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1 L’evoluzione storica del diritto canonico e delle sue fonti giuridiche Introduzione. - 1. Una precisazione sul concetto di fonte del diritto canonico. - 2. Le fonti nel primo millennio. - 3. Da Graziano al Concilio di Trento. - 4. La codificazione del diritto della Chiesa. INTRODUZIONE La Chiesa, ordinamento giuridico primario, fin dalle sue origini ha prodotto un diritto proprio e nativo (ius proprium ac nativum) che l’ha resa indipendente rispetto a qualsiasi altro sistema giuridico. Lo scopo di questo capitolo è individuare le principali tappe che hanno segnato l’esperienza giuridica della Chiesa ed evidenziare le fonti del diritto canonico più rilevanti per la comprensione dello sviluppo storico della Societas Christi. La storiografia, a questo proposito, è solita utilizzare criteri di divisione temporale fra i più variegati. Alcuni, infatti, sostengono che lo sviluppo storico del diritto canonico si può suddividere in quattro grandi momenti. Il cosiddetto diritto antico (ius antiquum), corrispondente alle fonti del primo millennio della Chiesa; il periodo del diritto nuovo (ius novum), comprendente un arco temporale che va dall’opera del monaco Graziano al Concilio di Trento (1545-1563); il diritto nuovissimo (ius novissimum), periodo storico caratterizzato dalla produzione di norme giuridiche intrise di princìpi delineati dai Padri conciliari come risposta alle teorie luterane;

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L’evoluzione storica del diritto canonico e delle sue

fonti giuridiche

Introduzione. - 1. Una precisazione sul concetto di fonte del diritto canonico. - 2.

Le fonti nel primo millennio. - 3. Da Graziano al Concilio di Trento. - 4. La

codificazione del diritto della Chiesa.

INTRODUZIONE

La Chiesa, ordinamento giuridico primario, fin dalle sue origini ha

prodotto un diritto proprio e nativo (ius proprium ac nativum) che l’ha

resa indipendente rispetto a qualsiasi altro sistema giuridico. Lo scopo di

questo capitolo è individuare le principali tappe che hanno segnato

l’esperienza giuridica della Chiesa ed evidenziare le fonti del diritto

canonico più rilevanti per la comprensione dello sviluppo storico della

Societas Christi.

La storiografia, a questo proposito, è solita utilizzare criteri di divisione

temporale fra i più variegati. Alcuni, infatti, sostengono che lo sviluppo

storico del diritto canonico si può suddividere in quattro grandi momenti.

Il cosiddetto diritto antico (ius antiquum), corrispondente alle fonti del

primo millennio della Chiesa; il periodo del diritto nuovo (ius novum),

comprendente un arco temporale che va dall’opera del monaco Graziano

al Concilio di Trento (1545-1563); il diritto nuovissimo (ius novissimum),

periodo storico caratterizzato dalla produzione di norme giuridiche intrise

di princìpi delineati dai Padri conciliari come risposta alle teorie luterane;

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l’epoca delle grandi codificazioni del diritto della Chiesa (ius

codificatum): dal primo Codice di diritto canonico per la Chiesa latina

promulgato da Benedetto XV nel 1917, abrogato con l’entrata in vigore

del vigente codice emanato da Giovanni Paolo II nel 1983, al Codice dei

Canoni delle Chiese Orientali del 1990 (FERME 29-30; ERDÖ 14-16;

STICKLER 6-7). Altri autori, invece, tracciano l’evoluzione storica del

diritto della Chiesa sulla base dei sistemi del diritto canonico (SASTRE

SANTOS) oppure pongono in rilievo i momenti di svolta: la genesi e i

primi sviluppi del diritto della Chiesa durante il primo millennio; la

sistemazione del diritto canonico nel momento della cosiddetta

edificazione del diritto canonico classico; la codificazione del diritto

canonico (GROSSI 2011, 6 ed., 109-123, 203-222; GROSSI 2011, 7 ed., 33-

36, 55-56, 213-216).

1. UNA PRECISAZIONE SUL CONCETTO DI FONTE DEL DIRITTO CANONICO

Prima di addentrarci nell’analisi dei periodi storici che hanno

caratterizzato l’evoluzione del diritto prodotto dalla Chiesa, è necessario

chiarire alcuni concetti che agli occhi di giuristi in formazione potrebbero

risultare fuorvianti. In particolare, nell’introduzione si fa riferimento al

concetto di fonte del diritto canonico. Che cosa s’intende con

l’espressione ‘fonte del diritto’ nell’ordinamento giuridico canonico? La

nozione potrebbe non essere ben compresa perché nei corsi di diritto

costituzionale s’impara, a ragione, che le fonti giuridiche degli

ordinamenti civili sono tutte prodotte dall’uomo – principalmente dalla

politica – e al loro vertice hanno una normativa costituzionale.

Questo ragionamento non vale per l’ordinamento giuridico canonico

all’interno del quale le fonti di rango più elevato sono riconducibili a

norme di Diritto divino (Ius divinum) desumibili dalla Sacra Scrittura e

Fonte del diritto e ordinamento canonico

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dalla Sacra Tradizione. Da queste, e mai contraddicendole, derivano le

norme prodotte dagli organi legislativi ecclesiastici (Ius humanum).

Proviamo a esemplificare il discorso mediante un ausilio grafico.

NATURALE

IUS DIVINUM

POSITIVUM

IUS CANONICUM

IUS HUMANUM (aequitas canonica)

Dallo schema sopra rappresentato si può osservare che le due grandi

partizioni del diritto canonico sono il Diritto divino (Ius divinum) e il

Diritto umano (Ius humanum). Il Diritto divino può essere qualificato

come una sorta di ‘Diritto costituzionale della Chiesa’ del quale Dio

stesso è il legislatore e che a sua volta si manifesta nel Diritto divino

naturale (Ius divinum naturale) e nel Diritto divino positivo (Ius divinum

positivum). Il primo è un diritto non codificato, inscritto da Dio nel cuore

dell’uomo (ad es., che un uomo non uccida un altro uomo); il secondo è

un diritto scritto (ius scriptum). Il Diritto divino positivo è il frutto della

Rivelazione divina e trova la sua fonte principale nella Sacra Scrittura,

nella Tradizione e, sulla base del principio dell’infallibilità del magistero

pontificio, nel Romano Pontefice (cfr. can. 749 CIC 1983; can. 595

CCEO). Il Diritto umano (Ius humanum), invece, è il diritto prodotto dalla

Chiesa ed ha la caratteristica di essere dominato dall’equità (aequitas

canonica). Mentre il Diritto canonico divino, infatti, è immutabile e

immodificabile, il Diritto canonico umano è contrassegnato dal carattere

dell’elasticità, nel senso che la regola giuridica generale deve potersi

plasmare e adattare alla singola situazione soggettiva per favorire il

raggiungimento della salvezza eterna delle anime (salus aeterna

animarum), fine ultimo della Chiesa (GROSSI 2011, 7 ed., 35).

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Tutto ciò premesso sul concetto di fonte nell’ordinamento giuridico

canonico, è dato osservare che esistono due grandi tipologie di fonti

giuridiche: le fonti genetiche, qualificabili come fattori sociali produttori

di diritto (ad es. il legislatore e, per la produzione di norme di tipo

consuetudinario, la comunità), e le fonti gnoseologiche, intese come

prodotti scientifici che ci permettono di conoscere il contenuto della

norma. All’interno di quest’ultimo tipo di fonti si distinguono, ancora, le

fonti primarie, che riportano direttamente il contenuto della norma (per es.

canoni, leggi, decreti, costituzioni, lettere apostoliche, motu proprio), dalle

fonti secondarie che permettono di conoscere il contenuto della norma in

modo indiretto mediante documenti che ne forniscono notizia (per es. atti

processuali, documenti amministrativi) (FERME 25-26).

Le fonti del diritto canonico, inserite per lo più in opere unitarie chiamate

collezioni, possono essere suddivise secondo molteplici criteri. In base al

legislatore possiamo trovare collezioni di diritto divino (composte da

norme di tipo giuridico rinvenibili nella Sacra Scrittura) e collezioni di

diritto ecclesiastico (decretali, canoni conciliari, nomocanoni, concordati).

In base al grado di estensione della norma, a seconda che si consideri

l’aspetto territoriale o personale, abbiamo, rispettivamente, collezioni di

diritto particolare e universale oppure collezioni generali e speciali. In

base al criterio della cosiddetta genuinità storica si possono riscontrare

collezioni genuine o collezioni false (per il contenuto o per l’autore). In

base al modus operandi dell’autore della collezione si possono distinguere

le collezioni cronologiche (che riportano le fonti secondo un criterio

temporale) da quelle sistematiche (che invece seguono una composizione

per materia). In base all’autorità giuridica si possono avere collezioni

private (prodotte da privati e non promulgate dall’autorità ecclesiastica),

collezioni autentiche (promulgate o approvate dall’autorità ecclesiastica),

collezioni usu receptae (private ma recepite dalla prassi amministrativa

Le collezioni del diritto canonico

Le tipologie di fonti giuridiche

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e/o giudiziaria). In base al criterio della periodizzazione storica, infine, è

possibile individuare l’epoca del diritto canonico precedente a Graziano

(secc. I-XII), del diritto canonico classico (1140-1563), del diritto

canonico postridentino (1563-1869), delle grandi codificazioni del diritto

della Chiesa latina (1917 e 1983) e orientale (1990) (FERME 26-30;

STICKLER 4-8).

2. LE FONTI NEL PRIMO MILLENNIO

Compiute le necessarie precisazioni sul concetto di fonte del diritto

nell’ordinamento canonico, siamo ora in grado di ripercorrere le tappe

cronologiche dello sviluppo del diritto della Chiesa (ius Ecclesiae). Fin

dalle prime comunità cristiane il dato caratteristico è una forte e convinta

scelta della Chiesa per il diritto. Che cosa significa questa espressione? La

Chiesa fin dal suo sorgere, anche quando era considerata societas illicita

da parte dell’Impero romano, ha sempre voluto produrre un proprio diritto

che le conferisse assoluta tipicità ed unicità, un diritto congeniale

all’essere un ordinamento giuridico avente un fine ultimo diverso da

qualsiasi altro: la salvezza eterna delle anime (salus aeterna animarum).

In questo modo anche la volontà di produrre diritto non rispondeva solo

all’esigenza di creare norme giuridiche per la tutela dell’ordine pubblico,

come accade negli ordinamenti civili, ma ad una ponderata scelta di

ordine antropologico che fa ricondurre la produzione del diritto non a

scopi temporali ma al raggiungimento della stessa salvezza eterna

(GROSSI 2011, 7 ed., 33-34).

Durante il primo millennio la creazione del diritto da parte della Chiesa si

è potuta sviluppare in modo piuttosto costante grazie ad alcuni eventi

storici che segnano la cosiddetta ‘libertà della cristianità’. Facciamo

riferimento, in primo luogo, all’Editto di Licinio e Costantino (313 d.C.)

La scelta della Chiesa per il diritto

La ‘libertà della cristianità’

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che consentì a tutti i sudditi dell’Impero romano di professare liberamente

la propria religione abrogando, in pari tempo, le disposizioni persecutorie

nei confronti dei cristiani. In secondo luogo al Concilio di Nicea (325

d.C.), nel quale fu precisato il testo della professione di fede cristiana

(sostanzialmente immutato fino ad oggi). Infine, degno di nota è l’Editto

Cunctos populos (380 d.C.), dell’imperatore Teodosio I, per mezzo del

quale il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero romano.

Dopo questi eventi si assiste ad una compenetrazione, almeno iniziale, fra

il diritto romano e il nascente diritto canonico. Da una parte il diritto

canonico ha recepito le categorie giuridiche del diritto romano e le ha

utilizzate per la costruzione del proprio diritto e dall’altra il diritto

romano, o meglio le autorità legislative civili del mondo romano, hanno

prodotto leggi che sono state successivamente recuperate dal diritto

canonico (per es. il Codex Theodosianus, promulgato nel 438 d.C.

dall’imperatore Teodosio II, e il Corpus Iuris Civilis, promulgato fra il

528 e il 533 d.C. dall’imperatore bizantino Giustiniano).

Nei primi secoli il diritto canonico era prevalentemente consuetudinario

(ius consuetudinarium) e si fondava su norme giuridiche e comportamenti

che le comunità cristiane si tramandavano oralmente (ius non scriptum).

Al fine di dotare queste norme di maggiore vincolatività esse venivano

trasmesse come se fossero state date direttamente dagli Apostoli e a questi

da Cristo stesso. Si tratta delle Collezioni pseudo-apostoliche che hanno

caratterizzato lo sviluppo delle fonti del diritto canonico principalmente

nei primi tre secoli (ad es. la Didaché, la Traditio apostolica, la

Didascalia apostolorum, i Canones apostolici, i Canones ecclesiastici

Sanctorum Apostolorum, il Testamentum Domini nostri Iesu Christi)

(FERME 45-56; ERDÖ 17-30; FANTAPPIÈ 2011, 39-40).

Con le invasioni barbariche del quinto secolo e la conseguente caduta

dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.) si spezzò per sempre l’unità

Le Collezioni pseudo apostoliche

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dell’Impero e le popolazioni germaniche si trovarono a dover convivere

non solo con il popolo romano conquistato ma anche con la chiesa locale

che dal IV secolo, in modo particolare dopo il 313 d.C., stava

consolidando una propria struttura. Le differenze culturali e sociali dei

popoli conquistatori fra loro (Unni, Visigoti, Burgundi) e, ancora di più,

con il mondo romano determinarono altrettante differenze giuridiche fra i

diversi regni romano-germanici con un conseguente imbarbarimento del

diritto romano inserito nelle cosiddette leggi romano-barbariche (Lex

Romana Wisigothorum, Lex Romana Burgundionum, Edictum Theodorici)

(ERDÖ 41-42). Il diritto germanico, però, non determinò solo una

volgarizzazione del diritto romano ma influenzò in modo notevole anche

l’organizzazione della Chiesa (si pensi, ad esempio, alla cosidetta Chiesa

privata o propria, in tedesco Eigenkirche, la cui caratteristica principale

consiste nell’essere fondata da un privato o da una corporazione) e la

produzione delle sue fonti giuridiche (FERME 77-78; FANTAPPIÈ 2011, 72-

77).

Le collezioni del diritto canonico di questo periodo (VI-VIII secolo) sono

caratterizzate dal particolarismo geografico e sono suddivise in base ad un

criterio territoriale (collezioni bizantine, collezioni africane, collezioni

italiane, collezioni della Spagna visigotica, collezioni della Gallia

merovingica, collezioni insulari, libri penitenziali) (FERME 79-105; ERDÖ

44-60). Ciascuna di esse risente dell’influenza del regno barbarico di

riferimento e, in modo particolare, del rapporto che ciascun regno instaurò

con la chiesa locale: si passa da una buona produzione di collezioni di

diritto canonico nel Regno visigoto di Toledo (ad es. la Collectio

Hispana), favorita dalla conversione di re Recaredo al cattolicesimo nel

589 d.C., a una quasi totale assenza di produzione di fonti canoniche nel

territorio africano a causa delle persecuzioni dei Vandali e del successivo

sfruttamento economico-territoriale bizantino.

Le Collezioni dell’Alto Medioevo

Le invasioni barbariche del V secolo

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Fonti del diritto particolarmente importanti di questo periodo sono i Libri

penitenziali (Paenitentiale Columbani, Paenitentiale Cummeani,

Paenitentiale Bedae). La novità del sistema della paenitentia taxata

consiste nella sostituzione della penitenza pubblica, già in crisi nella

Chiesa latina per la sua rigidità e per i suoi problemi applicativi, con una

forma di penitenza comminata privatamente dal confessore al penitente

(GAUDEMET 307-309; ERDÖ 60-69). In ogni caso, il dato maggiormente

caratteristico di queste fonti del diritto è rappresentato dal loro valore

culturale. Infatti, di fronte al diritto laico coevo che conosceva la

composizione pecuniaria come unico progresso rispetto alla faida e ben

poco badava all’intenzionalità (caratteristica fondamentale nei

penitenziali), queste norme pur nella loro ingenuità, per cui talora un

peccato era punito con sanzioni qualitativamente e quantitativamente

diversissime per tempi e luoghi (digiuni, preghiere al freddo nel cuore

della notte, assunzione di sola acqua o cibi punitivi), rappresentano un

interessante modello alternativo rispetto agli ordinamenti giuridici civili

(MUSSELLI 30-32).

L’evoluzione del diritto canonico del primo millennio ha una sua tappa

importante nella Riforma carolingia. Il 25 dicembre dell’800 d.C. Papa

Leone III incoronò Carlo Magno e in un certo qual modo si determinò la

reviviscenza dell’Impero romano, il Sacro Romano Impero che vedrà la

persona dell’imperatore e del papa sostenersi reciprocamente per creare

un diritto canonico universale. Le collezioni di questo periodo sono

l’espressione di questo connubio fra l’autorità imperiale e quella spirituale

e spesso, ad esempio la Collectio Dionysio-Hadriana (774 d.C.), sono

dedicate dal papa all’imperatore (FERME 120-125; ERDÖ 76-78).

All’interno della Riforma carolingia altre due importanti fonti del diritto

canonico sono i Capitolari (Capitularia) e le cosiddette False collezioni. I

primi (per es. i Capitularia Ansegisii dell’827 d.C.) sono collezioni di

norme giuridiche emanate da un organo legislativo misto, formato da

La Riforma carolingia

I Capitularia

I Libri penitenziali

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nobili laici ed ecclesiastici, e contenenti norme di diritto canonico

(Capitularia ecclesiastica) e norme di diritto civile (Capitularia

mundana). Le False collezioni dell’epoca carolingia (Collectio Pseudo-

Isidoriana, 847-852 d.C.), a differenza delle già menzionate Collezioni

pseudo-apostoliche, sono collezioni di norme canoniche per la cui

compilazione l’autore compie una vera e propria opera di falsificazione

(per es. l’interpolazione, consistente nella manomissione di determinati

passi di un documento autentico). La loro redazione fu la conseguenza

dell’idea sviluppatasi principalmente verso la fine del Regno dei Franchi

secondo cui le norme del diritto canonico, per poter essere considerate

vincolanti, avrebbero dovuto essere promulgate da un’autorità

ecclesiastica avente poteri legisativi (FERME 130-143).

L’ultimo periodo che segna il primo millennio delle fonti giuridiche

dell’ordinamento canonico è quello della Riforma imperiale e della

strettamente connessa Riforma Gregoriana della Chiesa. Con l’espressione

Riforma imperiale si vuole fare riferimento ad un periodo storico (metà XI

secolo) nel quale l’imperatore (specialmente Enrico III, 1039-1056) aveva

l’obiettivo di controllare la Chiesa (FANTAPPIÈ 2011, 87-88; FERME 147-

153). Questo progetto in realtà provocò l’effetto contrario dal punto di

vista della produzione delle fonti del diritto canonico perché le collezioni

successive, soprattutto dal pontificato di Gregorio VII (dal quale prende

nome la Riforma conclusasi nel 1122 con il Concordato di Worms),

ebbero lo scopo di evidenziare l’autonomia della Chiesa dall’imperatore e

di sottolineare l’assoluta libertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) rispetto

ai poteri laici (FANTAPPIÈ 2011, 89-101). Le collezioni canoniche di

questo periodo furono uno strumento della Riforma (ad es. il Dictatus

Papae del 1075) e mirarono alla moralizzazione del clero,

all’estromissione dell’imperatore nelle nomine episcopali e, infine, alla

concettualizzazione del principio della teocrazia pontificia (autorità

Le False collezioni di epoca carolingia

La Riforma imperiale e Gregoriana

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assoluta del pontefice per meglio garantire una riorganizzazione

ecclesiastica in senso centralistico) (FERME 166-169).

3. DA GRAZIANO AL CONCILIO DI TRENTO

Durante il primo millennio, come abbiamo potuto brevemente osservare,

la Chiesa ha prodotto innumerevoli fonti giuridiche che se da una parte

dimostrano la grande effervescenza dell’ordinamento giuridico canonico,

dall’altra hanno comportato una moltiplicazione di norme molto spesso in

contraddizione l’una con l’altra. Per questo motivo, a cavallo fra i secoli

XI e XII è possibile scorgere dei tentativi di armonizzazione delle norme

giuridiche discordanti da parte di canonisti quali Ivo di Chartres, Algero di

Liegi e Pietro Abelardo. Il vescovo di Chartres si occupò del problema dei

canoni discordanti nel prologo della sua opera dal titolo Panormia (1094-

1096), all’interno della quale delineò i princìpi fondamentali della

conciliazione fra testi in contrasto partendo dal presupposto che i testi

normativi avrebbero potuto anche essere diversi fra loro ma non

necessariamente in opposizione (diversi, sed non adversi) (ERDÖ 98-100;

FERME 184-189).

Il canonico della città di Liegi, invece, riprendendo il principio esposto da

Ivo, nell’opera De misericordia et iustitia (1095-1121) indicò il criterio da

utilizzare per l’armonizzazione dei canoni discordanti: la distinzione fra

iustitia (legge in senso stretto) e misericordia (dispensa). Inoltre, molto

spesso Algero accompagnò le norme giuridiche da lui indicate con brevi

commenti autografi. In questo modo è possibile individuare quel metodo

che sarà attribuito a Graziano ma che trova in questo canonista belga le

prime tracce: la distinzione, cioè, fra la norma giuridica inserita nel testo

(auctoritas) e il commento dell’autore (dictum) (ERDÖ 101-102). Pietro

Abelardo, infine, nel Sic et Non (1115-1117) riunì le regole per

I precursori del metodo grazianeo

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l’armonizzazione dei testi contrastanti e da queste ricava un prontuario per

la soluzione di questioni giuridiche pratiche (ERDÖ 102-103).

Se la fine del primo millennio si caratterizza per alcuni tentativi di

armonizzazione di norme giuridiche canoniche in contrasto fra loro, il

proseguio s’indirizza verso una vera e propria sistemazione delle fonti del

diritto canonico (in modo particolare le decretali pontificie che

sostituiscono i canoni conciliari dei primi secoli) in un arco temporale che

la storiografia definisce epoca del diritto canonico classico (GROSSI 2011,

7 ed., 55-56) o della formazione del Corpus iuris canonici (FERME 29). Il

merito di aver compiuto un’operazione organica in tal senso è senz’altro

attribuibile al monaco Graziano e alla sua opera Concordia discordantium

canonum, chiamata anche Decretum Gratiani e dalla maggior parte della

dottrina collocabile cronologicamente, almeno la sua seconda versione più

ampia rispetto alla prima, intorno al 1140 (ERDÖ 106-108).

L’Europa medievale nella quale vive e opera Graziano era caratterizzata

da una parte da una conoscenza frammentaria e parziale del diritto

romano, inserito nelle cosiddette leggi romano-barbariche e che solo dopo

Irnerio (1050-1125) sarà studiato con metodo scientifico. Dall’altra da uno

spostamento dell’offerta d’istruzione dal monastero ai centri urbani con la

conseguenza che l’istruzione non era più appannaggio delle famiglie

nobili ma era richiesta anche dal nascente ceto borghese operante nelle

città e in modo particolare dal mercante, soggetto caratterizzante la società

medievale del secondo millennio.

In questo clima socio-culturale e scientifico Graziano si pone l’obiettivo

di armonizzare, o meglio concordare, le norme canoniche (canoni) fra loro

discordanti (Concordia discordantium canonum significa, infatti,

concordia dei canoni discordanti) non accontentandosi, però, di

raccogliere e ordinare fonti del diritto ma stabilendo volontariamente

Graziano e la Concordia discordantium canonum

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alcune questioni giuridiche per risolverle mediante l’aiuto delle fonti

(auctoritates) e di suoi commenti personali (dicta) (ERDÖ 108-109).

L’importanza del Decreto di Graziano, comunque, non è riscontrabile

tanto nel metodo operativo, i cui tratti essenziali già si trovano nell’opera

di Algero di Liegi, quanto nella sua diffusione come manuale di studio nei

centri universitari più importanti (Bologna, Parigi, Oxford, Colonia) e

nella conseguente nascita di un filone di studio scientifico e accademico,

la Scuola decretistica, che aveva nell’opera di Graziano il principale

oggetto di studio.

Oltre all’opera di Graziano studiata e proposta dai Decretisti, l’attività

legislativa dei Romani pontefici (per mezzo delle lettere decretali)

divenne sempre più abbondante e questo determinò la fioritura di

importanti collezioni canoniche composte da decretali pontificie. Si pensi,

ad esempio, alla Collectio Parisiensis secunda (1179 ca.) e alle Quinque

compilationes antiquae, un gruppo di cinque collezioni di diritto canonico

contenenti le decretali pontificie del periodo compreso fra il 1187 e il

1226 (ERDÖ 115-119). Le collezioni di decretali pontificie, insieme al

Decreto di Graziano, divennero il materiale di studio dei centri

universitari italiani ed europei più importanti. Al tempo stesso, tutto

questo materiale provocò non poche difficoltà pratiche perché per la

soluzione di una questione giuridica si doveva consultare sia la Concordia

grazianea sia ciascuna delle collezioni di decretali.

A motivo di ciò, Papa Gregorio IX (1227-1241) nel 1234 promulgò una

nuova collezione di decretali pontificie contenente tutto il diritto canonico

(Liber extra o Collectio decretalium Gregorii IX) per la cui compilazione

incaricò il canonista San Raimondo da Peñafort (1175-1275). A

dimostrazione dello stretto collegamento esistente fra l’attività legislativa

pontificia e il mondo accademico, la collezione fu inviata ai più importanti

centri universitari italiani ed europei. Proprio per evitare le difficoltà

Le Collezioni di decretali pontificie

La Collectio decretalium Gregorii IX

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derivanti da una faticosa consultazione contemporanea del Decretum

Gratiani e delle Quinque compilationes antiquae, il Papa nel documento

di promulgazione stabilì che essa sarebbe stata ufficiale (mediante la

promulgazione ogni norma acquisiva valore di legge pontificia),

universale (tutte le norme, anche quelle originariamente di diritto

particolare, poiché inserite nella collezione acquistavano valore di legge

universale), unitaria (nessuna norma derogava un’altra per il solo fatto di

essere cronologicamente successiva), esclusiva (era consentito solo

l’utilizzo di questa collezione, oltre al Decretum Gratiani, per lo studio

del diritto canonico) (ERDÖ 120-123).

Le decretali pontificie continuarono a fiorire anche dopo l’opera di

Gregorio IX e fra i pontefici successivi il primo a raccogliere l’esigenza di

mettere ordine nel grande numero di decretali promulgate dopo il 1234 fu

Bonifacio VIII (1294-1303). Egli incaricò un gruppo di giuristi

(Guglielmo da Mandagoto, Berengario Fredoli e Riccardo Petronio da

Siena) di produrre una nuova collezione di decretali (Liber sextus) che

promulgò con autorità pontificia nel 1298. Anche l’opera di Bonifacio

VIII, proprio come quella di Gregorio IX, era ufficiale, universale,

unitaria, esclusiva e fu inviata alle più importanti università (ERDÖ 125-

126).

Con lo stesso intento, Papa Clemente V (1305-1314) dispose la

compilazione di una nuova collezione di decretali (Clementinae)

promulgata nel 1317 dal suo successore Giovanni XXII (1316-1334). La

particolarità di questa collezione consiste nel fatto che a differenza delle

precedenti non è esclusiva. Ciò perché il Papa non volle né abrogare

numerosi documenti, in modo particolare quelli che richiamavano

l’attenzione sul primato del Papa (come la Bolla Unam Sanctam del

1302), né inserirli direttamente nella sua collezione (ERDÖ 126-127).

Il Liber sextus

Le Clementinae

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Oltre al Decretum di Graziano, al Liber extra di Gregorio IX e al Liber

sextus di Bonifacio VIII, anche altre due collezioni private (Extravagantes

Iohannis XXII ed Extravagantes communes) fanno parte del monumento

giuridico delle fonti del diritto canonico nell’epoca classica, il Corpus

iuris canonici, la cui prima edizione vedrà la luce nel 1500-1503 per opera

del canonista francese Jean Chappuis (ERDÖ 127-128). Sul termine

corpus, impiegato nel titolo dell’opera, è dato osservare che nel

documento pontificio che approvò l’edizione romana del 1582 esso era

usato per indicare il complessivo diritto universale della Chiesa.

Dall’edizione lionese del 1671, invece, l’espressione corpus iuris canonici

fu adoperata in senso puramente tecnico per indicare esclusivamente

l’insieme delle collezioni canoniche in esso contenute (Decretum

Gratiani, Liber extra, Liber sextus, Clementinae, Extravagantes Iohannis

XXII, Extravagantes communes) (ERDÖ 129).

Il Concilio di Trento (1545-1563), risposta della Chiesa alla Riforma

protestante, determinò un cambiamento sostanziale nella produzione del

diritto canonico. Comincia un periodo storico che si svolge in un arco

temporale compreso fra la conclusione dello stesso Concilio e l’inizio del

processo di codificazione del diritto della Chiesa, il Concilio Vaticano I

(1869-1870) (ERDÖ 137-149; FANTAPPIÈ 2011, 163-230; STICKLER 277-

370). L’Assise tridentina, per favorire al tempo stesso la tutela e la

diffusione della retta ortodossia cattolica, stabilì un accentramento dei

poteri nel papato e nella Curia romana (mediante l’incremento dell’attività

legislativa dei suoi dicasteri quali Congregazioni, Uffici e Tribunali) che

provocò notevoli conseguenze sulla produzione di collezioni canoniche

(GROSSI 2013, 9 ed., 213). Le più importanti fonti del diritto di questo

periodo saranno, infatti, i Bullari (la bulla è un documento pontificio),

come ad esempio il Magnum Bullarium Romanum (1733-1762), e le

collezioni di documenti degli organismi della Curia romana (ERDÖ 142).

Fra questi meritano di essere ricordati, ad esempio, l’Indice dei Libri

Il Corpus iuris canonici

Il diritto postridentino

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proibiti (Index librorum prohibitorum), i Decreti della Sacra

Congregazione dei Riti (Decreta authentica Congregationis Sacrorum

Rituum), le Decisioni della Sacra Rota Romana (Sacrae Romanae Rotae

decisiones recentiores) e della Segnatura Apostolica (Decisiones Supremi

Tribunalis Signaturae Iustitiae) (STICKLER 318-370).

4. LA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO DELLA CHIESA

Durante il Concilio Vaticano I (1869-1870) emerse da più parti la

necessità di un riordinamento delle fonti giuridiche moltiplicatesi dopo il

Concilio di Trento (decreti conciliari, atti pontifici, documenti degli

organismi della Curia romana) a causa di un’incertezza e farraginosità nel

loro utilizzo. Se alcuni si limitavano a chiedere una revisione del Corpus

iuris canonici o una nuova collezione più uniforme e di più facile

consultazione, altri identificavano il rimedio nella redazione di un codice

di tipo moderno caratterizzato da brevità, chiarezza, sistematicità,

completezza (sul modello di codici europei quali il Code civil des

Français del 1804 e l’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch austriaco del

1811). La sospensione del Concilio con la Lettera apostolica Postquam

Dei munere del 20 ottobre 1870 e gli urgenti problemi di carattere politico

che la cosiddetta questione romana pose alla Santa Sede (si fa riferimento

all’attacco dell’esercito italiano allo Stato pontificio il 20 settembre 1870,

per completare l’unità d’Italia, con la breccia nei pressi di Porta Pia),

fecero sì che il tema della codificazione venisse accantonato.

In ogni caso, il dato storicamente acquisito è che l’Assise ecumenica

aveva imposto il tema della codificazione del diritto della Chiesa

all’attenzione degli studiosi dell’epoca. Alcuni sostennero

entusiasticamente il progetto e per dimostrarne la realizzabilità

s’impegnarono in tentativi privati di codificazione (Colomiatti, Pezzani,

Il Concilio Vaticano I e le istanze codificatorie

16

De Luise); altri sottolinearono la difficoltà di procedere ad una

codificazione del diritto della Chiesa mettendone in dubbio l’utilità e

l’opportunità (FANTAPPIÈ 2011, 259-262). Alla posizione della dottrina

dell’epoca corrisponde quella della Curia romana: da una parte i cardinali,

guidati dal Card. Gènnari, che sostenevano una riforma del diritto sul

modello delle codificazioni europee; dall’altra, quelli guidati dal Card.

Rampolla, che propendevano per un ammodernamento del Corpus iuris

canonici (FANTAPPIÈ 2008, II, 675). Nel pieno della disputa dottrinale e

curiale, Pio X con il Motu proprio Arduum Sane munus (19 marzo 1904)

si espresse a favore della riforma del diritto canonico mediante l’utilizzo

del codice. Il Codex iuris canonici, voluto, pensato e seguito nelle sue fasi

preparatorie da Pio X, fu però promulgato dal suo successore, Benedetto

XV, con la Costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia (27

maggio 1917) ed entrò in vigore il 19 maggio dell’anno successivo

(NACCI, Ephemerides iuris canonici, 87-101).

Il Codex iuris canonici, formato da cinque libri (Normae generales, De

personis, De rebus, De processibus, De delictis et poenis), si presentava,

secondo quanto emergeva dalla costituzione di promulgazione, come una

fonte del diritto autentica (mediante promulgazione pontificia), universale

(le norme si applicavano a tutti i soggetti della Chiesa latina) ed esclusiva

(si abrogavano tutte le disposizioni normative e le consuetudini contrarie

al codice). Sul carattere dell’esclusività è doveroso specificare che con il

Codice (che si compone di canoni e non di articoli) non furono abrogati le

norme sulla disciplina della Chiesa cattolica orientale (can. 1), le norme

liturgiche (can. 2), le convenzioni della Sede apostolica con le Nazioni

(can. 3) e, come si specificherà poco più sotto, il diritto precedente alla

codificazione (can. 6) (FANTAPPIÈ 2011, 269).

La caratteristica più importante del Codice di diritto canonico,

differenziandosi così da qualsiasi altra codificazione europea, è

Le caratteristiche del Codex del 1917

Il Codex iuris canonici del 1917

17

riconducibile al suo essere strumento per aiutare l’uomo al

raggiungimento dello stesso fine ultimo della Chiesa, la salvezza eterna

delle anime. Un esempio del carattere strumentale del codice è il

paragrafo 2 del can. 2214, che si allontana da quel legalismo e formalismo

tipico delle codificazioni statali per dare spazio ad una concezione

pastorale del diritto canonico che lo vede improntato al raggiungimento

della salus aeterna animarum (GROSSI 2013, 250).

Facendo propria l’esperienza giuridica precedente, il codice porterà in sé

ampie aperture nei confronti della fase pre-codiciale dimostrando di essere

un valido esempio, unico nel suo genere, di cultura giuridica. In che

modo? Riconoscendo nel can. 6, ad esempio, l’importanza della tradizione

giuridica precedente, il cosiddetto diritto antico (ius vetus), e dimostrando,

il legislatore canonico, una maggiore sensibilità rispetto a quello statuale,

che, al contrario, con il codice eliminò, in via generale, il patrimonio

giuridico preesistente (GROSSI 2013, 251). Ancora, in caso di lacuna della

legge (lacuna legis), nel can. 20 si previde la possibilità di utilizzare non

solo le forme d’interpretazione estensiva e analogica, ma anche i princìpi

generali del diritto, lo stile e la prassi della Curia romana e l’opinione

comune dei maestri.

Gli esempi di questi due canoni ci aiutano a delineare l’assoluta tipicità

della codificazione canonica; un codice che vuole essere formato da

norme chiare, generali e astratte ma che ha timore dei princìpi generali per

il fatto che essi potrebbero non garantire l’unicità del soggetto

dell’ordinamento canonico, ovvero il christifidelis alla ricerca della sua

salvezza eterna. Ecco che questi princìpi generali devono essere

costantemente commisurati con una fonte del diritto canonico che ne è

anche linfa vitale, l’equità canonica (aequitas canonica), la quale

costituisce lo strumento per evidenziare il particolare e fa risaltare il ruolo

L’apertura al ‘passato’ del Codex del 1917

18

della scienza giuridica, altra preziosa fonte del diritto ed erede del diritto

comune medievale (ius commune) (GROSSI 2011, 7 ed., 216).

Il Codice pio-benedettino (così chiamato perché voluto da Pio X e

promulgato da Benedetto XV) fu oggetto di revisione per volontà di Papa

Giovanni XXIII che durante un discorso nel 1959 ne annunciò il proposito

insieme a quello di convocare un concilio ecumenico, il Concilio Vaticano

II (1962-1965). La caratteristica principale del nuovo Codice consiste

nell’aver raccolto, e inserito nei suoi sette libri (De normis generalibus,

De christifidelibus, De Ecclesiae munere docendi, De Ecclesiae munere

sanctificandi, De bonis Ecclesiae temporalibus, De sanctionibus in

Ecclesia, De processibus), i princìpi ecclesiologici emersi nel Concilio fra

cui spicca, ad esempio, la concezione della Chiesa come Popolo di Dio; il

legame tra Chiesa univerale e Chiese particolari; l’abolizione del principio

della superiorità del rito latino sugli altri riti (praestantia); il

rafforzamento della posizione dell’episcopato (riequilibrando il rapporto

fra primato papale e collegialità dei Vescovi); l’affermazione del principio

della libertà religiosa (FANTAPPIÈ 2011, 286-294). Dopo sessantasei anni

di vigenza del codice pio-benedettino, il nuovo codice fu promulgato da

Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983 con la Costituzione apostolica

Sacrae Disciplinae Leges ed entrò in vigore il 17 novembre dello stesso

anno.

Il Codice di diritto canonico del 1983, come peraltro quello del 1917,

riguarda soltanto la Chiesa latina. Si tratta allora di vedere brevemente le

principali tappe che hanno portato le Chiese cattoliche orientali alla

formazione di un codice unitario (SALACHAS 45-54). La codificazione del

diritto canonico orientale trova le sue origini ancor prima della data che

molti testi indicano come momento iniziale del processo codificatorio

(Concilio Vaticano I, 1869-1870). Infatti, già l’anno precedente

all’indizione dell’Assise conciliare, in occasione del VI Congresso della

Il Codex iuris canonici del 1983

Un Codice per le Chiese cattoliche orientali

19

Commissione delle Missioni e Chiese orientali preparatoria al Concilio,

alcuni consultori espressero la necessità che la Chiesa orientale si dotasse

di un codice di diritto canonico autorevole, unitario ed in armonia con le

circostanze di tempo e di luogo. A questo evento se ne aggiunsero altri

due: l’incarico dato da Pio IX al benedettino Pitra, nel 1858, di raccogliere

i canoni e le fonti orientali in un’opera completa ed organica (Iuris

ecclesiastici graecorum historia et monumenta, 1864-1868) e la

manifestazione di volontà dello stesso Papa, in occasione dell’erezione

della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di rito orientale

(1862), di riordinare le fonti del diritto canonico dell’Oriente cristiano.

Nel 1929 Pio XI, dopo aver consultato i membri della gerarchia

ecclesiastica orientale, istituì una Commissione cardinalizia per gli studi

preparatori della codificazione canonica orientale che nel 1935 trasformò

in Pontificia Commissione per la redazione del Codice di diritto canonico

orientale. La Commissione lavorò alacremente sulle bozze del codice fino

al 1944 e il testo completo – formato da ben 2666 canoni – fu oggetto di

una complessa Adunanza Plenaria terminata il 21 gennaio 1948. I lavori di

codificazione giunsero ad un risultato parziale con la promulgazione dei

canoni riguardanti il matrimonio (Motu proprio Crebrae allatae sunt, 22

febbraio 1949); il diritto processuale (Motu proprio Sollicitudinem

nostram, 6 gennaio 1950); i religiosi, i beni ecclesistici e il significato

delle parole (Motu proprio Postquam Apostolicis Litteris, 9 febbraio

1952); i riti orientali e le persone (Motu proprio Cleri sanctitati, 2 giugno

1957).

Le difficoltà del processo di codificazione del diritto orientale, derivate da

una parte dalle diversità dei riti e dall’altra dalla necessità di

salvaguardarne l’unicità, furono superate con il Concilio Vaticano II e in

modo particolare grazie al Decreto Orientalium Ecclesiarum (21

novembre 1964) che offriva le linee guida per il rinnovamento e il

La codificazione parziale (1949-1957)

Il Decreto Orientalium Ecclesiarum

20

ripristino delle tradizioni orientali evitando, al contempo, una loro

‘latinizzazione’ (SALACHAS 45). Nel 1972 Paolo VI creò la Pontificia

Commissione per la revisione del Codice di diritto canonico orientale

sostituendola a quella creata da Pio XI nel 1935. La Commissione, avendo

ben presente le istanze emerse nel Concilio Vaticano II in tema di Chiese

orientali, durante l’Assemblea plenaria del 18-23 novembre 1974 approvò

alcuni princìpi direttivi da utilizzarsi per l’opera di revisione del codice

orientale.

Secondo queste linee guida il codice avrebbe dovuto essere unico per tutte

le Chiese orientali cattoliche; avrebbe dovuto avere un’impronta

autenticamente orientale; non avrebbe potuto mancare di essere realmente

ecumenico; avrebbe dovuto mantenere un’indole strettamente giuridica

ma al tempo stesso avere un carattere pastorale e, infine, avrebbe dovuto

dare ampio spazio al principio della sussidiarietà intesa come

valorizzazione del diritto particolare (SALACHAS 50-53). Dopo più di

mezzo secolo di lavori il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (Codex

Canonum Ecclesiarium Orientalium), composto da titoli (come le antiche

collezioni canoniche bizantine) anziché da libri (come il Codice di diritto

canonico della Chiesa latina) e intriso dei suddetti princìpi conciliari, fu

promulgato da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990 con la Costituzione

apostolica Sacri Canones ed entrò in vigore il primo ottobre 1991.

FONTI E BIBLIOGRAFIA

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21

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MATTEO NACCI