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A11 50 Letture del Laboratorio di Storia della Pedagogia diretto da Furio Pesci 8

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Letture delLaboratorio di Storia della Pedagogia

diretto da Furio Pesci

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Ringrazio infinitamente il Professor Furio Pesci, mio Maestro e amico,che più di ogni altro ha saputo realizzare quell’ideale di humanitas che è lacomponente primaria di un insegnamento veritiero. Inoltre sono massima-mente debitrice al Professor Emidio Spinelli, per i preziosi consigli che havoluto gentilmente elargirmi nel corso della stesura. Infine sono grata a miomarito, Arduino Maiuri, con il quale condivido la passione per gli studi sulmondo antico, per la paziente ed affettuosa opera di revisione di questolibro, nonché per il suo sostegno morale, che mi ha permesso di portare acompimento il lavoro.

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ARACNE

L’idea di formazione nelle prospettive storiografiche

di Jaeger e Marrou: l’educazione aristocratica

Francesca Romana Nocchi

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I edizione: ottobre 2005

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Ai miei genitori e a mio figlio Enrico, per una ideale continuità educativa

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Indice

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7

Capitolo 1. Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathíaed a reté

• La specifica valenza del termine kalokagathíanell’opera di Jaeger e Marrou . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13

• Omero educatore della grecità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17• L’ideale dell’areté omerica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22• L’eredità dell’epos omerico nella società guerriera spartana . . . . . . . 26

Capitolo 2. Il fondamento dell’educazione aristocratica: eros epaideia

• Il valore nobilitante della pederastia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33• La sopravvivenza dell’etica aristocratica nella silloge teognidea . . . . 37• La vita omoerotica nel tiaso come consapevole iniziazione

all’eterosessualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41• L’idealizzazione dell’eros nel Simposio di Platone . . . . . . . . . . . . . . . 44

Capitolo 3. L’intervento statale nell’educazione tra età classica ed ellenistica

• Il teatro come veicolo democratico degli ideali aristocratici . . . . . . . .55• La rivisitazione del mito fra presente e passato . . . . . . . . . . . . . . . . . .66• La nascita della scuola democratica e il suo carattere statale

in epoca ellenistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .74

Capitolo 4. I sofisti e il declino dell’antica etica aristocratica

• La sofistica: rivoluzione pedagogica o culturale? . . . . . . . . . . . . . . . .79

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• Presupposti ideologici e discipline del curricolo sofistico . . . . . . . . . 85• Le responsabilità dei sofisti

nella dissoluzione dello stato democratico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92• Il Protagora e la concezione educativa dei sofisti . . . . . . . . . . . . . . . . 96• Socrate e i sofisti: differenze ed affinità

nell’interpretazione di Jaeger e Marrou . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103• L’idea di educazione negli altri sofisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108• Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

Conclusioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

Indice delle fonti letterarie antiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117

Bibliografia degli studiosi moderni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

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Il presente lavoro si impernia sul confronto tra le diverse prospetti-ve storiografiche e i divergenti approcci metodologici con cui Jaeger e Marrou, rispettivamente in Paideia 1 ed in Storia dell’educazione nell’antichità 2, hanno trattato dell’educazione nel mondo greco. Molti altri sarebbero stati i campi d’indagine offerti da questi due studiosi, in particolare l’incontro fra la cultura classica ed il cristianesimo nei se-coli del basso impero, tematiche affrontate da Marrou in Sant’Agostino e la fine della cultura antica 3 e da Jaeger in Cristiane-simo primitivo e Paideia greca 4, ma si è scelto di circoscrivere il campo d’indagine a un argomento specifico, cioè la formazione di stampo aristocratico, poiché da essa, come portato originario della mentalità greca, si sono dipanate per contrasto o per ripresa tutte le al-tre forme di educazione attestate nella civiltà ellenica. Per questo mo-tivo si è deciso di considerare principalmente il primo volume dell’opera di Jaeger, nel quale questo argomento occupa un posto rile-vante 5. La stessa esigenza ha suggerito un’analisi privilegiata delle sezioni parallele del testo di Marrou. Secondo tale chiave di lettura, pertanto, il volume si compone di tre capitoli legati da questo filo con-

1 W. JAEGER, Die Formung des griechischen Menschen, I-III, Berlin-Leipzig

1933-441, trad. it. Paideia. La formazione dell’uomo greco, a cura di L. Emery (vol. I, Firenze 19361, 19532) e A. Setti (voll. II-III, Firenze 19541). Nel presente lavoro si citerà dalla ristampa del 1967, che raggruppa il primo e il secondo volume dell’opera di Jaeger in un tomo, il terzo nel secondo tomo. Vista la notevole frequenza in questo volume di allusioni al capolavoro di Jaeger, esso d’ora in avanti sarà citato “per anto-nomasia”, ossia con la semplice indicazione del nome dell’autore e la sola aggiunta del volume dell’opera di volta in volta considerato.

2 H. I. MARROU, Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 1950, trad. it. Sto-ria dell’educazione nell’antichità, a cura di U. Massi, Roma 1971. Il medesimo crite-rio illustrato al termine della n. precedente sarà adoperato, beninteso, anche ogniqual-volta si farà riferimento all’opera di Marrou.

3 ID., Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1971, trad. it. S. Agostino e la fine della cultura antica, a cura di C. Marabelli e A. Tombolini, Milano 1987.

4 W. JAEGER, Early Christianity and Greek Paideia, Cambridge 1961, trad. it. Cri-stianesimo primitivo e Paideia greca, a cura di S. Boscherini, Firenze 1966.

5 Gli altri due volumi sono stati recensiti dallo stesso MARROU, Le siècle de Pla-ton, «Revue Historique», 196, 1946, pp. 142-9. Appaiono qui già evidenti sia la con-sonanza di interessi tra i due studiosi che la profonda divergenza delle loro prospettive critiche.

Prefazione

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duttore, ai quali si è successivamente deciso di aggiungerne un quarto, sugli importanti sviluppi garantiti all’azione educativa dal movimento sofistico.

La ricerca si è incentrata principalmente sul confronto diretto tra l’opera dei due studiosi, ma non si è neppure trascurato, qualora op-portuno, il ricorso alle fonti letterarie antiche 6 e a quelle critiche e sto-riografiche moderne, in modo da chiarire al meglio la portata delle tesi sostenute da Jaeger e Marrou e porle a confronto con le più recenti te-orie sulle singole questioni dibattute.

Il motivo di interesse primario del lavoro, come si è detto, consiste proprio nel diverso approccio che i due autori hanno mostrato nei con-fronti della stessa materia. Nella sua opera Jaeger ha applicato un me-todo filologico, sostenuto da argomentazioni linguistiche e logico-teoretiche. È evidente in tutta la trattazione la sua convinzione che so-lo i Greci siano giunti ad acquisire una chiara consapevolezza delle leggi universali che regolano la natura umana 7. Da tale convinzione deriva anche la sua tendenza a subordinare la trattazione storiografica ad un’impostazione prevalentemente filosofica; la conoscenza degli eventi è funzionale alla riscoperta delle idee.

Marrou, al contrario, ha descritto le istituzioni educative in maniera concreta ed accurata, secondo una prospettiva sociologica ed evoluti-va. Discutendo del metodo adoperato da Jaeger, egli ha affermato che «dans cette prospective, l’auteur a renoncé à une description concrète de l’éducation, des méthodes pédagogiques antiques: il se tient à un degré supérieur d’astraction, de profondeur, et analyse les idées fon-damentales qui sous-tendent cette éducation, son idéal» 8. Per questo stesso motivo, inoltre, il filologo tedesco ha scelto di incentrare la sua trattazione sulla riflessione letteraria, partendo dai singoli autori che hanno contribuito alla formazione dello spirito greco 9. Tale concezio-ne “ellenocentrica” considera la civiltà greca come l’archetipo da cui si sono irradiate tutte le altre “subculture” europee e ne pone in risalto la superiorità raggiunta nel campo della formazione.

6 Ove non venga espressamente segnalato il curatore delle traduzioni dei passi an-

tichi riportati nel presente lavoro, si deve intendere che esse sono state realizzate da me stessa.

7 JAEGER, I, p. 15. 8 MARROU, art. cit., p. 143. 9 Cfr. l’introduzione di A. DEVYVER al primo volume dell’edizione in francese di

Paideia, Paris 1964, max. pp. VI e IX.

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Marrou, pur sottolineando l’enorme importanza rivestita dal mon-do classico in campo educativo, pone la sua akmé in epoca ellenistica, quando la civiltà greca ricavò un forte stimolo dall’incontro con altre culture e soprattutto da quello con il mondo romano (Hellenistisch-römische Kultur). La novità della sua opera consiste nell’estensione spaziale e temporale del campo d’indagine: la trattazione, infatti, ab-braccia l’epoca compresa fra i poemi omerici e l’alto medioevo, indi-viduando i fenomeni di persistenza e innovazione che si produssero nell’arco di più di quindici secoli 10.

Partendo da tali considerazioni più generali, il lavoro intende mo-strare come le diverse direttive metodologiche abbiano portato i due autori a conclusioni talvolta anche opposte sul medesimo argomento.

Passando ad una esposizione più analitica del contenuto dei singoli

capitoli, si può dire che il primo verte sul nucleo fondante dell’educazione aristocratica, ovvero la kalokagathía, intesa da Jaeger come forma ideale dell’uomo greco (Idealtypus) e suprema manifesta-zione della formazione dell’individuo (Bildung): essa è stata analizza-ta nelle sue molteplici manifestazioni, a partire da Omero fino a giun-gere alla rivisitazione che ne fece Sparta, con la rigida istituzione di un’agoghé militare. Secondo Jaeger in questo ideale sono perfetta-mente compenetrate le virtù fisiche e le qualità morali: i kalói kai aga-thói sono un’élite la cui sopravvivenza è assicurata dalla capacità di rinnovarsi costantemente attraverso l’apertura alle classi emergenti e l’attualizzazione dei valori tradizionali. Di conseguenza l’espressione conosce nel tempo un fertile arricchimento semantico, tanto che nel V secolo al termine kalós si associa quello di astéios, per indicare il cit-tadino elegante e colto, simbolo di una nuova realtà sociale. Anche Marrou parla spesso di kalokagathía come ideale aristocratico, ma tende piuttosto ad evidenziarne la componente ginnica e agonale, at-tribuendo la sua matrice propriamente intellettuale e spirituale all’epoca socratica.

A Sparta l’ideale eroico della formazione fu fortemente influenzato dal ruolo dirigistico dello stato, «che si presenta qui, per la prima vol-ta, quale potenza educatrice in tutta l’estensione del termine» 11. Le istituzioni spartane erano fortemente accentratrici ed il superamento

10 In ciò consisterebbe l’originalità dell’opera secondo P. RICHE, Henri Irénée

Marrou, historien engagé, Paris 2003, p. 127. 11 JAEGER, I, p. 161.

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dell’individualismo, con l’istituzionalizzazione di una tipologia educa-tiva unica e uguale per tutti, sono per Jaeger il vero pregio di tale si-stema educativo. Marrou, al contrario, esprime una forte riprovazione nei confronti di uno stato che egli avvicina ai regimi totalitari del XX secolo. L’educazione spartana determinò un progressivo irrigidimento delle istituzioni, a tutto discapito dell’originalità e creatività dimostra-ta nel VII-VI secolo.

Il secondo capitolo si occupa invece del tema della pederastia, isti-tuzione eminentemente aristocratica e dall’alto valore educativo in senso morale; ne viene spiegata l’origine e la valenza nelle opere di Saffo, Teognide e Platone, con particolare riferimento al Simposio. La relazione omosessuale, pur venendo a coincidere con la pedagogia in-tesa nel suo valore più alto e nobilitante, viene trattata in maniera mol-to diversa dai due autori: più idealizzante in Jaeger, che, a proposito di Saffo e Teognide, preferisce soffermarsi su considerazioni di carattere estetico e filologico, più realistica e concreta in Marrou, che evidenzia la forte tensione erotica dei componimenti poetici. Non diversamente avviene per il Simposio: Jaeger analizza i discorsi di tutti i convitati in funzione di quello di Socrate, che propone un’interpretazione ideale dell’amore; l’ottica con la quale egli si volge alla pederastia è pretta-mente filosofica e nobilitante. Marrou, invece, decidendo di soffer-marsi soprattutto sul monologo di Pausania, ne evidenzia le compo-nenti sociali.

Il terzo capitolo è dedicato alle forme di intervento statale all’interno delle istituzioni educative: il teatro per Jaeger e la scuola d’epoca ellenistica per Marrou. Lo studioso tedesco evidenzia l’enorme importanza rivestita dai tragediografi, che egli antepone ad-dirittura agli stessi uomini di stato, per l’incidenza del messaggio da loro trasmesso attraverso le rappresentazioni teatrali. Essi divengono la guida e la coscienza collettiva della nazione, servendosi del mito, che viene riproposto in chiave attuale.

Sono state, quindi, prese in considerazione anche le principali pro-blematiche contemporanee cui l’apertura democratica dello spazio tea-trale offriva opportunità di dibattito, divenendo luogo ora di integra-zione culturale, ora di scontro e diffusione di concezioni che potevano avere una funzione destabilizzante per il kosmos politikós.

Come in ogni capitolo, così anche in questo la prospettiva jaege-riana viene messa a confronto con la diversa concezione di Marrou, che non parla di ingerenza statale in campo educativo, ma preferisce ricondurre il processo di democratizzazione della cultura alla transi-

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zione, intervenuta nel V secolo, da un’educazione di stampo militare ad una più marcatamente civile, piuttosto che all’opera propagandisti-ca portata avanti dal teatro. Infine nel quarto capitolo, come si è accennato, viene presentato il de-terminante apporto fornito dal movimento sofistico in campo educati-vo: Jaeger ritiene che la sofistica portò alla nascita della scienza dell’educazione, non solo perché i sofisti contribuirono a fissare in maniera stabile le discipline del curriculum scolastico, ma anche per-ché modificarono in maniera sostanziale l’antica nozione di areté e di conseguenza la natura stessa dell’educazione tradizionale. I sofisti, ri-spondendo all’esigenza dell’Atene democratica, avevano messo in grado di accedere alle cariche politiche un vasto numero di cittadini, ma contemporaneamente avevano determinato una nuova valutazione delle doti individuali e della loro eccellenza, ridefinendole su basi più ampie e non solo sul privilegio di nascita. Nella nozione di areté essi intendevano includere le doti eminentemente intellettuali e non ancora quelle morali, come ha erroneamente interpretato chi ha espresso su di loro un giudizio negativo. L’idea di educazione cui essi si richiamava-no, inoltre, era vicina a quella di Bildung, formazione generale, simile all’antica kalokagathía, portando a piena consapevolezza e maturità la nozione di cultura. Per questo Jaeger ritiene che essi si possano anno-verare fra i filosofi, ma di una nuova filosofia, quella politica. Al con-trario Marrou sostiene che l’apporto dei sofisti si sia limitato al solo ambito pedagogico ed in senso strettamente tecnico. In realtà occorre distinguere fondamentalmente due tipi di insegnamento: uno più gene-rale, il cui rappresentante è Protagora, ed uno più specialistico, di cui Ippia è il più insigne promotore. In entrambi i casi si parte da un pro-fondo ottimismo pedagogico, in base al quale si crede nell’educabilità e plasmabilità della natura umana. Diversi erano i metodi e le discipli-ne cui i pedagoghi si interessavano, prima fra tutte la dialettica. Il rela-tivismo introdotto da tale arte e la valorizzazione della natura indivi-duale furono, nell’ottica di Jaeger, le principali cause della decadenza della democrazia, in quanto esse permisero di accentuare il divario fra physis e nomos e di mettere in discussione le istituzioni che la sofistica stessa aveva contribuito a formare. Il problema dell’educabilità della virtù viene trattato nel Protagora di Platone, dove sono anche messi anche a confronto due metodi educativi, quello dei sofisti e quello di Socrate. Quest’ultimo riconduce il problema morale a quello filosofi-co, concludendo che la virtù è un kathólu, l’unione di virtù singole, e viene a coincidere con la scienza del Bene: solo così essa diviene in-

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segnabile. In questo modo l’insegnamento socratico è ricondotto non solo alla sfera intellettuale, ma anche a quella morale, ed in questo senso si può dire che porta ad una formazione più completa e superio-re rispetto all’antica kalokagathía. L’areté è sia dote naturale, sia de-terminata dall’insegnamento, che a sua volta diviene un processo di acquisizione attiva e richiede un’autentica partecipazione da parte del discente.

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Capitolo 1

Il quadro dei valori eroici e aristocratici:

kalokagathía ed areté

1. La specifica valenza del termine kalokagathía nell’opera di Jae-ger e Marrou

L’espressione kalós kai agathós, diffusamente impiegata nella cul-

tura greca per designare l’immagine esemplare dell’uomo, non solo detiene un ruolo di primo piano nell’opera di Jaeger, ma è presente anche in quella di Marrou, sebbene vi rivesta un ruolo decisamente più marginale. Entrambi gli studiosi, inoltre, sono concordi nel collocare l’origine del nesso in un’epoca alquanto antica 1.

1 Fondamentale ed esaustivo, a questo proposito, risulta il lavoro di F. BOURRIOT, Kalos Kagathos-Kalokagathia, voll. 1 (Texte) e 2 (Notes), «Spudasmata», Zürich-New York 1995, che prende in rassegna tutte le ricorrenze testuali e gli studi relativi al kalós kagathós e alla kalokagathía. Fra i problemi da lui affrontati vi è quello ter-minologico (kalós kai agathós è diverso da kalós kagathós e da kalokagathía), ma soprattutto quello cronologico, in relazione al quale l’autore diverge nettamente dalla posizione di Jaeger (con cui, invece, si trova sostanzialmente allineato J. BUR-CKHARDT, Griechische Kulturgeschichte, Berlin-Stuttgart 18981, trad. it. Storia della civiltà greca, a cura di M. Attardo Magrini, Firenze 1974), facendo risalire l’origine dell’espressione a non prima della metà del V secolo, quando si troverebbe attestata in Erodoto e nei poeti comici (a questo proposito si confrontino le teorie esposte da J. JUTHNER, Kalokagathia, in AA. VV., Charisteria Alois Rzach zum 80. Geburtstag dargebracht, Reichemberg 1930, pp. 99-119, nonché, a due riprese, da W. DONLAN, prima in Agathos-kakos. A Study of social attitudes in archaic Greece, diss. Ann Ar-bor 1970, p. 247, n. 10, poi in The origin of kalÚw kégayÒw, «American Journal of Philology», 94, 1973, pp. 365-74). Bourriot nega l’esistenza di tale nozione fin dall’epoca arcaica, così come era stato invece ventilato dai due studiosi tedeschi (BOURRIOT, op. cit., pp. 101 ss., max. 122) e confuta le testimonianze contrarie addot-te da Wankel, che pure, prendendo le mosse dalle intuizioni di Jaeger, a suo dire sa-rebbe l’autore della più valida dissertazione sull’argomento, avendo fornito l’elenco

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Capitolo 1

Per capire pienamente la portata di tale categoria sociale occorre anzitutto chiarire la differenza che il filologo tedesco rileva tra i ter-mini Erziehung e Bildung 2. Mentre il primo designa l’educazione in senso “classico” ed include l’insieme delle norme, dei precetti consue-tudinari e delle nozioni tecniche utili per un proficuo inserimento nella società e nella pratica quotidiana, il secondo ha uno spettro molto più ampio (nella traduzione italiana è reso con il termine ‘cultura’), inte-grando un’educazione superiore, volta alla formazione dell’uomo ide-ale (Idealtypus) 3 nella sua globalità, ossia nelle sue manifestazioni e-steriori, dalla compostezza dei movimenti all’eleganza, e nella valo-rizzazione del patrimonio interiore. Questa concezione è una creazio-ne originale del mondo greco, dal momento che aggiunge all’educazione ordinaria una qualità superiore, la bellezza, intesa in senso fisico, morale ed etologico. Solo un numero limitato di individui può perseguire tale ideale, infatti il termine agathós indica ‘colui che per natura è nobile’.

Come si è già accennato, pur non essendo esplicitamente attestata in epoca arcaica, la formula kalós kai agathós è giudicata antica sia da Jaeger sia da Burckhardt 4: i due studiosi, però, divergono su una que-stione fondamentale. Secondo l’autore di Griechische Kulturgeschi-chte, infatti, essa è limitata a tale periodo; l’avvento dei nuovi ricchi ne avrebbe determinato lo svilimento e la successiva scomparsa. Al contrario Jaeger ritiene che i kalói kai agathói, pur essendo una classe ristretta, tendevano a rinnovarsi attraverso un processo di selezione, più copioso di ricorrenze del nesso (H. WANKEL, Kalos kai agathos, diss. Wurzburg, Frankfurt 1961). Anche secondo quest’ultimo studioso kalós kai agathós è giuntura omerica, ma non è legata ad una precisa classe sociale, bensì alle capacità del singolo.

2 JAEGER, I, pp. 25 ss. 3 Ivi, p. 27: «Dall’educazione in questo senso differisce la cultura data all’uomo

mediante la creazione d’un tipo ideale d’intima coerenza e di stampo determinato. Non si dà cultura senza un’immagine, presente allo spirito, dell’uomo quale deve es-sere, dove la considerazione dell’utile è indifferente o ad ogni modo accessoria e l’elemento decisivo è invece il kalón, cioè il Bello, col valore impegnativo d’un mi-raggio, d’un ideale». E ancora, a p. 30, nota 6: «tuttavia, ciò che noi chiamiamo cultu-ra greca nel senso specifico di un consapevole ideale della perfezione umana - la cul-tura dell’epos omerico - fu proprio di un limitato gruppo del popolo, l’aristocrazia».

4 Supra, nota 1. JAEGER, I, p. 27, nota 4, individua la prima espressa attestazione del nesso kalós kagathós in un frammento di SOLONE (1, 39-40 D.): «un altro, pur es-sendo vile (deilós) crede di essere un uomo valoroso (agathós), e un altro ancora pen-sa di essere bello (kalós), pur avendo un aspetto non grazioso». Qui il termine kalós si riferisce più all’aspetto fisico che all’areté, per questo viene aggiunto l’aggettivo ka-gathós, come dice Jaeger, «per esprimere l’ideale completo della personalità umana».

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

grazie all’apporto delle nuove classi, che si adeguavano perfettamente agli antichi ideali 5. Lo studioso chiarisce anche quali fossero le con-dizioni essenziali per accedere al titolo di kalós kai agathós in epoca arcaica: possedere ricche terre ed una dimora dignitosa, avere un forte carattere ed un consono stile di vita. Già nell’Odissea, peraltro, sareb-bero apparsi nuovi indicatori di un avanzato mutamento del quadro sociale: solo per fare un esempio, la capacità di sapersi districare nelle situazioni difficoltose è una qualità essenziale per il polýtropos Odis-seo. Jaeger tuttavia nota come le virtù sociali ed intellettuali diverran-no imprescindibili solo in epoca socratica, quando si aggiungeranno a quelle agonali 6 e l’avvento della democrazia periclea permetterà di estendere la nozione di kalokagathía a tutti i cittadini nati ad Atene: alla nobiltà di sangue si sostituisce, così, quella determinata dalla na-scita ateniese 7. Al termine kalós viene associato quello di asteios, per indicare il cittadino elegante, raffinato e colto: la kalokagathía non è più un’attitudine trasmissibile per nascita, ma insegnabile. In questo senso l’esempio fornito dai Sofisti diviene fondamentale, anche se sul contenuto del loro insegnamento Jaeger nutre diverse perplessità. Il termine paideia non designa più il semplice allevamento (trophé) dei fanciulli, come in Eschilo 8, ma l’educazione fisico-spirituale d’età ar-caica, arricchita dalla formazione intellettuale. Virtù e cultura sono le due nuove componenti imprescindibili della kalokagathía borghese ed è proprio in questa capacità di rinnovarsi ed adeguarsi alle nuove esi-genze della società che Jaeger intravede la grandezza della paideia greca e la sua straordinaria capacità di trasmettere inalterata l’immagine ideale dell’uomo in ogni epoca 9. Al contrario Burckhardt

5 JAEGER, I, p. 28: «Anche là, dove la differenziazione conduce alla formazione di

rigide caste privilegiate, il principio dell’ereditarietà che vi regna torna di continuo a correggersi automaticamente mediante il rinsanguamento dal basso, della grande ri-serva delle forze etniche».

6 MARROU, p. 72 s. 7 Cfr. JAEGER, II, p. 501. 8 AESCH. Sept. 18. 9 JAEGER, I, p. 30, nota 6: «Uno dei compiti più importanti di questo libro è quello

di descrivere questo svolgimento storico del V-IV s. a. C., unico nella storia e di signi-ficato universale. Il significato di questo processo è nell’enorme espandersi del regno della cultura che la rese accessibile all’intera città o nazione […] L’idea umanistica che sosteneva questa trasformazione era il principio secondo cui se la cultura è conce-pita come un “privilegio” dovuto alla “nobile nascita” non ci può essere più alto dirit-to a un tale privilegio che quello inerente alla natura dell’uomo come essere ragione-vole…Nessuna forma di società può sopravvivere a lungo senza una accurata e co-

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Capitolo 1

considera questa nuova forma di kalokagathía come una degenerazio-ne del prototipo omerico.

Secondo Jaeger i Sofisti, animati dalla curiositas conoscitiva fina-lizzata alla persuasione retorica, hanno dato un forte impulso alla pai-deia, scienza di cui sarebbero stati gli heuretái: ma solo con Socrate ed il suo discepolo Platone essa viene strettamente connessa alla for-mazione dell’Idealtypus. In questo senso l’esempio più istruttivo è fornito dal Simposio platonico, in cui l’idea del Bello e del Buono so-no interconnesse: Eros diviene la forza e l’impulso che conduce alla ricerca ed alla contemplazione del Bene, cui il Bello fa da tramite 10. Socrate e Platone, dunque, riportano la kalokagathía al suo valore più nobile d’età arcaica, pur riconoscendo che, mentre in passato era la nascita che predeterminava l’appartenenza o meno ad una ristretta éli-te, ai loro tempi ormai la distinzione avveniva solo sulla base della di-sposizione a lasciarsi educare.

Anche Marrou parla spesso della persistenza dell’educazione ari-stocratica d’epoca arcaica 11, ma, quando si trova a chiarire il concetto di kalokagathía, lo sfronda della patina idealizzante di cui l’aveva ammantato il pensatore tedesco, per rilevarne soprattutto la compo-nente sportiva e agonale rispetto a quella intellettuale.

In questa ottica egli riporta un passo di Aristofane, in cui sono po-ste a confronto Educazione Antica e Nuova, la seconda proposta dai Sofisti e dallo stesso Socrate, a loro indebitamente assimilato. Della prima viene esaltata la moralità, non disgiunta dall’esercizio ginnico da praticare nei ginnasi. Il suo risultato sarà: «petto robusto, colorito splendido, spalle larghe, lingua corta, natica grande, verga piccola» 12.

sciente educazione dei suoi membri più capaci e più valenti, anche quando non si può esser più sicuri che essi appartengano ad una classe privilegiata di nobiltà terriera».

10 Cfr. BOURRIOT, op. cit., pp. 279-80. 11 Cfr. MARROU, p. 27: «Ora, durante molti secoli (si può dire fino alla fine della

sua storia), l’educazione antica conserverà molte caratteristiche che le provenivano da questa origine aristocratica e cavalleresca. Non alludo al fatto che le società antiche più democratiche restano sempre, per noi moderni, società aristocratiche, a causa della parte che vi ha la schiavitù, ma ad un elemento più intrinseco: anche quando volevano essere e si credevano democratiche […] le società antiche vivevano su di una tradi-zione di origine nobile; per quanto la cultura potesse essere ripartita in modo egualita-rio, conservava sempre l’impronta di quell’origine»; vd. inoltre p. 65: «anche in pieno secolo V, questa educazione continua ad essere orientata verso la vita nobile, quella del grande proprietario fondiario, ricco e perciò ozioso».

12 ARISTOPH. Nub. 1002-19. A proposito di quest’opera, ancora una volta risulta prezioso il contributo di BOURRIOT, op. cit, pp. 159-60, il quale riferisce i passi in cui

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

Al contrario i seguaci di Socrate sono descritti a più riprese come uo-mini diafani ed emaciati, dal «colorito pallido, le spalle strette, il petto rimpicciolito, la lingua lunga, la natica gracile, la verga grande» 13. Per Marrou, come del resto per Jaeger, come si è già visto, l’educazione in Grecia è intesa come cultura dello spirito solo a partire da Socrate: al contrario «nell’epoca antica il kalós kai agathós senza dubbio è prima di tutto uno sportivo. Se in questa educazione c’è tutto un aspetto mo-rale, esso si realizza con lo sport e nello sport, come dimostra Aristo-fane, che non separa nemmeno per un istante i due elementi. Ma al-meno questa educazione tende a formare tanto il carattere quanto il corpo» 14.

Marrou definisce il primato del culto del corpo «brutale e sempli-ce» 15 rispetto all’idealizzazione dell’educazione operata tanto da Bur-ckhardt quanto da Jaeger o Wankel. Ancora una volta, come spesso si potrà constatare, lo studioso francese dimostra di avere un’idea più pragmatica e meno ideale dei fini che si proponeva l’antica paideia.

2. Omero educatore della grecità

Jaeger asserisce che il termine areté può essere a buon diritto con-siderato un riferimento all’ideale cavalleresco della virilità, inteso co-me connubio di «costumi aulici e di eroismo guerriero» 16, e che in es-so si può riassumere il contenuto educativo dei poemi omerici, nonché rintracciare la prima forma di Idealtypus presente nella cultura greca. Sia Jaeger che Marrou affermano che l’epica possiede una valenza e-

compare il nesso kalós kai agathós, illuminandoci sul pensiero del comico ateniese: nel primo passo Strepsiade, stanco di pagare i debiti contratti dal figlio nel gioco dei cavalli, decide di mandarlo da Socrate, perché apprenda ad allontanare i creditori con l’arte del Discorso ingiusto. Egli definisce i seguaci del filosofo kalói kai agathói (v. 101), intendendo contrassegnare con questi aggettivi gli intellettuali che sono deposi-tari di un vano sapere e di tecniche subdole; anche il figlio Fidippide diverrà kalós kai agathós (v. 797), quando avrà appreso l’arte del Discorso ingiusto.

13 Ibidem. 14 MARROU, p. 73. La stessa teoria è sostenuta da K.J. DOVER, Greek Homosexua-

lity, London 1978, trad. it. L’omosessualità nella Grecia antica, a cura di M. Menghi, Torino 1985, p. 18, il quale sostiene che il termine kalós si riferisce alle qualità del corpo e significa “grazioso”, “attraente”.

15 MARROU, p. 74. 16 JAEGER, I, p. 32. In relazione al confronto fra gli ideali omerici e la mentalità

cavalleresca medievale, si veda infra, p. 25 s.

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Capitolo 1

ducativa doppia, sia tecnica sia ideale 17. La prima può essere rintrac-ciata nelle descrizioni dettagliate dei riti, dei giochi, delle tecniche bel-liche e della lavorazione dei metalli, nonché nei riferimenti alle locali-tà geografiche ed alle tradizioni del passato, elementi che saranno tipi-ci anche dell’epoca classica, con una preferenza accordata alla com-ponente intellettuale 18. La seconda, invece, porta a fissare i caratteri dell’eroe inteso come immagine dell’uomo ideale cui tendere.

In virtù di queste due specifiche valenze, Eric Havelock ha coniato per i poemi omerici la felice e fortunata espressione di «enciclopedia tribale», nel senso che essi non si propongono di dare un’immagine settoriale dei vari aspetti del reale, ma appaiono come il «deposito di tutti i contenuti culturali di una civiltà» 19. È per questo che i due po-emi omerici diventarono il testo base per la formazione dell’uomo gre-co 20. La stessa forma recitativa prescelta dagli aedi, che prevedeva la ripetizione di versi formulari, di epiteti e patronimici, nonché l’esecuzione nei pubblici banchetti 21, nasceva dall’esigenza di rendere partecipe del sapere pratico e scientifico il più vasto pubblico e man-tenere viva la fama degli eroi.

Platone definisce Omero «educatore di tutta la grecità» 22 e tale no-zione si è conservata nel tempo, come testimoniano sia Jaeger che

17 JAEGER, I, p. 32; MARROU, p. 28. 18 Cfr. supra, p. 14. 19 E.A. HAVELOCK, Preface to Plato, Cambridge (Mass.) 1963, trad. it. Cultura

orale e civiltà della scrittura, a cura di M. Carpitella (con introd. di B. Gentili), Bari 19832, p. 70.

20 Alcuni studiosi si sono addirittura spinti a congetturare che l’opera sia nata con un preciso intento educativo: cfr. K. ROBB, Literacy & Paideia in Ancient Greece, O-xford, 1994, p. 166: «An oral paideia was the fundamental cultural purpose of Home-ric speech. Instruction, not pleasure, was its primary purpose».

21 Cfr. Od. VIII, 499 ss., quando Demodoco rievoca la caduta di Troia durante il banchetto dei Feaci. A questo proposito si veda quanto asserito da Jaeger: «Missione del cantore è tener vivo nella memoria della posterità il ricordo delle “gesta degli uo-mini e degli dei” (Od. I, 388). La fama, la conservazione e l’incremento di essa è il vero senso del canto eroico» (JAEGER, I, p. 93). Gli stessi nomi degli aedi obbediscono a questa logica: Femio vuol dire “portatore di fama”, mentre la valenza onomastica insita nel nome Demodoco sottolinea la missione educativa esercitata dagli aedi nei confronti del demos. Giova ricordare a questo proposito le parole di Platone (Phaedr. 245e): «L’ossessione e l’invasamento che vengono dalle Muse afferrano un’anima delicata e consacrata, la destano e la rapiscono entusiasticamente in canti e in ogni sorta di creazioni poetiche, ed essa, esaltando innumerevoli gesta del passato, educa la posterità».

22 PLAT. Resp. 606e.

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

Marrou, i quali dedicano rispettivamente un capitolo ed un paragrafo a tale argomento 23. In particolare il secondo ritiene che il segreto della perpetua attualità dell’opera omerica consista essenzialmente nel con-tenuto etico da essa trasmesso 24.

Se il contributo principale dell’Iliade e dall’Odissea è stata la crea-zione di valori-guida derivanti da un passato di straordinaria grandez-za, il comportamento degli eroi omerici diviene paradigma di azioni esemplari: attraverso l’identificazione con i protagonisti dei poemi, resa possibile dal genere poetico, il pubblico giunge ad una forma di conoscenza molto più profonda di quella meramente intellettuale. I-noltre, afferma Marrou, «l’educazione che il giovane greco ritraeva da Omero era quella stessa che il poeta dava ai suoi eroi» 25. E che l’areté sia una virtù che richiede una dura disciplina e la guida di un sapiente maestro è testimoniato dalla figura di Fenice: inviato con Odisseo ed Aiace per convincere Achille a deporre la sua ira, l’anziano principe rammenta al suo discepolo che lo ha educato a saper ben parlare ed agire con coraggio 26, due qualità costitutive dell’areté.

Ad ogni membro della società compete una diversa nozione di are-té: per le donne, ad esempio, essa consiste nella bellezza 27, ma anche nella pudicizia e nella oikonomía domestica, che si manifesta nella ca-pacità di intrattenere gli ospiti 28, di consigliare il proprio marito 29, ovvero di tenere un contegno sicuro, nonostante la sua lontananza 30. Tre sono essenzialmente le funzioni della donna: generare una stirpe eughenés, essere utile al regolare funzionamento della vita domestica, ma soprattutto trasmettere le tradizioni ed i nobili costumi di cui è na-

23 JAEGER, I, pp. 85-119; MARROU, pp. 28-30. È sintomatico come entrambi gli

autori sottolineino che il favore espresso dal pubblico nei confronti di Omero non sia dovuto esclusivamente ad un fattore estetico (cfr. JAEGER, I, p. 86; MARROU, p. 29). Del resto lo studioso francese a più riprese confessa di essersi richiamato all’opera di Jaeger, definendola “suggestiva” (v. e.g. p. 469).

24 MARROU, p. 28. 25 Ivi, p. 30. 26 «L’una e l’altra cosa, essere oratore di discorsi e operatore di azioni» (Il. IX,

443). Le traduzioni dall’Iliade sono di M.G. CIANI (Venezia 1990). 27 Tale concetto può essere riferito anche agli animali, basti pensare ad Il. XXIII,

276 e 374. 28 Si pensi ad Elena che accoglie Telemaco (Od. IV, 138 ss.). 29 Ulisse, quando implorerà l’ospitalità di Alcinoo chiederà l’intercessione di Are-

te, la sua sposa (Od. VI, 310-5). 30 Si veda, a questo proposito, la figura di Penelope in Od. I, 330 ss.; XVI, 409-

451, ecc.

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turalmente portatrice. La donna guida la rude società maschile, tutta protesa verso la guerra, all’affinamento dei sentimenti e gli strumenti della sua potenza educatrice sono la bellezza e la delicatezza d’animo. In questo senso è eloquente l’incontro tra Nausicaa ed Odisseo 31.

Nonostante il più profondo senso di umanità che permea l’Odissea rispetto all’Iliade, in entrambi i poemi il concetto di educazione rima-ne squisitamente aristocratico, poiché si origina dal desiderio tipico della grecità arcaica di custodire e tramandare le proprie tradizioni avite.

Due sono gli episodi salienti che consentono di individuare in qua-le modo Omero abbia affrontato i problemi educativi. Il primo si trova nel nono canto dell’Iliade, quando, come si è già accennato 32, ha luo-go l’ambasceria di Aiace ed Odisseo per placare Achille, ma viene mandato come mediatore Fenice, vassallo di Peleo (padre di Achille), principe dei Dolopi e già maestro dello sdegnoso eroe: questo perso-naggio possiede tutte le qualità per svolgere questa mansione, per la quale appare sicuramente più adatto rispetto al rozzo e selvatico cen-tauro Chirone. Notevole risulta il fatto che egli si serva, per ammonire l’antico scolaro, dell’esempio di Meleagro, la cui ira caparbia produs-se conseguenze disastrose 33. In questo modo viene illustrata una delle principali modalità educative di cui si servivano gli antichi nella loro azione paideutica: il paradigma mitologico, degno di valore proprio in virtù della sua antiquitas 34, e pertanto tale da assumere forza normati-va. Fenice, inoltre, ci chiarisce quali fossero le tappe attraverso le qua-li il fanciullo veniva affidato ad un saggio anziano e da lui educato in tutte le arti pratiche, ma soprattutto all’autoedificazione morale 35. I-noltre l’episodio dimostra i limiti anche della più savia educazione di fronte all’Ate, in quanto neppure il maestro riesce a mutare la decisio-ne del caparbio allievo.

31 Od. VI, passim. A proposito dell’areté femminile, si veda quanto asserisce A.W.H. ADKINS, Merit and Responsabilità. A study in Greek Values, London 1960, trad. it. La morale dei greci, Bari 1964, pp. 77-8: nelle donne prevalgono le virtù “col-laborative”, morali, su quelle “competitive”, tipiche dell’uomo. Lo studioso adduce come esempio il favore espresso da Agamennone a Penelope rispetto a Clitemnestra, per la fedeltà dimostrata al marito (Od. XXIV, 193).

32 Cfr. la p. precedente. 33 Il. IX, 553 ss. 34 Cfr. JAEGER, I, p. 95: «Il mito, la leggenda eroica, è la riserva inesauribile dei

modelli che la nazione possiede ed alla quale il suo pensiero attinge ideali e norme per la vita propria».

35 Il. IX, 485 ss.

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

Agli antipodi di Achille si pone Telemaco, giovane docile e pronto ad ascoltare i consigli della dea Atena, che dapprima gli si presenta sotto le spoglie dell’anziano amico del padre, Mente 36, quindi assume le sembianze di un altro saggio, Mentore, che lo accompagna nei viaggi alla volta di Pilo e Sparta. La Telemachia appare come un viaggio di formazione, durante il quale il giovane si fa uomo ed acqui-sisce la capacità di comportarsi in maniera decorosa di fronte a perso-naggi illustri come Menelao e Nestore, grazie ai sapienti consigli di Mentore, che rappresenta il precettore posto al fianco dei giovani di nobile lignaggio. Telemaco appare all’inizio succube della tracotanza dei Proci, mentre alla fine sarà complice ed artefice della loro morte: Omero si sofferma quasi con compiacimento a descrivere la matura-zione di quello che ormai non è più un ingenuo fanciullo nato in una piccola isola dell’Egeo. Nel suo processo educativo sono compresi i consigli materni, l’esempio del padre, il viaggio che lo porta a cono-scere nuovi popoli ed usanze, la fiducia in vecchi alleati paterni, quali Menelao e Nestore, ed infine la sapiente guida della divinità, che rap-presenta sempre il fattore imperscrutabile.

Va infine rilevato che anche in questo caso l’ammaestramento av-viene attraverso il ricorso all’exemplum: infatti Atena ricorda a Tele-maco la storia di Oreste, vendicatore di suo padre 37. Ma mentre la for-za dell’esempio di Meleagro era fondata soltanto sulla sua antichità, nonché, ovviamente, sulla sua appartenenza al repertorio mitografico, inesauribile riserva di topoi aristocratici, quello di Oreste presenta in più anche la similarità delle situazioni dei due giovani. L’esempio of-fre l’elemento normativo convincente che dà forza all’ammonimento. Più tardi il savio Nestore farà nuovamente riferimento ad Oreste, indi-candolo come il modello che Telemaco deve seguire 38.

Si è detto finora del valore educativo dell’exemplum, ma anche al-tre scelte formali e contenutistiche fanno dell’epos omerico un genere fortemente educativo: in questo ambito è fondamentale il contributo di Jaeger, il quale è più interessato di Marrou a dare all’opera un giudizio estetico ed artistico. Oltre alla componente idealizzante, che induce

36 Od. I, 105 e 180. 37 Od. I, 296 ss.: «Non devi più trascinar la vita come un fanciullo... Non odi quale

fama ha raccolto Oreste in tutto il mondo per aver ucciso il perfido assassino Egisto, che aveva fatto strage di suo padre? Oh, tu, amico, lo vedi, sei bello e robusto, hai for-za bastante perché un giorno i posteri ti lodino». Le traduzioni dall’Odissea sono trat-te dalla splendida versione di R. CALZECCHI ONESTI (Torino 19892).

38 Od. III, 195-200 e 306-16.

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Capitolo 1

Omero ad utilizzare tutta una serie di aggettivi esornativi, che innalza-no il racconto al di sopra della routine quotidiana, accrescono il coin-volgimento del pubblico le cosiddette aristie, ovvero i duelli campali tra gli eroi 39, nonché la scelta di narrare un singolo episodio della guerra di Troia, l’ira di Achille, la cui triste storia educa alla magna-nimità: infatti egli sceglie una vita eroica, anche se breve. Inoltre alla sua vicenda è sotteso un monito di carattere religioso, dal momento che sia Achille che Agamennone soggiacciono al nefasto influsso di Ate: l’ira e l’orgoglio li ha accecati, per cui entrambi concorrono, in-consapevolmente, al compimento del proprio triste destino 40.

3. L’ideale dell’areté omerica

L’analisi di Jaeger prosegue descrivendo diffusamente le qualità proprie del concetto di areté 41. Il contenuto educativo dell’epos ome-rico si incentra soprattutto su di esso 42, quale caratteristica distintiva del ceto nobiliare 43: l’uomo volgare non può esserne provvisto 44, e se

39 Cfr. il paragrafo successivo. 40 Si veda, a questo proposito, l’aspro scontro fra i due comandanti, descritto in Il.

I, 101-244. 41 JAEGER, I, pp. 49 ss. 42 Per il concetto di areté e l’ideale dell’eroe omerico, si veda quanto asserito da

ADKINS, op. cit., pp. 69-110. Egli distingue le virtù “competitive” da quelle “collabo-rative”: solo le prime sono tipiche dell’eroe, mentre le seconde sono di secondaria im-portanza. Ciò è dovuto alla preminenza del ruolo sociale rivestito dall’agathós: se-condo lo studioso, infatti, con questo attributo Omero designa non solo l’uomo che si distingue per il suo coraggio, l’abilità e la forza nel combattimento, ma anche chi di-scende da stirpe regale ed è in grado sia di procurarsi un’armatura che di godere di una certa disponibilità economica. Grazie a queste doti egli può difendere la società, che gli si affida. Per l’eroe non contano le intenzioni, ma solo il buon esito delle sue imprese: così il tenore delle performance che egli deve mantenere è molto alto e la valutazione del suo operato è affidata al giudizio del popolo. Aischrón è l’azione di-sonorevole che conduce a definire l’uomo kakós, poiché si è macchiato di elenchéie, ‘disonore’. Le virtù collaborative, invece, costituiscono solo un ornamento ed un non indispensabile complemento delle prime: in base ad esse l’eroe può essere definito pinytós, pepnýmenos, sophron, díkaios.

43 La parola areté è corradicale di áristos, ‘il migliore’, superlativo di agathós, che riferito agli eroi greci non è mai usato in senso morale, nel significato di ‘buono’: tale accezione è più recente.

44 Un esempio emblematico in questo senso è quello di Tersite, descritto come brutto, deforme ed appartenente alla moltitudine anonima dei soldati di umili origini

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

un nobile decade di rango, Zeus lo priva di metà della sua areté 45. Es-sa consiste nella capacità di perseguire i propri scopi, nel coraggio, soprattutto militare, ma in particolar modo nel sapersi conformare alle norme di condotta che lo stato ufficialmente riconosce come simbolo di virilità. Se la forza e la salute rappresentano l’areté del corpo, intel-ligenza e acutezza lo sono dell’animo: già nell’Odissea si allarga il si-gnificato del termine nel senso di ‘senno’ e ‘astuzia’, nonché di ‘arte della parola’. Se l’areté è una virtù insita nella stessa natura nobiliare, l’educazione ha lo scopo di corroborarla, destando il senso dell’obbli-go verso tale ideale, in maniera da confermarlo in continuazione. Essa si manifesta in maniera più eclatante nella singolar tenzone (che più tardi sarà definita aristéia) 46 durante la guerra, o durante i ludi ginnici in tempo di pace (si pensi a quelli in onore della morte di Patroclo) 47.

Si tratta di una qualità eminentemente sociale: Eric Dodds parla, a tal proposito, di “cultura della vergogna” (shame-culture) 48. La san-

(Il. II, 211-77). Egli rappresenta l’antitesi degli eroi omerici, anzi ne è la caricatura. Il suo aspetto esteriore rispecchia la viltà del suo animo: raramente Omero si sofferma nella descrizione fisica dei suoi personaggi, ma in questo caso si spinge anche ad e-sprimere un cocente disprezzo verso colui che mina le basi dell’organizzazione aristo-cratica, basata sul dominio di pochi eletti. Un contributo interessante su questo perso-naggio si deve ora a L. SPINA, L’oratore scriteriato, Napoli 2001. Questa agile mono-grafia ha il merito di ricostruire con originalità la storia intertestuale di Tersite, che conosce una notevole riabilitazione da parte degli autori successivi, fino a diventare il simbolo della libertà di parola. L’impopolarità determinata dalla condanna omerica sembra, infatti, averne paradossalmente favorito, quasi per contrasto, l’assunzione a mito, se non popolare, quanto meno “populistico”. Cfr. SPINA, op. cit., p. 86.

45 Od. XVII, 322. Cfr. JAEGER, I, p. 33. 46 Per JAEGER, I, p. 100, l’aristeia assolve in maniera più incisiva al compito edu-

cativo ed esortativo che il poeta si propone: infatti la singolar tenzone, proprio per il suo carattere personale, permette un coinvolgimento maggiore del pubblico, rispetto al resoconto di uno scontro collettivo.

47 La continua tensione agonistica si svolge anche in maniera retrospettiva nei confronti degli antenati: Glauco, che sta per affrontare Diomede, enumera i suoi ante-nati, rispetto ai quali sente di non poter essere da meno, poi riferisce le parole che gli furono dette dal padre prima di andare in guerra: «Ippoloco generò me, d’esser suo figlio io dichiaro, e mi inviò a Troia e molto si raccomandava, ch’io fossi sempre fra gli altri il migliore ed il più bravo» (Il. VI, 208).

48 E.R. DODDS, The Greeks and the Irrational, Berkeley-Los Angeles 1951, pp. 33-74, trad. it. I Greci e l’irrazionale, a cura di V. Vacca De Bosis, Firenze 1959. Il riconoscimento dell’intimo valore sarà un tratto tipico del filosofo, il quale non sentirà l’esigenza di ottenere la sanzione sociale della propria virtus. Jaeger afferma che «nel pensiero greco antico manca affatto un concetto paragonabile alla nostra coscienza personale» (I, p. 40).

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zione per un comportamento indegno non risiede nel senso di colpa che l’individuo prova dentro di sé 49, ma nella riprovazione da parte del proprio popolo. L’aidós (‘pudore’) spinge alla continua ricerca della pubblica stima, la gloria (kleos, che propriamente significa ‘vo-ce’, strumento di diffusione della fama) e l’onore (timé) che deriva dal pubblico riconoscimento 50. Questo si manifesta non solo nel rispetto di cui l’eroe gode presso l’esercito, ma anche, ed in misura tangibile, nella spartizione del bottino. È essenzialmente per questo che Achille si ritira dal combattimento, sentendosi ferito nel proprio prestigio so-ciale: nel momento in cui gli è tolto il suo bottino, Briseide, è come se gli fosse stato sottratto anche il riconoscimento sociale della sua virtù guerriera. Egli affermerà, in risposta ai delegati dell’esercito greco mandati per convincerlo a tornare in guerra: «Agamennone non mi persuaderà mai; né alcun altro dei Greci, credo, perché qui, evidente-mente, non c’è pubblico riconoscimento per un uomo che combatte implacabilmente il nemico» 51. Un esempio analogo di disconoscimen-to dell’onore si può rinvenire nel caso di Aiace, il più grande eroe gre-co dopo Achille, che impazzisce e poi si suicida per il disonore deri-

49 A questo proposito gli studi antropologici parlano di “società della colpa”, la

quale, tipica del mondo occidentale moderno, fa la sua comparsa in Grecia nel periodo successivo a Omero.

50 Circa la timé Jaeger scrive, sintetizzando in maniera mirabile il concetto: «Ono-re qui è l’oggettiva manifestazione sociale di una gratitudine pubblica dovuta all’uomo che ha compiuto grandi imprese per amore dell’intera comunità e per cui non esiste compenso materiale» (I, p. 42, n. 27).

51 Il. IX, 315-22. Un’interessante interpretazione di questo episodio è fornita da L. CECCARELLI, L’eroe e il suo limite, Bari 2001, che mette in luce il rapporto fra re-sponsabilità umana ed errore. Quest’ultimo andrebbe attribuito non tanto alla trasgres-sione di una regola, ma ad una valutazione inesatta, che reca come conseguenze im-mediate l’incapacità di dominare la situazione e un alto prezzo da pagare. Solo attra-verso il riconoscimento di tale errore rovinoso si giunge all’apprendimento. Un caso emblematico è costituito proprio dall’atto di hýbris con cui Agamennone, dopo aver respinto i doni di Crise, venuto a riscattare la figlia Criseide, offende addirittura lo stesso Achille: il capo dell’esercito sopravvaluta la sua posizione di comandante della spedizione, credendo di essere di fronte al sacerdote Crise, mentre in realtà offende Apollo; allo stesso modo dimentica che Achille è figlio di una dea. Che la responsabi-lità degli errori sia pienamente umana è dimostrato, secondo lo studioso, dal fatto che l’eroe rifiuta i consigli dei saggi, quale Nestore, che lo induce alla moderazione (Il. I, 275), così come il maestro di Achille, durante l’ambasciata, gli consiglierà di dimen-ticare la sua ira. Solo tardi Agamennone ammetterà il suo sbaglio, ma la sanzione sarà costituita dalla perdita di prestigio che segue le sconfitte degli Achei, come per Achil-le la morte di Patroclo. Il tema del pathei mathos e della responsabilità umana sarà ripreso dalla tragedia (cfr. infra, p. 61 s.).

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

vante dal fatto che non gli sono state assegnate le armi del defunto e-roe: l’essere soggetto al pubblico ludibrio è quanto di più disdicevole possa esservi per l’eroe greco, tanto che si reputava preferibile morire che soggiacere ad una simile umiliazione 52. Anche Ettore è un consa-pevole portatore di questa mentalità: egli va incontro al destino di morte, affrontando in duello Achille, pur di non tradire le aspettative del suo popolo, e quando durante il combattimento capisce che l’unica via di salvezza risiede nella fuga, sceglie consapevolmente di morire da prode, per non essere screditato 53.

Pertanto la forza diventa simbolo di areté solo quando è accompa-gnata dall’autocoscienza del proprio onore: è questo un tratto caratte-ristico del megalópsychos, ossia colui che sente profondamente ed ha un forte concetto di sé, per cui insegue il modello ideale di Bello, tipi-co della mentalità greca.

Marrou conduce un’interessante indagine storico-comparativa fra la mentalità dei poemi omerici e l’ideale cavalleresco d’epoca medie-vale: attraverso lo studio delle istituzioni politiche e delle consuetudini sociali dell’Iliade e dell’Odissea, lo studioso confronta l’epoca greca arcaica con quella carolingia, individuando come loro carattere con-sustanziale il fatto che «la cultura è stata in origine il privilegio di un’aristocrazia di guerrieri» 54. Gli eroi omerici sono tutt’altro che dei guerrieri brutali, assomigliano ai cavalieri medievali, caratterizzati dalla mentalità cortese; gli agoni ginnici e le esecuzioni canore degli aedi, a detta dello studioso, sembrano quasi introdurci nei castelli di re

52 A proposito della connotazione sociale dello status di agathós si veda l’opera di M. VEGETTI, L’etica degli antichi, Roma 1994. Nei primi quattro capitoli l’autore po-ne a confronto l’impostazione idealizzante ed umanistica di Jaeger con quella di stu-diosi più moderni, quali Adkins, Dodds, Havelock o Dover: mentre per lo studioso tedesco il mondo antico è espressione della perfezione raggiunta in campo morale, secondo questi autori (la cui opinione è condivisa da Vegetti) esso è ricco di contrad-dizioni e di momenti di crisi. A riprova di questa tesi egli analizza nel secondo capito-lo (pp. 13-35) la nozione di areté, tipica della società omerica. Pur essendo una virtù innata dell’agathós, la sua legittimazione deve essere continuamente rinnovata attra-verso attestazioni di valore guerriero. Vegetti, però, riconosce che il carattere agonale dell’areté eroica fa sì che spesso, in difesa della propria timé, l’eroe si scontri con quella altrui, e il caso di Achille ed Agamennone ne è l’esempio più lampante. Questa contraddizione dell’eroe omerico si fa sentire con forza proprio nell’ambito sociale, in cui deve affermarsi. Per ulteriori confronti si veda l’opera di K.J. DOVER, Greek popu-lar morality in the time of Plato aut Aristotle, Oxford 1974, trad. it. La morale popo-lare greca, a cura di L. Rossetti, Brescia 1983.

53 Il. XII, 104-110. 54 MARROU, pp. 23-4.

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Capitolo 1

Artù; i combattenti greci e troiani di fronte agli avversari rispettano i codici cavallereschi; persino Telemaco si dimostra ospitale nei con-fronti dei tracotanti Proci. Inoltre alcune figure femminili, quali Nau-sicaa o Penelope, appaiono dotate di una grazia particolare, quasi an-gelica. Tutto ciò depone a favore di una identificazione dell’eroe ome-rico con il cavaliere, somiglianza che ha indotto Marrou a parlare di «cavalleria omerica» e «medioevo omerico» 55.

4. L’eredità dell’epos omerico nella società guerriera spartana

L’erede diretta dell’educazione omerica, pur presentando evidenti

tratti autonomi, può reputarsi Sparta. Questa città sembra la depositaria del più saldo impianto educativo

dell’Ellade 56: Jaeger ne attribuisce la causa al ruolo dirigistico dello stato 57, che aveva istituzionalizzato una rigida disciplina militare 58 e

55 Ibidem. 56 Almeno tale appare dalle testimonianze presenti nello Stato dei Lacedemoni di

Senofonte; ma in quest’opera, scritta da un autore che ebbe conoscenza diretta della realtà politica di Sparta, si trova il tipico atteggiamento filospartano di un’epoca, il IV secolo a C., che confronta la grandezza passata con il declino presente. Nell’opera di Aristotele La costituzione degli Spartani, invece, si nasconde una malcelata opposi-zione allo stato spartano che, dopo la breve parentesi della guerra peloponnesiaca, a-veva conosciuto il declino e la sconfitta a Leuttra, a causa del dilagare dei costumi corrotti. Nel considerare l’opera di Plutarco sulla vita di Licurgo, invece, sarà oppor-tuno tralasciare gli aspetti più spiccatamente romanzeschi.

57 Cfr. JAEGER, I, pp. 160-1: «Quanto di più peculiare ha prodotto Sparta è il suo Stato, e lo Stato si presenta qui, per la prima volta, quale potenza educatrice in tutta l’estensione del termine».

58 Sembra opportuno, in questo contesto, tralasciare la minuziosa descrizione del sistema educativo spartano, per il quale si rimanda all’esaustiva trattazione di Marrou, pp. 42-5; quanto alle fonti classiche, si veda PLUT. Lyc. 16-7. Il corrispettivo democra-tico dell’addestramento spartano è costituito dall’efebia ateniese, le cui origini sono molto discusse, così come le analogie con la krypteia, antica istituzione lacedemone (cfr. PLUT. Lyc. 28). A questo proposito si consulti l’interessante teoria di VIDAL-NAQUET, Le chasseur noir et l’origine de l’éphébie athénienne, «Annales E. S. C.», 23, 1968, pp. 947-64 (trad. it. Il cacciatore nero e l’origine dell’efebia ateniese, in Il mito. Guida storica e critica, a cura di M. Detienne, Roma-Bari 1975, pp. 51 ss.), in cui le origini dell’efebia sono collegate alla festa delle Apaturie. Cfr. anche Marrou, pp. 147-155.

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

severe forme di vita comunitaria, tali da formare i giovani all’areté ci-vile, come si ricava dai carmi di Tirteo 59.

Il filologo tedesco, riprendendo le teorie di Müller 60, spiega l’agoghé spartana alla luce delle vicende storiche e politiche che con-dussero alla formazione dello stato lacedemone. Il carattere marcata-mente guerriero di questa civiltà sarebbe imputabile al perdurare di un continuo stato di guerra, in cui la popolazione viveva dai tempi in cui gli antenati Dori, durante le loro migrazioni, si stanziarono nell’attuale territorio, sottomettendo i popoli autoctoni. La necessità di tenere con-tinuamente sotto controllo gli Iloti avrebbe rafforzato tale atteggia-mento, estendendo l’educazione militare, fino a quel punto patrimonio esclusivo dell’aristocrazia, a tutti gli Spartiati, perché divenissero, al-l’occorrenza, guerrieri in grado di difendere la patria. Il continuo stato di guerra era anche reso necessario dal bisogno di tenere a bada le ri-vendicazioni di stampo democratico del popolo. Inoltre, dal punto di vista politico, le istituzioni spartane erano fortemente accentratrici, dal momento che la somma autorità apparteneva all’eforato, mentre l’assemblea popolare, costituita dai guerrieri, si limitava a esprimere un mero giudizio di approvazione o disapprovazione in merito alle proposte avanzate dal consiglio degli anziani. La tradizione orale sop-piantava il valore delle rhetrai (leggi), perché così l’educazione dei giovani poteva basarsi sulle consuetudini 61. La grandezza dello stato spartano in campo educativo sarebbe stata quella di aver superato l’individualismo, stabilendo un’educazione unica e uguale per tutti, frutto del perdurare di un forte vincolo collettivistico 62.

La posizione di Marrou riguardo al sistema educativo-istituzionale spartano diverge nettamente dal tono elogiativo e di approvazione con cui lo descrive Jaeger: lo studioso francese, infatti, esprime con vee-menti parole di riprovazione il proprio dissenso nei confronti del pote-

59 Cfr. infra, p. 30 s. 60 Cfr. K.O. MÜLLER, Die Dorier, Breslavia 1824. 61 PLUT. Lyc. 13, riportando un discorso di Licurgo, mostra come il legislatore a-

vesse esplicitamente vietato di scrivere le leggi e preferisse l’educazione alle leggi. 62 Ivi, 24-5: «L’educazione continuava a Sparta anche negli anni provetti. Nessu-

no, infatti, era lasciato vivere a suo piacimento, ma la città era come un accampamen-to, ove tutti seguivano un orario definito e badavano agli interessi della collettività; insomma si consideravano sempre al servizio non di se stessi, ma della patria […] In-somma abituò (scil. Licurgo) i cittadini a non volere né poter vivere da soli, ma ad essere sempre legati alla comunità e stretti l’uno al fianco dell’altro intorno al capo, come le api, quasi dimenticandosi di se stessi in un eccesso di entusiasmo e di rivalità, tutti votati al bene della patria».

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Capitolo 1

re soverchiante di uno stato di tipo totalitario. L’errore degli interpreti sarebbe scaturito non solo dalla mancanza di obiettività delle fonti, ma anche dalla stessa scarsità di testimonianze relative all’epoca arcaica.

L’educazione spartana, più che un tratto peculiare derivato dal ceppo dorico, come voleva Jaeger, sarebbe stata il prodotto di un irri-gidimento istituzionale nel momento in cui la città si sentiva minaccia-ta dai nemici interni ed esterni e cristallizzò certi caratteri arcaici, che ne determinarono la forte impronta reazionaria 63. Intorno alla metà del VI secolo, forse in seguito ad un’agitazione popolare 64, cui l’aristocrazia reagì in termini repressivi, sarebbe iniziata l’involuzione della società laconica, che fino a quel tempo si era distinta in tutti i campi dell’arte e negli agoni sportivi. Marrou riporta una ricca messe di testimonianze per avvalorare tale teoria 65. Gli elenchi dei vincitori ai giochi Olimpici e le fonti storiche 66 testimoniano l’ingente parteci-pazione spartana ai concorsi sportivi; due scuole musicali fiorirono nella città, senza contare poeti del calibro di Tirteo ed Alcmane. A partire dal VI secolo, però, vi fu un impoverimento progressivo della cultura in favore di uno sviluppo unilaterale dell’areté militare 67. An-che la musica e le attività ginniche vennero riprogrammate in funzione

63 Quanto distante sia la posizione di Jaeger è testimoniato dalle sue stesse parole:

«i recenti tentativi di dimostrare creazione di un’epoca relativamente tarda la forma classica dello Stato spartano, il cosmo liturgico, sono rimaste mere ipotesi» (I, p. 163).

64 A questo proposito si consideri quanto afferma G. GLOTZ, Histoire grecque, I, pp. 349, 372-3.

65 Marrou, pp. 38-40. 66 Cfr. THUC. I, 6, il quale ci riferisce che gli atleti spartani avevano introdotto nel-

le gare due novità: la nudità completa e l’olio per ungere i corpi. 67 Questa critica è la stessa mossa da Platone nella Repubblica. Per designare il

carattere peculiare dello stato spartano, tutto incentrato sulla nozione di onore, egli conia il termine timocrazia (Resp. 545 b6). Pur evidenziando alcuni lati positivi dello stato spartano, che lo avvicinano allo stato ideale, egli sottolinea, inoltre, il fatto che a Sparta prevale un’eccessiva unilateralità, che costringe gli uomini a vivere in uno sta-to di guerra permanente e li induce a non tener conto della formazione intellettuale, di modo che avidità, ambizione e scaltrezza divengono elementi caratteristici del giova-ne spartano, privo della guida della cultura intellettuale (Resp. 549 a9-b7). Emblema-tiche infine risultano le parole contenute in Resp. 548 b7: «un’educazione attuata non per mezzo della persuasione, ma della forza». La causa della debolezza di Sparta, se-condo Platone, come Marrou, risiede proprio in quell’educazione tanto esaltata dalle altre fonti. Questo giudizio è tanto più significativo per Jaeger, perché espresso prima ancora della disfatta di Leuttra, quando l’inizio del declino della città segnerà anche un cambiamento di rotta di tutte le precedenti voci di approvazione (JAEGER, III, pp. 566-75). Per una critica più serrata allo stato spartano si vedano le frequenti depreca-zioni presenti nei primi due libri delle Leggi di Platone.

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Il quadro dei valori eroici e aristocratici: kalokagathía ed areté

della guerra: le elegie di Tirteo accompagnavano le marce 68, la musi-ca ritmava i movimenti dei soldati 69.

La tradizione attribuisce impropriamente al solo Licurgo la realiz-zazione della costituzione 70 e l’istituzionalizzazione del sistema edu-cativo militare, ma in realtà si trattò di un lungo percorso collettivo: secondo la tradizione letteraria la costituzione di Licurgo sarebbe stata sancita dall’oracolo delfico, ma non sfugge come questo fosse un ten-tativo di consacrazione ex post, specchio di una volontà politica di i-dealizzare lo stato spartano, che aveva tentato di stabilire una norma unica di comportamento trasmissibile a tutti i giovani.

Per Marrou non c’è nulla di idealizzante in questo ideale totalitario, che egli avvicina ai regimi del XX secolo 71: tutto è sacrificato per il bene e la gloria dello stato; i giovani sono addestrati ad ogni forma di dissimulazione 72 pur di realizzare il proprio compito. La virtù fonda-mentale diviene l’obbedienza alle leggi e la devozione allo stato, il tut-to in un clima di austerità e di oscurantismo intellettuale.

Lo studioso francese conclude la sua esposizione confessando la sua stima per la Sparta del VII e VI secolo, ma anche la sua recisa condanna del comportamento della polis durante l’epoca seguente:

Sparta ha cominciato a esser dura soltanto nel momento in cui decli-nava… ha voluto rendere eterno l’istante benedetto della sua akmé precoce, s’è irrigidita gloriandosi di non cambiare… in questo atteg-giamento di rifiuto non ha più conosciuto che il culto sterile della dife-sa incomunicabile… è a misura che Sparta declina che la sua educa-zione precisa e rinforza le sue esigenze totalitarie; lungi dal vedere nella agoghé un metodo sicuro per generare grandezza, io in essa de-nuncio l’impotenza radicale di un popolo vinto che si illude 73.

68 PLAT. Leg. I, 629b. 69 PLUT. Lyc. 22: «Era uno spettacolo maestoso e terribile quello dell’esercito

spartano che marciava all’attacco al suono del flauto». 70 Il primo ad affermarlo è HER. I, 65-6, che attribuisce integralmente la costitu-

zione a Licurgo, come re storicamente esistito. 71 Marrou definisce la teoria idealizzante di Jaeger «razzistica, militaristica e tota-

litaria» (p. 47). D’altronde le tendenze antitotalitarie di Marrou sono esplicite fin dalla dedica della sua opera alla memoria di Gilbert Dru, studente francese condannato a morte nel 1944 «come membro della resistenza cristiana dagli invasori nazional-socialisti tedeschi».

72 PLUT. Lyc. 17-8. 73 MARROU, pp. 47-8.

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Capitolo 1

L’analisi di Marrou mira palesemente a dimostrare come la durez-za dei costumi non fosse connaturata a Sparta ab origine, come pre-tenderebbe Jaeger, ma che la polis peloponnesiaca avrebbe progressi-vamente accentuato il rigore del suo sistema politico e statale.

L’educazione militare spartana si serviva dell’esercizio fisico per temprare il carattere dei cittadini-soldato. Nonostante, come si è detto, tale prassi possa essere fatta risalire alla società omerica, nella concre-ta applicazione che se ne fece a Sparta è dato riscontrare non poche innovazioni: in primo luogo l’educazione è diretta all’intera cittadi-nanza, anche se essa è costituita solamente dagli invasori Spartiati; i-noltre vengono introdotti nuovi principi etici, che a loro volta compor-tano l’adozione di diverse tecniche belliche rispetto a quelle vigenti nell’epoca eroica. Il guerriero, oramai spinto da un ideale eminente-mente civico, non combatte più per affermare la propria areté, ma per difendere la sua polis: di conseguenza allo scontro singolare si sosti-tuisce l’impeto espresso dalla fanteria oplitica.

La fonte più attendibile di tale evoluzione resta il poeta elegiaco Tirteo, che operò durante le rivolte messeniche 74. Nei suoi brevi fram-menti superstiti è evidente il carattere bellico della sua poesia, con la quale egli esortava i suoi concittadini a resistere e respingere i nemici, come già i valorosi prógonoi avevano fatto ai tempi della conquista. In questo senso i suoi componimenti sono fortemente educativi, in quan-to diffondono l’idea di un’areté civile, che trova il corrispettivo mili-tare nell’introduzione della falange al posto della aristia omerica. An-che quando parla in prima persona, infatti, Tirteo si fa portavoce di tutti i cittadini e della mentalità condivisa nella sua città; apostrofa continuamente i soldati, ma lo fa perché sa che con loro e tra loro vi è una profonda intesa e perché così estrinseca la sua vena educativa.

La forma linguistica ed i contenuti guerreschi sono ripresi dall’epos, ma originale è il modo di interpretarli: in primo luogo Ome-ro si rivolgeva ad un pubblico ideale, mentre Tirteo ad uno reale, gli Spartani; in secondo luogo i racconti dell’uno erano intrisi di mito e miravano al perseguimento di valori ideali, quelli di Tirteo restano saldamente ancorati alla realtà terrena. L’ideale eroico era calato nella pólis ed ispirava amore patrio nei cittadini, educandoli alla solidarietà. Grande era il coinvolgimento emotivo che destava tale poesia, esegui-

74 A Tirteo Jaeger ha dedicato addirittura un saggio (Tyrtaios. Ueber die wahre

ARETH, «Sitzungsberichte der Akademie des Wissenschaften», Berlin 1932, pp. 537-68).

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ta con l’accompagnamento del flauto e ricca di immagini concrete, impiegate in funzione parenetica. Nel chiarire il concetto di areté, il poeta fa un elenco di tutto ciò che essa non è: non consiste in abilità ginniche e agonali, né in una grandezza e forza pari a quella dei Ci-clopi, né nella bellezza o la ricchezza, ma nel coraggio guerriero, che è bene comune per la città e per tutto il popolo 75. Chi cadrà in battaglia avrà la gloria di un ricordo imperituro; chi sopravvivrà sarà per sem-pre onorato.

La virtù è divenuta qualità politica perché rispecchia i valori dell’intero stato. È evidente lo scarto rispetto all’etica omerica. L’educazione spartana, come sostiene Jaeger, non seleziona più singo-li eroi, bensì forma una città intera di eroi. Il frammento 6 Diehl rove-scia la situazione del frammento precedente ed ipotizza che il cittadino preferisca salvarsi la vita fuggendo piuttosto che morire gloriosamente in prima fila. Costui, secondo il poeta, andrà ramingo, accompagnato ovunque dal disonore: la parenesi eroico-guerriera di stampo omerico è applicata all’ambiente collettivistico spartano, in cui la virtù indivi-duale opera all’interno dell’esercito. Nell’ampio brano superstite dell’Eunomia (frr. 2, 3ab D.) l’autore parafrasa in forma poetica l’antica costituzione spartana, in modo da “insegnare” ai suoi lettori quali fossero i fondamenti costituzionali dello stato spartano. La bontà di tale sistemazione politica è garantita dalla sua ascendenza divina, Zeus stesso l’ha voluta; a sua volta fu Apollo delfico a stabilire che l’autorità del popolo fosse limitata da quella dei re e del consiglio de-gli anziani: tale precisazione, probabilmente, era richiesta dal difficile equilibrio politico del periodo, allorché il popolo, avendo acquisito coscienza dei propri diritti, dopo la fine della guerra, costituiva un problema per la stabilità degli ordinamenti tradizionali.

Si può, in conclusione, assentire con Jaeger, quando afferma che «l’epos è addirittura la radice di tutta la cultura superiore greca» 76. In effetti la sua derivazione dall’antico canto eroico ebbe la naturale con-seguenza di indurre all’idealizzazione di tutti i suoi contenuti e di cre-are modelli forti, suscettibili di imitazione. Tutti gli altri generi lettera-ri che sorsero successivamente, quali la poesia gnomica, l’elegia o il giambo, non poterono fare a meno di calcare le sue orme, riprenden-done la forma e confrontandosi con i suoi contenuti, anche quando, come avvenne ad esempio nella poesia archilochea, giustamente defi-

75 Fr. 9 D. 76 JAEGER, II, p. 98.

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Capitolo 1

nita ‘antiomerica’ 77, deliberarono di discostarsene. Il carattere educa-tivo dell’epos si trasmise ad essi e più tardi alla tragedia, che non solo nello spirito, ma anche nel contenuto mitico è la legittima erede dei poemi omerici.

77 Archiloco appare debitore della tradizione omerica: nel fr. 1 West, infatti, af-

ferma con fierezza di essere soldato e poeta: «io sono servo del signore Enialio e co-nosco l’amabile dono delle Muse». L’originalità di questo distico consiste nell’aver posto sullo stesso piano due realtà profondamente diverse, come la poesia e la guerra, nonché nell’aver impiegato per la prima volta la prima persona, cosa impensabile per l’oggettivo verso omerico. In un altro componimento egli descrive la sua vita di solda-to secondo gli stilemi tipici del mondo guerresco, a dimostrazione dell’importanza che tale attività riveste comunque nella sua esistenza: «impastato è il mio pane nella lan-cia; nella lancia è il mio vino della Tracia; alla lancia io mi appoggio quando bevo» (frr. 2 e 4 W.). Ma Archiloco, con acuto sguardo critico, prende le distanze dall’arcaica mentalità eroica e si rende conto che in parte è stata superata: rivendica, dunque, la propria autonomia di scelta e, nel farlo, è come se insegnasse ai suoi lettori ad acquisire una certa libertà di giudizio. Non appare più prigioniero della fama e dei canoni convenzionali del giusto e dello sconveniente: in questo consiste la sua valenza paideutica, nell’esortazione alla libera scelta di vita. In un altro frammento sembra addirittura sfidare la “cultura della vergogna” e l’etica dell’onore militare, affermando che la vita è più importante di uno scudo; non si tratta di un atto di viltà, ma dell’affermazione di un forte senso di individualismo, noncurante dei luoghi comuni della tradizione: «qualcuno dei Sai si vanta del mio scudo, che presso un cespuglio, arma gloriosa, lasciai non volendo. Ma salvai la mia vita. Quello scudo, che importa? Vada in malora. Un altro ne acquisterò, non meno bello» (fr. 5 W.; il motivo, ripreso da Alceo, Anacreonte e Orazio, era destinato ad una notevole fortuna letteraria). Il poeta rifiuta anche l’ideale del comandante omerico kalós kagathós: meglio un co-mandante basso e con le gambe storte, ma che stia ben saldo in piedi e che sia dotato di coraggio (fr. 114 W.).

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