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Lezione Rossi-Doria 2014 Promossa dall’Associazione per studi e ricerche Manlio Rossi-Doria e dal Centro Ricerche Economiche e Sociali Manlio Rossi-Doria Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali Università degli Studi Roma Tre Via Silvio D’Amico 77, Roma 9 ottobre 2014 Michele De Benedictis La questione contadina: ieri e oggi Lezione Rossi-Doria 2012 1 Pag. 2 bianca

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Lezione Rossi-Doria 2014

Promossa

dall’Associazione per studi e ricerche

Manlio Rossi-Doria

e

dal Centro Ricerche Economiche e Sociali

Manlio Rossi-Doria

Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali

Università degli Studi Roma Tre

Via Silvio D’Amico 77, Roma

9 ottobre 2014

Michele De Benedictis La questione contadina: ieri e oggi

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Indice

Lezione Rossi-Doria 2014:

Cultura, istituzioni e sviluppo. 5La lezione di Max Weber e il neo-istituzionalismodi Carlo Trigilia

Attività dell’Associazione Manlio Rossi-Doria nel 2014 25

Attività del Centro Ricerche Economiche e Sociali

Manlio Rossi-Doria nel 2014 27

Michele De Benedictis La questione contadina: ieri e oggi

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Lezione Rossi-Doria 2014

Cultura, istituzioni e sviluppo.La lezione di Max Webere il neo-istituzionalismo

di Carlo Trigilia*

1. Introduzione

Come si afferma l’economia di mercato? Che cosa ne spiega leorigini e i diversi ritmi di crescita? E perché in alcune aree del mondoessa cresce di più mentre in altri contesti stenta ed è frenata?

Com’è noto, questi interrogativi hanno attirato sempre di più, negliultimi decenni, l’attenzione degli economisti con l’affermarsi dell’e-conomia dello sviluppo. Nella fase più recente un crescente interesseha fatto registrare l’approccio neo-istituzionalista. Particolare atten-zione viene data dai protagonisti di questo nuovo indirizzo alla cul-tura e alle istituzioni. Il neo-istituzionalismo economico non trascurale precedenti acquisizioni, relative al ruolo della tecnologia, del capi-tale umano e di quello fisico nei processi di sviluppo, ma tende a con-siderare questi fattori come le «cause prossime» o i meccanismi attra-verso i quali si realizza lo sviluppo stesso (Acemoglu 2009, pp. 109-110). La domanda cruciale diventa invece la seguente: quali sono le«cause fondamentali» che spingono alcune società a migliorare la

Guido Fabiani L’agricoltura che cambia. Dalla grande crisi alla globalizzazione

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* Università di Firenze. Il testo della Lezione è anche pubblicato in Stato e Mer-

cato, n. 3, 2015.

loro dotazione tecnologica, a investire in capitale fisico e ad accumu-lare capitale umano impiegandolo efficacemente? Tali cause hanno ache fare con le istituzioni e con la cultura.

è da notare che questo nuovo indirizzo porta a un riavvicinamentosostanziale dell’economia alla sociologia economica, dopo oltre unsecolo nel quale le due discipline hanno seguito percorsi sensibil-mente divergenti. Basti ricordare che con la svolta neo-classica dellafine dell’800 l’economia si era prevalentemente concentrata sui mec-canismi di allocazione efficiente di risorse scarse, considerate comedate, piuttosto che sul problema dello sviluppo (anche se non vadimenticato il contributo dell’istituzionalismo economico, a partire daThorstein Veblen). Il tema delle origini dell’economia di mercato edelle differenze tra i territori era invece stato fatto proprio soprattuttodalla sociologia economica tedesca, che si forma in un clima intellet-tuale più influenzato dallo studio storico dei fatti economici (Trigilia2002, vol I).

è in tale contesto culturale che spicca la figura di Max Weber.Com’è noto, la domanda di ricerca fondamentale che egli si poneriguarda appunto le origini dell’economia di mercato, che chiamava«capitalismo moderno». Perché questo fenomeno si sviluppa in Occi-dente, e in particolare nel cuore dell’Europa, in un’area che inizial-mente corrisponde all’Europa dei Comuni?

A questa domanda Weber dedica uno straordinario percorso diricerca che è anche un affresco dei caratteri della civiltà occidentale edei fattori che hanno contribuito a forgiarli. Il contributo certo piùnoto di tale percorso è il saggio su L’etica protestante e lo spirito del

capitalismo, originariamente pubblicato nel 1904-1905 (Weber 1920-21, trad. it. 1982). Ma successivamente il sociologo tedesco avviò unambizioso studio comparato delle origini dell’economia di mercato(del capitalismo moderno) in Occidente attraverso un confronto condue grandi civiltà orientali, quella cinese e quella indiana, alle qualidedicherà alcuni saggi fondamentali, pubblicati tra il 1914 e il 1919,poi raccolti insieme con altri nella sua Sociologia delle religione

(Weber 1920-21, trad. it. 1982). Quest’impresa fu peraltro interrotta

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dalla morte prematura, avvenuta nel 1920 a cinquantasei anni. Proprionei due anni prima della sua scomparsa, Weber aveva tenuto dellelezioni a Monaco, poi raccolte nella Storia Economica (Weber 1958,trad. it. 1993). In questo lavoro è presentata un’interpretazione sinte-tica delle origini dell’economia di mercato alla quale farò ampio rife-rimento (Randall Collins (1980) l’ha definita Weber’s Last Theory of

Capitalism).Mi propongo di mostrare che il contributo del sociologo tedesco

non ha solo un valore sul piano dell’indagine storica – non serve soloa capire perché l’economia di mercato si afferma in Occidente – maha anche un valore analitico. Ci fornisce cioè una serie di strumentipreziosi per comprendere come si afferma e come cresce l’economiadi mercato nel mondo contemporaneo. In questa chiave se ne possonoricavare stimoli importanti per orientarsi su alcuni nodi controversiche emergono dalle diverse proposte analitiche presenti nel neo-istitu-zionalismo economico degli ultimi anni, con particolare riferimento alruolo della cultura e delle istituzioni sia nelle origini che nel «buonfunzionamento» dell’economia di mercato, inteso come capacità dicreare e distribuire nuova ricchezza. La cultura è in ultima istanza ilfattore decisivo, come sostengono alcuni, richiamandosi a Weber? Oinvece un ruolo chiave va attribuito alle istituzioni? E soprattutto:come interagiscono tra loro questi due ingredienti dello sviluppo? èevidente che la risposta che viene data a tali interrogativi ha implica-zioni rilevanti per la messa a punto di strategie consapevoli e efficacidi promozione dello sviluppo sui quali tornerò nella parte finale.

Prima di procedere è opportuno chiarire in che accezione vengonoutilizzati i concetti di cultura e istituzioni. La cultura fa riferimentoalle conoscenze, alle abitudini e ai valori che sono diffusi in unadeterminata società. Queste diverse componenti prendono forma nellastoria lunga attraverso complessi processi di apprendimento e di tra-smissione da una generazione all’altra. La cultura si sedimenta lenta-mente e cambia lentamente. Ai fini del rapporto con le istituzioninello sviluppo economico, particolare attenzione dobbiamo dare aivalori diffusi in una società. Essi definiscono i fini ultimi verso i qualile azioni dei soggetti dovrebbero tendere e stabiliscono anche una

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gerarchia tra tali obiettivi. Per esempio, nella società medievale levirtù religiose e militari erano considerate ben più importanti dell’im-pegno nelle attività economiche, il prestito per interesse era addirit-tura condannato. I valori indicano il dover essere, gli ideali condivisie diffusi in una società. Ispirare i comportamenti individuali a taliobiettivi è fonte di approvazione sociale, o viceversa di emargina-zione, tuttavia la cultura attraverso i valori non comporta obbligazionispecifiche con sanzioni determinate nel caso in cui non venganorispettate. Questa caratteristica è invece propria delle istituzioni.

Le istituzioni sono dunque insiemi di regole, norme formali oinformali che definiscono il comportamento specifico che si deveseguire in determinate attività della vita sociale – da quelle familiari aquelle economiche o politiche. Esse si basano su sanzioni che ten-dono a garantirne il rispetto da parte dei singoli soggetti. Le sanzionipossono essere positive, se incoraggiano con incentivi certi tipi diazione, o negative, se sono invece volte a impedire alcuni comporta-menti. E ancora, esse possono essere informali quando si basano sulladisapprovazione degli altri, o invece formali come quelle che sonostabilite dalla legge (cioè norme giuridiche). Per esempio, con riferi-mento alle attività economiche ci possono essere norme di correttezzanegli affari che si fondano sull’approvazione sociale in un determi-nato ambiente, oppure norme che si basano su sanzioni formali comequelle che regolano i rapporti tra le imprese o tra queste e i lavoratori(diritto civile e del lavoro).

Si noti però subito – e questo è un aspetto cruciale del percorsoche propongo – che se i valori non legittimano e non sostengono leistituzioni, se non hanno un adeguato grado di coerenza con esse, lenorme regolative non solo tendono a non funzionare, ma possono pro-durre effetti perversi rispetto alle loro finalità manifeste. Ciò puòavvenire perché il cambiamento culturale ha modificato l’equilibrioprecedente tra valori e norme regolative, o anche perché il cambia-mento istituzionale fa sì che le nuove norme non siano sufficiente-mente coerenti con i valori diffusi.

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2. La lettura weberiana del capitalismo moderno

Nel lavoro di Weber si individuano due tipi di fattori importantiper la formazione e il funzionamento dell’ economia di mercato:quelli culturali che sono direttamente influenzati dalla tradizione reli-giosa e plasmano i valori e l’etica economica; e quelli istituzionali,cioè le regole che presiedono all’organizzazione sociale e politica,che hanno un’origine più complessa – non solo culturale ma anchepolitica – e condizionano la formazione delle imprese private e deimercati liberi. Le città, lo stato di diritto, le istituzioni della scienzasono le componenti principali del tessuto istituzionale che Webermette a fuoco1.

La dimensione culturale è profondamente legata alla tradizionereligiosa occidentale e alla sua evoluzione. Essa influenza diretta-mente il capitalismo moderno forgiandone i valori, e in particolarel’etica economica, che è una componente cruciale – anche se nonesclusiva – che condiziona l’imprenditorialità. Weber sottolinea cheper l’affermazione e la crescita dell’economia di mercato è necessarioche vi siano imprenditori orientati alla ricerca di profitto sui mercati enon con l’uso della forza non legittima o sfruttando opportunità con-trollate dal potere politico (capitalismo politico o «di avventura»). Maquesti soggetti devono essere anche guidati da un’etica economicache da un lato li spinga a impegnarsi nel lavoro e nell’impresa permigliorarne l’efficienza, le capacità innovative e la competitivitàanche con il reinvestimento degli utili – che li spinga dunque a esserei protagonisti dell’affermazione dell’economia di mercato; e dall’altroimpronti il loro comportamento all’onestà e al controllo di forme diopportunismo nei rapporti con gli altri operatori economici e con i

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1 Naturalmente, non sono trascurati fattori di altra natura, come le vicende belli-che, l’afflusso dei metalli preziosi, la domanda di beni di lusso delle corti, le condi-zioni geografiche favorevoli, legate in special modo al Mediterraneo come mare par-ticolarmente favorevole per gli scambi commerciali. Secondo Weber questi fattorierano presenti anche in Oriente, o comunque non hanno giocato un ruolo determi-nante nel processo che ha portato allo sviluppo del capitalismo in Occidente. Da quil’importanza di individuare condizioni culturali e istituzionali specificamente occi-dentali e europee.

consumatori. In tal modo saranno favoriti gli scambi, riducendo icosti di transazione, e potranno allargarsi e consolidarsi i mercati, unavolta affermatasi la nuova forma di organizzazione economica.

L’imprenditorialità che crea e alimenta l’economia di mercatocomporta dunque un cambiamento di valori importante. La ricerca delprofitto, invece di essere svincolata da norme etiche, o di esserecomunque tollerata – come avveniva con l’atteggiamento ispiratodalla Chiesa nel Medioevo – diventa non solo giustificata ma addirit-tura sollecitata sul piano etico. Weber attribuisce questo cambiamentoalla tradizione religiosa occidentale e soprattutto ai suoi sviluppi conil protestantesimo, mentre l’esperienza religiosa delle grandi civiltàorientali – dall’induismo al buddismo e al confucianesimo – ha avutoun effetto scoraggiante sull’imprenditorialità perché alimentava com-portamenti adattivi, tradizionali, rituali piuttosto che di impegno nellavoro, di innovazione, di sfruttamento delle tecniche, che pure fino al1000 erano addirittura superiori in quelle regioni del mondo.

Tutto questo però – come abbiamo già anticipato – non basta. Civogliono dei requisiti istituzionali che si accompagnino al tessuto cul-turale. Diamo allora uno sguardo a questi fattori istituzionali comin-ciando dalla formazione dei mercati. Da questo punto di vista, Weberattira anzitutto l’attenzione sull’esperienza peculiare delle città occi-dentali rispetto a quelle dell’Oriente. L’Europa è segnata dallavicenda dei comuni che vede le città diventare entità politiche auto-nome, capaci di autogoverno. In Oriente le città restano invece snodidell’amministrazione di grandi imperi, senza autonomia propria.Rimangono centri di consumo e di redistribuzione invece che città diproduzione.

Nell’esperienza europea l’affermazione delle città come soggettiistituzionali politicamente autonomi è legata a due condizioni pecu-liari che non si ritrovano in Oriente. La prima è la fragilità del poterepolitico centrale, che favorisce le chances delle nuove aggregazionisociali formatesi per rivendicare e strappare a feudatari e principi lelibertà comunali. L’altra riguarda la tendenza del cristianesimo, con ilsuo orientamento universalistico («tutti gli uomini sono figli di Dio»)

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a favorire il superamento delle barriere sociali, sancite dalle religioniprevalenti in Oriente, su base di stirpi, clan, caste, che ostacolano lacooperazione e la solidarietà a scopi politici tra coloro che vivononelle città. è su questa base che possono prendere forma i diritti dicittadinanza, che sanciscono il diritto legittimo dei cittadini ad auto-governarsi, a scegliere i detentori del potere politico, e a disporre ditribunali propri.

L’autonomia politica delle città ha importanti conseguenze econo-miche per la formazione dei mercati. Infatti, per incrementare le pro-prie possibilità di sostentamento e per difendere la propria autonomia,le città hanno interesse ad allargare i traffici e gli scambi e quindi afar crescere i mercati, sia quello dei beni che quello del lavoro, libe-rando la forza lavoro vincolata ai vecchi rapporti di produzione feu-dale nelle campagne. è nelle città che si forma un’imprenditorialitàartigianale e commerciale – una proto-borghesia urbana che abbrac-cerà poi il credo protestante. Ed è nelle città che vengono inventatinuovi strumenti che favoriscono la commercializzazione della vitaeconomica e contribuiscono al miglior funzionamento dei mercati(come per esempio, i titoli di credito, le lettere di cambio, le primeforme assicurative delle attività economiche, o anche nuove tecnichecontabili e giuridiche che facilitano il calcolo capitalistico e la sepa-razione del patrimonio familiare da quello delle imprese).

Naturalmente, il cammino verso l’allargamento dei mercati saràlungo e difficile anche nell’esperienza occidentale. Esso comincia conle città e passa poi attraverso le vicende degli stati nazionali che dap-prima si chiuderanno al loro interno con il mercantilismo e solo piùtardi si apriranno agli scambi e alla liberalizzazione, ma sempre attra-verso un processo contrastato. La formazione di un mercato nazionaleè importante perché si creino quelle condizioni per lo smercio deiprodotti senza le quali non è possibile il forte immobilizzo di capitalenecessario per la produzione industriale di massa.

Ma lo stato nazionale svolge anche un’altra importante funzione.Affinché l’allargamento dei mercati possa affermarsi efficacementecome stimolo alla crescita delle attività produttive ci vuole fiducianegli scambi. La crescita degli scambi e l’allargamento dei mercati

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richiede dei meccanismi di fiducia impersonale legati al funziona-mento delle istituzioni che devono rassicurare chi investe nelle atti-vità economiche con forti immobilizzi di capitale fisso circa la tuteladei suoi diritti di proprietà e il rispetto dei contratti. Da questo puntodi vista, nel confronto tra Occidente e Oriente Weber insiste sull’im-portanza dello stato di diritto o «stato razionale», come anche lochiama, nell’esperienza occidentale.

In Occidente si sviluppa uno stato «legale-razionale» fondato suun ordinamento giuridico che regola le modalità di accesso al poterepolitico e quelle del suo esercizio; si vale di un corpo di funzionarispecializzati anch’essi sottoposti alla legge sia per il loro recluta-mento che per la loro attività. In Oriente prevale invece il tipo idealedello «stato patrimoniale», in cui il potere politico è un possesso pri-vato del signore e i funzionari sono suoi dipendenti personali.

L’ordinamento giuridico dello stato razionale favorisce da un lato laformazione di una burocrazia specializzata, vincolata ad un esercizionon arbitrario del potere amministrativo nei rapporti con i privati, edall’altro rende la legge calcolabile, ovvero dà maggiore prevedibilitàai rapporti tra i soggetti impegnati in attività economica (diritto civile)fornendo garanzie giurisdizionali calcolabili preventivamente in casodi controversie tra privati o tra questi e la pubblica amministrazione(diritto pubblico). La prevedibilità legata alla legge calcolabile favori-sce il «calcolo del capitale» e permette di affrontare investimenti fissirischiosi con maggiori garanzie, sia per il rispetto dei contratti tra isoggetti privati coinvolti, che con riferimento agli interventi della pub-blica amministrazione. Non solo. Lo stato razionale con le sue strut-ture burocratiche specializzate e la capacità di estrarre risorse fiscalifornisce input importanti in termini di beni collettivi per i privati impe-gnati in attività economiche: difesa, ordine pubblico, infrastrutture ditrasporto, sistema monetario stabile e garantito, istruzione.

A questo punto possiamo chiederci, come già per le città, quali fat-tori hanno favorito l’affermazione dello stato moderno come stato didiritto in Occidente. Si tratta di un processo complesso che Weberricostruisce dettagliatamente. Qui possiamo limitarci a ricordare comeanche in questo caso si combinino componenti culturali legate alla

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tradizione religiosa e caratteristiche specifiche del contesto istituzio-nale occidentale. Tra le prime va sottolineato come la tradizione reli-giosa occidentale favorisca una più ampia autonomia della politicadalla religione e quindi maggiori possibilità di innovazione per ilpotere politico al fine di affrontare problemi collettivi di tipo econo-mico o sociale. In secondo luogo, nelle città occidentali era stato ela-borato – come abbiamo accennato – uno specifico diritto di cittadi-nanza che sancisce la pretesa legittima dei cittadini di autogovernarsie nominare i loro rappresentanti. Questo fenomeno condizionerà lacostruzione e l’evoluzione dello stato di diritto nel contesto europeo2.In altre parole, con la formazione degli stati nazionali scomparvero lecittà come entità politiche autonome, ma non l’esperienza del dirittodi cittadinanza che nelle città era nata, e che diventa ora uno stru-mento per reclamare partecipazione al processo politico da parte deicittadini dello stato e controllo dei governanti sulla base di norme chene regolano l’accesso al potere e ne limitano gli arbitri.

Nella stessa direzione ha agito – specie in alcuni contesti europeicome quello britannico – il cosiddetto «feudalesimo contrattuale» con-trapposto al «feudalesimo di servizio» più diffuso in Oriente. Il primopresuppone una condizione di maggiore equilibrio nei rapporti di forzatra signori fondiari e monarchia. Ciò spingerà maggiormente i feuda-tari a cercare di stabilizzare il loro controllo sulla terra e a sfruttare intermini economici i loro possedimenti ponendo dei vincoli all’esazionedi tasse da parte della monarchia, e più in generale vincolando l’eser-cizio del potere politico centrale attraverso il parlamento, com’è parti-colarmente evidente nella storia costituzionale inglese.

Infine, occorre ricordare un aspetto cruciale per la crescita dellaricchezza in un’economia di mercato: il progresso tecnico. Anche inquesto caso Weber ci ricorda anzitutto il ruolo originario delle città

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2 Un’altra importante eredità istituzionale, che secondo Weber favorirà la costru-zione dello stato di diritto in Occidente, è costituita dal diritto romano. Esso si eraconservato soprattutto per merito dei notai delle città italiane che lo avevano adattatoai problemi posti dalla crescita delle attività economiche. Il diritto romano era impor-tante non per i suoi contenuti sostanziali, ma per il formalismo giuridico e la siste-maticità, che favorivano anche la formazione di una burocrazia specializzata.

occidentali, sul quale si innesta successivamente l’azione degli statinazionali. Le esigenze economiche (sviluppo della produzione e deicommerci) e politiche (rafforzamento militare) delle città, e più tardii bisogni militari legati alla peculiare conflittualità tra gli stati euro-pei, favoriscono lo sviluppo della scienza moderna e delle sue appli-cazioni pratiche, cioè la «tecnica razionale» utilizzata nei processiproduttivi al fine di aumentare la produttività con l’introduzione diinnovazioni. Un aspetto importante di tale processo è la promozionedelle «libere università», come luoghi in cui si sviluppa e il pensieroscientifico e si istituzionalizza la ricerca. Ma non sarebbe possibile,anche in questo caso, spiegare il successo e l’istituzionalizzazionedella scienza e della tecnica razionale in Europa e nell’esperienzaoccidentale senza tenere anche conto del peculiare contesto culturaleplasmato dalla tradizione religiosa cristiana che, seppure attraverso unpercorso lungo e travagliato, porta al riconoscimento dell’autonomiadella scienza dalla religione a cui abbiamo già accennato e quindi amaggiori opportunità per la crescita delle conoscenze scientifiche eper il progresso tecnico.

In conclusione, contrariamente a quanto sostiene un’interpretazioneriduttiva e errata della sua opera, Weber non intende affatto spiegarele origini del capitalismo soltanto con l’etica economica forgiata dalprotestantesimo – come ribadisce esplicitamente in più punti della suaopera. A suo avviso è invece necessario tenere conto di fattori dinatura istituzionale legati ai caratteri delle città europee, dello stato edell’ordinamento giuridico, della scienza e della tecnica. Non soloquesti ingredienti sono essenziali per l’affermarsi dell’economia dimercato, ma il loro rapporto con la religione è complesso e non ridu-cibile a una mera dipendenza dalla tradizione religiosa occidentale,segnata dall’ebraismo e dal cristianesimo. Le origini di queste istitu-zioni occidentali sono anche legate a fattori causali di tipo specifica-mente politico e a eventi contingenti. E proprio il particolare «inca-stro» tra cultura e istituzioni, tra valori e norme, che aiuta a compren-dere la formazione del capitalismo moderno. Vorrei concludere questaschematica ricostruzione del modello di Weber con le sue stesseparole: «Ciò che in definitiva ha creato il capitalismo è l’impresa

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razionale durevole, la tecnica razionale, lo stato e il diritto razionale,ma di nuovo non questi fattori da soli: doveva aggiungersi ad inte-grarli l’attitudine razionale, la razionalizzazione della condotta di vitae l’ethos economico razionale» (Weber 1958, tra. it. 1993, p. 308).

3. Culturalisti e istituzionalisti

Può aiutarci ancora oggi l’analisi di Weber a gettar luce sui pro-cessi che portano all’affermazione e al buon funzionamento dell’eco-nomia di mercato? Credo che essa possa esserci utile ancora oggi peralmeno due motivi. Anzitutto, per individuare e mettere a fuoco gliingredienti necessari all’affermazione e al buon funzionamento dell’e-conomia di mercato: i requisiti culturali e istituzionali. E soprattuttoper chiarire meglio il tipo di relazione – il modo di combinarsi degliingredienti – che può portare a determinati risultati. Del resto, unaconferma in questo senso viene anche dalla recente letteratura neo-istituzionalista, che chiama largamente in causa i fattori analizzati dalsociologo tedesco, ma non ne coglie adeguatamente il messaggio fon-damentale, legato al necessario «incastro» tra componenti culturali eistituzionali. Vediamo allora come le indicazioni ricavabili dal contri-buto di Weber possano aiutare a orientarsi su alcune questioni dibat-tute nell’ambito del neoistituzionalismo di ispirazione economica, equali conseguenze ne discendano per le politiche di sviluppo.

Il primo nodo che vale la pena di richiamare riguarda il ruolo attri-buito alla cultura e alle istituzioni. Sotto questo profilo si fronteg-giano due posizioni distinte. Da un lato, vi sono i «culturalisti» chehanno tra i loro esponenti di spicco due storici economici di famacome Douglass North e David Landes, ma anche politologi comeSamuel Huntington e Robert Putnam. Dall’altro, gli «istituzionalistiin senso stretto, tra i quali un ruolo di leadership hanno assunto DaronAcemoglu e James Robinson, autori tra l’altro del recente volume disuccesso Why Nations Fail (2012, trad. it. 2013), che conclude unlungo e impegnato percorso di ricerca empirica.

I culturalisti si richiamano a Weber e si può immaginare che siriconoscano nelle parole di David Landes quando nota che «Max

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Weber was right (…) culture makes all the difference» (2000, p. 2). Insostanza, pur riconoscendo ragionevolmente i limiti di spiegazionimonocausali, l’enfasi è qui posta sui valori condivisi, sulle credenzediffuse in una determinata società; in particolare i valori dell’impegnonel lavoro, della correttezza negli affari, dell’impegno civico, delsostegno allo sviluppo della scienza e della tecnica. è questa costella-zione di valori, legata alla tradizione religiosa occidentale, che spiegal’affermazione dell’economia di mercato in Europa e in Occidente. Ilcontributo delle istituzioni non è trascurato: dallo stato di diritto, chetutela i diritti di proprietà e il rispetto dei contratti, alle strutture edu-cative e della ricerca scientifica. Tuttavia, in questo caso è condivisa,pur con sfumature differenti, l’idea che le istituzioni sono figlie deivalori. Esse sono particolarmente importanti per lo sviluppo e il con-solidamento dei mercati, ma derivano sostanzialmente dai valori con-divisi che ne plasmano i caratteri specifici. Come sottolinea North(1990, trad. it. 1994, pp. 26-27), le istituzioni evolvono dalle conven-zioni, dai codici morali, e esprimono l’influenza e il radicamento dideterminati valori in un certo territorio. In questo quadro va poinotato che il cambiamento tende a assumere un carattere prevalente-mente evolutivo e inintenzionale, perché è legato a lenti processi diaggiustamento di valori, cioè della tradizione culturale (path depen-

dance). Inoltre, eventuali accelerazioni, legate a fenomeni di mobili-tazione collettiva in processi di tipo rivoluzionario, possono poiessere anche ridimensionati da questo tessuto culturale diffuso, comeosserva ancora North (1990, trad. it. 1994; 2005); perché continuanoa prevalere, credenze, schemi di comportamento, valori non coerenticon il funzionamento delle nuove istituzioni.

Gli istituzionalisti in senso stretto ritengono invece che lo sviluppoe il consolidamento dell’economia di mercato dipenda dalle istitu-zioni economiche, in particolare da quelle che assicurano un compor-tamento non arbitrario e prevedibile dell’amministrazione pubblica,garantiscono un’efficace tutela dei diritti di proprietà e una tutela giu-risdizionale dei contratti, promuovono istruzione e ricerca scientifica,assicurano beni collettivi come infrastrutture e servizi. Come si vede,questi ingredienti sono sostanzialmente analoghi a quelli già indicatida Weber. Ma da che cosa dipende la loro disponibilità?

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Le buone istituzioni economiche – quelle che Acemoglu e Robin-son (2012, trad. it. 2013) chiamano «inclusive» – non sono secondoquesti autori il portato di determinati valori, come per i culturalistiprima citati. Essi ritengono che la dimensione culturale sia difficile damisurare e soprattutto che sia relativamente indeterminato il suoimpatto sulle istituzioni. Nel senso che, a parità di valori culturali, vipossono essere sviluppi istituzionali diversi, come per esempio nelcaso della politica coloniale europea, o di quella britannica3.

Le buone istituzioni economiche più che dai valori dipendono daistituzioni politiche inclusive, cioè da regimi politici aperti e plurali-sti, capaci di limitare il potere di ristrette élite e di incoraggiare unapartecipazione attiva dei membri della società alle scelte, quindi dipromuovere i diritti di cittadinanza. Quando ciò accade, si affermanoe si rafforzano le istituzioni economiche inclusive che sostengono losviluppo dell’economia di mercato, e viene ad essere invece contra-stata la tendenza delle élite a piegare le regole economiche ai lorointeressi realizzando istituzioni di tipo «estrattivo» (ciò che Weberchiamava «capitalismo politico» o «di avventura»). Quest’ultimefavoriscono l’appropriazione del prodotto delle attività economicheda parte di una minoranza privilegiata, la creazione e riproduzione diaree di rendita politicamente protette dallo stato, accompagnate dal-l’arbitrarietà dell’ amministrazione pubblica, dalla incerta tutela deidiritti di proprietà, e dal cattivo funzionamento della giustizia.

A questo punto la domanda che si pone è: da che cosa dipendel’affermazione di istituzioni politiche inclusive che hanno effetti posi-tivi sulle attività economiche di mercato? La risposta di Acemoglu èche non ci si può accontentare dell’idea di una loro generica evolu-zione dalla cultura, condizionata dal processo storico precedente,

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3 Così, a seconda dei caratteri dei territori, delle dotazione di risorse e del gradodi popolamento, furono impiantate delle «istituzioni estrattive» basate su piantagionicon schiavi o su forme di appropriazione predatorie di metalli preziosi o materieprime, in India, in Africa e in America Latina; o invece, come nel Nord America,vennero introdotte regole inclusive dal punto di vista politico e economico legate almaggior peso dell’immigrazione europea in territori molto scarsamente popolati.

come lasciano intendere i culturalisti. Ci possono essere dei passaggistorici critici in cui per motivi interni, o per shock esogeni come unaguerra o una grave crisi economica, si determini una condizione favo-revole alla mobilitazione collettiva dei gruppi sociali de-privilegiatiche ha l’obiettivo di modificare le istituzioni politiche e economiche.Tuttavia, l’esito di questo cambiamento non è scontato ed è verifica-bile solo ex post. Può portare a nuove istituzioni inclusive o invece alriprodursi in altre forme delle vecchie istituzioni estrattive. In ognicaso non si deve immaginare un percorso univoco.

Quali indicazioni possono venire dallo schema analitico di Weberper orientarci nel dibattito tra culturalisti e istituzionalisti? E soprat-tutto, quali conseguenze ne discendono per l’interpretazione del pro-cesso di affermazione e di consolidamento dell’economia di mercato,e quindi per la messa a punto di più efficaci politiche di intervento?

Abbiamo già osservato che in entrambi gli schieramenti vi è uncomune travisamento del contributo di Weber, ricondotto a un’inter-pretazione culturale dello sviluppo dell’economia di mercato. Inrealtà, come abbiamo visto, il sociologo tedesco considera sia ladimensione culturale che quella istituzionale. Tuttavia, l’aspetto dasottolineare ancor di più è che Weber attira l’attenzione su un requi-sito essenziale: ferma restando l’autonomia reciproca di cultura e isti-tuzioni, deve poi esserci un elevato grado di coerenza tra valori enorme. In altre parole, egli ci suggerisce chiaramente che da questoincontro, non programmabile a priori, dipende il percorso che portaall’affermazione e al consolidamento dell’economia di mercato. Ed èproprio questo aspetto che sembra sottovalutato dai culturalisti comedagli istituzionalisti. Ma che cosa si vuol dire esattamente con coe-renza tra cultura e istituzioni?

Ci si riferisce al fatto che non basta avere delle istituzioni formal-mente favorevoli allo stato di diritto, con mercati liberi, tutela deidiritti di proprietà e dei contratti, come oggi spesso avviene nei con-testi arretrati, se poi non ci sono soggetti sufficientemente motivati elegittimati dai valori prevalenti anzitutto a intraprendere un «attivitàimprenditoriale che è comunque rischiosa, richiede impegno, capacitàinnovative, correttezza degli affari e rispetto delle leggi. Questa

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imprenditorialità che è portatrice del mutamento non emerge automa-ticamente solo per effetto di eventuali convenienze e incentivi favore-voli creati dalle istituzioni. In secondo luogo, l’economia di mercatorichiede poi, per il suo consolidamento e il suo buon funzionamentoal servizio di interessi collettivi, che vi siano dei valori condivisi con-gruenti con le norme regolative, e che essi siano interiorizzati dai sog-getti attraverso il processo di socializzazione primario e secondario,in modo da spingerli a cogliere gli incentivi e a rispettare i vincoliposti dalle istituzioni senza distorcerli a propri fini particolaristici.

Ma questi comportamenti si manifestano non solo perché gliincentivi sono sufficienti a motivare i soggetti, e le sanzioni postedalle norme regolative appaiono meno costose rispetto ai possibilibenefici che discendono dal non rispettarle, ma perché i «costimorali», interni, della mancata osservanza sono alti (Pizzorno 1992).Se questa componente dei costi morali legati ai valori interiorizzati èdebole, il rispetto delle norme e quindi la funzionalità delle istituzioni– anche quando sarebbero formalmente favorevoli all’economia dimercato – resteranno bassi, i costi di transazione saranno comunqueelevati e scoraggeranno l’economia di mercato.

Sbagliano dunque i culturalisti a sottovalutare il contributo speci-fico delle istituzioni. Queste infatti – come ci ricorda l’analisi diWeber – non sono una mera proiezione dei valori, e non ne discen-dono automaticamente, ma dipendono anche da conflitti tra interessicontrapposti e da eventi contingenti. Ma sbagliano anche gli istituzio-nalisti perché sopravvalutano il ruolo del conflitto manifesto tragruppi sociali con interessi contrastanti, e sposano una teoria dell’a-zione di matrice economica troppo semplice, utilitaristica e atomistica,che si basa solo su incentivi e sanzioni, e trascura il ruolo autonomodella cultura e dei valori e il peso che questi fattori hanno nel moti-vare e nell’orientare il comportamento dei singoli soggetti e quindi nelcondizionare la funzionalità stessa delle istituzioni, ma anche le stessepossibilità di mobilitazione collettiva per il cambiamento.

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4. Osservazioni conclusive

Le indicazioni che si possono trarre dalla lezione weberiana hannoevidenti implicazioni per l’interpretazione dei processi di sviluppocontemporanei e per le politiche di sviluppo. Per quel che riguarda ilprimo aspetto, sollecitano anzitutto a evitare facili scorciatoie genera-lizzanti e a tenere maggiormente conto delle specificità storiche deidiversi contesti (Bagnasco 2013). Se si vuol fare legittimamente riferi-mento all’influenza della cultura e dei valori non si dovrebbe quindifarlo in un modo generico che rischia di essere tautologico. L’analisi diWeber dell’imprenditorialità suggerisce che occorra invece ricostruirespecificamente come i valori siano fatti propri dai singoli soggetti e sicolleghino a azioni economiche e comportamenti specifici (in questosenso, per esempio, Guiso, Sapienza, Zingales 2006; Tabellini 2010).

D’altra parte, chi vuole mettere in evidenza il ruolo delle istitu-zioni rispetto alla cultura dovrebbe a sua volta evitare di imputaresempre e comunque al conflitto esplicito tra interessi contrapposti lapossibilità del cambiamento istituzionale, che a volte è invece il fruttodi azioni inintenzionali e di «effetti emergenti», come di nuovo l’ana-lisi di Weber ci mostra. In ogni caso, bisogna tenere particolare contodelle specificità dei diversi contesti, con ricostruzioni accurate chenon diano l’impressione di ricercare delle generiche conferme allavalidità di schemi teorici a eccessiva generalizzazione.

Quali implicazioni allora per le politiche di sviluppo? La questioneè ovviamente troppo complessa per essere trattata adeguatamente inquesta sede. Vorrei però, in conclusione, segnalare solo alcune conse-guenze rilevanti sul piano metodologico.

Anzitutto, il problema dello sviluppo, visto nella chiave di unacoerenza tra valori e istituzioni, appare ancor più complesso e diffi-cile da trattare solo in termini di politiche economiche e sociali. è unproblema di costruzione di istituzioni adeguate senza le quali le poli-tiche di aiuto o di sostegno alle attività economiche, o anche di pro-tezione sociale, rischiano non solo di non funzionare, ma anche diprodurre effetti perversi. Questo è peraltro un aspetto opportunamentesottolineato da tutti gli approcci del neo-istituzionalismo (Acemoglu,

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Robinson 2012, trad. it. 2013; North, Wallis, Weingast 2009, trad. it.2012), che – come si diceva – rimanda alla necessità di un’analisi piùdettagliata e storicamente ancorata dei contesti su cui si interviene.D’altra parte questa maggiore sensibilità ai caratteri specifici di cul-tura e istituzioni – dei rapporti tra di loro – pone una sfida alle orga-nizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo, e mette in guar-dia da ricette semplificate e standardizzate come quelle proposte neglianni passati con esiti certo non soddisfacenti.

La complessità nasce dalla difficoltà per le organizzazioni interna-zionali e per i singoli paesi di disegnare interventi consapevoli volti arompere quello che potremmo definire il «circolo vizioso delle istitu-zioni’ e che ostacola l’economia di mercato. In altre parole, i contestiarretrati, prima ancora che dalla trappola di carenza di capitale fisico,di capitale umano e di dotazione tecnologica, sono condizionati dallatrappola di istituzioni che non consentono di accumulare e impiegareefficacemente tali risorse. Questo può accadere perché le istituzionieconomiche – usando le categorie di Acemoglu – hanno carattereestrattivo e sono sostenute da istituzioni politiche non inclusive, nonaperte. Ma può anche accadere in una situazione in cui le istituzioniformali sarebbero inclusive ma il loro funzionamento finisce peressere estrattivo perché non c’è un’adeguata congruenza con i valoridiffusi, cioè con il tessuto culturale. Questo è un caso che è statodiscusso per esempio da North con riferimento all’America Latina,ma che purtroppo ci riguarda direttamente per il nostro nodo irrisoltodel Mezzogiorno, che potrebbe offrire un’interessante evidenza empi-rica sotto questo profilo.

Come funziona la trappola delle istituzioni in questo caso? Sipotrebbe dire che dopo la creazione dello stato nazionale come statodi diritto le élite hanno cercato di piegare ai loro interessi particolariistituzioni formalmente favorevoli all’economia di mercato, introdu-cendo diffusi elementi di arbitrarietà nel funzionamento delle politi-che pubbliche, nella tutela dei diritti di proprietà, nella concorrenza dimercato. Hanno potuto farlo perché istituzioni politiche formalmenteinclusive mancavano storicamente di quei requisiti culturali (culturacivica) e organizzativi (forte pluralismo sociale e politico a livello

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della società civile) che avrebbero potuto vincolarne il comporta-mento. Come reazione a questo uso delle istituzioni, e alle condizionieconomiche e occupazionali, i soggetti (i cittadini-elettori) hannorafforzato e sviluppato valori atti a favorire comportamenti adattivi(particolarismo, opportunismo, ecc.), ma è evidente che tutto ciò haalimentato il circolo vizioso ostacolando ulteriormente il funziona-mento impersonale delle istituzioni e la non arbitrarietà delle deci-sioni della pubblica amministrazione, proprio perché piegati dallapressione di interessi particolaristici. Da qui una spirale perversa chelogora le potenzialità effettive di istituzioni formalmente inclusive afavore di una solida crescita dell’economia di mercato.

Evidentemente, è molto difficile uscire da trappole di questo tiposenza intervenire sulle condizioni istituzionali a monte delle politicheeconomiche e sociali di sostegno allo sviluppo, e senza valutare atten-tamente le politiche di aiuto proprio in relazione al contesto istituzio-nale nel quale ricadono – cosa che nel caso del Mezzogiorno, peresempio, non è certo stata fatta e di cui tuttora si stenta a prendereatto nel momento in cui si dovrebbero disegnare politiche di svilupponazionali o europee. In questa prospettiva, la stessa concezione di unastrategia di sviluppo dovrebbe avere un contenuto ben più complessodi quello relativo all’individuazione di obiettivi, strumenti e risorseper politiche economiche e sociali. Certo, come suggeriscono i neo-istituzionalisti, si possono immaginare misure di empowerment, dirafforzamento della società civile e di crescita di una cultura politicapiù matura e coerente. Ma è chiaro che visto in questa prospettiva ilproblema dello sviluppo e del consolidamento dell’economia di mer-cato è un problema politico prima ancora che di politiche, comeWeber e i neo-istituzionalisti ci ricordano. E non ci sono facili ricette.Forse però dovremmo esserne almeno più consapevoli.

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Associazione Manlio Rossi-DoriaAttività 2014

Lezione Rossi-Doria

Cultura, istituzioni e sviluppo. La lezione di Max Weber, Carlo Trigilia, Uni-versità di Firenze.Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma, in collaborazione con: Centro Ricerche Economiche eSociali Manlio Rossi-Doria.9 ottobre 2014

Incontri di studio

Secondo Workshop University–Industry Linkages. From Theory to Policy. Incollaborazione con: Centro Ricerche Economiche e Sociali Manlio Rossi-Doria; Department of Geography and Environment, London School of Eco-nomics and Political Science; Centro per l’Innovazione e l’Imprenditorialità,Università Politecnica delle Marche; Dipartimento di Economia, UniversitàRoma Tre.Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma.26-28 Maggio 2014

Presentazione del numero 1-2014 di QA-Rivista dell’Associazione Rossi-Doria. In collaborazione con Istituto Nazionale di Economia Agraria. Introduce: Giovanni Cannata, IneaIntervengono:Roberto Henke, IneaLuca Salvatici, Università Roma Tre e Centro Ricerche Economiche eSociali Manlio Rossi-DoriaRoberto Fanfani, Università di BolognaFrancesca Giarè, Inea

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Lelio Iapadre, Università dell’AquilaConclude:Guido Fabiani, Assessorato Attività produttive Regione Lazio e CentroRicerche Economiche e Sociali Manlio Rossi-DoriaSala Serpieri, Via Nomentana, 41, Roma12 giugno 2014

Pubblicazioni

Manlio Rossi-Doria,  Mezzogiorno d’Europa. Lettere, Appunti e Discorsi

1945-1987 (a cura di Emanuele Bernardi). Donzelli editore, 2014.

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Centro Ricerche Economiche e SocialiManlio Rossi-Doria

Attività 2014

Lezione Rossi-Doria

Cultura, istituzioni e sviluppo. La lezione di Max Weber, Carlo Trigilia, Uni-versità di FirenzeSala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma, in collaborazione con: Associazione per Studi e RicercheManlio Rossi-Doria.9 ottobre 2014

Incontri di studio

Secondo Workshop University–Industry Linkages. From Theory to Policy. Incollaborazione con: Associazione per Studi e Ricerche Manlio Rossi-Doria;Department of Geography and Environment, London School of Economics andPolitical Science; Centro per l’Innovazione e l’Imprenditorialità, UniversitàPolitecnica delle Marche; Dipartimento di Economia, Università Roma Tre.Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma.26-28 Maggio 2014

Primo Workshop Global Value Chains and Trade Policies for Food and

Nutrition Security. In collaborazione con: Center on Globalization Gover-nance and Competitiveness, Duke University e International Food PolicyResearch Institute.Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma.25-26 Settembre 2014

Secondo Workshop Global Value Chains: Perception, Reality and Measurement. Keynote Speaker: Tim Sturgeon, Industrial Performance Center, MIT.

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Discutono: Rita Cappariello, Banca d’Italia; Silvia Nenci, Università RomaTre; Coordina: Anna Giunta, Università Roma Tre e Centro Ricerche Econo-miche e Sociali Rossi-Doria.Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma.21 Ottobre 2014

Presentazione del libro I Sistemi produttivi locali, a cura di Massimo Omic-cioli, Banca d’Italia. Ne discutono con l’Autore: Lisa de Propris, University of Birmingham; Sal-vatore Rossi, Direttore Generale Banca d’Italia; Fabio Sforzi, Universitàdegli Studi di Parma.Coordina: Anna Giunta, Università Roma Tre e Centro Ricerche Economichee Sociali Manlio Rossi-Doria.Sala delle Lauree, Scuola di Economia e Studi Aziendali, Via Silvio D’A-mico 77, Roma.29 Ottobre 2014

Presentazione del libro Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? di MaurizioFranzini, Elena Granaglia, Michele Raitano.Intervengono: Giovanni Pitruzzella, Presidente Autorità garante della concor-renza; Salvatore Rossi, Direttore Generale Banca d’Italia; Nadia Urbinati,Columbia University. Coordina: Anna Giunta, Università Roma Tre e Centro Ricerche Economichee Sociali Manlio Rossi-DoriaAula del Consiglio, Dipartimento di Giusrisprudenza, Via Ostiense 161.2 Dicembre 2014

Pubblicazioni

Manlio Rossi-Doria,  Mezzogiorno d’Europa. Lettere, Appunti e Discorsi

1945-1987 (a cura di Emanuele Bernardi). Donzelli editore, Roma, 2014.

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