Lezione 08 (20!10!07) Pat Generale

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Lezione 8 (Dr. Andrea Perra) sabato 20 ottobre 2007 (Esposizione del programma che si svolgerà nelle prossime lezioni,cioè le malattie genetiche; a fine corso piccola spiegazione su malattie genetiche non ereditarie) INFIAMMAZIONE CRONICA Molti mediatori dell’infiammazione acuta sono importanti anche nell’infiammazione cronica. Vi sono molte definizioni che descrivono l’infiammazione cronica, e questo potrebbe creare dei problemi perchè il processo non ha un’unica genesi, può essere legato a diversi fattori. D: quale potrebbe essere una definizione di infiammazione cronica? R: processo in cui le difese dell’organismo non riescono a debellare l’agente infettivo,il sistema immunitario continua ad aggredire l’agente, raggiungendo con esso una sorta di equilibrio finalizzato alla sua eliminazione. La definizione può essere giusta, è un processo che prevede la presenza un agente infettivo a bassa tossicità, perché se la tossicità fosse elevata l’organismo non riuscirebbe a raggiungere questa situazione di “equilibrio”. Questa definizione però è valida se consideriamo un processo infettivo; un’infiammazione cronica potrebbe essere legata anche ad altri fattori, come p.e. il persistere di un’infiammazione acuta, cioè una risposta infiammatoria che si protrae nel tempo, o ancora una malattia autoimmune. Vi sono delle definizioni classiche: Processo flogistico di durata prolungata, nel quale coesistono infiammazione attiva, morte cellulare, tentativi di riparazione del danno . Quindi tra le caratteristiche fondamentali vi sono la durata prolungata (da qualche settimana a più anni); il fatto che coesista un’infiammazione che può avere diversi gradi di attività e caratteristiche diverse rispetto all’infiammazione acuta; morte cellulare,ossia un danno persistente, e contemporaneamente tentativi di riparazione, che però sono infruttuosi altrimenti si avrebbe risoluzione del processo infiammatorio. Nella definizione non si fa riferimento all’agente eziologico,si cerca di dare una definizione che non risenta della causa. Processo flogistico di lunga durata; può seguire un’infiammazione acuta quando non si ha eliminazione dello stimolo che ha indotto la flogosi . Questa ricorda molto la prima definizione data, ma abbiamo sostituito il termine “agente infettivo” con Stimolo Inducente la flogosi, e ci permette 1

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Lezione 8 (Dr. Andrea Perra) sabato 20 ottobre 2007

(Esposizione del programma che si svolgerà nelle prossime lezioni,cioè le malattie genetiche; a fine corso piccola spiegazione su malattie genetiche non ereditarie)

INFIAMMAZIONE CRONICAMolti mediatori dell’infiammazione acuta sono importanti anche nell’infiammazione cronica.Vi sono molte definizioni che descrivono l’infiammazione cronica, e questo potrebbe creare dei problemi perchè il processo non ha un’unica genesi, può essere legato a diversi fattori.D: quale potrebbe essere una definizione di infiammazione cronica?R: processo in cui le difese dell’organismo non riescono a debellare l’agente infettivo,il sistema immunitario continua ad aggredire l’agente, raggiungendo con esso una sorta di equilibrio finalizzato alla sua eliminazione.La definizione può essere giusta, è un processo che prevede la presenza un agente infettivo a bassa tossicità, perché se la tossicità fosse elevata l’organismo non riuscirebbe a raggiungere questa situazione di “equilibrio”.Questa definizione però è valida se consideriamo un processo infettivo; un’infiammazione cronica potrebbe essere legata anche ad altri fattori, come p.e. il persistere di un’infiammazione acuta, cioè una risposta infiammatoria che si protrae nel tempo, o ancora una malattia autoimmune.

Vi sono delle definizioni classiche: Processo flogistico di durata prolungata, nel quale coesistono infiammazione attiva, morte cellulare,

tentativi di riparazione del danno. Quindi tra le caratteristiche fondamentali vi sono la durata prolungata (da qualche settimana a più anni); il fatto che coesista un’infiammazione che può avere diversi gradi di attività e caratteristiche diverse rispetto all’infiammazione acuta; morte cellulare,ossia un danno persistente, e contemporaneamente tentativi di riparazione, che però sono infruttuosi altrimenti si avrebbe risoluzione del processo infiammatorio. Nella definizione non si fa riferimento all’agente eziologico,si cerca di dare una definizione che non risenta della causa. Processo flogistico di lunga durata; può seguire un’infiammazione acuta quando non si ha eliminazione

dello stimolo che ha indotto la flogosi.Questa ricorda molto la prima definizione data, ma abbiamo sostituito il termine “agente infettivo” con Stimolo Inducente la flogosi, e ci permette di considerare come stimolo non solo l’agente infettivo, ma anche una sostanza inerte (come p.e. nel granuloma da corpo estraneo: reazione infiammatoria cronica che non prevede l’intervento del sistema immunitario, e la presenza di un’infezione). Questa definizione introduce il fatto che la flogosi cronica può seguire un’infiammazione acuta. Processo flogistico che non manifesta nessuna evoluzione spontanea verso la risoluzione, e si associa a

danno progressivo del tessuto interessato.Qui introduciamo quella che è la caratteristica più sinistra del processo infiammatorio cronico, cioè non manifesta nessuna evoluzione spontanea verso la guarigione: questo vuol dire che senza l’intervento esterno il processo flogistico in alcuni casi può perdurare per un tempo indefinito, oppure sino alla distruzione del tessuto o dell’organo sede dell’infiammazione.Infatti una delle possibili evoluzioni del processo infiammatorio cronico è la perdita funzionale dell’organo, con modificazioni più o meno importanti della sua morfologia.Dunque possiamo dire che la definizione di infiammazione cronica deve comprendere nell’insieme i tre punti appena evidenziati.

La definizione tiene fuori l’eziologia, che è molto importante invece, e sappiamo essere uno dei campi della Patologia. Vediamo ora qualche causa di flogosi. Infezione persistente: la mancata eradicazione del patogeno,che può essere un batterio,un virus, o un

parassita, causa una persistenza dell’azione dei meccanismi di flogosi, che diventa causa stessa del danno. Quindi il danno dell’organo può non essere più causato dall’azione del patogeno, e i danni maggiori possono essere causati dalla risposta al patogeno.

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Es.: Epatite cronica virale (risposta ad infezione virale), tubercolosi (risposta ad un batterio).La persistenza dell’infezione virale a livello epatico è un esempio molto interessante perché, se consideriamo il virus dell’epatite C, il danno epatico è legato più alla persistenza della risposta che al patogeno. Entrambi i casi comunque ricordano che l’agente infettivo è spesso un patogeno scarsamente aggressivo e lesivo nei confronti dell’organo infettato, dove non causa una rapida distruzione del parenchima o morte delle cellule costituenti; spesso il patogeno può essere inglobato all’interno delle cellule che mediano la risposta infiammatoria e danneggiare le cellule che dovrebbero eliminarlo, come nel caso del micobatterio tubercolare,che può essere fagocitato ma non distrutto dalle cellule mononucleate.

Esposizione ripetuta o prolungata ad agente tossico: il termine “agente tossico” ci consente di racchiudere sia fattori esterni, che fattori prodotti dall’organismo stesso; più frequentemente l’agente eziologico è esogeno, viene dall’esterno, ma in alcuni casi, che sono la minoranza, sono causa di infiammazione cronica degli agenti endogeni.Es.: fattore esogeno = la silice,che determina silicosi; quindi abbiamo un agente tossico spesso inerte, ma in grado di evocare una risposta infiammatoria cronica ledendo le cellule mononucleate (come la silice, che può determinare necrosi dei macrofagi tissutali p.e. a livello polmonare, per un meccanismo principalmente fisico).Fattore endogeno = la gotta, malattia,spesso a decorso cronico, causata dalla precipitazione di cristalli di acido urico; i cristalli non evocano una risposta immunitaria, ma una risposta infiammatoria acuta che non porta all’eliminazione dell’agente tossico,e quindi continuano a danneggiare il tessuto, trasformando la risposta di tipo acuto in risposta cronica.

Autoimmunità e alterazione della risposta immune: dal punto di vista dell’incidenza, è la causa più importante nella Patologia umana di infiammazione cronica, perché bastano poche patologie autoimmunitarie molto diffuse. Es.: sclerosi multipla, patologia che causa distruzione; il processo infiammatorio è cronico, perché coesistono il danno e il tentativo di riparazione, ma quest’ultimo non porta al recupero della funzionalità.In Sardegna sono molto diffuse alcune patologie, come tiroiditi, celiachia, diabete di tipo I (dove si ha distruzione delle β cellule).Sono tutti esempi di importanti processi infiammatori cronici, tra tutti le tiroiditi sono le patologie che si possono gestire meglio attraverso una terapia. Altri esempi di cause frequenti di infiammazione cronica diffuse nella popolazione generale sono:lupus eritematoso sistemico, malattia con spettro di attività abbastanza ampio, si va da forme estremamente gravi che possono portare al decesso del paziente entro i 30 anni di vita, a forme indolenti che vanno avanti per un lungo periodo senza ridurre le aspettative di vita. I casi più frequenti sono quelli intermedi, in cui si ha una disabilità che porta ad una riduzione delle aspettative di vita;artrite reumatoide, frequente non solo negli anziani, ma è abbastanza diffusa anche negli adulti tra la quarta e quinta decade,e se non curata porta col tempo ad una riduzione o perdita della funzionalità articolare sia in piccole che grandi articolazioni; asma allergico, importante perché rende l’infiammazione cronica una delle cause di malattie più importanti;nefriti, che prevedono sia fenomeni legati alla deposizione di immunocomplessi, sia immunità di tipo cellulo-mediata;vasculiti, lo stesso lupus eritematoso sistemico prevede un danno di tipo vasculitico.

Caratteristiche del processo infiammatorio. Reazione vascolare: come anche nell’infiammazione acuta, ha grande importanza,è piuttosto rapida, e

inizia insieme al processo stesso.Nell’infiammazione cronica la reazione vascolare mediata da fattori neuro-umorali è abbastanza scarsa, mentre è possibile la presenza di fenomeni di angiogenesi; si tratta di una angiogenesi che avviene nelle fasi iniziali del processo cronico e non ha come risultato il recupero della funzionalità dell’organo, ma alimenta il processo (infiammatorio cronico).

Presenza dei macrofagi: rappresentano il tipo predominante di cellule coinvolte nel processo infiammatorio cronico; se nel processo acuto ha una grandissima importanza l’azione dei granulociti neutrofili, nel processo cronico i neutrofili sono presenti in piccole quantità, e in una fase iniziale del

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processo; gli unici granulociti che possono intervenire in particolari tipi di infiammazione cronica sono gli eosinofili. Quindi abbiamo infiltrazione di cellule mononucleate, principalmente macrofagi, ma sono presenti anche linfociti, la cui quantità dipende dall’origine del processo, quindi dall’eziologia, e dalla fase del processo che stiamo considerando. Abbiamo anche plasmacellule.

Danno tessutale: abbiamo un danno tessutale legato al persistere della risposta infiammatoria, cioè l’infiammazione, che nasce come processo riparativo, è essa stessa causa di danno.

Tentativo di riparazione del danno: avviene mediante deposizione di tessuto connettivo associato alla proliferazione di vasi di piccolo calibro. La riparazione non avviene per proliferazione delle cellule danneggiate, con recupero della struttura originaria dell’organo, ma attraverso deposizione di tessuto connettivo, determinando delle cicatrici.

Caratteri istologici.[figura 2-29 pag. 81 Robbins, confronto tra infiammazione cronica e acuta in due preparati istologici]

Nel preparato che mostra un’infiammazione cronica (immagine a sinistra) a livello polmonare si può osservare un accumulo di macrofagi e di linfociti, con distruzione dell’epitelio alveolare e deposizione di tessuto connettivo con formazione di tralci fibrotici.Sempre nel polmone, nell’infiammazione acuta (immagine a destra), predomina la congestione vascolare, gli alveoli sono occupati dai granulociti neutrofili che sono migrati dal circolo e si ritrovano all’interno degli alveoli; manca la deposizione di tessuto fibroso, perché il processo infiammatorio, che in questo caso è una polmonite, può risolversi con un ritorno alla normalità per funzione e struttura dell’organo interessato.Quando si risolverà il processo cronico (se si risolverà!) resterà un danno, una fibrosi, che ci permetterà di affermare che c’è stata una lesione non risoltasi spontaneamente.

Il macrofago dunque ha un ruolo molto importante nel processo infiammatorio cronico, di cui rappresenta la specie cellulare predominante. Deriva dai monociti circolanti che migrano nei tessuti, dove il macrofago acquisisce la capacità di differenziarsi; sul macrofago agiranno dei messaggeri chimici, delle citochine, secrete anche dai linfociti helper, a loro volta stimolati dai macrofagi → quindi c’è una continua interazione fra i tipi cellulari: le citochine secrete da un tipo cellulare servono alla maturazione dell’altro, e viceversa.Questa interazione permette la modificazione del processo in diverse direzioni a seconda del tipo di citochine secrete dal linfocita, che riesce a modificare l’attività del macrofago; questa situazione viene definita polarizzazione del processo infiammatorio: è un processo in base al quale il macrofago può modificare le sue capacità di tipo fagocitario o secretivo in base al diverso stimolo che gli arriva dai linfociti T helper; polarizzazione perché il macrofago viene polarizzato,indirizzato alla risposta infiammatoria verso un tipo specifico di risposta macrofagica.Tornando al macrofago, esso appartiene al sistema monocito-macrofagico che può essere definito anche Sistema Reticolo-Endoteliale,anche se sempre meno si utilizza questa definizione; comprende oltre ai macrofagi (derivati dalla trasformazione dei monociti in seguito a migrazione sotto stimolo di un processo infiammatorio) cellule ad attività macrofagica residenti nell’organo a prescindere dal fatto che via sia in atto

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o meno un processo infiammatorio. Gli esempi più noti sono rappresentati dalle cellule di Kupffer nel fegato, dagli istiociti della milza, e dai macrofagi alveolari.

[figura 2-28 pag. 80 Robbins, ruolo dei macrofagi attivati nell’infiammazione cronica]

Nell’immagine è sintetizzato il processo di adesione e migrazione del monocita, che a livello tessutale si trasforma in macrofago; il macrofago, per azione delle citochine secrete dalle cellule T attivate, o in seguito alla presenza di fattori come endotossine, fibronectina o mediatori chimici (tra cui anche alcuni prodotti di attivazione della cascata coagulativa), si trasforma in macrofago attivato. Esso a sua volta può essere causa: del danno tessutale, mediante la sua attività tossica legata a:

- radicali dell’ossigeno- secrezione delle proteasi- fattori chemiotattici dei neutrofili- attivazione di fattori della coagulazione- metaboliti dell’acido arachidonico- ossido nitrico (NO)

della fibrosi, attraverso:- secrezione di fattori di crescita (PDGF, TGFβ, principalmente, e FGF)- secrezione di citochine fibrogeniche- fattori angiogenetici (FGF, VEGF)- Collagenogenesi “rimodellante”

Molte di queste attività sono legate alla funzione secretiva del macrofago, che predomina rispetto all’attività fagocitaria.

[figura 2-31 pag. 82 Robbins, interazione fra macrofago attivato e linfociti]

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Nell’immagine è schematizzata l’interazione fra linfociti e il macrofago attivato; il macrofago attivato è a sua volta in grado di attivare maggiormente i linfociti mediante la presentazione degli antigeni. Così il linfocita si attiva e può secernere altri fattori che amplificano la risposta infiammatoria; mediante l’interferone γ (IFN-γ) attiva il macrofago, il quale a sua volta riattiva linfociti è un processo che si autoalimenta. Quando non viene raggiunto un equilibrio, questo processo continua per un tempo indefinito determinando la flogosi di tipo cronico.

[figura 2-32 pag. 82 Robbins, focolaio di infiammazione con numerosi eosinofili]

In alcuni tipi di risposta infiammatoria cronica i granulociti eosinofili possono diventare il tipo cellulare predominante; si tratta spesso di reazioni croniche contro parassiti, o in alcuni casi di reazioni di tipo immunitario.

L’infiammazione granulomatosa, o granuloma.È un tipo particolare di risposta infiammatoria cronica molto frequente. Si ha quando il processo infiammatorio è circoscritto, e la circoscrizione è legata al fatto che l’agente lesivo dà una risposta infiammatoria in grado di organizzarsi nello spazio sottoforma di nodulo; il nodulo, che contiene il patogeno, i macrofagi, il tessuto necrotico (che si forma sia per l’azione dell’agente lesivo sia in seguito alla risposta infiammatoria), è chiamato granuloma.Il granuloma può esistere solo quando la risposta infiammatoria si può localizzare; il fatto che la risposta sia localizzata e che permetta la formazione di un granuloma, non significa che la malattia sia limitata nello spazio a un solo organo o tessuto. P.e. nel caso della tubercolosi (malattia infettiva) e della sarcoidosi (malattia autoimmune) la reazione porta la formazione di un granuloma, ma sono presenti numerosi granulomi che possono interessare diversi organi e diversi apparati; quello che viene circoscritto è l’evento lesivo in quel determinato punto, ma ciò non esclude che ci possano essere altri piccoli granulomi causati dallo stesso agente lesivo. A volte si fa l’errore,considerando il granuloma, di pensare che possa essere limitato ad un’unica manifestazione, perché spesso viene fatto l’esempio del granuloma da corpo estraneo: in questo caso il corpo estraneo è singolo, p.e. una scheggia che penetra nel derma, o un’altra sostanza non degradabile; avremo in questa situazione particolare la formazione di un solo granuloma (appunto detto “da corpo estraneo”).Il granuloma può avere una genesi immuno-mediata o NON immuno-mediata; anche nella formazione del granuloma quindi un ruolo importante può essere svolto dal sistema immunitario.

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Le definizioni date a inizio lezione devono soddisfare anche la situazione in cui la risposta infiammatoria sia caratterizzata dal granuloma.

Il granuloma può avere una genesi in cui non svolge nessun ruolo critico il sistema immunitario, ed è detta NON immuno-mediata. Un esempio tipico è il granuloma da corpo estraneo, in cui è presente un materiale inerte che non è in grado di stimolare il sistema immunitario, e d’altra parte non può essere eliminato dai macrofagi; esempi classici sono: talco, silice, asbesto.È la tipologia di granuloma più semplice. Pur persistendo l’agente lesivo, esso non è in grado di stimolare il sistema immunitario dunque non viene presentato come antigene dai macrofagi, e quindi non stimola l’attivazione dei linfociti.Il granuloma si organizza con al centro il corpo estraneo circondato dai macrofagi, e insieme a questi elementi spesso è presente del tessuto necrotico, che,con il perdurare dell’infiammazione cronica, verrà in parte eliminato, però nella maggior parte dei casi resterà comunque un nucleo centrale di tessuto necrotico. È assente l’infiltrato linfocitario, perché manca la risposta immunitaria; è presente invece la reazione fibrosa che viene ad isolare il granuloma dal tessuto circostante: il granuloma è sempre rivestito da una sorta di capsula fibrosa,che tende proprio a circoscriverlo e isolarlo dal tessuto circostante. Grazie a questo fenomeno il granuloma, raggiunta un’organizzazione stabile, permette di preservare il tessuto circostante dall’azione lesiva dei macrofagi, che causano danno tessutale.Sono presenti macrofagi giganti e forme sinciziali, legate alla fusione di più macrofagi, o meglio alla loro divisione senza cariocinesi (quindi ciclo replicativo incompleto), che hanno la caratteristica di avere scarsa attività secretoria, e spesso scarsa attività di tipo fagocitario; l’attività fagocitaria può variare a seconda dell’origine del granuloma non immuno-mediato.

La genesi immuno-mediata prevede la stimolazione del sistema immunitario → quindi attivazione di linfociti; gli esempi più classici sono: granuloma da infezione da Mycobacterium tubercolosis = legato ad agente infettivo a bassa tossicità

(anche l’infezione da Treponema pallidum dà infiammazione cronica); non necessariamente è legato ad un agente infettivo, può essere anche secondario a reazione

autoimmunitaria, come nella sarcoidosi, malattia in cui ha un ruolo notevole l’immunità, ed è caratterizzata dalla formazione di granulomi multipli, che a scopo diagnostico vengono ricercati a livello toracico(ilo polmonare e polmoni).

Sono i granulomi più frequenti, hanno una struttura complessa, e possono andare più frequentemente incontro a modificazioni nel corso dello stesso processo infiammatorio cronico.È legato al persistere di un agente lesivo che viene riconosciuto dal sistema immunitario come un antigene, quindi come un qualcosa che può essere eliminato grazie all’intervento del sistema immunitario, il quale agisce da “aiutante” per i macrofagi: i macrofagi esprimono in superficie l’antigene e lo presentano ai linfociti, essi a loro volta si attivano, determinando a seconda del tipo di stimolazione, un’attività immunitaria di tipo umorale o cellulo-mediata. Può essere causato sia da agenti infettivi che dal sistema immunitario. L’agente infettivo deve avere una scarsa tossicità, e spesso è in grado di sopravvivere alla fagocitosi e di mantenersi vivo; questo causa una continua stimolazione e l’impossibilità di eliminare l’antigene. È presente infiltrato linfocitario, sia in posizione centrale in stretta relazione con i macrofagi, sia sulla superficie esterna, creando una sorta di vallo, detto appunto vallo linfocitario.Abbiamo dunque un granuloma non solo costituito dai macrofagi, ma fortemente infiltrato di linfociti, che a loro volta creano una sorta di recinzione. I macrofagi presenti hanno scarsa attività fagocitaria, ma spiccata attività secretoria, e sono in grado di secernere fattori che provocano danno cellulare; sono spesso macrofagi giganti plurinucleati, definiti, quando formano sincizi, cellule di Langhans. Queste sono le cellule tipiche del granuloma, di grandi dimensioni, hanno i nuclei organizzati in periferia, e ciò le distingue dai macrofagi che si ritrovano nel granuloma non immuno-mediato, che hanno invece un nucleo disperso nel citoplasma.

[figura 2-33 pag. 83 Robbins: tipico granuloma tubercolare]

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Il granuloma tubercolare è un esempio, in un preparato si possono vedere le cellule di Langhans, l’infiltrato linfocitario rappresentato dalle piccole cellule rotondeggianti con nucleo molto scuro, e materiale necrotico; si osserva la coesistenza di necrosi e fibrosi. La fibrosi rappresenta il tentativo di riparo dei tessuti con formazione di cicatrice. Le cellule di Langhans hanno una spiccata attività di tipo secretivo, e secernono le citochine responsabili del reclutamento dei T helper, infatti nel granuloma immuno-mediato c’è una forte infiltrazione linfocitaria. Anche in questo caso è presente una capsula fibrosa, al centro sarà presente la parte necrotica.

A volte il tipo di necrosi e il tipo di materiale presente all’interno del granuloma ci permette di caratterizzarlo; ad esempio la necrosi di tipo caseoso è tipica del granuloma tubercolare,e ci permette di identificarlo; un'altra manifestazione tipica è la presenza delle gomme luetiche della sifilide.

Fibrosi.È un processo riparativo dei tessuti; si ha la persistenza dello stimolo che ha causato il danno, quindi avviene in un quadro di infiammazione cronica. Perché il processo della fibrosi avvenga è necessaria l’attivazione dei macrofagi e dei linfociti, perché secernono,dopo attivazione, fattori necessari per la secrezione del collagene:vengono secreti fattori di crescita, quali PDGF, FGF, TGFβ, che portano alla proliferazione dei fibroblasti, ovvero le cellule principali nella risposta di tipo fibrotico che secernono collagene, e alla proliferazione delle cellule endoteliali che determinano le neo-angiogenesi fondamentale per l’irrorazione del tessuto; vi sono anche cellule fibrogeniche specializzate che cambieranno a seconda del tessuto preso in considerazione.Nell’insieme la proliferazione di queste cellule, secondarie ai fattori di crescita, causerà l’aumento della sintesi del collageno, che avverrà per stimolazione da parte delle citochine (soprattutto TNF, IL-1, IL-4 e IL-13) su queste cellule.Quindi l’attivazione di macrofagi e linfociti ha una duplice azione:1)aumenta il numero delle cellule tipiche della risposta fibroblastica, e le attiva nel senso della sintesi del

collageno;2) la fibrosi è un processo dinamico, con un equilibrio fra deposizione di collagene, e rimodellamento per

riassorbimento; basterebbe aumentare la sintesi e mantenere stabile la degradazione per avere fibrosi. Nell’infiammazione cronica si ha l’aumento della sintesi e l’inibizione della degradazione per azione sulle metallo-proteinasi, enzimi che scindono il collagene.

Quindi il processo fibrotico è strettamente connesso all’infiammazione cronica. Si attiva insieme al processo cronico, però la sua manifestazione richiede tempo perché è necessario il rimodellamento, ed è necessario che l’equilibrio tra aumento della sintesi e riduzione della degradazione permanga per un tempo sufficiente a rendere stabile quel collagene, e quindi trasformare la deposizione iniziale di tessuto collagene (che poteva essere facilmente eliminata) in tessuto fibroso; il tessuto fibroso potrà subire poi rimodellamento, ma solo se si interromperà lo stimolo infiammatorio; per questo è richiesto molto tempo, anche alcuni anni.La fibrosi quindi è un tentativo di riparazione, p.e. cerca anche di delimitare il granuloma per limitare il danno, e rappresenta una delle possibili evoluzioni del processo infiammatorio cronico.Un processo infiammatorio cronico, risolto magari tramite terapia, difficilmente porterà alla restituzione del tessuto originale; spesso porterà a spegnimento dell’infiammazione cronica precedentemente attiva, ma risiederà in quello stesso punto un deposito fibroso,una cicatrice.

Rigenerazione & Riparo.

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Introduciamo ora questo argomento perché abbiamo appena parlato di fibrosi come tentativo di riparo nel processo infiammatorio cronico.In seguito a un danno, l’organismo cerca di mettere in atto delle risposte di tipo riparativo, però questo tipo di risposta è limitato come numero, si tratta infatti di soli tre processi: rigenerazione riparo fibrosiA prescindere dall’agente lesivo, il nostro organismo può attuare soltanto queste tre risposte; possono essere combinate tra di loro, infatti difficilmente si ha una riparazione pura, e un riparo prevede sempre un certo grado di fibrosi. A diversi stimoli il nostro organismo risponde, in termini di guarigione, con questi tre sistemi. Rigenerazione può essere definita come guarigione con recupero totale della struttura e della funzione

dell’organo/tessuto; quindi ricrescita del tessuto leso.

Riparo Guarigione con deposizione di collagene e formazione di una cicatrice Fibrosi

Il recupero della funzione può essere incompleto, perché la presenza della cicatrice può alterare la funzionalità dell’organo.Partiamo sempre da un danno,con risposta cellulare e vascolare, che può portare o ad una infiammazione acuta, o,se il danno persiste, ad una infiammazione cronica,la quale termina nella fibrosi. Se lo stimolo può essere rimosso, e abbiamo avuto solo morte di cellule parenchimali, si può avere rigenerazione con ritorno alla normalità (p.e. rigenerazione epatica, risoluzione di una polmonite lobare); oppure se il danno delle cellule parenchimali è associato a danno del tessuto stromale di sostegno, avremo una riparazione mediante formazione di una cicatrice e organizzazione dell’essudato.Vediamo un po’ i tre processi nel dettaglio.

Rigenerazione. È un termine che mal si applica alla guarigione delle lesioni nei mammiferi, perché dovrebbe indicare la ricrescita dell’organo dopo la sua asportazione totale o parziale; nell’uomo sono pochi i casi in cui si ha la rigenerazione, e possono essere limitati al fegato e al rene. In realtà si tratta non di una rigenerazione, ma di una ricrescita compensatoria, e per questo si avranno sempre delle differenze strutturali rispetto alla situazione originale; per cui dal punto di vista funzionale si può considerare rigenerazione, ma dal punto di vista strutturale ci saranno comunque i segni dell’avvenuto danno.Comunque, comunemente in ambito medico si intende per rigenerazione la ricrescita dell’organo per divisione delle cellule parenchimali e stromali, e porta al recupero del tessuto danneggiato, sia in termini strutturali che funzionali. Può avvenire ovviamente soltanto in quei tessuti in cui le cellule parenchimali sono in grado di dividersi, oppure dove è presente un comparto staminale p.e. a livello cutaneo: lo strato basale è in grado di replicare in modo attivo a prescindere dal danno; anche la mucosa agisce in questo senso (p.e. mucosa intestinale). Quindi danno → rigenerazione : tagliamo un pezzo dell’organo, e l’organo rimanente è in grado di espandersi e ricostituire la massa iniziale.

Riparo. L’organo non è in grado di rigenerare e si ha sommazione della cicatrice, che inizialmente riempie la perdita di sostanza, e favorisce poi la guarigione della ferita.Il riparo è un processo che porta alla guarigione per deposizione di collageno; è tipico delle ferite cutanee, cioè questo è l’esempio più comune, ma lo stesso processo avviene a carico degli organi interni e di tutti quegli organi in grado di rigenerare.È previsto un danno, che determina risposta infiammatoria acuta, che a sua volta prevede un infiltrato infiammatorio; questo è sempre presente perché dà il via al processo di riparo. Quando l’infiltrato viene sostituito da nuove cellule in attiva replicazione, da tessuto stromale di sostegno che si sta organizzando, e si ha la deposizione di collagene, la nuova struttura è definita: tessuto di granulazione quando si parla di cute processo di organizzazione della lesione quando si parla di organi interni.

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Uno dei dubbi che potrebbe venire è su cosa sia realmente il tessuto di granulazione; in realtà il tessuto di granulazione è un’invenzione didattica, serve a definire quell’insieme di cellule e di collagene che si trova al livello della ferita e che costituisce l’iniziale infiltrazione. Dunque in base a questa definizione esso è presente in qualunque ferita, ma viene definito “tessuto di granulazione” principalmente per le ferite cutanee; lo stesso processo è detto “organizzazione della lesione” negli altri organi.

Se noi abbiamo l’infiammazione cronica si arriva alla fibrosi, che è un tipo di riparo, purché si riesca a interrompere il processo infiammatorio.

Guarigione delle ferite cutanee.Si usa questo tipo di guarigione come esempio, ma gli stessi processi avvengono anche negli altri organi incapaci di rigenerare; possono cambiare i nomi, come abbiamo visto poco fa, p.e. il tessuto di granulazione diventa organizzazione della lesione, ma il concetto è identico.

Nel grafico possiamo visualizzare le varie fasi del processo di guarigione delle ferite [figura 3-20 pag. 111 Robbins].

I fase: l’infiammazione raggiunge un picco e poi si riduce. Insieme al processo infiammatorio inizia anche la sostituzione dell’infiltrato infiammatorio con il tessuto di granulazione (ricordiamo che è l’insieme di: cellule parenchimali che stanno replicando per sostituire quelle morte; cellule stromali che proliferano per ricostruire l’impalcatura di sostegno; deposizione di collagene).Nel tessuto di granulazione, siccome c’è stato un danno con attivazione del processo di coagulazione, troveremo fibrina,che è prodotto finale della coagulazione; essa, insieme alla deposizione di collageno, favorirà la retrazione dei margini della ferita,ossia il processo cercherà di avvicinare i margini. La ferita viene occupata da fibrina e collagene, dopodichè ci sarà una retrazione per ridurre al minimo lo spazio tra i due margini, mediante anche la deposizione di nuove cellule parenchimali. Il processo di contrazione serve a ridurre il più possibile la quantità di tessuto fibroso a favore di tessuto parenchimale.Se abbiamo a livello cutaneo una ferita profonda, avremo che sul fondo si deposita il tessuto di granulazione che cerca di riempire la lesione, e i margini della lesione cercano di avvicinarsi.Fase finale: l’accumulo del collagene rimodellerà, ed è per questo che le cicatrici non restano sempre uguali; dopo essersi formate (e soprattutto se sono cicatrici importanti) vanno incontro al processo di rimodellamento, tendono sempre più a contrarsi e a ridursi, e il collagene viene eliminato per ridurre al minimo le dimensioni della cicatrice. Quando il processo non va a buon fine si ha la formazione delle cicatrici ipertrofiche o cheloidee, dove il processo di fibrosi è eccessivo e non è finalizzato al recupero funzionale, anzi può determinare una ridotta funzionalità del tessuto/organo.Questo avviene nelle riparazioni delle ferite cutanee.

[figura 3-21 pag.112 Robbins, fasi della guarigione delle ferite]Le ferite possono guarire o per prima intenzione, o per seconda intenzione:

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I intenzione: si ha un rapido recupero dello strato basale proliferante con chiusura della ferita, e riorganizzazione del tessuto del derma con formazione di nuovi capillari, macrofagi, fibroblasti, e deposizione di tessuto connettivo, che andrà poi incontro a retrazione con chiusura della ferita.

II intenzione: avviene quando c’è una importante perdita di sostanza, e i margini della ferita sono distanti tra loro; è necessario non solo ricostituire lo strato basale, ma anche riempire una grossa zona. Quindi sarà ancora maggiore il ruolo del tessuto di granulazione, che dovrà riempire la lesione e pian piano,per maturazione, dovrà portare alla formazione di una cicatrice, la quale avrà dimensioni maggiori, dovrà andare incontro a contrazione e si modificherà nel tempo.

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