenti di u e dunqueC e della forma

C =

u

∗...∗

e in particolare le prime r componenti di C coincidono con le prime r componenti diAr+1:

Ar+1 − C =

0r

∗...∗

Ora se mostriamo che tutte le componenti di Ar+1−C sono nulle (ovvero Ar+1−C = 0k)allora avremmo Ar+1 = C e dunque Ar+1 risulterebbe combinazione lineare delle primer colonne come volevamo.

Posto B = Ar+1 −C, dobbiamo dunque verificare che br+1 = br+2 = . . . = bk = 0.Osserviamo che:

• Applicando le proprieta del determinante si osserva facilmente che i minoridi ordine r + 1 della matrice (A1|A2| . . . Ar|Ar+1) coincidono con i minori diordine r + 1 della matrice (A1|A2| . . . |Ar|Ar+1 − C).

• Poiche per ipotesi la matrice A non contiene minori di ordine r + 1 non nulliricaviamo tutti i minori di ordine r + 1 della matrice (A1|A2| . . . |Ar|Ar+1)sono nulli.

Le due osservazioni implicano che la matrice

(A1|A2| . . . |Ar|B)

non contiene minori di ordine r + 1 non nulli. Ora prendiamo il minore corrispondentealla sottomatrice (r + 1) × (r + 1) ottenuta scegliendo le prime r + 1 righe (e le primer + 1 colonne) si ha

A′ 0r

∗ . . . ∗ br+1

= br+1 detA′ .

Ponendo dunque tale minore uguale a 0 otteniamo

br+1 det A′ = 0 ,

da cui deduciamo br+1 = 0, visto che per ipotesi abbiamo detA′ 6= 0.Consideriamo il minore corrispondente la sottomatrice ottenuta scegliendo le prime

r righe e la riga r + 2 . In questo caso si ha∣

A′ 0r

∗ . . . ∗ br+2

= br+2 detA′ ,

da cui come prima ricaviamo br+2 = 0 e cosı via. �

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228 3. MATRICI

Osservazione 3.33. Sia A una matrice di ordine k × n.Osserviamo che se A′ e una sottomatrice di A allora (A′)T e una sottomatricedi AT. Poiche detA′ = det(A′)T, ricaviamo che i minori di A coincidono con iminori di (A)T. In particolare, abbiamo:

rMAX(A) = rMAX(AT).

Dalla Proposizione 3.25 ricaviamo la seguente relazione non banale che legail rango di A al rango della trasposta di A:

Corollario 3.26. Sia A una matrice di ordine k × n. Allora si ha:

rg(A) = rg(AT) .

Detto in altri termini, in una matrice A il numero massimo di colonneindipendenti, coincide con il numero massimo di righe indipendenti.

Nel prossimo capitolo vedremo un’altra dimostrazione piu teorica dellostesso risultato.

Per concludere questa sezione descriviamo un metodo algoritmico per cal-colare rMAX(A) detto metodo degli orlati.

Definizione 3.22. Sia A una matrice di ordine k×n. Data una sottomatriceA′ ⊂ A di ordine r, un orlato di A′ e una sottomatrice A′′ di ordine r + 1 taleche A′ ⊂ A′′ ⊂ A.

Esempio 3.34.Consideriamo la matrice A di ordine 3 × 4:

A =

1 2 3 45 6 7 89 10 11 12

,

sia A′ ⊂ A la sottomatrice di ordine 2 ottenuta scegliendo la prima e la secondariga e la prima e la terza colonna

1 2 3 45 6 7 89 10 11 12

→ A′ =

(

1 35 7

)

.

Allora la sottomatrice A′′ di ordine 3 ottenuta scegliendo la prima la secondala terza riga, e la prima e la seconda e la terza colonna

1 2 3 45 6 7 89 10 11 12

→ A′′ =

1 2 35 6 79 10 11

e un orlato di A′.Lo studente puo verificare che la matrice A′ ha esattamente 2 orlati.

Proposizione 3.27 (Regola degli orlati di Kronecker). Sia A una matricedi ordine k×n. Sia A′ una sottomatrice di A di ordine r con determinante nonnullo. Se tutti gli orlati di A hanno determinante nullo allora rg(A) = r.

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7. IL RANGO DI UNA MATRICE 229

Utilizzando tale criterio il calcolo del rango di una matrice A puo avvenirein questo modo:

• Si fissa una sottomatrice A(1) di ordine 1 (ovvero un’entrata) non nulla.• Si considerano tutti gli orlati di tale sottomatrice. Se i corrispondenti

minori sono tutti nulli si deduce che il rango di A e 1. Altrimenti sifissa un’orlato A(2) con determinante diverso da 0.

• Si considerano tutti gli orlati di A(2). Se i corrispondenti minori sonotutti nulli, si deduce che il rango di A e 2. Altrimenti si fissa un orlatoA(3) con determinante diverso da 0

• Si considerano tutti gli orlati di A(3). Se i corrispondenti minori sonotutti nulli si deduce che il rango di A e 3. Altrimenti si fissa un orlatoA(4) con determinante non nullo.

• Si ripete ricorsivamente la procedura esposta sopra fino ad arrivare alcalcolo del rango

Vediamo quache esempio di applicazione del metodo degli orlati appenadescritto, che costituisce un approccio “bottom-up”.

Esercizio 7.1.

(1) Si determini il rango della seguente matrice:

A =

0 1 2−1 0 1−2 −1 0

Anzitutto, notiamo che la matrice e quadrata di ordine 3×3; quindi diversiapprocci sono adottabili. Se vogliamo attenerci all’uso del metodo degli orlati,si dovrebbe partire da un minore di ordine 1 non nullo; questo c’e: ∆(1) =(a1,2) = 1 6= 0 va bene; il rango e almeno 1. Ora, cominciamo ad orlare:consideriamo la sottomatrice A(2) ottenuta orlando l’elemento considerato conla prima colonna e la seconda riga (ossia, A(2) = A[3,3]:

0 1 2−1 0 1−2 −1 0

⇒ A(2) =

(

0 1−1 0

)

.

Risulta ovvio che det(A(2)) = 1, quindi il rango e almeno 2. Ora, l’unica sotto-matrice che possiamo costruire orlando A(2) e la matrice A stessa. Calcoliamoneil determinante:

det(A) =

0 1 2−1 0 1−2 −1 0

= −(1)

−1 1−2 0

+ 2

−1 −1−2 −1

= −2 + 2 = 0.

Quindi, possiamo affermare che “tutti i minori di ordine 3 ottenuti orlando A(2)

sono nulli”, quindi rg(A) = 2. In effetti, notiamo che 2A2 − A1 = A3.

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230 3. MATRICI

Si determini il rango della matrice di ordine 4 × 4:

B =

1 0 0 −10 1 1 00 −1 −1 01 0 0 −1

. Non tutte le entrate sono nulle, quindi cominciamo subito con la sottomatricedelle prime due righe e colonne:

B(2) =

(

1 00 1

)

.

Questa ha chiaramente determinante det(B(2)) = 1, quindi rg(B) ≥ 2. Osser-viamo che orlando la matrice B(2) otteniamo in tutto 4 sottomatrici; orlandocon la terza riga e terza colonna si ha

1 0 00 1 10 −1 −1

che ha determinante nullo, perche ha due colonne uguali.Orlando con la quarta riga e terza colonna si ha

1 0 00 1 11 0 0

,

ancora con determinante nullo, perche ha due righe uguali.Le altre 2 sottomatrici usando la quarta colonna, con la terza e la quarta

riga sono:

1 0 −10 1 00 −1 0

1 0 −10 1 01 0 −1

e hanno determinante nullo, perche entrambe hanno due colonne proporzionali.Ossia, tutti le sottomatrici di ordine 3 ottenute orlando B(2) hanno deter-

minante nullo, quindi, per la Proposizione (3.27) possiamo fermarci e dire cherg(B) = 2. Il risultato, in realta era ovvio (perche? ).

7.2. Rango di matrici con parametri.

Il metodo degli orlati (3.27) visto sopra e meno efficace in presenza di uno opiu parametri nella matrice. In questo caso, conviene un approccio “top-down”,ossia “dall’alto”. Vediamo un esmepio (per ulteriori esempi, rimandiamo alCapitolo finale 9, dove riportiamo una selezione di esercizi proposti e, in parte,risolti.

Esercizio 7.2. Determinare il rango della matrice

Mh =

h − 1 h 1 −h0 1 h −1

1 − h 2 + h 1 −1

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7. IL RANGO DI UNA MATRICE 231

al variare del parametro h in R.La matrice ha ordine 3× 4, quindi il suo rango massimo e 3. Consideriamo

la sottomatrice formata dalle ultime 3 colonne, e calcoliamone il determinante(la scelta cade sulle colonne che sembrano piu “semplici” dal punto di vista deitermini parametrici: si lascia l’esercizio di scegliere anche, per esempio le prime3 colonne, secondo il procedimento che descriveremo):

det(M ′h) =

h 1 −h1 h −1

2 + h 1 −1

= h3 + h2 − h − 1 = h2(h + 1) − (h + 1)

= (h2 − 1)(h + 1) = (h − 1)(h + 1)2 .

Si vede subito che, per h 6= −1, 1, det(M ′h) 6= 0 e, quindi, rg(Mh) = 3.

Rimane da determinare rg(Mh) per i valori h = 1 e h = −1. Convie-ne studiare “a mano” la matrice Mh per ciscuno di tali valori. Per h = −1otteniamo:

M−1 =

−2 −1 1 10 1 −1 −12 1 1 −1

.

Il rango di questa matrice e massimo; per verificare l’affermazione, basta calco-lare il determinante della sottomatrice delle prime 3 colonne:

−2 −1 10 1 −12 1 1

=

−2 −1 10 1 −10 0 2

= 2

−2 −10 1

= −4 ,

ossia rg(M−1) = 3.Invece, per h = 1, la matrice M assume la forma:

M+1 =

0 1 1 −10 1 1 −10 3 1 −1

.

e, osservando che le prime due righe sono uguali, e facile convincersi che rg(M+1) =2: la sottomatrice evidenziata in colore ha chiaramente determinante non nullo.

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232 3. MATRICI

APPENDICE

8. Proprieta associativa per il prodotto fra matrici

Siano X e Y due matrici di ordini, rispettivamente, k × n e n × h (nonnecessariamente con k 6= n e n 6= h), ossia due matrici per le quali possiamocalcolare il prodotto XY . Lasciamo allo studente il compito di verificare chequanto detto per il prodotto righe per colonne si riassume brevemente dicendoche, detta P la matrice di ordine k × h prodotto l’entrata generica della rigai-esima e della colonna j-esima di P si calcolano nella seguente maniera

(3.25) (P )ij = pij = (XY )ij =n∑

l=1

xilylj .

Usando ripetutamente la scrittura 3.25 calcoliamo esplicitamente l’entratadella riga i-esima e della colonna j-esima del prodotto A(BC) per le matriciaventi gli stessi ordini usati nella sezione 2.3:

(3.26) [A(BC)]ij =n∑

l=1

ail(BC)lj =n∑

l=1

ail

(

h∑

m=1

blmcmj

)

.

Ora, le operazioni di addizione e moltiplicazione nel campo dei numeri reali–in cui sono prese le entrate delle matrici– godono entrambe della proprietaassociativa; inoltre, ricordiamo che l’addizione gode di quella commutativa e lamoltiplicazione di quella distributiva sull’addizione (la proprieta commutativadel prodotto qui non serve). Sfruttando tutto cio, possiamo riordinare i termininella (3.26) per ottenere:

[A(BC)]ij =n∑

l=1

(

h∑

m=1

ailblmcmj

)

(p. distributiva)

=

(

n∑

l=1

h∑

m=1

ailblmcmj

)

(p. associativa addiz.)

=

(

h∑

m=1

n∑

l=1

ailblmcmj

)

(p. commutativa addiz.)

=h∑

m=1

(

n∑

l=1

ailblmcmj

)

(p. associativa addiz.)

=h∑

m=1

(

n∑

l=1

ailblm

)

cmj (p. distributiva moltipl.)

=

h∑

m=1

(AB)imcmj (definiz. prdotto fra matrici)

= [(AB)C]ij .

(3.27)

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9. TEOREMI SUL CALCOLO DEL DETERMINANTE 233

Procedendo in maniera analoga, si possono verificare anche tutte le altreproprieta del prodotto fra matrici. Si lascia allo studente l’esercizio di effettuaretali verifiche, per impratichirsi anche con le tecniche di utilizzo della notazionedi sommatoria.

9. Teoremi sul calcolo del determinante

Abbiamo accennato, nella presentazione del Teorema di Laplace 3.12, alrisultato preliminare circa il calcolo del determinante secondo la prima riga,con formula analoga a quella secondo la prima colonna. Lo enunciamo quiesplicitamente, dandone la dimostrazione: questa e un po’ tecnica, ma valela pena di vederla qui per chi vuole impratichirsi con l’uso della notazione disommatoria.

Teorema 3.28. Sia A ∈ MR(n) una matrice quadrata di ordine n (ingenerale, una matrice A ∈ MK(n) a entrate in un campo K qualunque); Ildeterminante di A si puo calcolare anche secondo la formula seguente:

det(A) =n∑

i=1

(−1)i+1a1,i det(A[1,i])

= a1,1 det(A[1,1]) − a1,2 det(A[1,2]) + . . . (−1)n+1a1,n det(A[1,n])

(3.28)

Dimostrazione. La dimostrazione verra fatta utilizzando il principio di indu-zione.

Se n = 1, l’enunciato e vero; poiche la matrice contiene un solo elemento, si hadet(A) = |(a11)| = a11, e questo e vero sia che il calcolo si svolga secondo la prima rigao secondo la prima colonna: in entrambi i casi, tutto si riduce ad un solo elemento.

Supponiamo ora (ipotesi induttiva) di avere dimostrato il teorema per le matricidi ordine n − 1, con n > 1. Calcoliamo il determinante di A secondo la definizione(sviluppando secondo la prima colonna), e separiamo il primo termine della sommatoriadagli altri:

det(A) =n∑

i=1

(−1)i+1ai,1 det(A[i,1])

= a11 det(A[1,1]) +

n∑

i=2

(−1)i+1ai,1 det(A[i,1]) .

(3.29)

Osserviamo adesso che le matrici aggiunte A[i,1] sono di ordine n−1, quindi per l’ipotesiinduttiva possiamo calcolare il loro determinante anche sviluppandolo secondo la loroprima riga.

Inoltre, osserviamo anche che l’elemento a1,j della matrice originaria A si trovanella prima riga e nella colonna (j − 1)−esima avendo cancellato la prima colonna.Analogamente, se si considera la matrice A[1,j], in questa l’elemento ai,1 della matriceoriginaria A si trova nella prima colonna e nella riga (i − 1)−esima avendo cancellatola prima riga.

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234 3. MATRICI

Possiamo scrivere, pertanto:

det(A) = a11 det(A[1,1]) +

n∑

i=2

(−1)i+1ai,1 det(A[i,1])

= a11 det(A[1,1]) +

n∑

i=2

(−1)i+1ai,1

n−1∑

k=1

(−1)1+ka1,k+1 det(A[1,i; 1,(k+1)])

= a11 det(A[1,1]) +

n∑

i=2

(−1)i+1ai,1

n∑

j=2

(−1)ja1,j det(A[1,i; 1,j])

= a11 det(A[1,1]) +n∑

i=2

n∑

j=2

(−1)1+i+jai,1a1,j det(A[1,i; 1,j]) ,

(3.30)

dove abbiamo denotato con A[1,i; 1,j] la matrice di ordine (n− 1) ottenuta cancellandole righe 1 e i e le colonne 1 e j.

Ma anche, sviluppando secondo la prima riga, e poi sviluppando secondo la primacolonna i determinanti delle matrici di ordine (n − 1) × (n − 1):

det(A) = a11 det(A[1,1]) +

n∑

j=2

(−1)j+1a1,j det(A[1,j])

= a11 det(A[1,1]) +

n∑

j=2

(−1)j+1a1,j

n−1∑

k=1

(−1)1+kak+1,1 det(A[1,(k+1); 1,j])

= a11 det(A[1,1]) +n∑

j=2

(−1)j+1a1,j

n∑

i=2

(−1)iai,1 det(A[1,i; 1,j])

= a11 det(A[1,1]) +

n∑

j=2

n∑

i=2

(−1)1+i+ja1,jai,1 det(A[1,i; 1,j]) .

(3.31)

Nella seconda espressione, riordinando i termini si ottiene l’espressione dell’equazio-ne (3.30), che e quanto volevamo dimostrare.

Ora, la proprieta del determinante della trasposta (punto (1) delle Proprieta3.14 diventa una conseguenza abbastanza immediata.

Corollario 3.29. Sia A ∈ MR(n) una matrice quadrata di ordine n(in generale, una matrice A ∈ MK(n) a entrate in un campo K qualunque).Il determinante della matrice trasposta coincide con quello della matrice dipartenza.

Dimostrazione. Sfruttando la definizione di determinante data in 3.14, possia-mo procedere per induzione sull’ordine n della matrice.

Se n = 1, l’enunciato e vero; poiche la matrice contiene un solo elemento, si haAT = (a11)

T = (a11) = A, e, quindi det(A) = det(AT) = a11. Supponiamo adesso cheil teorema sia vero per matrici di ordine n − 1 (con n > 1).

Chiamiamo B la trasposta di A, cioe B := AT; sara bij = aji. Scriviamo ora ildeterminante di B seguendo la definizione:

det(B) =

n∑

i=1

(−1)i+1bi,1 det(B[i,1]) =

n∑

i=1

(−1)i+1bi,1 det(AT[1,i]) ,

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9. TEOREMI SUL CALCOLO DEL DETERMINANTE 235

dove abbiamo usato il fatto che B e la trasposta di A, quindi la matrice aggiuntaBi,1, che viene dalla cancellazione della riga i−esima e della prima colonna di B, sipuo ottenere cancellando la prima riga di A, l’i−esima colonna di A, e prendendo latrasposta di cio che resta.

Ora, A1,i e di ordine n − 1, quindi per l’ipotesi induttiva det(A[1,i]) = det(AT[1,i]);

alllora,

det(AT) = det(B) =

n∑

i=1

(−1)i+1bi,1 det(A[1,i])

=

n∑

i=1

(−1)i+1a1,i det(A[1,i])

= det(A) ,

(3.32)

sfruttando lo sviluppo del determinante secondo la prima riga riportato nell’Eq. (3.28)

conicide con quello sviluppato secondo la prima colonna, secondo il Teorema 3.28;

questo e proprio cio che volevamo dimostrare. �

La formula generale per il calcolo del determinante, dovuta a Laplace,presenta una forma semplice una volta introdotta la seguente

Definizione 3.23. Sia A ∈ MK(n); viene chiamato complemento algebricoA∗

i,j dell’elemento aij della matrice il determinante della matrice aggiunta A[i,j]

se i + j e pari, l’opposto del determinante della matrice aggiunta A[i,j] se i + je dispari. In altre parole:

(3.33) A∗i,j = (−1)i+j det(A[i,j]) .

A questo punto possiamo enunciare il

Teorema 3.30. Il determinante di una matrice A ∈ MK(n) puo esserecalcolato secondo la j−esima colonna usando la formula

(3.34) det(A) =n∑

k=1

(−1)k+jak,j det(A[k,j]) =n∑

k=1

ak,j A∗k,j ,

ossia, il determinante e dato dalla somma dei prodotti degli elementi dellacolonna per i relativi complementi algebrici.

Osservazione 3.35. Come detto precedentemente, il Teorema (3.12) cipermette di sviluppare il determinante anche secondo la i−esima riga, e, ana-logamente al caso precedente, il determinante di A e dato dalla somma deiprodotti degli elementi della riga per i relativi complementi algebrici.

Per calcolare il determinante siamo dunque liberi di scegliere la riga o lacolonna che ci sembra piu conveniente (pur di fare attenzione ai segni).

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236 3. MATRICI

10. Prodotto vettoriale e prodotto misto in E3O

Nello spazio E3O dei vettori applicati e possibile definire un particolare pro-

dotto fra vettori, che si aggiunge al prodotto scalare (1.12) definito nel Capitolo1.

Ricordiamo che, dati due vettori u, v ∈ E3O il prodotto scalare e dato da

〈u, v〉 = |u| |v| cos ϑ =: u v cos ϑ ,

dove ϑ e l’angolo convesso fra i vettori (Figura 1.14 nel Capitolo 1).Riprendiamo in considerazione la configurazione geometrica che corrisponde

alla somma fra due vettori generici u e v. Usando la base canonica di E3O,

O

B

A

C

u

ϕ

u + v

u − v

Figura 3.5. I vettori u e v si compongono secondo il paralle-logramma OACB per dare u + v; l’angolo ϕ fra i lati OA edAC e il supplementare dell’angolo convesso ϑ fra i due vettori,ossia: ϕ = π − ϑ.

B = {ı, , k}, rappresentiamo i due vettori mediante le loro coordinate:

(3.35) u =

ux

uy

uz

v =

vx

vy

vz

;

usando queste coordinate, i moduli dei vettori si calcolano facilmente: estenden-do il Teorema di Pitagora alle tre dimensioni (diagonale del parallelepipedo),abbiamo

(3.36) u2 := |u|2 = u2x + u2

y + u2z v2 := |v| = v2

x + v2y + v2

z .

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10. PRODOTTO VETTORIALE E PRODOTTO MISTO IN E3O 237

Il modulo del vettore somma e dato da:

|u + v|2 = (ux + vx)2 + (uy + vy)2 + (uz + vz)

2

= u2x + 2uxvx + v2

x + u2y + 2uyvy + v2

y + u2z + 2uzvz + v2

z

= u2 + v2 + 2(uxvx + uyvy + uzvz) .

(3.37)

D’altra parte, usando il teorema di Carnot, possiamo scrivere

|u + v|2 = OA2+ AC

2 − 2OAAC cos ϕ

= u2 + v2 − 2|u| |v| cos(π − ϑ)

= u2 + v2 + 2|u| |v| cos(ϑ) = u2 + v2 + 2〈u, v〉 ,

(3.38)

dove abbiamo usato la definizione di prodotto scalare (1.12). Confrontando lescritture (3.37) e (3.38), riotteniamo l’espressione del prodotto scalare in terminidelle componenti dei vettori.

Osservazione 3.36. Dalla considerazione geometrica appena fatta discen-dono quindi tutte le proprieta di bilinearita del prodotto scalare: esse sonoottenibili dall’espressione mediante le coordinate, sfruttando le proprieta delleoperazioni di addizione e moltiplicazione nel campo reale.

Inoltre, dall’analisi della figura 3.5 otteniamo immediatamente la seguente

Osservazione 3.37. L’area del parallelogramma descritto dai vettori u, ve data da

(3.39) |u| |v| sinϑ .

Basta infatti ricordare che l’area si ottiene moltiplicando la base per l’al-tezza, e sfruttare i teoremi dei triangoli rettangoli.

Siamo pronti ora per dare la nostra nuova

Definizione 3.24. Siano u, v vettori di E3O. Si chiama prodotto vettoriale

fra i vettori u e v (nell’ordine) il vettore indicato con

(3.40) w = u ∧ v .

il vettore cosı ottenuto: se u o v sono il vettore nullo, oppure se u ∈ Span(v),w = 0; altrimenti w e il vettore ortogonale al piano α = Span(u, v), con versodato dalla regola della mano destra e di modulo

(3.41) |w| = |u| |v| sinϑ

Osserviamo che:- Il modulo di u∧v e pari all’area del parallelogramma descritto dai due vettori.- La regola della mano destra equivale a dire che: i tre vettori u, v, w presinell’ordine sono orientati reciprocamente come i tre vettori della terna dellabase canonica B = {ı, , k}, nell’ordine canonico. In altre parole: un’osservatoreposto come il terzo vettore w (con la testa dove “punta” la freccia) vedrebbe ilprimo vettore u sovrapporsi al secondo vettore v ruotando nel piano secondol’angolo convesso ϑ in verso antiorario.

La notazione u ∧ v e quella piu comune nella letteratura scientifica in ita-liano; nella letteratura anglosassone, invece, si incontra quasi universalmente lascrittura u × v.

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238 3. MATRICI

Anche il prodotto vettoriale puo essere scritto sfruttando le coordinate deivettori. Usando una notazione compatta, abbiamo la seguente

Proposizione 3.31.

(3.42) u ∧ v =

ı k

ux uy uz

vx vy vz ,

con l’intesa che il determinante nell’equazione (3.42) vada interpretato in modoformale-mnemonico, e si intenda sviluppato unicamente secondo la prima riga.

Dimostrazione. Scriviamo cosa significa il calcolo indicato con la (3.42):

(3.43) u ∧ v = (uyvz − uzvy)ı + (uzvx − uxvz) + (uxvy − uyvx)k ,

e calcoliamo esplicitamente il modulo quadro del secondo membro della (3.43):

|u ∧ v|2 = (uyvz − uzvy)2 + (uzvx − uxvz)2 + (uxvy − uyvx)2

=u2yv2

z + u2zv

2y + u2

zv2x + u2

xv2z + u2

xv2y + u2

yv2x

− 2uyvzuzvy − 2uzvxuxvz − 2uxvyuyvx

=u2yv2

z + u2zv

2y + u2

zv2x + u2

xv2z + u2

xv2y + u2

yv2x

+u2xv2

x + u2yv2

y + u2zv

2z−(uxvx + uyvy + uzvz)

2

=(u2x + u2

y + u2z)(v

2x + v2

y + v2z) − (uxvx + uyvy + uzvz)

2

=|u|2|v|2 − (〈u,v〉)2

=|u|2|v|2 − |u|2|v|2 cos2 ϑ

=|u|2|v|2(1 − cos2 ϑ) = |u|2|v|2 sin2 ϑ ,

(3.44)

dove i termini evidenziati in rosso sono aggiunti, e il loro opposto e inglobato nelquadrato evidenziato in blu, ed inoltre abbiamo sfruttato l’espressione del prodottoscalare mediante le componenti.

Quindi, il modulo del vettore calcolato con la (3.42) coincide con quanto previstodalla definizione (3.41). Resta da vedere l’ortogonalita con i vettori e l’orientamentoreciproco.

Calcoliamo il prodotto scalare di w con u:

〈u,w〉 = ux(uyvz − uzvy) + uy(uzvx − uxvz) + uz(uxvy − uyvx)

= uxuyvz − uyuxvz + uzuxvy − uxuzvy + uyuzvx − uzuyvx

= 0 .

Analogamente, si ottiene 〈v,w〉 = 0. Per il verso, occorre verificare che se si definisce

una nuova base con ı′ avente direzione e verso di u,

′ avente direzione e verso della

proiezione ortonale di v rispetto a u, w ha componente positiva rispetto al terzo vettore

della nuova base k′, se questo ha verso dato dalla regola della mano destra: il calcolo,

un po’ noioso, e lasciato allo studente �

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10. PRODOTTO VETTORIALE E PRODOTTO MISTO IN E3O 239

10.1. Prodotto misto.

Sfruttando le scritture riportate sopra, possiamo verificare la seguente

Proposizione 3.32. Il prodotto misto 〈(u1 ∧u2), u3〉 si ottiene rappresen-tando i vettori nella base canonica di E3

O e calcolando il determinante

(3.45) 〈(u1 ∧ u2), u3〉 =

(u1)x (u1)y (u1)z

(u2)x (u2)y (u2)z

(u3)x (u3)y (u3)z

Osservazione 3.38. Si considerino i vettori u1, u2, u3 disposti come inFigura 3.4; poiche il prodotto vettoriale u1 ∧ u2 ha modulo pari all’area delparallelogramma descritto dai due vettori, ed e un vettore ortogonale al loropiano, quando si moltiplica il terzo vettore scalarmente per questo, si proiettau3 sulla perpendicolare al piano, ossia si determina l’altezza del parallelepipedodescritto dai vettori. Il prodotto misto, quindi a meno del segno corrisponde alvolume del parallelepipedo, come affermato in precedenza.

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CAPITOLO 4

Applicazioni lineari

1. Definizioni ed esempi.

In generale, possiamo definire una funzione reale che dipende da piu varia-bili: per esempio, prese le coordinate x, y, z che identificano un vettore di E3

O,possiamo considerare la funzione d0 : R3 → R che associa ad esse la distanzadel punto dall’origine:

xyz

7→ d0(x, y, z) =√

x2 + y2 + z2.

Estendendo l’idea introdotta, possiamo pensare ad un applicazione f : Rn →Rm tra gli spazi vettoriali Rn e Rm come m funzioni reali fi(x1, . . . xn) (coni = 1, . . .m) delle n variabili che identificano un vettore del dominio; in altreparole potremo scrivere

(4.1)(

x1, . . . xn

)

7→ f(x1, x2, . . . xn) =

f1(x1, . . . xn)f2(x1, . . . xn)

...fm(x1, . . . xn)

.

Ad esempio, la funzione f : R3 → R2 definita come

f

xyz

=

(

x2 − 3y + 5xz2x + y + 4z3

)

In particolare, ci concentreremo sulle applicazioni tra gli spazi vettoriali Rn eRm che saranno esprimibili mediante espressioni molto semplici fra le coordinatedel vettore sulle quali agiscono; saranno funzioni che esprimono legami chechiameremo lineari. Scopriremo che questo tipo di applicazione “rispetta” lastruttura algebrica fissata in ciascun spazio, cioe “conserva” le operazioni disomma di vettori e di moltiplicazione per uno scalare. Verificheremo infine chetali funzioni trasformano sottospazi in sottospazi.Cerchiamo ora di capire meglio quale significato daremo a questo termine.

241

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242 4. APPLICAZIONI LINEARI

Definizione 4.1. Sia A ∈ MR(m, n) una matrice a entrate reali di ordinem × n, scriviamo

A = (A1|A2| . . . |An) Ai ∈ Rm, Ai =

a1i

a2i

. . .ami

, i = 1, . . . , n.

Osserviamo che per ogni vettore X ∈ Rn, possiamo eseguire la moltiplicazioneA · X ed ottenere un vettore di Rm:

AX = (A1|A2| . . . |An) ·

x1

x2

. . .xn

= x1A1 + · · · + xnAn ∈ Rm.

La matrice A ∈ MR(m, n) definisce quindi in modo naturale un’applicazione

(4.2) LA : Rn → Rm, X 7→ AX.

Esempio 4.1.Consideriamo, per esempio, la matrice

A =

(

3 −1 21 1 4

)

.

Questa definisce l’applicazione LA : R3 → R2 data da

LA

xyz

=

(

3x − y + 2zx + y + 4z

)

,

ossia

(4.3)

{

x′ = 3x − y + 2z

y′ = x + y + 4z

Osservazione 4.2. Notiamo alcune conseguenze immediate della definizio-ne 4.1:

• se A e la matrice nulla, LA e l’applicazione identicamente nulla, cioe∀X ∈ Rn si ha LA(X) = 0Rm ;

• se m = n e A = In, LA e l’identita di Rn, cioe LA(X) = X, per ogniX ∈ Rn;

• se m = n = 1, e A = (a), allora LA : R → R e la funzione LA(x) = ax,a ∈ R;

• se m = 1, A = (A1) = (a1| . . . |an), LA : Rn → R e l’applicazioneseguente: ∀X ∈ Rn, LA(X) = a1x1 + · · · + anxn.

Lasciamo allo studente la verifica dettagliata delle osservazioni elencate.

Proposizione 4.1. Sia (A1|A2| . . . |An), l’applicazione LA : Rn → Rm defi-nita dalla matrice A ha le seguenti proprieta:

(1) LA(0Rn) = 0Rm;(2) siano {e1, . . . ,en} i vettori della base canonica di Rn, si ha:

LA(ei) = Ai ∀ i = 1, . . . , n ;

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1. DEFINIZIONI ED ESEMPI. 243

(3) date due matrici A, B ∈ MR(m, n):

LA = LB se e solo se A = B ;

(4) dato un vettore Y ∈ Rm, esiste X ∈ Rn tale che LA(X) = Y se e solose Y ∈ Span(A1, . . . , An).

Le proprieta 4.1 (1) e (2) si ottengono applicando la definizione:

LA(0Rn) = 0A1 + 0A2 + · · · + 0An = 0Rm + . . .0Rm = 0Rm ;

per ogni i = 1, 2, . . . , n si ha

LA(ei) = 0A1 + 0A2 + · · · + 1Ai + · · · + 0An = Ai.

Verifichiamo la proprieta (3). Ovviamente se A = B allora le applicazioni LA eLB coincidono. Supponiamo ora che LA = LB, cio significa che

LA(X) = LB(X) ∀X ∈ Rn.

In particolare si ha: LA(ei) = LB(ei), ∀i = 1, . . . , n, dalla proprieta (2) segueche le colonne di A coincidono con le colonne di B e quindi A = B.Infine, verifichiamo la proprieta (4). Sia Y ∈ Rm, esiste X ∈ Rn tale cheLA(X) = Y se e solo se esistono n numeri reali x1, x2 . . . , xn tali che

x1A1 + x2A

2 + · · · + xnAn = AX = Y,

cioe Y e combinazione lineare dei vettori A1, . . . , An.

Le applicazioni LA sono caratterizzate dalle seguenti proprieta:

Proprieta 4.2. Le applicazioni definite dalle matrici di MR(m, n) sonotutte e sole le applicazioni L : Rn → Rm che soddisfano le seguenti proprietadi linearita:

L1) L(X1 + X2) = L(X1) + L(X2), ∀X1, X2 ∈ Rn;L2) L(αX) = αL(X), ∀X ∈ Rn, ∀α ∈ R.

Dimostrazione. Osserviamo che ogni applicazione LA soddisfa tali pro-prieta, che risultano essere conseguenze delle analoghe proprieta di linearita (sivedano le Proprieta 3.4) del prodotto di matrici, infatti:

LA(X1 + X2) = A · (X1 + X2) = A · X1 + A · X2 = LA(X1) + LA(X2),

LA(αX) = A · (αX) = α(A · X) = αLA(X),

∀X, X1, X2 ∈ Rn, ∀α ∈ R.Sia ora L : Rn → Rm un’applicazione che soddisfa le proprieta di linearita, e sia{e1, . . . ,en} la base canonica di Rn: consideriamo i vettori

B1 = L(e1), B2 = L(e2), . . . (Bi = L(ei), i = 1, . . . , n),

e sia B ∈ MR(m, n) la matrice formata da queste colonne: B = (B1| . . . |Bn).Sia X ∈ Rn, applicando le proprieta di linearita di L abbiamo:

L(X) = L(x1e1 + · · · + xnen)

= x1L(e1) + · · · + xnL(en) = x1B1 + · · · + xnBn

= B · X ,

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244 4. APPLICAZIONI LINEARI

∀X ∈ Rn. Possiamo concludere che L coincide con l’applicazione LB definitadalla matrice B. �

Le proprieta di linearita ci garantiscono che l’applicazione L “conserva” leoperazioni di somma di vettori e di moltiplicazione per un numero reale fissatenegli spazi Rn e Rm: infatti la prima proprieta ci dice che l’immagine dellasomma di due vettori di Rn e la somma in Rm delle loro immagini, la secondache l’immagine del prodotto di un vettore di Rn per uno scalare e il prodottoin Rm dell’immagine per lo stesso scalare. Cio significa che fare le operazioniin Rn e poi trasformare con l’applicazione L e equivalente a trasformare primacon L e poi fare le operazioni. Cio giustifica la seguente definizione:

Definizione 4.2. Un’applicazione L : V → W tra due spazi vettoriali realie detta applicazione lineare o operatore lineare di V in W se verifica leseguenti condizioni di linearita:

(1) L(v1 + v2) = L(v1) + L(v2), ∀v1, v2 ∈ V ;(2) L(αv) = αL(v), ∀v ∈ V , ∀α ∈ R.

Un’applicazione lineare L : V → V e detto operatore lineare (o endomorfi-smo) di V .

Osservazione 4.3.

• Le applicazioni definite dalle matrici di MR(m, n) sono tutte e solele applicazioni lineari di Rn in Rm.

• Ogni applicazione lineare L : V → W trasforma il vettore nullo di Vnel vettore nullo di W , cioe si ha:

(4.4) L(0V ) = 0W .

Infatti, preso un qualunque vettore v ∈ V , dall’uguglianza 0V = 0.v(si veda la Proposizione 2.1 (2)), applicando la seconda proprieta dilinearita abbiamo

L(0V ) = L(0.v) = 0L(v) = 0W .

• In meccanica, gli operatori lineari di E3O sono detti tensori del secondo

ordine (o di rango 2).

Esempio 4.4. Consideriamo i seguenti esempi:

(1) Sia V uno spazio vettoriale reale, consideriamo l’applicazione identitaIV : V → V data da

IV (v) = v, ∀v ∈ V.

Verifichiamo che e un’applicazione lineare. Si ha:

IV (v1 + v2) = v1 + v2 = IV (v1) + IV (v2), ∀v1, v2 ∈ V ;

IV (αv) = αv = αIV (v), ∀v ∈ V, ∀α ∈ R.

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1. DEFINIZIONI ED ESEMPI. 245

(2) Siano V e W due spazi vettoriali reali, consideriamo un’applicazionecostante L : V → W data da

L(v) = w0 ∀v ∈ V, w0 ∈ W.

Notiamo che affinche L sia lineare si deve avere (c.n.)

L(0V ) = 0W ,

possiamo quindi concludere che se w0 6= 0W , L non e lineare. Suppo-niamo ora che w0 = 0W , allora L e l’applicazione nulla:

L(v) = 0W , ∀v ∈ V.

Verifichiamo infine che l’applicazione nulla e lineare:

L(v1 + v2) = 0W + 0W = L(v1) + L(v2), ∀v1, v2 ∈ V ;

L(αv) = 0W = α.0W = αL(v), ∀v ∈ V, ∀α ∈ R.

(3) Sia L : R2 → R2 l’applicazione data da

L

(

xy

)

=

(

x2

x − y

)

.

Vogliamo stabilire se L e un’applicazione lineare. Osserviamo cherisulta soddisfatta la condizione necessaria per la linearita:

L

(

00

)

=

(

00

)

;

ma cio non e sufficiente. Proviamo, prendendo alcuni vettori di R2, seL verifica la prima condizione di linearita. Scegliamo i vettori:

v1 =

(

10

)

v2 =

(

11

)

,

abbiamo

L(v1 + v2) = L

(

21

)

=

(

41

)

.

Risulta tuttavia:

L(v1) + L(v2) =

(

11

)

+

(

10

)

=

(

20

)

,

essendoL(v1 + v2) 6= L(v1) + L(v2),

possiamo concludere che L non e lineare.(4) Consideriamo lo spazio vettoriale MR(2) delle matrici reali quadrate

di ordine 2. Sia L : MR(2) → R l’applicazione data da

L

(

a11 a12

a21 a22

)

= a11 + a22.

(dove a11+a22 e la traccia della matrice, Definizione 4.6). Verifichiamoche L soddisfa la prima condizione di linearita. Siano A, B ∈ MR(2)due matrici reali quadrate di ordine 2:

A =

(

a11 a12

a21 a22

)

B =

(

b11 b12

b21 b22

)

,

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246 4. APPLICAZIONI LINEARI

si ha

L(A) = a11 + a22 L(B) = b11 + b22.

La somma delle matrici A e B e la seguente matrice:

A + B =

(

a11 + b11 a12 + b12

a21 + b21 a22 + b22

)

,

abbiamo, quindi:

L(A + B) = (a11 + b11) + (a22 + b22)

= (a11 + a22) + (b11 + b22)

= L(A) + L(B).

(4.5)

Verifichiamo ora la seconda proprieta di linearita. Siano λ ∈ R eA ∈ MR(2):

A =

(

a11 a12

a21 a22

)

,

il prodotto della matrice A per il numero reale λ e la seguente matrice:

λA =

(

λa11 λa12

λa21 λa22

)

.

Abbiamo quindi:

L(λA) = λa11 + λa22 = λ(a11 + a22) = λL(A).

(5) Consideriamo lo spazio vettoriale MR(n) delle matrici reali quadrate diordine n ≥ 2. Sia d : : MR(n) → R l’applicazione che associa ad ognimatrice il determinante: d(A) = |A|. Verifichiamo che d non e un’ap-plicazione lineare. Osserviamo che dalle proprieta del determinanteabbiamo:

|αA| = (α)n|A| ∀α ∈ R,

per cui se α 6= 0 e α 6= ±1 risulta:

d(αA) 6= α d(A),

possiamo quindi concludere che d non e un’applicazione lineare.(6) Consideriamo lo spazio vettoriale R[x] dei polinomi p(x) in x di grado qua-

lunque a coefficienti reali. Sia D : R[x] → R[x] l’applicazione che associa alpolinomio p(x) il polinomio D(p(x)) ottenuto derivando p(x). Posto

p(x) = a0 + a1x + a2x2 + · · · + anxn,

si ha

D(p(x)) = a1 + 2a2x + · · · + nanxn−1.

D e un operatore lineare, infatti dalle proprieta della derivazione delle fun-zioni reali si ha:

D(p1(x) + p2(x)) = D(p1(x)) + D(p2(x)), ∀p1(x), p2(x) ∈ Rn[x],

e

D(αp(x)) = αD(p(x)),∀α ∈ R,∀p(x) ∈ Rn[x].

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2. NUCLEO ED IMMAGINE DI UN’APPLICAZIONE LINEARE. 247

Concludiamo questa parte verificando la proprieta che avevamo annunciato:ogni applicazione lineare trasforma sottospazi in sottospazi.

Proprieta 4.3. Siano L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vetto-riali reali e U ⊆ V un sottospazio di V . L’immagine di U secondo L (Defini-zione 0.9):

L(U) = {L(u), u ∈ U} = {w ∈ W | ∃u ∈ U : L(u) = w}e un sottospazio di W .

Per verificare che l’insieme L(U) ⊆ W e un sottospazio di W basta provareche:

(1) ∀w1, w2 ∈ L(U), w1 + w2 ∈ L(U);(2) ∀w ∈ L(U), ∀α ∈ R, αw ∈ L(U).

Dimostrazione. Siano w1, w2 ∈ L(U): esistono allora due vettori u1, u2 ∈ Utali che

L(u1) = w1 L(u2) = w2.

Per la linearita di L abbiamo:

L(u1 + u2) = L(u1) + L(u2) = w1 + w2,

poiche U e un sottospazio di V si ha u1 + u2 = u ∈ U e l’uguaglianza

w1 + w2 = L(u), u ∈ U,

da cui otteniamo w1 + w2 ∈ L(U).Siano, ora, w ∈ L(U) e α ∈ R: esiste un vettore u ∈ U tale che L(u) = w.

Per la linearita di L abbiamo

L(αu) = αL(u) = αw,

poiche U e un sottospazio di V si ha αu = u′ ∈ U e L(u′) = αw, per cuipossiamo concludere che αw ∈ L(U). �

2. Nucleo ed Immagine di un’applicazione lineare.

Associamo ad ogni applicazione lineare tra spazi vettoriali reali due sottoin-siemi che sono utili nello studio dell’applicazione.

Definizione 4.3. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vettorialireali, associamo a L i seguenti insiemi:

• Nucleo di L:

KerL = {v ∈ V | L(v) = 0W };• Immagine di L:

Im L = {L(v), v ∈ V } = {w ∈ W | ∃ v ∈ V : L(v) = w}.

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248 4. APPLICAZIONI LINEARI

Osservazione 4.5. Osserviamo che:

• KerL ⊆ V e Ker L 6= ∅: infatti poiche L(0V ) = 0W abbiamo

0V ∈ Ker L,

quindi contiene almeno il vettore nullo di V ;• analogamente, Im L ⊆ W e Im L 6= ∅: infatti poiche 0W = L(0V ),

abbiamo

0W ∈ Im L,

quindi ImL contiene almeno il vettore nullo di W .

Proprieta 4.4. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vettorialireali:

(1) KerL e un sottospazio di V ;(2) Im L e un sottospazio di W .

Dimostrazione. Ricordiamo che KerL e un sottospazio di V se e chiusorispetto alla somma di vettori e chiuso rispetto alla moltiplicazione per unoscalare reale. Verifichiamo che

∀v1, v2 ∈ KerL si ha v1 + v2 ∈ KerL,

∀v ∈ Ker L, ∀α ∈ R si ha αv ∈ KerL.

Per la prima proprieta di linearita di L abbiamo:

L(v1 + v2) = L(v1) + L(v2),

poiche vi ∈ KerL risulta L(vi) = 0W , i = 1, 2, quindi

L(v1 + v2) = L(v1) + L(v2) = 0W + 0W = 0W ,

cioe L(v1 + v2) = 0W . Possiamo concludere che v1 + v2 ∈ KerL.Analogamente per la seconda proprieta di linearita di L per ogni vettore

v ∈ KerL si ha:

L(αv) = αL(v) = α0W = 0W ,

da cui ricaviamo che αv ∈ KerL.Osserviamo che per definizione risulta

Im L = {w ∈ W | ∃v ∈ V : L(v) = w} = L(V ),

poiche abbiamo verificato che ogni applicazione lineare trasforma sottospaziin sottospazi, anche L(V ) risulta essere un sottospazio di W (infatti, V e unsottospazio banale di V stesso). �

I sottospazi nucleo e immagine di una applicazione lineare ne caratterizzanol’iniettivita e la suriettivita. Ricordiamo le nozioni di applicazione iniettiva esuriettiva (Definizioni 0.12).

Sia L : V → W un’applicazione tra due insiemi.

(1) L e iniettiva se ∀v1, v2 ∈ V :

v1 6= v2 =⇒ L(v1) 6= L(v2);

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2. NUCLEO ED IMMAGINE DI UN’APPLICAZIONE LINEARE. 249

(2) L e suriettiva se ogni elemento di W e immagine di almeno unelemento di V , i.e.

∀w ∈ W ∃ v ∈ V : L(v) = w ⇐⇒ Im L = W.

Proprieta 4.5. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vettorialireali.

(1) L e iniettiva ⇐⇒ KerL = {0V };(2) L e suriettiva ⇐⇒ Im L = W .

Dimostrazione. Verifichiamo la prima proprieta. Mostriamo che se L einiettiva il nucleo di L contiene solo il vettore nullo. Sia, per assurdo, v ∈ KerLun vettore del nucleo non nullo: v 6= 0V e L(v) = 0W . Ricordiamo che poicheL e lineare si ha anche: 0W = L(0V ), otteniamo quindi l’uguaglianza

L(v) = L(0V ),

poiche v 6= 0V cio contraddice l’iniettivita di L.Viceversa, supponiamo ora che il nucleo di L contenga solo il vettore nullo. Perprovare che L e iniettiva proviamo che, ∀v1, v2 ∈ V :

L(v1) = L(v2) =⇒ v1 = v2.

Sia L(v1) = L(v2), per la linearita di L abbiamo:

L(v1 − v2) = L(v1) − L(v2) = 0W ,

e quindi v1 − v2 ∈ KerL, poiche il nucleo contiene solo il vettore nullo, risultanecessariamente v1 − v2 = 0V e quindi v1 = v2.La seconda proprieta segue immediatamente dalla definizione di suriettivita. �

Esempio 4.6 (Fondamentale). Sia LA : Rn → Rm l’applicazione linearedefinita dalla matrice reale A ∈ MR(m, n):

LA(X) = AX, ∀X ∈ Rn.

Vogliamo determinare i sottospazi nucleo ed immagine di LA. Dalla definizionedi nucleo e immagine abbiamo:

KerLA = {X ∈ Rn | AX = 0Rm },Im LA = {AX, X ∈ Rn} = {Y ∈ Rm | ∃X ∈ Rn : AX = Y }.

Siano A1, A2, . . . , An i vettori colonna della matrice A, ricordiamo che molti-plicando la matrice A per il vettore X ∈ Rn si ottiene la combinazione linearedelle colonne di A con vettore dei coefficienti X:

A.X = x1A1 + x2A

2 + · · · + xnAn,

per cui possiamo concludere che:

• Im LA = Span(A1, . . . , An);• dim(Im LA) = dim(Span(A1, . . . , An)) = rg(A);• LA e suriettiva ⇐⇒ Rm = Span(A1, . . . , An) ⇐⇒ rg(A) = m;• esiste un vettore non nullo X ∈ Ker LA ⇐⇒ i vettori colonna

A1, A2, . . . , An sono linearmente dipendenti;

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250 4. APPLICAZIONI LINEARI

• LA e iniettiva ⇐⇒ i vettori colonna A1, . . . , An sono linearmenteindipendenti ⇐⇒ rg(A) = n.

Ci limitiamo ora a considerare spazi vettoriali finitamente generati, abbiamoallora la seguente descrizione dello spazio immagine che generalizza l’esempioprecedente:

Proprieta 4.6. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vettorialireali di dimensione finita. Sia BV = {v1, . . . ,vn} una base di V : i vettoriL(v1), L(v2), . . . , L(vn) sono un sistema di generatori dello spazio Im L,ossia

Im L = Span(L(v1), L(v2), . . . , L(vn)),

quindi dim(Im L) ≤ dimV .

Dimostrazione. Verifichiamo la proprieta enunciata. Sia w ∈ ImL, esisteallora un vettore v ∈ V tale che L(v) = w. Poiche V = Span(v1, v2, . . . ,vn),abbiamo:

v = x1v1 + x2v2 + · · · + xnvn,

con xi ∈ R. Sostituendo al posto di v tale scrittura e applicando la linearita diL otteniamo:

w = L(v) = L(x1v1 +x2v2 + · · ·+xnvn) = x1L(v1)+x2L(v2)+ · · ·+xnL(vn),

cioe w e combinazione lineare dei vettori L(v1), L(v2), . . . , L(vn). Possiamoquindi concludere che L(v1), L(v2), . . . , L(vn) sono generatori di ImL.

NOTA BENE: Non e detto che {L(v1), L(v2), . . . , L(vn)} siano linearmenteindipendenti, e quindi una base di ImL!Poiche Im L ⊆ W , ovviamente si ha dim(ImL) ≤ dim W . Supponiamo ora che

n = dim V > dimW,

allora i vettori {L(v1), L(v2), . . . , L(vn)} sono necessariamente linearmente di-pendenti in W , quindi non sono una base di ImL. �

Se l’applicazione lineare e iniettiva, i vettori {L(v1), L(v2), . . . , L(vn)}sono linearmente indipendenti e quindi costituiscono una base di Im L:

Proposizione 4.7. Sia L : V → W un’applicazione lineare iniettiva: l’im-magine di una base di V e una base di Im L.

Dimostrazione. Sia BV = {v1, . . . ,vn} una base di V . Poiche i vettori{L(v1), . . . , L(vn)} sono un sistema di generatori di ImL e sufficiente provareche sono linearmente indipendenti. Supponiamo, per assurdo, che tali vettorisiano linearmente dipendenti: esisterebbero, allora, n scalari non tutti nulli taliche

λ1L(v1) + · · · + λnL(vn) = 0W .

Osserviamo che per la linearita risulta

L(λ1v1 + · · · + λnvn) = λ1L(v1) + · · · + λnL(vn) = 0W ,

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2. NUCLEO ED IMMAGINE DI UN’APPLICAZIONE LINEARE. 251

cioe il vettore λ1v1 + · · · + λnvn ∈ KerL. Poiche per ipotesi L e iniettiva, siha: KerL = {0V }. Possiamo quindi concludere che

λ1v1 + · · · + λnvn = 0V ,

cioe i vettori {v1, . . . ,vn} sarebbero linearmente dipendenti in V , che e assurdopoiche per ipotesi sono una base di V . �

Esempio 4.7. Sia L : R3 → R3 l’operatore lineare dato da:

L

xyz

=

1 −1 00 1 10 1 1

xyz

.

Fissata la base canonica {e1, e2, e3} di R3, determiniamo le immagini dei vettoridella base:

L(e1) =

1 −1 00 1 10 1 1

100

= A1 =

100

,

L(e2) =

1 −1 00 1 10 1 1

010

= A2 =

−111

,

L(e3) =

1 −1 00 1 10 1 1

001

= A3 =

011

.

I vettori L(e1), L(e2), L(e3) sono generatori dello spazio ImL, tuttavia non sonolinearmente indipendenti: infatti L(e3) = L(e1) + L(e2). Osserviamo tuttaviache L(e1) ed L(e2) sono linearmente indipendenti, quindi abbiamo:

Im L = Span(L(e1), L(e2))

ossia, {L(e1), L(e2)} e una base di ImL.Risulta allora dim(ImL) = 2, per cui ImL e il piano per l’origine generato

dai vettori L(e1), L(e2).Vogliamo infine determinare il nucleo di L:

KerL =

xyz

∈ R3 |

1 −1 00 1 10 1 1

xyz

=

000

,

i vettori di KerL sono tutti e soli i vettori le cui coordinate x, y, z sono lesoluzioni del seguente sistema lineare:

x − y = 0

y + z = 0

y + z = 0.

Osserviamo che l’ultima equazione e superflua, e le prime due sono linearmenteindipendenti, quindi KerL e l’intersezione di due piani in R3. Precisamente

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252 4. APPLICAZIONI LINEARI

risolvendo abbiamo:

KerL =

xx−x

, x ∈ R

= Span

11−1

.

Osserviamo che dim Im L + dim KerL = 3 = dim R3. Questo risultato fon-damentale e vero in generale, ed e espresso nel Teorema delle dimensioni 4.8,che fornisce una relazione tra le dimensioni degli spazi nucleo ed immagine:

Teorema 4.8 (delle dimensioni). Sia L : V → W un’applicazione linearetra spazi vettoriali reali di dimensione finita. Vale la seguente relazione:

dim(V ) = dim(KerL) + dim(ImL).

Dimostrazione. Osserviamo che se dim(Ker L) = 0, allora KerL = {0V } e quin-di L e iniettiva. Abbiamo provato, (prop. 4.7), che L trasforma una base di V in unabase di Im L. Quindi risulta dimV = dim(Im L).

Supponiamo ora dim(KerL) = h > 0, verifichiamo che dim Im L = n − h. SiaU ⊂ V un sottospazio complementare di Ker L, tale che

U ∩ Ker L = {0V } U ⊕ Ker L = V.

Siano {u1, . . . ,uh} una base di KerL e {v1, . . . ,vn−h} una base di U , abbiamo vistoche l’unione di tali basi e una base BV di V . Consideriamo le immagini dei vettori diBV :

{L(u1), . . . , L(uh), L(v1), . . . , L(vn−h)},sono un sistema di generatori di ImL. Osserviamo pero che risulta

L(u1) = · · · = L(uh) = 0W ,

poiche ui ∈ Ker L, i = 1, . . . , h, quindi possiamo concludere che anche

L(v1), . . . , L(vn−h)

sono generatori di ImL. Rimane da provare che tali vettori sono linearmente indipen-denti in W . Supponiamo che tali vettori siano linearmente dipendenti: esistono n − hscalari non tutti nulli tali che

λ1L(v1) + · · · + λn−hL(vn−h) = 0W ,

osserviamo che per la linearita risulta

L(λ1v1 + · · · + λn−hvn−h) = 0W ,

cioe il vettore λ1v1 + · · · + λn−hvn−h ∈ Ker L. Poiche per ipotesi

U = Span(v1, . . . ,vn−h) e U ∩ Ker L = {0V },possiamo concludere che

λ1v1 + · · · + λn−hvn−h = 0V ,

cioe i vettori sono linearmente dipendenti in V , che e assurdo poiche per ipotesi i vettorisono una base di U . �

Osservazione 4.8. Osserviamo che risulta

dim(Im L) = dimV ⇐⇒ dim(KerL) = 0 ⇐⇒ KerL = {0V } ⇐⇒ L e iniettiva.

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2. NUCLEO ED IMMAGINE DI UN’APPLICAZIONE LINEARE. 253

Il teorema ha un interessante corollario:

Corollario 4.9. Sia LA : Rn → Rm l’applicazione lineare definita dallamatrice A ∈ MR(m, n):

LA(X) = AX, ∀X ∈ Rn.

Abbiamo:

KerLA = {X ∈ Rn | AX = 0Rm },Im LA = {Y ∈ Rm | ∃X ∈ Rn : AX = Y },

inoltre abbiamo precedentemente osservato che risulta

Im LA = Span(A1, A2, . . . , An),

dove A1, A2, . . . , An sono i vettori colonna della matrice A. Quindi dim(Im LA) =rg(A), applicando il teorema delle dimensioni otteniamo:

dim(KerLA) = dim(Rn) − dim(Im LA) = n − rg(A).

Esempio 4.9. Vediamo alcuni esempi di applicazione del Teorema delledimensioni

(1) Nell’esempio precedente 4.7 abbiamo:

dim(Im L) = 2 dim(R3) = 3,

quindi applicando il teorema delle dimensioni risulta

dim(KerL) = dim(R3) − dim(Im L) = 3 − 2 = 1,

infatti come abbiamo verificato KerL e una retta per l’origine in R3.(2) Sia L : R3 → R l’applicazione data da:

L

xyz

= x + y − z.

Verifichiamo che L e un’applicazione lineare: basta osservare che risul-ta

L

xyz

=(

1 1 −1)

·

xyz

,

L e lineare essendo l’applicazione associata alla matrice

A =(

1 1 −1)

.

Abbiamo:

Ker L =

xyz

∈ R3 |x + y − z = 0

,

KerL e un piano passante per l’origine di R3, quindi dim(KerL) = 2.Applicando il teorema delle dimensioni abbiamo:

dim(R3) = 3 = dim(KerL) + dim(Im L) = 2 + dim(ImL),

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254 4. APPLICAZIONI LINEARI

da cui ricaviamo che dim(ImL) = 1. Poiche ImL ⊆ R, abbiamonecessariamente

Im L = R,

e quindi L e suriettiva.

Come applicazione del Teorema delle dimensioni possiamo provare il se-guente risultato, che in precedenza ci siamo limitati ad enunciare e giustificare(Osservazione 3.33, Corollario 3.26):

Proposizione 4.10. Ogni matrice reale A ∈ MR(m, n) soddisfa la rela-zione:

rg(A) = rg(AT),

dove AT e la matrice trasposta di A.

Dimostrazione. La matrice A ∈ MR(m,n) definisce l’applicazione lineare

LA : Rn → Rm, LA(X) = AX, ∀X ∈ Rn;

mentre la matrice trasposta AT definisce l’applicazione lineare

L(AT) : Rm → Rn, L(AT)(Y ) = (AT)Y, ∀Y ∈ Rm.

Consideriamo i seguenti sottospazi di Rm: Im LA e Ker L(AT). Verifichiamo che risulta:

Im LA ∩ Ker L(AT) = {0Rm}.Sia Y un vettore colonna di Rm, Y e un elemento di MR(m, 1), indichiamo con Y T ∈MR(1,m) il vettore riga di Rm trasposto di Y . Osserviamo che il prodotto delle matriciY T e Y e il seguente numero reale

Y T · Y = y21 + y2

2 + · · · + y2m,

che risulta essere zero se e solo se yi = 0 ∀i = 1, . . . ,m, cioe Y = 0Rm .Sia ora Y ∈ Im LA ∩ Ker L(AT): poiche Y ∈ Im LA, esiste un vettore X ∈ Rn

tale che Y = AX. Inoltre poiche Y ∈ Ker L(AT) verifica la condizione (AT)Y = 0Rm .

Calcoliamo il prodotto Y T · Y , sostituendo AX al posto di Y e ricordando che Y ∈Ker L(AT) si ha:

Y T · Y = (AX)TY = (XTAT)Y = XT(ATY ) = XT · 0Rm = 0.

Possiamo quindi concludere che Y e il vettore nullo di Rm e la somma dei sottospaziIm LA e Ker L(AT) e diretta.

Poiche Im LA ⊕ Ker L(AT) e un sottospazio di Rm si ha:

dim(Im LA ⊕ Ker L(AT)) = dim(ImLA) + dim(Ker L(AT)) ≤ m.

Poiche dim(Im LA) = rg(A) e applicando il teorema delle dimensioni (4.8)

dim(KerL(AT)) = m − rg(AT),

sostituendo ottenimamo quindi la disuguaglianza

rg(A) ≤ rg(AT).

Scambiando i ruoli delle matrici A e AT si ottiene in modo analogo:

rg(AT) ≤ rg(A)

da cui ricaviamo l’uguaglianza tra i ranghi delle due matrici. �

Vale la pena di aggiungere anche la seguente

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3. SPAZI VETTORIALI ISOMORFI. 255

Osservazione 4.10. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vetto-riali reali di dimensione finita. Come conseguenza del Teorema delle dimensioni(4.8) abbiamo le seguenti proprieta:

(1) L e iniettiva ⇐⇒ dim(Im L) = dimV ;(2) L e suriettiva ⇐⇒ dim(Im L) = dimW ;(3) se dim V = dimW ,

L e suriettiva ⇐⇒ L e iniettiva ⇐⇒ L e biunivoca.

Dimostrazione. Infatti, ricordiamo che:L e iniettiva ⇐⇒ Ker L = {0V } ⇐⇒ dim(KerL) = 0, dal teorema delledimensioni (4.8) cio succede se e solo se dim(Im L) = dimV .Ricordiamo che:L e suriettiva ⇐⇒ Im L = W ⇐⇒ dim(Im L) = dimW .Se dimV = dimW , le condizioni scritte sopra coincidono, per cui le dueproprieta sono equivalenti. �

3. Spazi vettoriali isomorfi.

Abbiamo visto che, fissando in uno spazio vettoriale reale V di dimensionen una base BV , possiamo associare in modo univoco ad ogni vettore v ∈ V unan−upla di numeri reali e quindi un vettore di Rn: il vettore delle coordinate div rispetto alla base fissata BV

X = [v]BV.

Abbiamo visto che possiamo in un certo senso “dimenticarci” della natura deglielementi di V e lavorare con i vettori delle coordinate. Siamo ora in grado diformalizzare questo discorso, introducendo la nozione di isomorfismo tra spazivettoriali.

Definizione 4.4. Sia L : V → W un’applicazione tra due spazi vettorialireali.

• L e un isomorfismo di V in W se e un’applicazione lineare biunivoca;• V e W sono detti spazi vettoriali isomorfi se esiste un isomorfismo

di V in W , scriviamo: V ≃ W .

Proposizione 4.11. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vet-toriali reali di dimensioni finite.

Se L e un isomorfismo, allora dimV = dimW .

Dimostrazione. Infatti se L e un isomorfismo, allora L e iniettiva e quindidim(Im L) = dimV ; ma L e anche suriettiva, quindi dim(ImL) = dim W , percui possiamo concludere che i due spazi hanno la stessa dimensione. �

Ovviamente, la condizione e solo necessaria; pero vale la seguente

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256 4. APPLICAZIONI LINEARI

Osservazione 4.11.

• Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vettoriali reali conla stessa dimensione: dim V = dimW = n. Dalle considerazioniprecedenti, possiamo concludere che:

L isomorfismo ⇐⇒ L iniettiva ⇐⇒ L suriettiva .

• Ricordando la Prop. 4.7, possiamo dire che un isomorfismo L : V → Wtrasforma una base di V in una base di W .

Esempio 4.12. Consideriamo lo spazio vettoriale MR(m, n) delle matricireali con m righe ed n colonne. Sia T : MR(m, n) → MR(n, m) l’applicazioneche associa ad ogni matrice A la sua trasposta:

T (A) = AT.

Ricordiamo che i vettori colonna di A sono i vettori riga della matrice AT,abbiamo quindi:

(AT)ij = (A)ji ∀i = 1, . . . , n j = 1, . . . , m.

Verifichiamo che T e un isomorfismo di MR(m, n) in MR(n, m). Verifichiamodapprima che T e un’applicazione lineare, cioe che valgono le seguenti proprieta:

T (A + B) = T (A) + T (B), ∀A, B ∈ MR(m, n),

T (λA) = λT (A), ∀A ∈ MR(m, n), ∀λ ∈ R.

Tali proprieta seguono immediatamente dalla definizione di trasposta, infattiricordiamo che:

(A + B)T = AT + BT, ∀A, B ∈ MR(m, n);

(λA)T = λAT, ∀A ∈ MR(m, n), ∀λ ∈ R.

Verifichiamo infine che T e un isomorfismo. Poiche si ha

dim(MR(m, n)) = mn = dim(MR(n, m)),

basta verificare, per esempio, che T e iniettiva.Sia A ∈ MR(m, n) una matrice tale che:

T (A) = AT = On×m,

allora risulta

(AT)ij = 0 ∀i = 1, . . . , n, j = 1, . . . , m;

da cui deduciamo che

(A)ji = 0 ∀i = 1, . . . , n, j = 1, . . . , m,

cioe A e la matrice nulla, vale a dire KerT = {Om×n}, quindi T e iniettiva.Possiamo quindi concludere che:

MR(m, n) ≃ MR(n, m).

In particolare, per m = 1, otteniamo che lo spazio vettoriale dei vettori colonnadi Rn e isomorfo allo spazio vettoriale dei vettori riga di Rn.

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3. SPAZI VETTORIALI ISOMORFI. 257

Proviamo ora che fissare una base in uno spazio vettoriale reale V di di-mensione n, permette di definire in modo naturale un isomorfismo tra V e lospazio vettoriale Rn.

Proposizione 4.12 (Isomorfismo di rappresentazione). Siano V unospazio vettoriale reale di dimensione n e B = {v1, . . . ,vn} una base di V . Sia

LB : V → Rn, v → [v]B,

l’applicazione che associa ad ogni vettore di V la n−upla delle coordinate ri-spetto alla base B.

LB e un isomorfismo di V in Rn.

Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione LB : V → Rn:

v → X = [v]B ∈ Rn,

dove X e il vettore delle coordinate di v nella base fissata. Ricordiamo chele coordinate di v sono i coefficienti dei vettori della base nella combinazionelineare seguente:

v = x1v1 + · · · + xnvn.

Proviamo che LB e un’applicazione lineare.Basta provare che:

(1) ∀v, u ∈ V : [v + u]B = [v]B + [u]B;(2) ∀v ∈ V , ∀α ∈ R: [αv]B = α[v]B.

Verifichiamo la (1). Le coordinate di v e di u sono rispettivamente icoefficienti dei vettori della base nelle combinazioni lineari seguenti:

v = x1v1 + · · · + xnvn,

u = y1v1 + · · · + ynvn.

Sommando i vettori v e u e applicando le proprieta degli spazi vettoriali,otteniamo:

v + u = (x1v1 + · · · + xnvn) + (y1v1 + · · · + ynvn),

= (x1 + y1)v1 + · · · + (xn + yn)vn,

da cui deduciamo che le coordinate di v+u si ottengono sommando le coordinatedi v e le coordinate di u.

Verifichiamo la (2). Le coordinate di v sono i coefficienti dei vettori dellabase nella combinazione lineare seguente:

v = x1v1 + · · · + xnvn,

moltiplicando v per il numero reale α e applicando le proprieta degli spazivettoriali, otteniamo:

αv = α(x1v1 + · · · + xnvn) = (αx1)v1 + · · · + (αxn)vn,

da cui deduciamo che le coordinate di αv si ottengono moltiplicando per ilnumero reale α le coordinate di v.Poiche dimV = dim Rn = n, per provare che LB e un isomorfismo basta provareche LB e iniettiva, cioe che risulta:

KerLB = {0V }.

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258 4. APPLICAZIONI LINEARI

Sia v ∈ KerLB, si ha: [v]B = 0Rn , cioe v e la combinazione banale dei vettoridella base:

v = 0v1 + · · · + 0vn = 0V ,

cio implica che v = 0V e possiamo concludere che LB e iniettiva (in effetti, eimmediato dalla definizione di L che e iniettiva). �

Grazie all’isomorfismo LB di V in Rn, definito dalla base B, possiamo effetti-vamente tradurre le proprieta algebriche dei vettori di V in analoghe proprietadelle corrispondenti n−uple di rappresentazione. Una di queste proprieta ela dipendenza lineare: s vettori sono linearmente dipendenti in V see solo se sono linearmente dipendenti i vettori (n−uple) delle lorocoordinate in Rn.

Proprieta 4.13. Siano V uno spazio vettoriale reale e B una base di V .I vettori {u1, . . . ,us} sono linearmente dipendenti in V se e solo se i vettoridelle loro coordinate {[u1]B, . . . , [us]B} sono linearmente dipendenti in Rn.

Dimostrazione. Ricordiamo che i vettori {u1, . . . ,us} sono linearmentedipendenti in V se e solo se esiste una loro combinazione lineare non banale cheda il vettore nullo di V :

(4.6) λ1u1 + · · · + λsus = 0V .

Osserviamo che, per la linearita di LB risulta:

(4.7) [λ1u1 + · · · + λsus]B = λ1[u1]B + · · · + λs[us]B.

Ora, se esiste una combinazione lineare non banale dei vettori u1, . . .uk cheproduce il vettore nullo (4.6), l’uguaglianza 4.7 mostra che allora esiste unacombinazione lineare non banale delle n−uple di coordinate dei vettori:

(4.8) λ1[u1]B + · · · + λs[us]B = [0V ]B = 0Rn ,

da cui deduciamo che i vettori {[u1]B, . . . , [us]B} sono linearmente dipendentiin Rn.

Viceversa, partendo dalla combinazione lineare non banale delle n−upleche produe la n−upla nulla, sempre tramite l’identita 4.7 arriviamo a trovareuna combinazione lineare non banale dei vettori che produce il vettore nullo(Eq. 4.6), cioe i vettori u1, . . .uk sono linearmente dipendenti. �

Osservazione 4.13. Dato che la condizione di dipendenza lineare fra vet-tori e fra n−uple sono equivalenti, lo e anche l’indipendenza lineare.

Concludiamo con il seguente risultato:

Corollario 4.14. Ogni spazio vettoriale reale V di dimensione n e iso-morfo allo spazio Rn.

Esempio 4.14.

• Lo spazio vettoriale E3O e isomorfo a R3.

• Lo spazio vettoriale MR(2) e isomorfo a R4.• Lo spazio vettoriale MR(m, n) e isomorfo a Rmn.

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4. APPLICAZIONI LINEARI E MATRICI. 259

• Proveremo che due spazi vettoriali della stessa dimensione sono iso-morfi.

4. Applicazioni lineari e matrici.

D’ora in poi consideriamo spazi vettoriali di dimensione finita e fissiamo unabase in ciascun spazio. Dimostriamo la seguente proprieta fondamentale: ogniapplicazione lineare L : V → W e completamente determinata dalle immaginidei vettori della base di V . Piu precisamente: sia n = dim V , proviamo chefissato un sistema SW di n vettori arbitrari in W esiste un’unica applicazionelineare che trasforma la base fissata BV di V in SW .

Proposizione 4.15. Siano V e W due spazi vettoriali reali di dimensionefinita. Siano BV = {v1, v2, . . . ,vn} una base di V e {w1, . . . ,wn} un insiemedi n vettori di W . Esiste un’unica applicazione lineare L : V → W tale cheL(vi) = wi, i = 1, . . . , n.

Dimostrazione. Definiamo l’applicazione L : V → W nel seguente modo:

∀v ∈ V L(v) = x1w1 + · · · + xnwn,

dove x1, x2, . . . , xn sono le coordinate di v nella base fissata BV = {v1, . . . ,vn},cioe x1, x2, . . . , xn sono gli scalari che compaiono nella scrittura:

v = x1v1 + · · · + xnvn.

Proviamo che L e lineare. Siano v = x1v1 + · · ·+xnvn e u = y1v1 + · · ·+ynvn,allora:

v + u = (x1 + y1)v1 + · · · + (xn + yn)vn,

quindi abbiamo

L(v + u) = (x1 + y1)w1 + · · · + (xn + yn)wn =

= (x1w1 + · · · + xnwn) + (y1w1 + · · · + ynwn) = L(v) + L(u).

Siano ora v = x1v1 + · · · + xnvn e α ∈ R, allora:

αv = (αx1)v1 + · · · + (αxn)vn,

per cui abbiamo:

L(αv) = (αx1)w1 + · · · + (αxn)wn = α(x1w1 + · · · + xnwn) = αL(v).

Inoltre, ∀i = 1, . . . , n risulta:

L(vi) = 0w1 + 0w2 + · · · + 1wi + · · · + 0wn = wi.

Proviamo infine l’unicita: verifichiamo che se T : V → W e un’applicazionelineare che verifica le condizioni

T (vi) = wi, i = 1, . . . n,

allora T coincide con l’applicazione L. Infatti, ∀v ∈ V abbiamo per la linearitadi T :

T (v) = T (x1v1 + · · · + xnvn) = x1T (v1) + . . . xnT (vn) =

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260 4. APPLICAZIONI LINEARI

= x1w1 + . . . xnwn = L(v),

poiche T (v) = L(v) ∀v ∈ V , le applicazioni coincidono. �

NOTA BENE: In altre parole, un’applicazione lineare L : V → W eunivocamente determinata conoscendo le immagini dei vettori dellabase scelta in V !

Esempio 4.15. Fissata la base canonica {e1, e2} di R2, determinare l’ope-ratore lineare L : R2 → R2 tale che:

L(e1) = e1 + 2e2 L(e2) = −e1.

Ricordiamo che ogni vettore v ∈ R2 si scrive in uno e un solo modo comecombinazione lineare di e1 e e2:

v = xe1 + ye2.

L’unico operatore lineare L che soddisfa le condizioni precedenti e il seguente:

L(v) = xL(e1) + yL(e2) = x(e1 + 2e2) + y(−e1) = (x − y)e1 + 2xe2,

da cui ricaviamo l’spressione di L

L

(

xy

)

=

(

x − y2x

)

.

Siamo ora in grado di provare il seguente risultato precedentemente enun-ciato:

Proprieta 4.16. Due spazi vettoriali reali V e W con dimV = dimWsono isomorfi.

Dimostrazione. Basta provare che esiste un isomorfismo L : V → W .Siano BV = {v1, v2, . . . ,vn} una base di V e {w1, . . . ,wn} una base di W .Per la proposizione precedente esiste un’unica applicazione lineare L : V → Wtale che L(vi) = wi, i = 1, . . . , n. Si ha:

Im L = Span(L(v1), . . . , L(vn)) = Span(w1, . . . ,wn) = W,

da cui ricaviamo che L e suriettiva. Poiche dimV = dim W , L e anche iniettiva,(oss. 4.11), possiamo quindi concludere che L e un isomorfismo. �

Ricordiamo che fissare una base B in uno spazio vettoriale reale di dimen-sione n significa associare ad ogni vettore una n-upla di scalari, le coordinatedel vettore nella base fissata, quindi un vettore di Rn. Il vantaggio di usare lecoordinate e che ogni applicazione lineare puo essere scritta in forma matriciale,si ha infatti il fondamentale risultato:

Teorema 4.17 (Fondamentale di Rappresentazione). Siano V e Wdue spazi vettoriali reali di dimensione finita. Siano BV = {v1, v2, . . . ,vn} unabase di V e BW = {w1, w2, . . . ,wm} una base di W . Data un’applicazionelineare L : V → W esiste un’unica matrice

A ∈ MR(m, n)

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4. APPLICAZIONI LINEARI E MATRICI. 261

tale che l’espressione di L in coordinate e la seguente:

Y = AX,

dove X e il vettore delle coordinate di v nella base BV ed Y e il vettore dellecoordinate di L(v) nella base BW :

X = [v]BVY = [L(v)]BW

.

La matrice A e detta matrice associata a L o matrice di rappresentazio-ne, o anche matrice rappresentativa di L nelle basi BV e BW .Sia Ai la i-esima colonna della matrice A, Ai e costituita dalle coordinate delvettore L(vi) nella base BW , i = 1, 2 . . . , n:

Ai = [L(vi)]BW, i = 1, . . . , n.

Dimostrazione. Siano v ∈ V e X ∈ Rn il vettore delle coordinate di v rispettoalla base BV , possiamo scrivere:

v = x1v1 + x2v2 + · · · + xnvn.

Per la linearita, applicando L otteniamo la relazione seguente in W :

L(v) = x1L(v1) + x2L(v2) + · · · + xnL(vn).

Consideriamo ora le coordinate rispetto alla base BW , per l’isomorfismo di rappresen-tazione, otteniamo la relazione seguente:

[L(v)]BW= x1[L(v1)]BW

+ x2[L(v2)]BW+ · · · + xn[L(vn)]BW

.

Posto Ai = [L(vi)]BW, i = 1, . . . , n, e Y = [L(v)]BW

la relazione precedente diventa:

Y = x1A1 + x2A

2 + · · · + xnAn = AX,

dove A e la matrice di colonne A1, . . . , An. �

NOTA BENE: La matrice A dipende dalla scelta delle basi in V e in W !

Esempio 4.16.

(1) Sia L : R2 → R3 l’applicazione lineare data da:

L

(

xy

)

=

x − 2y−x + y−4x

.

Scriviamo la matrice associata a L nelle basi canoniche di R2 e R3.Fissata B = {e1, e2} la base standard di R2, abbiamo:

L(e1) = L

(

10

)

=

1−1−4

L(e2) = L

(

01

)

=

−210

.

La matrice associata a L e la matrice A ∈ MR(3, 2) le cui colonne sonole coordinate, nella base canonica di R3, di L(e1) e L(e2):

A =

1 −2−1 14 0

.

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262 4. APPLICAZIONI LINEARI

(2) Sia IV : V → V l’operatore identita di V . Fissata una stessa baseBV = {v1, v2, . . . ,vn} nel dominio e codominio, scriviamo la matriceassociata a IV . Abbiamo:

IV (v1) = v1, IV (v2) = v2 . . . IV (vn) = vn,

da cui ricaviamo il vettore delle coordinate di IV (vi), per ogni i =1, . . . , n:

[IV (vi)]BV= [vi]BV

= ei,

dove ei indica l’i-esimo vettore della base canonica di Rn. Possiamoconcludere che la matrice associata a IV e la matrice identita di ordinen:

A = In.

In altre parole, l’operatore identita in V e sempre rappresentato dallamatrice

1 0 0 · · · 00 1 0 · · · 00 0 1 · · · 0...

.... . .

...0 · · · 0 1

purche la base usata sia la stessa nel dominio e nel codominio.(3) Sia L : E2

O → E2O la rotazione in senso antiorario attorno all’origine

dell’angolo θ = π2 . Verifichiamo che L e un operatore lineare di E2

O e

fissata la base canonica di E2O scriviamo la rappresentazione matriciale

di L.Verifichiamo che L e lineare. Siano v1, v2 ∈ E2

O, consideriamo ilparallelogramma P di lati v1 e v2. Sia L(P) l’immagine di P secon-do la L: osserviamo che questo e il parallelogramma di lati L(v1) eL(v2). Osserviamo che la diagonale per O del parallelogramma L(P)e la rotazione della diagonale per O del parallelogramma P, quindiabbiamo:

L(v1 + v2) = L(v1) + L(v2), ∀v1, v2 ∈ E2O

(Figura 4.1). Siano ora α ∈ R e v ∈ E2O, osserviamo che la rotazione

del vettore αv ha la direzione della rotazione di v, in particolare siverifica che risulta:

L(αv) = αL(v), ∀α ∈ R, ∀v ∈ E2O.

Sia B = {e1, e2} la base canonica di E2O. Calcoliamo le immagini dei

vettori della base:

L(e1) = e2 L(e2) = −e1.

Sia A ∈ MR(2) la matrice associata a L nella base fissata B, le colonnedi A sono rispettivamente i vettori delle coordinate di L(e1) e L(e2)nella base B:

A1 = [L(e1)]B = [e2]B,

A2 = [L(e2)]B = [−e1]B,

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4. APPLICAZIONI LINEARI E MATRICI. 263

v1

v2

v1 + v2

L(v1)

L(v2)

L(v1 + v2)

O

x

y

Figura 4.1. I vettori v1 e v2 definiscono un parallelogrammaP. Applicando la L che impone una rotazione oraria di π/2, siosserva subito che L(v1 + v2) = L(v1) + L(v2) per ogni sceltadi v1 e v2.

da cui ricaviamo

A =

(

0 −11 0

)

.

Nella base fissata B l’operatore L ha la seguente espressione matriciale:

Y =

(

0 −11 0

)

X, ∀X ∈ R2.

La rappresentazione matriciale di un’applicazione lineare ci consente di la-vorare negli spazi Rn, tale rappresentazione ci consente di ricavare le seguentiproprieta degli spazi nucleo e immagine:

Proprieta 4.18. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra due spazi vetto-riali reali di dimensione finita. Siano BV = {v1, . . . ,vn} e BW = {w1, . . . ,wm}rispettivamente una base di V e una base di W e A ∈ MR(m, n) la matriceassociata a L nelle basi fissate. Risulta allora:

(1) KerL = {v ∈ V | [v]BV= X A · X = 0Rm};

(2) Im L = {w ∈ W | [w]BW= Y Y = AX, X ∈ Rn};

(3) dim(ImL) = rg(A).

Dimostrazione. Indicati con X e Y rispettivamente i vettori delle coor-dinate di v e L(v) nelle basi fissate in V e W , si ha:

Y = AX.

Ricordiamo la definizione del sottospazio nucleo di L (Definizione 4.3):

KerL = {v ∈ V | L(v) = 0V },

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264 4. APPLICAZIONI LINEARI

abbiamo quindi:v ∈ KerL ⇐⇒ L(v) = 0V ⇐⇒ Y = 0Rm ⇐⇒ A · X = 0Rm .Ricordiamo la definizione del sottospazio immagine di L (Definizione 0.9):

Im L = {L(v), v ∈ V } = {w ∈ W | ∃v ∈ V : L(v) = w},poniamo X = [v]BV

e Y = [w]BW, abbiamo che w ∈ ImL se e solo se Y = AX,

con X ∈ Rn.Ricordiamo infine che

Im L = Span(L(v1), . . . , L(vn)),

inoltre per ogni i = 1, . . . , n, la colonna Ai della matrice A e il vettore dellecoordinate di L(vi) nella base BW :

Ai = [L(vi)]BW, ∀i = 1, . . . , n.

Per concludere la dimostrazione basta provare che gli spazi vettoriali

Span(L(v1), . . . , L(vn)) e Span(A1, . . . , An)

hanno la stessa dimensione:

dim(Span(L(v1), . . . , L(vn))) = dim(Span(A1, . . . , An)) = rg(A).

Ma cio segue dalla ben nota proprieta (4.13):• i vettori {u1, . . . ,us} sono linearmente dipendenti in W se e solo se i vettoridelle loro coordinate {[u1]BW

, . . . , [us]BW} sono linearmente dipendenti in Rm.

Esempio 4.17.Sia L : R3 → R3 l’operatore lineare dato da

L

xyz

=

2x − y + zy + zx + z

.

(1) Scrivere la matrice associata a L rispetto alla base canonica di R3;(2) calcolare le dimensioni degli spazi KerL e Im L;(3) scrivere le equazioni degli spazi KerL e Im L.

Sia B = {e1, e2, e3} la base standard di R3. Determiniamo le immagini deivettori della base:

L(e1) =

201

L(e2) =

−110

L(e3) =

111

,

la matrice associata a L e quindi la seguente matrice A ∈ MR(3):

A =

2 −1 10 1 11 0 1

.

L’espressione matriciale di L e la seguente:

L

xyz

= A

xyz

.

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5. MATRICI ASSOCIATE ALLA STESSA APPLICAZIONE LINEARE 265

Osserviamo che risulta |A| = 0, inoltre le colonne A1 e A2 sono linearmenteindipendenti. Possiamo quindi concludere che dim(ImL) = rg(A) = 2 e quindiIm L e un piano per l’origine in R3, piu precisamente

Im L = Span(A1, A2) = Span(L(e1), L(e2)).

Abbiamo quindi la seguente rappresentazione parametrica di ImL:

x = 2t − s

y = s s, t ∈ R

z = t,

da cui ricaviamo l’equazione cartesiana di ImL:

x + y − 2z = 0.

Applicando il teorema delle dimensioni (4.8) abbiamo:

dim R3 = dim(KerL) + dim(ImL),

da cui ricaviamo:

dim(KerL) = 3 − dim(Im L) = 1.

Possiamo concludere che Ker L e una retta per l’origine in R3. Per ottenere leequazioni cartesiane di KerL, osserviamo che i punti di KerL sono le soluzionidel sistema lineare omogeneo:

A

xyz

=

000

,

dato dalle 3 equazioni seguenti:

2x − y + z = 0

y + z = 0

x + z = 0.

Osserviamo che le prime due equazioni sono indipendenti e la terza equazionee combinazione lineare delle altre, quindi e superflua. Le equazioni cartesianedi ImL sono quindi:

{

2x − y + z = 0

y + z = 0.

5. Matrici associate alla stessa applicazione lineare

Abbiamo visto che ad ogni applicazione lineare tra due spazi vettoriali didimensione finita, fissate una base in ciascuno spazio, possiamo associare unamatrice e scrivere l’applicazione in forma matriciale. La matrice associata, quin-di, dipende dalla scelta della base in ciascun spazio, in generale coppie dibasi diverse danno matrici diverse. Vediamo in dettaglio un semplice esempio.

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266 4. APPLICAZIONI LINEARI

Esempio 4.18. Fissato R(O, ı, ), sistema di riferimento cartesiano ortogo-nale nel piano, sia L : E2

O → E2O l’operatore lineare che associa ad un vettore

applicato del piano v =−−→OP il vettore L(v) =

−−→OP ′ dove P ′ e il simmetrico di P

rispetto alla bisettrice del I e III quadrante. Fissiamo la base canonica di E2O:

B1 = {ı, }. Abbiamo:

L(ı) = L() = ı,

otteniamo quindi che la matrice associata a L nella base fissata B1 e la seguente:

A =

(

0 11 0

)

.

Consideriamo ora una base B2 = {v1, v2} di E2O data da due vettori indipen-

denti:

v1 = a1ı + b1 v2 = a2ı + b2.

Abbiamo:

L(v1) = L(a1ı + b1) = a1L(ı) + b1L() = a1 + b1ı,

L(v2) = L(a2ı + b2) = a2L(ı) + b2L() = a2 + b2ı.

La matrice associata a L nella base B2 e la seguente:

B =

(

b1 b2

a1 a2

)

.

Osserviamo che, in generale, le matrici A e B non coincidono: basta scegliere,per esempio b1 6= 0 o a2 6= 0, .

Sia L : V → W un’applicazione lineare tra due spazi vettoriali di dimensionefinita. Siano A ∈ MR(m, n) la matrice associata a L rispetto alle basi BV eBW e B ∈ MR(m, n) la matrice associata a L rispetto alle basi B′

V e B′W . Ci

proponiamo di ricavare una relazione tra le matrici A e B.Per ogni vettore v ∈ V , consideriamo i vettori delle coordinate di v nelle basifissate in V :

X = [v]BVX ′ = [v]B′

V.

Indicata con N ∈ GL(n, R) la matrice invertibile che realizza il cambiamento dibasi in V , i vettori delle coordinate nelle due basi sono legati dalla relazione:

X = NX ′.

Analogamente, per ogni vettore L(v) ∈ Im L, consideriamo i vettori dellecoordinate di L(v) nelle basi fissate in W :

Y = [L(v)]BWY ′ = [L(v)]B′

W.

Indicata con M ∈ GL(m, R) la matrice invertibile che realizza il cambiamentodi basi in W , i vettori delle coordinate nelle due basi sono legati dalla relazione:

Y = MY ′.

Ricordiamo infine che, fissate rispettivamente in V e W le basi BV e BW ,l’espressione matriciale di L e la seguente:

Y = AX,

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5. MATRICI ASSOCIATE ALLA STESSA APPLICAZIONE LINEARE 267

mentre fissate le basi B′V e B′

W l’espressione matriciale di L e la seguente:

Y ′ = BX ′.

Sostituendo nella prima espressione matriciale di L le relazioni X = NX ′ eY = MY ′ otteniamo:

NY ′ = A(MX ′),

moltiplicando entrambi i membri a sinistra per la matrice N−1 otteniamo:

Y ′ = (N−1AM)X.

Poiche la matrice associata a L nelle basi B′V e B′

W e univocamente determinata,abbiamo necessariamente l’uguaglianza:

B = N−1AM.

Abbiamo quindi provato il seguente risultato:

Proposizione 4.19. Sia L : V → W un’applicazione lineare tra spazi vet-toriali reali di dimensione finita. Siano A ∈ MR(m, n) la matrice associata aL rispetto alle basi BV e BW e B ∈ MR(m, n) la matrice associata a L rispettoalle basi B′

V e B′W . La relazione tra le matrici A e B e la seguente:

(4.9) B = N−1AM ,

dove N ∈ GL(n, R) e la matrice invertibile che realizza il cambiamento di basiin V e M ∈ GL(m, R) la matrice invertibile che realizza il cambiamento di basiin W .

Corollario 4.20. Sia L : V → V un operatore lineare di uno spazio vet-toriale V di dimensione n. Siano A ∈ MR(n) la matrice associata a L rispettoalla base BV e B ∈ MR(n) la matrice associata a L rispetto alla base B′

V . Larelazione tra le matrici A e B risulta essere la seguente:

B = N−1AN,

dove N ∈ GL(n, R) e la matrice invertibile che realizza il cambiamento di basiin V .

Nel seguito studieremo in dettaglio le proprieta di un operatore lineare esaremo particolarmente interessati a cercare cambiamenti di base che ne possanosemplificare l’espressione matriciale. Per questo motivo ci soffermiamo sullarelazione che abbiamo ora ricavato.

Definizione 4.5. Siano A, B ∈ MR(n) due matrice quadrate reali di ordinen, B e simile ad A se esiste una matrice invertibile N ∈ GL(n, R) tale che

B = N−1AN.

Osservazione 4.19. Nell’anello MR(n) (Proposizione 3.5) la relazione disimilitudine di matrici ora introdotta gode delle seguenti proprieta:

(1) Proprieta riflessiva: ogni matrice A e simile a se stessa.Basta prendere N = In.

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268 4. APPLICAZIONI LINEARI

(2) Proprieta simmetrica: se B e simile ad A, anche A e simile a B.Infatti dall’uguaglianza B = N−1AN , moltiplicando a destra per lamatrice N−1 e a sinistra per la matrice N , otteniamo: NBN−1 = A.

(3) Proprieta transitiva: se B e simile ad A e A e simile a C, allora B esimile a C.Abbiamo per definizione:

B = N−1AN A = M−1CM, N, M ∈ GL(n, R).

Sostituendo la seconda espressione nella prima otteniamo:

B = N−1(M−1CM)N = (N−1M−1)C(MN) = (MN)−1C(MN),

da cui ricaviamo che B e simile a C.

Grazie alla proprieta di simmetria, d’ora in poi diremo semplicemente che lematrici A e B sono simili.

Possiamo quindi affermare che la relazione di similitudine tra matrici qua-drate e una relazione di equivalenza (Definizione 0.6).

Osservazione 4.20. Siano A, B ∈ MR(n), ossiamo che A e B sono similise e solo se rappresentano lo stesso operatore lineare in basi diverse.Abbiamo verificato che se A e B sono le matrici associate ad un operatore inbasi diverse allora A e B sono simili.Viceversa, siano ora A e B due matrici simili. Consideriamo l’operatore

LA : Rn → Rn

dato da LA(X) = AX. La matrice A e la matrice associata a LA nella basecanonica B di Rn. Consideriamo ora il cambiamento di coordinate in Rn diequazione X = NX ′, che corrisponde a fissare la nuova base B′ = {N1, . . . , Nn},dove N1, . . . , Nn ∈ Rn sono i vettori colonna della matrice N . La matriceassociata all’operatore LA nella base B′ e la matrice B = N−1AN . Le matricirappresentano quindi lo stesso operatore lineare in basi diverse.

Ricordando l’esempio 4 dell’elenco 4.4, definiamo la traccia di una matrice.

Definizione 4.6. Sia A ∈ MR(n) una matrice reale quadrata; chiameremotraccia della matrice trA la somma dei suoi elementi diagonali, ossia:

(4.10) trA = a11 + a22 + . . . ann =n∑

i=1

aii.

Per le prossime considerazioni, ci serve un risultato molto utile che sintetiz-ziamo nel seguente

Lemma 4.21. Siano A, B ∈ MR(n) matrici quadrate di ordine n reali. Al-lora la traccia del prodotto fra le matrici non dipende dall’ordine delle matricinel prodotto, ossia

(4.11) tr(A · B) = tr(B · A) .

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5. MATRICI ASSOCIATE ALLA STESSA APPLICAZIONE LINEARE 269

Dimostrazione. Ricordando la definizione di traccia 4.6, e la definizione delprodotto righe per colonne fra matrici, possiamo scrivere

tr(A · B) =n∑

i=1

(A · B)ii =n∑

i=1

(n∑

j=1

AijBji)

=

n∑

j=1

n∑

i=1

AijBji =

n∑

j=1

(

n∑

i=1

BjiAij)

=

n∑

j=1

(B · A)jj

= tr(B · A) ,

dove abbiamo usato le proprieta della sommatoria (indice muto, Osservazione 0.19) e,a piu riprese, le proprieta associativa e commutativa dell’addizione. �

Studiamo ora le proprieta comuni a due matrici simili:

Proprieta 4.22 (Invarianti per similitudine).Siano A, B ∈ MR(n) due matrici simili, allora si ha:

(1) rg(A) = rg(B);(2) |A| = |B|;(3) trA = trB.

Dimostrazione. Verifichiamo immediatamente le prime due proprieta.(1) Poiche le matrici sono simili, rappresentano lo stesso operatore lineareL : Rn → Rn in due basi diverse. Ricordiamo che, se L si rappresenta con unamatrice A, la dimensione dello spazio immagine ImL e il rango della matriceA. Quindi otteniamo:

rg(A) = dim(Im L) = rg(B),

da cui deduciamo che le due matrici hanno lo stesso rango.(2) Poiche le matrici sono simili, esiste una matrice invertibile M ∈ GL(n, R)che verifica l’uguaglianza

B = M−1AM.

Calcolando il determinante a sinistra e a destra nell’uguaglianza e applicandola regola di Binet otteniamo:

|B| = |M−1AM | = |M−1||A||M |.Ricordiamo ora che il determinante di una matrice quadrata e un numero reale,per cui applicando la proprieta commutativa del prodotto si ha:

|B| = |A||M−1||M |,ricordando ora che |M−1| = |M |−1, si ottiene che |A| = |B|.Per dimostrare la proprieta (3), ricordiamo il Lemma (4.21); con la matrice Mcome al punto precedente, possiamo scrivere

trB = tr(M−1AM) = tr(AMM−1) = tr(AI(n)) = tr A .

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270 4. APPLICAZIONI LINEARI

Osservazione 4.21. Le proprieta che abbiamo enunciato sono condizioninecessarie ma non sufficienti per garantire la similitudine tra due matrici,come mostreremo nei seguenti esempi.

Esempio 4.22.

(1) Consideriamo le seguenti matrici reali quadrate di ordine 2:

A =

(

1 10 1

)

B = I2 =

(

1 00 1

)

.

Osserviamo che risulta:

|A| = |B| = 1,

rg(A) = rg(B) = 2,

trA = trB = 2.

Tuttavia le matrici non sono simili. Infatti, supponiamo per assurdoche esista una matrice invertibile M ∈ GL(2, R) tale che

A = M−1BM,

poiche B = I2, si avrebbe

A = M−1I2M = M−1M = I2,

che e falso. L’esempio ci mostra che la validita di tutte le condizionienunciate sopra non implica la similitudine tra le due matrici.

(2) Consideriamo le seguenti matrici reali quadrate di ordine 2:

A =

(

1 21 1

)

B =

(

1 00 −1

)

.

Osserviamo che risulta:

|A| = |B| = −1,

rg(A) = rg(B) = 2,

tr A = 2 6= trB = 0,

per cui possiamo concludere che le matrici non sono simili. L’esempiomostra che basta che non sia verificata una di queste proprieta perconcludere che le matrici non sono simili.

(3) Verifichiamo che le seguenti matrici reali quadate di ordine 2 sonosimili:

A =

(

0 −11 0

)

B =

(

0 1−1 0

)

.

Osserviamo che risulta:

|A| = |B| = 1,

rg(A) = rg(B) = 2,

trA = trB = 0,

sono quindi verificate le condizioni necessarie per la similitudine. Perverificare che le matrcici sono simili proviamo che rappresentano lo

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5. MATRICI ASSOCIATE ALLA STESSA APPLICAZIONE LINEARE 271

stesso operatore lineare in basi diverse. La matrice A definisce l’ope-ratore lineare LA : R2 → R2:

LA

(

xy

)

= A

(

xy

)

.

Sia {e1, e2} la base canonica di R2, abbiamo:

LA(e1) = e2 LA(e2) = −e1.

Consideriamo ora la base B′ = {u1, u2} di R2:

u1 = e2 u2 = e1;

abbiamo:LA(u1) = LA(e2) = −e1 = −u2,

LA(u2) = LA(e1) = e2 = u1.

Osserviamo infine che la matrice associata all’operatore LA rispettoalla base B′ coincide con la matrice B:

(

0 1−1 0

)

= B,

possiamo quindi concludere che le matrici sono simili.

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272 4. APPLICAZIONI LINEARI

APPENDICE

6. Composizione di applicazioni lineari

Come si comportano le applicazioni lineari quando vengono composte? Ri-portiamo le considerazioni essenziali nella seguente

Osservazione 4.23.

(1) Siano LA : Rn → Rm e LB : Rm → Rp due applicazioni lineari definiterispettivamente dalle matrici A ∈ MR(m, n) e B ∈ MR(p, m). Ricor-diamo (0.15) che la composizione delle applicazioni LB ed LA el’applicazione

LB ◦ LA : Rn → Rp,

definita nel modo seguente:

∀X ∈ Rn : X → AX → B(AX) = (BA)X.

La composizione LB ◦ LA e quindi l’applicazione lineare LBA definitadalla matrice BA.

(2) Sia LA : Rn → Rn l’operatore lineare definito dalla matrice A ∈ MR(n).Ricordiamo che LA e un isomorfismose e solo se e iniettivo; questo av-viene se e solo se Ker LA = {0Rn}, ovvero se e solo se rg(A) = n,ovvero se e solo se la matrice A e invertibile.

Proviamo che l’operatore lineare LA−1 definito dalla matrice A−1

e l’operatore inverso di LA. Infatti, dall’osservazione precedente (1)risulta:

LA ◦ LA−1 = LAA−1 = LIn ,

poiche LIn risulta essere l’operatore identita di Rn, segue la tesi.

I risultati che abbiamo appena verificato valgono in generale per la compo-sizione di applicazioni lineari tra spazi vettoriali di dimensione finita. Abbiamoinfatti il risultato seguente che ci limitiamo ad enunciare:

Proposizione 4.23.

(1) Siano L1 : V → W e L2 : W → U due applicazioni lineari tra spazivettoriali reali di dimensioni finite. Fissate le basi BV , BW e BU , sianoA ∈ MR(n, m) e B ∈ MR(m, p) le matrici associate rispettivamentealle applicazioni lineari L1 ed L2.La composizione L2 ◦L1 : V → U e un’applicazione lineare e la matricead essa associata nelle basi fissate e la matrice BA.

(2) Sia L : V → W un’applicazione lineare tra due spazi vettoriali reali didimensione n. Fissate le basi BV e BW sia A ∈ MR(n) la matriceassociata ad L.L e un isomorfismo se e solo se la matrice A e invertibile.

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7. MATRICI EQUIVALENTI (O CONGRUENTI) 273

L’applicazione inversa di L, L−1 : W → V , e un’applicazione lineare ela matrice ad essa associata nelle basi fissate e la matrice A−1.

Osservazione 4.24.

– Se L1 : V → W e L2 : W → U sono isomorfismi, allora lo loro compo-sizione L2 ◦ L1 e un isomorfismo di V in U .

– Se L : V → W e un isomorfismo, allora L−1 : W → V e un isomorfismo.

7. Matrici equivalenti (o congruenti)

Come e stato discusso nella sezione 5, un’applicazione lineare L : V → Wtra due spazi vettoriali di dimensione finita puo essere rappresentata da matricidifferenti a seconda delle basi usate in V e W . Detta A ∈ MR(m, n) la matriceassociata a L rispetto alle basi BV e BW e B ∈ MR(m, n) la matrice associata aL rispetto alle basi B′

V e B′W , la relazione fra le due matrici di rappresentazione

e data dall’equazione (4.9), basata sulle matrici invertibili N ∈ GL(n, R) edM ∈ GL(m, R) che realizzano il rispettivi cambiamenti di base in V e W . Que-sta equazione ci consente di definire una relazione di equivalenza piu “debole”rispetto alla similitudine.

Sulla scorta di quanto osservato, risulta, quindi, naturale la seguente

Definizione 4.7. Siano A, B ∈ MR(m, n); le due matrici si dicono equi-valenti (o congruenti) se esistono una matrice M ∈ GL(m, R) ed una matriceN ∈ GL(m, R) tali che

(4.12) B = M−1AN .

Proposizione 4.24. La relazione 4.12 della definizione 4.7 e una relazionedi equivalenza (la dimostrazione e lasciata per esercizio).

Vale la pena pero di effettuare la seguente

Osservazione 4.25. Se due matrici sono simili, allora sono equivalenti:basta prendere N = M nella (4.12). Non vale pero il viceversa (banalmente,per essere simili le matrici devono essere quadrate, ma questo non e necessarioper la relazione di equivalenza).

Stavolta, l’uguaglianza di rango fra due matrici in MR(m, n) diventa condi-zione necessaria e sufficiente per l’equivalenza. Per convincersi della necessita,basta considerare la seguente

Proposizione 4.25. Siano A, B ∈ MR(m, n) due matrici equivalenti. Al-lora, rg(A) = rg(B).

Dimostrazione. Infatti, come per il caso delle matrici simili, A e B pos-sono essere interpretate come matrici di rappresentazione della stessa appli-cazione lineare L : V → W tra due spazi vettoriali di dimensione n ed m,

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274 4. APPLICAZIONI LINEARI

rispettivamente. Si ha, quindi:

�(4.13) rg(A) = dim(ImL) = rg(B) .

Vediamo ora che la condizione e anche sufficiente: per arrivare a questo, facomodo mostrare un risultato utile anche in altri contesti.

Lemma 4.26. Sia L : V → W un’applicazione lineare fra spazi vettoriali.Sia S = {v1, v2, . . .vh} un insieme di h vettori linearmente dipendenti. Allorai vettori immagine S ′ = {w1 = L(v1), w2 = L(v2), . . .wh = L(vh)} sonolinearmente dipendenti (in altre parole un’applicazione lineare trasforma vettoridipendenti in vettori dipendenti).

Dimostrazione. Per ipotesi, esiste una combinazione lineare non banaledei vettori di S che produce il vettore nullo:

(4.14) α1v1 + α2v2 + . . . αhvh = 0n ,

ossia, con i coefficienti αi non tutti nulli.Applichiamo la L ad entrambi i membri della (4.14); otteniamo, sfruttando

la linearita:

α1w1 + α2w2 + . . . αhwh = 0m ,

ossia, abbiamo trovato una c.l. non banale dei vettori di S ′ che produce ilvettore nullo. �

Siamo adesso in grado di mostrare il seguente

Teorema 4.27. Siano A, B ∈ MR(m, n) due matrici tali che rg(A) =rg(B) = s. Allora le due matrici sono equivalenti.

Dimostrazione. In analogia con quanto detto nelle sezione (5), consideriamol’operatore

LA : Rn → Rm

dato da LA(X) = AX. La matrice A e la matrice associata a LA nelle basi canoniche Bn

di Rn e Bm di Rm. Per ipotesi, la dimensione dell’immagine dell’applicazione associatae dim(Im LA) = rg(A) = s.

Siano ora BIm = {w1,w2, . . . ws} una base di Im(LA). Essendo vettori nell’im-magine, per ogni wi esiste almeno un vettore vi nel dominio tale che wi = LA(vi). Ivettori

(4.15) S = {v1,v2, . . . vs}sono linearmente indipendenti; infatti, se cosı non fosse, per il lemma 4.26 i vettori diBIm dovrebbero essere linearmente dipendenti.

Ora, se n = m = s gli insiemi S ed BIm sono una base per Rn e Rm, e scegliendoqueste basi rispettivamente nel dominio e nel codominio l’applicazione e rappresentatadalla matrice diagonale

(4.16) I(s) =

1 0 0 · · · 00 1 0 · · · 00 0 1 · · · 0...

.... . .

...0 · · · 0 1

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7. MATRICI EQUIVALENTI (O CONGRUENTI) 275

Altrimenti, completiamo gli insiemi di vettori linearmente indipendenti S e/o BIm

per avere una base di Rn e Rm. Siano

B′n = {v1, . . . vs,vs+1, . . . vn}

eB′

m = {w1, . . . ws,ws+1, . . . wm}le basi cosı ottenute; in particolare, possiamo scegliere i vettori

{vs+1, . . . vn}come i vettori della base del nucleo Ker LA di dimensione k = n − s.

La matrice E che rappresenta la LA in questa nuova base ha una struttura moltosemplice: infatti, per i primi s vettori si ha

L(vi) = wi , i = 1 . . . s

e per gli altriL(vi) = 0m , i = s + 1 . . . n

Risulta, pertanto, individuata una struttura a blocchi per C:

(4.17) E =

(

I(s) 0s,k

0m−s,s 0m−s,k

)

=

1 0 · · · 0 · · · 0

0 1...

......

... · · · . . . 0 · · · 00 · · · 0 0 · · · 0...

......

...0 · · · 0 0 · · · 0

,

dove il primo blocco in alto a sinistra coincide con la matrice (4.16), e gli altri blocchisono matrici nulle 0pq, con p righe e q colonne. Nel caso particolare che s = m oppures = n (k = 0), sopravvivono solo uno dei tre blocchi, ma la struttura rimane.

Se consideriamo le matrici N ed M che realizzano i cambi di base da Bn,Bm aB′

n,B′m che abbiamo descritto, possiamo scrivere

E = M−1AN ,

ossia le matrici A ed E sono equivalenti.Ripetiamo ora il procedimento per la matrice B; questa verra associata ad una

diversa applicazione lineare LB ; seguendo pero i passi di prima, poiche per ipotesirg(A) = rg(B) = s, e, quindi, dim(Ker(LB)) = n − s = k, troveremo due nuovematrici di cambio di base M ′ ed N ′, che porterebbero a rappresentare l’applicazionecon la stessa matrice a blocchi E trovata in (4.17). Ossia, anche le matrici B e E sonoequivalenti.

Ma l’equivalenza fra matrici e una relazione di equivalenza (Proposizione 4.24); lematrici A e B sono equivalenti entrambe ad E e, quindi, equivalenti fra loro per laproprieta transitiva. �

Osservazione 4.26. Si noti che, in questo contesto, la matrice (4.16)non rappresenta, in generale l’applicazione identica perche le basi scelte neldominio e nel codominio non coincidono.

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CAPITOLO 5

Sistemi lineari

1. Definizioni ed esempi.

Come discusso anche nel Capitolo 2, per molti problemi, in differenti campi,ci troviamo a trattare con un numero n ≥ 1 di incognite, legate da relazioniche si traducono in una serie di equazioni lineari nelle stesse incognite. Larisoluzione del problema si traduce quindi nel trovare (tutte) le soluzioni di unsistema lineare.

Ad esempio, abbiamo visto nei capitoli precedenti che un’equazione lineare(cioe di primo grado) nelle variabili x, y, z:

ax + by + cz + d = 0,

con A1 = (a, b, c) 6= (0, 0, 0), ammette soluzioni ∀d ∈ R; inoltre, fissato un si-stema di riferimento cartesiano nello spazio, l’insieme delle soluzioni costituisceun piano π.Un sistema di due equazioni lineari nelle variabili x, y, z:

{

a1x + b1y + c1z = d1

a2x + b2y + c2z = d2,

con Ai = (ai, bi, ci) 6= (0, 0, 0), ∀i = 1, 2, ammette sicuramente soluzioni se ledue equazioni rappresentano due piani π1 e π2 non paralleli, cioe i vettori rigaA1 e A2 (ossia, i vettori normali ai piani) sono linearmente indipendenti in R3;in tal caso l’insieme delle soluzioni e dato dai punti della retta r intersezionedei due piani. Se invece i vettori A1 e A2 sono linearmente dipendenti, allora:o le due equazioni rappresentano due piani paralleli, che hanno intersezionevuota e quindi il sistema lineare non ammette soluzioni, oppure le due equazionirappresentano lo stesso piano π1 = π2, che pertanto risulta essere l’insieme dellesoluzioni del sistema.

In questo capitolo ci proponiamo di trattare in modo completo la teoria deisistemi lineari; iniziamo a formalizzare il discorso.

Definizione 5.1. Un’equazione lineare a coefficienti reali nelle incogni-te x1 . . . xn e un’equazione di primo grado a coefficienti reali nelle variabilix1, . . . xn:

(5.1) a1x1 + a2x2 + · · · + anxn = b,

con ai ∈ R, i = 1, . . . n, b ∈ R.

277

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278 5. SISTEMI LINEARI

Definizione 5.2. Un sistema lineare di m ≥ 1 equazioni in n ≥ 1 incognitea coefficienti reali e un insieme di m equazioni lineari nelle stesse incognitex1 . . . xn:

(5.2)

a11x1 + a12x2 + · · · + a1nxn = b1

a21x1 + a22x2 + · · · + a2nxn = b2

...

am1x1 + am2x2 + · · · + amnxn = bm,

con aij ∈ R, i = 1, . . .m j = 1, . . . n, bi ∈ R, i = 1, . . .m.

Osserviamo che non esiste alcuna relazione tra il numero m delle equazionied il numero n delle incognite!!! I sistemi lineari in cui m = n, cioe in cuisi hanno tante equazioni quante incognite, sono particolari sistemi che sonodetti sistemi quadrati di ordine n. Gli studenti ad esempio hanno incontrato estudiato i sistemi lineari di due equazioni in due incognite.

Notazione 5.3. Dato il sistema lineare (5.2), introduciamo:

• il vettore colonna delle incognite del sistema: X =

x1

x2...

xn

∈ Rn;

• il vettore colonna dei termini noti del sistema: B =

b1

b2...

bm

∈ Rm;

• i vettori colonna dei coefficienti del sistema, (∀j = 1, 2 . . . n, Aj e ilvettore dei coefficienti dell’incognita xj):

Aj =

a1j

a2j...

amj

∈ Rm ∀j = 1 . . . n;

• la matrice dei coefficienti del sistema, di colonne A1 . . . An:

A = (A1| . . . |An) ∈ MR(m, n).

Usando le notazioni introdotte sopra il sistema (5.2) dato puo essere scritto informa vettoriale:

(5.3) x1A1 + x2A

2 + · · · + xnAn = B,

e possiamo, quindi, leggerlo come un’equazione vettoriale lineare a coefficientiin Rm nelle incognite x1 . . . xn.

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1. DEFINIZIONI ED ESEMPI. 279

Infine il sistema puo essere scritto anche in modo piu compatto in formamatriciale:

(5.4) AX = B,

e possiamo, quindi, leggerlo come un’equazione matriciale lineare nell’incognitaX ∈ Rn.

D’ora in poi, rappresenteremo sempre un sistema di m equazioni in nincognite con la scrittura matriciale:

(5.5) AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm ,

tenendo sempre presente le scritture alternative, utili per certi calcoli o dimo-strazioni.

Definizione 5.4. Il sistema lineare (5.5) e detto:

• omogeneo se B e il vettore nullo di Rm, cioe

bi = 0 ∀i = 1, . . .m;

• non omogeneo in caso contrario, cioe

∃ bi 6= 0, i ∈ {1, . . .m}.

Esempio 5.1. Analizziamo alla luce di quanto detto qualche sistema lineare

(1) Il sistema lineare

2x + 4y − z + t = 0

x + y + 2t = 0

4x + 2z − 3t = 0,

e un sistema lineare omogeneo di 3 equazioni in 4 incognite. I vettoricolonna dei coefficienti si ottengono nel seguente modo:

- il vettore A1 e dato dai coefficienti di x: A1 =

214

,

- il vettore A2 e dato dai coefficienti di y: A2 =

410

,

- il vettore A3 e dato dai coefficienti di z: A3 =

−102

,

- il vettore A4 e dato dai coefficienti di t: A4 =

12−3

.

La matrice dei coefficienti e, quindi, la seguente:

A =

2 4 −1 11 1 0 24 0 2 −3

,

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280 5. SISTEMI LINEARI

e la forma matriciale del sistema e:

2 4 −1 11 1 0 24 0 2 −3

·

xyzt

= 04.

(2) Il sistema lineare

2x + y − z = 1

x + y = 0

x − 2z = 1

y − z = 1,

e un sistema lineare non omogeneo di 4 equazioni in 3 incognite. Lamatrice dei coefficienti e la seguente:

A =

2 1 −11 1 01 0 −20 1 −1

,

il vettore colonna dei termini noti e il seguente: B =

1011

,

e la scrittura matriciale del sistema e la seguente:

2 1 −11 1 01 0 −20 1 −1

·

xyz

=

1011

.

Una soluzione di un sistema lineare di m equazioni in n incognite e una n-upla ordinata di numeri reali che sostituiti al posto delle incognite verificanotutte le equazioni del sistema. Formalizzando, abbiamo:

Definizione 5.5. Dato un sistema lineare AX = B, con A ∈ MR(m, n),B ∈ Rm:

(1) una soluzione del sistema e un vettore X0 =

α1

α2...

αn

∈ Rn che

soddisfa l’uguaglianza:

A · X0 = B,

equivalentemente

α1A1 + α2A

2 + · · · + αnAn = B;

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1. DEFINIZIONI ED ESEMPI. 281

(2) il sistema e detto risolubile o compatibile se esiste almeno una soluzionein Rn; in caso contrario si dice non risolubile.

Osservazione 5.2.

(1) Un sistema lineare omogeneo e sempre risolubile!!Sia A ∈ MR(m, n), consideriamo il sistema lineare omogeneo

AX = 0m.

Il vettore nullo di Rn e soluzione del sistema, infatti risulta:

A0n = 0m.

Tale soluzione e detta soluzione banale del sistema.(2) Un sistema lineare ammette la soluzione banale se e solo se

e omogeneo.Infatti, se il vettore nullo di Rn e soluzione del sistema, risulta:

A0n = B,

ma sappiamo che si ha A0n = 0m, deduciamo quindi che B = 0m, cioeil sistema e omogeneo.

Esempio 5.3. Esempi di sistemi lineari

(1) Il sistema lineare{

2x + y = 1

4x + 2y = 0

e un sistema lineare non omogeneo di 2 equazioni in 2 incognite. Ilsistema non e risolubile, infatti, fissato un sistema di riferimento car-tesiano nel piano, le due equazioni lineari rappresentano due retteparallele, la loro intersezione e quindi l’insieme vuoto.

(2) Il sistema lineare

x + y = 2

2x − 2y = 0

x + 2y = 3

e un sistema lineare non omogeneo di 3 equazioni in 2 incognite.Scriviamo il sistema in forma matriciale: AX = B, dove

A =

1 12 −21 2

B =

203

, X =

(

xy

)

.

Osserviamo che il vettore

(

11

)

e soluzione del sistema, infatti si ha:

A

(

11

)

= A1 + A2 = B.

Il sistema dato e quindi risolubile.

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282 5. SISTEMI LINEARI

Problemi: I principali problemi riguardanti i sistemi lineari che ci poniamosono i seguenti:

(1) determinare quando un sistema e risolubile;(2) descrivere l’insieme delle soluzioni;(3) trovare tecniche per la risoluzione.

2. Sistemi omogenei.

Iniziamo a studiare i sistemi lineari omogenei:

AX = 0m, A ∈ MR(m, n).

Come abbiamo gia osservato, un sistema lineare omogeneo e sempre risolubile:infatti ammette sempre la soluzione banale X = 0n.Spesso tuttavia, in alcuni problemi, siamo interessati a soluzioni diverse dalvettore nullo, cioe a soluzioni non banali. Ad esempio, per verificare che nvettori {v1, . . .vn} ⊂ V sono linearmente indipendenti, dobbiamo verificareche l’unica n-upla di numeri reali x1 . . . xn che verifica la relazione

x1v1 + · · · + xnvn = 0V

e quella banale x1 = x2 = · · · = xn = 0.Ci proponiamo quindi innanzittutto di stabilire quando un sistema lineare

omogeneo ammette solo la soluzione banale.

Proposizione 5.1. Un sistema lineare omogeneo

AX = 0m, A ∈ MR(m, n),

ammette solo la soluzione banale ⇐⇒ le colonne di A sono linearmenteindipendenti in Rm ⇐⇒ rg(A) = n.

Dimostrazione. Ricordiamo che un vettore X0 ∈ Rn e una soluzione delsistema se

AX0 = 0m, X0 =

α1...

αn

,

cioe risultaα1A

1 + · · · + αnAn = 0m

Possiamo allora concludere che:

– esiste una soluzione non banale X0 6= 0m se e solo se i vettori A1,. . .An sono linearmente dipendenti, ossia se e solo se rg(A) < n;

– l’unica soluzione e quella banale X0 = 0m se e solo se i vettori A1,. . .An sono linearmente indipendenti, ossia se e solo se rg(A) = n.

Prima di proseguire, vale la pena di effettuare la seguente

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2. SISTEMI OMOGENEI. 283

Osservazione 5.4. Se in un sistema omogeneo si ha n > m (cioe il numerodi incognite e strettamente maggiore del numero di equazioni), allora necessa-riamente le colonne A1 . . . An ∈ Rm della matrice A sono vettori linearmentedipendenti in Rm, quindi rg(A) ≤ m < n ed il sistema ammette soluzioni nonbanali.

Vogliamo ora studiare l’insieme delle soluzioni di un sistema lineare omoge-neo.

Proposizione 5.2. Dato un sistema lineare omogeneo:

AX = 0m, A ∈ MR(m, n),

l’insieme V delle soluzioni del sistema e un sottospazio di Rn e risulta:

dimV = n − rg(A).

Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione lineare LA definita dalla ma-trice A:

LA : Rn → Rm , X 7→ AX,

basta osservare che l’insieme V delle soluzioni del sistema lineare coincide conil nucleo di LA:

Ker LA = {X ∈ Rn| AX = 0m } = V.

Possiamo quindi concludere che V e un sottospazio di Rn, dal Teorema delledimensioni (4.8) risulta inoltre che dimV = n − rg(A). �

Abbiamo quindi dimostrato che l’insieme delle soluzioni di un sistema li-neare omogeneo e un sottospazio di Rn; proviamo ora che, viceversa, ognisottospazio di Rn e definito da un sistema lineare omogeneo.

Proposizione 5.3. Un sottospazio V ⊂ Rn di dimensione r, 0 < r < n, edefinito da un sistema lineare omogeneo di n − r equazioni indipendenti nelleincognite x1 . . . xn.

Dimostrazione. Poiche dim V = r, esistono r vettori X1, . . . Xr di Rn linear-mente indipendenti che generano V :

V = Span(X1, . . . Xr),

Identifichiamo questi vettori con le colonne A1 . . . Aj della matrice

A = (A1|A2| . . . |Ar) ∈ MR(n, r),

ossia Xi = Ai =

a1i

a2i

...ani

∈ Rn, i = 1, . . . r.

Sia X ∈ Rn, osserviamo che X ∈ V se e solo se X ∈ Span(X1, . . . Xr), e questo avvienese e solo se i seguenti sottospazi coincidono

Span(X1, . . . Xr,X) = Span(X1, . . . Xr).

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284 5. SISTEMI LINEARI

Poiche Span(X1, . . . Xr) ⊆ Span(X1, . . . Xr,X), i due sottospazi coincidono se e solo sehanno la stessa dimensione:

dim(Span(X1, . . . Xr,X)) = dim(Span(X1, . . . Xr)).

Poiche le colonne di A sono linearmente indipendenti, per come le abbiamo costruite,risulta rg(A) = r.Per ogni vettore X ∈ Rn consideriamo ora la matrice (A|X) ∈ MR(n, r + 1): lacondizione precedente si traduce nella seguente:

X ∈ V ⇐⇒ rg(A|X) = r.

Ma rg(A) = r, quindi esiste un minore ∆ non nullo di ordine r in A, supponiamo, persemplicita, che tale minore si ottenga considerando le prime r righe di A (e semprepossible riordinare le righe del sistema per avere questa condizione, senza cambiarnel’insieme delle soluzioni):

∆ =

a11 a12 · · · a1r

a21 a22 · · · a2r

...ar1 ar2 · · · arr

.

Allora, rg(A|X) = r se e solo se sono nulli tutti i minori di ordine r + 1 della matrice(A|X). Tuttavia, per la regola di Kronecker (3.27), basta provare che sono nulli tutti iminori di ordine r + 1 ottenuti “orlando” quelli contenenti le prime r righe. Poiche lamatrice (A|X) e di ordine n× (r + 1), questi minori sono tanti quante le righe restantidella matrice, cioe: n − r.Indichiamo con ∆i(X) il minore di ordine r + 1 di (A|X) contenente le prime r righee la i-esima riga, in modo che cada dopo di esse (r < i ≤ n):

∆i(X) =

a11 a12 · · · a1r x1

a21 a22 · · · a2r x2

...ar1 ar2 · · · arr xr

ai1 ai2 · · · air xi

.

Ciascuno di questi minori e un’equazione lineare omogenea in x1 . . . xn; infatti, svilup-pando il determinante sull’ultima ((r + 1)-esima) colonna, si ottiene che ∆i(X) e unafunzione lineare e omogenea nelle coordinate x1 . . . xr, xi a coefficienti reali non tuttinulli: infatti il coefficiente di xi e proprio ∆ 6= 0.

La condizione che tutti i minori orlati siano nulli, quindi, equivale ad imporre che∀i = r + 1, . . . n, l’equazione ∆i(X) = 0 sia soddisfatta.Riassumendo, possiamo concludere che V e il sottospazio delle soluzioni del seguentesistema lineare omogeneo di n − r equazioni nelle incognite x1 . . . xn:

∆r+1(X) = 0...

∆n(X) = 0,

ossia, in forma matriciale DX = 0n, D ∈ MR(n − r, n). Infine, le n − r equazionirisultano indipendenti e quindi necessarie. Infatti, poiche V e lo spazio delle soluzionidel sistema, per il teorema precedente si ha

r = dimV = n − rg(D),

da cui ricaviamo che rg(D) = n − r. �

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2. SISTEMI OMOGENEI. 285

Esempio 5.5. Vediamo qualche esempio.

(1) Sia V ⊂ R4 il sottospazio generato dai seguenti vettori:

u =

1211

v =

10−11

.

Vogliamo trovare un sistema di equazioni lineari che definiscono V .Osserviamo che i vettori u e v sono linearmente indipendenti, quindisono una base di V e il sottospazio ha dimensione 2. Pertanto so-no necessarie 4 − 2 = 2 equazioni lineari indipendenti per definire ilsottospazio.Sia X ∈ R4, X ∈ V se e solo se X ∈ Span(u, v), seguendo il procedi-mento del teorema precedente, X ∈ V se e solo se

rg

1 1 x1

2 0 x2

1 −1 x3

1 1 x4

= 2.

Osserviamo che il minore di ordine 2 estratto dalle prime due righe edalle prime due colonne e non nullo:

∆ =

1 12 0

= −2 6= 0.

Calcoliamo i minori di ordine 3 che si ottengono orlando la sottomatriceanalizzata, ossia che contengono le prime due righe:

∆3(X) =

1 1 x1

2 0 x2

1 −1 x3

= −2x1 + 2x2 − 2x3,

∆4(X) =

1 1 x1

2 0 x2

1 1 x4

= 2x1 − 2x4.

Il sottospazio V e lo spazio delle soluzioni del seguente sistema lineareomogeneo di 2 equazioni nelle incognite x1, x2, x3, x4:

{

x1 − x2 + x3 = 0

x1 − x4 = 0.

(2) Sia V ⊂ Rn un sottospazio generato da n − 1 vettori linearmenteindipendenti. Osserviamo che se n = 2, V ⊂ R2 e una retta perl’origine; se n = 3, V ⊂ R3 e un piano per l’origine, infine, se n ≥ 4,V ha dimensione n − 1 e viene detto iperpiano di Rn.Un iperpiano V ⊂ Rn e definito da un’unica equazione lineare omoge-nea in x1 . . . xn.Infatti, dal teorema precedente, poiche n − (n − 1) = 1, il sistemalineare che definisce V ha un’unica equazione lineare. Per determina-re l’equazione di V procediamo come nel teorema precedente. Siano

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286 5. SISTEMI LINEARI

{A1, . . . An−1} una base di V e X ∈ Rn. Allora, X ∈ V se e solo seX ∈ Span(A1, . . . An−1), cioe X ∈ V se e solo se si ha

rg(A1| . . . |An−1|X) = n − 1.

Poiche la matrice (A1| . . . |An−1|X) e quadrata di ordine n e le colonneA1, . . . An−1 sono linearmente indipendenti allora rg(A1| . . . |An−1|X) =n − 1 se e solo se il determinante e nullo:

∣(A1| . . . |An−1|X)∣

∣ = 0.

Otteniamo in questo modo l’equazione cartesiana dell’iperpiano V .

3. Sistemi non omogenei.

Dato un sistema lineare non omogeneo

AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm,

per prima cosa ci proponiamo di stabilire se il sistema e risolubile.A tale scopo introduciamo la matrice completa del sistema, ottenuta da A

aggiungendo una colonna formata dal vettore dei termini noti:

(5.6) A = (A|B) = (A1|A2| . . . |An|B) ∈ MR(m, n + 1) .

Un criterio semplice ed efficace per stabilire se un sistema e risolubile e datodal fondamentale teorema sui sistemi lineari di Rouche e Capelli:

Teorema 5.4 (di Rouche-Capelli). Un sistema lineare

AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm,

e risolubile se e solo se rg(A) = rg(A).

Dimostrazione. Ricordiamo che un vettore X0 ∈ Rn e una soluzione delsistema se

AX0 = B, X0 =

α1...

αn

,

cioe risultaα1A

1 + · · · + αnAn = B.

Quindi il sistema e risolubile se e solo se B e combinazione lineare dei vettoricolonna di A, cioe se e solo se B ∈ Span(A1, A2, . . . An).Osserviamo che:

– se B ∈ Span(A1, A2, . . . An), allora B e un generatore superfluo per ilsottospazio Span(A1, . . . An, B) e quindi risulta

Span(A1, . . . An, B) = Span(A1, . . . An),

che implica rg(A) = rg(A);

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3. SISTEMI NON OMOGENEI. 287

– se rg(A) = rg(A), allora i sottospazi Span(A1, . . . An, B) e Span(A1, . . . An)hanno la stessa dimensione, ma poiche si ha

Span(A1, . . . An) ⊆ Span(A1, . . . An, B),

i due sottospazi coincidono ed in particolare B ∈ Span(A1, A2, . . . An).

Osservazione 5.6. Se rg(A) = rg(A) = n, allora il sistema ammette un’u-nica soluzione. In altre parole, se esiste, la soluzione e unica quando il rangodella matrice dei coefficienti coincide con il numero delle incognite.

Dimostrazione. Infatti, osserviamo che se rg(A) = rg(A) = n, il siste-ma e risolubile per il Teorema di Rouche-Capelli, inoltre i vettori colonna A1,A2 . . . An della matrice A sono una base per il sottospazio Span(A1, . . . An).Allora la scrittura di B come combinazione lineare di A1, . . . An e unica:

B = α1A1 + · · · + αnAn,

cioe il sistema ammette un’unica soluzione. �

Esempio 5.7.

(1) Determiniamo se il sistema lineare seguente e risolubile:

x + 2y − z = 1

x − y + 2z = 0

3y − 3z = 2.

E un sistema lineare non omogeneo di 3 equazioni in 3 incognite. Lamatrice dei coefficienti e la colonna dei termini noti sono:

A =

1 2 −11 −1 20 3 −3

, B =

102

.

Calcoliamo il rango di A. Poiche A e una matrice quadrata, innanzi-tutto calcoliamo il suo determinante:

|A| =

1 2 −11 −1 20 3 −3

=

0 3 −31 −1 20 3 −3

= 0.

Poiche le prime due colonne di A sono linearmente indipendenti, pos-siamo concludere che rg(A) = 2.Scriviamo ora la matrice completa:

A =

1 2 −1 11 −1 2 00 3 −3 2

,

e calcoliamo il suo rango. Consideriamo la seguente sottomatricequadrata di A:

A′ = (A1|A2|B), A′ ∈ MR(3) ;

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288 5. SISTEMI LINEARI

osserviamo che

|A′| =

1 2 11 −1 00 3 2

=

0 3 11 −1 00 3 2

= −1(6 − 3) = −3 6= 0,

per cui risulta rg(A) = 3. Poiche rg(A) 6= rg(A), per il Teorema diRouche-Capelli, possiamo concludere che il sistema non e risolubile.

(2) Determiniamo se il sistema lineare seguente e risolubile:

x + y = 1

2x + 3y = 2

7x + 6y = 7

E un sistema lineare non omogeneo di 3 equazioni in 2 incognite. Lamatrice dei coefficienti e la colonna dei termini noti sono:

A =

1 12 37 6

, B =

127

.

Osserviamo che le colonne di A sono linearmente indipendenti, quindirg(A) = 2. Scriviamo ora la matrice completa:

A =

1 1 12 3 27 6 7

,

e calcoliamo il suo rango. Poiche A e una matrice quadrata, calcoliamoil determinante:

|A| = 0,

poiche la matrice ha due colonne uguali. Possiamo concludere cherg(A) = rg(A) = 2, quindi per il Teorema di Rouche-Capelli il sistemae risolubile.

Ci proponiamo ora di descrivere l’insieme delle soluzioni di un sistema li-neare non omogeneo risolubile in n incognite. Osserviamo che tale insiemenon e un sottospazio di Rn, poiche il vettore nullo non e soluzione del sistema.Facciamo un esempio. Consideriamo un sistema lineare di due equazioni nel-le variabili x, y, z, che possono essere viste come le coordinate di un genericovettore di E3

O nella base canonica:{

a1x + b1y + c1z = d1

a2x + b2y + c2z = d2,

con di 6= 0 per almeno un valore dell’indice i, e Ai =

ai

bi

ci

6= 0, ∀i = 1, 2.

Supponiamo ora che i vettori colonna A1 e A2 siano linearmente indipendentiin R3. Fissato nello spazio E3

O un sistema di riferimento cartesiano ortogonale

R(O, ı, , k), l’insieme delle soluzioni e la retta r intersezione dei piani definiti

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3. SISTEMI NON OMOGENEI. 289

dalle due equazioni lineari, ed e quindi una retta che non passa per l’origine.Osserviamo che l’insieme delle soluzioni non e un sottospazio di R3, tuttavia siottiene traslando un sottospazio di R3.

Formalizziamo ora questo concetto.

Definizione 5.6. Un sottoinsieme V ⊂ Rn e detto varieta lineare o sot-tospazio affine di dimensione h ≥ 0 se esistono un sottospazio V ⊂ Rn condimV = h ed un vettore X0 ∈ Rn tali che ogni vettore X ∈ V si scrive nelseguente modo:

X = X0 + Y, Y ∈ V.

Scriveremo questo sinteticamente come

V = X0 + V.

Osservazione 5.8. Osserviamo che:

• Le rette e i piani sono varieta lineari di R3 di dimensione rispettiva-mente 1 e 2;

• V ⊂ Rn e una varieta lineare di dimensione 0 se e solo se V = {X0}.Teorema 5.5 (di struttura). Dato un sistema lineare non omogeneo riso-

lubile:AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm,

l’insieme delle soluzioni V e una varieta lineare di dimensione n − rg(A), inparticolare risulta:

V = X0 + KerLA,

dove X0 ∈ Rn e una soluzione del sistema e LA : Rn → Rm e l’applicazionelineare definita dalla matrice A.

Dimostrazione. Poiche il sistema e risolubile, l’insieme delle soluzioni delsistema V ⊂ Rn e non vuoto: sia X0 ∈ V una soluzione.Sia LA : Rn → Rm l’applicazione lineare definita dalla matrice A. Sappiamoche il nucleo KerLA e un sottospazio vettoriale di Rn di dimensione n− rg(A).Verfichiamo che V e un traslato del sottospazio KerLA.

• Prima verifichiamo che ∀Y ∈ KerLA, X0 + Y e una soluzione delsistema. Basta osservare che

A(X0 + Y ) = AX0 + AY = B + 0m = B,

da cui deduciamo che X0 + Y ∈ V;• ora verifichiamo che ∀X ∈ Rn soluzione del sistema, si ha: X = X0+Y ,

con Y ∈ Ker LA. Basta verficare che il vettore X − X0 ∈ Rn e unvettore del nucleo KerLA; infatti:

A(X − X0) = AX − AX0 = B − B = 0m,

da cui deduciamo che esiste un vettore Y ∈ KerLA tale che X −X0 =Y .

Osservazione 5.9. La varieta lineare V si riduce ad essere un unico vettore{X0} se e solo se risulta Ker LA = {0n} se e solo se dim Ker LA = 0 se e solo sen = rg(A).

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290 5. SISTEMI LINEARI

Come immediata conseguenza otteniamo il seguente criterio:

Corollario 5.6. Un sistema lineare non omogeneo risolubile:

AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm,

ammette un’unica soluzione se e solo se rg(A) = n.

4. Sistemi quadrati non singolari.

Vediamo ora una classe di sistemi lineari che ammettono un’unica soluzione.Consideriamo sistemi lineari quadrati, cioe con lo stesso numero di equazioni edincognite; vogliamo caratterizzare i sistemi quadrati che ammettono una solasoluzione; per fare questo, occorre premettere una

Definizione 5.7. sia

AX = B, A ∈ MR(n), B ∈ Rn,

un sistema lineare di n equazioni in n incognite, supponiamo inoltre che lamatrice A abbia rango massimo:

rg(A) = n.

Un tale sistema e detto sistema lineare quadrato non singolare di ordine n, oanche sistema di Cramer di ordine n.

Sulla scorta di questo possiamo mostrare che la caratterizzazione cercata emolto semplice.

Proposizione 5.7. Un sistema lineare quadrato non singolare

AX = B, A ∈ MR(n), B ∈ Rn,

ammette un’unica soluzione:

X0 = A−1B .

Dimostrazione. Notiamo che il sistema e sempre risolubile ∀B ∈ Rm;infatti, poiche la matrice completa A = (A|B) = (A|B) ∈ MR(n, n + 1), risulta

necessariamente rg(A) = rg(A) (il rango non puo diminuire aggiungendo unacolonna, e non puo superare il minimo fra n e n + 1, cioe n). Inoltre poicherg(A) = n, il sistema ammette un’unica soluzione.

Essendo rg(A) = n, matrice A e invertibile, sia A−1 la matrice inversa diA. Osserviamo che dall’uguaglianza

AX = B,

moltiplicando a sinistra per la matrice inversa di A entrambi i membri si ha:

A−1(AX) = A−1B,

applicando le proprieta del prodotto di matrici otteniamo:

X = A−1B .

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4. SISTEMI QUADRATI NON SINGOLARI. 291

Vogliamo ora determinare in modo esplicito la soluzione e ricavare una regoladi calcolo per i sistemi quadrati non singolari. Consideriamo quindi un sistemalineare:

AX = B, A ∈ MR(n), B ∈ Rn.

Poiche la soluzione e X0 = A−1B, per ogni i = 1, . . . n la i−esima componentedel vettore X0 risulta essere il prodotto della i-esima riga di A−1 per il vettoreB:

(X0)i = (A−1)iB.

Ricordiamo che (formula di Cramer per l’inversa, Proposizione 3.19)

(A−1)ij = (−1)i+j 1

|A| |A[j,i]|,

dove A[j,i] e la sottomatrice quadrata di A che si ottiene eliminando la j-esimariga di A e la i-esima colona di A. Si ha allora:

(X0)i = (A−1)iB =(−1)i+1b1|A[1,i]| + · · · + (−1)i+nbn|A[n,i]|

|A| .

Consideriamo ora la matrice che si ottiene da A sostituendo la i-esima colonnaAi con la colonna dei termini noti B:

(A1| . . . |Ai−1|B|Ai+1| . . . |An),

osserviamo che sviluppando il determinante di tale matrice con la regola diLaplace sulla i-esima colonna otteniamo:∣

∣(A1| . . . Ai−1|B|Ai+1 . . . An)∣

∣ = (−1)i+1b1|A[1,i]| + · · · + (−1)i+nbn|A[n,i]|.Possiamo quindi concludere che:

(X0)i =

∣(A1| . . . |Ai−1|B|Ai+1| . . . |An)∣

|A| , i = 1, . . . n .

In altre parole, abbiamo appena mostrato la seguente regola

Proposizione 5.8 (Regola di Cramer).Sia

AX = B

un sistema quadrato non singolare di ordine n; sia X0 la sua unica soluzione. Lacomponente i-esima (X0)i del vettore soluzione si ottiene dividendo per il deter-minante di A il determinante della matrice AB(i) = (A1| . . . |Ai−1|B|Ai+1| . . . |An),ottenuta sostituendo la i−esima colonna della matrice A con la colonna B deitermini noti.

Esempio 5.10. Studiamo il seguente sistema lineare quadrato in 3 incognite:

2x + 2z = 0

x − y + z = 1

x + 2y = 2.

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292 5. SISTEMI LINEARI

La matrice dei coefficienti del sistema e il vettore colonna dei termini noti sonoi seguenti:

A =

2 0 21 −1 11 2 0

, B =

012

.

Osserviamo che risulta:

|A| =

2 0 21 −1 11 2 0

=

0 0 20 −1 11 2 0

= 2,

da cui deduciamo che rg(A) = 3, il sistema e non singolare e quindi ammetteun’unica soluzione. Calcoliamo la soluzione con il metodo che abbiamo ricavatosopra. Abbiamo:

x =

∣(B|A2|A3)∣

|A| =1

2

0 0 21 −1 12 2 0

= 4,

y =

∣(A1|B|A2)∣

|A| =1

2

2 0 21 1 11 2 0

= −1,

z =

∣(A1|A2|B)∣

|A| =1

2

2 0 01 −1 11 2 2

= −4,

la soluzione del sistema e la seguente:

X =

4−1−4

.

5. Risoluzione di sistemi lineari.

Dato un sistema lineare possiamo effettuare delle operazioni elementari sulleequazioni senza modificare le soluzioni del sistema, ad esempio cambiare l’ordinedelle equazioni.

Definizione 5.8. Due sistemi lineari nelle stesse incognite sono equivalentise tutte le soluzioni di uno sono soluzioni dell’altro e viceversa.

Osservazione 5.11. Vi sono operazioni che possiamo compiere che permet-tono di ottenere sistemi sicuramente equivalenti ad uno dato. In particolare,osserviamo che:

• cambiando l’ordine delle equazioni, si ottiene un sistema equivalente aquello dato;

• aggiungendo ad un sistema un’equazione che e combinazione linearedelle stesse equazioni del sistema si ottiene un sistema equivalente aquello dato;

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5. RISOLUZIONE DI SISTEMI LINEARI. 293

• sommando ad una equazione del sistema una combinazione linearedelle altre equazioni del sistema si ottiene un sistema equivalente aquello dato;

• un sistema e equivalente ad ogni altro sistema ottenuto eliminandotutte le equazioni che sono combinazione lineare delle altre (equazionisuperflue), cioe ad un sistema in cui tutte le equazioni sono linearmenteindipendenti.

Dato un sistema lineare risolubile

AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm,

e naturale chiedersi in che modo si possa stabilire se la i-esima equazione delsistema e superflua. Osserviamo che i coefficienti della i-esima equazione del si-stema sono dati dalla i-esima riga della matrice completa A = (A|B). Abbiamoquindi le seguenti

Proprieta 5.9.

(1) la i-esima equazione del sistema e combinazione lineare delle altre

equazioni se e solo se la i-esima riga della matrice completa A ecombinazione lineare delle altre righe;

(2) se rg(A) = rg(A) = r, allora ci sono r equazioni linearmente indipen-denti nel sistema e le altre sono superflue.

Illustriamo ora il procedimento che possiamo seguire per risolvere unsistema lineare:

AX = B, A ∈ MR(m, n), B ∈ Rm,

con rg(A) = rg(A) = r.

(1) rg(A) = r: ci sono al massimo r righe in A linearmente indipendenti,possiamo supporre, a meno di cambiare l’ordine delle equazioni delsistema, che siano le righe A1 . . . Ar. Le prime r equazioni del sistemasono quindi indipendenti e le altre sono superflue: possiamo eliminarequeste ultime equazioni.

(2) A questo punto, indichiamo con A la matrice ottenuta da A eliminan-do le righe superflue, e con B il vettore colonna ottenuto da B elimi-nando le componenti corrispondenti. Il sistema originario e, adesso,equivalente al sistema

AX = B, A ∈ MR(r, n) , B ∈ Rr,

con rg(A) = ( ˜A) = r (il sistema rimane risolubile, quindi i due ranghidevono coincidere).

(3) Se r = n, allora abbiamo un sistema quadrato non singolare, che am-mette quindi un’unica soluzione, che possiamo calcolare con il metodoesposto nel paragrafo precedente 4.

(4) Se r < n, allora poiche rg(A) = r esistono r colonne linearmente indi-pendenti in A e le altre sono combinazione lineare di queste. A menodi cambiare l’ordine delle incognite del sistema, possiamo supporre che

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294 5. SISTEMI LINEARI

queste siano le colonne A1, . . . Ar. Indichiamo con A′ la matrice (inver-tibile per il Teorema 3.10!) formata da queste prime r colonne, e conA′′ quella formata dalle rimanenti colonne. In altre parole, poniamo:

A = (A′|A′′) A′ ∈ GL(r, R) , A′′ ∈ MR(r, n − r) ;

in corrispondenza, scriveremo per il vettore delle incognite

X =

(

X ′

X ′′

)

, X ′ ∈ Rr, X ′′ ∈ Rn−r.

Possiamo allora scrivere il sistema nella forma seguente:

A′X ′ + A′′X ′′ = B,

o, equivalentemente, portando a secondo membro:

A′X ′ = B − A′′X ′′ = B′(X ′′),

dove abbiamo evidenziato il fatto che il nuovo vettore dei termini no-ti B′ dipende dai parametri X ′′. Osserviamo che per ogni vettoreX ′′ ∈ Rn−r, questo sistema lineare e un sistema lineare quadrato nonsingolare, quindi ammette un’unica soluzione: X ′ = A′−1B′(X ′′), chepossiamo calcolare esplicitamente con il metodo esposto nel paragrafoprecedente. La soluzione trovata dipende dal vettore X ′′ ∈ Rn−r, os-sia, le n − r incognite, xr+1, . . . xn, sono libere, e le prime r, x1, . . . xr,vengono espresse in funzione (lineare) di questi parametri. Otteniamoin questo modo una rappresentazione parametrica della varieta linearedelle soluzioni.

Esempio 5.12. Studiamo il seguente sistema lineare non omogneo di 3equazioni in 4 incognite:

x − 2y + 3z − t = 2

2x + 5y + t = −2

3x + 5z − t = 2.

La matrice dei coefficienti del sistema ed il vettore colonna dei termini notisono:

A =

1 −2 3 −12 5 0 13 0 5 −1

, B =

2−22

.

Calcoliamo il rango di A: osserviamo che le colonne A1 e A2 sono linearmen-te indipendenti, quindi rg(A) ≥ 2. Calcoliamo i due minori di ordine 3 checontengono le due colonne A1 e A2:

∆1 =

1 −2 32 5 03 0 5

= −45 + 45 = 0,

∆2 =

1 −2 −12 5 13 0 −1

= 9 − 9 = 0,

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5. RISOLUZIONE DI SISTEMI LINEARI. 295

per la regola di Kronecker degli orlati (3.27 nel Capitolo 3) possiamo concludereche rg(A) = 2.

Scriviamo ora la matrice completa:

A = (A|B) =

1 −2 3 −1 22 5 0 1 −23 0 5 −1 2

,

osserviamo che B ∈ Span(A4), quindi B ∈ Span(A1, A2, A3, A4) e possiamoconcludere che

rg(A) = rg(A) = 2.

Il sistema e quindi risolubile e l’insieme delle soluzioni e una varieta lineareV ⊂ R4 di dimensione n − rg(A) = 4 − 2 = 2.

Per risolvere il sistema procediamo come sopra. Poiche rg(A) = 2 e le prime

due righe di A sono linearmente indipendenti, possiamo concludere che le primedue equazioni del sistema sono indipendenti e la terza e superflua: la possiamoeliminare. Abbiamo quindi:

A =

(

1 −2 3 −12 5 0 1

)

.

Osserviamo ora che le prime due colonne sono linearmente indipendenti, possia-mo risolvere quindi il sistema nelle incognite x e y e portare a secondo membrole altre incognite:

{

x − 2y = t − 3z + 2

2x + 5y = −2 − t,A′ =

(

1 −22 5

)

, B′ =

(

t − 3z + 2−2 − t

)

.

Per ogni (z, t) ∈ R2, abbiamo un sistema lineare quadrato non singolare in2 incognite, che ammette un’unica soluzione. Calcoliamo ora la soluzione, infunzione di z e t:

x =

t − 3z + 2 −2−2 − t 5

|A′| =2 + t − 5z

3,

y =

1 t − 3z + 22 −2 − t

|A′| =2z − t − 2

3, z, t ∈ R.

Possiamo concludere che la varieta lineare delle soluzioni ha le seguenti equa-zioni parametriche:

x = 23 + 1

3β − 53α,

y = 23α − 1

3β − 23 ,

z = α,

t = β,

α, β ∈ R.

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296 5. SISTEMI LINEARI

6. Il metodo di riduzione di Gauss

Il metodo di risoluzione, che abbiamo esposto nel paragrafo precedente, none ottimale sul piano pratico, quando il sistema ha un numero elevato di equa-zioni. Infatti, come abbiamo visto, ci si riduce a risolvere un sistema quadratonon singolare di r equazioni:

A′X ′ = B′, A′ ∈ GL(r, R), B′ ∈ Rr.

Cio comporta il calcolo di un numero elevato di determinanti, osserviamo cheper calcolare ogni determinante di ordine r si devono calcolare r!

2 determinantidi ordine 2.

Esistono metodi alternativi che consentono di ridurre notevolmente i calcoli,uno di questi e il metodo di riduzione di Gauss. Tale metodo consiste neltrasformare, tramite operazioni elementari sulle equazioni, un sistema linearequadrato in un sistema lineare “triangolare superiore” equivalente ad esso.

Definizione 5.9. Un sistema lineare quadrato AX = B, con A ∈ MR(n)e B ∈ Rn, e detto triangolare superiore se la matrice A dei coefficienti e unamatrice triangolare superiore, cioe se tutti gli elementi al di sotto della diagonaleprincipale di A sono nulli:

∀i > j Aij = 0, i, j = 1, . . . n.

Vale la pena di effettuare una semplice

Osservazione 5.13. Un sistema triangolare superiore, AX = B con A ∈MR(n) e B ∈ Rn, e non singolare se e solo se tutti gli elementi sulla diagonaleprincipale di A sono non nulli:

Aii 6= 0, ∀i = 1, . . . n.

Dimostrazione. Basta ricordare che il determinante di una matrice trian-golare e il prodotto dei termini sulla diagonale (Proposizione 3.13). �

Un sistema triangolare superiore non singolare puo essere risolto facilmentecon un procedimento detto algoritmo di riduzione all’indietro. Illustriamo ilprocedimento direttamente su di un esempio.

Esempio 5.14. Consideriamo il sistema lineare di 3 equazioni in 3 incognite:

x − 2y + 3z = 3

2y + 2z = 0

4z = −4.

La matrice dei coefficienti ed il vettore colonna dei termini noti sono:

A =

1 −2 30 2 20 0 4

B =

30−4

.

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6. IL METODO DI RIDUZIONE DI GAUSS 297

Osserviamo che la matrice A e triangolare superiore, inoltre tutti gli elemen-ti sulla diagonale principale di A sono non nulli. Il sistema e quidi un si-stema triangolare superiore non singolare e quindi ammette un’unica soluzio-ne. Procediamo ora al calcolo della soluzione. Partendo dall’ultima equazioneabbiamo:

4z = −4 =⇒ z = −1,

sostituendo z = −1 nella seconda equazione otteniamo:

2y + 2(−1) = 0 =⇒ y = 1,

sostituendo infine nella prima equazione z = −1 e y = 1 otteniamo:

x − 2(1) + 3(−1) = 3 =⇒ x = 8.

La soluzione del sistema e quindi la seguente:

xyz

=

81−1

.

Il metodo di riduzione di Gauss consiste nel trasformare un sistema linearequadrato in un sistema lineare triangolare superiore equivalente ad esso, at-traverso operazioni elementari sulle equazioni. Poiche le operazioni elementarisulle equazioni si traducono in analoghe operazioni elementari sulle righe dellamatrice completa del sistema, possiamo procedere direttamente sulle righe dellamatrice completa. Lo scopo e quello di trasformare la matrice A in una matricetriangolare superiore: si procede per passi a partire dalla prima colonna di A.Il passo i-esimo consiste nell’annullare tutti gli elementi della colonna Ai chesono sotto la diagonale principale di A; ad ogni passo, si scambiano eventual-mente fra loro delle righe, se vi sono degli elementi sulla colonna che sono gianulli, per portarli al di sotto. Se il sistema e, come ipotizzato, non singolare, adogni passo esiste almeno un elemento non nullo su una colonna che si posizionasulla diagonale principale della matrice dei coefficienti del sistema equivalenteottenuto.Illustriamo il procedimento direttamente su di un esempio.

Esempio 5.15. Consideriamo il sistema lineare di 4 equazioni in 4 incognite:

x + 3y + z − t = 3

3x + 9y + 4z + t = 0

2x + y + 5z + 2t = 1

y − z − t = 1.

La matrice dei coefficienti ed il vettore colonna dei termini noti sono:

A =

1 3 1 −13 9 4 12 1 5 20 1 −1 −1

B =

3011

.

Partiamo dalla prima colonna di A, infatti la prima coordinata del vettore A1

e non nulla. In caso contrario, basta scambiare le equazioni del sistema pertrovarsi in questa situazione.

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298 5. SISTEMI LINEARI

Passo 1: Vogliamo annullare tutti gli elementi della prima colonna che sonosotto a11 attraverso operazioni elementari (conviene rappresentare direttamentela matrice completa (A|B), con una barra verticale per separare la colonna deitermini noti). Quindi operiamo nel seguente modo: al posto della riga R2

sostituiamo R2 − 3R1, al posto della riga R3 sostituiamo R3 − 2R1, lasciamoinfine invariata R4.

1 3 1 −1 33 9 4 1 02 1 5 2 10 1 −1 −1 1

=⇒

1 3 1 −1 30 0 1 4 −90 −5 3 4 −50 1 −1 −1 1

.

Osserviamo che l’elemento della seconda colonna sulla diagonale e nullo. Pos-siamo scambiare tra loro la seconda riga e la terza riga:

1 3 1 −1 30 0 1 4 −90 −5 3 4 −50 1 −1 −1 1

=⇒

1 3 1 −1 30 −5 3 4 −50 0 1 4 −90 1 −1 −1 1

.

Passo 2: Vogliamo annullare tutti gli elementi della seconda colonna che sonosotto a22 attraverso operazioni elementari. Quindi operiamo nel seguente modo:al posto della riga R4 sostituiamo R4 + 1

5R2, lasciamo invariate le altre.

1 3 1 −1 30 −5 3 4 −50 0 1 4 −90 1 −1 −1 1

=⇒

1 3 1 −1 30 −5 3 4 −50 0 1 4 −90 0 −2

5 −15 0

.

Passo 3: Vogliamo annullare tutti gli elementi della terza colonna che sonosotto a33 attraverso operazioni elementari. Quindi operiamo nel seguente modo:al posto della riga R4 sostituiamo R4 + 2

5R3 e lasciamo invariate le altre.

1 3 1 −1 30 −5 3 4 −50 0 1 4 −90 0 −2

5 −15 0

=⇒

1 3 1 −1 30 −5 3 4 −50 0 1 4 −90 0 0 7

5 −185

.

Il sistema dato e equivalente al seguente sistema lineare triangolare superiore:

x + 3y + z + t = 3

−5y + 3z + 4t = −5

z + 4t = −975 t = −18

5 .

Possiamo risolvere il sistema con il procedimento di risoluzione all’indietro.Partiamo dall’ultima equazione, abbiamo:

7

5t = −18

5=⇒ t = −18

7.

Sostituiamo t = −187 nella terza equazione, abbiamo:

z + 4(−18

7) = −9 =⇒ z =

9

7.

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7. DISCUSSIONE DI SISTEMI LINEARI PARAMETRICI 299

Sostituiamo ora z = 97 e t = −18

7 nella seconda equazione, abbiamo:

−5y + 3.9

7+ 4(−18

7) = −5 =⇒ y = −2

7.

Infine, sostituiamo y = −27 , z = 9

7 e t = −187 nella prima equazione, abbiamo:

x + 3(−2

7) +

9

7+ (−18

7) = 3 =⇒ x = 0.

La soluzione del sistema e quindi la seguente:

xyzt

=

0−2

797

−187

.

Il metodo puo anche essere generalizzato, per risolvere un sistema qua-lunque (non necessariamente quadrato). La riduzione di Gauss porta ad uncosiddetto sistema a scala, la cui analisi consente di ricavare rango della matri-ce dei coefficienti, e, corrispondentemente, dimensione della soluzione, nonchedi individuare le variabili libere (parametri) e quelle dipendenti. Per una trat-tazione sistematica, si rimanda alla sezione dedicata posta nell’appendice diquesto capitolo.

7. Discussione di sistemi lineari parametrici

Nella risoluzione di molti problemi, in geometria, meccanica o fisica, incui ci troviamo a trattare con un numero n ≥ 1 di incognite, i dati possonoanche dipendere da uno o piu parametri variabili in R. Se le relazioni tra leincognite sono relazioni lineari, il problema si traduce quindi in un sistemalineare parametrico , cioe in un sistema in cui i coefficienti, ed eventualmenteanche i termini noti, non sono numeri reali assegnati, ma sono funzioni di unoo piu parametri reali.

Un sistema lineare parametrico, in generale, puo essere o non essere ri-solubile a seconda dei valori che assumono i parametri. E quindi naturalechiedersi:

(1) per quali valori dei parametri il sistema e risolubile;(2) per quali valori dei parametri il sistema ammette un’unica soluzione;(3) per quali valori dei parametri l’insieme delle soluzioni e un sottospazio

vettoriale o una varieta lineare di dimensione h ≥ 1.

La discussione di un sistema lineare parametrico consiste nel dare una ri-sposta a tutte le domande precedenti e costituisce quindi lo studio completo delsistema al variare dei parametri.

Analizziamo il caso di un sistema lineare che dipende da un solo parametroreale h ∈ R:

AX = B, A = A(h), B = B(h),

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300 5. SISTEMI LINEARI

dove A e B sono rispettivamente matrici di ordine m × n e di ordine m × 1 lecui entrate sono funzioni a valori reali di h. Spesso sono funzioni algebriche,cioe polinomi p(h) ∈ R[h].Per stabilire per quali valori del parametro il sistema e risolubile, studiamoin funzione del parametro h il rango della matrice A e della matrice completa(A|B). Tale studio richiede particolare attenzione, esistono diversi procedimentiper il calcolo del rango quando la matrice dipende da uno o piu parametri,si tratta di volta in volta di capire quale e il piu conveniente; in generale,ove possibile, se una delle due matrici (A e (A|B)) e quadrata, puo convenireiniziare con il calcolo del determinante di quella matrice, trovare i valori di hche annullano il determinante, ed iniziare la discussione a partire da questodiscrimine. Confrontando poi il rango delle due matrici, possiamo stabilire perquali valori di h risulta rg(A) = rg(A|B).Una volta stabilito per quali valori del parametro il sistema ammette soluzioni,completiamo lo studio del sistema per tali valori, descrivendo l’insieme dellesoluzioni Vh: possiamo stabilire per quali h, Vh e un sottospazio, per qualiinvece e una varieta lineare, infine ne calcoliamo la dimensione i funzione delparametro h.

A questo punto possiamo risolvere il sistema scegliendo, tra i metodi cheabbiamo esposto nei paragrafi precedenti, quello che riteniamo piu conveniente,sempre controllando che il percorso scelto sia percorribile per tutti i valoridel parametro che stiamo considerando. In caso contrario, ci ricordiamo diesaminare a parte alcuni parametri con un procedimento alternativo.

Per chiarire quanto detto sopra, esaminiamo alcuni esempi.

Esempio 5.16.

(1) Discutere e risolvere, al variare del parametro reale h, il seguentesistema lineare:

hx + y + z = 1

x + hy + z = 1

x + y + hz = 1.

Osserviamo che il sistema dato e un sistema quadrato non omogeneo,con 3 equazioni e 3 incognite. La matrice dei coeffcienti e la colonnadei termini noti sono le seguenti:

A =

h 1 11 h 11 1 h

B =

111

.

Prima di tutto calcoliamo il rango di A al variare di h. Poiche lamatrice A e quadrata di ordine 3, procediamo calcolando il suo de-terminante. Nel fare questo, cerchiamo di evidenziare un fattorecomune nel determinante che contenga il parametro h: infatti,poiche la matrice A contiene il parametro in tutte le righe e le colonne,ci aspettiamo che il determinante sia un polinomio di terzo grado, per

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7. DISCUSSIONE DI SISTEMI LINEARI PARAMETRICI 301

il quale la ricerca delle radici non e semplice. Abbiamo:

|A| =

h 1 11 h 11 1 h

=

h − 1 1 11 − h h 1

0 1 h

= (h − 1)

1 1 1−1 h 10 1 h

;

dove abbiamo sostituito al posto della colonna A1 la colonna A1−A2 epoi abbiamo applicato la proprieta di linearita del determinante sullaprima colonna. Ora, al posto della riga A1 sostituiamo la riga A1 +A2

e calcoliamo infine il determinante sviluppandolo sulla prima colonna:

|A| = (h − 1)

0 h + 1 2−1 h 10 1 h

= (h − 1)

h + 1 21 h

= (h − 1)(h2 + h − 2).

Osserviamo che risulta:

|A| = 0 ⇐⇒ (h − 1)(h2 + h − 2) = 0, ⇐⇒ h = 1 o h = −2.

Possiamo quindi affermare che:

∀h ∈ R, con h 6= 1 e h 6= −2, risulta rg(A) = 3.

Per tali valori del parametro, il sistema e un sistema quadrato nonsingolare e quindi ammette un’unica soluzione ∀B ∈ R3.

Analizziamo ora il sistema per i valori del parametro che rimango-no, per i quali risulta |A| = 0. Consideriamo caso per caso.Sia h = 1: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo

A =

1 1 11 1 11 1 1

B =

111

.

Osserviamo che Span(A1, A2, A3) = Span(A1), quindi si ha rg(A) = 1,

inoltre B ∈ Span(A1). Indichiamo con A = (A|B) la matrice completadel sistema, risulta allora:

rg(A) = rg(A) = 1.

Allora, per il teorema di Rouche-Capelli, il sistema ammette soluzionie l’insieme delle soluzioni e una varieta lineare di dimensione 3−1 = 2in R3, quindi e un piano in R3, che non passa per l’origine (il sistemanon e omogeneo).Sia ora h = −2: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo

A =

−2 1 11 −2 11 1 −2

B =

111

.

Osserviamo che, le colonne A1 e A2 sono linearmente indipendenti,quindi risulta rg(A) = 2. Calcoliamo ora il rango della matrice com-

pleta A = (A|B). Consideriamo il minore di ordine 3 di A determinato

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302 5. SISTEMI LINEARI

dalle colonne A1, A2 e B:

∆ =

−2 1 11 −2 11 1 1

=

−3 0 01 −2 11 1 1

= −3

−2 11 1

= 9 6= 0.

Poiche ∆ 6= 0, possiamo concludere che rg(A) = 3.

Osserviamo che risulta rg(A) 6= rg(A), per il Teorema di Rouche-Capelli, possiamo concludere che il sistema non ammette soluzioniper h = −2.

Procediamo ora alla risoluzione del sistema. Distinguiamo due casi.Sia h ∈ R, con h 6= 1 e h 6= −2. Abbiamo verificato sopra che il sistemaammette un’unica soluzione: Xh = A−1B che dipende dal parametroreale h. Possiamo determinare la soluzione con il metodo di Cramer.Abbiamo:

x =

∣(B|A2|A3)∣

|A| =

1 1 11 h 11 1 h

(h − 1)2(h + 2)=

(h − 1)2

(h − 1)2(h + 2)

=1

(h + 2),

y =

∣(A1|B|A3)∣

|A| =

h 1 11 1 11 1 h

(h − 1)2(h + 2)=

(h − 1)2

(h − 1)2(h + 2)

=1

(h + 2),

z =

∣(A1|A2|B)∣

|A| =

h 1 11 h 11 1 1

(h − 1)2(h + 2)=

(h − 1)2

(h − 1)2(h + 2)

=1

(h + 2).

La soluzione del sistema per ogni h ∈ R con h 6= 1 e h 6= −2 e laseguente:

xyz

=

1(h+2)

1(h+2)

1(h+2)

.

Sia h = 1: abbiamo verificato prima che l’insieme delle soluzioni e unavarieta lineare V1 di dimensione 2 in R3, quindi un piano non passanteper l’origine. Poiche rg(A) = rg(A) = 1, e la prima riga di A none nulla, possiamo allora eliminare le seconda e la terza equazione delsistema. Il sistema e equivalente alla seguente equazione:

x + y + z = 1,

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7. DISCUSSIONE DI SISTEMI LINEARI PARAMETRICI 303

che rappresenta il piano V1 in R3. Le soluzioni si possono rappresentarein funzione di due parametri reali:

V1 :

x = t

y = s

z = 1 − t − s, t, s ∈ R.

(2) Discutere, al variare del parametro reale h, il seguente sistema lineare:{

3x + 3hy + (2 − h)z = 0

(2h + 1)x + (h + 2)y + hz = 1 + h.

Osserviamo che il sistema dato e un sistema di 2 equazioni e 3 inco-gnite. La matrice dei coefficienti e la colonna dei termini noti sono leseguenti:

A =

(

3 3h 2 − h2h + 1 h + 2 h

)

B =

(

01 + h

)

.

Prima di tutto calcoliamo il rango di A al variare di h ∈ R. Osserviamoche ∀h ∈ R risulta 1 ≤ rg(A) ≤ 2. Scegliamo un minore di ordine 2 inA, ad esempio quello determinato dalle colonne A2 e A3:

δ =

3h 2 − hh + 2 h

= 3h2 − (2 − h)(2 + h) = 4(h2 − 1).

Osserviamo che risulta:

δ = 0 ⇐⇒ h = −1 o h = +1.

Possiamo quindi affermare che:∀h ∈ R, con h 6= −1 e h 6= +1, rg(A) = 2. Consideriamo ora la matrice

completa del sistema A = (A|B); essendo una matrice di ordine 2× 4,

si ha rg(A) ≤ 2, per ogni h ∈ R. Possiamo concludere che, ∀h ∈ R,con h 6= −1 e h 6= +1 si ha:

rg(A) = rg(A) = 2.

Per il Teorema di Rouche-Capelli, il sistema ammette soluzioni e l’in-sieme delle soluzioni Vh e una varieta lineare di dimensione 3 − 2 = 1in R3, quindi e una retta in R3, che non passa per l’origine.

Esaminiamo ora, caso per caso, i valori del parametro rimasti.Sia h = −1: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo

A =

(

3 −3 3−1 1 −1

)

B =

(

00

)

.

Osserviamo che il sistema e omogeneo, quindi ammette sempre solu-zioni. Poiche risulta A1 = −3A2, possiamo concludere che rg(A) = 1.L’insieme delle soluzioni e quindi un sottospazio V0 di R3 di dimensione3 − 1 = 2, ed e quindi un piano di R3 passante per l’origine.

Sia ora h = +1: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo

A =

(

3 3 13 3 1

)

B =

(

02

)

.

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304 5. SISTEMI LINEARI

Osserviamo che Span(A1, A2, A3) = Span(A3), per cui rg(A) = 1.

Indichiamo con A = (A|B) la matrice completa del sistema, poiche

B 6∈ Span(A3), risulta rg(A) = 2. Quindi abbiamo:

rg(A) 6= rg(A).

Pertanto, per il teorema di Rouche-Capelli, il sistema non ammettesoluzioni per h = +1.

(3) Discutere, al variare del parametro reale h, il seguente sistema lineare:

x + 2y − 5z = h

3x − y + hz = 0

2x + 3y − 3z = 0

x − y − 2z = 0.

Osserviamo che il sistema dato e un sistema di 4 equazioni e 3 inco-gnite. La matrice dei coefficienti e la colonna dei termini noti sono leseguenti:

A =

1 2 −13 −1 h2 h −33 −1 −2

B =

h000

.

Notiamo che la matrice completa del sistema A = (A|B) e quadrata di

ordine 4. Osserviamo che se |A| 6= 0, allora risulta rg(A) = 4 6= rg(A),poiche rg(A) ≤ 3, essendo A ∈ MR(4, 3). Quindi una condizionenecessaria affinche il sistema sia risolubile e che il parametro h verifichil’equazione

|A| = 0.

Cominciamo allora calcolando il determinante della matrice completa,sviluppando sulla quarta colonna:

|A| =

1 2 −1 h3 −1 h 02 h −3 03 −1 −2 0

= −h

3 −1 h2 h −33 −1 −2

,

ora, nel determinante della matrice 3 × 3 precedente, sostituiamo alposto della prima riga la differenza tra la prima e la terza riga:

|A| = −h

0 0 h + 22 h −33 −1 −2

= −h(h + 2)(−2 − 3h) = h(h + 2)(2 + 3h).

Osserviamo che risulta:

|A| = 0 ⇐⇒ h = 0 ∨ h = −2 ∨ h = −2

3.

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7. DISCUSSIONE DI SISTEMI LINEARI PARAMETRICI 305

Possiamo quindi affermare che:

∀h ∈ R, con h 6= 0, h 6= −2 e h 6= −2

3, risulta rg(A) = 4 6= rg(A).

Per il Teorema di Rouche-Capelli, il sistema non ammette soluzioni.Esaminiamo ora il sistema, caso per caso, per i valori del parametro

rimasti.Sia h = 0: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo:

A =

1 2 −13 −1 02 0 −33 −1 −2

B =

0000

.

Il sistema e omogeneo, quindi ammette sempre soluzioni. Calcoliamoil rango di A. Osserviamo che rg(A) ≥ 2, infatti le colonne A1 e A2

sono linearmente indipendenti. Consideriamo ora il minore di ordine3 dato dalle righe A2, A3 e A4:

∆ =

3 −1 02 0 −33 −1 −2

=

0 0 22 0 −33 −1 −2

= 2

2 03 −1

= −4,

dove abbiamo sostituito la prima riga con la differenza tra la prima ela terza riga, poi abbiamo sviluppato il determinante sulla prima riga.Poiche ∆ 6= 0, possiamo concludere che rg(A) = 3; pertanto, tutte lecolonne A1, A2 e A3 sono linearmente indipendenti; in conclusione, perh = 0, il sistema ammette solo la soluzione banale: x = y = z = 0.Sia h = −2: sostituiamo questo valore nel sistema, abbiamo:

A =

1 2 −13 −1 −22 −2 −33 −1 −2

B =

−2000

.

Osserviamo che la seconda e la quarta equazione del sistema coinci-dono. Quindi possiamo eliminare quest’ultima e ottenere un sistemalineare equivalente a quello dato con 3 equazioni e 3 incognite. Studia-mo allora quest’ultimo sistema. La matrice dei coefficienti e il vettorecolonna dei termini noti sono i seguenti:

A′ =

1 2 −13 −1 −22 −2 −3

B′ =

−200

.

Poiche la matrice A′ e quadrata, calcoliamo il suo determinante. Ab-biamo:

|A′| =

1 2 −13 −1 −22 −2 −3

=

0 0 −11 −5 −2−1 −8 −3

= −1

1 −5−1 −8

= 13,

dove abbiamo sostituito al posto della colonna A′1 la somma A′1+A′3 eal posto della colonna A′2 la combinazione lineare A′2 + 2A′3,e, infine,

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306 5. SISTEMI LINEARI

abbiamo sviluppato il determinante sulla prima riga. Poiche risulta|A′| 6= 0, il sistema e un sistema quadrato non singolare e quindi,concludendo, per h = −2, ammette un’unica soluzione.Sia infine h = −2

3 , sostituiamo questo valore nel sistema, abbiamo:

A =

1 2 −13 −1 −2

32 −2

3 −33 −1 −2

B =

−23

000

.

Calcoliamo il rango di A′. Consideriamo la sottomatrice quadrata diordine 3 formata dalle righe A1, A2, e A3:

∆ =

1 2 −13 −1 −2

32 −2

3 −3

=

1 2 −10 −7 7

30 −14

3 −1

=

−7 73

−143 −1

=161

9,

dove abbiamo sostituito al posto della riga A2 la combinazione lineareA2 − 3A1 e al posto della riga A3 la combinazione lineare A3 − 2A1,infine abbiamo sviluppato il determinante sulla prima colonna. Poicherisulta ∆ 6= 0, risulta rg(A) = 3. Essendo, per ipotesi, rg(A) ≤ 3

(det(A) = 0) per h = −23 , possiamo concludere che si ha:

rg(A) = rg(A) = 3.

Per il Teorema di Rouche-Capelli, il sistema ammette soluzioni e l’in-sieme delle soluzioni e una varieta lineare di R3 di dimensione 3−3 = 0,cioe il sistema amette un’unica soluzione.

(4) Discutere, al variare dei parametro reale h, k, il seguente sistema lineare:

(h + 1)x + hy − z = k

x − y + (h + 2)z = k + 1

2x − 2y + (h + 1)z = −2k

Si tratta di un sistema di 3 equazioni in 3 incognite, le cui matrici deicoefficienti e dei termini noti sono, rispettivamente:

(5.7) A =

(h + 1) h −11 −1 h + 22 −2 h + 1

B =

kk + 1−2k .

Cominciamo a calcolare il determinante di A:

|A| =

(h + 1) h −11 −1 h + 22 −2 h + 1

= 2h2 + 7h + 3 ,

che si annulla per h = − 12 ed h = −3.

Quindi, per h 6= − 12 ,−3, il rango di A e massimo, ossia rg(A) = 3;

siccome la matrice completa (A|B) e di ordine 3 × 4, il suo rango non puosuperare 3, qualunque sia il valore di k; per il teorema di Rouche-Capelli, il

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7. DISCUSSIONE DI SISTEMI LINEARI PARAMETRICI 307

sistema ammette soluzione, e questa e unica, poiche il rango di A coincidecon il numero di incognite. Riassumendo,

∀k ∈ R h 6= −1

2,−3 =⇒ il sistema ammette una sola soluzione.

Vediamo ora cosa succede per i valori di h particolari; per h = − 12 la

matrice dei coefficienti diventa

A(h = −1

2) =

12 − 1

2 −11 −1 3

22 −2 1

2 .

Essendo A2 = −A1, e poiche il minore formato scegliendo le prime due righee le ultime due colonne ha determinante

− 12 −1

−1 32

= −3

4− 1 = −7

46= 0 ,

si ha sicuramente rg(A) = 2. Consideriamo la matrice completa (A|B), ecalcoliamo il determinante con le ultime tre colonne:

det(A2|A3|B) =

− 12 −1 k

−1 32 k + 1

−2 12 −2k

=33

4k +

9

4.

Ora, se k 6= − 311 , il minore corrispondente non e nullo, e questo basta per

concludere che rg(A|B) = 3 > rg(A). In altre parole, per h = − 12 e k 6= − 3

11

il sistema non ammette soluzioni. Cosa succede se k = − 311? Anzitutto,

osserviamo che det(A1|A2|B) = 0 per tutti i valori di k (due colonne uguali);che det(A1|A3|B) = −det(A2|A3|B), quindi se il secondo determinante enullo, lo e anche il primo. Cioe, se k = − 3

11 tutti i minori di ordine 3 sononulli, quindi rg(A|B) = 2, ed il sistema e risolubile; inoltre, la soluzione hadimensione 3 − rg(A) = 3 − 2 = 1, ossia e una retta (che non passa mai perl’origine: per nessun valore di k si ha B = 03).

Resta da esaminare il caso h = −3; in corrispondenza, la matrice deicoefficienti diventa

−2 −3 −11 −1 −12 −2 −2 .

Stavolta, A3 = 2A2, cioe la terza riga e il doppio della seconda: il rango none massimo; prendendo la sottomatrice estraendo le prime due righe e le primedue colonne, si ha subito un minore non nullo:

−2 −31 −1

= 2 + 3 = 5 ,

percio rg(A) = 2.Consideriamo la matrice completa, e calcoliamo, il determinante con le

prime due colonne e l’ultima:

det(A1|A2|B) =

−2 −3 k1 −1 1 + k2 −2 −2k

= −20k − 10 .

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308 5. SISTEMI LINEARI

Ragionando come sopra, se k 6= − 12 il sistema non ammette soluzione,

perche rg(A|B) = 3 > rg(A) = 2. Inoltre, se k = − 12 la matrice completa

diventa

−2 −3 −1 − 12

1 −1 −1 12

2 −2 −2 1 .

Si vede subito che la terza riga e ancora il doppio della seconda, quindi

rg(A|B) = 2 = rg(A), ed il sistema ammette soluzioni; la varieta lineare

soluzione ha dimensione 1 (come prima, si tratta di una retta non passante

per l’origine).

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8. SISTEMI A SCALA E LORO APPLICAZIONI 309

APPENDICE

8. Sistemi a scala e loro applicazioni

Come abbiamo accennato in precedenza alla fine della Sezione 6, possiamogeneralizzare il metodo di riduzione di Gauss per risolvere i sistemi quadra-ti, estendendolo a sistemi rettangolari generici, e, anche, usare questo metodogenerale per ottenere altri risultati, come la determinazione del rango di unamatrice generica.

Per fare tutto questo, e necessario ridurre il sistema ad uno equivalente adesso, attraverso passaggi simili a quelli visti per la riduzione di Gauss; arrive-remo alla fine ad una matrice che presenta una struttura cosiddetta “a scala”,che formalizziamo qui di seguito.

Definizione 5.10. Una matrice S reale di ordine k×n viene detta a scalase

• in ogni riga Si, con i = 1 . . . r, le entrate sono nulle fino ad una deter-minata posizione, nella quale si trova un elemento detto pivot pi nonnullo (eventualmente, il pivot puo essere il primo elemento);

• passando alla riga successiva, il pivot si trova in corrispondenza di unacolonna successiva rispetto alla precedente

• solo le prime r righe sono diverse dal vettore nullo, con r ≤ k, ossia,se r < k, le righe dalla (r + 1)−esima alla fine sono tutte nulle:

Si = 0n i = r + 1, . . . k, r ≤ k.

Compatibilmente con la definizione, una matrice a scala puo avere tutte lerighe diverse dal vettore nullo, o anche tutte coincidenti con il vettore nullo.Quest’ultima affermazione si sintetizza dicendo che la matrice nulla Ok×n e unamatrice a scala con 0 pivot. In altre parole, la struttura di una matrice a scalaS con r pivot e la seguente

(5.8) B =

0 . . . 0 p1 ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗0 . . . 0 . . . . . . 0 p2 ∗ ∗ ∗ ∗ ∗0 . . . 0 . . . . . . . . . . . . 0 p3 ∗ ∗ ∗0 . . .

...... ∗ ...

0 . . .... 0 pr

...0 . . . 0 . . . 0

0 . . ....

...0 . . . 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

dove gli asterischi ∗ indicano un qualunque valore (anche nullo) e tutti i pivotp1, . . . pr sono non nulli.

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310 5. SISTEMI LINEARI

Esempio 5.17. Sono matrici a scala:

S =

0 3 0 1 2 −1 50 0 0 0 3 1 00 0 0 0 0 2 20 0 0 0 0 0 0

M =

2 1 0 1 40 −4 1 2 30 0 0 −1 10 0 0 0 2

,

di cui S ha 3 pivot, e M ha 4 pivot (evidenziati in rosso).

Qual vantaggio presenta una matrice a scala per determinarne le sue carat-teristiche? La determinazione del suo rango risulta molto facile. Infatti, vale laseguente

Proprieta 5.10. Il rango di una matrice a scala S coincide con il numeror dei pivot della matrice a scala.

Dimostrazione. Risulta facile convincersi che lo spazio generato dalle co-lonne di una matrice a scala di ordine k × n con r pivot (r ≤ k) e generato daiseguenti r vettori colonna:

(5.9) u1 =

10...00...0

, u2 =

01...00...0

, . . .ur =

00...10...0

costruiti in modo che uj = ej , con j = 1, . . . r e gli ej che coincidono con i

primi r vettori della base canonica di Rk.Infatti, se r = k, l’affermazione e ovvia; altrimenti, solo le prime r righe

possono essere diverse dal vettore nullo, quindi ogni vettore colonna della ma-trice ha nulle le entrate dalla (r + 1)−esima alla n−esima; i vettori er+1, . . .en

sono da escludere per generare Span(A1, . . . An).Poiche i vettori della base canonica sono linearmente indipendenti, togliendo

alcuni vettori si ottiene comunque una lista di vettori linearmente indipendenti(Osservazione 2.27).

Quindi, i vettori elencati in 5.9 sono una base di Span(A1, . . . An), e la suadimensione e, pertanto, r. �

Osserviamo a questo punto che le operazioni che abbiamo eseguito per unariduzione di Gauss su una matrice o un sistema quadrati possono essere eseguiteanche su una matrice (o un sistema) rettangolare, e queste operazioni noncambiano il rango (o l’insieme delle soluzioni di un sistema). Vale quindi laseguente

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8. SISTEMI A SCALA E LORO APPLICAZIONI 311

Proposizione 5.11. Sia A ∈ MR(k, n) una matrice reale di ordine k × n,e sia B ∈ Rk un vettore colonna; sia inoltre S il sistema di k equazioni in nincognite la cui matrice dei coefficienti e A ed il vettore di termini noti B, ossiaA X = B.

(1) Scambiando tra loro due righe della matrice A (o due righe del sistemaS) il rango di A (o, rispettivamente, l’insieme delle soluzioni di S) noncambia.

(2) Aggiungendo ad una riga di A (di S) una combinazione lineare dellealtre righe, il rango di A (l’insieme delle soluzioni di S) non cambia.

Quindi, per determinare il rango di una matrice A possiamo procedere attra-verso una sequenza di passaggi compatibili con le operazioni consentite dallaProposizione 5.11, ed ottenere una matrice a scala; il numero r di pivot dellamatrice coincide con rg A in base alla Proprieta 5.10. Sintetizziamo di seguitoil metodo da seguire.

Algoritmo 5.12 (Determinazione del rango mediante riduzione a scala).Partiamo da una matrice A di ordine k × n. Ad ogni passo, occorre procederein modo che fino ad una certa riga, a partire dalla prima e via via a scendere, lastruttura della matrice equivalente che viene trovata sia quella di una matricea scala. In dettaglio, operiamo cosı.

• Passo 1a: si parte dalla prima riga. Se il primo elemento e nullo, sicontrolla se in una delle righe successive il primo elemento e diversoda 0; se cio avviene, si scambia questa riga con la prima. Altrimenti,si ripete il controllo sul secondo elemento, e cosı via.Al termine del processo, la prima riga e tutte quelle sotto di essa(ossia, tutte le altre), hanno entrate nulle fino ad una certa colonna:sulla prima riga, questa corrispondera alla colonna j1 del primo pivotdella matrice a scala equivalente che si vuole ottenere.

• Passo 1b: a questo punto, a tutte le righe successive alla prima, sisottrae una riga proporzionale alla prima, in modo che sulla colonnaj1 del primo pivot si ottenga un’entrata nulla. Al termine, tutte leentrate della colonna j1 sono nulle al di sotto del pivot.

• Passo 2a: si ripete il passo 1a, solo che si parte dalla seconda riga, e sicerca un elemento non nullo a partire dalla posizione j1 +1, ossia dallacolonna successiva a quella in cui si trova il primo pivot. Si terminacon un pivot sulla seconda riga posizionato in corrispondenza dellacolonna j2 > j1.

• Passo 2b: a questo punto a tutte le righe successive alla seconda sisottrae una riga proporzionale ad essa, in modo che sulla colonna j2

del secondo pivot si ottenga un’entrata nulla.• Si ripetono i passi a ed b sulla terza riga, ecc., con l’accorgimento che,

di volta in volta, la ricerca del pivot avviene su una colonna successivaa quella del passo precedente.

• L’algoritmo termina se non ci sono piu righe su cui lavorare, o se lerighe sono tutte nulle a partire da un certo indice di riga.

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312 5. SISTEMI LINEARI

Al termine, la struttura della matrice equivalente ottenuta e gia a scala, e quindisi determina facilmente il rango.

L’algoritmo risulta di facile applicazione se la matrice e numerica; se inveceessa contiene uno o piu parametri reali, non sempre il metodo risulta efficace,perche nei vari passaggi occorre tenere traccia dei possibili valori dei parame-tri che rendono non valida o difficile l’operazione; per esempio, alcuni valoridei parametri potranno fare annullare un’entrata, e, quindi, questa non potracorrispondere ad un pivot in quel caso. Analoghe considerazioni valgono per isistemi parametrici.

Per questo, lo studio del rango di una matrice o di un sistema parametricisi conduce piu agevolmente come indicato negli esempi riportati nella Sezione7.

Con modalita analoga, ridurremo il sistema AX = B ad un sistema SX =B′ a scala, ossia un sistema in cui la matrice dei coefficienti S e a scala,equivalente a quello di partenza.

Fatto questo, le colonne dei pivot individuano le r variabili dipendenti, men-tre le rimanenti n−r quelle libere, ossia quelle che costituiranno parametri liberinell’espressione generale della soluzione.

Il sistema viene riscritto eliminando le righe nulle, e spostando i termini inmodo che quelli con le variabili libere siano collocati nella colonna dei termininoti, e si otterra cosı un sistema quadrato, anzi triangolare per le r variabilidipendenti, che e determinato univocamente perche sulla diagonale della ma-trice triangolare dei coefficienti si vengono a trovare gli r pivot della matrice,per costruzione non nulli.

Risolvendo all’indietro, si otterra l’espressione generale della soluzione delsistema in esame.

Esempio 5.18. Vediamo alcuni esempi che ci consentono di avere piu chia-ramente la visione della struttura con la quale opereremo.

(1) Risolviamo il sistema

{

x + y − z = 1

x − y − 3z = 5

(Osserviamo che il sistema individua l’intersezione di due piani in E3O,

non paralleli; la sua soluzione sara pertanto una retta in E3O).

La matrice dei coefficienti del sistema e:

A =

(

1 1 −11 −1 −3

)

;

come abbiamo fatto per la riduzione di Gauss di sistemi quadrati,possiamo procedere sinteticamente operando sulla matrice completadel sistema; questa e:

(

1 1 −1 11 −1 −3 5

)

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8. SISTEMI A SCALA E LORO APPLICAZIONI 313

La prima riga e a posto: il suo primo elemento sara il primo pivot;possiamo sottrarre alla seconda riga la prima, ed otteniamo

(

1 1 −1 10 −2 −2 4

)

A questo punto, le prime due colonne contengono i pivot (in rosso),e, quindi, la terza colonna (in blu) individua la variabile libera, z. Ilsistema triangolare che otteniamo e

{

x + y = z + 1

−2y = 4 + 2zz ∈ R

che si risolve facilmente all’indietro.{

y = −z − 2

x − z − 2 = z + 1=⇒

{

x = 2z + 3

y = −z − 2z ∈ R .

La soluzione del sistema puo essere scritta in una forma particolarmen-te efficace per individuarne esplicitamente la struttura; se esplicitiamocon un’identita il fatto che z e libera

x = 2z + 3

y = −z − 2

z = z

risulta immediato scrivere la soluzione in forma compatta vettoriale:

xyz

= z

2−11

+

3−20

z ∈ R .

Confrontando questa scrittura con la struttura generale della soluzione(5.5), identifichiamo subito la soluzione particolare del sistema

X0 =

3−20

ed il nucleo della applicazione associata alla matrice A

KerLA =

v =

xyz

∈ R3 |v = α

2−11

, α ∈ R

.

In altre parole,

KerLA = Span

2−11

,

o, anche: una base del nucleo e data dai vettori che sono moltiplicatiper le variabili libere. In questo caso,

BKerLA=

2−11

.

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314 5. SISTEMI LINEARI

(2) Risolviamo il sistema

x + y − 2z + 2t + w = 1

2x + y + w = 2

x + 2y − 6z + w = 1

La matrice dei coefficienti del sistema e:

A =

1 1 −2 2 12 1 0 0 11 2 −6 0 1

.

Come prima, procediamo direttamente con la matrice completa:

1 1 −2 2 1 12 1 0 0 1 21 2 −6 0 1 1

;

la prima riga ha un termine non nullo in prima posizione: possiamotenerla, e sottrarre alla seconda la prima moltiplicata per il fattore 2,ed alla terza riga sottriaiamo la prima:

1 1 −2 2 1 10 −1 4 −4 −1 00 1 −4 −2 0 0

;

a questo punto la seocnda riga presenta un pivot in seconda posizione.Dobbiamo arrivare cancellare i termini su quella colonna nelle righedopo, ossia nella terza; basta sommare alla terza riga la seconda:

1 1 −2 2 1 10 −1 4 −4 −1 00 0 0 −6 −1 0

(come sopra, i pivot sono evidenziati in rosso, le colonne delle variabililibere in blu). Otteniamo quindi il sistema triangolare con i parametriz, w liberi:

x +y + 2t = 1 + 2z −w

−y − 4t = − 4z +w

− 6t = +w

z, w ∈ R ,

che risolto, da:

xyztw

=

10000

+ z

−24100

+ w

−1/3−1/3

0−1/6

1

z, w ∈ R .

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8. SISTEMI A SCALA E LORO APPLICAZIONI 315

Pertanto, il nucleo della matrice A risulta essere:

KerLA = Span

−24100

,

−1/3−1/3

0−1/6

1

.

o, anche, equivalentemente, la base del nucleo e:

BKerLA=

2−4−100

,

2201−6

.

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CAPITOLO 6

Autovalori e diagonalizzazione

1. Introduzione ed esempi

Nel precedente Capitolo 4 abbiamo visto cosa si intende per applicazionelineare, e ne abbiamo studiato diversi esempi; in particolare, risultano interes-santi gli operatori lineari di uno spazio vettoriale in se, e ora ci focalizzeremoquindi su questo caso.

In generale, un operatore trasforma un vettore in un vettore; risulta utilechiedersi se e quando il vettore trasformato non cambia direzione. Per quantoastratta questa idea possa apparire, in realta in molti problemi saper affrontarequesta questione e utile dal punto di vista teorico e/o pratico.

Per esempio, nella meccanica dei continui, si puo descrivere lo stato di stress(sforzo) cui e sottoposto un corpo mediante un’applicazione lineare che, fissatauna porzione di superficie infinitesima, da lo sforzo interno f (vettore!) agentesulla superficie come il risultato di un operatore lineare T che agisce sul versoren, perpendicolare alla superficie stessa:

f = T (n) ;

tranne situazioni particolari, f ed n non hanno la stessa direzione. Si riesce amostrare, pero, che lo sforzo e massimo per quegli orientamenti della superficiein corrispondenza dei quali f ∈ Span(n), cioe, esiste λ ∈ R tale che f = λn.Risulta, pertanto importante stabilire se esistono e quali siano le direzioni n

che soddisfano tale condizione.Anche senza scomodare esempi cosı articolati, possiamo porci il problema

dal punto di vista geometrico. Vediamo qualche esempio.

Esempio 6.1. Prendiamo l’operatore lineare L1 di E2O corrispondente ad

una rotazione di un angolo π/4 in senso antiorario nel piano; l’operatore puoessere definito dando l’immagine dei vettori della base canonica:

L1(ı) =

√2

2(ı + )(6.1a)

L1() =

√2

2(−ı + )(6.1b)

Ci chiediamo se vi sono dei vettori che non cambiano direzione. Per farequesto, passiamo alla rappresentazione stessa dei vettori sulla base canonicaB0; un vettore u di E2

O sara rappresentato da

[u]B0=

(

xy

)

,

317

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318 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

ı

r

L1(ı)L1()

L1(r)

O

x

y

Figura 6.1. I vettori ı e vengono ruotati di un angolo π/4in senso antiorario dall’operatore lineare L1; ongi retta r pas-sante per l’origine viene ruotata di π/4, e nessuna direzione re-sta invariata. Solo l’origine O rimane invariata (come per ogniapplicazione lineare, L1(0) = 0).

e le equazioni per le coordinate dell’immagine di un generico vettore saranno

(6.2)

(

x′

y′

)

=

√2

2

(

1 −11 1

)(

xy

)

,

avendo esplicitato la rappresentazione di L1 usando le equazioni 6.1. Ricordia-mo che cerchiamo vettori che non cambiano direzione, cioe vettori immagine chesono nel sottospazio generato dal vettore di partenza. Quindi vogliamo saperese, per qualche valore di λ ∈ R si ha:

(

x′

y′

)

= λ

(

xy

)

λ ∈ R ,

vale a dire se riusciamo a trovare qualche soluzione del sistema

(6.3)

{√2

2 (x − y) = λx√2

2 (x + y) = λy

ottenuto esplicitando la (6.2).Il sistema (6.3) ha una soluzione banale: x = y = 0 risolve il sistema per

qualunque λ, ma questo e sempre vero: per ogni operatore lineare L in Rn, siha L(0) = 0 = λ0. Nel caso sopra, pero, se λ = 0, allora solo x = y = 0 risolveil sistema. Ci sono altre soluzioni quando λ 6= 0? Sommando e sottraendomembro a membro otteniamo:

(6.4)

{√2x = λ(x + y)√2y = λ(y − x)

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1. INTRODUZIONE ED ESEMPI 319

ossia, riusando le (6.3)

(6.5)

{

x = λ2y

y = −λ2x .

Quindi, ricavando y dalla seconda e sostituendolo nella prima

x = −λ4x ,

che ci dice x = 0, poiche λ 6= 0 (se fosse x 6= 0, semplificando x si nota cheservirebbe un valore di λ tale che 1 = −λ4, ma non c’e perche λ4 ≥ 0...), e,quindi, y = 0. Esiste solo la soluzione banale, che non ci da molta informazione(vale per ogni operatore lineare....).

Vediamo ora un altro esempio, in cui riusciremo invece a risolvere il nostroproblema.

Esempio 6.2. Consideriamo l’operatore L2 di E2O corrispondente ad una

simmetria rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante; esso risultadefinito dalle immagini dei vettrori della base canonica:

L2(ı) = (6.6a)

L2() = ı(6.6b)

Passando, come sopra alle rappresentazioni dei vettori di E2O, ed impostando

il sistema corripondente come nell’esempio precedente, otteniamo:

(6.7)

{

y = λx

x = λy;

sostituendo y dalla prima nella seconda equazione, otteniamo

x = λ2x .

Ora, questa presenta la solita soluzione banale x = y = 0 per ogni valore di λ.Ma e anche soddisfatta per ogni x se λ2 = 1, ossia se λ = ±1.

Per λ = 1, sostituendo nella (6.7) otteniamo:

(6.8)

{

y = x

x = y,

che e risolta da ogni vettore del tipo(

xy

)

= α

(

11

)

con qualunque valore di α ∈ R.Analogamente, per λ = −1, sostituendo nella (6.7) otteniamo:

(6.9)

{

y = −x

x = −y,

che e risolta da ogni vettore del tipo(

xy

)

= β

(

1−1

)

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320 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

ı = L2()

= L2(ı)

v=

L 2(v

)

u

L2(u) = −u

w

L2(w)

Span

(ı+

)Span(ı−

)

O

x

y

Figura 6.2. I vettori ı e vengono trasformati nei loro simme-trici rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrande me-diante l’operatore L2. Le rette y = ±x rimangono invaria-te; un vettore v ∈ Span(ı + ) rimane inalterato: L2(v) = v.Un vettore u ∈ Span(ı − ) viene trasformato nel suo opposto:L2(u) = −u ∈ Span(ı − ).

con qualunque valore di β ∈ R. Vi sono quindi due rette nel piano E2O (y = ±x)

che corrispondono a direzioni lasciate invariate da L.

Esempio 6.3. Consideriamo ora un’applicazione lineare L3 : E2O → E2

Odefinita sulla base canonica dalla matrice

(6.10) A3 =

(

1 22 1

)

,

ossia, per ogni vettore v =

(

xy

)

∈ E2O

(6.11) L3(v) = A3

(

xy

)

= x

(

12

)

+ y

(

21

)

.

Si verifica immediatamente che, anche in questo caso i vettori

u1 =

(

11

)

e u2 =

(

1−1

)

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1. INTRODUZIONE ED ESEMPI 321

hanno l’immagine nel sottospazio generato da ciascuno, rispettivamente. Infatti(Fig. 6.3):

L3(u1) =

(

1 22 1

)(

11

)

=

(

33

)

= 3

(

11

)

= 3u1

e

L3(u2) =

(

1 22 1

)(

1−1

)

=

(

−11

)

= −1

(

1−1

)

= −u2.

v

L3(v)

CL3(C)

O

x

y

Figura 6.3. L’applicazione lineare L3 : E2O → E2

O definita dallamatrice dell’Eq. (6.10) lascia invariate le direzioni delle bisettricidei quadranti y = ±x. Un insieme di vettori corrispondentiai punti della figura C viene trasformato dall’applicazione nellafigura L3(C).

La Figura 6.3 suggerisce che se usiamo un diverso sistema di riferimento, incui i nuovi assi coincidano con le bisettrici dei quadranti, l’espressione dell’ap-plicazione potrebbe essere molto piu semplice. In effetti, in questi nuovi assi,le direzioni dei versori associati agli assi restano invariate. Il cambio di base esemplice, e richiede che

ı′ =

√2

2(ı + )(6.12a)

′ =

√2

2(−ı + ) .(6.12b)

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322 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Se scriviamo esplicitamente come agisce L3 sulla nuova base, otteniamo

L3(ı′) = L3(

√2

2(ı + )) = A3

√2

2

(

11

)

=

√2

23

(

11

)

= 3ı′(6.13a)

L3(′) = L3(

√2

2(−ı + )) = A3

√2

2

(

−11

)

=

√2

2(−1)

(

−11

)

= −′ .(6.13b)

Osserviamo subito che le direzioni di ı′ e ′ rimangono invariate (anche se nonsempre i vettori mantengono lo stesso orientamento: ′ viene “ribaltato”); inol-tre, nela primo caso cambia anche il modulo del vettore (viene triplicato, inquesto caso); la matrice A′

3 che rappresenta L3 in questa nuova base e, quindi

(6.14) A′3 =

(

3 00 −1

)

.

Non vi sono altre direzioni invariate (verificare l’asserto, procedendo come negliesempi 6.1 e 6.2). Alternativamente, A′

3 si puo ottenere tramite la matrice delcambio di base N come A′

3 = N−1 A N ; le colonne della matrice del cambiodi base N sono le rappresentazioni dei vettori della nuova base {ı′, ′} nellavecchia base (canonica):

(6.15) N =

√2

2

(

1 −11 1

)

.

Viene lasciato allo studente il compito di verificare i calcoli.Siamo ora in possesso di due descrizioni della stessa applicazione lineare L3

in basi differenti, ed una di queste e molto piu semplice. Se prendiamo l’insiemeC usato nella Figura 6.3, possiamo osservare di questo; si veda la Figura 6.4 alriguardo. L’individuazione delle direzioni inalterate nella trasformazione risultamolto piu facile usando il riferimento (x′, y′), ossia la nuova base, e, conseguen-temente, la descrizione dell’effetto dell’applicazione. Nell’esempio, si ha un ri-baltamento nella direzione y′ ed un allungamento di un fattore 3 nella direzionex′.

L’esempio 6.3 ci convince che conviene sapere risolvere anche il seguenteproblema: esiste una base diversa da quella che sto usando in cui la matrice dirappresentazione del mio operatore e diagonale?

Quando aumentano le dimensioni, il problema si fa un po’ piu arduo;vediamo un caso in E3

O.

Esempio 6.4. Consideriamo l’operatore LM di R3 associato nella base ca-nonica B0 alla seguente matrice

(6.16) M =

0 −√

22

√2

2√2

212

12

−√

22

12

12

.

Verifichiamo che il vettore

(6.17) X := [v]B0=

011

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1. INTRODUZIONE ED ESEMPI 323

C

L3(C)v

L3(v)

O

x′

y′

x

y

Figura 6.4. L’applicazione lineare L3 : E2O → E2

O e rappresen-tata dalla matrice dell’Eq. (6.14) nella base B′ = {ı′, ′} definitain 6.13 lascia invariate le direzioni degli assi coordinati x′ e y′.L’immagine di ogni vettore L3(v) si ottiene rappresentando v

sulla nuova base con X ′ = [v]B′ e calcolando A′ X ′. L’immaginedell’insieme C e equivalente a quella descritta ottenuta mediantela matrice A3 che rappresenta L3 nella base canonica (Figu-ra 6.3).

rimane invariato sotto l’azione di LM .

M X =

0 −√

22

√2

2√2

212

12

−√

22

12

12

011

= 0

0√2

2

−√

22

+ 1

−√

22

1212

+ 1

√2

21212

=

−√

22 +

√2

212 + 1

212 + 1

2

=

011

.

(6.18)

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324 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Quindi LM (v) = λv con λ = 1.Inoltre, non vi sono altre direzioni che rimangono invariate. Per convincersi

del risultato, e necessario affrontare il problema come fatto negli esempi sopra,e studiare esplicitamente il sistema

MX = λX .

Osserviamo che, per arrivare a trovare il vettore v proposto nella (6.17)aiuta sapere per quale λ effettuare la ricerca: quando λ = 1, il sistema diventa

(6.19)

−√

22 y +

√2

2 z = x√2

2 x + 12y + 1

2z = y

−√

22 x + 1

2y + 12z = z

.

Sottraendo membro a membro le ultime due equazioni, abbiamo√

2x = y − z

cioe

x =

√2

2(y − z)

e la prima puo essere scritta come

−√

2

2(y − z) = x .

Quindi, x = −x, e allora x = 0 e y = z.Senza sapere con quale valore di λ operare, diventa tutto piu complicato.

Lo studente e invitato a provare a effettuare i calcoli relativi per convincersidelle complicazioni dei calcoli.

Ci serve, pertanto, un metodo sistematico per affrontare il problema.

2. Autovalori ed autovettori: definizioni

Gli esempi che abbiamo fatto nella Sezione 1 giustificano le definizioni chestiamo per dare e le conseguenti tecniche di calcolo.

Definizione 6.1. Sia V uno spazio vettoriale sul campo dei numeri reali R

di dimensione n; sia L : V → V un operatore lineare. Diciamo che un vettorev ∈ V e un’autovettore di L relativo all’autovalore λ se esiste λ ∈ R tale che

(6.20) L(v) = λv ,

con v 6= 0VConviene avere un termine per indicare l’insieme di tutti gli autovalori di unoperatore L: viene detto spettro di L l’insieme di tutti i possibili autovalori,ossia

Spec(L) = {λ ∈ R | ∃v ∈ V : L(v) = λv , v 6= 0V} .

Alla luce della definizione data, possiamo rileggere gli esempi studiati inprecedenza:

• nell’esempio 6.1 non esistono autovettori;

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2. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI: DEFINIZIONI 325

• nell’esempio 6.2 abbiamo trovato un autovalore λ1 = 1 con relativo

autovettore, rappresentato nella base canonica

(

11

)

e l’autovalore λ2 =

−1, con relativo autovettore rappresentato da

(

1−1

)

;

• nell’esempio 6.3 la matrice A′3 che rappresenta la L3 sulla nuova base

e diagonale; la determinazione di autovalori ed autovettori e partico-larmente semplice, ed otteniamo λ1 = 2 con autovettore ı e λ2 = −1,con autovettore ;

• infine, nell’esempio 6.4 abbiamo trovato solo l’autovalore λ = 1 e

relativo autovettore rappresentato da

011

Quando abbiamo un’operatore L sullo spazio vettoriale V, la ricerca dei suoipossibili autovalori ed i corrispondenti autovettori, come abbiamo visto, puoconsentire di semplificare lo studio dell’effetto dell’operatore; questo costituisce,pertanto, un problema “standard”.

Definizione 6.2. Sia V uno spazio vettoriale sul campo dei numeri reali R

di dimensione n; sia L : V → V un operatore lineare.Risolvere il problema agli autovalori per L significa trovare gli eventuali auto-valori e caratterizzarne i corrispondenti autovettori.

Osservazione 6.5. La definizione 6.1 e valida per qualunque operatorelineare, si qualunque spazio vettoriale; in particolare, non si richiede che lo spa-zio sia finitamente generato. Tuttavia, la trattazione nel caso di spazi vettorialidi dimensione infinita esula dagli scopi del corso, e richiede tecniche diverse daquelle che saranno illustrate. Pertanto, d’ora in avanti, intendiamo sempreche la dimensione dello spazio vettoriale sia finita e pari a n.

Se ci limitiamo, quindi, a spazi di dimensione finita, notiamo che sappiamorisolvere problemi agli autovalori (6.2) una volta che passiamo alle rappresen-tazioni dei vettori su una base ed alle equazioni corrispondenti.

Noi lavoreremo quasi sempre negli spazi vettoriali reali di tipo Rn, ma qual-che volta negli spazi vettoriali complessi di tipo Cn. Se consideriamo la rappre-sentazione dei vettori sula base canonica (o su un’altra base) potremo sempreassociare una matrice reale (o complessa) ad un operatore lineare, e parleremoin tal caso degli autovettori (e autovalori) di una matrice. La definizione 6.1data sopra si specializza come segue.

Definizione 6.3 (caso reale). Sia A ∈ MR(n) una matrice quadrata diordine n a entrate reali. Diciamo che un X ∈ Rn e un’autovettore di A relativoall’autovalore λ se esiste λ ∈ R tale che

(6.21) AX = λX ,

con X 6= 0n.Analogamente, chiameremo spettro della matrice A, indicato con Spec(A),

l’insieme degli autovalori di A.

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326 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Osservazione 6.6. Alle condizioni della definizione 6.3, possiamo conside-rare l’operatore lineare LA : Rn → Rn associato alla matrice A in una base Bdello spazio vettoriale reale Rn, ed X = [v]B coincidente con rappresentazionedi un vettore v ∈ Rn nella stessa base. Quando non specificato altrimenti, siintendera che la base usata e quella canonica B0, ed X = v ∈ Rn. In altreparole, possiamo partire direttamente dalla matrice e sottintendere l’operatoread essa associato.

Vediamo un esempio:

Esempio 6.7. Consideriamo la matrice

(6.22) A =

(

0 −11 0

)

Cerchiamo di trovare se ci sono autovalori/autovettori; impostiamo le equazioni:

(6.23)

{

−y = λx

x = λy

Si vede subito sostituendo la prima nella seconda che abbiamo:

(6.24)

{

−y = λx

x = −λ2x.

La seconda equazione del sistema ci da

(6.25) (1 + λ2)x = 0 ,

e, poiche non esiste alcun numero reale che renda 1 + λ2 = 0 (somma di duequantita positive, di cui una strettamente positiva), esiste solo la soluzionebanale x = y = 0.

Niente autovalori!Le cose cambierebbero in campo complesso: si veda a tale proposito l’ap-

pendice al capitolo).

Assodato che le cose possono cambiare se gli scalari sono presi in R o in C,per ora, comunque, lavoreremo in R, finche possiamo.

Come abbiamo visto nell’esempio 6.3, avere una matrice diagonale sempli-fica notevolmente la ricerca degli autovettori e degli autovalori (anzi, la rendebanale); d’altro canto, abbiamo visto nell’esempio 6.7 anche che non semprepossiamo trovare autovettori ed autovalori. Il nostro obiettivo e proprio quellodi arrivare ad avere strumenti per capire quando potremo farlo (e come); in ef-fetti, ci interessa sapere quando possiamo mettere in forma diagonale il nostrooperatore. Cerchiamo, come al solito, di formalizzare la cosa. Cominciamo conun risultato generale semplice, ma importante.

Proposizione 6.1. Sia L : V → V un operatore lineare di uno spazio vet-toriale; sia B una base di V . B e composta di autovettori di V se e solo se lamatrice che rappresenta L nella base B e diagonale.

Dimostrazione. Sia B = {v1, . . .vn} la base, ed A = [L]B la matrice cherappresenta l’operatore nella base. Se i vettori vi sono autovettori, relativi agli

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2. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI: DEFINIZIONI 327

autovalori λi rispettivamente, possiamo dire che la j−esima colonna di A e datada

Aj = [L(vj)]B = λi[(vj)]B =

0...0λj

0...0

,

dove l’unico termine non nullo e proprio λj , nella j−esima riga. Quindi lamatrice A e diagonale

(6.26) A =

λ1 0 0 · · · 00 λ2 0 · · · 0...

. . ....

0. . . 0

0 · · · 0 λn

.

Viceversa, se la matrice e diagonale come nella (6.26), la j-esima colonna di Ae l’immagine del vettore vj della base, rappresentato nella base stessa:

[L(vj)]B = Aj =

0...0λj

0...0

= λi[(vj)]B ,

e, quindi, L(vj) = λvj per l’isomorfismo di rappresentazione, (4.12), cioe vj eun autovettore di L relativo all’autovalore λj .

(Naturalmente, non necessariamente tutti gli autovalori devono essere di-versi, ne e unico l’ordine con il quale gli autovalori sono disposti sulla diagonale,il quale dipende dall’ordine con cui sono messi i vettori della base). �

Le considerazioni fatte sulle matrici simili consentono di esprimere quantodetto in altra maniera:

Corollario 6.2. sia A una matrice quadrata di ordine n, e sia LA l’opera-tore associato ad A (o, viceversa, sia L un operatore ed A la matrice associata).Allora le seguenti affermazioni sono equivalenti:

(1) esiste una base di autovettori per lo spazio dell’operatore;(2) A e simile ad una matrice diagonale;(3) la classe di similitudine di A contiene una matrice diagonale.

Dimostrazione. Ricordiamo che, se esiste una base di autovettori, la ma-trice invertibile N ∈ GL(n, R) di cambio di base trasforma la matrice A nella

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328 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

matrice N−1AN , che e diagonale, quindi A e simile ad una matrice diago-nale. Viceversa, se A e simile ad una matrice diagonale D, esiste una ma-trice invertibile N ∈ GL(n, R) tale che D = N−1AN , quindi la matrice Nrappresenta un cambio di base: le sue colonne sono le rappresentazioni deivettori della nuova base B′ = {v1, . . .vn} in quella di partenza, e questi vet-tori sono autovettori; nella nuova base, infatti Y ′ = DX ′, e se X ′ = [vi]B′ ,Y ′ = [LD(vi)]B′ = di,i[vi]B′ . In altre parole, il vettore [vi]B′ e

0...010...0

con l’unico elemento diverso da 0 nella riga i−esima. [LD(vi)]B′ , quindi, el’i−esima colonna della matrice D: ma questa e diagonale, quindi l’unico ele-mento non nullo e quello nella i−esima riga. Notiamo, quindi, che di,i e l’au-tovalore dell’autovettore vi. Lasciamo lo studente convincersi dell’equivalenzadel secondo punto con il terzo punto. �

Ecco finalmente che possiamo cominciare a tirare le somme, e dare sensoalla seguente definizione:

Definizione 6.4 (Diagonalizzabilita). Un operatore lineare di V (o una ma-trice A quadrata di ordine n, cui e associabile un operatore) e diagonalizzabilese esiste una base dello spazio in cui opera formata da suoi autovettori.

Cioe, se riusciamo ad effettuare un cambio di base in cui la ma-trice di rappresentazione dell’operatore e diagonale; inoltre, sulladiagonale si trovano gli autovalori.

Come possiamo trovare gli autovalori di un operatore L, esplicitamente?Fissiamo una base B e rappresentiamo i vettori dello spazio con la n-upla

X =

x1

x2...

xn

∈ Rn ;

detta A la matrice che rappresenta l’operatore L su B, dobbiamo risolvere ilsistema

(6.27) (A − λIn)X = 0n.

trovando soluzioni diverse dal vettore nullo (che non va bene come autovettore).Sappiamo che il sistema ha soluzioni non banali se e solo se

(6.28) det(A − λIn) = 0 .

Sorge pero un dubbio: le soluzioni che troveremo in generale dipendono dal-la base scelta; chi ci garantisce che, se un certo operatore e rappresentato da

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2. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI: DEFINIZIONI 329

una matrice A nella base B e da una matrice A′ nella base B′, gli autovalorinon dipendono dalla base scelta? Dobbiamo studiare il problema, e convin-cersi che i valori di λ che permettono di soddisfare la 6.28 non dipendonodalla base (in questo modo avremo modo di trovare gli eventuali autovalori,e, corrispondentemente, caratterizzare gli autovettori). Questo viene fatto dalseguente

Teorema 6.3. Sia L : Rn → Rn un operatore lineare. Sia B una base di Rn.Sia A la matrice che rappresenta L sulla base B. Allora, valgono le seguentiaffermazioni.

(1) La funzione pA(λ) usata nell’equazione (6.28)

pA(λ) = det(A − λIn)

non dipende dalla base, e, quindi, e caratteristica dell’operatore L.Inoltre, pA(λ) e un polinomio in λ (detto polinomio caratteristico).

(2) Dire che un certo valore di λ0 e autovalore di A equivale a dire che λ0

e una radice del polinomio caratteristico, ossia:

pA(λ0) = 0 ⇐⇒ λ0 ∈ Spec(A) .

(3) Il polinomio pA(λ) e di grado n. Il termine di grado massimo delpolinomio e (−1)nλn, quello di grado n− 1 e (−1)n−1λn−1 tr(A), ed iltermine noto e det(A).

Dimostrazione. Cominciamo con il primo punto. Intanto, sicuramentequando calcoliamo det(A − λIn), combiniamo le entrate secondo prodotti esomme, quindi otteniamo un polinomio in λ. Il polinomio caratteristico nellabase B e pA(λ) = det(A − λIn). Sia ora A′ la matrice che rappresenta L inuna nuova base B′; deve esistere una matrice di cambio di base N ∈ GL(n, R)invertibile, tale che

A′ = N−1AN .

Calcolando il polinomio caratteristico in questa base, si ottiene

pA′(λ) = det(A′ − λIn) = det(N−1AN − λIn)

= det(N−1AN − λN−1InN) = det(N−1(A − λIn)N)

= det(N−1) det(A − λIn) det(N)

= det(A − λIn) = pA(λ)

(6.29)

dove abbiamo sfruttato il teorema di Binet e le proprieta dell’identita e dell’in-versa per dire che N−1In N = N−1N = In; inoltre,

det(N−1) =1

det(N).

Il polinomio caratteristico, quindi, non dipende dalla base, quindi ha sensodenotarlo pA(λ), indicando la sola matrice (tanto, se rappresentiamo l’opera-tore associato a quella matrice in un’altra base, il polinomio e lo stesso), mapotremmo anche indicarlo con pL(λ), dove L e l’operatore associato ad A.

Per il secondo punto, osserviamo che se pA(λ0) = 0 il rango della matriceA−λ0In e minore di n, quindi il suo nucleo non e banale, quindi esiste un vettore

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330 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

non nullo tale che (A − λ0In)X = 0n, cioe AX = λ0X, ossia X e autovettorecon autovalore λ0.

Viceversa, se λ0 e autovalore, esiste una soluzione non banale del sistema(A − λ0In)X, quindi deve essere det(A − λ0In) = pA(λ0) = 0.

Veniamo al terzo punto: anzitutto, osserviamo che il termine noto del polinomiosi ottiene ponendo λ = 0, quindi sara dato pA(0) = det(A), come affermato. Per ilresto dell’enunciato, potremo procedere per induzione. Per ora, mostriamo la validitadell’enunciato per n = 2; posto

A =

(

a1,1 a1,2

a2,1 a2,2

)

abbiamo:

pA(λ) =

a1,1 − λ a1,2

a2,1 a2,2 − λ

= (a1,1λ)(a2,2 − λ) − a1,2a2,1

= λ2 − (a1,2 + a2,1)λ + a1,1a2,2 − a1,2a2,1 = λ2 − λ tr(A) + det(A)

(6.30)

che e quanto affermato.Possiamo ora procedere con l’induzione; sia ora vero l’enunciato fino ad n − 1,

vediamo che e vero per n. Calcoliamo il polinomio caratteristico:

pA(λ) = det(A − λIn) =

a1,1 − λ a1,2 · · ·a2,1 a2,2 − λ · · ·

.... . .

... an,n − λ

= (a1,1 − λ)

a2,2 − λ · · ·...

. . .... an,n − λ

+ qn−2 ,

(6.31)

dove qn−2 indica il resto dello sviluppo del determinante secondo la prima colonna:questo termine ha grado al piu n− 2, perche nelle sottomatrici in cui si calcola il com-plemento algebrico, mancano due volte i termini del tipo ak,k − λ (una volta per laprima riga, un’altra per la riga i−esima corrispondente al termine ai,1 della prima co-lonna nel calcolo), e questi complementi algebrici verranno moltiplicati per gli elementidella colonna dalla seconda riga in giu, dove λ non compare piu.

Osserviamo, adesso, che, per calcolare pA(λ) nella 6.31, ci siamo ricondotti a cal-colare il determinante di una matrice (n − 1) × (n − 1) della forma det(B − λIn−1),dove B e la sottomatrice ottenuta da A cancellando la prima riga e la prima colonna.Per ipotesi induttiva (visto che abbiamo cioe supposto che il teorema fosse vero fino an − 1), possiamo scrivere:

(6.32) det(A − λIn) = (a1,1 − λ)[(−1)n−1λn−1 + (−1)n−2λn−2 tr(B) + · · · + det(B)] .

Sviluppando i calcoli, troviamo, riordinando i termini ed esplicitando solo i termini digrado utile (non ci interessano i termine finali di grado n − 2, n − 3 ecc. –neanche il

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2. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI: DEFINIZIONI 331

termine noto, tanto abbiamo gia stabilito la sua sorte):

pA(λ) = det(A − λIn)

= a1,1[(−1)n−1λn−1 + (−1)n−2λn−2 tr(B) + · · · + det(B)]

− λ[(−1)n−1λn−1 + (−1)n−2λn−2 tr(B) + · · · + det(B)]

= (−1)(−1)n−1λλn−1 + a1,1(−1)n−1λn−1 + (−λ)(−1)n−2λn−2 tr(B)

+ . . .

= (−1)nλn + a1,1(−1)n−1λn−1 + (−1)(−1)n−2λλn−2 tr(B) + . . .

= (−1)nλn + a1,1(−1)n−1λn−1 + (−1)n−1λn−1(a2,2 + · · · + an,n) + . . .

= (−1)nλn + (−1)n−1λn−1(a1,1 + a2,2 + · · · + an,n) + . . .

= (−1)nλn + (−1)n−1λn−1 tr(A) + . . .

(6.33)

e i termini dopo i puntini hanno grado inferiore a n − 1, quindi non ci interessano.

Dunque, anche per n e vero che il termine di grado massimo e (−1)nλn, e quello

immediatamente sotto e (−1)n−1λn−1 tr(A); allora e vero sempre (per n = 2 vale, allora

vale per n = 3; allora vale per n = 4, ecc.). �

Ora che abbiamo un metodo per identificare gli autovalori; cerchiamo dianalizzare quello che possiamo dire per gli autovettori. In base alle conside-razioni appena fatte circa il polinomio caratteristico, quando servira potremolimitarci a lavorare esplicitamente nella rappresentazione su una data base B,ossia a considerare vettori X ∈ Rn.

Dobbiamo cercare di caratterizzare gli insiemi formati da autovettori relativiad un dato autovalore.

Osservazione 6.8. Una volta trovato un autovettore, tutti i vettori nelsottospazio generato da esso sono ancora autovettori. In altre parole, sia v

un autovettore di un operatore L : V → V; allora, αv e ancora autovettore diL; ossia Span(v) e formato da autovettori di L relativi all’autovalore λ (e dalvettore nullo).

Dimostrazione. Banalmente, essendo L lineare

L(αv) = αL(v) = αλv = λ(αv) ,

usando le proprieta della moltiplicazione per uno scalare �

L’osservazione precedente porta a chiederci: dato un autovalore λ, com’efatto l’insieme dei suoi autovettori? La risposta viene nella seguente definizionee con l’analisi conseguente.

Definizione 6.5. Sia A una matrice reale di ordine n; sia λ ∈ Spec(A). Sichiama autospazio associato a λ (o, semplicemente, di λ) l’insieme Vλ di tutti ivettori che soddisfano l’equazione (6.27):

Vλ = {X ∈ Rn |A X = λX} .

Osservazione 6.9. In questa maniera, il vettore nullo e incluso in Vλ:A0n = 0n = λ0n, quindi, per definizione 0n ∈ Vλ. Un po’ impropriamente siusa dire che Vλ e l’insieme degli autovettori di λ. A rigor di logica, in base alladefinizione, il vettore nullo non puo essere annoverato fra gli autovettori.

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332 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

L’inclusione del vettore nullo nell’autospazio Vλ e importante, perche con-sente di affermare che

Proposizione 6.4. L’autospazio associato ad un autovalore e un sottospa-zio vettoriale (da cui appunto il nome), di dimensione n − rg(A).

Dimostrazione. Basta osservare che

AX = λX = λInX,

ossia(A − λIn)X = 0n

quindi l’insieme Vλ coincide con il nucleo della matrice (A−λIn), ed e pertantoun autospazio (4.4).

Sfruttando il Teorema delle Dimensioni 4.8 visto nel Capitolo 4, siamo ingrado subito di affermare che

(6.34) dim(Vλ) = n − rg(A − λIn) .

Osservazione 6.10. La dimensione di Vλie compresa fra 1 ed n per ogni

i = 1, . . . h:1 ≤ dim(Vλi

) ≤ n ∀ i = 1, . . . h ;

Dimostrazione. La dimensione e almeno 1, perche, se esiste un autova-lore λ, deve esistere un autovettore X 6= 0n, e allora Span(X) ⊆ Vλ (osserva-zione 6.8). La dimensione non puo superare quella dello spazio Rn, di cui Vλ esottoinsieme. �

3. Autospazi vettoriali e somma diretta

Puo uno stesso vettore stare in autospazi associati ad autovalori differenti?no, basta considerare la seguente proposizione:

Proposizione 6.5. Se λ1 e λ2 sono autovalori distinti di un operatore li-neare, allora l’intersezione fra i due autospazi associati contiene solo il vettorenullo.

Dimostrazione. Semplicemente, se u ∈ Vλ1, allora

L(u) = λ1u;

analogamente, se u ∈ Vλ2

L(u) = λ2u.

Un vettore nell’intersezione soddisfa entrambe le equazioni; sottraendo membroa membro, otteniamo:

L(u) − L(u) = L(u − u) = L(0V) = 0V ,

ma ancheL(u) − L(u) = λ1u − λ2u = (λ1 − λ2)u .

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3. AUTOSPAZI VETTORIALI E SOMMA DIRETTA 333

Cioe, (λ1 − λ2)u = 0V : siccome i due autovalori sono diversi, questo implicache u = 0V . �

Risulta a questo punto immediato il seguente

Corollario 6.6. Se λ1 e λ2 sono autovalori distinti di un operatore lineare,allora i due autospazi relativi, Vλ1

e Vλ2sono in somma diretta.

Dimostrazione. Infatti, l’intersezione fra i due spazi contiene solo il vet-tore nullo, in virtu della Proposizione 6.5. �

A questo punto, costa poca fatica convincersi che tutti gli autospazi sono insomma diretta. Per la dimostrazione, ci viene utile un risultato semplice, maefficace sugli spazi in somma diretta, in generale.

Lemma 6.7. Siano V1, V2, . . . Vh h sottospazi vettoriali di uno spazio vet-toriale su campo R qualunque; se i sottospazi sono in somma diretta, alloral’insieme S = {u1, u2, . . .uh} costruito prendendo ui ∈ Vi, con ui 6= 0V peri = 1 . . . h (cioe “pescando” un vettore in ciascun sottospazio in modo checiascuno non sia nullo) e un sistema di vettori linerarmente indipendenti. Vi-ceversa, se, comunque si costruisce l’insieme S, come sopra si ottengono vettorilinearmente indipendenti, allora gli spazi sono in somma diretta.

Dimostrazione. Possiamo procedere per induzione. Per un vettore e ovvio. Sup-poniamo che sia vero se prendiamo h − 1 vettori; vediamo che e vero per h vettori.Consideriamo una combinazione lineare dei vettori di S che produca il vettore nullo:

(6.35) α1u1 + α2u2 + . . . αhuh = 0V .

Supponiamo per assurdo che esista una combinazione non banale; allora c’e almeno uncoefficiente αi non nullo nella (6.35); senza perdere in generalita, possiamo sempre direche questo e l’ultimo. Possiamo in tale caso scrivere

(6.36) uh = −α1

αh

u1 + · · · − αh−1

αh

uh−1 .

Ora, uh 6= 0, per ipotesi; inoltre, uh risulta essere una combinazione lineare di h − 1vettori presi negli altri h − 1 sottospazi in somma diretta. Quindi, si avrebbe uh ∈(V1 ⊕ V2 + . . . Vh−1). Daltra parte, uh ∈ Vh: avremmo trovato un vettore diverso daquello nullo nell’intersezione:

uh ∈ (V1 ⊕ V2 + . . . Vh−1) ∩ Vh ,

ma cio e impossibile, perche per ipotesi i sottospazi sono in somma diretta, quindisicuramente (V1 ⊕V2 + . . . Vh−1)∩Vh = {0V} L’assurdo nasce dall’avere ipotizzato chela combinazione lineare della (6.35) potesse essere non banale. Allora l’unica combi-nazione che produce il vettore nullo e quella banale, ossia i vettori sono linearmenteindipendenti.

Vediamo ora l’implicazione opposta: Cominciamo con due sottospazi, V1 e V2; peripotesi, ogni sistema di vettori non nulli S = {u1,u2} con u1 ∈ V1 e u2 ∈ V2 e formatoda vettori linearmente indipendenti. Supponiamo che V1 e V2 non siano in sommadiretta: esisterebbe un vettore v non nullo nell’intersezione; quindi, avremmo trovatou1 = v ∈ V1 e u2 = v ∈ V2 tali che u1 − u2 = 0, ossia due vettori linearmentedipendenti, che non puo essere. Allora, per forza V1 + V2 = V1 ⊕ V2.

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334 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Sia ora vero l’asserto per h − 1. Se Vh non fosse in somma diretta con (V1 ⊕ V2 ⊕. . . Vh−1), dovremmo trovare v non nullo nell’intersezione:

v ∈ (V1 ⊕ V2 ⊕ . . . Vh−1) ∩ Vh ,

ossia uh = u1 ++u2 + · · ·+uh−1, con ui ∈ Vi per i = 1 . . . h. Allora, u1 ++u2 + · · ·+uh−1 − uh = 0, e, come sopra, avremmo una combinazione di vettori non banale cheproduce il vettore nullo, che non puo essere, visto che stiamo supponendo che pescandoun vettore non nullo in ciascun spazio, otteniamo h vettori linearmente indipendenti.Quindi

(V1 ⊕ V2 ⊕ . . . Vh−1) + Vh = V1 ⊕ V2 ⊕ . . . Vh−1 ⊕ Vh ;

l’asserto e vero anche per h. Allora, per induzione e vero per ogni h. �

Una conseguenza immediata e questa

Corollario 6.8. Siano V1, V2, . . . Vh in somma diretta; se

v1 + · · · + vh = 0

con vi ∈ Vi per i = 1 . . . h, allora tutti i vettori vi devono essere nulli.

Dimostrazione. Se cosı non fosse, ce ne sarebbe almeno uno, e quindi,almeno due non nulli; pertanto, potrei ricavare almeno uno dei vettori comecombinazione lineare degli altri: il che va contro il risultato del Lemma 6.7precedente. �

Possiamo ora dimostrare il risultato che volevamo:

Teorema 6.9. Sia A una matrice reale di ordine n; sia Spec(A) = {λ1, . . . λh}con i = 1, . . . h lo spettro degli h autovalori distinti di A (se non vuoto). Alloragli autospazi relativi sono in somma diretta

Vλ1⊕ Vλ2

⊕ · · · + Vλh.

Dimostrazione. Per due autospazi relativi ad autovalori distinti e vero (Corol-lario 6.6); cominciamo a considerare la somma diretta Vλ1

⊕ Vλ2. Mostriamo che Vλ3

e in somma diretta con questa somma. Basta vedere che Vλ3e in somma diretta con

Vλ1⊕ Vλ2

, ossia che l’intersezione di questi contiene solo il vettore nullo.Sia X ∈ Vλ3

; deve essere

(6.37) AX = λ3X .

Se X appartiene anche a Vλ1⊕ Vλ2

, possiamo scrivere X = Y1 + Y2 (decomposizioneunica), con Y1 ∈ Vλ1

e Y2 ∈ Vλ2, cioe

(6.38) AX = λ1Y1 + λ2Y2 .

Confrontando le due equazioni (6.37) e (6.37), abbiamo

λ3X = λ3(Y1 + Y2) = λ1X1 + λ2X2 ,

ossia

(6.39) (λ1 − λ3)X1 + (λ2 − λ3)X2 = 0n .

Per ipotesi, V1 e V2 sono in somma diretta; poiche la combinazione lineare nella (6.39)e non banale (per ipotesi gli autovalori sono distinti): per il Lemma 6.7, se Y1 e Y2 sononon nulli, sono linearmente indipendenti, e una loro combinazione lineare non banalenon puo essere il vettore nullo. In altre parole, deve essere Y1 = Y2 = 0, e quindiY3 = X = X1 + X2 + 0, ossia Vλ3

e in somma diretta con (Vλ1⊕ Vλ2

).

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3. AUTOSPAZI VETTORIALI E SOMMA DIRETTA 335

A questo punto, seguendo la stessa strada, possiamo convincerci che

(Vλ1⊕ Vλ2

⊕ Vλ3) ∩ Vλ4

= {0n} ,

quindi i 4 autospazi sono in somma diretta

Vλ1⊕ Vλ2

⊕ Vλ3⊕ Vλ4

e cosı via, fino a Vλh(formalmente, possiamo rendere piu elegante la dimostrazione

usando il principio di induzione). �

Una conseguenza immediata di questo Teorema e la seguente Proposizione.

Proposizione 6.10. Sia A una matrice quadrata di ordine n. Possonoesistere al piu n autovalori distinti.

Dimostrazione. E una conseguenza diretta del Teorema 6.9 e dell’Osser-vazione 6.10, che ci dice che la dimensione di ciascun autospazio e almeno 1. Seci fossero piu di n spazi in somma diretta, la somma delle loro dimensioni, checoincide con la dimensione dello spazio somma, sarebbe maggiore di n. Ma cioe impossibile, poiche tutti insieme non possono dare uno spazio di dimensionemaggiore di Rn, di cui sono sottoinsiemi. �

Definizione 6.6. Sia A ∈ MK(n) una matrice quadrata di ordine n aentrate nel campo R; sia LA l’operatore lineare dello spazio vettoriale Rn suR, associato alla matrice A usando la base canonica B0 = {e1, . . .en}, con

e1 =

10...0

, e2 =

01...0

, ecc.

Diciamo che LA (o, direttamente A) ha tutti gli autovalori in R se il suopolinomio caratteristico pA(λ) ha n radici (non necessariamente distinte) nelcampo (contando le molteplicita), e, quindi, si fattorizza in R in termini lineariin λ. Altrimenti detto, se possiamo scrivere

(6.40) pA(λ) = (λ1 − λ)(λ2 − λ) . . . (λn − λ) ,

con tutti i λi in R, per ogni i = 1 . . . n.

Teorema 6.11. Sia A ∈ MK(n) una matrice quadrata di ordine n a en-trate nel campo R; se A tutti gli autovalori in R, allora, detti λ1, λ2, . . . λn taliautovalori, si ha

det(A) = λ1 · λ2 · . . . · λn ,(6.41a)

tr(A) = λ1 + λ2 + · · · + λn .(6.41b)

Dimostrazione. Se A ha tutti gli autovalori nel campo, il polinomio caratteristicosi puo scrivere come

(6.42) pA(λ) = det(A − λIn) = (λ1 − λ)(λ2 − λ) . . . (λn − λ) ,

e, ponendo λ = 0 si trovadet(A) = λ1 · λ2 · · · · · λn .

Inoltre, convinciamoci della seconda equazione delle (6.41). Se n = 2,

pA(λ) = (λ1 − λ)(λ2 − λ) = λ2 − (λ1 + λ2)λ + λ1λ2 ,

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336 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

e, siccome il termine di grado n − 1 = 1 del polinomio carateristico deve essere(−λ)n−1 tr(A), questo ci dice che tr(A) = (λ1 + λ2).

Supponiamo, ora, vero l’asserto per n − 1; Proviamo che vale per n. Il polinomiocaratteristico si puo calcolare in qualunque base: scegliamo una base B′ che abbiacome ultimo vettore vn un autovettore dell’ultimo autovalore λn (ossia, completiamola base lasciando vn per ultimo anziche per primo): questa scelta migliora in chiarezzala notazione. Chiamiamo A′ la matrice che rappresenta l’operatore nella base B′,prima associato nella base originale alla matrice A. L’ultima colonna di A′ ha tutte leentrate nulle, tranne l’ultima, che corrisponde a λn. Calcoliamo pA′(λ) = det(A′−λIn)svilupando secondo l’ultima colonna. Risultera

pA′(λ) = (λn − λ) det(B − λIn−1),

dove B e la sottomatrice di A ottenuta cancellando ultima riga e ultima colonna.Siccome B e di ordine (n − 1) × (n − 1), possiamo dire che per essa vale l’enunciato.Inoltre,

det(B − λIn−1) = (λ1 − λ)(λ2 − λ) . . . (λn−1 − λ) . . .

riassumendo, possiamo scrivere

pA(λ) = [(λ1 − λ)(λ2 − λ) . . . (λn − λ)]

= [(λ1 − λ)(λ2 − λ) . . . (λn−1 − λ)](λn − λ)

= [(−λ)n−1 + (−λ)n−2(λ1 + λ2 + · · · + λn−1) + . . . ](λn − λ)

= (−λ)n−1(−λ) + (−λ)n−1λn + (−λ)(−λ)n−2(λ1 + λ2 + · · · + λn−1)

+ . . .

= (−λ)n + (−λ)n−1[(λ1 + λ2 + · · · + λn−1) + λn] + . . .

= (−λ)n + (−λ)n−1(λ1 + λ2 + · · · + λn−1 + λn) + . . . ,

(6.43)

dove abbiamo omesso di scrivere i termini di grado inferiore a quello necessario.Ma il risultato ottenuto e proprio quello che volevamo, perche il termine di grado

n − 1 deve essere (−λ)n−1 tr(A). �

4. Molteplicita algebrica e geometrica

Abbiamo gia osservato in precedenza quando abbiamo dato la definizione didiagonalizzabilita che, una volta cambiata la base su cui rappresentiamo l’ope-ratore, un determinato autovalore puo ricorrere piu di una volta sulla diagonale.Inoltre, avendo ormai ben chiaro che gli autovalori sono tutte e sole le radicidel polinomio caratteristico, ci rendiamo conto che una radice puo non esseresingola, ma doppia, tripla, ecc.

Infine, abbiamo anche capito che la dimensione di un autospazio non neces-sariamente e unitaria: possono esistere 2 o anche piu vettori indipendenti chesono autovettori, e allora la dimensione dell’autospazio aumenta. A parte esem-pi banali (la matrice identita di ordine n ha tutto lo spazio come autospazio,con autovalore λ = 1) vi sono casi meno ovvi.

Poniamo quindi le seguenti

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4. MOLTEPLICITA ALGEBRICA E GEOMETRICA 337

Definizione 6.7. Viene detta molteplicita algebrica µ di un autovalore λla molteplicita di λ come radice del polinomio caratteristico.

Definizione 6.8. Viene detta molteplicita geometrica ν di un autovaloreλ la dimensione dell’autospazio associato, ossia ν = n − rg(A − λIn), se n e ladimensione dello spazio dell’operatore ed A la matrice che lo rappresenta sullabase scelta.

Consideriamo il seguente esempio:

Esempio 6.11. Consideriamo la seguente matrice di ordine 3:

(6.44) A =

0 1 11 0 −1−1 1 2

e determiniamone gli autovalori e gli autospazi relativi.Il polinomio caratteristico e

pA(λ) =

−λ 1 11 −λ −1−1 1 2 − λ

=

1 − λ 1 − λ 01 −λ −1−1 1 2 − λ

sommando alla prima riga la seconda

=

1 − λ 1 − λ 00 1 − λ 1 − λ−1 1 2 − λ

sommando alla seconda riga la terza

= (1 − λ)[(1 − λ)(2 − λ) − (1 − λ)] − (1 − λ)(1 − λ)

= (1 − λ)2[(2 − λ) − 1] − (1 − λ)2

= (1 − λ)2[(2 − λ) − 1 − 1] = −λ(1 − λ)2 .

(6.45)

Quindi gli autovalori sono

• λ1 = 1 con molteplicita algebrica µ1 = 2, e• λ2 = 0 con molteplicita algebrica µ2 = 1.

Per determinare la molteplicita geometrica, osserviamo che, per λ = 1

A − λIn = A − In =

−1 1 11 −1 −1−1 1 1

;

si vede subito che la prima e la terza riga coincidono, e la seconda e l’oppostodella prima; pertanto, rg(A − In) = 1, cioe ν1 = 3 − 1 = 2. L’autospazio V1 ecaratterizzato dall’equazione cartesiana

x − y − z = 0 .

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338 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Per λ = 0, si ha

A − λIn = A − In =

0 1 11 0 −1−1 1 2

;

la terza colonna e ottenibile sottraendo la seconda alla prima colonna. Si trovasubito che rg(A) = 2, cioe ν1 = 3 − 2 = 1. L’autospazio V1 e caratterizzato dalsistema di equazioni cartesiane

{

y + z = 0

x − z = 0.

Sono sempe uguali o sono scorrelate le due molteplicita? vediamo unamaggiorazione con il seguente

Teorema 6.12. La molteplicita geometrica di un autovalore λ∗ non puosuperare la molteplicita geometrica.

ν(λ∗) ≤ µ(λ∗) .

Dimostrazione. Supponiamo che l’autospazio Vλ associato a λ abbia di-mensione ν. Consideriamo una base di Vλ:

BVλ∗= {u1, . . .uν} ,

e completiamola con n− ν vettori indipendenti per avere una base dello spaziosu cui agisce l’operatore:

BV ={

u1, . . .uν , u′ν+1 . . .u′

n

}

.

Su questa base, la matrice che rappresenta l’operatore ha una struttura ablocchi:

(6.46) A =

(

λ∗Iν A′′

0n−ν,ν A′

)

dove la matrice A′ ha formato (n − ν) × (n − ν).Per il polinomio caratteristico, otteniamo

(6.47) det(A − λIn) =

(λ∗ − λ)Iν A′′

0n−ν,ν A′ − λIn−ν

.

Se svolgiamo i calcoli lungo le prime ν colonne di seguito, grazie alle entratenulle che incontriamo nelle colonne, otteniamo:

(6.48) (λ∗ − λ)ν det(A′ − λI) .

Ora, questo mostra che la molteplicita algebrica µ e almeno pari a ν. Infatti,se det(A′ − λ∗In) 6= 0, µ = ν; invece, se det(A′ − λ∗In) = 0, il termine (λ∗ − λ)si deve fattorizzare ancora almeno una volta (Proprieta 0.7 , Capitolo 0), e,quindi,

µ(λ∗) ≥ ν(λ∗) .

Ma esistono matrici in cui la molteplicita algebrica e quella geometrica diun autovalore sono diverse? Vediamo un caso elementare:

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4. MOLTEPLICITA ALGEBRICA E GEOMETRICA 339

Esempio 6.12. Consideriamo la matrice

(6.49) A =

1 1 00 1 00 0 0

.

Si verifica subito che gli autovalori di sono

• λ1 = 1 con molteplicita algebrica µ1 = 2, e• λ2 = 0 con molteplicita algebrica µ2 = 1.

Infatti, la matrice e triangolare, quindi il calcolo del polinomio caratteristicoe velocissimo:

(6.50) det(A − λI) =

1 − λ 1 00 1 − λ 00 0 −λ

= −λ(1 − λ)2 ;

in altre parole, se la matrice e triangolare (e ricordiamo che una matrice diagona-le e un caso particolare di questo), i numeri sulla diagonale sono gli autovalori,e la molteplicita algebrica di ciascuno coincide con il numero di volte che lotroviamo sulla diagonale.

Pero, con λ = 1 per la molteplicita geometrica otteniamo:

(6.51) A − λI = A − I =

0 1 00 0 00 0 −1

.

Vi sono due colonne indipendenti (le ultime due), e immediatamente abbiamoche

ν(1) = 3 − rg(A − I) = 3 − 2 = 1 6= µ(1) = 2 .

Ora come ora, siamo in grado di avere una condizione sufficiente per diago-nalizzare una matrice:

Teorema 6.13. Se un’operatore di uno spazio V n−dimensionale ha nautovalori distinti, e sicuramente diagonalizzabile.

Dimostrazione. Semplicemente, prendiamo un sistema di n autovetto-ri estraendo da ciascun autospazio un vettore. Siccome gli autospazi sono insomma diretta (Teorema 6.9), questo deve essere formato da vettori linearmen-te indipendenti (Lemma 6.7). Quindi formano una base di un sottospazio didimensione pari a quella di V , che, pertanto, deve coincidere con V .

In altre parole, abbiamo trovato una base di autovettori, l’operatore ediagonalizzabile, per definizione (6.4) �

Riusciamo a dare un criterio di diagonalizzabilita piu generale?L’idea che sta sotto, in sostanza e abbastanza semplice: mi serve una base

per tutto lo spazio di autovettori: siccome gli autospazi sono in somma diretta,l’unione di basi dei singoli autospazi mi dara la base dello spazio somma, e nonposso fare molto meglio di questo: quindi, devo in tutto avere tanti vettori da“pescare” nelle basi indipendenti pari a n, dimensione dello spazio originario.Contando tutte le molteplicita, se va bene ho n autovalori. Se ne ho meno,non riesco a diagonalizzare; avrei la somma delle µ inferiore a n, e la somma

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340 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

delle dimensioni degli autospazi, ossia delle molteplicita geometriche, non puosuperare la somma delle µ, quindi non arriva ad n.

Sono costretto al “bilancio dettagliato”, e non posso perdere un “pezzo”da nessuna parte. Ogni autospazio deve vere la dimensione “massima”, ossiaquella data dalla molteplicita algebrica. Diamo un nome ad un autovalore che“si comporta bene” in questo senso:

Definizione 6.9. Sia λ un autovalore di un operatore L di uno spaziovettoriale n (o di una matrice A quadrata di ordine n). Diciamo che l’autovaloree regolare se le sue molteplicita algebrica µ e geometrica ν coincidono, ossia se

µ(λ) = ν(λ) = n − rg(A − λIn)

Dobbiamo, come al solito, rendere formale questa intuizione. Lo facciamocon l’ultimo risultato fondamentale.

Teorema 6.14. Sia A una matrice quadrata di ordine n, e sia LA l’opera-tore associato ad A in uno spazio vettoriale V sul campo R (o, viceversa, sia Lun operatore ed A la matrice associata nella base canonica B0, per comodita, mava bene una base qualunque). Allora le seguenti affermazioni sono equivalenti:

• A e diagonalizzabile;• A ha tutti gli autovalori in R, e questi sono tutti regolari. Ossia, indi-

cando con µk e νk la molteplicita algebrica e geometrica dell’autovaloreλk, rispettivamente:

µ(λk) = ν(λk) ∀ k = 1 . . . h ,

dove h e il numero di autovalori distinti, e µ1 + . . . µh = n, visto chedevo avere tutti gli autovalori in R

• Con la notazione introdotta al punto di prima:

ν1 + ν2 + . . . νh = n

Dimostrazione. Per vedere che sono tutte equivalenti, basta vedere cheognuna implica quella dopo e l’ultima implica la prima. Cominciamo il tour deforce finale: scopriremo che ormai e tutto in discesa.

Se A e diagonalizzabile, esiste una base di autovettori

B = {v1, v2 . . .vn} ;

nella nuova base l’operatore e associato ad una matrice A′, legata alla matrice Adalla matrice invertibile di cambio di base N , con N ∈ GL(n, R) (in generale, seil campo non e quello reale, sara N ∈ GL(n, K)). Ricordiamo che N i = [vi]B0

,cioe l’i−esima colonna di N e la rappresentazione del vettore i−esimo vi dellanuova base nella base originaria. Ordiniamo i vettori in B′ in modo che primavi siano tutti quelli relativi al primo autovalore λ1, poi quelli relativi al secondo

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4. MOLTEPLICITA ALGEBRICA E GEOMETRICA 341

λ2 e via cosı fino a λh;

(6.52) A′ = N−1AN =

λ1 0 0 · · · 0 0

0 λ1 0 · · · ......

. . ....

... λ2...

.... . . 0

0 · · · · · · 0 0 λh

come osservato nell’esempio 6.12, la matrice diagonale A′, riporta µ1 volte λ1

nelle prime µ1 righe, µ2 volte λ2 nelle successive µ2 righe, ecc., fino alle ultimeµh righe, dove riporta λh per µh volte. Cosı facendo, il polinomio caratteristicodiventa sicuramente

(6.53) pA′(λ) = det(A′ − λIn) = (λ1 − λ)µ1(λ2 − λ)µ2 . . . (λh − λ)µh ,

ogni radice ricorre con la corretta molteplicita algebrica, e la matrice ha tuttigli autovalori in R.

Qual e la molteplicita geometrica νk dei diversi autovalori? dobbiamo stu-diare la matrice A′−λkIn, poiche νk = ν(λk) = n− rg(A′−λkIn). Per il primoautovalore avremo

(6.54) A′ − λ1In =

0 0 0 · · · 0 0

0. . . 0 · · · ...

... 0...

... λ2 − λ1...

.... . . 0

0 · · · · · · 0 0 λh − λ1

,

cioe le prime µ1 righe sono nulle, e dalla successiva in poi troviamo sempre unnumero sulla diagonale diverso da 0, perche gli altri autovalori sono differenti(abbiamo raggruppato apposta e contato le radici, per dire che λi 6= λj se i 6= j).

Il rango della matrice e sicuramente n− µ1: ha µ1 righe nulle, e fra le altrebasta prendere la sottomatrice (n−µ1)× (n−µ1) con le ultime righe e colonne,che individua un minore non nullo, visto che e diagonale e nessun elementorimasto sulla diagonale e 0 (λ1 6= λ2, λ1 6= λ3, . . . ). Allora,

ν1 = n − rg(A′ − λ1In) = n − (n − µ1) = µ1 .

Il primo autovalore e regolare.Stesso procedimento per il secondo, il terzo ecc.: basta individuare ogni

volta la sottomatrice che si ottiene buttando via le righe corrispondenti ad ogniautovalore che si sta “indagando”, e le colonne giuste, per avere una matricediagonale con determinante non nullo, quindi per tutti i k = 1 . . . h

νk = n − rg(A′ − λkIn) = n − (n − µk) = µk .

Tutti gli autovalori sono regolari (e ricordiamo che i risultati non dipendonodalla base, quindi valgono anche per A).

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342 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Vediamo ora la seconda implicazione. Supponiamo che A abbia tutti gliautovalori in R, e questi siano tutti regolari.

Allora, banalmente,

ν1 + ν2 + . . . νh = µ1 + µ2 + . . . µh = n .

Infine, supponiamo che la somma delle molteplicita geometriche sia n. Sappia-mo che per questo significa che la somma delle dimensioni degli autospazi e n.Siccome gli autospazi sono in somma diretta (Teorema 6.9), cio significa chela dimensione dello spazio somma e n. Infatti, le dimensioni delle intersezioni“incapsulate” sono nulle (V1 deve essere in somma diretta con (V2 ⊕ . . . Vh), ladimensione della somma e ν1+dim(V2⊕. . . Vh); ma ora V2 deve essere in sommadiretta con (V3⊕ . . . Vh), quindi la dimensione totale e ν1+ν2+dim(V3⊕ . . . Vh),ecc.). Allora, lo spazio somma e lo spazio V dell’operatore associato alla matrice.

Possiamo costruire una base di V prendendo

• ν1 vettori che sono una base di Vλ1,

• ν2 vettori che sono una base di Vλ2,

• ecc.• νh vettori che sono una base di Vλh

.

Questa base e quindi formata tutta da autovettori: la base di un autospazio ecomposta solo da vettori non nulli dell’autospazio, quindi, per definizione daautovettori.

E abbiamo finito! �

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5. AUTOVALORI IN CAMPO COMPLESSO 343

APPENDICE

5. Autovalori in campo complesso

Le stesse definizioni date nel Capitolo per gli spazi vettoriali reali si possono“duplicare” in campo complesso (avremmo potuto scrivere tutto tranquillamen-te in un campo K generico, in effetti).

Vediamo come cambia la Definizione 6.3:

Definizione 6.10 (caso complesso). Sia A ∈ MC(n) una matrice quadratadi ordine n a entrate complesse; sia LA : Cn → Cn l’operatore lineare associatoalla matrice per lo spazio vettoriale complesso Cn nella base B; sia infine Z =[v]B la rappresentazione di un vettore v di Cn nella stessa base. Diciamo cheun Z che e un’autovettore di A relativo all’autovalore λ se esiste λ ∈ C tale che

(6.55) AZ = λZ ,

con Z 6=

0...0

.

Osservazione 6.13. La definizione e sostanzialmente la stessa data prima(6.3); se adesso cerchiamo di risolvere il problema dell’esempio 6.7, perveniamoancora all’equazione (6.25) (l’algebra nel campo complesso e la stessa che nelcampo reale): solo che stavolta possiamo trovare soluzioni non banali: perλ = ±i, l’equazione e soddisfatta!

Allora, esistono soluzioni non banali: per λ = i, y = −λx = −ix, e quindigli autovettori avranno la forma

(

xy

)

= α

(

1−i

)

,

con α ∈ C.Analogamente, per λ = −i, y = −λx = ix, e troviamo gli autovettori

(

xy

)

= β

(

1i

)

con β ∈ C.

Analogamente a quanto fatto in precedenza, diremo che LA (o, direttamenteA) ha tutti gli autovalori in C se il suo polinomio caratteristico pA(λ) ha n radici(non necessariamente distinte) nel campo (contando le molteplicita), e, quindi,si fattorizza in C in termini lineari in λ. Altrimenti detto, se possiamo scrivere

(6.56) pA(λ) = (λ1 − λ)(λ2 − λ) . . . (λn − λ) ,

con tutti i λi in C, per ogni i = 1 . . . n.Conseguenza immediata del Teorema Fondamentale dell’Algebra (0.8) e che

se il campo e quello complesso, allora, l’operatore ha tutti gli autovalori nelcampo. Quindi, risulta vero il seguente

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344 6. AUTOVALORI E DIAGONALIZZAZIONE

Corollario 6.15. Sia A ∈ MC(n) una matrice quadrata complessa diordine n. Sia LA l’operatore lineare di Cn associato alla matrice A; ossia, sceltala base canonica B0 di Cn, e detti X = [u]B0

ed Y = [v]B0le rappresentazioni

di due vettori u, v ∈ Cn, LA e definita in modo che

LA(u) = v ⇐⇒ Y = A X .

Allora A ha tutti gli autovalori in C.

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CAPITOLO 7

Struttura metrica in Rn

1. Prodotto scalare

Vogliamo ora estendere allo spazio vettoriale Rn, delle n-uple ordinate dinumeri reali, le proprieta metriche, come distanze ed angoli, che abbiamo stu-diato nel piano e nello spazio. Abbiamo visto che lo strumento essenziale pertrattare questioni metriche nello spazio e il prodotto scalare. Ricordiamo chedati nello spazio due vettori −→u e −→v , applicati nello stesso punto O, il loroprodotto scalare e il seguente numero reale:

〈−→u ,−→v 〉 = ‖−→u ‖ ‖−→v ‖ cos ϑ,

dove ϑ e l’angolo convesso formato dai vettori −→u e −→v .Abbiamo osservato che il prodotto scalare e strettamante legato alla proiezioneortogonale di un vettore lungo una retta. Abbiamo inoltre verificato che godedelle seguenti proprieta:

(1) simmetria: 〈−→u ,−→v 〉 = 〈−→v ,−→u 〉, ∀ −→u ,−→v ∈ E3O;

(2) bilinearita :(a) linearita rispetto alla prima variabile:

〈a−→u 1 + b−→u 2,−→v 〉 = a〈−→u 1,

−→v 〉 + b〈−→u 2,−→v 〉, ∀−→u 1,

−→u 2,−→v ∈ E3

O, ∀a, b ∈ R;

(b) linearita rispetto alla seconda variabile:

〈−→u , a−→v 1 + b−→v 2〉 = a〈−→u ,−→v 1〉 + b〈−→u ,−→v 2〉, ∀−→u ,−→v 1,−→v 2 ∈ E3

O, ∀a, b ∈ R;

(3) positivita:

〈−→u ,−→u 〉 ≥ 0 ∀−→u ∈ E3O,

〈−→u ,−→u 〉 = 0 ⇐⇒ −→u =−→0 .

Fissiamo ora nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale mono-metrico R(O, ı, , k) di origine O, cio equivale a fissare nello spazio E3

O la base

ortonormale B ={

ı, , k}

data dai versori degli assi. Possiamo associare ad

ogni vettore −→v applicato in O il vettore di R3 delle coordinate di −→v rispettoalla base B:

[−→v ]B =

xyz

⇐⇒ −→v = xı + y + zk.

345

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346 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Siano −→u e −→v due vettori applicati in O, supponiamo di conoscere i vettoridelle loro coordinate rispetto alla base B:

[−→u ]B =

x1

y1

z1

[−→v ]B =

x2

y2

z2

,

applicando le proprieta di bilinearita, possiamo ricavare il prodotto scalare di−→u e −→v in funzione delle loro coordinate:

(7.1) 〈−→u ,−→v 〉 = x1x2 + y1y2 + z1z2.

Ricaviamo quindi la formula che consente di calcolare il modulo di un vettore−→v in funzione delle sue coordinate:

‖−→v ‖ =√

〈−→v ,−→v 〉 =√

x2 + y2 + z2,

e la ben nota formula della distanza euclidea tra due punti A e B, in funzionedelle loro coordinate

d(A, B) = ‖−−→AB‖ =√

(xB − xA)2 + (yB − yA)2 + (zB − zA)2.

Nel seguito, identifichiamo lo spazio vettoriale Rn con lo spazio vettorialeMR(n, 1) dei vettori colonna di tipo n, 1. Se X ∈ Rn, la matrice trasposta di Xe il vettore riga XT . Introduciamo ora il prodotto scalare in Rn generalizzandola formula 7.1:

Definizione 7.1. Dati due vettori X =

x1

x2...

xn

e Y =

y1

y2...

yn

in Rn,

chiamiamo prodotto scalare standard dei vettori X e Y il seguente numeroreale

〈X, Y 〉 = x1y1 + x2y2 + ... + xnyn = XT · Y.

Si noti che la scrittura compatta XT · Y indica il prodotto riga per colonnadel vettore riga XT per il vettore colonna Y .

Esempio 7.1. Calcoliamo il prodotto scalare tra i seguenti vettori di R4:

X =

1−121

Y =

−103−1

.

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1. PRODOTTO SCALARE 347

Abbiamo:

〈X, Y 〉 = XT · Y =(

1 −1 2 1)

·

−103−1

= −1 + 6 − 1 = 4.

Verifichiamo ora che il prodotto scalare che abbiamo ora definito gode dellestesse proprieta del prodotto scalare di R3.

Proposizione 7.1. Il prodotto scalare standard di Rn gode delle seguentiproprieta:

(1) Proprieta di simmetria:

〈X, Y 〉 = 〈Y, X〉 ∀X, Y ∈ Rn;

(2) Proprieta di bilinearita:

〈aX1 + bX2, Y 〉 = a〈X1, Y 〉 + b〈X2, Y 〉, ∀X1, X2, Y ∈ Rn,∀a, b ∈ R;

〈X, aY1 + bY2〉 = a〈X, Y1〉 + b〈X, Y2〉, ∀X, Y1, Y2 ∈ Rn,∀a, b ∈ R;

(3) Proprieta di positivita:

〈X, X〉 ≥ 0 ∀X ∈ Rn,

〈X, X〉 = 0 ⇐⇒ X = 0n.

Dimostrazione. Verifichiamo le proprieta.(1) Siano X, Y ∈ Rn, osserviamo che risulta:

〈X, Y 〉 = XT · Y = x1y1 + x2y2 + ... + xnyn,

〈Y, X〉 = Y T · X = y1x1 + y2x2 + ... + ynxn,

poiche xiyi = yixi per ogni i = 1, ., n, le due espressioni scritte coincidono.(2) Per la proprieta di simmetria basta provare la prima. Siano X1, X2 e Yvettori di Rn, osserviamo che dalle proprieta del prodotto matriciale risulta:

〈aX1 + bX2, Y 〉 = (aX1 + bX2)T · Y = (a XT

1 + b XT2 ) · Y =

= a XT1 · Y + b XT

2 · Y = a〈X1, Y 〉 + b〈X2, Y 〉.(3) Sia X ∈ Rn, si ha:

〈X, X〉 = XT · X = x21 + x2

2 + ... + x2n ≥ 0,

inoltre 〈X, X〉 = 0 se e solo se x1 = x2 = ... = xn = 0, cioe X e il vettore nullodi Rn. �

Alla luce di questa nuova operazione che abbiamo definito possiamo rileggereil modo di calcolare gli elementi della matrice prodotto.

Osservazione 7.2. Siano A ∈ MR(m, p) e B ∈ MR(p, n). L’elementodella i−esima riga e della j−esima colonna della matrice prodotto AB e datodal prodotto scalare standard fra la trasposta del vettore riga Ai ed il vettorecolonna Bj . Infatti, tale elemento e il “vettore” 1× 1 ottenuto moltiplicando ilvettore riga Ai, di ordine 1 × p per il vettore colonna Bj , di ordine p × 1:

(AB)i,j = ai,1b1,j + ai,2b2,j + · · · + ai,pbp,j = AiBj = 〈Ai

T, Bj〉 .(7.2)

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348 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Estendiamo ora ai vettori di Rn la nozione di lunghezza di un vettore:

Definizione 7.2. Fissato in Rn il prodotto scalare standard,

(1) la norma di un vettore X ∈ Rn e il seguente numero reale nonnegativo:

‖X‖ =√

〈X, X〉 =√

x21 + x2

2 + ... + x2n;

(2) un vettore X ∈ Rn e detto versore se ‖X‖ = 1.

Esempio 7.3. Calcoliamo la norma dei seguenti vettori di R5:

X =

1−1211

Y =

−10000

.

Abbiamo:

‖X‖ =√

〈X, X〉 =√

x21 + x2

2 + ... + x2n

=√

12 + (−1)2 + 22 + 12 + 12 =√

8 = 2√

2;

‖Y ‖ =√

〈Y, Y 〉 =√

y21 + y2

2 + ... + y2n

=√

(−1)2 + 02 + 02 + 02 + 02 =√

1 = 1.

Il vettore Y e un versore di R5.

Osservazione 7.4.- Osserviamo che, dalla proprieta di positivita, l’unico vettore X ∈ Rn connorma nulla e il vettore nullo di Rn:

‖X‖ = 0 ⇐⇒ 〈X, X〉 = 0 ⇐⇒ X = 0n.

- Sia X ∈ Rn un vettore non nullo, osserviamo che per la linearita del prodottoscalare si ha:

‖αX‖ =√

〈αX, αX〉 =√

α2〈X, X〉 = |α|√

〈X, X〉 = |α|.‖X‖,in particolare se α > 0 allora risulta ‖αX‖ = α.‖X‖.- Sia X ∈ Rn un vettore non nullo, osserviamo che il vettore Y = 1

‖X‖X e un

versore. Infatti, applicando la proprieta precedente si ha:

‖Y ‖ =1

‖X‖‖X‖ = 1.

Le seguenti proprieta della norma sono fondamentali:

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1. PRODOTTO SCALARE 349

Proposizione 7.2. Siano X e Y due vettori di Rn, valgono le seguentiproprieta:

(1) Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz:

〈X, Y 〉2 ≤ ‖X‖2‖Y ‖2,

e vale l’uguale se e solo se i vettori X e Y sono linearmente dipendenti;(2) Disuguaglianza triangolare:

| ‖X‖ − ‖Y ‖ | ≤ ‖X + Y ‖ ≤ ‖X‖ + ‖Y ‖.

Dimostrazione.

(1) Osserviamo che la disuguaglianza e verificata se Y e il vettore nullo di Rn: infattientrambi i membri della disuguaglianza sono nulli:

〈X,0n〉 = XT · 0n = 0, ‖0n‖ = 0.

Siano Y ∈ Rn un vettore non nullo e t ∈ R, consideriamo il vettore X +tY e calcoliamo〈X + tY,X + tY 〉. Per la bilinearita del prodotto scalare si ha:

〈X + tY,X + tY 〉 = 〈X,X〉 + 〈X, tY 〉 + 〈tY,X〉 + 〈tY, tY 〉 =

= 〈X,X〉 + t〈X,Y 〉 + t〈Y,X〉 + t2〈Y, Y 〉poiche 〈X,Y 〉 = 〈Y,X〉, si ha:

(7.3) 〈X + tY,X + tY 〉 = 〈X,X〉 + 2t〈X,Y 〉 + t2〈Y, Y 〉.Per la positivita del prodotto scalare, risulta

〈X + tY,X + tY 〉 ≥ 0, ∀t ∈ R,

possiamo quindi concludere che il trinomio di secondo grado in t in 7.3 soddisfa laseguente disequazione

〈X,X〉 + 2t〈X,Y 〉 + t2〈Y, Y 〉 ≥ 0, ∀t ∈ R.

Quindi il discriminante ∆ del trinomio risulta necessariamente non positivo:

∆ = 〈X,Y 〉2 − 〈X,X〉〈Y, Y 〉 ≤ 0,

sostituendo 〈X,X〉 = ‖X‖2e 〈Y, Y 〉 = ‖Y ‖2

otteniamo la disuguaglianza (1).Osserviamo infine che vale l’uguaglianza nella formula se e solo ∆ = 0, cioe il trinomio7.3 ha due radici reali coincidenti t1 = t2. Per tale valore, risulta 〈X+t1Y,X+t1Y 〉 = 0,per la positivita del prodotto scalare il vettore X + t1Y e nullo: i vettori X e Y sonoquindi linearmente dipendenti.

(2) Siano X,Y ∈ Rn, ponendo t = 1 nell’espressione 7.3 otteniamo:

‖X + Y ‖2= ‖X‖2

+ 2〈X,Y 〉 + ‖Y ‖2.

Applichiamo la disuguaglianza di Cauchy,

−‖X‖ · ‖Y ‖ ≤ 〈X,Y 〉 ≤ ‖X‖ · ‖Y ‖,otteniamo quindi:

‖X‖2 − 2‖X‖ · ‖Y ‖ + ‖Y ‖2 ≤ ‖X + Y ‖2 ≤ ‖X‖2+ 2‖X‖ · ‖Y ‖ + ‖Y ‖2

,

cioe(‖X‖ − ‖Y ‖)2 ≤ ‖X + Y ‖2 ≤ (‖X‖ + ‖Y ‖)2,

da cui ricaviamo la disuguaglianza triangolare

| ‖X‖ − ‖Y ‖ | ≤ ‖X + Y ‖ ≤ ‖X‖ + ‖Y ‖.

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350 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

La disuguaglianza triangolare estende il classico risultato della geometriaeuclidea il quale afferma che in un triangolo ogni lato e minore della sommadegli altri due e maggiore della loro differenza.

Osserviamo che, se X e Y sono vettori non nulli di Rn, la disuguaglianza diCauchy puo essere anche scritta nella seguente forma:

(7.4) −1 ≤ 〈X, Y 〉‖X‖ · ‖Y ‖ ≤ 1,

esiste quindi un unico angolo ϑ, 0 ≤ ϑ ≤ π, che soddisfa la relazione seguente:

(7.5) cos ϑ =〈X, Y 〉

‖X‖ · ‖Y ‖ .

Estendiamo ora ai vettori di Rn le nozioni di angolo formato da due vettori edi perpendicolarita tra vettori:

Definizione 7.3. Fissato in Rn il prodotto scalare standard,

(1) l’angolo convesso ϑ definito dalla 7.5 e detto angolo formato daivettori X e Y ;

(2) due vettori X e Y di Rn si dicono ortogonali, in simboli X ⊥ Y , se esolo se il loro prodotto scalare e nullo:

X ⊥ Y ⇐⇒ 〈X, Y 〉 = 0.

Esempio 7.5. Verifichiamo che i seguenti vettori di R4 sono perpendicolari:

X =

1−121

Y =

−101−1

.

Calcoliamo il loro prodotto scalare:

〈X, Y 〉 = XT · Y =(

1 −1 2 1)

·

−101−1

= −1 + 2 − 1 = 0,

poiche risulta 〈X, Y 〉 = 0 i vettori sono perpendicolari.

Osservazione 7.6.Osserviamo che il vettore nullo di Rn e perpendicolare a tutti i vettori X di Rn:

〈X,0n〉 = XT .0n = x1.0 + x2.0 + .. + xn.0 = 0, ∀X ∈ Rn.

Verifichiamo che e l’unico vettore di Rn perpendicolare a tutti i vettori. Sup-poniamo che Y ∈ Rn sia un vettore che verifica la proprieta suddetta:

〈X, Y 〉 = 0 ∀X ∈ Rn,

in particolare se X = Y risulta 〈Y, Y 〉 = 0, che implica Y = 0n.

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2. BASI ORTOGONALI 351

Osservazione 7.7.Osserviamo, inoltre, che per costruire la geometria euclidea in Rn abbiamousato solo le proprieta di simmetria, bilinearita e positivita del prodotto scalarestandard, quindi e possibile introdurre una struttura metrica in Rn a partire dauna qualsiasi applicazione

〈·, ·〉 : Rn × Rn → R

che soddisfi le proprieta di simmetria, bilinearita e positivita.

2. Basi ortogonali

Nello studio della geometria dello spazio abbiamo visto come sia vantaggiosofissare un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k) di origine

O, cio equivale a fissare nello spazio E3O la base ortonormale B =

{

ı, , k}

data

dai versori degli assi. Ogni vettore −→v =−−→OP ∈ E3

O si scrive in uno e un solomodo nella forma seguente:

−→v = xı + y + zk,

dove gli scalari x, y, e z si ottengono dalle proiezioni ortogonali del punto Psugli assi coordinati. Piu precisamente si ha che

(7.6) x = 〈−→v , ı〉 y = 〈−→v , 〉 z = 〈−→v , k〉.

Ci proponiamo ora di estendere allo spazio Rn tali proprieta.

Definizione 7.4. Fissato in Rn il prodotto scalare standard,

(1) un insieme di vettori non nulli {Y1, ..., Yk}, k ≥ 2, e detto ortogonalese i vettori sono a due a due perpendicolari, cioe

〈Yi, Yj〉 = 0 ∀i 6= j;

(2) un insieme di vettori non nulli {Y1, ..., Yk}, k ≥ 2, e detto ortonormalese e formato da versori a due a due perpendicolari, cioe

〈Yi, Yj〉 = 0 ∀i 6= j, 〈Yi, Yi〉 = 1, ∀i = 1, .., k.

Osservazione 7.8. Osserviamo che e molto semplice trasformare un siste-ma ortogonale in un sistema ortonormale, basta infatti normalizzare ciascunvettore. Piu precisamente, siano {Y1, ..., Yk} un sistema ortogonale di vettoridi Rn, allora ∀i = 1, .., k il vettore 1

‖Yi‖Yi e un versore, inoltre per la bilinearita

del prodotto scalare risulta

〈 1

‖Yi‖Yi,

1

‖Yj‖Yj〉 =

1

‖Yi‖1

‖Yj‖〈Yi, Yj〉 = 0, ∀i 6= j

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352 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

poiche Yi ⊥ Yj , essendo il sistema ortogonale. Possiamo quindi concludere chei vettori

{

1

‖Y1‖Y1, ...,

1

‖Yk‖Yk

}

sono un sistema ortonormale.

Esempio 7.9.

(1) I vettori {e1, e2, e3, e4} della base canonica di R4 sono un insiemeortonormale di R4. Infatti, risulta:

〈e1, e2〉 = 〈e1, e3〉 = 〈e1, e4〉 = 0,

〈e2, e3〉 = 〈e2, e4〉 = 〈e3, e4〉 = 0,

〈e1, e1〉 = 〈e2, e2〉 = 〈e3, e3〉 = 〈e4, e4〉 = 1.

(2) I vettori {e1, e2, ...,en} della base canonica di Rn sono un sistemaortonormale di Rn, infatti si ha:

〈ei, ej〉 = 0 i 6= j 〈ei, ei〉 = 1, ∀i = 1, 2, .., n.

(3) I vettori

u1 =

1−11

, u2 =

10−1

, u3 =

121

sono un insieme ortogonale in R3. Per ottenere un insieme ortonor-male, basta normalizzare ogni vettore dividendolo per la sua norma;otteniamo il sistema di vettori formato da:

w1 =

1√3

− 1√3

1√3

, w2 =

1√2

0− 1√

2

, w3 =

1√6

2√6

1√6

.

Ricordiamo che tre vettori nello spazio, a due e due ortogonali, sono li-nearmente indipendenti. Questa proprieta si estende ai sistemi ortogonali diRn:

Proprieta 7.3. Se {Y1, . . . , Yk} sono un insieme ortogonale di Rn, conk ≥ 2, allora i vettori sono linearmente indipendenti.

Dimostrazione. Supponiamo che esista una combinazione lineare dei vettoriY1, .., Yk che da il vettore nullo:

a1Y1 + a2Y + ... + akYk = 0n.

Osserviamo che per ogni i = 1, .., k risulta

〈a1Y1 + a2Y + ... + akYk, Yi〉 = 〈0n, Yi〉 = 0,

poiche il vettore nullo e perpendicolare a tutti i vettori. Inoltre, per le proprieta dibilinearita del prodotto scalare, per ogni i = 1, ..., k, risulta:

〈a1Y1 + ... + akYk, Yi〉 = a1〈Y1, Yi〉 + ... + ai〈Yi, Yi〉 + ... + ak〈Yk, Yi〉,

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2. BASI ORTOGONALI 353

ma poiche Yj ⊥ Yi, per ogni j 6= i, si ha 〈Yj , Yi〉 = 0 e quindi risulta:

0 = 〈a1Y1 + ... + akYk, Yi〉 = ai〈Yi, Yi〉.Poiche Yi 6= 0n, si ha 〈Yi, Yi〉 6= 0, quindi risulta necessariamente ai = 0, ∀i = 1, .., k.Otteniamo che tutti gli scalari a1, .., ak sono nulli e possiamo concludere che i vettorisono linearmente indipendenti. �

Osservazione 7.10. Un sistema ortogonale di n vettori di Rn e una basedi Rn!!!

Estendiamo infine la nozione di base ortogonale e ortonormale ai sottospazidi Rn:

Definizione 7.5. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia V ⊂ Rn

un sottospazio non nullo.

(1) una base ortogonale di V e una base di V che e un sistema ortogonaledi Rn;

(2) una base ortonormale di V e una base di V che e un sistemaortonormale di Rn.

Osservazione 7.11. Osserviamo che la base canonica {e1, ..,en} di Rn euna base ortonormale di Rn, rispetto al prodotto scalare standard.

Esempio 7.12. Fissato in R4 il prodotto scalare standard, consideriamo ilsottospazio V ⊂ R4 di equazioni:

x − y = z + t = 0.

Sia Y ∈ R4, si ha:

Y =

xyzt

∈ V ⇐⇒ y = x t = −z.

Risulta quindi

V =

Y =

xxz−z

| x ∈ R, z ∈ R

.

Osserviamo che ogni vettore Y ∈ V puo essere scritto nella forma:

Y = x

1100

+ z

001−1

, x ∈ R, z ∈ R,

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354 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

per cui possiamo concludere che

V = Span(Y1, Y2), Y1 =

1100

, Y2 =

001−1

.

Verifichiamo che {Y1, Y2} sono una base ortogonale per V . Poiche risulta

〈Y1, Y2〉 = Y1T .Y2 =

(

1 1 0 0)

.

001−1

= 1.0 + 1.0 + 0.1 + 0.(−1) = 0,

i vettori sono perpendicolari, quindi sono una base ortogonale di V . Calcoliamola norma dei vettori della base:

‖Y1‖ =√

12 + 12 + 02 + 02 =√

2,

‖Y2‖ =√

02 + 02 + 12 + (−1)2 =√

2.

Una base ortonormale di V si ottiene normalizzando i vettori Y1 e Y2:{

1√2Y1,

1√2Y2

}

.

Fissato il prodotto scalare standard in Rn , sia V ⊂ Rn un sottospazionon nullo. Vediamo ora quali sono i vantaggi nel fissare una base ortogonaleo ortonormale in V . Sia BV = {Y1, Y2, .., Yh} una base ortogonale di V . Ciproponiamo di determinare le coordinate di un vettore Y ∈ V , rispetto allabase BV . Sappiamo che Y ammette un ’unica scrittura come combinazionelineare dei vettori Y1, .., Yh:

Y = a1Y1 + a2Y2 + ... + ahYh,

con ai ∈ R, i = 1, .., h. Per ogni i = 1, .., h, calcoliamo il prodotto scalare〈Y, Yi〉, per la linearita del prodotto scalare risulta:

〈Y, Yi〉 = a1〈Y1, Yi〉 + ... + ai〈Yi, Yi〉 + .. + ah〈Yh, Yi〉 = ai〈Yi, Yi〉,poiche Yj ⊥ Yi, per j 6= i. Possiamo quindi ricavare la i−esima coordinata diY , i = 1, .., h:

(7.7) ai =〈Y, Yi〉〈Yi, Yi〉

,

detta anche coefficiente di Fourier del vettore Y rispetto alla base ortogonaleBV .

Il vettore 〈Y,Yi〉〈Yi,Yi〉Yi e detto vettore proiezione ortogonale del vettore Y su

Span(Yi), per ogni i = 1, ..h.Abbiamo quindi verificato la seguente proprieta:

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2. BASI ORTOGONALI 355

Proprieta 7.4. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia

BV = {Y1, Y2, .., Yh}una base ortogonale di un sottospazio V ⊂ Rn. Allora ∀ Y ∈ V , Y ammette laseguente scrittura:

(7.8) Y =〈Y, Y1〉〈Y1, Y1〉

Y1 +〈Y, Y2〉〈Y2, Y2〉

Y2 + ... +〈Y, Yh〉〈Yh, Yh〉

Yh,

cioe Y e la sommma delle sue proiezioni ortogonali ripettivamente lungo ciascunvettore Yi della base, i = 1, .., h.

In particolare, se fissiamo in V una base ortonormale, otteniamo:

Corollario 7.5. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia BV ={Y1, Y2, .., Yh} una base ortonormale di un sottospazio V ⊂ Rn. Allora ognivettore Y ∈ V ammette la seguente scrittura:

(7.9) Y = 〈Y, Y1〉Y1 + 〈Y, Y2〉Y2 + ... + 〈Y, Yh〉Yh.

Se fissiamo una base ortonormale in V , possiamo generalizzare le regole dicalcolo della geometria euclidea. Abbiamo infatti la seguente:

Proprieta 7.6. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, siano V ⊂ Rn

un sottospazio e BV = {Y1, Y2, .., Yh} una base ortonormale di V .

(1) se Y = a1Y1 + ... + ahYh e Z = b1Y1 + ... + bhYh, allora si ha:

〈Y, Z〉 = a1b1 + ... + ahbh;

(2) se Y = a1Y1 + ... + ahYh,

‖Y ‖2 = a21 + a2

2 + ... + a2h,

detta Teorema di Pitagora generalizzato.

Dimostrazione.

(1) Calcoliamo il prodotto scalare e applichiamo le proprieta di bilinearita:

〈Y,Z〉 = 〈a1Y1 + ... + ahYh, b1Y1 + ... + bhYh〉 =h∑

i,j=1

aibj〈Yi, Yj〉,

poiche la base e ortonormale risulta

〈Yi, Yj〉 = 0 ∀i 6= j, 〈Yi, Yi〉 = 1,∀i = 1, .., h;

sostituendo nel prodotto scalare 〈Y,Z〉 otteniamo:

〈Y,Z〉 = a1b1 + a2b2 + .. + ahbh.

(2) La formula di Pitagora si ottiene semplicemente ponendo Y = Z. �

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356 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Esempio 7.13. Consideriamo la base canonica B = {e1, ..,en} di Rn. Ab-biamo verificato che e una base ortonormale rispetto al prodotto scalare stan-

dard di Rn. Sia Y =

y1

y2...

yn

∈ Rn, allora Y ammette l’unica scrittura

Y = y1e1 + y2e2 + ... + ynen,

come combinazione lineare dei vettori della base B. Per quanto abbiamo vistosopra, risulta:

yi = 〈Y, ei〉,ed il vettore yiei e la proiezione ortogonale di Y lungo Span(ei).

A questo punto e naturale chiedersi, fissati il prodotto scalare standard inRn e un sottospazio non nullo V ⊂ Rn, esiste sempre una base ortogonale inV ?

La risposta alla domanda e affermativa ed e conseguenza dell’esistenza diun algoritmo che permette di trasformare un sistema di vettori indipendenti diRn in un sistema ortogonale di vettori di Rn, conservando i sottospazi generatida tali vettori.

Teorema 7.7. (Metodo di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt)Fissato in Rn il prodotto scalare standard, siano {Y1, Y2, ..., Yh}, 2 ≤ h ≤ n,vettori linearmente indipendenti in Rn. Esistono h vettori {X1, .., Xh} ∈ Rn

con le seguenti proprieta:

(1) Span (Y1, ..., Yi) = Span (X1, ..., Xi), ∀ i = 1, 2, ..., h;(2) Xi ⊥ Xj ∀ i 6= j.

Per ogni i = 2, .., h, il vettore Xi si ottiene sottraendo dal vettore Yi le sueproiezioni ortogonali rispettivamente sui vettori X1,..,Xi−1.

Dimostriamo come funziona l’algoritmo per h = 2 e h = 3.Se h = 2, abbiamo due vettori linearmente indipendenti {Y1, Y2}. Cerchiamo unacoppia di vettori perpendicolari {X1,X2} tali che:

(1) X1 ∈ Span(Y1),(2) Span(X1,X2) = Span(Y1, Y2).

Possiamo scegliereX1 = Y1,

ora cerchiamo X2 ∈ Span(Y1, Y2) = Span(X1, Y2), tale che X2 ⊥ X1. Osserviamo cheil sottospazio Span(X1, Y2) ha dimensione 2, quindi e isomorfo a R2: sappiamo che nelpiano esiste un’unica direzione ortogonale a X1. Poiche Y2 e somma delle sue proiezioniortogonali lungo la direzione di X1 e la direzione ortogonale, sapendo che la proiezioneortogonale di Y2 su Span(X1) e la seguente:

〈Y2,X1〉〈X1,X1〉

X1,

possiamo concludere che il vettore

Y2 −〈Y2,X1〉〈X1,X1〉

X1 ∈ Span(X1, Y2),

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2. BASI ORTOGONALI 357

ha la direzione cercata. Infatti, per la linearita del prodotto scalare risulta:⟨

Y2 −〈Y2,X1〉〈X1,X1〉

X1,X1

= 〈Y2,X1〉 −〈Y2,X1〉〈X1,X1〉

〈X1,X1〉

= 〈Y2,X1〉 − 〈Y2,X1〉 = 0.

Possiamo scegliere quindi

X2 = Y2 −〈Y2,X1〉〈X1,X1〉

X1,

e ottenere un sistema ortogonale che soddisfa (1) e (2).Se h = 3, abbiamo tre vettori linearmente indipendenti {Y1, Y2, Y3}. Cerchiamo un

sistema di vettori {X1,X2,X3}, a due a due perpendicolari, tali che:

(1) X1 ∈ Span(Y1),(2) Span(X1,X2) = Span(Y1, Y2),(3) Span(X1,X2,X3) = Span(Y1, Y2, Y3).

Per il passo precedente, possiamo scegliere:

X1 = Y1, X2 = Y2 −〈Y2,X1〉〈X1,X1〉

X1 ∈ Span(X1, Y2),

{X1,X2} e un sistema ortogonale e soddisfa le condizioni (1) e (2). Osserviamo che ilsottospazio Span(X1,X2, Y3) ha dimensione 3, quindi e isomorfo a R3: sappiamo chenello spazio esiste un’unica direzione ortogonale ad un piano assegnato. Il vettore Y3 e lasomma delle sue proiezioni ortogonali rispettivamente su Span(X1,X2) e sulla direzioneortogonale, la proiezione ortogonale di Y3 su Span(X1,X2) si ottiene sommando leproiezioni ortogonali su Span(X1) e Span(X2):

〈Y3,X1〉〈X1,X1〉

X1 +〈Y3,X2〉〈X2,X2〉

X2.

Possiamo quindi concludere che il vettore

Y3 −( 〈Y3,X1〉〈X1,X1〉

X1 +〈Y3,X2〉〈X2,X2〉

X2

)

,

ha la direzione cercata. Infatti, per la linearita del prodotto scalare risulta:⟨

Y3 −〈Y3,X1〉〈X1,X1〉

X1 −〈Y3,X2〉〈X2,X2〉

X2,X1

= 〈Y3,X1〉 −〈Y3,X1〉〈X1,X1〉

〈X1,X1〉 = 0,

Y3 −〈Y3,X1〉〈X1,X1〉

X1 −〈Y3,X2〉〈X2,X2〉

X2,X2

= 〈Y3,X2〉 −〈Y3,X2〉〈X2,X2〉

〈X2,X2〉 = 0.

Possiamo quindi scegliere

X3 = Y3 − (〈Y3,X1〉〈X1,X1〉

X1 +〈Y3,X2〉〈X2,X2〉

X2),

e ottenere un sistema ortogonale che soddisfa (1), (2) e (3).

Esempio 7.14. Fissato in R4 il prodotto scalare standard, consideriamo ilseguente sottospazio di R4:

V =

Y =

xyzt

∈ R4 : x + y + z + t = 0

.

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358 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Osserviamo che i vettori

Y1 =

1−100

, Y2 =

01−10

, Y3 =

010−1

costituiscono una base B di V . Vogliamo costruire a partire da B una baseortogonale di V . Poniamo:

X1 = Y1.

Calcoliamo la proiezione ortogonale di Y2 lungo X1. Calcoliamo dapprima iseguenti prodotti scalari:

〈X1, X1〉 = 12 + (−1)2 = 2 〈Y2, X1〉 = 1.0 + (−1).1 + 0.(−1) + 0.0 = −1,

la proiezione ortogonale di Y2 lungo X1 e la seguente:

〈Y2, X1〉〈X1, X1〉

X1 = −1

2X1.

Allora il secondo vettore della base ortogonale si ottiene sottraendo a Y2 laproiezione ortogonale lungo X1:

X2 = Y2 +1

2X1 =

01−10

+1

2

1−100

=

1212−10

.

Calcoliamo ora le proiezioni ortogonali di Y3 lungo X1 e X2. Calcoliamodapprima i seguenti prodotti scalari:

〈Y3, X1〉 = 1.0 + (−1).1 + 0.0 + 0.(−1) = −1,

〈Y3, X2〉 = 0.(1

2) + 1.(

1

2) + 0.(−1) + (−1).0 =

1

2,

〈X2, X2〉 =1

4+

1

4+ 1 =

6

4.

La proiezione ortogonale di Y3 lungo X1 e la seguente:

〈Y3, X1〉〈X1, X1〉

X1 = −1

2X1.

La proiezione ortogonale di Y3 lungo X2 e la seguente:

〈Y3, X2〉〈X2, X2〉

X2 =1

3X2.

Infine il terzo vettore della base ortogonale di V si ottiene sottraendo da Y3 leproiezioni del vettore su X1 e X2:

X3 = Y3 +1

2X1 −

1

3X2 =

010−1

+1

2

1−100

− 1

3

1212−10

=

131313−1

.

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2. BASI ORTOGONALI 359

Verifichiamo che i vettori {X1, X2, X3} sono un sistema ortogonale di R4. Ri-sulta:

〈X1, X2〉 =1

2− 1

2= 0,

〈X1, X3〉 =1

3− 1

3= 0,

〈X2, X3〉 =1

6+

1

6− 1

3= 0.

Abbiamo trovato una base ortogonale di V .Se vogliamo determinare una base ortonormale per V , basta normalizzare

i vettori della base ortogonale. Calcoliamo a tal fine la norma dei vettori dellabase:

‖X1‖ =√

〈X1, X1〉 =√

2,

‖X2‖ =√

〈X2, X2〉 =

3

2;

‖X3‖ =√

〈X3, X3〉 =

1

9+

1

9+

1

9+ 1 =

4

3.

Una base ortonormale per V e la seguente:{

1√2X1,

2

3X2,

3

4X3

}

.

Come conseguenza immediata del processo di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt si hanno i seguenti risultati:

Corollario 7.8. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia V ⊂ Rn

un sottospazio vettoriale non nullo, esiste in V una base ortonormale.

Corollario 7.9. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia {Y1, .., Yr}un sistema ortogonale di r ≤ n vettori di Rn. Esiste una base ortogonale di Rn

contenente i vettori {Y1, .., Yr}.

Dimostrazione. Aggiungiamo n − r vettori a {Y1, .., Yr} fino ad ottenere unabase di Rn:

{Y1, .., Yr, Yr+1, .., Yn} .

Applichiamo ora il processo di ortogonalizzazione di Gram-Schimdt, abbiamo una baseortogonale di Rn

{X1, ...,Xn} .

Poiche per ogni i = 2, .., n, il vettore Xi si ottiene sottraendo dal vettore Yi le sueproiezioni ortogonali rispettivamente sui vettori X1,..,Xi−1, risulta:

Xi = Yi, ∀i = 1, .., r,

quindi la base trovata contiene i vettori {Y1, .., Yr}. �

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360 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

3. Matrici ortogonali.

Come abbiamo visto nel paragrafo 2, l’uso di basi ortonormali puo aiuta-re a semplificare i calcoli (Proprieta 7.6), oltre che ad essere utile per analisiteoriche. Ci chiediamo ora se il cambio di base in questo caso presenta alcu-ne strutture speciali. Per rispondere a questo, analizzeremo quella particolareclasse di matrici invertibili che risponde al nostro scopo.

Per esempio, consideriamo lo spazio E2O e la sua base canonica B = {ı, };

possiamo cambiare la base “ruotando” i vettori, ma mantenendo la loro orto-gonalita.

Per esempio, possiamo usare la nuova base ortogonale B′ = {−→u 1,−→u 2}, con−→u 1 = ı + e −→u 2 = −ı + , si verifica facilmente che −→u 1 ⊥ −→u 2. Per avere una

base ortonormale, basta dividere ciascun vettore −→u i per il suo modulo: B′′ ={−→u 1/

√2,−→u 2/

√2}

, e si osserva subito che la nuova base si ottiene ruotando labase originale in senso antiorario di π/4.

La matrice del cambio di base fra B′′ e B si ottiene mettendo in colonna lecoordinate dei vettori di B′′ nella base B:

(7.10) A =1√2

(

1 −11 1

)

=

(√2

2 −√

22√

22

√2

2

)

;

le coordinate di un qualunque vettore −→v di E2O sono date dalla seguente rela-

zione

(7.11) X = AX ′′,

dove X = [−→v ]B e X ′′ = [−→v ]B′′ . La matrice inversa si puo ottenere osservandoche la base B e ruotata di un angolo π/4 in senso orario rispetto a B′; si ottiene

(7.12) A′ = A−1 =

( √2

2

√2

2

−√

22

√2

2

)

.

Ripetendo lo stesso percorso con un angolo di rotazione differente, peresempio π/6, otteniamo le due matrici B e B′ di cambio di base diretta einversa:

(7.13) B =

(√3

2 −12

12

√3

2

)

B′ =

(√3

212

−12

√3

2

)

Osserviamo che la matrice inversa di trasfomazione si ottiene molto facil-mente da quella originaria: in effetti, e la sua trasposta; ma per potere esseresicuri del risultato, e per estenderlo anche a spazi n-dimensionali, dobbiamo,come al solito, procedere formalizzando il problema.

Iniziamo a caratterizzare quelle matrici che si comportano come sopra, ossiaquelle la cui trasposta coincide con l’inversa. Questo si ottiene con la seguente

Definizione 7.6. Una matrice Q ∈ GL(n, R) e detta matrice ortogonale diordine n se

(7.14) QT = Q−1 ,

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3. MATRICI ORTOGONALI. 361

ossia se

(7.15) QQT = QT Q = In .

L’insieme delle matrici ortogonali di ordine n e indicato con O(n).

Vale la pena di notare subito alcune proprieta caratteristiche.

Osservazione 7.15. La matrice identita In e ortogonale per qualunque n.

Osservazione 7.16. Se Q ∈ O(n), allora Q−1 = QT ∈ O(n).

Dimostrazione. Banali entrambe le affermazioni: la prima si verifica im-mediatamente, la seconda e conseguenza immediata del fatto che (QT)T = Q,per qualunque matrice Q. �

Osservazione 7.17. L’insieme O(n) e un gruppo rispetto all’operazione dimoltiplicazione fra matrici, ed e pertanto un sottogruppo di GL(n, R)

Dimostrazione. L’identita e nell’insieme (vedi osservazione 7.15); quindi O(n)contiene l’elemento neutro; inoltre, per ogni elemento il suo opposto si trova ancoranell’insieme (vedi osservazione 7.16). Basta vedere che l’insieme e chiuso rispetto allamoltiplicazione; se Q1, Q2 ∈ O(n), allora il loro prodotto P e in O(n). Infatti

PPT = (Q1Q2)(Q1Q2)T = (Q1Q2)(Q

T2 QT

1 )

= Q1(Q2QT2 )QT

1 = Q1InQT1 = Q1Q

T1 = In

e lo stesso vale per PTP . �

Le matrici A, A′, B, B′ riportate sopra (7.10,7.12,7.13) sono tutte matriciortogonali. Vediamo anche altri esempi.

Esempio 7.18.

(1) La matrice

Q1 =

0 −1 01 0 00 0 −1

e ortogonale di ordine 3.(2) La matrice

Q2 =

0 −1 0 01 0 0 0

0 0 12

√3

2

0 0√

32 −1

2

e ortogonale di ordine 4.(3) La matrice dell’esempio 6.4 nel capitolo 6

Q3 =

0 −√

22

√2

2√2

212

12

−√

22

12

12

e ortogonale di ordine 3.

Lasciamo allo studente il compito di verificare le affermazioni.

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362 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Una condizione necessaria caratterizza tutte le matrici ortogonali:

Proposizione 7.10. Se Q ∈ O(n) allora det(Q) = ±1.

Dimostrazione. E una conseguenza immediata del teorema di Binet (3.16)e del teorema del determinante della matrice trasposta. Infatti, se Q e ortogo-nale:

1 = det(In) = det(QQT) = det(Q) det(QT) = det(Q) det(Q) = (det(Q))2

Da cui, estraendo la radice, det(Q) = ±1. �

La condizione non e affatto sufficiente: basta considerare la matrice

A =

(

1 10 1

)

;

si verifica immediatamente che det(A) = 1 (e triangolare), ma

AAT =

(

1 10 1

)(

1 01 1

)

=

(

2 11 1

)

6= In ,

quindi A non e ortogonale.Una condizione necessaria, per quanto utile in molti casi, non ci basta.

Vogliamo una caratterizzazione piu forte, quindi una condizione necessaria esufficiente, ossia un’equivalenza. Questa ci viene fornita dalla seguente

Proprieta 7.11. Sia Q ∈ GL(n, R) una matrice reale invertibile di or-dine n. Allora Q e ortogonale se e solo se le sue colonne sono un insiemeortonormale di vettori di Rn.

Dimostrazione. Calcoliamo il prodotto QTQ. Ricordiamo che l’elemento (QTQ)i,j ,di posto i, j, della matrice prodotto QTQ si ottiene moltiplicando la riga i-esima di QT

con la colonna j-esima di Q. Poiche la i-esima riga di QT e la trasposta della i-esimacolonna di Q, l’elemento (QTQ)i,j si ottiene calcolando il prodotto scalare standard deivettori colonna Qi e Qj :

(7.16) (QTQ)i,j = (QT)iQj = (Qi)TQj = 〈Qi, Qj〉.

Se Q e ortogonale, allora QTQ = In, quindi

(7.17) (QTQ)ij = (In)i,j =

{

1 i = j

0 i 6= j

ossia, i vettori colonna sono un’insieme ortonormale. Viceversa, se i vettori colonnasono ortonormali, vale la relazione 7.17, quindi QQT = In, ossia Q e ortogonale. �

Analogo procedimento, applicato a QQT permette di mostrare anche un’af-fermazione analoga sulle righe:

Proprieta 7.12. Sia Q ∈ GL(n, R) una matrice reale invertibile di ordinen. Allora Q e ortogonale se e solo se le sue righe sono un insieme ortonormalein Rn.

Conseguenza immediata della proprieta 7.11

Corollario 7.13. Sia Q ∈ O(n), allora le colonne di Q sono una baseortonormale di Rn.

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3. MATRICI ORTOGONALI. 363

Possiamo ora esprimere il legame fra le matrici ortogonali e le matrici dicambio di base fra basi ortonormali.

Proposizione 7.14. Sia Q ∈ GL(n, R) una matrice reale invertibile diordine n. Allora

(1) Q e ortogonale se se solo se realizza un cambiamento di basi ortonor-mali in Rn.

(2) Q e ortogonale se se solo se conserva il prodotto scalare standard, cioe

〈QX, QY 〉 = 〈X, Y 〉 ∀X, Y ∈ Rn.

Dimostrazione.

(1) Verifichiamo che se Q realizza il cambio di base dell’enunciato, allora Q ∈ O(n).Siano B = {w1, . . . ,wn} e B′ = {w′

1, . . . ,w′n} due basi ortonormali di Rn; sia Q ∈

GL(n, R) la matrice di cambio di base, ossia la i-esima colonna di Q e [w′i]B, vale a dire

la rappresentazione dell’i-esimo vettore della base B′ nella base B:

(7.18) w′i = q1iw1 + q2iw2 + . . . qniwn .

Usando la (7.18) per il vettore w′j ∈ B′, e sfruttando la formula per il calcolo del

prodotto scalare in una base ortonormale, 7.6, possiamo scrivere, se i 6= j:

0 = 〈w′i,w

′j〉 = q1iq1j + q2iq2j + . . . qniqnj

= 〈Qi, Qj〉 ;(7.19)

inoltre, se i = j, la precedente scrittura si modifica in

1 = 〈w′i,w

′i〉 = q1iq1i + q2iq2i + . . . qniqni

= q21i + q2

2i + . . . q2ni

= 〈Qi, Qi〉 .

(7.20)

In altre parole, le colonne di Q sono un insieme ortonormale, e, pertanto Q eortogonale, in base alla condizione espressa dalla 7.11.

Viceversa, se Q e ortogonale, le sue colonne sono una base ortonormale di Rn

(corollario 7.13), ossia Q e la matrice di cambio di base fra la base canonica, che eortonormale, e B′, anch’essa ortonormale.

(2) La proprieta enunciata si riferisce all’operatore lineare Rn → Rn definito dallamatrice Q: X → Q.X. Sia Q ∈ O(n), per qualunque X,Y in Rn, si ha:

(7.21) 〈QX,QY 〉 = (QX)TQY = XTQTQY = XTInY = XT, Y = 〈X,Y 〉.Viceversa, se il prodotto scalare viene conservato, consideriamo i vettori della base

standard di Rn, B0 = {e1,e2 . . . en}; possiamo interpretare i vettori colonna dellamatrice Q come i trasformati secondo l’operatore lineare associato alla matrice stessadei vettori di B0:

Qi = [LQ(ei)]B0.

Ora, il prodotto scalare si conserva, percio

(Qi)TQj = 〈Qi, Qj〉 = 〈Q(ei), 〈Q(ej)〉 = 〈ei,ej〉,cioe i vettori colonna sono un insieme ortonormale, quindi Q e ortogonale (proposizione7.11). �

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364 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Tornando agli esempi fatti all’inizio del paragrafo, ci chiediamo ora se siapossibile caratterizzare ulteriormente le matrici ortogonali di ordine 2 e 3; ilmaggiore interesse verso queste risiede nel fatto che descrivere applicazioni li-neari in E2

O ed E3O, che si prestano ad essere visualizzate geometricamente.

Cominceremo con le matrici di ordine 2: per esse, vale la seguente

Proposizione 7.15. Le matrici O(2) sono tutte e sole quelle che hannouna delle seguenti forme:

(7.22) Qp =

(

cos ϑ − sinϑsinϑ cos ϑ

)

Qm =

(

cos ϑ sinϑsinϑ − cos ϑ

)

con ϑ ∈ [0, 2π) .

Dimostrazione. Verifichiamo che se le matrici hanno la forma della (7.22) sonoortogonali. Anzitutto, osserviamo che

det(Qp) = cos2 ϑ − (− sin2 ϑ) = cos2 ϑ + sin2 ϑ = 1

e

det(Qm) = cos2 ϑ − sin2 ϑ = −1

per qualunque valore di ϑ; la condizione necessaria (7.10) e verificata. Inoltre,

〈(Qp)1, (Qp)

2〉 = cos ϑ(− sin ϑ) + sin ϑ cos ϑ = 0(7.23a)

〈(Qp)1, (Qp)

1〉 = (cos ϑ)2 + (sin ϑ)2 = 1(7.23b)

〈(Qp)2, (Qp)

2〉 = (cos ϑ)2 + (− sin ϑ)2 = 1 ,(7.23c)

ossia, le colonne di Qp sono un insieme di vettori ortonormali, quindi Qp ∈ O(2)(proprieta 7.11); analogamente, otteniamo che anche Qm e ortogonale.

Vediamo l’altra implicazione; sia

Q =

(

a11 a12

a21 a22

)

∈ O(2)

una matrice ortogonale. Le condizioni della proprieta 7.11 continuano a valere; questeimpongono

〈Q1, Q2〉 = a11a12 + a21a22 = 0(7.24a)

〈Q1, Q1〉 = (a11)2 + (a21)

2 = 1(7.24b)

〈Q2, Q2〉 = (a12)2 + (a22)

2 = 1(7.24c)

Le ultime due equazioni (7.24b,7.24c) permettono di affermare che esistono due angoliϑ e ϕ tali che

a11 = cos ϑ a21 = sin ϑ(7.25a)

a12 = cos ϕ a22 = sinϕ(7.25b)

inoltre, la prima equazione (7.24a) diventa

cos ϑ cos ϕ + sin ϑ sin ϕ = cos(ϕ − ϑ) = 0 ,

ossia, ϕ = ϑ + k π2 con k ∈ Z. Per quanto riguarda la struttura della matrice Q non

perdiamo in generalita se ci limitiamo ai valori ϕ = ϑ ± π2 .

Ora, con ϕ = ϑ + π2 , abbiamo

Q =

(

cos ϑ cos(ϑ + π2 )

sinϑ sin(ϑ + π2 )

)

=

(

cos ϑ − sin ϑsinϑ cos ϑ

)

,

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3. MATRICI ORTOGONALI. 365

che e la struttura della matrice Q1. Invece, con ϕ = ϑ − π2 , abbiamo

Q =

(

cos ϑ cos(ϑ − π2 )

sinϑ sin(ϑ − π2 )

)

=

(

cos ϑ sin ϑsin ϑ − cos ϑ

)

= Qm .

Quindi, se Q e ortogonale, ha la forma data nella (7.22) �

A questo punto risulta immediata l’interpretazione geometrica:

Osservazione 7.19. Dal punto di vista geometrico:

(1) sia Qp ∈ O(2) come in (7.22); la matrice Qp descrive un’operatore dirotazione di un angolo ϑ antiorario (se ϑ > 0) dei vettori. Notiamoche in questo caso det(Qp) = 1.

(2) Sia Qn ∈ O(2) come in (7.22); la matrice descrive un’operatore disimmetria rispetto alla retta Span(−→u ), con −→u che forma un angolo ϑ

2rispetto a ı (l’angolo viene contato positivamente in senso antiorario).Alternativamente, si puo interpretare l’operatore come una rotazionedi un angolo ϑ come nel primo caso, composta con una inversionerispetto alla direzione del vettore ı ruotato. Notiamo che stavoltadet(Qm) = −1.

Quest’ultima osservazione ci mostra che il segno del determinante giocaun ruolo importante. In effetti, le matrici ortogonali a determinante positivoformano un sottogruppo: ha senso quindi dare la seguente

Definizione 7.7. Una matrice Q ∈ O(n) viene detta ortogonale speciale sedet(Q) = +1. L’insieme delle matrici ortogonali speciale viene denotato con ilsimbolo SO(n), ossia

SO(n) = {Q ∈ O(n) | det(Q) = +1} .

Lasciamo allo studente il compito di verificare che effettivamente SO(n) eun sottogruppo di O(n). Osserviamo comunque che le matrici con determinantenegativo non sono un sottogruppo: infatti, se det(Q1) = −1 e det(Q2) = −1, illoro prodotto ha determinante det(Q1) det(Q2) = (−1)(−1) = +1, e l’insiemenon e chiuso rispetto alla moltiplicazione.

Inoltre, per le matrici ortogonali di ordine 2, abbiamo un legame molto fortefra la diagonalizzabilita ed il segno del determinante. Vediamolo nel dettaglio:

Proposizione 7.16. Siano Qp, Qn ∈ O(2) le matrici ortogonali delle e-quazioni (7.22) introdotte nella Proposizione 7.15. La matrice Qn ha sempredue autovalori distinti reali λ1,2 = ±1, e, quindi e sempre diagonalizzabile. Lamatrice Qp ha autovalori reali se e solo se ϑ = 0 oppure ϑ = π; in tale caso lamatrice e diagonalizzabile, altrimenti, non ammette autovalori reali.

Dimostrazione. Basta effettuare il calcolo. Cominciamo con Qn; calcoliamo ilpolinomio caratteristico

pQn(λ) = det(Qn − λI) =

cos ϑ − λ sinϑsin ϑ − cos ϑ − λ

= −(cos ϑ + λ)(cos ϑ − λ) − sin2 ϑ = −(cos2 ϑ − λ2) − sin2 ϑ

= λ2 − cos2 ϑ − sin2 ϑ

= λ2 − 1 .

(7.26)

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366 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Chiaramente, per qualunque valore di ϑ, il polinomio caratteristico ha due radici,λ1 = −1 e λ2 = +1, entrambe con molteplicita algebrica unitaria. La matrice Qn

e di ordine 2, quindi questo basta per dire che e diagonalizzabile (Teorema 6.13: 2autovalori distinti).

Vediamo invece il caso di Qp. Calcoliamo anche per essa il polinomio caratteristico

pQp(λ) = det(Qp − λI) =

cos ϑ − λ − sin ϑsin ϑ cos ϑ − λ

+ (cos ϑ − λ)2 + sin2 ϑ ;

(7.27)

ora, osserviamo che pQp(λ) e la somma di due quantita al quadrato, quindi in campo

reale si puo annullare solo quando entrambe le quantita sono nulle. Cio siginifica che ilpolinomio caratteristico puo avere radici reali solo se sinϑ = 0, ossia se ϑ = 0 oppureϑ = π; nel primo caso, le radici di pQp

(λ) si trovano per (cos(0) − λa) = 0, ossia perλa = 1. Nel secondo caso, per (cos(π) − λb) = 0, ossia per λb = −1.

In entrambi i casi, la radice e doppia; tuttavia, la matrice Qp diventa, nei due casi:

(7.28) Qp(ϑ = 0) =

(

1 00 1

)

Qp(ϑ = π) =

(

−1 00 −1

)

;

cioe la matrice e diagonale, quindi banalmente diagonalizzabile. �

A proposito degli autovalori di una matrice ortogonale qualunque, possiamosubito riportare la seguente

Osservazione 7.20. Sia A una matrice ortogonale di ordine n. Se α ∈ R eun autovalore di A, allora |α| = 1.

Dimostrazione. Sia X ∈ Rn un autovettore di A associato all’autovalore α,poiche A e ortogonale si ha:

〈X,X〉 = 〈AX,AX〉 = 〈αX,αX〉 = α2〈X,X〉.Otteniamo

(1 − α2)〈X,X〉 = 0,

poiche X e un autovettore, 〈X,X〉 6= 0, per cui necessariamente

α2 = 1.

Possiamo dire qualcosa anche sulle matrici ortogonali di ordine 3? Lastruttura non e piu cosı semplice, si veda l’appendice.

4. Appendice: Complemento ortogonale di un sottospazio

Studiando la geometria euclidea abbiamo parlato di piano ortogonale aduna retta nello spazio, o di retta normale ad un piano. Ci proponiamo di gene-ralizzare tali concetti allo spazio Rn, introducendo il complemento ortogonaledi un sottospazio.

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4. APPENDICE: COMPLEMENTO ORTOGONALE DI UN SOTTOSPAZIO 367

Definizione 7.8. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia S ⊂ Rn

un sottoinsieme non vuoto. Chiamiamo insieme ortogonale di S il seguentesottoinsieme di Rn:

S⊥ = {Y ∈ Rn : Y ⊥ X , ∀ X ∈ S } = {Y ∈ Rn : 〈Y, X〉 = 0, ∀ X ∈ S } .

Esempio 7.21.

(1) Se S = {0n}, allora S⊥ = Rn, perche ogni vettore X ∈ Rn e perpen-dicolare al vettore nullo.

(2) Se S = Rn, allora S⊥ = {0n}, perche l’unico vettore ortogonale a tuttii vettori di Rn e il vettore nullo.

(3) Siano v ∈ R3 un vettore non nullo e S = {v}. L’insieme S⊥ e il pianoper l’origine perpendicolare a v. Sia V = Span(v), la retta generatada v, allora risulta V ⊥ = S⊥.

(4) Sia S = {u1, u2}, formato da due vettori linearmente indipendentiin R3. L’ insieme S⊥ e la retta per l’origine di direzione u1 ∧ u2.Consideriamo il piano V = Span(u1, u2), allora risulta V ⊥ = S⊥ e laretta per l’origine perpendicolare a V .

In generale, l’insieme ortogonale di un sottoinsieme soddisfa le seguentiproprieta:

Proprieta 7.17. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia S ⊂ Rn

un sottoinsieme non vuoto.

(1) S⊥ e un sottospazio vettoriale di Rn,(2) S ∩ S⊥ = {0n},(3) se S1 ⊂ S2, allora S⊥

2 ⊂ S⊥1 ,

(4) siano S = {X1, .., Xs} e V = Span(S): allora S⊥ = V ⊥.

Dimostrazione. (1) Proviamo che S⊥ e chiuso rispetto alla somma. Siano Y1, Y2 ∈S⊥, per la linearita del prodotto scalare e poiche i vettori Y1 e Y2 sono perpendicolaria X, per ogni X ∈ S, si ha:

〈Y1 + Y2,X〉 = 〈Y1,X〉 + 〈Y2,X〉 = 0 + 0 = 0, ∀X ∈ S,

per cui possiamo concludere che Y1 + Y2 ∈ S⊥. Proviamo ora che S⊥ e chiuso rispettoal prodotto per uno scalare. Siano Y ∈ S⊥ e α ∈ R, per la linearita del prodottoscalare e poiche il vettore Y e perpendicolare a X, per ogni X ∈ S, si ha:

〈αY,X〉 = α〈Y,X〉 = α.0 = 0, ∀X ∈ S,

per cui possiamo concludere che αY ∈ S⊥.(2) Sia Y ∈ S ∩S⊥, poiche Y ∈ S⊥ si ha Y ⊥ X per ogni vettore X ∈ S, in particolareY ⊥ Y poiche Y ∈ S. Risulta quindi 〈Y, Y 〉 = 0 e per la positivita del prodotto scalarenecessariamente Y = 0n.(3) Sia S1 ⊂ S2. Se Y ∈ S⊥

2 , risulta Y ⊥ X, ∀X ∈ S2. Poiche S1 ⊂ S2, si ha ancheY ⊥ X, ∀X ∈ S1, da cui deduciamo che Y ∈ S⊥

1 .(4) Poiche S ⊂ V dalla (3) si ha l’inclusione V ⊥ ⊂ S⊥. Basta provare l’inclusione

S⊥ ⊂ V ⊥. Siano Y ∈ S⊥ e X ∈ V . Poiche V = Span(S), risulta

X = a1X1 + .. + asXs, ∀X ∈ V.

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368 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Per la linearita del prodotto sclare si ha:

〈Y,X〉 = 〈Y, a1X1 + .. + asXs〉 = a1〈Y,X1〉 + ... + as〈Y,Xs〉,poiche Y ∈ S⊥, risulta 〈Y,Xi〉 = 0, i = 1, .., s, per cui possiamo concludere che〈Y,X〉 = 0, per ogni X ∈ V . �

Il sottospazio ortogonale di un sottospazio ha la seguente proprieta fonda-mentale:

Proposizione 7.18. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia V ⊂ Rn

un sottospazio proprio di Rn. Allora risulta:

(7.29) Rn = V ⊕ V ⊥,

percio V ⊥ e detto complemento ortogonale di V .

Dimostrazione. Sia dimV = h < n. Dalla proprieta precedente 7.18, i sottospaziV e V ⊥ sono in somma diretta. Quindi abbiamo

dim(V ⊕ V ⊥) = dimV + dimV ⊥ ≤ n,

da cui ricaviamo che dim V ⊥ ≤ n−h. Basta provare allora che dim V ⊥ = n−h, infattirisulta dim(V ⊕ V ⊥) = n e quindi Rn = V ⊕ V ⊥.Sia BV = {X1, ..,Xh} una base ortogonale di V . Esiste allora una base ortogonale diRn che la contiene:

{X1, ..,Xh, Y1, .., Yn−h} .

Per ogni i = 1, .., n − h, risulta:

Yi ⊥ Xj , ∀j = 1, .., h,

dalla proprieta precedente (3), segue che Yi ∈ V ⊥, per ogni i = 1, ., n−h. Poiche i vettori{ Y1, .., Yn−h} sono linearmente indipendenti, questo implica che dimV ⊥ = n − h. �

Come conseguenza abbiamo il seguente:

Corollario 7.19. Fissato in Rn il prodotto scalare standard, sia V ⊂ Rn

un sottospazio di Rn di dimensione h < n. Fissata una base BV = {Y1, .., Yh},il complemento ortogonale di V ⊥ e il sottospazio di Rn di dimensione n − hdefinito dalle seguenti h equazioni indipendenti:

〈X, Y1〉 = ... = 〈X, Yh〉 = 0.

ossia

x1y1,1 + x2y1,2 + · · · + xny1,n = 0

x1y2,1 + x2y2,2 + · · · + xny2,n = 0...

x1yh,1 + x2yh,2 + · · · + xnyh,n = 0

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5. IL TEOREMA SPETTRALE 369

Esempio 7.22.Consideriamo il seguente sottospazio di R4:

V ={

(x, y, z, t) ∈ R4 : x + y = z + t = 0}

.

Vogliamo determinare il sottospazio V ⊥. Osserviamo che i vettori

V1 =

1−100

e V2 =

001−1

costituiscono una base di V . Quindi dimV = 2 e dal teorema precedente

dimV ⊥ = dim R4 − dimV = 4 − 2 = 2.

Troviamo le equazioni di V ⊥:

Y ∈ V ⇐⇒ 〈Y, V1〉 = 〈Y, V2〉 = 0,

calcolando i prodotti scalari otteniamo le equazioni cartesiane di V ⊥:

x − y = z − t = 0.

5. Il Teorema spettrale

Ci proponiamo ora di capire in che modo la struttura metrica introdottain Rn possa influire sullo studio degli operatori lineari di Rn. In particolare,ricordiamo che un operatore lineare L di Rn e diagonalizzabile se e solo se esisteuna base di Rn formata da autovettori di L. In tale base l’operatore si rappre-senta con una matrice diagonale. Poiche nei paragrafi precedenti abbiamo vistol’utilita di lavorare con una base ortonormale, e naturale chiedersi: quandoesiste una base ortonormale di Rn formata da autovettori di L?

Sia L : Rn → Rn un operatore lineare che, nella base canonica B = {e1, ..,en},si rappresenta con la matrice A ∈ MR(n):

L(X) = AX, ∀X ∈ Rn.

Supponiamo che esista una base ortonormale B′ ={

Y 1, .., Y n}

di Rn formatada autovettori di L; l’operatore L nella base ortonormale B′ si rappresenta conuna matrice ∆ diagonale:

L(X ′) = ∆.X ′,

e l’equazione del cambiamento di coordinate X = MX ′ e realizzato dalla ma-trice invertibile M le cui colonne sono le coordinate dei vettori della base B′

nella base B, cioe

M = (Y 1|..|Y n).

Poiche le colonne di M sono una base ortonormale, possiamo concludere che lamatrice M e ortogonale. Le matrici A e ∆ sono simili e risulta:

∆ = M−1AM = MT AM, M ∈ O(n).

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370 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Le matrici che sono diagonalizzabili attraverso matrici ortogonali hanno laseguente proprieta:

Lemma 7.20. Sia A ∈ MR(n). Se esiste una matrice ortogonale M ∈ O(n)tale che MT AM e diagonale, allora A e simmetrica, cioe A = AT .

Dimostrazione. Dalla relazione di similitudine, ricaviamo che

A = M∆MT , M ∈ O(n).

Calcolando la trasposta di entrambi i membri dell’uguaglianza e ricordando che (AB)T =BT .AT , otteniamo la tesi :

AT = (M∆MT )T

= M∆MT = A.

In realta vale il vicesersa, cioe tutte le matrici reali simmetriche di ordine nsono diagonalizabili attraverso un matrice ortogonale. Questo risultato fonda-mentale e provato nel Teorema spettrale e vale in generale in campo complessoper una classe piu ampia di matrici.

Teorema 7.21. Teorema SpettraleFissato in Rn il prodotto scalare standard, sia A una matrice reale simmetricadi ordine n. Valgono le seguenti proprieta:

(1) A ammette n autovalori reali, contati con le relative molteplicita;(2) due autospazi associati ad autovalori distinti di A sono perpendicolari;(3) esiste una base ortogonale B di Rn formata da autovettori di A.

Dimostriamo solo l’enunciato (2), mentre faremo alcune considerazioni edosservazioni relativamente agli altri punti (le dimostrazioni relative vengonoriportate in Appendice per alcuni corsi).

Dimostrazione. (dell’enunciato (2)) Siano α 6= β due autovalori di A, indichiamocon Vα e Vβ gli autospazi associati. Proviamo che:

Vα ⊥ Vβ .

Siano X ∈ Vα e Y ∈ Vβ due autovettori, per la linearita del prodotto scalare e poicheA.X = αX risulta:

α〈X,Y 〉 = 〈αX, Y 〉 = 〈AX,Y 〉 =

= (AX)T .Y = XT .AT .Y = XT .AY = 〈X,βY 〉 = β〈X,Y 〉,per la linearita del prodotto scalare e poiche A.Y. = βY . Uguagliando la prima el’ultima espressione abbiamo:

α〈X,Y 〉 = β〈X,Y 〉,cioe

(α − β)〈X,Y 〉 = 0.

Poiche α 6= β si ha necessariamente 〈X,Y 〉 = 0 e quindi

X ⊥ Y, ∀ X ∈ Vα, ∀ Y ∈ Vβ .

Osservazione 7.23 (circa i punti (1) e (3)).

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5. IL TEOREMA SPETTRALE 371

(1) Sia

pA(t) = det(A − tIn)

il polinomio caratteristico di A, l’equazione caratteristica di A e laseguente:

(7.30) pA(t) = 0.

Ricordiamo che α ∈ R e un autovalore di A con molteplicita algebricaµ(α) = µ ≥ 1 se e solo se α e una soluzione dell’equazione caratteristicadi A con moltiplicita µ, cioe

µ(α) = µ ⇐⇒ pA(t) = (t − α)µq(t), q(α) 6= 0.

Il teorema afferma che l’equazione caratteristica 7.30 ammette h solu-zioni reali, 1 ≤ h ≤ n:

α1, .., αh ∈ R,

e le relative molteplicita algebriche soddisfano le relazione:

µ(α1) + ... + µ(αh) = n.

Cio equivale al fatto che il polinomio caratteristico e totalmente de-componibile in fattori lineari:

pA(t) = (−1)n(t − α1)µ(α1)...(t − αh)µ(αh).

Questa proprieta e sempre soddisfatta nel campo complesso, ma ingenerale non e soddisfatta per i polinomio nell’anello R[t]: ad esempio,e ben noto che il polinomio di secondo grado p(t) = t2 + 1 non si puoscrivere come prodotto di due fattori lineari a coefficienti reali.

Osserviamo infine che la proprieta (1) e sicuramente vera per lematrici reali simmetriche di ordine 2. Consideriamo infatti una matricereale simmetrica di ordine 2:

A =

(

a bb d

)

.

L’equazione caratteristica di A e la seguente:

t2 − (a + d)t + (ad − b2) = 0,

poiche il discriminante di tale equazione risulta non negativo:

∆ = (a + d)2 − 4(ad − b2) = (a − d)2 + 4b2 ≥ 0,

l’equazione ammette sempre soluzioni reali. In particolare, le soluzionisono reali distinte se a 6= d e b 6= 0, le soluzioni sono reali coincidentise a = d e b = 0. Osserviamo che in questo caso risulta A = aI2.

La dimostrazione di questa proprieta per matrici di ordine n ≥ 3non e banale, si tratta di provare che ogni soluzione complessa dell’e-quazione caratteristica di A e un numero reale. Per fare cio e neces-sario studiare le proprieta di autovalori e autovettori di una matricecomplessa e introdurre una struttura metrica nello spazio Cn.

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372 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

(3) Osserviamo che il risultato e vero per matrici reali simmetriche di or-dine 2. Infatti, abbiamo osservato prima che l’ equazione caratteristicadi una matrice reale simmetrica di ordine 2 ha due soluzioni distintese A 6= aI2. In quest’ultimo caso la matrice e diagonale e ogni base or-tonormale di R2 e formata da autovettori di A. Se A 6= aI2, la matriceha due autovalori reali semplici, α e β, quindi e diagonalizzabile. I dueautospazi Vα e Vβ sono rette per O e per la proprieta (2) sono orto-gonali. Risulta quindi R2 = Vα ⊕ Vβ , scegliendo un versore in ciascunautospazio si ottiene una base ortonormale di R2.

In generale, se A e una matrice reale simmetrica di ordine n ≥ 3,come possiamo determinare una base ortonormale in Rn formata daautovettori di A?

Siano α1, α2,..,αh gli autovalori distinti di A, h ≤ n e Vα1, Vα2

,..,Vαh

gli autospazi associati. Ci sono alcuni fatti importanti di cui tenereconto:(1) Vα1

⊕ Vα2⊕ ... ⊕ Vαh

= Rn,(2) Vαi

⊥ Vαj, ∀i 6= j.

Per il teorema di Gram-Schimdt, in ogni autospazio esiste una baseortogonale B(Vαi

), i = 1, 2, ..h. Per la proprieta (1) l’unione di talibasi

B = B(Vα1) ∪ B(Vα2

) ∪ ... ∪ B(Vαh)

e una base di Rn, formata da autovettori di A. Per la proprieta (2),due autospazi associati ad autovalori distinti sono ortogonali: possia-mo concludere che la base B cosı ottenuta e ortogonale. Infine, nor-malizzando i vettori di tale base si ottiene una base ortonormale di Rn

formata da autovettori di A.

Vale la pena di studiare un esempio.

Esempio 7.24.Consideriamo la matrice reale simmetrica di ordine 3:

A =

2 0 20 4 02 0 2

Vogliamo costruire una base ortogonale di R3 formata da autovettori di A. L’equazione caratteristica di A e la seguente:

pA(α) = |A − αI3| = −α(4 − α)2 = 0,

le cui radici sono:

α = 0 µ(0) = 1 α = 4 µ(4) = 2.

Sia V0 l’autospazio associato all’autovalore α = 0:

V0 =

xyz

∈ R3 : A

xyz

= 0

,

V0 e una retta per l’origine di R3, di equazioni x + z = y = 0.

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5. IL TEOREMA SPETTRALE 373

Sia V4 l’autospazio associato all’autovalore α = 4:

V4 =

xyz

∈ R3 : A

xyz

= 4

xyz

,

V4 e un piano per l’origine di R3, di equazione x − z = 0.Risulta V0 ⊕ V4 = R3, una base ortogonale di R3 formata da autovettori diA si ottiene unendo una base ortogonale di V0 ed una base ortogonale di V4.Osserviamo che i seguenti vettori:

Y2 =

101

Y3 =

010

sono due vettori ortogonali di V4, quindi costituiscono una base ortogonale diV4. Una base ortogonale di V0 si ottiene prendendo un qualsiasi vettore nonnullo in V0: sia

Y1 =

10−1

.

La base {Y1, Y2, Y3} e una base ortogonale di R3 formata da autovettori di A.

Seguono immediatamente dal teorema spettrale i seguenti corollari:

Corollario 7.22. Una matrice reale simmetrica A di ordine n e diagona-lizzabile.

Corollario 7.23. Sia A una matrice reale simmetrica di ordine n. Esisteuna matrice ortogonale M ∈ O(n) che diagonalizza A:

M−1AM = MT AM = diag(α1, α2, ..., αn),

con Spec(A) = {α1, α2, ..., αn} .

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374 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

APPENDICE

6. Appendice: Matrici ortogonali di ordine 3

Anzitutto, ricordiamo che una matrice Q ∈ O(3) costituisce un cambiamen-to di base dalla base canonica ad una nuova base ortonormale. Alternativa-mente, possiamo vedere la matrice Q come quella che rappresenta un’operatorelineare che manda i 3 vettori della base canonica in un nuovo insieme di vettoriortonormali. Siccome la matrice ortogonale, e, quindi, l’applicazione linerareconservano il prodotto scalare, conservano anche le distanze: in altre parole, lamatrice ortogonale descrive un operatore che realizza una trasformazione rigi-da sui vettori dello spazio E3

O, cioe una rotazione eventualmente composta con

un’inversione. E facile convincersi del fatto che una rotazione deve conservarel’orientamento reciproco dei vettori della nuova base ortonormale, ossia corri-sponde a matrici ortogonale con determinante +1, o, come abbiamo imparatoa dire, matrici ortogonali speciali (SO(3)).

Un interessante teorema si presta ad interpetazioni geometriche, ed e utiliz-zato in meccanica: la sua formulazione originaria risale al matematico svizzeroEuler.

Teorema 7.24 (di Eulero). Sia Q ∈ SO(3) una matrice ortogonale specialedi ordine 3. Allora Q ha sempre un autovalore λ = +1.

Dimostrazione. Sino ad ora abbiamo considerato le matrici ortogonali come sot-toinsieme di GL(n, R), quindi a entrate reali. Poiche R ⊂ C, possiamo comunque pen-sare l’operatore lineare associato a Q in campo complesso. In questo caso, possiamoaffermare che la matrice Q ha tutti gli autovalori in C, grazie al teorema fondamentaledell’algebra (0.8). Siano λ1, λ2, λ3 ∈ C gli autovalori, non necessariamente distinti.Sicuramente, det(Q) = λ1λ2λ3, per il teorema 6.11 visto nel Capitolo sugli autovalori6.

Inoltre, un corollario del teorema fondamentale (0.10), poiche il grado del polinomiocaratteristico pQ(λ) e 3, quindi dispari, esiste almeno una radice del polinomio reale,e, quindi, almeno un autovalore e reale; supponiamo che questo sia λ1.

In campo reale, allora, esiste un autovettore v con autovalore λ1; ossia, se consi-deriamo l’operatore lineare LQ associato a Q nella base canonica, abbiamo

(7.31) LQ(v) = λ1v ;

In base all’Osservazione 7.20, gia sappiamo che (λ1)2 = 1, ossia λ1 = 1 oppure λ1 = −1.

A questo punto, se λ1 = 1, abbiamo finito; altrimenti, se λ = −1, procediamo comesegue.

Completiamo una base per R3 tenendo v1 come primo vettore; mediante un algo-ritmo di Gram-Schmidt, produciamo da essa una base ortonormale B′ = {w′

1,w′2,w

′3},

con w′1 = v

||v|| .

Esistera, dunque, una matrice ortogonale N che permette di passare dalla basecanonica B0 a B′ (Proposizione 7.14). La matrice che rappresenta l’operatore LQ nellanuova base sara

(7.32) Q′ = N−1QN = NTQN =

λ1 a b0 r11 r12

0 r21 r22

,

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6. APPENDICE: MATRICI ORTOGONALI DI ORDINE 3 375

dove la prima colonna e

[LQ′(w′1)]B′ = [λ1w

′1]B′ =

λ1

00

,

ossia il trasformato del vettore w′1 (autovettore con autovalore λ1), rappresentato nella

base B′ = {w′1,w

′2,w

′3}.

Il resto della matrice ha una struttura relativamente semplice; anzitutto, chiamia-mo

(7.33) R =

(

r11 r12

r21 r22

)

la matrice 2 × 2 che occupa l’angolo in basso a destra.Inoltre, osserviamo che termini a, b sulla prima riga devono essere nulli; infatti,

l’inversa della matrice Q′ dovra avere la seguente struttura:

(7.34) (Q′)−1 =

1λ1

α β

0R−1

0

,

con α, β da determinare (convincersene verificando il prodotto di Q′ della (7.32) con lamatrice (Q′)−1 della (7.34)).

Nel nostro caso, in aggiunta, la matrice Q′ e ortogonale, essendo ottenuta dalprodotto di matrici tutte ortogonali (ricordiamo che O(3) e un gruppo: Osservazione7.17); pertanto:

(7.35) (Q′)−1 =

1λ1

α β

0R−1

0

=

λ1 0 0a

RT

b

= (Q′)T

che mostra subito che a = b = α = β = 0, e che R ∈ O(2).Da ultimo, se calcoliamo il determinante di Q′ secondo la prima colonna otteniamo

(7.36) det(Q′) = λ1 det(R) = det(Q) = 1 ,

dove abbiamo usato il fatto che le matrici Q e Q′ sono simili, quindi il determinantenon cambia.

Questo mostra che, quando λ1 = −1, deve essere det(R) = −1, cioe R e una ma-trice ortogonale di ordine 2 con determinante −1, quindi ha due autovalori distinti ±1(Proposizione 7.16), e risulta diagonalizzabile. In altre parole, gli altri due autovaloridella matrice Q sono λ2,3 = ±1, quindi uno fra i due e l’autovalore cercato λ = +1. �

Conseguenza immediata dei ragionamenti fatti sopra e il seguente

Corollario 7.25. Sia Q ∈ SO(3) una matrice ortogonale speciale di ordine3. Questa descrive una rotazione di un opportuno angolo ϑ ∈ [0, 2π) (a menodi 2kπ, con k ∈ Z) attorno ad un asse diretto come l’autovettore associato alsuo autovalore λ = 1. Inoltre, la matrice e diagonalizzabile se e solo se ϑ = 0oppure ϑ = π.

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376 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Dimostrazione. Si costruisca la matrice Q′ come nella dimostrazione del Teore-ma di Eulero (7.24); se λ1 = −1, abbiamo visto che Q e diagonalizzabile, e la sua formadiagonale e

Q′′ =

−1 0 00 −1 00 0 1

,

ossia una rotazione di ϑ = π attorno all’asse diretto come il terzo vettore della base,cioe l’autovettore di autovalore 1.

Se invece λ1 = 1, la (7.36) ci dice che det(R) = 1, ossia la matrice R ortogonaledi ordine 2 ha determinante +1, quindi e diagonalizzabile solo se ϑ = 0 o ϑ = π; nelprimo caso, si ha la rotazione nulla (Q = I3), nel secondo, ancora una rotazione diϑ = π attorno alla direzione di w′

1. �

7. Prodotto hermitiano

Occorre ricorrere a qualche “trucchetto” con in numeri complessi per com-pletare la dimostrazione del teorema spettrale. Il nocciolo della questione risiedenel fatto che una matrice quadrata (reale o complessa) ha tutti gli autovalorinel campo complesso.

Occorre pero modificare un po’ la nozione di prodotto scalare: se i nostrispazi vettoriali sono del tipo Cn sul campo C, la definizione del prodotto scalarestandard non godrebbe piu di una proprieta fondamentale. Infatti non e piudetto che la somma di quadrati sia nulla soltanto se tutte le basi sono nulle.

Osservazione 7.25. Sia Z =

z1

z2...

zn

∈ Cn un vettore colonna di numeri

complessi (con n > 1): allora ZTZ = 0 non implica che zi = 0 per ognii = 1, . . . n.

Dimostrazione. Basta considerare Z =

1i0...0

, cioe un vettore con una

componente pari a 1, un’altra pari ad i e tutte le altre –se ci sono– nulle.Si ha

ZTZ = 12 + i2 + 0 + . . . 0 = 1 − 1 = 0 .

Come dobbiamo modificare la definizione? il nostro fallimento risiede nelfatto che il quadrato di un numero complesso non e necessariamente realepositivo, e neppure reale, in genere. Quello che resta reale positivo (o nullo) eil modulo del numero complesso, o anche il suo modulo quadro. Ricordando

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7. PRODOTTO HERMITIANO 377

che, se z ∈ C, |z|2 = zz, ci rendiamo conto che le cose possono andare megliose, nel definire il prodotto scalare standard in campo complesso, introduciamoil complesso coniugato del vettore cononna Z. In dettaglio, le considerazionifatte giustificano la seguente definizione.

Definizione 7.9. Dati due vettori X =

x1

x2

. . .xn

, e Y =

y1

y2

. . .yn

dello spazio

vettoriale Cn sul campo complesso C, con n ≥ 1, chiamiamo prodotto scalarecomplesso standard o, anche prodotto hermitiano standard dei vettoriX e Y il seguente numero reale

〈X, Y 〉C = x1y1 + x2y2 + ... + xnyn = XT · Y .

Con questa definizione, e facile mostrare che il prodotto hermitiano standardgode di proprieta molto vicine a quelle del prodotto scalare standard, definitoin spazi vettoriali reali.

Proposizione 7.26. Il prodotto scalare standard di Cn gode delle seguentiproprieta:

(1) Proprieta di hermitianita:

〈X, Y 〉C = 〈Y, X〉C ∀X, Y ∈ Cn;

(2) Proprieta di linearita/coniugatolinearita:

〈aX1 + bX2, Y 〉C = a〈X1, Y 〉C + b〈X2, Y 〉C, ∀X1, X2, Y ∈ Cn,∀a, b ∈ C;

〈X, aY1 + bY2〉C = a〈X, Y1〉C + b〈X, Y2〉C, ∀X, Y1, Y2 ∈ Cn,∀a, b ∈ C;

(3) Proprieta di positivita:

〈X, X〉C ≥ 0 ∀X ∈ Cn,

〈X, X〉C = 0 ⇐⇒ X = 0n.

Dimostrazione. Verifichiamo le proprieta.(1) Siano X,Y ∈ Cn qualunque; osserviamo che risulta:

〈Y,X〉C = Y T · X = y1x1 + y2x2 + ... + ynxn

= y1 x1 + y2 x2 + ... + yn xn

= x1y1 + x2y2 + ... + xnyn

= XT · Y = 〈X,Y 〉C

(7.37)

(2) Basta provare la prima equazione; la seconda discende da questa e dalla precedenteproprieta.

Siano X1, X2 e Y vettori di Cn; osserviamo che dalle proprieta del prodottomatriciale risulta:

〈aX1 + bX2, Y 〉C = (aX1 + bX2)T · Y = (a XT

1 + b XT2 ) · Y

= a XT1 · Y + b XT

2 · Y= a〈X1, Y 〉C + b〈X2, Y 〉C.

(7.38)

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378 7. STRUTTURA METRICA IN Rn

Ora, usando questo risultato e anche la prima proprieta:

〈X, aY1 + bY2〉C = 〈aY1 + bY2,X〉C = a〈Y1,X〉C + b〈Y2,X〉C

= a〈Y1,X〉C + b〈Y2,X〉C = a〈X,Y1〉C + b〈X,Y2〉C

(7.39)

(3) Sia X ∈ Cn, si ha:

〈X,X〉C = XT · X = |x1|2 + |x2|2 + ... + |xn|2 ≥ 0,

inoltre 〈X,X〉C = 0 se e solo se x1 = x2 = ... = xn = 0, cioe X e il vettore nullo di Cn,poiche ogni termine |xi|, per i = 1, . . . n e un numero reale. �

Alla luce della definizione di prodotto scalare standard complesso 7.9, occor-re rivedere quale legame sussiste tra matrici e prodotti scalari; nella dimostra-zione del secondo punto del teorema spettrale, abbiamo visto che una matricereale simmetrica puo essere applicata ad uno dei vettori di un prodotto scalareo all’altro, producendo lo stesso risultato.

Proprieta 7.27. Siano X, Y ∈ Rn qualunque e A ∈ MR(n) simmetrica;allora

〈AX, Y 〉 = 〈X, AY 〉 .

Dimostrazione. Infatti,

〈AX,Y 〉 + (AX)TY = XTATY = XTAY = 〈X,AY 〉 ,

sfruttando il fatto che A e simmetrica, dunque A = AT. �

Ma se lavoro in spazi complessi? non basta la simmetria: occorre che unamatrice che coincida con la trasposta coniugata (detta anche hermitiana).

Definizione 7.10. Una matrice A ∈ MC(n) si dice hermitiana se

AT = A .

Notiamo pero che per le matrici reali le due cose coincidono:

Osservazione 7.26. Se una matrice reale e simmetrica, allora e anche her-mitiana. Infatti, il complesso coniugato di un numero reale e il numero realestesso (la parte immaginaria e nulla!), quindi

AT = AT = A .

Allora la Prorieta 7.27 viene leggermente modificata nel campo complesso:

Proprieta 7.28. Siano X, Y ∈ Cn qualunque e A ∈ MC(n) hermitiana;allora

〈AX, Y 〉C = 〈X, AY 〉C .

Dimostrazione. Infatti abbiamo:

〈X,AY 〉C = XT AY = XT AY = (ATX)T Y = (AX)T Y = 〈AX,Y 〉 ,

sfruttando il fatto che (AT)T = A, perche le operazioni di trasposizione e di coniugiosi possono scambaire di ordine. �

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7. PRODOTTO HERMITIANO 379

Lasciamo allo studente il compito di verificare che valgono anche gli inversidelle Proprieta 7.27 e 7.28, ossia se per ogni scelta di vettori nello spazio idue prodotti scalari coincidono, allora la matrice nel prodotto e simmetrica ohermitiana, rispettivamente.

Siamo ora in grado di convincerci del primo punto del teorema spettrale

Dimostrazione del punto 1 del Teorema Spettrale 7.21.

Siccome MR(n) ⊂ MC(n), possiamo considerare la matrice A, reale e simmetrica, comeuna matrice di MC(n); in base all’Osservazione 7.26, possiamo dire che A e hermitiana.

La matrice A risulta quindi rappresentare un’operatore lineare di Cn; in campocomplesso la matrice ha n autovalori λi, on i = 1, . . . n, non necessariamente distinti(la somma delle rispettive molteplicita ammontera in tal caso a n esattamente): equanto stabilito dal Corollario 6.15 del Capitolo 6.

Sia α = λi, uno qualunque degli autovalori, e indichiamo con Z ∈ Cn un suoautovettore:

AZ = αZ ;

mostriamo che α ∈ R. Infatti, l’hermitianita di A e le proprieta 7.26 del prodottoscalare complesso standard consentono di scrivere:

α〈Z,Z〉C = 〈αZ,Z〉C = 〈AZ,Z〉C

= 〈Z,AZ〉C = 〈Z,αZ〉C

= α〈Z,Z〉C ;

(7.40)

il primo e l’ultimo termine della catena di uguaglianze permettono di scrivere

(α − α)〈Z,Z〉C = 0 .

Ricordando che un autovettore non puo essere il vettore nullo, quindi Z 6= 0n, e,allora, la positivita del prodotto hermitiano ci dice che 〈Z,Z〉C 6= 0, deduciamo che

α = α ,

ossia, che α ∈ R.La matrice A ha dunque n autovalori, tutti reali, contando le corrispettive molte-

plicita. �

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CAPITOLO 8

Forme quadratiche e loro applicazioni.

1. Forme quadratiche

In questo paragrafo introdurremo la nozione di forma quadratica definitasullo spazio vettoriale Rn. Una prima applicazione fondamentale dello studiodelle forme quadratiche e la classificazione delle coniche e delle quadriche dicui ci occuperemo nel prossimo paragrafo. Tuttavia gli studenti incontrerannonel loro percorso scolastico molte altre applicazioni, ad esempio in analisi nellostudio dei punti di massimo e di minimo di una funzione reale di piu variabilireali. Cominciamo quindi formalizzando la nozione di forma quadratica.

Definizione 8.1. Un’applicazione Q : Rn → R e detta forma quadraticareale su Rn se Q(X) e un polinomio omogeneo di secondo grado a coefficientireali nelle componenti x1, x2, .., xn del vettore X di Rn.

N.B. Il termine forma reale su Rn significa che l’applicazione e definita suRn ed ha valori in R!!

Esempio 8.1.

(1) Una forma quadratica reale su R2 ha l’espressione seguente:

Q(X) = q1x21 + q2x1x2 + q3x

22,

con q1, q2, q3 ∈ R, X =

(

x1

x2

)

∈ R2.

(2) Una forma quadratica reale su R3 ha ha l’espressione seguente:

Q(X) = q1x21 + q2x

22 + q3x

23 + q4x1x2 + q5x1x3 + q6x2x3,

con qi ∈ R, i = 1, .., 6, X =

x1

x2

x3

∈ R3.

(3) Fissato il prodotto scalare standard in Rn, la funzione

Q(X) = ‖X‖2 = 〈X, X〉 = x21 + x2

2 + ... + x2n,

con X =

x1

x2...

xn

∈ Rn, e una forma quadratica reale su Rn, detta forma

quadratica definita dal prodotto scalare standard di Rn.

381

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382 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

Gli esempi precedenti suggeriscono di introdurre, per ogni forma quadraticareale su Rn, la seguente notazione:

(8.1) Q(X) =∑

qijxixj , qij ∈ R, ∀ 1 ≤ i ≤ j ≤ n.

Infatti Q(X) e un polinomio omogeneo di secondo grado nelle componentix1, .., xn del vettore X ∈ Rn. Consideriamo lo spazio vettoriale reale R[x1, ., xn]dei polinomi a coefficienti reali nelle variabili x1, .., xn ed il sottoinsieme

Q2 ⊂ R[x1, ., xn]

dei polinomi omogenei di grado 2. Basta osservare che Q2 e un sottospazio diR[x1, ., xn] e che i monomi

{xi.xj} , 1 ≤ i ≤ j ≤ n

costituiscono una base di Q2.

Osservazione 8.2. Dalla definizione data di forma quadratica seguonoimmediatamente le proprieta seguenti:

(1) Q(0Rn) = 0;(2) Q(αX) = α2Q(X), ∀X ∈ Rn, ∀α ∈ R.

Verifichiamo la proprieta (2). Osseviamo che risulta, ∀α ∈ R:

Q(αX) =∑

qij(αxi).(αxj) =∑

qijα2xi.xj = α2Q(X).

In particolare, osserviamo che una forma quadratica Q non e un’ applicazionelineare!!!

Come abbiamo fatto per le applicazioni lineari di Rn, ci chiediamo se epossibile rappresentare in forma matriciale una forma quadratica. Cominciamoad esaminare nei dettagli le forme quadratiche di R2.

Esempio 8.3.Abbiamo osservato che il prodotto scalare standard di R2 definisce la forma

quadratica:

Q(X) = ‖X‖2 = 〈X, X〉 = XTX = x21 + x2

2.

- Osserviamo che se calcoliamo il prodotto scalare dei vettori X e A.X, dove Ae una qualsiasi matrice quadrata reale di ordine 2, otteniamo ancora una formaquadratica. Infatti, sia A = (A1|A2) una matrice quadrata di ordine 2, risulta:

AX = x1A1 + x2A

2,

per la linearita del prodotto scalare si ottiene:

〈X, AX〉 = x1〈X, A1〉 + x2〈X, A2〉.

Posto Ai =

(

a1i

a2i

)

, i = 1, 2, calcolando i prodotti scalari si ottiene:

〈X, AX〉 =

x1(a11x1 + a21x2) + x2(a12x1 + a22x2) = a11x21 + (a12 + a21)x1x2 + a22x

22 ,

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1. FORME QUADRATICHE 383

cioe un polinomo omogeneo di secondo grado nelle variabili x1 e x2. Possiamoquindi concludere che la matrice A definisce una forma quadratica reale su R2,con la seguente espressione:

QA(X) = 〈X, AX〉 = XTAX.

- Consideriamo ora una forma quadratica non identicamente nulla su R2:

Q(X) = q11x21 + q12x1x2 + q22x

22,

con q11, q12, q22 ∈ R, X =

(

x1

x2

)

∈ R2.

Ci chiediamo se sia possibile rappresentare in forma matriciale Q, ci proponiamoquindi di determinare se esiste un’unica matrice quadrata A reale di ordine 2,per cui si possa scrivere:

Q(X) = XTAX.

Sia A = (aij), i, j = 1, 2 una matrice reale quadrata di ordine 2, per quantovisto prima risulta

QA(X) = 〈X, AX〉 = XTAX = a11x21 + (a12 + a21)x1.x2 + a22x

22;

uguagliando le due espressioni di Q(X) e QA(X) otteniamo:

q11x21 + q12x1x2 + q22x

22 = a11x

21 + (a12 + a21)x1x2 + a22x

22,

∀X =

(

x1

x2

)

∈ R2. Otteniamo quindi il seguente sistema lineare nelle incognite

a11, a12,a21,a22:

(8.2)

a11 = q11

a12 + a21 = q12

a22 = q22

che ammette infinite soluzioni. Infatti, i valori di a11 e a22 sono determinati,ma l’equazione lineare a 2 incognite

a12 + a21 = q12

ammette infinite soluzioni. Tuttavia, se aggiungiamo al sistema 8.2 l’equazione

a12 = a21,

il sistema ammette l’unica soluzione:

a11 = q11 a12 = a21 =1

2q12 a22 = q22.

Osserviamo che aggiungere l’equazione a12 = a21 equivale a limitarsi a consi-derare le matrici reali simmetriche di ordine 2. Possiamo quindi concludere cheesiste un’unica matrice A reale simmetrica di ordine 2 tale che

Q(X) = QA(X) = XTAX = 〈X, AX〉.Abbiamo verificato che ogni forma quadratica su R2 e definita da un’unicamatrice reale simmetrica di ordine 2.

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384 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

La rappresentazione matriciale di una forma quadratica con una matricereale simmetrica e un risultato fondamentale perche permette di applicare allostudio delle forme quadratiche le tecniche fornite dal teorema spettrale. E perquesto motivo che scegliamo di rappresentare ogni forma quadratica con matricireali simmetriche. Il risultato vale in generale per forme quadratiche su Rn, conn ≥ 2:

Teorema 8.1. Sia Q : Rn → R una forma quadratica reale: esiste un’unica matrice A ∈ MR(n), reale simmetrica di ordine n che definisce la formaquadratica Q nella base standard di Rn:

(8.3) Q(X) = 〈X, AX〉 = XTAX.

Viceversa, ogni matrice reale simmetrica A di ordine n definisce una formaquadratica su Rn la cui espressione e data dalla formula 8.3.

La dimostrazione del teorema e simile al caso n = 2. Ricordiamo solo chese

Q(X) =∑

qijxixj , qij ∈ R, ∀ 1 ≤ i ≤ j ≤ n,

allora la matrice A reale simmetrica che definisce Q viene determinata nelseguente modo:

aii = qii ∀i = 1, .., n,

aij = aji =1

2qij , ∀i 6= j, i, j = 1, ..n.

Esempio 8.4.

(1) Consideriamo la seguente forma quadratica su R2:

Q(X) = 5x2 − 4xy + y2.

Ci proponiamo di determinare l’espressione matriciale di Q:

Q(X) = XTAX.

Si ha: a11 = 5, a12 = a21 = −42 = −2, a22 = 1. Quindi risulta:

Q(X) = XT

(

5 −2−2 1

)

X.

(2) Consideriamo la seguente forma quadratica su R3:

Q(X) = x2 − 4xy − z2 + 2xz + yz.

Ci proponiamo di determinare l’espressione matriciale di Q:

Q(X) = XTAX.

Si ha: a11 = 1, a12 = a21 = −42 = −2, a13 = a31 = 2

2 = 1, a22 = 0,

a23 = a32 = 12 , a33 = −1. Quindi

A =

1 −2 1−2 0 1

21 1

2 −1

.

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1. FORME QUADRATICHE 385

Osservazione 8.5. Sia A ∈ MR(n) una matrice reale simmetrica di ordinen, e QA : Rn → R la forma quadratica definita da A.

• ∀i = 1, .., n risulta: aii = QA(ei), dove ei e l’i−esimo vettore della basecanonica di Rn. Infatti si ha:

QA(ei) = 〈ei, Aei〉 = 〈ei, Ai〉 = aii.

• Se A = αIn, allora QA(X) = α||X||2. Infatti per la linearita del prodottoscalare si ha:

QA(X) = 〈X, αX〉 = α〈X, X〉.

• Se A = diag (α1, α2, ..., αn) e una matrice diagonale reale di ordine n, allora

QA(X) = α1x21 + α2x

22 + ... + αnx2

n.

Infatti risulta

QA(X) = 〈X, AX〉 = x1〈X, α1e1〉 + ... + xn〈X, αnen〉 =

= α1x21 + α2x

22 + ... + αnx2

n.

Una matrice diagonale definisce quindi una forma quadratica molto semplice,perche e combinazione lineare di monomi che sono quadrati. (i.e. e priva ditermini rettangolari).

In molti casi e utile studiare il segno di una forma quadratica. Ad esempio,per studiare se un punto X0 ∈ Rn e un massimo o un minimo per una funzionef : Rn → R, si studia il segno della seguente forma quadratica

Q(X) =n∑

i,j=1

∂2f

∂xi∂xi(X0)xixj .

A tale scopo introduciamo le definizioni seguenti:

Definizione 8.2. Sia Q : Rn → R una forma quadratica reale.

(1) Q e detta definita positiva se

Q(X) > 0 ∀X 6= 0Rn ;

(2) Q e detta definita negativa se

Q(X) < 0 ∀X 6= 0Rn ;

(3) Q e detta semidefinita positiva se

Q(X) ≥ 0 ∀X ∈ Rn, ∃X 6= 0Rn | Q(X) = 0;

(4) Q e detta semidefinita negativa se

Q(X) ≤ 0 ∀X ∈ Rn, ∃X 6= 0Rn | Q(X) = 0;

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386 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

(5) Q e detta non definita se non si verificano i casi 1) 2) 3) 4).

Esempio 8.6. Vediamo alcuni esempi.

(1) Consideriamo la seguente forma quadratica su R2:

Q(X) = x2 + 4xy + y2.

Si ha:

Q

(

10

)

= a11 = 1 > 0, Q

(

1−1

)

= −2 < 0.

Possiamo concludere che Q e non definita.(2) Consideriamo la seguente forma quadratica su R3:

Q(X) = x2 − 2xy + y2 + 4z2.

Osserviamo che:

Q(X) = (x − y)2 + 4z2 ≥ 0, ∀X ∈ R3.

Inoltre Q

110

= 0, quindi possiamo concludere che Q e semidefinita

positiva.(3) Sia Q la forma quadratica associata al prodotto scalare standard di

Rn

Q(X) = 〈X, X〉 = x21 + x2

2 + ... + x2n,

osserviamo che Q(X) ≥ 0, ∀X ∈ Rn e Q(X) = 0 se e solo se X = 0Rn ,quindi Q e definita positiva.

(4) Sia A = diag (α1, α2, ..., αn) una matrice diagonale reale di ordine n eQA la forma quadratica da essa definita:

QA(X) = α1x21 + α2x

22 + ... + αnx2

n.

Lo studio del segno di Q in questo caso e molto semplice. Infatti:(a) Q e definita positiva ⇐⇒ αi > 0, ∀i = 1, .., n;(b) Q e definita negativa ⇐⇒ αi < 0, ∀i = 1, .., n;(c) Q e semidefinita positiva ⇐⇒ αi ≥ 0, ∀i = 1, .., n;(d) Q e semidefinita negativa ⇐⇒ αi ≤ 0, ∀i = 1, .., n.

Proviamo la (a). Ovviamente se αi > 0, ∀i, allora per ogni X 6= 0Rn siha:

Q(X) = α1x21 + α2x

22 + ... + αnx2

n > 0,

essendo somma di quantita positive. Supponiamo ora che Q sia definitapositiva, ∀i = 1, .., n risulta

αi = Q(ei) > 0.

Le altre proprieta si provano in modo analogo.

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1. FORME QUADRATICHE 387

Osservazione 8.7. Sia Q(X) =< X, AX >= XTAX una forma quadraticareale su Rn definita dalla matrice A reale simetrica. Sia M ∈ GL(n, R) una ma-trice invertibile che realizza il cambio di coordinate: X = MX ′. L’espressionedi Q nelle nuove coordinate X ′ e la seguente:

Q(X ′) = (MX ′)TA(MX) = X ′T(MTAM)X.

La matrice MTAM e la matrice associata a Q nella base B′ del sistema dicoordinale X ′.

Come nel caso delle applicazioni lineari, data una forma quadratica Q cichiediamo se sia possibile cambiare il sistema di coordinate per avere un’ espres-sione piu semplice di Q, che ci possa aiutare nello studio del suo segno. Talerisultato e un’importante applicazione del teorema spettrale ed e noto comeprocesso di riduzione a forma canonica di una forma quadratica.

Teorema 8.2. Sia Q(X) una forma quadratica reale su Rn definita dallamatrice reale simmetrica A. Esiste una matrice ortogonale O ∈ O(n), cherealizza il cambio di variabili X = OX ′, tale che nelle coordinate X ′ la formaquadratica ha la seguente espressione:

Q(X ′) = α1x′12+ α2x

′22+ ... + αnx′

n2,

dove {α1, α2, ..., αn} sono gli autovalori di A.Tale espressione viene detta forma canonica della forma quadratica Q ed ilsistema di coordinate corrispondente e detto riferimento canonico di Q. Laforma canonica e unica a meno di una permutazione degli autovalori di A.

Dimostrazione. Sia Q(X) = XTAX, per il corollario del teorema spettraleesiste una matrice ortogonale O ∈ O(n) che diagonalizza A:

O−1AO = OTAO = ∆ = diag(α1, α2, ..., αn),

con Spec(A) = {α1, α2, ..., αn} .Consideriamo il cambio di coordinate X = OX ′, nelle coordinate X ′ la forma

quadratica Q si scrive

Q(X ′) = X ′T(OTAO)X ′ = X ′T∆X ′ = α1x′12

+ α2x′22

+ ... + αnx′n

2.

La nuova base di Rn del sistema di coordinate X ′ e una base ortonormaledi Rn formata da autovettori di A.

Esempio 8.8.Consideriamo la forma quadratica su R2:

Q(x, y) = x2 − 4xy + y2.

Vogliamo determinare una forma canonica di Q. Sia A ∈ MR(2) la matricereale simmetrica associata a Q:

A =

(

1 −2−2 1

)

.

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388 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

L’equazione caratteristica di A e la seguente:

pA(α) = α2 − 2α − 3 = 0,

le cui radici sono α = −1 e α = 3, entrambe semplici. Una forma canonica diQ e la seguente:

Q(x′, y′) = −x′2 + 3y′2.

Osserviamo che Q non e definita.

La forma canonica e utile per lo studio del segno di una forma quadratica:

Proposizione 8.3. Siano Q(X) = XTAX una forma quadratica su Rn eSpec(A) = {α1, α2, .., αn}.

(1) Q e definita positiva ⇐⇒ αi > 0, ∀i;(2) Q e semidefinita positiva ⇐⇒ αi ≥ 0, ∀i;(3) Q e definita negativa ⇐⇒ αi < 0, ∀i;(4) Q e semidefinita negativa ⇐⇒ αi ≤ 0, ∀i.

Per la dimostrazione vedi Esempio 8.6 (4).

Corollario 8.4. Sia Q(X) = XTAX una forma quadratica su Rn definitadalla matrice A. Se Q e definita positiva allora det A > 0 e tr(A) > 0.

Dimostrazione.

Basta osservare che det(A) e tr(A) sono invarianti per similitudine, inoltre per unamatrice diagonale ∆ = diag(α1, α2, .., αn) si ha:

det(∆) = α1 · α2 · ....αn tr(∆) = α1 + α2 + ...αn.

Essendo definita positiva, risulta αi > 0, ∀i = 1, .., n, e quindi det(∆) > 0 e tr(∆) >

0. �

Esempio 8.9.La condizione data dal corollario e sufficiente a garantire che Q sia definitapositiva solo se n = 2.Consideriamo la forma quadratica su R3:

Q(X) = 3x2 − y2 − z2,

la cui matrice associata e la matrice

A =

3 0 00 −1 00 0 −1

,

con det A = 3 > 0 e tr(A) = 1 > 0. Tuttavia Q e non definita.

Puo essere utile per lo studio del segno di una forma quadratica il seguentecriterio:

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1. FORME QUADRATICHE 389

Proposizione 8.5. (Criterio dei minori incapsulati):Sia Q(X) = XTAX una forma quadratica su Rn. Per ogni i = 1, ., n, indichia-mo con ∆i il determinante del minore di ordine i di A costituito dalle prime irighe e i colonne di A.

Q e definita positiva se e solo se ∆i > 0, per ogni i = 1, ., n.

Esempio 8.10.Consideramo la seguente matrice reale simmetrica, al variare del parametroreale k:

A =

k 1 k1 k 1k 1 1

Vogliamo determinare per quali valori di k la matrice A rappresenta una formaquadratica definita positiva. Siano A[1] = a11 e A[2] la sottomatrice di A datadalle prime due righe e colonne di A, si ha:

∆1 = det(A[1]) = k ∆2 = det(A[2]) = k2−1 ∆3 = det(A) = −(k−1)2(k+1).

Per il criterio dei minori incapsulati si ottiene il sistema di disequazioni:

k > 0

k2 − 1 > 0

−(k − 1)2(k + 1) > 0

che e immediato verificare non ha soluzioni reali.

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390 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

2. Classificazione di coniche e quadriche

La principale applicazione del teorema spettrale consiste nella riduzione aforma canonica di coniche e quadriche e quindi nella loro classificazione.

2.1. Coniche.

Definizione 8.3. Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesianoortogonale R(O, ı, ), una curva algebrica di ordine d e l’insieme C dei puntidel piano le cui coordinate soddisfano un’equazione algebrica a coefficienti realidi ordine d:

C = {P =

(

xy

)

| f(x, y) = 0}, f(x, y) ∈ R[x, y], deg f(x, y) = d.

Cio significa che f(x, y) e un polinomio di grado d nelle varibili x e y concoefficienti in R!

Osservazione 8.11.

(1) Le rette sono curve algebriche di ordine 1 nel piano.(2) Esistono nel piano curve che non sono algebriche. Si consideri ad

esempio l’insieme:

C =

{

P =

(

xy

)

: y = sin x

}

.

(3) La proprieta che una curva C sia algebrica di ordine d non dipendedalla scelta del sistema di riferimento cartesiano fissato.

Definizione 8.4. Le curve algebriche di ordine 2 sono dette coniche.

Esempio 8.12.

(1) La circonferenza e una conica.Infatti, fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano

R(O, ı, ), siano C =

(

ab

)

e R > 0, la circonferenza C di centro C e

raggio R ha equazione:

(x − a)2 + (y − b)2 = R2.

(2) L’ellisse e una conica.Ricordiamo che dati due punti distinti F 6= F ′ ed un numero realea > 0, e detto ellisse di fuochi F e F ′ l’insieme dei punti P delpiano che soddisfano la relazione

PF + PF ′ = 2a.

E immediato verificare che fissato un sistema di riferimento cartesianoortogonale nel piano R(O, ı, ) tale che l’asse x sia la retta FF ′ e l’assey sia l’asse del segmento FF ′, la relazione precedente diventa:

x2

a2+

y2

b2= 1,

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 391

dove c = OF e b2 = a2 − c2. Tale equazione e detta equazione cano-nica dell’ellisse di fuochi F e F ′ ed il riferimento fissato riferimentocanonico.

(3) L’iperbole e una conica.Ricordiamo che dati due punti distinti F 6= F ′ ed un numero realea > 0, e detto iperbole di fuochi F e F ′ l’insieme dei punti P delpiano che soddisfano la relazione

|PF − PF ′| = 2a.

E immediato verificare che fissato un sistema di riferimento cartesianoortogonalenel piano R(O, ı, ) tale che l’asse x sia la retta FF ′ e l’assey sia l’asse del segmento FF ′, la relazione precedente diventa:

x2

a2− y2

b2= 1,

dove c = OF e b2 = c2−a2. Tale equazione e detta equazione canoni-ca dell’iperbole di fuochi F e F ′ ed il riferimento fissato riferimentocanonico.

(4) La parabola e una conica.Ricordiamo che dati un punto F ed una retta d, con F /∈ d, e dettoparabola di fuoco F e direttrice d l’insieme dei punti P del pianoche soddisfano la relazione

PF = δ(P, d).

E immediato verificare che fissato un sistema di riferimento cartesianonel piano R(O, ı, ) tale che F appartenga all’asse x, l’asse y sia paral-lela a d ed infine O(0, 0) appartenga alla parabola, la relazione scrittadiventa:

y2 = 2px,

dove p = δ(F, d). Tale equazione e detta equazione canonica dellaparabola di fuoco F e direttrice d ed il riferimento fissato riferimentocanonico.

Un’equazione algebrica di secondo grado nelle variabili x, y non sempre rap-presenta una curva nel senso intuitivo del termine, come risulta dai seguentiesempi.

Esempio 8.13.

(1) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ) nelpiano, consideriamo la conica di equazione

x2 − y2 = 0.

Osserviamo che risulta x2 − y2 = (x + y)(x − y), quindi la conica el’unione delle due rette incidenti

l1 : y = x l2 : y = −x.

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392 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

(2) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ) nelpiano, consideriamo la conica di equazione

x2 + y2 = 0.

Osserviamo che l’equazione ammette l’unica soluzione reale

x = y = 0,

quindi la conica corrispondente si riduce ad un solo punto: l’origine O.Osserviamo inoltre che nell’anello C[x, y] risulta

x2 − y2 = (x + iy)(x − iy),

quindi la conica e l’unione di due rette complesse coniugate incidenti.(3) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ) nel

piano, consideriamo la conica di equazione

x2 − 1 = 0.

Poiche risulta x2 − 1 = (x + 1)(x − 1), la conica e l’unione delle duerette parallele

l1 : x = 1 l2 : x = −1.

(4) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ) nelpiano, consideriamo la conica di equazione

x2 + 1 = 0.

L’equazione non ha soluzioni reali, quindi la conica corrispondente nonha punti reali. Tuttavia nell’anello C[x, y] risulta

(x2 + 1) = (x + i)(x − i),

quindi la conica e l’unione di due rette complesse coniugate parallele.(5) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ) nel

piano, consideriamo la conica di equazione

x2 = 0.

L’equazione ammette l’unica soluzione x = 0. I punti della conicacorrispondente sono tutti e soli i punti della retta l di equazione x = 0.Possiamo vedere tale conica come il limite per ǫ → 0 della conica diequazione

x2 − ǫ = 0 ǫ > 0.

Diciamo allora che la conica e la retta l contata due volte.

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 393

Notazioni.Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano R(O, ı, ),

sia C la conica di equazione f(x, y) = 0. Poniamo:

(8.4) f(x, y) = Q2(x, y) + Q1(x, y) + a33,

dove Qi(x, y) e un polinomio omogeneo a coefficienti reali di grado i nellevariabili x, y, per i = 1, 2, e a33 ∈ R. Quindi:Q2(x, y) e una forma quadratica reale su R2, per cui puo essere scritta in formamatriciale

(8.5) Q2(x, y) = (x y)A2

(

xy

)

,

dove A2 =

(

a11 a12

a12 a22

)

e una matrice reale simmetrica di ordine 2;

Q1(x, y) e la seguente applicazione lineare reale R2 → R:

(8.6) Q1(x, y) = 2a13x + 2a23y.

Associamo alla conica C la seguente matrice reale simmetrica di ordine 3:

(8.7) A =

a11 a12 a13

a12 a22 a23

a13 a23 a33

;

infine poniamo

(8.8) ∆ = det(A).

Definizione 8.5. Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesianoortogonale R(O, ı, ), sia C la conica di equazione f(x, y) = 0.

(1) C e detta non degenere se ∆ 6= 0;(2) C e detta degenere se ∆ = 0: in particolare e detta semplicemente

degenere se rg A = 2 e doppiamente degenere se rg A = 1.

Si verifica che il rango di A non dipende dal sistema di riferimento cartesianoortogonale scelto, di conseguenza la proprieta che una conica sia degenere nondipende dalla scelta del riferimento.

Osservazione 8.14.Tutte le coniche descritte negli esempi 8.13 sono degeneri. Si verifica che

coniche 1), 2), 3) e 4) sono semplicemente degeneri, mentre la conica 5) edoppiamente degenere.Si puo provare che C e una conica semplicemente degenere se e solo se C el’unione di due rette reali (o immaginarie) incidenti o parallele, cioe il polinomioche defisce la conica si puo scrivere come prodotto di due fattori lineari in C[x, y].Infine, C e doppiamente degenere se e solo se e una retta contata due volte equindi il polinomio che la definisce e un quadrato.

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394 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

Esempio 8.15.

(1) Sia C un’ ellisse di fuochi F 6= F ′, C e una conica non degenere. Infattila sua equazione canonica e

x2

a2+

y2

b2= 1,

da cui ricaviamo la matrice reale simmetrica ad essa associata:

A =

1a2 0 00 1

b20

0 0 −1

,

risulta ∆ = − 1a2b2

6= 0. Osserviamo che nel riferimento canonico l’ori-gine O e centro di simmetria per l’ellisse e gli assi cartesiani sono assidi simmetria ortogonali. Inoltre la matrice A2 e diagonale.

(2) Sia C un’ iperbole di fuochi F 6= F ′, C e una conica non degenere.Infatti la sua equazione canonica e

x2

a2− y2

b2= 1,

da cui ricaviamo la matrice reale simmetrica ad essa associata:

A =

1a2 0 00 − 1

b20

0 0 −1

,

risulta ∆ = 1a2b2

6= 0. Osserviamo che nel riferimento canonico l’origineO e centro di simmetria per l’iperbole e gli assi cartesiani sono assi disimmetria ortogonali. Inoltre la matrice A2 e diagonale.

(3) Sia C una parabola di fuoco F e direttrice d, F 6∈ d, C e una conicanon degenere. Infatti la sua equazione canonica e

y2 = 2px,

da cui ricaviamo la matrice reale simmetrica ad essa associata:

A =

0 0 −p0 1 0−p 0 0

,

risulta ∆ = −p2. Osserviamo che la conica non ammette un centro disimmetria, e l’asse x e l’unico asse di simmetria ortogonale. Infine, lamatrice A2 e diagonale.

Osserviamo che nelle equazioni canoniche di ellisse, iperbole e parabola laforma quadratica Q2 e in forma canonica (cioe la matrice associata A2 e dia-gonale). Il primo passo nello studio di una conica e quindi quello di ridurre aforma canonica la forma quadratica Q2, attraverso una trasformazione ortogo-nale delle coordinate. Il secondo passo e quello di semplificare la parte lineare

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 395

attraverso una traslazione. Questo procedimento consente di classificare le co-niche non degeneri e di ridurle a forma canonica. Il risultato che ora enunciamofornisce la classificazione completa delle coniche non degeneri.

Teorema 8.6. Sia C una conica non degenere nel piano euclideo, esiste unsistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ) in cui C ha una delleseguente equazioni:

(1) X2

a2 + Y 2

b2= 1, la conica e un’ ellisse reale;

(2) X2

a2 + Y 2

b2= −1, la conica e un’ ellisse immaginaria;

(3) X2

a2 − Y 2

b2= 1, la conica e un’iperbole;

(4) Y 2 − 2pX = 0, la conica e una parabola.

Tale riferimento e detto riferimento canonico per la conica.

Osservazione 8.16. Nel caso dell’iperbole e della parabola, considereremo,equivalentemente, come riferimento canonico anche quello con gli assi X ed Y

scambiati fra di loro, ossia se la conica C ha equazione X2

a2 − Y 2

b2= −1 se e un

iperbole, o X2 − 2pY = 0, se e una parabola.

Otteniamo quindi il seguente criterio per riconoscere una conica:

Corollario 8.7. Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesianoortogonale R(O, ı, ), sia C una conica non degenere a punti reali di equazione

Q2(x, y) + Q1(x, y) + q0 = 0.

Sia A2 la matrice reale simmetrica di ordine 2 associata alla forma quadraticaQ2(x, y).

C e un’ellisse se e solo se |A2| > 0;C e un’iperbole se e solo se |A2| < 0;C e una parabola se e solo se |A2| = 0.

Esempio 8.17.

(1) Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ),si consideri la conica C di equazione:

2x2 − 4x − y2 − 6y − 8 = 0.

Le matrici A ed A2 associate alla conica sono le seguenti:

A =

2 0 −20 −1 −3−2 −3 −8

A2 =

(

2 00 −1

)

.

Risulta ∆ 6= 0 e |A2| = −2, per cui possiamo concludere che la conicae un’ iperbole non degenere.

Per ridurla ad equazione canonica, osserviamo che la forma qua-dratica e in forma canonica, poiche manca il termine in xy, e sufficiente

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396 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

quindi determinare la traslazione per portare gli assi nel centro dellaconica. A tal fine completiamo i quadrati:

2(x2 − 2x + 1) − (y2 + 6y + 9) = 8 + 2 − 9 = 1,

con la traslazione di equazione{

X = x − 1

Y = y + 3

si ottiene l’equazione canonica della conica:

2X2 − Y 2 = 1.

(2) Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ),si consideri la conica C di equazione:

2x2 + 2xy + 2y2 − 1 = 0.

Le matrici A ed A2 associate alla conica sono le seguenti:

A =

2 1 01 2 00 0 −1

A2 =

(

2 11 2

)

.

Risulta ∆ 6= 0 e |A2| = 3, per cui possiamo concludere che la conica eun’ ellisse non degenere.

Osserviamo che nell’equazione mancano i termini lineari in x e y,per cui la conica ammette l’origine come centro di simmetria. E suffi-ciente quindi ridurre Q2(x, y) a forma canonica. A tal fine calcoliamogli autovalori di A2:

det(A2 − λI2) = 0 → λ1 = 1 λ2 = 3.

La forma canonica della forma quadratica e la seguente

Q2(X, Y ) = X2 + 3Y 2,

e quindi l’equazione canonica della conica e la seguente

X2 + 3Y 2 = 1.

Le equazioni del cambio di coordinate sono le seguenti:(

xy

)

= M.

(

XY

)

,

dove M e una matrice ortogonale che diagonalizza A2. Ricordiamo chegli autospazi associati agli autovalori λ1 = 1 e λ2 = 3 sono le seguentirette ortogonali:

x + y = 0 x − y = 0.

Una base ortonormale di autovettori di A2 e la seguente:

v1 =1√2

(

1−1

)

v2 =1√2

(

11

)

,

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 397

per cui la matrice M e la seguente:

M =

(

1√2

1√2

− 1√2

1√2

)

.

(3) Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, ),si consideri la conica C di equazione:

x2 + 2xy + y2 − 4x + 1 = 0.

Le matrici A ed A2 associate alla conica sono le seguenti:

A =

1 1 −21 1 0−2 0 1

A2 =

(

1 11 1

)

.

Risulta ∆ 6= 0 e |A2| = 0, per cui possiamo concludere che la conica euna parabola non degenere.

Per ridurla ad equazione canonica, dobbiamo innanzittutto ridurrea forma canonica la forma quadratica Q2(x, y). A tal fine calcoliamogli autovalori di A2:

det(A2 − λI2) = 0 → λ1 = 0 λ2 = 2.

La forma canonica della forma quadratica e la seguente

Q2(x′, y′) = 2y′2,

con il cambiamento di coordinate di equazione

(

xy

)

=

(

1√2

1√2

− 1√2

1√2

)

.

(

x′

y′

)

.

Nelle coordinate (x′, y′) l’equazione di C e la seguente:

2y′2 − 2√

2(x′ + y′) + 1 = 0.

Completiamo ora i quadrati

2(y′2 −√

2y′ +1

2) − 2

√2x′ = 1 − 1 = 0,

con la traslazione di equazione{

X = x′

Y = y′ − 1√2

si ottiene l’equazione canonica della conica:

Y 2 =√

2X.

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398 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

2.2. Superifici quadriche.

Definizione 8.6. Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesianoortogonale R(O, ı, , k), una superficie algebrica di ordine d e l’insieme Sdei punti dello spazio le cui coordinate soddisfano un’equazione algebrica acoefficienti reali di ordine d:

S = {P =

xyz

| f(x, y, z) = 0 }, f(x, y, z) ∈ R[x, y, z], deg f(x, y, z) = d.

Una superficie algebrica di ordine 2 e detta superficie quadrica.

Esempio 8.18.

(1) I piani sono superfici algebriche di ordine 1.(2) La sfera e una superficie quadrica.

Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),

sia S la sfera di centro C =

abc

e raggio R. L’equazione di S e la

seguente

(x − a)2 + (y − b)2 + (z − c)2 = R2,

per cui S e una quadrica.(3) La superficie ottenuta dalla rotazione di una conica non degenere at-

torno ad un suo asse di simmetria e una quadrica, detta quadrica dirotazione.Sia C una parabola contenuta in un piano π, fissiamo il sistema diriferimento in modo tale che π sia il piano x, z e la parabola abbiaequazione canonica:

x2 = 2pz,

infine l’unico asse di simmetria di C e l’asse z. Vogliamo determi-nare la superficie S ottenuta dalla rotazione di C attorno all’asse z.Consideriamo un generico punto della parabola:

P =

t0t2

2p

∈ C t ∈ R.

Durante la rotazione P descrive una circonferenza, chiamata paralleloper P , contenuta nel piano per P ortogonale all’asse z, di equazione:

{

x2 + y2 + (z − t2

2p)2 = t2

z = t2

2p

Poiche la superficie S e l’unione di tutti i paralleli, al variare di P ∈ C,per ottenere l’equazione di Q eliminiamo il parametro t:

2pz = x2 + y2.

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 399

Possiamo quindi concludere che Q e una quadrica, detta paraboloidedi rotazione.Sia C un’ ellisse contenuta nel piano x, z di equazione

x2

a2+

z2

b2= 1.

Si verifica che le superfici ottenute dalla rotazione di C rispettiva-mente attorno all’asse z e all’asse x sono le quadriche di equazionerispettivamente

x2 + y2

a2+

z2

b2= 1

x2

a2+

y2 + z2

b2= 1,

dette ellissoidi di rotazione.Sia Sia C un’ iperbole contenuta nel piano x, z di equazione

x2

a2− z2

b2= 1.

Si verifica che le superfici ottenute dalla rotazione di C rispettiva-mente attorno all’asse z e all’asse x sono le quadriche di equazionerispettivamente

x2 + y2

a2− z2

b2= 1

x2

a2− y2 + z2

b2= 1,

dette rispettivamente iperboloide di rotazione a una falda e iper-boloide di rotazione a due falde. Osserviamo che la quadrica otte-nuta dalla rotazione atorno all’asse trasverso di C ha due componenticonnesse distinte.

Anche nel caso delle quadriche esistono equazioni che non rappresentanosuperfici nel senso intuitivo del termine.

Esempio 8.19.

(1) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k) siaS la quadrica di equazione:

x2 + y2 + z2 = −1.

Poiche l’equazione non ha soluzioni reali, la quadrica non ha puntireali.

(2) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, x, y, z)sia S la quadrica di equazione:

x2 + y2 − z2 = 0.

La quadrica S e un cono circolare retto con vertice nell’origine O.Osserviamo che intersecando la quadrica con piani paralleli al pianoz = 0 si ottengono le seguenti circonferenze:

{

z = k

x2 + y2 = k2

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400 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

Infine, l’equazione di S e omogenea di secondo grado in x, y, z, ciosignifica che se P ∈ S, allora la retta OP e interamente contenuta inS.

(3) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k) siaS la quadrica di equazione:

x2 + y2 = 1.

La quadrica S e un cilindro circolare retto con generatrici paralleleall’asse z. Osserviamo che intersecando la quadrica con piani parallelial piano z = 0 si ottengono le seguenti circonferenze:

{

z = k

x2 + y2 = 1

Infine, l’equazione di S e priva della variabile z, cio implica che seP ∈ S, allora la retta per P parallela all’asse z e interamente contenutain S.

(4) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k) siaS la quadrica di equazione:

xy − xz = 0.

Osserviamo che risulta xy−xz = x(y−z), quindi la quadrica e l’unionedei due piani incidenti di equazioni x = 0 e y − z = 0.

(5) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, x, y, z)sia S la quadrica di equazione:

z2 = 0.

L’equazione ammette l’unica soluzione z = 0. Come per le coniche, laquadrica e il piano z = 0 contato due volte.

Come nel caso delle coniche si puo associare ad una superficie quadrica unamatrice reale simmetrica A di ordine 4.

Definizione 8.7. Una superficie quadrica S e non singolare se detA 6= 0,e singolare se detA = 0.

Come nel caso delle coniche, riducendo a forma canonica la forma quadrati-ca Q2(x, y, z) che compare nell’equazione della superificie quadrica, eseguendopoi opportune traslazioni, e possibile ridurre a forma canonica le quadriche edottenere il seguente teorema di classificazione delle superficie quadriche.

Teorema 8.8. Sia S una superficie quadrica non singolare nello spazioeuclideo, a punti reali, esiste un sistema di riferimento cartesiano ortogonaleR(O, ı, , k) in cui S ha una delle seguente equazioni:

(1) X2

a2 + Y 2

b2+ Z2

c2= 1, la superficie quadrica e un ellissoide;

(2) X2

a2 + Y 2

b2− Z2

c2= 1, la superficie quadrica e un iperboloide a una

falda;

(3) X2

a2 − Y 2

b2− Z2

c2= 1, la superficie quadrica e un iperboloide a due falde;

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 401

(4) X2

a2 + Y 2

b2= Z, la superficie quadrica e un paraboloide ellittico;

(5) X2

a2 − Y 2

b2= Z, la superficie quadrica e un paraboloide iperbolico.

Tale riferimento e detto riferimento canonico per la quadrica.

Esempio 8.20.

(1) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, x, y, z)sia S la quadrica di equazione:

z − 2xy = 0.

Per ridurre a forma canonica la forma quadratica

Q2(x, y, z) = −2xy,

la cui matrice associata e la seguente

A2 =

0 −1 0−1 0 00 0 0

.

Gli autovalori di A2 sono α1 = 1, α2 = −1, α3 = 0, la forma canonicadi Q2 e la seguente

Q2(X, Y, Z) = X2 − Y 2.

Gli autospazi associati sono i seguenti:

Vα1: x + y = z = 0

Vα2: x − y = z = 0

Vα3: x = y = 0,

una base ortonormale formata da autovettori e la seguente:

v1 =1√2

1−10

v2 =1√2

110

v3 =

001

.

Le equazioni del cambio di coordinate sono

xyz

=

1√2

1√2

0

− 1√2

1√2

0

0 0 1

.

XYZ

,

per cui l’equazione di S nelle coordinate (X, Y, Z) e la seguente

Z = Y 2 − X2.

Abbiamo trovato l’equazione canonica di S, possiamo concludere chela quadrica e non singolare ed e un paraboloide iperbolico.

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402 8. FORME QUADRATICHE E LORO APPLICAZIONI.

(2) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, x, y, z)sia S la quadrica di equazione:

3x2 + y2 + 6z2 + 4xz − 1 = 0.

Innanzitutto riduciamo a forma canonica la forma quadratica

Q2(x, y, z) = 3x2 + y2 + 6z2 + 4xz,

la cui matrice associata e la seguente

A2 =

3 0 20 1 02 0 6

.

Gli autovalori di A2 sono α1 = 1, α2 = 2, α3 = 7, la forma canonicadi Q2 e la seguente

Q2(X, Y, Z) = X2 + 2Y 2 + 7Z2.

Gli autospazi associati sono i seguenti:

Vα1: x = z = 0

Vα2: x + 2z = y = 0

Vα3: 2x − z = y = 0,

una base ortonormale formata da autovettori e la seguente:

v1 =

010

v2 =1√5

−201

v3 =1√5

102

.

Le equazioni del cambio di coordinate sono

xyz

=

0 − 2√5

1√5

1 0 00 1√

52√5

.

XYZ

,

per cui l’equazione di S nelle coordinate (X, Y, Z) e la seguente

X2 + 2Y 2 + 7Z2 = 1.

Tale equazione e canonica, possiamo concludere che la quadrica e nonsingolare ed un ellissoide a punti reali.

(3) Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, x, y, z)sia S la quadrica di equazione:

4x2 + y2 + 2y − 6z2 + 12z − 7 = 0.

Osserviamo che la forma quadratica

Q2(x, y, z) = 3x2 + y2 − 6z2,

e in forma canonica. Quindi per ridurre la quadrica a forma canonicabasta completare i quadrati:

3x2 + (y2 + 2y + 1) − 6(z2 − 2z + 1) = 7 + 1 − 6 = 2,

cioe3x2 + (y + 1)2 − 6(z − 1)2 = 2.

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2. CLASSIFICAZIONE DI CONICHE E QUADRICHE 403

Con la traslazione di equazione

X = x

Y = y + 1

Z = z − 1

si ottiene l’equazione canonica della quadrica:

X2

12

+Y 2

2− Z2

13

= 1.

Possiamo concludere che la quadrica e non singolare ed e un iper-boloide a una falda.

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CAPITOLO 9

Esercizi

Proponiamo alcuni esercizi sui vari argomenti presentati, e per alcuni di essiforniamo la soluzione o la risposta.

In generale, le risposte riportate in colore rosso sono univoche; quelle incolore ciano sono soggette ad un certo grado di arbitrarieta. Se una rispostae riportata in colore magenta e univocamente determinata, ma dipende dallescelte fatte in precedenza.

1. Introduzione

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 0, e vengono divisi in piu sottosezioni per comodita di organizzazione degliargomenti.

2. Numeri complessi

Riportiamo alcuni esercizi proposti di recente nelle prove d’esame. Conve-niamo per le risposte di indicare con Arg(Z) l’argomento principale del nume-ro complesso z, ossia l’angolo ricondotto all’intervallo principale (−π, π]. Cioeliminera alcune arbitrarieta nelle risposte, per motivi di semplicita.

Per alcuni esercizi viene riportata la soluzione dettagliata; per altri, le solerisposte corrette.

Esercizio 2.1. (27 novembre 2008, prova in itinere)Dato il numero complesso w = 1+i

√3, calcolare: (a) |w4| =: (b) Arg(w4) =

(c) ℜ(w−1) = (d) ℑ(w−1) =

Risoluzione. Calcoliamo prima modulo e argomento di w:

(9.1) |w| =

12 + (√

3)2 =√

4 = 2 , Arg(w) = arctan(√

3) =π

3.

Con la formula di De Moivre, otteniamo immediatamente

(9.2) |w4| = |w|4 = 24 = 16 Arg(w4) = 4 Arg(w) =4

3π .

405

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406 9. ESERCIZI

Inoltre, w−1 = w/|w|2; abbiamo, pertanto:

(9.3) ℜ(w−1) = ℜ(w

|w|2 ) = ℜ(1 − i

√3

|w|2 ) =1

4,

e

(9.4) ℑ(w−1) = ℑ(w

|w|2 ) = ℑ(1 − i

√3

|w|2 ) = −1

4

√3 .

Esercizio 2.2. (27 novembre 2008, prova in itinere)Determinare i numeri complessi z che soddisfano le seguenti condizioni:

{

|z| = 1

Arg(z2) = π + 2kπ

Risoluzione. La prima equazione da direttamente il modulo dei numeri zcercati. La seconda equazione ci dice che

(9.5) Arg(z) =1

2Arg(z2) =

π

2+ kπ k ∈ Z .

Al variare di k ∈ Z otteniamo diversi argomenti, ma tutti sono equivalenti aidue argomenti principali

(9.6) ϑ1 =π

2ϑ1 =

3

2π ;

I numeri z1,2 cercati percio sono:

(9.7) z1 = 1 ei π2 = i z2 = 1 ei 3π

2 = −i

Esercizio 2.3. (4 febbraio 2009, appello)Si considerino i numeri complessi z = 1 +

√3i e w = 1 + i. Si calcolino:

(a) |z| = 2 (b) Arg(w) = π4 (c) Arg(z3w) = 5

4π (d) |w3

z2 | =√

22

Esercizio 2.4. (19 febbraio 2009, appello)

Si consideri il numero complesso z = 1−√

3i√3+3i

. Si calcolino:

(a) |z| = (b) Arg(z) = (c) z−1 = (d) z2 =

Esercizio 2.5. (6 luglio 2009, appello)Si consideri il numero complesso z = (1 − i)−1. Si calcolino:

(a) |z| =√

22 (b) Arg(z) = π

4 (c) ℜ(z−1) = 1 (d) z2 = i2

Esercizio 2.6. (16 settembre 2009, appello) Si considerino i numeri com-plessi z = 1 +

√3i e w = 1− i. Si calcolino: (a) z3 = −8 (b) Arg(zw) = π

12

(c) |zw2| = 4 (d) w−1 = 12(1 + i)

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3. VETTORI APPLICATI IN E3O E GEOMETRIA NELLO SPAZIO 407

Esercizio 2.7. (23 novembre 2009, appello straord.)Determinare il numero z ∈ C tale che

ℜ(z + i) = 2 ℜ(1 − iz) = −1 z = 2 − 2i.

Noto z, si calcolino:(a) Arg(z3) = −3

4π (b) |2z−1| = 1√2

(c) ℑ(z2) = −8.

Esercizio 2.8. (14 settembre 2010)Considerare il numero complesso z = (2 − 2i)−3 ∈ C. Determinare

(a) Arg(z) = 34π (b) |z| =

√2

32 (c) 1z = −16(1 + i) (d) z−2 = 512i.

Esercizio 2.9. (11 febbraio 2010)Considerare il numero complesso z =

√2 −

√6i.

Sia w ∈ C tale che |w| = |z|√2, e Arg(w) = π

4 . Determinare

(a) w =√

2(1 + i) (b) Arg(z) = −π3 (c) z3w2 = −64

√2i (d) ℜ(w3) =

−4√

2

3. Vettori applicati in E3O e geometria nello spazio

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 1.

Esercizio 3.1. (27 novembre 2008, prova in itinere)

Fissata la base standard{

ı, , k}

di E3O, sono dati i vettori: u = ı− e v = k−.

Determinare:

(1) Un versore w ∈ Span(u − v):(2) L’equazione cartesiana di Span(u, v):(3) Un vettore n ortogonale ai vettori u e v:(4) Un vettore x ∈ Span(u, v) ortogonale al vettore v:(5) Le coordinate del vettore x rispetto alla base {v, n, u}:

Risoluzione. Cominciamo con lo scrivere il vettore w = u − v = ı − k,per risolvere il punto (1); sicuramente, w ∈ Span((u, v). Per avere un versore,basta dividere w per il suo modulo:

(9.8) w =w

|w| =ı − k√1 + 1

,

ossia,

w =1√2(ı − k .)

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408 9. ESERCIZI

Per il punto (2), scriviamo ora una generica combinazione lineare di u, vsecondo i coefficienti reali λ, µ; questo dara un vettore generico x ∈ Span(u, v)(osserviamo che questo insieme e il piano passante per l’origine che contiene idue vettori):

(9.9) x = λu + µv ;

riscriviamo la (9.9) secondo le componenti

xyz

di x, e otteniamo le equazioni

parametriche:

(9.10)

x = λ

y = −λ − µ

z = µ

L’eliminazione dei parametri dall’Eq. (9.10) per avere l’equazione cartesiana delpiano generato da u e v: otteniamo y = −x − z, cioe

x + y + z = 0 .

L’osservazione fatta sopra, ossia che lo span dei due vettori e un piano,permette di risolvere immediatamente il punto (3): infatti, un vettore n orto-gonale allo span deve essere ortogonale al piano, ossia diretto come la normaleal piano, quindi le sue componenti devono essere proporzionali ai coefficientidelle variabili nell’equazione del piano. Pertanto,

n = ı + + k .

Per il punto (4), scriviamo ora la condizione che il vettore dell’Eq. (9.10) siaortogonale a v: per fare questo, basta scrivere che il prodotto scalare fra i duevettori e nullo. Usando l’espressione per il prodotto scalare espressa tramite lecomponenti, otteniamo

(9.11) 〈v, x〉 = vx x + vy y + vz z = 0 + (−1)(−λ − µ) + 1µ = λ + 2µ = 0.

Questo esprime il legame che deve sussistere tra i due parametri; scegliendoµ = −1 abbiamo:

(9.12)

x = λ = −2µ = 2

y = −λ − µ = −(2) − (−1) = −1

z = µ = −1

,

che consente di scrivere

x = 2ı − − k .

Resta ora da risolvere il punto (5); scriviamo il vettore x come combinazionelineare di vettori della base:

(9.13) x = αv + βn + γu .

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3. VETTORI APPLICATI IN E3O E GEOMETRIA NELLO SPAZIO 409

Osserviamo, anzitutto, che x ∈ Span(u, v) e n ⊥ u, v; nell’Eq. (9.13) e imme-diato, quindi, ottenere che β = 0, poiche x non puo avere componente lungon. Per trovare α e γ possiamo moltiplicare scalarmente l’equazione vettoriale(9.13) per due vettori della base standard, e ottenere due equazioni scalari. Se

scegliamo di proiettare lungo ı e lungo k le equazioni si risolvono immediata-mente, poiche i due vettori della nuova base sono rispettivamente ortogonali aqueste direzioni:

〈x, ı〉 = α〈v, ı〉 + γ〈u, ı〉 = 0 + β = 2(9.14a)

〈x, k〉 = α〈v, k〉 + γ〈u, k〉 = α + 0 = −1 .(9.14b)

Pertanto, le coordinate richieste sono:

−102

.

Esercizio 3.2. (27 novembre 2008)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino i punti P1 = (0, 1,−1), P2 = (1, 0,−1), e P3 = (0, 2, 0).

(1) Determinare l’equazione cartesiana del piano π passante per i puntiP1, P2 e P3:

(2) Dire quale/i fra i punti Q1 = (1,−1, 0), Q2 = (−1, 1, 0), Q3 = (1, 1, 0)e Q4 = (0, 0,−2) appartengono al piano π.

Risoluzione. Il piano richiesto e parallelo al piano passante per l’origine

determinato da Span(−−−→P1P2,

−−−→P1P3). Cominciamo a determinare questo piano,

scrivendo esplicitamente le combinazioni lineari dei due vettori

−−−→P1P2 = P2 − P1 =

1−10

= ı − e−−−→P1P3 = P3 − P1 =

011

= + k .

Otteniamo:

(9.15)

x = λ

y = −λ + µ

z = µ

da cui, eliminando i parametri y = −x + z. L’equazione del piano richiestoavra, pertanto, la forma x + y − z = δ. Per calcolare il valore di δ bastaimporre il passaggio per uno qualunque dei tre punti: scegliendo P3 abbiamoimmediatamente per il piano π l’equazione:

(9.16) x + y − z = 2 .

Per il secondo quesito, basta semplicemente verificare se le coordinate dei puntisoddisfano o meno l’equazione (9.16) del piano trovata. E facile convincersi che

Q3, Q4 ∈ π,

mentre gli altri due punti sono esterni al piano.

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410 9. ESERCIZI

Esercizio 3.3. (27 novembre 2008)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino il punto P = (0, 2, 0) e la retta r di equazioni y − z = y − x = 0.Determinare:

(1) La direzione della retta r:(2) L’ equazione cartesiana del piano π1 contenente la retta r ed il punto

P :(3) L’equazione cartesiana del piano π2 ortogonale ad r e passante per P :(4) L’angolo fra i piani π1 e π2:(5) La distanza del punto P dalla retta r:

Risoluzione. Le equazioni della retta r possono essere scritte come

x = y ,(9.17a)

z = y ,(9.17b)

che permettono subito di scegliere y come parametro cartesiano; in altre parole,uguagliando y ad un parametro λ ∈ R scriveremo:

x = λ ,(9.18a)

y = λ ,(9.18b)

z = λ .(9.18c)

Dalle Eq. (9.18) otteniamo immediatamente che la retta passa per l’origine, eun vettore che individua la sua direzione sara

(9.19) d =

111

.

L’equazione del piano π1 avra la forma

(9.20) α x + β y + γ z = δ ;

osserviamo che il suo vettore normale N =

αβγ

deve essere ortogonale a d,

quindi il loro prodotto scalare deve essere nullo:

(9.21) 〈N , d〉 = α + β + γ = 0 ,

che ci fornisce una prima condizione per i valori delle componenti di N .Imponendo che il piano passi per il punto P otteniamo:

(9.22) α 0 + β 2 + γ 0 = 2β = δ ;

osservando che il piano deve contenere la retta r, quindi anche l’origine, im-poniamo δ = 0 e, quindi, dall’Eq. (9.22), β = 0. Nell’Eq. (9.21) possiamoprendere, quindi, α = 1, da cui γ = −1. L’equazione del piano risulta essere,quindi:

(9.23) x − z = 0.

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3. VETTORI APPLICATI IN E3O E GEOMETRIA NELLO SPAZIO 411

La scrittura dell’equazione del piano π2 e quasi immediata: imponendo ilpassaggio per il punto P e che il vettore d rappresenta un suo vettore normale,data la condizione imposta dal testo, abbiamo

(9.24) 1(x − 0) + 1(y − 2) + 1(z − 0) = 0 ,

ossia

x + y + z = 2.

L’angolo fra i piani π1 e π2 e immediatamente determinato, senza bisognodi calcoli: poiche uno contiene la retta r e l’altro e ortogonale a questa, i duepiani sono ortogonali, pertanto il loro angolo e

ϑ =π

2.

Resta, infine, da determinare la distanza di P da r. Determiniamo il puntoQ intersezione fra la retta r ed il piano π2 ortogonale ad essa passante per P ,di cui abbiamo determinato l’equazione (9.24); tale punto risolve il sistema

(9.25)

y − z = 0

y − x = 0

x + y + z = 2 .

La soluzione del sistema e semplice, e fornisce Q = (23 , 2

3 , 23); la distanza richiesta

coincide con la distanza fra P e Q:

(9.26) d(P, Q) =

(2

3−)2 + (

2

3− 2)2 + (

2

3− 0)2 ;

sviluppando i calcoli otteniamo

d(P, Q) = d(P, r) = 2

√6

3.

Esercizio 3.4. (4 febbraio 2008, appello)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino il punto P = (1, 1, 1) ed il piano π di equazione x + 2y + z = 1.

(1) Scrivere le eq. cartesiane della retta r ortogonale a π e passante perP :

(2) Scrivere l’eq. del piano τ contenente l’origine e la retta r:(3) Scrivere l’eq. del piano σ passante per P parallelo a π:

Esercizio 3.5. (19 febbraio 2009, appello)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),

si considerino il punto P = (1,−1,−1) ed i vettori u =

210

e v =

012

.

(1) Scrivere l’equazione del piano π = Span(u, v).(2) Calcolare la distanza δ di P da π.

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412 9. ESERCIZI

(3) Scrivere le equazioni cartesiane della retta r passante per l’origine delriferimento ed il piede della perpendicolare a π passante per P .

(4) Scrivere l’equazione del piano che contiene P ed r.

Esercizio 3.6. (6 luglio 2009, appello)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino la retta r di equazioni x = y e z−2y = 0 ed il punto P = (1, 1, h).

(1) Scrivere l’ equazione del piano π passante per l’origine e ortogonale ar: x + y + 2z = 0.

(2) Determinare i valori del parametro h per i quali P ∈ π: h = −1.(3) Trovare i punti sulla retta r distanti

√6 dal piano π:

P1 = (1, 1, 2), P2 = (−1,−1,−2).

Esercizio 3.7. (16 settembre 2009, appello)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino i punti A = (1, 1, 0), B = (1, 0, 1) e C = (1, h, 2).

(1) Scrivere le equazioni cartesiane della retta AB:

x = 1 y + z = 1

(2) Stabilire per quale/i valori del parametro reale h i punti A, B e C sonoallineati: h = −1

(3) Posto h = 2, scrivere l’equazione cartesiana del piano per i tre punti:

x = 1

Esercizio 3.8. (16 settembre 2009, appello)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino la sfera Σ di equazione

x2 + y2 + z2 − 2x + 4y + z + 5 = 0

ed il piano π di equazione x + z = 0. Determinare:

(1) Le coordinate del centro C ed il raggio R della sfera:

C = (1,−2,−1

2) R =

1

2

(2) La distanza del centro C dal piano π:

δ =

√2

4

(3) Il raggio r della circonferenza che π taglia su Σ:

r =

√2

4

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3. VETTORI APPLICATI IN E3O E GEOMETRIA NELLO SPAZIO 413

Esercizio 3.9. (23 novembre 2009, appello straord.)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino i punti A = (1, 1, 1) e B = (2,−1, 3).

(1) Scrivere l’equazione del piano π passante per O e perpendicolare allaretta r = AB.

x − 2y + 2z = 0 .

(2) Calcolare le distanze fra A e B, fra A e π, fra B e π:

dAB = 3, dAπ =1

3, dBπ =

10

3.

(3) Calcolare la distanza fra O e la retta AB:

dO,AB =

√26

3.

Esercizio 3.10. (14 febbraio 2010)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),

si considerino i punti A =

21−1

, B =

10−2

, e P =

−10−1

.

(1) Scrivere le equazioni cartesiane della retta r passante per A e B:{

x − y = 1

y − z = 2

(2) Scrivere le equazioni cartesiane della retta s passante per P e avente

direzione d = ı − k:

{

x + z = −2

y = 0

(3) Precisare la posizione reciproca delle rette r ed s: rette SGHEMBE.(4) Scrivere l’equazione del piano π che contiene A, B, e P : π : x − 3y +

2z + 3 = 0(5) Calcolare la distanza dell’origine O del riferimento da π: δ = 3√

14.

Esercizio 3.11. (14 settembre 2010)

Fissato nello spazio un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si considerino i punti A = (0, 2, 1), B = (2, 0,−1).

(1) Determinare le equazioni parametriche della retta r passante per A eB:

x = 1 + t

y = 1 − t

z = −t

t ∈ R

Determinare in forma cartesiana il piano π passante per l’origine O =(0, 0, 0) ed ortogonale a r: x − y − z = 0

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414 9. ESERCIZI

(2) Determinare il punto H di intersezione fra r e π: H = (1, 1, 0)(3) Determinare in forma cartesiana le equazioni della retta OH:

x − y = z = 0

4. Spazi vettoriali

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 2.

Esercizio 4.1. Considerati i seguenti sottospazi di R3

U =

xyz

∈ R3 |x − y = z = 0

e

V =

xyz

∈ R3 |x + y = 0

determinare:

(1) la dimensione ed una base di U e V ;(2) il sottospazio U ∩ V ;(3) la sommma U + V . U e V sono in somma diretta?

Risoluzione. Le equazioni che definiscono gli elementi di U sono 2, e sonoindipendenti. Scriviamole in forma parametrica; per fare questo, osserviamoche la coordinata z e fissata: z = 0. Scrivendo la prima equazione cartesiananella forma x = y risulta naturale scegliere come parametro una qualunquedelle due coordinate:

x = λ ,(9.27a)

y = λ ,(9.27b)

z = 0 ,(9.27c)

con λ ∈ R. Essendoci un solo parametro libero, dim(U) = 1. Per avere unabase BU di U , basta prendere λ = 1: il vettore ottenuto genera U .

BU =

110

.

Per V , z e libera; inoltre, y = −x: le equazioni parametriche sono:

x = λ ,(9.28a)

y = −λ ,(9.28b)

z = µ ,(9.28c)

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4. SPAZI VETTORIALI 415

con λ, µ ∈ R. Con due parametri liberi, abbiamo dim(V ) = 2. Per avere unabase BV di V , basta prendere λ = 1 e µ = 0, e poi λ = 0 e µ = 1: i vettoriottenuti sono indipendenti, e quindi generano V

BV =

1−10

,

001

.

Per il secondo punto, dobbiamo trovare le coordinate che soddisfano il sistema

(9.29)

x − y = 0

z = 0

x + y = 0

.

Sommando e sottraendo membro a membro la prima e l’ultima otteniamo

(9.30)

2x = 0

z = 0

2y = 0

,

cioe x = y = z = 0. Solo il vettore nullo si trova nell’intersezione.La formula di Grassmann garantisce che

dim(U) + dim(V ) = dim(U + V ) + dim(U ∩ V ) ;

siccome dim(U ∩ V ) = 0, dim(U + V ) = 1 + 2 = 3.Ossia, U + V e un sottospazio di R3 di dimensione 3; ma dim(R3) = 3,

quindi U + V = R3. La somma e diretta: U + V = U ⊕ V .

Esercizio 4.2. Dati i sottospazi di R4:

U =

xyzt

∈ R4 |x − y = 0

e

V =

xyzt

∈ R4 |x − t = z = 0

determinare:

(1) la dimensione ed una base di U e V ;(2) la dimensione ed una base di U + V ;(3) la sommma U ∩ V . U e V sono in somma diretta?

Risoluzione. Una sola equazione definisce gli elementi di U . Scriviamolain forma parametrica; per fare questo, osserviamo che le coordinate z e t so-no libere; scrivendo l’equazione cartesiana nella forma x = y risulta naturale

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416 9. ESERCIZI

scegliere come parametro una qualunque delle due coordinate:

x = λ ,(9.31a)

y = λ ,(9.31b)

z = µ ,(9.31c)

t = ν ,(9.31d)

con λ, µ, ν ∈ R. Essendoci tre parametri liberi, dim(U) = 3. Per avere una baseBU di U , basta prendere un parametro di valore unitario, e gli altri due nulli: i3 vettori ottenuti generano U .

BU =

1100

,

0010

,

0001

.

Come conseguenza, abbiamo, chiaramente, dim(U) = 3.Per V , y e libera; inoltre, x = t, e z = 0. Le equazioni parametriche che

definiscono l’insieme sono:

x = λ ,(9.32a)

y = µ ,(9.32b)

z = 0 ,(9.32c)

t = λ ,(9.32d)

con λ, µ ∈ R. Con due parametri liberi, abbiamo dim(V ) = 2. Per avere unabase BV di V , basta prendere λ = 1 e µ = 0, e poi λ = 0 e µ = 1: i vettoriottenuti sono indipendenti, e quindi generano V

BV =

1001

,

0100

.

Per il secondo punto, dobbiamo trovare le coordinate che soddisfano ilsistema

(9.33)

x − y = 0

z = 0

x − t = 0

.

Le tre equazioni sono, banalmente, indipendenti; prendendo come parametrolibero la variabile x, abbiamo le seguenti equazioni parametriche, dipendenti daun solo parametro:

x = λ ,(9.34a)

y = λ ,(9.34b)

z = 0 ,(9.34c)

t = λ ;(9.34d)

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4. SPAZI VETTORIALI 417

si ha, quindi, dim(U ∩ V ) = 1, e una sua base e costituita dal vettore

1101

.

La formula di Grassmann garantisce che

dim(U) + dim(V ) = dim(U + V ) + dim(U ∩ V ) ;

siccome dim(U ∩ V ) = 1, dim(U + V ) = 3 + 2 − 1 = 4; ossia, U + V e unsottospazio di R4 di dimensione 4; ma dim(R4) = 4, quindi U + V = R4. Perconvincersi di cio, osserviamo che U + V e generato da

BU ∪ BV =

1100

,

0010

,

0001

,

1001

,

0100

;

gli ultimi 4 vettori sno linearmente indipendenti, e permettono di scrivere ogni

vettore

xyzt

di R4 come loro combinazione lineare. Come si puo verificare

facilmente, si ha:

xyzt

= x

1001

+ y

0100

+ z

0010

+ (t − x)

0001

.

La somma non e diretta, perche dim(U ∩ V ) = 1 6= 0.

Esercizio 4.3. (27 novembre 2008, prova in itinere)Si considerino i seguenti sottospazi di R4:

U =

xyzt

∈ R4 : x + y = t = 0

V = Span

00−11

,

−1100

.

(1) Determinare una base per U :(2) Determinare un sistema di generatori per U + V :(3) Calcolare: dim(U + V ) = dim(U ∩ V ) =

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418 9. ESERCIZI

Risoluzione. Scriviamo in forma parametrica le equazioni che definisconoil sottospazio U ; per fare questo, osserviamo che la coordinata z e completamen-te libera. Scrivendo la prima equazione cartesiana nella forma y = −x risultanaturale scegliere come parametro una qualunque delle due coordinate:

x = λ ,(9.35a)

y = −λ ,(9.35b)

z = µ ,(9.35c)

t = 0 ,(9.35d)

dove λ, µ ∈ R. La dimensione di U e dunque 2, come il numero di parametriliberi. Scegliendo λ = 1, µ = 0 e λ = 0, µ = 1 otteniamo due vettori linearmenteindipendenti che possono essere usati come base. Percio una base di U e:

(9.36)

1−100

,

0001

.

Per avere un sistema di generatori di U + V basta unire i vettori della base diU con i generatori di V , che sono noti per la definizione di V come span di uninsieme di vettori. Possiamo scrivere per questo sistema

(9.37)

1−100

,

0001

,

00−11

,

−1100

.

Notando che il primo e l’ultimo vettore sono banalmente linearmente dipendenti(uno l’opposto dell’altro), ne terremo uno solo. Quindi il sistema

(9.38)

1−100

,

0001

,

00−11

,

non solo genera U + V come il precedente, ma e anche una sua base, vistoche i tre vettori rimasti sono linearmente indipendenti, come e facile verificare.Allora abbiamo in modo immediato che

dim(U + V ) = 3 ;

la formula di Grassmann ci da

dim(U + V ) = dim(U) + dim(V ) − dim(U ∩ V ) ,

e, poiche dim(U) = dim(V ) = 2, abbiamo

dim(U ∩ V ) = 1 .

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5. MATRICI, DETERMINANTE E RANGO 419

5. Matrici, determinante e rango

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 3.

Esercizio 5.1. (27 novembre 2008, prova in itinere)Si consideri la seguente matrice reale quadrata di ordine 4, al variare delparametro reale h:

A =

h 0 0 01 1 0 01 1 1 − h 01 1 1 h

.

(1) Calcolare, al variare di h, |A| =:(2) Determinare per quali valori di h la matrice A e singolare (non inver-

tibile):(3) Determinare per quali valori di h le righe di A sono vettori linearmente

indipendenti:(4) Determinare per quali valori di h la matrice ha rango 2:(5) Posto h = −1, calcolare: |A5| = | − 4A| =

Risoluzione. La matrice e triangolare; il suo determinante e il prodottodegli elementi sulla diagonale; in funzione di h abbiamo

(9.39) det(A) = h2(1 − h).

La matrice e singolare se e solo se il suo determinante e nullo; dall’Eq. (9.39),uguagliando il determinante a 0, otteniamo che la condizione di singolarita e

h = 1 ∨ h = 0.

I vettori riga di A sono linearmente indipendenti se il rango e massimo, ossiase il determinante non e nullo; quindi, nella situazione complementare rispettoal punto precedente:

h 6= 1 ∧ h 6= 0.

Per avere rango 2, la matrice non deve avere rango massimo, ossia, det(A) =0. Gli unici valori da esplorare sono, quindi h = 1 ∨ h = 0.

Per h = 0, la matrice diventa

(9.40) A =

0 0 0 01 1 0 01 1 1 01 1 1 0

;

nella matrice (9.40), osserviamo che la terza e la quarta riga coincidono, laprima e nulla, e la seconda e sicuramente indipendente dalla terza. Possiamo,dunque, dire che il rango in questo caso e 2.

Invece, per h = 1, la matrice diventa

(9.41) A =

1 0 0 01 1 0 01 1 0 01 1 1 0

;

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420 9. ESERCIZI

nella matrice (9.41), stavolta la seconda e la terza riga coincidono, ma la prima,seconda e quarta righe sono linearmente indipendenti. Il rango in questo casoe 3. Pertanto, il rango e 2 per

h = 0.

Posto h = −1, dall’Eq. (9.39) abbiamo

(9.42) det(A) = 2 ;

quindi, usando le regole per il calcolo dei determinanti:

|A5| = 25 = 32 ,

e

| − 4A| = (−4)4 × 2 = 512 .

Esercizio 5.2. Siano A e B due matrici reali quadrate di ordine n ≥ 2.Dimostrare che

rg(A + B) ≤ rg(A) + rg(B).

Risoluzione. Consideriamo gli operatori lineari LA : Rn → Rn e LB : Rn →Rn definiti rispettivamente da

LA(X) = AX, LB(X) = BX ∀X ∈ Rn.

Si ha rg(A) = dim ImLA e r(B) = dim ImLB. Consideriamo inoltre l’operatoresomma degli operatori LA e LB, definito nel seguente modo:

(LA + LB)(X) = LA(X) + LB(X) = AX + BX = (A + B)X, ∀X ∈ Rn.

Osserviamo che la matrice associata a (LA + LB), nella base standard di Rn, ela matrice A + B. Si ha quindi:

rg(A + B) = dim Im(LA + LB).

Osserviamo che si ha la seguente inclusione fra sottospazi:

Im(LA + LB) ⊂ Im LA + Im LB .

Infatti, siano X ∈ Rn e Y = (LA + Lb)(X) si ha:

Y = (A + B)X = AX + BX ∈ Im LA + ImLB.

Abbiamo quindi

rg(A + B) = dim Im(LA + LB) ≤ dim(ImLA + ImLB),

dal teorema di Grassmann si ha

dim(ImLA + Im LB) ≤ dim Im LA + dim ImLB = rg(A) + rg(B),

possiamo pertanto concludere che

r(A + B) ≤ rg(A) + rg(B).

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6. APPLICAZIONI LINEARI 421

6. Applicazioni lineari

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 4.

Esercizio 6.1. (4 febbraio 2009, prova in itinere)Si consideri l’applicazione lineare f : R3 → R4 definita da

f(x, y, z) = (x + y + 2z, x + z, y + z, x + y + 2z).

Determinare:

(1) La matrice A che rappresenta f rispetto alle basi canoniche:(2) dim Im f = dim Ker f =(3) Le eq. cartesiane per Ker f e Im f :(4) Una matrice B ∈ MR(3), non nulla, per cui si abbia AB = 0:

Esercizio 6.2. (4 febbraio 2009, appello)Si consideri la seguente applicazione lineare f : R2 → R3:

f(x, y) = (x + y,−x,−y).

(1) Determinare la matrice A che rappresenta f rispetto alle basi stan-dard:

(2) Determinare: dim Im f = dim Ker f =(3) f e iniettiva? Giustificare la risposta.

(4) Determinare le equazioni cartesiane per Im f :(5) Sia w = (1, a, 0). Determinare per quali valori di a ∈ R si ha w ∈ Im f :

Esercizio 6.3. (19 febbraio 2009, appello)Si consideri la seguente applicazione lineare f : R3 → R4:

f(x, y, z) = (x, x − y + z, z − 2x − y, x + z).

(1) Determinare la matrice A che rappresenta f rispetto alle basi standard:(2) Determinare: dim Im f = dim Ker f =(3) Determinare una base di Im f(4) Completare la base di Im f per avere una base di R4

(5) (non assegnato) Determinare la matrice B che rappresenta f rispettoalla base standard in R3 ed alla seguente base di R4:

B4 =

1101

,

0001

,

2010

,

0102

.

(6) Determinare la matrice M tale che AM = B

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422 9. ESERCIZI

Esercizio 6.4. (6 luglio 2009, appello)Si consideri la seguente applicazione lineare f : R3 → R2:

f

xyz

=

(

2x − 2y − zy + z

)

.

(1) Determinare la matrice A che rappresenta f rispetto alle basi standard:

A =

(

2 −2 −10 1 1

)

(2) Determinare: dim Im f = 2 dim Ker f = 1

(3) Il vettore v =

(

33

)

appartiene a Im f? Giustificare la risposta.

Sı: f e surgettiva (dim Im f = rg A = 2).(4) f e iniettiva? Giustificare la risposta.

No: dim Ker f = 1.(5) Sia U ⊂ R3 il sottospazio di equazione 2x + z = 0.

Calcolare dim f(U) = 1.

Esercizio 6.5. (16 settembre 2009, appello)Fissata la base standard B = {e1, e2, e3} di R3, si consideri l’applicazione linearef : R3 → R3 tale che:

f(e1) = e2 + e3 f(e2) = e1 + e2 + e3 f(e3) = 2e1 + e2 + e3.

(1) Determinare la matrice A che rappresenta f rispetto alla base stan-dard:

A =

0 1 21 1 11 1 1

(2) Calcolare: dim Im f = 2 , dim Kerf = 1(3) Determinare le equazioni di Imf e Ker f :

Im f ={

(x, y, z) ∈ R3 | y − z = 0}

,

Kerf ={

(x, y, z) ∈ R3 | y + 2z = 0, x + y + z = 0}

ossia, Kerf e la retta per l’origine diretta come d =

1−21

.

(4) Determinare un piano per l’origine U ⊂ R3 la cui immagine sia unaretta per l’origine di R3: basta prendere un piano che contenga Kerf ,

ossia che sia generato da d e da un altro vettore indipendente, peresempio, u = (0, 1, 0). Con questa scelta il piano ha equazione x = z.

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6. APPLICAZIONI LINEARI 423

Esercizio 6.6. (23 novembre 2009, appello straord.)Fissata le basi standard B3 = {e1, e2, e3} di R3, e B′ = {e′

1, e′2, e

′3e

′4} di R4 si

consideri l’ applicazione lineare L : R4 → R3 tale che:

L(e′1) = e1−e2−e3 L(e′

2) = e2−e3 L(e′3) = −e1+2e3 L(e′

4) = 2e1−e2−3e3.

(1) Determinare la matrice A che rappresenta L rispetto alle basi standard:

A =

1 0 −1 2−1 1 0 −1−1 −1 2 −3

(2) Calcolare: dim(ImL) = 2 , dim(KerL) = 2(3) Precisare se L e iniettiva e/o surgettiva, motivando la risposta.

Non e iniettiva (dim(KerL) 6= 0);non e surgettiva (dim(ImL) = 2 6= dim R3).

(4) Determinare l’equazione cartesiana di ImL:

2x + y + z = 0

(5) Determinare una base di KerL:

BKer =

1110

,

−2−101

Esercizio 6.7. (11 febbraio 2010)Si consideri l’applicazione lineare L : R2 → R3 definita da

L

(

xy

)

=

x + hyhx + y

(h + 1)y

,

con h ∈ R e siano {e1, e2} i vettori della base standard di R2.

(1) Calcolare: L(e1) =

1h0

L(e2) =

h1

1 + h

(2) Scrivere la matrice AL rappresentativa di L nelle basi standard di R2

e R3:

AL =

1 hh 10 1 + h

(3) Dire per quale/i valori di h l’applicazione e iniettiva: h 6= −1(4) Posto h = 1, determinare la/le equazioni cartesiane di ImL: x− y = 0

(5) Posto h = −1, determinare una base di KerL: BKer =

{(

11

)}

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424 9. ESERCIZI

Esercizio 6.8. (14 settembre 2010)Fissata la base standard B = {e1, e2, e3} di R3, si consideri l’ applicazionelineare L : R3 → R3 tale che:

L(e1) = e1 + e2; L(e2) = e2 − e3; L(e3) = e1 + e3.

(1) Calcolare: dim(ImL) = 2 , dim(KerL) = 1(2) Determinare l’equazione cartesiana di ImL: x − y − z = 0

(3) Determinare una base di KerL:

B =

1−1−1

(4) Sia B′ la base composta dai seguenti vettori:

u1 = e1 + e2, u2 = e2 + e3, u3 = e1 + e3.

Determinare la matrice B rappresentativa di L nella base B′

B =

2 1 10 0 0−1 0 1

Esercizio 6.9. Stabilire quali tra le seguenti applicazioni tra spazi vettorialisono lineari:

(1) f : R2 → R f(x, y) = x.y;(2) f : R2 → R2 f(x, y) = (x, x − y);(3) f : R → R2 f(x) = (ax, x + b), a, b ∈ R.

(1) Ricordiamo che f : R2 → R e un’applicazione lineare se e solo se sonoverificate le seguenti condizioni:

f(v1 + v2) = f(v1) + f(v2) ∀v1, v2 ∈ R2,

f(λv) = λf(v) ∀v ∈ R2,∀λ ∈ R.

Sia v = (x, y) ∈ R2, osserviamo che risulta

f(λv) = f(λx, λy) = λx.λy = λ2x.y,

λf(v) = λx.y;

poiche risulta f(λv) 6= λf(v), possiamo concludere che f non e lineare.

(2) Sia f : R2 → R2 definita da f(x, y) =

(

xx − y

)

. Osserviamo che l’applica-

zione f puo essere scritta in forma matriciale

f(x, y) = A ·(

xy

)

, A =

(

1 01 −1

)

.

La linearita di f segue dalle proprieta di linearita del prodotto matriciale, infattisi ha:

A · (X + X ′) = A · X + A · X ′, ∀X, X ′ ∈ MR(2, 1),

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6. APPLICAZIONI LINEARI 425

A · (λX) = λ(A · X), ∀λ ∈ R, ∀X ∈ MR(2, 1).

(3) Sia f : R → R2 definita da f(x) =

(

axx + b

)

, a, b ∈ R. Condizione necessaria

affinche f sia lineare e che risulti f(OR) = OR2 , quindi

f(0) = (0, b) = (0, 0) ⇒ b = 0.

Verifichiamo ora che f(x) = (ax, x) e lineare ∀a ∈ R. A tal fine possiamoscrivere f in forma matriciale

f(x) = A · x, A =

(

a1

)

,

da cui possiamo concludere che f e lineare (cf. p.to (b)).

Esercizio 6.10. Si consideri l’endomorfismo f : R3 → R3 definito da:

f

xyz

=

2x − y + zy + zx + z

.

(1) Scrivere la matrice associata a f rispetto alla base standard {e1, e2, e3}di R3;

(2) calcolare la dimensione degli spazi Ker f e Im f ;(3) scrivere le equazioni dei sottospazi Ker f e Im f ;(4) determinare una base per i sottospazi Ker f e Im f .

(1) Fissata la base standard B = {e1, e2, e3} di R3, calcoliamo le immagini deivettori della base

f(e1) = f

100

=

201

f(e2) = f

010

=

−110

f(e3) = f

001

=

111

.

La matrice A ∈ MR(3) associata ad f nella base B ha come colonne, rispetti-vamente, le coordinate dei vettori f(e1), f(e2), f(e3) nella base B:

A =

2 −1 10 1 11 0 1

.

(2) Ricordiamo come sono definiti i sottospazi Ker f e Im f :

Ker f ={

v ∈ R3| f(v) = 0R3

}

,

Im f ={

w ∈ R3| ∃v ∈ R3 : f(v) = w}

.

Osserviamo che i vettori f(e1), f(e2), f(e3) sono un sistema di generatori delsottospazio immagine Im f e che risulta

dim(Im f) = rg A.

Poiche |A| = −2 + 2 = 0, e le prime due colonne di A sono linearmente indi-pendenti si ha r(A) = 2. Possiamo concludere che dim Im f = 2 e quindi Im f

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426 9. ESERCIZI

e un piano in R3 passante per l’origine, generato dai vettori f(e1) e f(e2). Dalteorema delle dimensoni si ha che:

dim(R3) = dim(Ker f) + dim(Im f),

da cui ricaviamo che dim Ker f = 1 e quindi Ker f e una retta in R3 passanteper l’origine.(3) Oserviamo che risulta:

Im f = Span(f(e1), f(e2)) ={

w ∈ R3| w = αf(e1) + βf(e2), α, β ∈ R}

,

le equazioni parametriche di Im f sono le seguenti:

Im f ={

(x, y, z) ∈ R3 : x = 2α − β, y = β, z = α, α, β ∈ R}

,

eliminando i parametri otteniamo l’equazione cartesiana di Im f :

x + y − 2z = 0.

Il sottospazio Ker f e lo spazio delle soluzioni del seguente sistema lineareomogeneo

Ker f =

(x, y, z) ∈ R3| A ·

xyz

=

000

,

poiche la matrice A ha rango 2 e la seconda e la terza riga di A sono linearmenteindipendenti, le equazioni di Ker f sono le seguenti:

{

y + z = 0

x + z = 0.

(4) Osserviamo che il sottospazio Ker f puo essere descritto con equazioniparametriche

Ker f ={

(x, y, z) ∈ R3| x = t, y = t, z = −t, t ∈ R}

,

quindi Ker f = Span((1, 1,−1)), per cui possiamo scegliere come base di Ker fil vettore v = (1, 1,−1).

Infine, per trovare una base del sottospazio Im f basta osservare che Im f =Span(f(e1), f(e2)), e i vettori f(e1) e f(e2) sono linearmente indipendenti, unabase di Im f e la seguente : w1 = (2, 0, 1) e w2 = (−1, 1, 0).

Esercizio 6.11. Si consideri l’applicazione L : MR(2) → MR(2) definitada

L

(

a bc d

)

=

(

a b+c2

b+c2 d

)

.

(1) Verificare che L e lineare.(2) Scrivere la matrice associata a L nella base standard di MR(2).(3) Determinare una base per i sottospazi Ker f e Im f .(4) Scrivere l’applicazione L2.

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6. APPLICAZIONI LINEARI 427

(1) Ricordiamo che L e un’applicazione lineare se sono verificate le seguenticondizioni:

L(A + B) = L(A) + L(B) ∀A, B ∈ MR(2)

L(λA) = λL(A) ∀A ∈ MR(2), ∀λ ∈ R.

Siano A =

(

a bc d

)

e B =

(

a′ b′

c′ d′

)

, si ha:

L(A + B) = L

(

a + a′ b + b′

c + c′ d + d′

)

=

(

a + a′ (b+b′+c+c′)2

(b+b′+c+c′)2 d + d′

)

= L(A) + L(B).

Siano A =

(

a bc d

)

e λ ∈ R, si ha:

L(λA) = L

(

λa λbλc λd

)

=

(

λa λ b+c2

λ b+c2 λd

)

= λL(A).

(2) Ricordiamo che la base standard dello spazio vettoriale MR(2) e costituitadalle matrici {E11, E12, E21, E22}, dove

E11 =

(

1 00 0

)

E12 =

(

0 10 0

)

E21 =

(

0 01 0

)

E22 =

(

0 00 1

)

.

Sia A =

(

a bc d

)

∈ MR(2), A si scrive come combinazione lineare delle matrici

della base standard

A = aE11 + bE12 + cE21 + dE22,

il vettore X ∈ R4 delle coordinate di A rispetto alla base fissata e il seguente:

X =

abcd

.

La matrice associata ad l nella base fissata e la matrice M ∈ MR(4) le cuicolonne sono rispettivamente le coordinate di f(E11), f(E12), f(E21), f(E22)rispetto alla base fissata. Si ha:

L(E11) = L

(

1 00 0

)

=

(

1 00 0

)

= 1E11,

L(E12) = L

(

0 10 0

)

=

(

0 12

12 0

)

=1

2E12 +

1

2E21,

L(E21) = L

(

0 01 0

)

=

(

0 12

12 0

)

=1

2E12 +

1

2E21,

L(E22) = L

(

0 00 1

)

=

(

0 00 1

)

= 1E22,

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428 9. ESERCIZI

concludendo la matrice M e la seguente:

M =

1 0 0 00 1

212 0

0 12

12 0

0 0 0 1

.

(3) Il sottospazio Im L e per definizione:

Im L = {B ∈ MR(2)| ∃A ∈ MR(2) : L(A) = B} ,

poiche si ha rg(M) = 3, dim(ImL) = 3 e una base per ImL e data dalle matrici

L(E11) = E11, L(E12) =1

2(E12 + E21), L(E22) = E22.

Posiamo concludere che lo spazio immagine e il seguente sottospazio di MR(2):

Im L =

{

B =

(

a bc d

)

: a, b, c, d ∈ R, b = c

}

,

cioe il sottospazio delle matrici quadrate di ordine 2 reali e simmetriche.Il sottospazio KerL e per definizione:

KerL =

{

A ∈ MR(2)| L(A) =

(

0 00 0

)}

.

Per il teorema delle dimensioni (4.8) si ha:

dimMR(2) = dim(KerL) + dim(ImL),

da cui si ricava che dim(KerL) = 1. Osserviamo che L

(

a bc d

)

=

(

0 00 0

)

se e

solo se si ha

a = d = 0, b + c = 0.

Otteniamo quindi che

KerL = Span(

(

0 1−1 0

)

),

per cui come base per il sottospazio possiamo scegliere la matrice A =

(

0 1−1 0

)

.

(4) L’applicazione L2 e la composizione di L con se stessa nel seguente modo:

L2(A) = L(L(A)). Sia A =

(

a bc d

)

∈ MR(2), si ha

L2(A) = L

(

a b+c2

b+c2 d

)

=

(

a b+c2

b+c2 d

)

= L(A) ∀A ∈ MR(2).

Possiamo concludere che L2 = L; analogamente vale la stessa relazione per lematrici associate:

M2 = M.

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7. SISTEMI DI EQUAZIONI LINEARI 429

7. Sistemi di equazioni lineari

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 5.

Esercizio 7.1. (4 febbraio 2009, prova in itinere)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale h:

{

(h + 1)x + (h − 1)y + z = 0

(2h − 1)x + y + (h − 1)z = h

(1) Determinare per quali valori di h il sistema ammette soluzioni:(2) Determinare per quali valori di h l’insieme delle soluzioni e una retta

in R3:(3) Risolvere il sistema per h = −1.

Risoluzione. (1 ) Osserviamo che il sistema dato e un sistema di 2 equa-zioni e 3 incognite. La matrice dei coefficienti e la colonna dei termini noti sonole seguenti:

A =

(

h + 1 h − 1 12h − 1 1 h − 1

)

B =

(

0h

)

.

Prima di tutto calcoliamo il rango di A al variare di h ∈ R; ∀h ∈ R risulta1 ≤ rg(A) ≤ 2. Scegliamo un minore di ordine 2 in A, ad esempio quellodeterminato dalle colonne A2 e A3:

δ =

h − 1 11 h − 1

= (h − 1)2 − 1 = h2 − 2h = h(h − 2).

Osserviamo che risulta:

δ = 0 ⇐⇒ h = 0 ∨ h = 2.

Possiamo quindi affermare che:∀h ∈ R, con h 6= 0 e h 6= 2, rg(A) = 2. Consideriamo ora la matrice completa

del sistema A = (A|B); questa e una matrice di ordine 2 × 4, pertanto si ha

rg(A) ≤ 2, per ogni h ∈ R. Possiamo concludere che, ∀h ∈ R, con h 6= 0 eh 6= 2:

rg(A) = rg(A) = 2.

Per il Teorema di Rouche-Capelli, il sistema ammette soluzioni e l’insieme dellesoluzioni Vh e una varieta lineare di dimensione 3 − 2 = 1 in R3, quindi e unaretta in R3, che non passa per l’origine.

Esaminiamo ora, caso per caso, i valori del parametro rimasti.Sia h = 0: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo

A =

(

1 −1 1−1 1 −1

)

B =

(

00

)

.

Osserviamo che il sistema e omogeneo, quindi ammette sempre soluzioni. Poicherisulta A2 = −A1, possiamo concludere che rg(A) = 1. L’insieme delle soluzionie quindi un sottospazio V0 di R3 di dimensione 3 − 1 = 2, e quindi un piano diR3 passante per l’origine.

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430 9. ESERCIZI

Sia ora h = 2: sostituiamo tale valore nel sistema, abbiamo

A =

(

3 1 13 1 1

)

B =

(

02

)

.

Si osserva che le righe della matrice A sono uguali: rg(A) = 1. Indichiamo con

A = (A, B); si vede subito che ogni sottomatrice che contiene la colonna B ha

determinante non nullo: risulta rg(A) = 2. Quindi abbiamo:

rg(A) 6= rg(A).

Pertanto, per il teorema di Rouche-Capelli, il sistema non ammette soluzioniper h = 2. Riassumendo il sistema ammette soluzioni per h 6= 2..(2) La discussione riportata al punto precedente permette di affermare che ilsistema ha per soluzione una retta di R3 per h 6= 2 e h 6= 0.(3) Con h = −1 il sistema diventa

{

−2y + z = 0

−3x + y + −2z = −1

Scambiando le due righe, possiamo individuare in z la variabile libera; dall’e-quazione −2y + z = 0 ricaviamo y = −z/2. Sostituendo nell’altra, otteniamo

−3x − z/2 − 2z = −3x − (5/2)z = −1

da cui x = −(5/6)z + 1/3.La soluzione in forma parametrica ha la forma

x = −56λ + 1

3

y = −λ2

z = λ

λ ∈ R

Esercizio 7.2. (4 febbraio 2009, appello)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale h:

hx + y = 1

x + hy = h

(1 − h)x + y + hz = 0

2x + (2 + h)y + hz = 1 + h

(1) Determinare per quali valori di h il sistema ammette soluzioni:(2) Determinare per quali valori di h l’insieme delle soluzioni e una retta

in R3:(3) Determinare per quali valori di h il sistema ha un’unica soluzione:

Esercizio 7.3. (19 febbraio 2009, appello)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale k:

x + (k + 1)y + z = 0

−4x + y + kz = 0

(k + 4)x − y = k + 1

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7. SISTEMI DI EQUAZIONI LINEARI 431

(1) Determinare per quali valori di k il sistema ammette un’unica soluzio-ne:

(2) Determinare per quali valori di k l’insieme delle soluzioni e una rettain R3:

(3) Risolvere il sistema per k = 1:

Esercizio 7.4. (6 luglio 2009, appello)Si consideri la matrice dipendente dal parametro reale h

A =

h 1 00 1 hh h + 1 1h h 0

(1) Si determini il rango di A al variare di h:Per h = 0, 1 rg A = 2; per h 6= 0, 1 rg A = 3.

(2) Si consideri il sistema dipendente da h

hx + y = 0y + hz = 2hx + (h + 1)y + z = 1hx + hy = 0

(a) Si determini per quali valori di h il sistema ammette soluzioni:h = 2

(b) Si determini per quali valori di h la soluzione esiste ed e unica:h = 2

Esercizio 7.5. (16 settembre 2009, appello)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale k:

{

kx + y + (k + 2)z = 2

x + ky + (2k + 1)z = k + 1

(1) Determinare per quali valori di k non ammette soluzione: k = −1(2) Determinare per quali valori di k l’insieme delle soluzioni e una retta

in R3: k 6= 1,−1(3) Determinare per quali valori di k l’insieme delle soluzioni e un piano

in R3: k = +1

Esercizio 7.6. (23 settembre 2009, appello straord.)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale k:

kx + z = 2

x − 2y − kz = −1

x + kz = −2

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432 9. ESERCIZI

(1) Determinare per quali valori di k il sistema ammette un’unica solu-zione:

k 6= ±1(2) Determinare per quali valori di k il sistema non ammette soluzioni:

k = +1(3) Determinare per quali valori di k il sistema ammette infinite soluzioni:

k = −1(4) Posto k = 2, risolvere il sistema.

x = 2, y =7

2, z = −2 .

Esercizio 7.7. (14 settembre 2010)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale h:

x + hy + z + (h2 − 1)t = h + 1

y + z + t = 0

x + hy + z = 0

(1) Determinare per quali valori di h il sistema ammette soluzioni: h 6= 1(2) Determinare per quali valori di h l’insieme delle soluzioni ha dimen-

sione 2: h = −1

(3) Posto h = 2, risolvere il sistema.

xyzt

=

2−101

+ z

1−110

, z libero

Esercizio 7.8. (14 settembre 2010)Si consideri il seguente sistema lineare dipendente dal parametro reale k:

x + y − kz = k

x + y + z = 2 + 3k

2x − ky + z = 2

(1) Si determini per quali valori di k il sistema ammette soluzioni: k 6= −2 .(2) Si determini per quale valore di k la soluzione non e unica: k = −1 .(3) In corrispondenza del valore di k del punto precedente, si determini la

soluzione generale del sistema:

x = 3

y = −4 − t

z = t

t ∈ R

Esercizio 7.9. Dato il sistema lineare

hx + y = 0

x + hy − z = 1

−y + hz = 0

, stabilire per

quali valori del parametro reale h

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7. SISTEMI DI EQUAZIONI LINEARI 433

(1) il sistema ha soluzioni reali;(2) il sistema ammette un’unica soluzione;(3) l’insieme delle soluzioni e una retta in R3;(4) l’insieme delle soluzioni e un piano in R3.

Risoluzione. (1) Il sistema lineare e non omogeneo, ha 3 equazioni in 3incognite. In forma matriciale il sistema si scrive AX = B, dove la matrice Adei coefficienti, la colonna B dei termini noti e il vettore X delle incognite sonoi seguenti:

A =

h 1 01 h −10 −1 h

B =

010

X =

xyz

.

Indicata con A la matrice completa, ottenuta aggiungendo ad A la colonna B,per il teorema di Rouche Capelli il sistema ammette soluzioni se e solo si ha:

rg(A) = rg(A).

Per determinare il rango della matrice A, cerchiamo i valori del parametro hche annullano il determinante di A; risulta:

|A| = 0 ⇔ h(h2 − 2) = 0 ⇔ h = 0, h = ±√

2.

Poiche r(A) ≤ 3, possiamo concludere che se h 6= 0 e h 6= ±√

2 risulta:

rg(A) = 3 = rg(A).

Sia,ora, h = 0, abbiamo A =

0 1 01 0 −10 −1 0

: osserviamo che i vettori

colonna A1 e A22 sono linearmente indipendenti, inoltre si ha A3 = −A1 eB = A1. Quindi risulta:

rg(A) = rg(A) = 2.

Sia, infine, h = ±√

2 abbiamo A =

±√

2 1 0

1 ±√

2 −1

0 −1 ±√

2

: osserviamo che

i vettori A1, A2 e B sono linearmente indipendenti; infatti, si ha:

det

±√

2 1 0

1 ±√

2 10 −1 0

6= 0.

Risulta quindi:

rg(A) = 2 r(A) = 3.

Possiamo quindi concludere che il sistema ammette soluzioni reali se e solo seh 6= ±

√2, rispondendo al quesito (1).

2 Ricordiamo che, per i valori del parametro h per cui il sistema e compatibile,l’insieme delle soluzioni del sistema e la varieta lineare

V = KerLA + X0,

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434 9. ESERCIZI

dove KerLA e il nucleo dell’operatore fA : R3 → R3 associato alla matrice A,ossia definito da LA(X) = AX ∀X ∈ R3, X0 ∈ R3 e una soluzione del sistema,i.e.

AX0 = B.

La dimensione della varieta V e la dimensione del sottospazio KerfA:

dimV = dimKerfA = 3 − rg(A).

Il sistema pertanto ammette un’unica soluzione se e solo se V = {X0}, se e solose dimV = 0, se e solo se rg(A) = 3. Quindi h 6= 0 e h 6= ±

√2.

3 La varieta V e una retta in R3 se e solo se dimV = 1, se e solo se rg(A) = 2,se e solo se h = 0.4 Osserviamo che poiche risulta ∀h rg(A) ≥ 2, allora dimV ≤ 1. Concludendonon esistono valori reali di h per cui V sia un piano in R3.

Esercizio 7.10. Dato il sistema lineare

{

(2h − 1)x − hy + 2z = 2 − h

hx − y + (h + 1)z = 2h − h2,

stabilire per quali valori del parametro reale h

(1) il sistema ha soluzioni reali;(2) l’insieme delle soluzioni e una retta in R3;(3) l’insieme delle soluzioni e un piano in R3.

Risoluzione. Il sistema lineare e non omogeneo, ha 2 equazioni in 3 inco-gnite. In forma matriciale il sistema si scrive AX = B, dove la matrice A deicoefficienti, la colonna B dei termini noti e il vettore X delle incognite sono iseguenti:

A =

(

2h − 1 −h 2h −1 h + 1

)

B =

(

2 − h2h − h2

)

X =

xyz

.

Idicata con A la matrice completa, ottenuta aggiungendo ad A la colonna B,per il teorema di Rouche Capelli il sistema ammette soluzioni se e solo si ha:

rg(A) = rg(A).

Osserviamo che rg(A) ≤ 2 e rg(A) ≤ 2. Consideriamo il seguente minore diordine 2 di A:

∆ = det

(

2h − 1 −hh −1

)

= (h − 1)2,

poiche ∆ = 0 se e solo se h = 1, possiamo concludere che se h 6= 1 allora risulta:

rg(A) = 2 = rg(A),

e il sistema ammette soluzioni reali.Se h = 1, le matrici A ed A sono le seguenti:

A =

(

1 −1 21 −1 2

)

A =

(

1 −1 2 11 −1 2 1

)

,

risulta, pertantorg(A) = 1 = rg(A),

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7. SISTEMI DI EQUAZIONI LINEARI 435

il sistema ammette quindi soluzioni reali. La risposta al quesito (1) e la seguente:il sistema ammette soluzioni reali per ogni h ∈ R.(2) Ricordiamo che l’ insieme delle soluzioni del sistema e la varieta lineare

V = Ker fA + X0,

dove Ker LA e il nucleo dell’applicazione lineare LA : R3 → R2 data da LA(X) =AX, ∀X ∈ R3, X0 ∈ R3 e una soluzione del sistema, i.e.

AX0 = B.

La dimensione della varieta V e la dimensione del sottospazio KerLA:

dimV = dimKerLA = 3 − rg(A).

Osserviamo che V e una retta in R3 se e solo se dimV = 1, se e solo ser(A) = 2: ci o avviene per ogni h 6= 1.Osserviamo che se h = 1, poiche rg(A) = 1, dimV = 2, quindi V e il piano inR3 di equazione

x − y + 2z = 1.

Esercizio 7.11. Dato il sistema lineare

hx + y + z = 1

(1 + h)x + y + k z = h2 − 2

−x + h y + (h + k)z = k

,

discuterne la solubilita al variare dei parametri h, k ∈ R.

Risoluzione. La matrice dei coefficienti del sistema

A =

h 1 11 + h 1 k−1 h h + k

e quadrata; calcoliamo direttamente il suo determinante:

det(A) =

h 1 11 + h 1 k−1 h h + k

= h2 − kh2 − 2k + 1 = h2 + 1 − k(h2 + 2)

Essendo h2 + 2 > 0, per k 6= h2+1h2+2

|A| 6= 0, quindi rg(A) = 3, e rg(A) =

rg(A|B) = 3, poiche la matrice completa e di ordine 3×4, quindi non puo avererango superiore a 3. In questo caso il sistema ammette soluzione, anzi, un’unicasoluzione, perche il sistema e quadrato di ordine 3 = rg(A).

Per k = h2+1h2+2

, la matrice A diventa

A =

h 1 1

1 + h 1 h2+1h2+2

−1 h h + h2+1h2+2

considerando la sottomatrice 2 × 2 che contiene le prime due righe e le primedue colonne, si vede subito che rg(A) = 2: infatti

h 11 + h 1

= h − (1 + h) = −1 6= 0 .

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436 9. ESERCIZI

Determiniamo il rango della matrice completa con k = h2+1h2+2

(9.43) (A|B) =

h 1 1 0

1 + h 1 h2+1h2+2

h2 − 2

−1 h h + h2+1h2+2

h2+1h2+2

Studiamo il determinante della sottomatrice formata dalla prima, seconda eultima colonna:

(9.44)

h 1 01 + h 1 h2 − 2

−1 h h2+1h2+2

= −(h2 + 1)(h4 − 3)

h2 + 2;

questo si annulla per h = ± 4√

3.Si verifica facilmente che per questi valori del parametro h il rango del-

la matrice completa resta rg(A|B) = 2, quindi il sistema ammette soluzioni.Altrimenti, rg(A|B) = 3 ed il sistema non ammette soluzioni.

8. Autovalori ed autovettori di un operatore; diagonalizzazione

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 6.

Esercizio 8.1. (4 febbraio 2009, prova in itinere)Si consideri la seguente matrice reale di ordine 3:

A =

−2 1 11 −2 11 1 −2

.

(1) Calcolare il rango di A:(2) Verificare che il vettore v = (1,−1, 0) e autovettore di A, calcolarne

l’autovalore relativo:(3) Scrivere le equazioni degli autospazi di A:

(4) Determinare una base di R3 formata da autovettori di A:

(5) Scrivere una matrice B con lo stesso polinomio caratteristico di A chenon sia simile ad A:

Esercizio 8.2. (4 febbraio 2009, appello)Si considerino la matrice A e la matrice B dipendente dal parametro reale k:

A =

1 1 11 1 11 1 1

B =

0 k 10 0 10 0 3

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8. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI DI UN OPERATORE; DIAGONALIZZAZIONE 437

(1) Il vettore v = (1, 1, 1) e autovettore di A, determinarne l’autovalorerelativo:

(2) Determinare una base per l’autospazio associato all’autovalore α = 0:

(3) Determinare al variare di k gli autovalori di B e le relative molteplicitaalgebriche e geometriche:

(4) Stabilire per quali valori di k le matrici A e B sono simili:

Esercizio 8.3. (19 febbraio 2009, appello)Si considerino la matrice A dipendente dal parametro reale k:

A =

1 0 00 2 02 k + 1 2

(1) Determinare gli autovalori della matrice A:(2) Determinare le molteplicita algebriche e geometriche degli autovalori,

al variare di k:(3) Determinare per quali valori di k la matrice A e diagonalizzabile:(4) Posto k = 1, determinare una base per ciascuno degli autospazi

Esercizio 8.4. (19 febbraio 2009, appello)Si consideri la matrice

A =

1 2 02 1 01 2 3

.

(1) Determinare gli autovalori di A e le loro molteplicita algebriche:λ1 = −1, ρ(λ1) = 1; λ2 = 3, ρ(λ2) = 2.

(2) Scrivere per ogni autovalore le equazioni del corrispondente autospazio:Vλ1

={

(x, y, z) ∈ R3 |x + y = 0, x + 2y + 4z = 0}

.

Vλ2={

(x, y, z) ∈ R3 |x = 0, y = 0}

.(3) Gli autovalori di A sono regolari? Giustificare la risposta.

λ1 sı: ρ(λ1) = γ(λ1) = 1 (molteplicita algebrica = molteplicitageometrica).

λ2 no: ρ(λ2) = 2 6= γ(λ2) = 1 (moltepl. alg. 6= moltepl. geom.).(4) Scrivere una matrice B avente lo stesso polinomio caratteristico di A,

che non sia simile ad A:

B =

3 0 00 3 00 0 −1

Esercizio 8.5. (16 settembre 2009, appello)

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438 9. ESERCIZI

Si consideri la seguente matrice:

A =

1 −1 0−1 0 −10 −1 −1

(1) Calcolare |A|5 = 0(2) Determinare gli autovalori di A e le loro molteplicita algebriche: λ1 =

0, λ3 =√

3, λ2 = −√

3. Tutti con molteplicita algebrica e geometricaunitaria.

(3) Il vettore v = (1, 1,−1) e autovettore di A? Giustificare la risposta.Sı: basta moltiplicare la matrice A per il vettore v. Il risultato e il

vettore nullo, quindi tale vettore e autovettore con autovalore 0.(4) Determinare una base di R3 formata da autovettori di A:

B =

11−1

,

12−

√3

21−

√3

1

,

12+

√3

21+

√3

1

Esercizio 8.6. (23 novembre 2009, appello straord.)Si consideri la seguente matrice:

A =

1 −1 01 −1 01 −1 1

(1) Calcolare det A7 = 0(2) Determinare gli autovalori λ di A e le loro molteplicita algebriche µ:

λ1 = 0µ1 = 2 , λ2 = 1µ2 = 12 .

(3) Determinare le equazioni per l’autospazio di ciascun autovalore trova-to:

Vλ1= V0 : x − y = z = 0 ,

V λ2 = V1 x = y = 0 .

(4) Precisare se la matrice e diagonalizzabile, motivando la risposta.Non e diagonalizzabile, perche dimV0 + dim V1 = 2 6= 3 = dim R3.

Esercizio 8.7. (11 febbraio 2010)Si consideri la seguente matrice reale quadrata di ordine 4:

A =

1 1 0 01 1 0 01 1 2 01 1 0 2

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8. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI DI UN OPERATORE; DIAGONALIZZAZIONE 439

(1) Determinare gli autovalori della matrice A e le loro molteplicita alge-briche:

λ1 = 0, µ1 = 1 λ2 = 2, µ2 = 3

(2) Determinare dimensione ed equazioni cartesiane di ciascun autospaziodi A: dimensioni (molteplicita geometriche): ν1 = 1, ν2 = 2

V0 =

xyzt

|x + y = z = t = 0

, V2 =

xyzt

|x = y = 0

(3) Determinare una base per ciascun autospazio di A:

BV0=

1−100

, BV2=

0010

,

0001

,

(4) A e diagonalizzabile? Giustificare la risposta. NO: ν2 = 2 6= µ2 = 3

Esercizio 8.8. (14 settembre 2010)Si consideri la seguente matrice reale quadrata di ordine 4 dipendente dalparametro h ∈ R:

A =

2 1 0 01 2 h 00 0 1 20 0 2 1

(1) Determinare gli autovalori della matrice A:

λ1 = −1, λ2 = 1, λ3 = 3.

(2) Determinare per quale/i valori di h la matrice A e diagonalizzabile:

h = 0

(3) Posto h = 0, determinare dimensione, equazioni cartesiane ed una baseper ciascun autospazio di A:

dim(V−1) = 1, V−1 = {(x, y, z, t) ∈ R4 |x = y = z + t = 0}, BV−1=

001−1

dim(V1) = 1, V1 = {(x, y, z, t) ∈ R4 |x + y = z = t = 0}, BV1=

1−100

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440 9. ESERCIZI

dim(V3) = 2, V3 = {(x, y, z, t) ∈ R4 |x − y = z − t = 0}, BV3=

0011

,

1100

(4) Determinare per quale valore di h esiste una base ortogonale di R4

formata da autovettori di A: h = 0 .

Esercizio 8.9. Sia {e1, e2, e3} la base standard di R3, si consideri l’opera-tore lineare L : R3 → R3 definito da:

L(e1) = e1 − 2e3 L(e2) = e1 + e2 − 2e3 L(e3) = 3e3.

(1) Determinare gli autovalori di L e le loro molteplicita algebriche;(2) scrivere le equazioni degli autospazi;(3) determinare una base per ciascun autospazio;(4) e possibile trovare una base di R3 formata da autovettori di L?

Risoluzione. L’operatore f : R3 → R3 e univocamente determinato dalleimmagini dei vettori della base; infatti:

L(xe1 + ye2 + ze3)

= xL(e1) + yL(e2) + zL(e3)

= x(e1 − 2e3) + y(e1 + e2 − 2e3) + z(3e3)

= (x + y)e1 + ye2 + (3z − 2x)e3,

(9.45)

da cui ricaviamo

L(x, y, z) = (x + y, y, 3z − 2x) = A ·

xyz

, A =

1 1 00 1 0−2 −2 3

.

(1) Ricordiamo che gli autovalori di L sono le soluzioni dell’equazione ca-ratteristica di L, che si ottiene uguagliando a zero il polinomio caratteristico dif . Il polinomio caratteristico di f e:

pL(t) = pA(t) = |A − tI3| = det

1 − t 1 00 1 − t 0−2 −2 3 − t

= (1 − t)2(3 − t),

osserviamo che pL(t) e totalmente decomponibile in R. L’equazione caratteri-stica di L e quindi la seguente:

(1 − t)2(3 − t) = 0 ,

le cui soluzioni sono t = 1 con molteplicita algebrica µ(1) = 2 e t = 3 conmoplteplicita algebrica µ(3) = 1.(2), (3) Sia t = 1; l’autospazio V1 e per definizione il seguente sottospazio diR3:

V1 ={

v ∈ R3| f(v) = v}

=

(x, y, z) ∈ R3| (A − I3)

xyz

= 0R3

,

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8. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI DI UN OPERATORE; DIAGONALIZZAZIONE 441

con dimV1 = 3 − rg(A − I3). Risulta:

A − I3 =

0 1 00 0 0−2 −2 2

,

quindi rg(A−I3) = 2 e di conseguenza dim V1 = 1. Ricordiamo che la moltepli-cita geometrica di un autovalore α e m(α) = dimVα e che l’autovalore e regolarese e solo se risulta m(α) = µ(α). Poiche risulta m(1) < µ(1) l’autovalore t = 1non e regolare.

L’autospazio V1 e la retta per l’origine di equazioni{

y = 0

x − z = 0,

pertanto V1 = Span(v), dove v =(

1, 0,)

. Una base per V1 e data dal vettorenon nullo v.

Sia t = 3, l’autospazio V3 e per definizione il seguente sottospazio di R3:

V3 ={

v ∈ R3| f(v) = 3v}

=

xyz

∈ R3| (A − 3I3)

xyz

= 0R3

,

con dimV3 = 3 − rg(A − 3I3). Risulta:

A − 3I3 =

−2 1 00 −2 0−2 −2 0

,

quindi rg(A − 3I3) = 2 e di conseguenza dim V3 = 1. L’autovalore t = 3 eregolare in quanto autovalore semplice (i.e. m(3) = 1 = µ(3)). L’autospazio V3

e la retta per l’origine di equazioni{

y = 0

x = 0,

pertanto V3 = Span(e3). Una base per V3 e data dal vettore e3.(4) Ricordiamo che esiste una base di R3 formata da autovettori di L se e solose L e diagonalizzabile. Condizione necessaria e sufficiente affinche L sia diago-nalizzabile e che il polinomio caratteristico di L sia totalmente decomponibilee che gli autovalori di L siano regolari.

Abbiamo osservato che la prima condizione e verifcata, tuttavia l’autovaloret = 1 non e regolare, quindi L non e diagonalizzabile.

Esercizio 8.10. Considerare le seguenti matrici quadrate reali di ordine 3:

A =

1 0 10 1 10 0 2

B =

1 1 00 2 01 0 1

.

(1) Verificare che A e B hanno lo stesso polinomio caratteristico.(2) Le matrici A e B sono simili?

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442 9. ESERCIZI

Risoluzione. (1) Calcoliamo rispettivamente il polinomio caratteristicodelle matrici A e B:

pA(t) = |A − tI3| = det

1 − t 0 10 1 − t 10 0 2 − t

= (1 − t)2(2 − t),

pB(t) = |B − tI3| = det

1 − t 1 00 2 − t 01 0 1 − t

= (1 − t)2(2 − t),

osserviamo che pA(t) = pB(t) nell’anello dei polinomi R[t].(2) Ricordiamo che la condizione appena verificata e una condizione necesssaria,ma non sufficiente per la relazione di similitudine tra matrici. Cerchiamo di ave-re maggiori informazioni sulle matrici date, ad esempio se siano diagonalizzabili.Osserviamo che entrambe le matrici hanno polinomio caratteristico totalmentedecomponibile in R, quindi rimane da verificare se gli autovalori siano regolari.Gli autovalori delle matrici sono t = 1 con µ(1) = 2 e t = 2 con µ(2) = 1.L’autovalore t = 2e semplice, quindi sicuramente regolare, m(2) = µ(2) = 1.

Analizziamo l’autovalore t = 1. Ricordiamo che l’autospazio V1,A e ilseguente sottospazio di R3:

V1,A =

xyz

∈ R3| (A − I3)

xyz

= 0R3

,

con dimV1,A = 3 − rg(A − I3). Poiche risulta:

A − I3 =

0 0 10 0 10 0 1

abbiamo r(A − I3) = 1 e quindi m(1) = dim V1,A = 2. Poiche risulta m(1) =2 = µ(1), l’autovalore t = 1 e regolare per la matrice A. La matrice A ediagonalizzabile e quindi simile alla matrice ∆ = diag(1, 1, 2).

Analogamente l’autospazio V1,B e il seguente sottospazio:

V1,B =

xyz

∈ R3 : (B − I3)

xyz

= 0R3

,

con dimV1,B = 3 − rg(B − I3). Poiche risulta:

B − I3 =

0 1 00 1 01 0 0

abbiamo r(B − I3) = 2 e quindi m(1) = dimV1,B = 1. Poiche risulta m(1) =1 < µ(1), l’autovalore t = 1 non e regolare per la matrice B. La matrice B none pertanto diagonalizzabile.

Possiamo concludere che le matrici A e B non sono simili: infatti se B fossesimile ad A, per la proprieta transitiva della similitudine B sarebbe simile anchealla matrice diagonale ∆ e quindi B sarebbe diagonalizzabile.

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8. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI DI UN OPERATORE; DIAGONALIZZAZIONE 443

Esercizio 8.11. Sia L : R3 → R3 un operatore lineare con la seguenteproprieta: esiste un numero reale non nullo α tale che ogni vettore non nullov ∈ R3 e un autovettore associato all’autovalore α.

(1) Descrivere l’operatore L;(2) scrivere la matrice associata ad L rispetto ad una qualsiasi base B di

R3.

Risoluzione. (1) Sia v ∈ R3 un vettore non nullo, poiche v e un autovet-tore di L associato all’autovalore α, si ha

L(v) = αv,

se v = 0R3 , poiche L e un endomorfismo, si ha L(0R3) = 0R3 . Posto v =

xyz

otteniamo che L e definito da

L

xyz

= α

xyz

=

αxαyαz

.

Ricordiamo che il nucleo di L per definizione e il seguente sottospazio di R3

Ker f ={

v ∈ R3| f(v) = 0R3

}

,

osserviamo che Ker L = {0R3}, infatti

αv = 0R3 =⇒ v = 0R3

essendo α 6= 0 per ipotesi. Cio implica che L e un endomorfismo iniettivo equindi un automorfismo di R3. Infine ricordiamo che

Im L ={

w ∈ R3| ∃v ∈ R3 : f(v) = w}

,

possiamo quindi concludere che ImL = R3.(2) Sia B = {v1, v2, v3} una base di R3, calcoliamo le immagini dei vettori dellabase:

L(v1) = αv1 L(v2) = αv2 L(v3) = αv3.

La matrice A associata ad L rispetto alla base B ha come colonne, rispettiva-mente, le coordinate delle immagini dei vettori della base:

A =

α 0 00 α 00 0 α

,

cie A = αI(3), la matrice identita di ordine 3.

Esercizio 8.12. Considerare la seguente matrice reale quadrata di ordine4:

A =

1 1 1 10 −1 1 10 0 −1 10 0 0 1

.

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444 9. ESERCIZI

(1) Scrivere il polinomio caratteristico di A;(2) la matrice A e diagonalizzabile?(3) scrivere la matrice A−1 utilizando il Teorema di Cayley Hamilton.

Risoluzione. (1) Il polinomio caratteristico di A e :

pA(t) = |A− tI(4)| = det

1 − t 1 1 10 −1 − t 1 10 0 −1 − t 10 0 0 1 − t

= (1− t)2(−1− t)2,

osserviamo che e totalmente decomponibile in R.(2) Gli autovalori di A sono le soluzioni dell’equazione caratteristica di A:

(1 − t)2(−1 − t)2 = 0

le cui soluzioni sono t = 1 con µ(1) = 2 e t = −1 con µ(−1) = 2. La matrice A ediagonalizabile se e solo se il polinomio caratteristico di A e totalmente decom-ponibile e gli autovalori di A sono regolari. La prima condizione e verificata,rimane da verificare la regolarita degli autovalori.

Sia t = 1, l’autospazio associato e il seguente sottospazio di R4:

V1 ={

X ∈ R4| AX = X}

={

X ∈ R4| (A − I4)X = ~0R4

}

con dimV1 = 4 − rg(A − I(4)). Risulta:

A − I(4) =

0 1 1 10 −2 1 10 0 −2 10 0 0 0

,

abbiamo quindi r(A − I4) = 3, per cui m(1) = dimV1 = 1. Poiche risultam(1) < µ(1), l’autovalore t = 1 non e regolare, quindi A non e diagonalizzabile.(3) Il teorema di Cayley Hamilton afferma che ogni matrice reale quadrataA di ordine n soddisfa il proprio polinomio caratteristico. Ricordiamo che ilpolinomio caratteristico di A e il seguente polinomio:

pA(t) = t4 − 2t2 + 1,

allora la matrice A e una radice del seguente polinomio matriciale

pA(X) = X4 − 2X2 + I(4),

cioe risulta

pA(A) = A4 − 2A2 + I(4) = 0n.

Possiamo quindi scrivere la matrice I(4) come combinazione lineare di potenzedi A:

I(4) = 2A2 − A4,

moltiplicando entrambi i membri per la matrice A−1 otteniamo:

A−1 = 2A − A3.

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8. AUTOVALORI ED AUTOVETTORI DI UN OPERATORE; DIAGONALIZZAZIONE 445

Calcoliamo la matrice A3:

A3 = A2.A =

1 0 1 40 1 0 10 0 1 00 0 0 1

1 1 1 10 −1 1 10 0 −1 10 0 0 1

=

1 1 0 60 −1 1 20 0 −1 10 0 0 1

.

Infine otteniamo la matrice A−1:

A−1 =

1 1 2 −40 −1 1 00 0 −1 10 0 0 1

.

Esercizio 8.13. Siano A e B matrici reali quadrate di ordine n, verificareche:

(1) se X ∈ Rn e autovettore di A associato all’autovalore α ed e autovet-tore di B associato all’autovalore β, allora X e autovettore di A + Bassociato all’autovalore α + β;

(2) se X ∈ Rn e autovettore di A associato all’autovalore α, allora perogni m ≥ 2, X e autovettore di Am associato all’autovalore αm;

(3) sia |A| 6= 0: se X ∈ Rn e autovettore di A associato all’autovalore α,allora X e autovettore di A−1 associato all’autovalore α−1.

Risoluzione. (1) Poiche X e autovettore di A associato all’autovalore αsi ha:

AX = αX,

poiche X e autovettore di B associato all’autovalore β si ha:

BX = βX.

Abbiamo quindi:

(A + B)X = AX + BX = αX + βX = (α + β)X,

da cui deduciamo che X e autovettore di A+B associato all’ autovalore α +β.(2) Dimostriamo la proprieta per induzione su m. Sia m = 2, si ha

A2X = A(AX) = A(αX) = α(AX) = α(αX) = (α)2X,

la proprieta e vera.Supponiamo che la proprieta sia verificata per m − 1: Am−1X = αm−1X,

proviamo che vale per m. Infatti si ha:

AmX = A(Am−1X) = A(αm−1X) = αm−1(AX) = αm−1(αX) = αmX,

che prova la tesi.(3) Poiche |A| 6= 0 la matrice A e invertibile; indicata con A−1 l ’inversa di A,si ha

I(n) = A−1 · A.

Sia X ∈ Rn un autovettore di A associato all’autovalore α, risulta:

InX = (A−1 · A)X = A−1(AX) = A−1(αX) = αA−1X.

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446 9. ESERCIZI

Osserviamo che essendo |A| 6= 0, si ha α 6= 0, si ottiene allora:

A−1X = α−1X,

quindi X e autovettore di A−1 associato all’autovalore α−1.

Esercizio 8.14. Si consideri la seguente matrice reale quadrata di ordine3, con k parametro reale:

B =

1 k 10 k + 1 10 0 −1

,

determinare per quali valori di k la matrice B e diagonalizzabile.

Risoluzione. Calcoliamo il polinomio caratteristico di B:

pB(t) = |B−tI3| = det

1 − t k 10 k + 1 − t 10 0 −1 − t

= (1−t)(−1−t)(k+1−t).

Osserviamo che il polinomio caratteristico e totalmente decomponibile in R.L’equazione caratteristica di B e:

(1 − t)(−1 − t)(k + 1 − t) = 0,

gli autovalori sono quindi t = 1, t = −1 e t = k + 1.Osserviamo che se k 6= 0 e k 6= −2, allora la matrice B ha 3 autovalo-

ri distinti (semplici) e quindi e diagonalizzabile (condizione sufficiente per ladiagonalizzazione).

Sia k = 0: abbiamo B =

1 0 10 1 10 0 −1

, gli autovalori di B sono t = 1 con

µ(1) = 2 e t = −1 con µ(−1) = 1. Condizione necessaria e sufficiente afficheB sia diagonalizzabile e che il polinomio caratteristico di B sia totalmentedecomponibile in R e che gli autovalori siano regolari. Poiche t = −1 e semplice,quindi regolare, rimane da verificare che t = 1 sia regolare. L’autospazio V1 eil seguente sottospazio di R3:

V1 ={

X ∈ R3| BX = X}

={

X ∈ R3| (B − I(3))X = 0R3

}

con dimV1 = 3 − rg(B − I(3)). Risulta:

B − I(3) =

0 0 10 0 10 0 −2

,

si ha quindi r(B− I3) = 1, da cui m(1) = dimV1 = 2 = µ(1): l’autovalore t = 1e regolare e quindi la matrice B e diagonalizzabile.

Sia k = −2: abbiamo B =

1 −2 10 −1 10 0 −1

, gli autovalori di B sono t = 1

con µ(1) = 1 e t = −1 con µ(−1) = 2. Condizione necessaria e sufficienteaffiche B sia diagonalizzabile e che il polinomio caratteristico di B sia totalmente

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9. PRODOTTO SCALARE IN R3; ORTOGONALITA 447

decomponibile in R e che gli autovalori siano regolari. Poiche t = 1 e semplice,quindi regolare, rimane da verificare che t = −1 sia regolare. L’autospazio V−1

e il seguente sottospazio di R3:

V−1 ={

X ∈ R3| BX = −X}

={

X ∈ R3| (B + I3)X = 0R3

}

con dimV1 = 3 − rg(B + I(3)). Risulta:

B + I(3) =

2 −2 10 0 10 0 0

,

si ha quindi rg(B + I3) = 2, da cui m(−1) = dimV−1 = 1 < µ(1): l’autovaloret = −1 non e regolare e quindi la matrice B non e diagonalizzabile.

9. Prodotto scalare in R3; ortogonalita

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 7.

Esercizio 9.1. (4 febbraio 2009, prova in itinere)Fissato in R4 il prodotto scalare standard, si consideri il sottospazio di R4

U =

u =

xyzt

∈ R4| x + y + 2z = y + 3z + t = 0

.

Determinare:

(1) dimU = dimU⊥ =(2) una base di U⊥:(3) una base ortonormale di U :

Esercizio 9.2. (4 febbraio 2009, appello)

Fissati in R4 il prodotto scalare standard, si considerino i vettori u1 =

1100

e

u2 =

0101

e i seguenti sottospazi:

V =

v =

xyzt

∈ R4| x + y + t = 0

, U = Span(u1, u2),

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448 9. ESERCIZI

determinare:

(1) la dimensione di V e una base di V :

(2) dim(U ∩ V ) = dim(U + V ) =(3) la proiezione ortogonale di u2 lungo Span(u1):(4) una base ortonormale per U :

Esercizio 9.3. (19 febbraio 2009, appello)Fissati in R4 il prodotto scalare standard, si consideri il seguente sottospazio:

V =

v =

xyzt

∈ R4| x − y + z + 3t = 0

.

Determinare:

(1) la dimensione di V :(2) Una base ortogonale di V :

(3) Il complemento ortogonale V ⊥ di V :

(4) una base ortonormale per V ⊥:

Esercizio 9.4. (6 luglio 2009, appello)Fissato in R4 il prodotto scalare standard, si consideri il seguente sottospazio:

U =

u =

xyzt

∈ R4 : x + 2y − 3z = 0, t − z = 0

,

ed i vettori v1 =

111h

e v2 =

2−100

. Determinare:

(1) dimU = 2:

(2) Una base ortogonale di U :

2−100

,

3655

.

(3) Le equazioni di U⊥: x + y + z + t = 0; 2x − y = 0.(4) Per quali valori di h, Span(v1, v2) e un sottospazio di U : h = 1 .

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9. PRODOTTO SCALARE IN R3; ORTOGONALITA 449

Esercizio 9.5. (16 settembre 2009)Fissati in R4 il prodotto scalare standard, si considerino i vettori

v1 =

1−101

, e v2 =

2110

;

indichiamo con V = Span(v1, v2) il sottospazio generato dai due vettori. Siainoltre U il sottospazio definito mediante equazioni cartesiane:

U =

u =

xyzt

∈ R4 | x − t − z = 0 , z = y + t

,

Determinare:

(1) la dimensione di V ⊥: dim(V ⊥) = 2(2) le equazioni cartesiane di V :

V =

v =

xyzt

∈ R4 | x − t − 2z = 0 , z = y + t

,

(3) una base di U :

B(U) =

1−101

,

2011

(4) Sia w =

h−112

; determinare per quale valore di h si ha w ∈ V :

h = 4

(5) dim(U + V ) = dim(U) + dim(V ) − dim(U ∩ V ) = 2 + 2 − 1 = 3

Esercizio 9.6. (23 novembre 2009, appello straord.)

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450 9. ESERCIZI

Fissato in R4 il prodotto scalare standard, si considerino i vettori u1 =

0110

,

e u2 =

1000

; siano U = Span(u1, u2) e V =

xyzt

∈ R4 | x + y = z = 0

sottospazi di R4. Determinare:

(1) le equazioni cartesiane di U

z − y = t = 0 .

(2) una base di V ⊥:

1100

,

0010

.

(3) dim(U ∩ V ) = 0, dim(U + V ) = 4(4) una base di U + V .

1000

,

0100

,

0010

,

0001

.

Esercizio 9.7. (14 settembre 2010)Fissato in R4 il prodotto scalare standard, si consideri il seguente sottospazio:

U = {u =

xyzt

∈ R4 : x − 2y + 3z = z − t = 0}.

Determinare:

(1) dimU =: 2(2) Una base ortogonale di U :

BU =

−3011

,

41166

(3) Le equazioni di U⊥:

U⊥ = {(x, y, z, t) ∈ R4 | 3x − z − t = 2x + y = 0}

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10. FORME QUADRATICHE, CONICHE E COMPLEMENTI 451

(4) Una base di di U⊥:

BU⊥ =

1−230

,

1−203

10. Forme quadratiche, coniche e complementi

Gli esercizi proposti in questa sezione si riferiscono ai contenuti del Capito-lo 8.

Esercizio 10.1. (4 febbraio 2009, prova in itinere)Si consideri la seguente forma quadratica reale Q : R3 → R, in funzione delparametro reale k:

Q(x, y, z) = x2 − 2kxy + y2 + kz2.

(1) Scrivere Q in forma matriciale:

(2) Determinare per quali valori di k la forma Q e definita positiva:

Posto k = 1:

(1) scrivere l’equazione canonica di Q:(2) scrivere la trasformazione ortogonale X = MX ′ che riduce Q alla

forma canonica trovata:

Esercizio 10.2. (4 febbraio 2009, prova in itinere)

Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k), siconsideri l’applicazione lineare ρ : R2 → R2, dove ρ(v) e ottenuto dalla rotazione(in senso antiorario) di v di un angolo ϑ = π

6 .

(1) Scrivere la matrice A associata a ρ nella base standard di R2:

(2) Descrivere l’ endomorfismo di R2 associato alla matrice A2:

Esercizio 10.3. (4 febbraio 2009, appello)Si consideri la seguente forma quadratica reale Q : R3 → R, in funzione delparametro reale k:

Q(x, y, z) = x2 − 2kxy + y2 + kz2.

(1) Scrivere Q in forma matriciale:

(2) Determinare per quali valori di k la forma Q e definita positiva:

Posto k = 1:

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452 9. ESERCIZI

(1) scrivere l’equazione canonica di Q:(2) scrivere la trasformazione ortogonale X = MX ′ che riduce Q alla

forma canonica trovata:

Esercizio 10.4. (19 febbraio 2009, appello)Si consideri la conica di equazione

−2y2 + 2√

3xy − 1 = 0

(1) Riconoscere la conica:(2) Determinare le equazioni del/degli assi di simmetria:(3) Esplicitare il cambio di riferimento per avere la conica in forma cano-

nica:

Risoluzione. Costruiamo la matrice A che e associata alla conica:

(9.46) A =

0√

3 0√3 −2 0

0 0 −1

.

Il determinante di A e

det(A) = −1

0√

3√3 −2

= −1[0 − (√

3)2] = 3 6= 0

quindi la conica non e degenere. Inoltre, il determinante della sottomatriceassociata alla forma quadratica e

det(A2) =

0√

3√3 −2

= −3 < 0 ,

quindi la conica e un’iperbole.Per trovare gli assi di simmetria basta trovare le direzioni degli autovettori

della matrice A2; cerchiamone gli autovalori. Calcoliamo il polinomio carat-teristico e troviamone le radici (sicuramente reali, poiche la matrice e realesimmetrica).

det(A2 − λI(2)) =

0 − λ√

3√3 −2 − λ

= λ(λ + 2) − 3 = λ2 + 2λ − 3 = 0 ,

che ci da i due autovalori

λ1 = −3 λ2 = 1 .

Cerchiamo un autovettore associato al primo autovalore:

(A2 − λ1I)X =

(

3√

3√3 1

)(

xy

)

=

(

00

)

.

Questo si riduce ad un’unica equazione per le componenti incognite dell’auto-vettore:

(9.47)√

3x + y = 0 ,

ossiay = −

√3x .

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10. FORME QUADRATICHE, CONICHE E COMPLEMENTI 453

Un autovettore v1 si ottiene ponendo x = 1:

(9.48) v1 =

(

1

−√

3

)

.

Per il secondo autovettore v2 non e necessario alcun calcolo: essendo associatoad un autovalore diverso, deve risultare ortogonale al primo, possiamo scrivereimmediatamente:

(9.49) v2 =

(√3

1

)

.

e direzioni dei due autovettori coincidono con quelle degli assi di simmetria del-l’iperbole; poiche mancano i termini lineari, non e necessaria alcuna traslazione:gli assi di simmetria sono, pertanto, le rette passanti per l’origine date da:

(9.50) y =

√3

3x

e

(9.51) y = −√

3x .

Una base di autovettori {w1, w2} per la nostra matrice si ottiene semplicementenormalizzando i vettori v1, v2; le loro rappresentazioni nella base canonicaoriginaria sono, dunque:

w1 =

( 12

−√

32

)

, w2 =

(√

3212

)

,

La matrice M di cambio di base che permette di scrivere le coordinate

X =

(

xy

)

in termini delle nuove coordinate X ′ =

(

x′

y′

)

e proprio formata da

colonne dove si riportano le rappresentazioni nnella vecchia base dei vettoridella nuova base:

(9.52) M =

(

12

√3

2

−√

32

12

)

.

Mediante la trasformazione X = MX ′ possiamo esplicitare il cambio divariabili per scrivere la forma quadratica in forma canonica:

x =1

2x′ +

√3

2y′(9.53a)

y = −√

3

2x′ +

1

2y′ .(9.53b)

Si lascia allo studente la verifica che, sostituendo le equazioni precedentinella scrittura della conica, otteniamo

−3(x′)2 + (y′)2 = 1 ,

che e la forma canonica cercata. Ancora, non essendo necessaria alcuna trasla-zione aggiuntiva, il cambio di variabile richiesto e dato dalle Equazioni (9.53).

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454 9. ESERCIZI

Esercizio 10.5. (6 luglio 2009, appello)

Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesiano ortogonale R(O, ı, , k),si consideri la conica di equazione

y2 − 2x + 2y + 3 = 0.

(1) Riconoscere la conica:

E una parabola.(2) Scrivere l’equazione canonica della conica:

Y 2 = 2X, con X = x − 1, Y = y + 1.(3) Scrivere le equazioni di eventuali assi di simmetria della conica:

Y = 0, ossia y = −1.

Esercizio 10.6. (23 novembre 2009, appello straord.)

Fissato nel piano un sistema di riferimento cartesiano R(O, ı, , k) considerarela conica C di equazione:

C : 3x2 − 4xy + 3y2 − 1 = 0 .

(1) Classificare la conica C.

E un ellisse.(2) Scrivere le equazioni degli assi di simmetria di C.

x − y = 0 x + y = 0 .

(3) Scrivere l’equazione canonica di C, fornendo esplicitamente l’espres-sione dei cambi di variabile per ottenere tale forma (cambio di base).

(

xy

)

= X

(

1/√

2

1/√

2

)

+ Y

(

−1/√

2

1/√

2

)

X2 + 5Y 2 = 1

Esercizio 10.7. (11 febbraio 2010)Si consideri la forma quadratica reale Q : R3 → R data da

Q

xyz

= 3x2 − 2xy + 3y2 + 4z2.

(1) Scrivere la matrice associata a Q nella base standard di R3:

Q =

3 −1 0−1 3 00 0 4

.

(2) Scrivere l’equazione canonica di Q: Q

x′

y′

z′

= 2x′2 + 4y′2 + 4z′2.

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 455

(3) Scrivere l’equazione del cambiamento di base necessario per ottenerela forma canonica:

x′ = 1√2(x + y)

y′ = 1√2(x − y)

z′ = z

(4) Stabilire se Q e definita positiva (o negativa), semidefinita positiva (onegativa), o non definita: definita POSITIVA.

11. Esercizi di riepilogo

Svolgere in modo completo gli esercizi proposti.

Esercizio 11.1. (27 gennaio 2010)

Sia A =

(

a bb c

)

una matrice reale simmetrica di ordine 2 con autovalori 2 e 3,

e tale che A ·(

11

)

= 2 ·(

11

)

.

(1) Trovare una base di R2 formata da autovettori di A.(2) Determinare la matrice A.

Risoluzione.

(• Punto 1) Osserviamo che il testo gia ci dice che v1 =

(

11

)

e autovettore con

autovalore 2.Poiche la matrice ha due autovalori distinti, un autovettore relativo all’altro

autovalore si puo trovare immediatamente, perche deve essere ortogonale alprimo, e la sua direzione e determinata, poiche la dimensione dello spazio sucui agisce A e 2: possiamo scrivere

v2 =

(

1−1

)

.

Abbiamo quindi una base di R2 formata da autovettori:

B =

{(

11

)

,

(

1−1

)}

.

(• Punto 2) Scriviamo le due equazioni agli autovalori per i due autovettori:

(

a bb c

)(

11

)

=

(

22

) (

a bb c

)(

1−1

)

=

(

3−3

)

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456 9. ESERCIZI

che si traduce nel sistema per le a, b, c:

a + b = 2

b + c = 2

a − b = 3

b − c = −3

.

Si verifica subito che il sistema ammette un’unica soluzione:

a = 52

b = −12

c = 52

e, quindi la matrice richiesta e(

52 −1

2−1

252

)

.

Esercizio 11.2. (27 gennaio 2010)

Si consideri la seguente matrice A di tipo (2, 3): A =

(

1 1 11 0 1

)

.

(1) Trovare una matrice B di tipo (3, 2) tale che A.B = I2.B e unica?

(2) Verificare che ogni matrice B che soddisfa la relazione A.B = I2,verifica la proprieta:

Im B ∩ KerA = {0}.Risoluzione.

(• Punto 1) Sia

B =

a db ec f

a, b, c, d, e, f ∈ R .

La condizione richiesta e

A.B =

(

1 1 11 0 1

)

a db ec f

=

(

a + b + c d + e + fa + c d + f

)

=

(

1 00 1

)

(9.54)

Otteniamo il sistema di equazioni

a + b + c = 1

d + e + f = 0

a + c = 0

d + f = 1

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 457

equivalente a

(9.55)

a + c = 0

b = 1

d + f = 1

e = −1

Una possibile matrice B che soddisfa la richiesta si ottiene con a = 1 ef = 0, ed e, quindi

B =

1 11 −1−1 0

.

Non e unica: basta prendere, per esempio, a = 0, f = 1 per avere una matriceugualmente valida, ma differente.(• Punto 2) Anzitutto, osserviamo che le componenti dei vettori di KerAobbedisono alle equazioni

(9.56)

{

x + y + z = 0

x + z = 0

ossia

(9.57)

{

x + z = 0

y = 0;

in altre parole, KerA = Span

10−1

.

Le matrici B che soddisfano la richiesta del testo sono una varieta lineare;infatti le soluzioni del sistema (9.55 hanno la forma

abcdef

=

0100−11

+ a

10−1000

+ d

00010−1

con a, d ∈ R liberi, o, tornando alle matrici

B =

a db ec f

=

0 01 −10 1

+ a

1 00 0−1 0

+ d

0 10 00 −1

.

L’immagine di B e generata dalle colonne della matrice:

Im B = Span

abc

,

def

= Span

010

+ a

10−1

,

0−11

+ d

10−1

.

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458 9. ESERCIZI

Se un vettore e in ImB ∩ Ker A, devono esistere λ, µ, ν tali che

λ

10−1

= µ

010

+ a

10−1

+ ν

0−11

+ d

10−1

,

ossia, riordinando

(λ − aµ − dν)

10−1

− µ

010

− ν

0−11

=

000

I vettori

10−1

,

010

,

0−11

sono linearmente indipendenti; infatti, basta calcolare il determinante dellamatrice M le cui colonne sono i vettori

1 0 00 1 −1−1 0 1

= 1

1 −10 1

= 1

per convincersene. Quindi, l’unica combinazione lineare nulla e quella banale,e in particolare µ = ν = 0, da cui λ = 0. In altre parole, l’unico vettorenell’intersezione e il vettore nullo.

Esercizio 11.3. (27 gennaio 2010)

Si consideri la seguente matrice quadrata di ordine 2: A =

(

1 −1−1 1

)

.

(1) ) Trovare una matrice 2 × 2 non nulla B tale che A · B = 02,2.(2) ) Mostrare che il sottoinsieme delle matrici B di ordine 2 tali che

A · B = 02,2, e un sottospazio di MR(2) e calcolarne la dimensione.

Risoluzione.

(• Punto 1) La soluzione e simile a quella della domanda precedente; unamatrice che soddisfi le richieste e

(

1 01 0

)

.

(• Punto 2) Sia

B =

(

a bc d

)

.

una matrice tale che A.B = 02,2; questo si traduce nel sistema

a − c = 0

−a + c = 0

b − d = 0

−b + d = 0

.

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 459

E immediato convincersi che due equazioni sono superflue, e le altre indipen-denti: quindi la matrice dei coefficienti ha rango 2 e la dimensione del nucleodell’applicazione associata, ossia la dimensione del sottospazio vettoriale dellematrici B e 4 − 2 = 2.

Esercizio 11.4. (27 gennaio 2010)Sia Rn[x] lo spazio vettoriale dei polinomi in x a coefficienti reali con grado≤ n. Si consideri l’applicazione L : R4[x] → R5[x] data da:

L(p(x)) = (x − 1)p(x).

(1) ) Verificare che L e un’applicazione lineare.(2) ) Trovare una base per lo spazio ImL.(3) ) Verificare che Im L e il sottoinsieme di R5[x] dei polinomi che am-

mettono x = 1 come radice.

Risoluzione.

(• Punto 1) Siano p(x), q(x) ∈ R4[x]; calcoliamo L(p(x) + q(x)):

L(p(x)+q(x)) = (x−1)(p(x)+q(x)) = (x−1)p(x)+(x−1)q(x) = L(p(x))+L(q(x)) ;

calcoliamo ora L(λp(x)) con λ ∈ R:

L(λp(x)) = (x − 1)λp(x) = λ(x − 1)p(x) = λL(p(x)) .

Quindi L e lineare.L’immagine e generata dalle immagini dei vettori della base del dominio

R4[x]; una base dell’anello dei polinomi di grado inferiore o uguale a 4 e:

B ={

1, x, x2, x3, x4}

.

(• Punto 2) Troviamo l’immagine dei vettori della base:

L(B) ={

(x − 1), x(x − 1), x2(x − 1), x3(x − 1), x4(x − 1)}

.

Poiche sono tutti polinomi di grado differente, i vettori di L(B) sono linearmenteindipendenti, quindi costituiscono una base di Im(L), che ha dimensione 5.(• Punto 3) Ogni vettore dell’immagine e dato da una combinazione lineare divettori di L(B); per come e costruita, questa combinazione lineare contiene ilfattore comune (x − 1), quindi il polinomio ottenuto o e il polinomio nullo oammette la radice x = 1.

Sia ora p(x) un polinomio di R5[x] che ammette la radice x = 1; allora,possiamo scrivere

p(x) = (x − 1)q(x) ,

dove deg(q(x)) ≤ 4, quindi esiste un polinomio q(x) ∈ R4[x] la cui immagine eproprio p(x).

Esercizio 11.5. (27 gennaio 2010)Considerato lo spazio vettoriale reale MR(3) delle matrici quadrate reali diordine 3, mostrare che il suo sottoinsieme delle matrici simmetriche a traccianulla

T = {A ∈ MR(3) | tr(A) = 0, A = AT}

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460 9. ESERCIZI

e un sottospazio vettoriale, e determinarne dimensione ed una base.

Risoluzione.

Siano A, B ∈ MR(3); allora, tr(A + B) = tr(A) + tr(B) = 0 + 0 = 0. Inoltre,per ogni λ ∈ R, tr(λA) = λ tr(A) = λ · 0 = 0. Quindi T e chiuso rispettoalla somma fra vettori ed alla moltiplicazione per uno scalare, pertanto e unsottospazio vettoriale.

Una matrice generica di T si puo scrivere come

A =

a b cb d ec e f

con a + d + f = 0, ossia f = −(a + d); cosı facendo, la matrice e simmetrica.Esistono, quindi, 5 parametri liberi: dim(T ) = 5. Una base di T e data da:

1 0 00 0 00 0 −1

,

0 1 01 0 00 0 0

,

0 0 10 0 01 0 0

,

0 0 00 1 00 0 −1

,

0 0 00 0 10 1 0

Esercizio 11.6. (27 gennaio 2010)Sia L : R3 → R4 l’applicazione lineare tale che

L

100

=

1234

, L

110

=

4321

, L

−211

=

0000

.

(1) ) Calcolare L

010

.

(2) ) Determinare la matrice rappresentativa di L rispetto alle basi stan-dard di R3 e R4.

Risoluzione.

(• Punto 1) Notiamo che

010

=

110

100

e che conosciamo le immagini degli ultimi due vettori. Per la linearita di Labbiamo

L

010

= L

110

100

= L

110

− L

100

=

4321

1234

=

31−1−3

.

(• Punto 2) Ci servono le immagini dei vettori della base standard del dominio.La definizione di L ci fornisce direttamente L(e1), e abbiamo appena trovato

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 461

L(e2): manca quella del terzo vettore e3. Osserviamo che la terza equazione didefinizione di L puo essere scritta come

L(−2e1 + e2 + e3) = −2L(e1) + L(e2) + L(e3) = 04,

da cui L(e3) = 2L(e1) − L(e2). Passando alle rappresentazioni nella basestandard di R4:

L

001

= 2

1234

31−1−3

=

−13711

.

Le colonne della matrice rappresentativa richiesta sono le immagini della basedel dominio nella base del codominio, quindi:

AL =

1 3 −12 1 33 −1 74 −3 11

.

Esercizio 11.7. (11 febbraio 2010)In R4 si considerino i seguenti vettori dipendenti da un parametro h ∈ R

v1 =

h1h2

h

v2 =

1111

v3 =

h1h2

−h

v4 =

1011

.

Determinare per quali valori del parametro h ∈ R:

(1) i vettori v1, v2, v3 e v4 sono linearmente indipendenti:(2) il vettore v4 appartiene allo Span(v1, v2, v3):

Esercizio 11.8. (11 febbraio 2010)Si consideri la seguente matrice reale:

A =

1 2 2 22 1 2 22 2 1 22 2 2 1

(1) Verificare che il vettore v =

1111

e un autovettore di A e calcolare

l’autovalore corrispondente.(2) Fissato in R4 il prodotto scalare standard, determinare una base orto-

gonale del sottospazio U = Span(v)⊥.(3) Verificare che U e un autospazio di A e calcolare l’autovalore corri-

spondente.

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462 9. ESERCIZI

Esercizio 11.9. (11 febbraio 2010)

Si consideri la seguente matrice A =

(

1 −1−1 1

)

, e siano U e W gli insiemi cosı

definiti:

U = {M ∈ MR(2) | tr(A · M) = 0};W = {M ∈ MR(2) |A · M = 0}.

(1) Dimostrare che U e W sono sottospazi vettoriali reali.(2) Calcolare le dimensioni di U e W .(3) Verificare che W e un sottospazio proprio di U .

Esercizio 11.10. (11 febbraio 2010)Si considerino le seguenti matrici reali:

A =

2 0 10 2 00 0 1

B =

2 0 00 2 10 0 1

.

(1) Verificare che le matrici A e B hanno lo stesso polinomio caratteristico.(2) Le matrici sono simili? Giustificare la risposta.(3) Trovare, se esiste, una matrice M ortogonale di ordine 3 per cui risulta

A = MTBM .

Esercizio 11.11. (11 febbraio 2010)Si considerino le seguenti matrici reali:

A =

1 0 10 2 00 0 1

B =

1 0 00 2 10 0 1

.

(1) Verificare che le matrici A e B hanno lo stesso polinomio caratteristico.(2) Le matrici sono simili? Giustificare la risposta.(3) Trovare, se esiste una matrice M invertibile di ordine 3 per cui M−1BM

risulta diagonale. M puo essere ortogonale?

Esercizio 11.12. (11 febbraio 2010)In R4 si considerino i seguenti vettori dipendenti da un parametro h ∈ R

v1 =

h0

h2 + 2hh

v2 =

1111

v3 =

h0

h2 + 2h−h − 2

v4 =

1011

.

Determinare per quali valori del parametro h ∈ R:

(1) lo spazio Span(v1, v2, v3, v4) ha dimensione 2:(2) lo spazio Span(v1, v2, v3, v4) ha dimensione 3:

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 463

Esercizio 11.13. (11 febbraio 2010)

Considerare le matrici A =

(

1 −1−1 2

)

, B =

(

1 00 0

)

, C =

(

0 00 1

)

. Siano U e

W gli insiemi cosı definiti:

U = {M ∈ MR(2) | tr(AM) = 0};W = {M ∈ MR(2) | tr(AM) = tr(BM) = tr(CM) = 0}.

(1) Dimostrare che U e W sono sottospazi vettoriali reali.(2) Calcolare le dimensioni di U e W .

Esercizio 11.14. (11 febbraio 2010)In R4 si considerino i seguenti vettori dipendenti da un parametro h ∈ R

v1 =

h0

h2 + 2hh

v2 =

1111

v3 =

h0

h2 + 2h−h − 2

v4 =

1011

.

Determinare per quali valori del parametro h ∈ R:

(1) lo spazio Span(v1, v2, v3, v4) ha dimensione 2:(2) lo spazio Span(v1, v2, v3, v4) ha dimensione 3:

Esercizio 11.15. (11 febbraio 2010)

Considerare le matrici A =

(

1 −1−1 2

)

, B =

(

1 00 0

)

, C =

(

0 00 1

)

. Siano U e

W gli insiemi cosı definiti:

U = {M ∈ MR(2) | tr(AM) = 0};W = {M ∈ MR(2) | tr(AM) = tr(BM) = tr(CM) = 0}.

(1) Dimostrare che U e W sono sottospazi vettoriali reali.(2) Calcolare le dimensioni di U e W .

Esercizio 11.16. (9 aprile 2010)Si consideri la seguente matrice reale quadrata di ordine 3, in funzione delparametro reale h:

A =

1 1 h2 h 23 h 3

(1) ) Determinare il rango di A al variare del parametro h.(2) ) Determinare gli autovalori della matrice A e le loro molteplicita

algebriche PER h = 0 e PER h = 1.(3) ) POSTO h = 1, determinare dimensione, equazione cartesiana e base

per ciascun autospazio di A:(4) ) Stabilire se la matrice sia diagonalizzabile per h = 1 e per h = 0.

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464 9. ESERCIZI

Risoluzione.

(• Punto 1) Per h = 0, 1 si ha rg(A) = 2; altrimenti, rg(A) = 3.(• Punto 2) Per h = 0 vi sono 3 autovalori reali distinti, ciascuno, quindi, conmolteplicita algebrica unitaria:

λ1 = 0, λ2 = 2 −√

3, λ3 = 2 +√

3.

Per h = 1:{

λ1 = 0 con molteplicita algebrica µ1 = 2

λ2 = 5 con molteplicita algebrica µ2 = 1

(• Punto 3)

dim(V0) = 1; V0 : x + z = y = 0; BV0=

1

0

−1

dim(V5) = 1; V5 : 4x − y − z = x − 2y + z = 0; BV5=

3

5

7

(• Punto 4) Per h = 0 SI: la matrice e quadrata di ordine 3 ed ha 3 autovalorireali distinti; per h = 1 NO: dim(V0) = 1 6= µ1 = 2 (la molteplicita algebricadifferisce da quella geometrica).

Esercizio 11.17. (28 giugno 2010)Determinare quali tra le seguenti applicazioni R3 → R3 sono applicazioni li-neari, giustificando ogni affermazione. In caso affermativo, determinare unarappresentazione matriciale nella base canonica.

(1) ) L1

xyz

=

x − y2zxy

.

(2) ) L2

xyz

=

xyz

+

123

.

(3) ) L3

xyz

= (x + y + z) ·

123

.

Risoluzione.

(• Punto 1) NO. Infatti

L1

100

+ L1

010

=

000

6= L1

110

=

001

.

(• Punto 2) NO. Infatti

L2

000

=

123

6=

000

.

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 465

(• Punto 3) SI: per ogni α, β ∈ R e u1, u2 ∈ R3

L3(αu1 + βu2) = L3

αx1 + βx2

αy1 + βy2

αz1 + βz2

= (αx1 + βx2 + αy1 + βy2 + αz1 + βz2) ·

123

= (α(x1 + y1 + z1) + β(x2 + y2 + z2)) ·

123

= αL3(u1) + βL3(u2)

.

AL3=

1 1 12 2 23 3 3

.

Esercizio 11.18. (28 giugno 2010)Determinare quali tra i seguenti sottoinsiemi di R3 sono sottospazi, giustificandoogni affermazione. In caso affermativo, determinare una base e dimensione delsottospazio.

(1) ) U1 = {

xyz

∈ R3 : x − y = 2z = 1 }.

(2) ) U2 = {

xyz

∈ R3 : (1 2 3) ·

xyz

= 0 }.

(3) ) U3 = {

xyz

∈ R3 : xy = z = 0 }.

Risoluzione.

(• Punto 1) NO. Infatti

000

6∈ U1 (2z = 0 6= 1).

(• Punto 1) SI: per ogni α, β ∈ R e u1, u2 ∈ U2

(

1 2 3)

· (αu1 + βu2)

= α(

1 2 3)

·

x1

y1

z1

+ β(

1 2 3)

·

x2

y2

z2

= α 0 + β 0 = 0,

quindi αu1 + βu2 ∈ U2.

U2 = {x + 2y + 3z = 0} . Da cui dim(U2) = 2; B0 =

2−10

,

30−1

.

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466 9. ESERCIZI

(• Punto 3) NO. Infatti

100

∈ U3,

010

∈ U3

ma

100

+

010

=

110

6∈ U3 (xy = 1 6= 0)

Esercizio 11.19. (8 luglio 2010)

Considerare le matrici A =

(

1 −1−1 2

)

, B =

(

1 00 0

)

, C =

(

0 00 1

)

.

Siano ora U , V e W gli insiemi cosı definiti:

U = {M ∈ MR(2) | tr(AM) = 0};V = {M ∈ MR(2) |BM = C};

W = {M ∈ MR(2) | tr(AM) = tr(BM) = tr(CM) = 0}.(1) Determinare se U , V e W sono sottospazi vettoriali reali.(2) Per gli insiemi per i quali la risposta e affermativa, calcolarne le di-

mensioni.

Esercizio 11.20. (14 settembre 2010)Posto

A =

1 2 2−2 2 −1−2 −1 2

(1) Si verifichi che le colonne di A formano una base ortogonale di R3.(2) Si verifichi che per ogni v ∈ R3 si ha ||Av||2 = 9||v||2.(3) Si deduca che se λ e autovalore di A allora λ = 3 oppure λ = −3.(4) Si determinino gli autovalori di A.

Risoluzione.

(• Punto 1) det(A) = 27 6= 0, quindi i 3 vettori colonna sono linearmenteindipendenti, e formano una base di R3. Basta ora verificare che sono ortogonali;siano

v1 = A1 =

1−2−2

, v2 = A2 =

22−1

, v3 = A3 =

2−12

.

Si ha

〈v1, v2〉 = 1 · 2 + (−2) · 2 + (−2) · (−1) = 2 − 4 + 2 = 0

〈v1, v3〉 = 1 · 2 + (−2)·) − 1) + (−2) · 2 = 2 + 2 − 4 = 0

〈v2, v3〉 = 2 · 2 + (−1) · 2 + (−1) · 2 = 4 − 2 − 2 = 0 ,

quindi i vettori sono ortogonali.

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 467

(• Punto 2) Sia

v =

xyz

.

Abbiamo

Av =

1 2 2−2 2 −1−2 −1 2

xyz

=

x + 2y + 2z−2x + 2y − z−2x − y + 2z

.

Ora,

‖Av‖2 = 9x2 + 9y2 + 9z2 = (x + 2y + 2z)2 + (−2x + 2y − z)2 + (−2x − y + 2z)2

= 9(x2 + y2 + z2) = 9‖v‖2

(9.58)

per ogni scelta di x, y, z ∈ R, da cui l’asserto.

(• Punto 3) Sia λ autovalore di A e v 6= 0 un autovettore associato a λ. Allora

‖Av‖2 = ‖λv‖2 = λ2‖v‖2 = 9‖v‖2 ,

in base al punto precedente. Quindi, essendo v di modulo non nullo (e auto-vettore)

λ2 = 9 ,

ossia λ = ±3.

(• Punto 4) La condizione trovata sopra per λ e necessaria, ma non sufficiente;gli autovalori possono essere solo 3 o −3, ma non e detto che lo siano. Si verificaimmediatamente (basta svolgere il calcolo) che, con λ = 3, det(A − 3I) = 0,quindi e autovalore di A. Invece, det(A + 3I) 6= 0, quindi λ = −3 non eautovalore di A.

Esercizio 11.21. (14 settembre 2010)Considerare l’applicazione L : R3 → R cosı definita:

L(

xyz

) = det

1 0 x2 1 y1 −1 z

(1) Dimostrare che L e un’applicazione lineare.(2) Scrivere la matrice rappresentativa di L nelle basi standard.(3) Determinare la/le equazioni cartesiane ed una base per KerL.(4) Verificare che L e suriettiva.

Risoluzione.

(• Punto 1) Discende direttamente da una delle proprieta del determinante:siano

u =

x1

y1

z1

e v =

x2

y2

z2

.

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468 9. ESERCIZI

Per ogni α, β ∈ R e u, v ∈ R3, vale

L(αu + βv) = det

1 0 αx1 + βx2

2 1 αy1 + βy2

1 −1 αz1 + βz2

= α det

1 0 x1

2 1 y1

1 −1 z1

+ β det

1 0 x2

2 1 y2

1 −1 z2

= αL(u) + βL(v) .

(• Punto 2) Calcolando esplicitamente l’espressione di L si ottiene, sviluppandoil determinante lungo l’ultima colonna:

L(

xyz

) = −3x + y + z =(

−3 1 1)

xyz

,

per cui la matrice associata ad L e:

AL =(

−3 1 1)

.

In effetti, le colonne della matrice AL devono essere formate dai trasformatisecondo la L dei vettori della base, rappresentati nelle basi canoniche: si verificaimmediatamente il risultato calcolando

L(e1) = (

100

) = det

(

2 11 −1

)

= −3

e cosı via.(• Punto 3) Il nucleo della applicazione corrisponde ai vettori

KerL =

v =

xyz

∈ R3 |L(v) = 0

,

ossia ai vettori per i quali−3x + y + z = 0,

che e l’equazione cartesiana del nucleo. Una sua base B si ottiene riscrivendol’equazione in forma parametrica

x = λ

y = µ

z = 3λ − µ

∀λ, µ ∈ R

e calcolando i vettori che si ottegono con due scelte indipendenti dei valori deiparametri. Questo si ottiene facilmente ponendo tutti i parametri uguali a 0tranne uno, che viene uguagliato a 1, per tutti i due possibili. Otteniamo

B =

103

,

01−1

(• Punto 4) Dobbiamo verificare che, per ogni vettore nel codominio, ossia, perogni numero reale δ, esiste un vettore la cui immagine coincide con tale vettore,

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11. ESERCIZI DI RIEPILOGO 469

ossia esiste una scelta di valori x, y, z tali che −3x + y + z = δ. Cio e vero:basta risolvere in z e otteniamo

z = 3x − y + δ .

Qualunque sia il valore di delta, e assegnato un valore arbitrario a x ed y, questoconsente di calcolare sempre il valore di z richiesto, per soddisfare la richiesta.

Esercizio 11.22. (22 novembre 2010)Si consideri il seguente sistema lineare:

2x − 2y − z − t − w = −1

z + 2t + w = 2

−6x + z + t + 2w = 1

(1) Scrivere la matrice A dei coefficienti del sistema.(2) Discutere la risolvibilita del sistema.(3) Sia LA : R5 → R3 l’applicazione lineare che associa ad ogni vettore

X ∈ R5 il vettore AX. Trovare una base del nucleo KerLA.(4) Risolvere il sistema.

Risoluzione.

(• Punto 1)

A =

2 −2 −1 −1 −10 0 1 2 1−6 0 1 1 2

(• Punto 2) E risolvibile: rg(A) = 3, quindi rg(A|B) = 3, dove B e il vettorecolonna dei termini noti.(• Punto 3)

BKer LA=

11−606

,

−12

−1260

(• Punto 4)

x = λ

y = µ

z = −6µ

t = 1 − 2λ + 2µ

w = 4λ + 2µ

λ, µ ∈ R