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1 LETTURA DEL PROFETA GEREMIA A CURA DEL GRUPPO BIBBIA E LAVORO ACLI-MILANO PREMESSA e INTRODUZIONE RELATIVE A GRIGLIA DI LETTURA, METODO DI LAVORO E MOTIVAZIONI VEDERE IL PROFETA ISAIA. GEREMIA 1. Schema del testo 2. Analisi storico-politica del testo - Sezione: Oracoli durante il regno di Giosia (capp 1-6) - II° Sezione: Oracoli durante il regno di Ioiakim (capp 7-20) - III° Sezione: Oracoli durante il regno di Sedecia (capp 21-33) - IV° Sezione: Vicende dell’ultimo periodo di vita di Geremia (capp 34-45) - Sezione: Oracoli contro le Nazioni (capp 46-52) 3. Sintesi delle osservazioni dei vari partecipanti al gruppo di riflessione - Premessa - Capp 1-6 - Richiami per l’oggi - Capp 7-20 - Richiami per l’oggi - Capp 21-30 - Richiami per l’oggi - Capp 30-41 - I temi principali - Richiami per l’oggi - Capp 42-52 - I temi principali - In conclusione 4. Considerazioni generali e finali 5. Appendice: Antologia di brani dei contributi individuali

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LETTURA DEL PROFETA GEREMIA

A CURA DEL GRUPPO BIBBIA E LAVORO ACLI-MILANO

PREMESSA e INTRODUZIONE RELATIVE A GRIGLIA DI LETTURA, METODO DI LAVORO E

MOTIVAZIONI VEDERE IL PROFETA ISAIA.

GEREMIA

1. Schema del testo

2. Analisi storico-politica del testo

- I° Sezione: Oracoli durante il regno di Giosia (capp 1-6)

- II° Sezione: Oracoli durante il regno di Ioiakim (capp 7-20)

- III° Sezione: Oracoli durante il regno di Sedecia (capp 21-33)

- IV° Sezione: Vicende dell’ultimo periodo di vita di Geremia (capp 34-45)

- V° Sezione: Oracoli contro le Nazioni (capp 46-52)

3. Sintesi delle osservazioni dei vari partecipanti al gruppo di riflessione

- Premessa

- Capp 1-6

- Richiami per l’oggi

- Capp 7-20

- Richiami per l’oggi

- Capp 21-30

- Richiami per l’oggi

- Capp 30-41

- I temi principali

- Richiami per l’oggi

- Capp 42-52

- I temi principali

- In conclusione

4. Considerazioni generali e finali

5. Appendice: Antologia di brani dei contributi individuali

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GRUPPO BIBBIA E LAVORO

Coordinatore:don Raffaello Ciccone

Partecipanti del Gruppo al lavoro relativo a Geremia: don Raffaello Ciccone, Mirto Boni, Teresa

Ciccolini, Lorenzo Cantù, Giorgio e Silvana Canesi, Vittorio e Mariella Villa, Beniamino Ingegneri,

Paolo Colombo, Giancarlo Ricotti, Sebastiano Gilardi.

Hanno collaborato alla stesura di Geremia: Teresa Ciccolini e Mirto Boni.

impaginazione: Giorgio e Silvana Canesi nov 2010

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LIBRO DEL PROFETA GEREMIA

1. Schema del testo

Tra i vari modi possibili di suddividere il testo, e basandosi sull’ ordine dei capitoli dell’ originale ebraico,

scegliamo uno schema approssimativamente cronologico:

- Vocazione e oracoli durante il regno di Giosia ( capp. 1-6 )

- Oracoli durante il regno di Ioiakim (capp. 7-20 )

- Oracoli durante il regno di Sedecia ( capp. 21-33 )

- Altre vicende del profeta prima e dopo la caduta di Gerusalemme ( capp. 34-45 )

- Appendici:I ) oracoli contro le Nazioni ( capp. 46-51 )

II) descrizione della caduta di Gerusalemme ( cap. 52 )

2. Analisi storico-politica del testo

I° Sezione: Oracoli durante il regno di Giosia [.capp.1-6]

Geremia è un profeta appassionato, polemico, violento nelle sue espressioni; vive in tempi duri,

drammatici, ed è convinto che le minacce e le catastrofi che incombono non siano causa di un destino

“cinico e baro “, ma piuttosto dall’ infedeltà e dall’ iniquità dello stesso popolo che le subisce. Perciò lo

dice apertamente e pubblicamente, sapendo che dalla sua predicazione profetica gli verranno senz’ altro

dei rischi e dei guai, e che d’ altronde non c’ è nemmeno ragionevolmente da sperare di riuscire a

convincere i suoi maldisposti ascoltatori.

Geremia è profeta controvoglia, in più occasioni deplorerà la propria vocazione, comunque non si sottrarrà

alla sua missione. E, come quasi sempre succede ai profeti autentici, non avrà successo: non riceverà un

qualsiasi segno di approvazione e di consenso, né da parte dei capi di Israele né dal popolo. Così la sua

biografia, che conosciamo con molti dettagli dal libro stesso che porta il suo nome, diventa la tipica

vicenda del “ bastian contrario “, sempre in rotta con l’ opinione comune ( e, apparentemente, spesso in

rotta anche con il comune buon senso ), fino a rischiare la stessa vita per essere coerente con la sua fede e

col mandato ricevuto, suo malgrado, dal Signore.

Passando all’ analisi dei primi 6 capitoli, essi iniziano con un sommarietto redazionale, che inquadra il

periodo di attività del profeta stesso, seguito da un vivace scambio di battute che ne descrive la vocazione

(cap. 1, 4-10 ). E’ un passo stupendo, in cui già si intravede il dramma che riempirà tutta la vita di

Geremia. D’ altro canto in questi pochi versetti si può anche trovare una sintetica descrizione del “

mestiere “ di profeta, come lo intende la Bibbia (cap. 1, 7-8 ), nonché l’ affermazione del valore universale

del ruolo, non limitato al popolo di Israele ( cap.1, 10 ).

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Segue un blocco di oracoli che, secondo il sommario iniziale, sarebbero stati pronunciati nel 13° anno di

Giosia ( 627 a. C. ). Questi oracoli sono costituiti da una serie di poemi, intervallati da brevi paragrafi in

prosa, che toccano sostanzialmente due temi:

- La constatazione dell’ apostasia generalizzata di Giuda, del tutto simile a quella rinfacciata dai profeti

più antichi a Israele, che riguarda tutte le categorie di cittadini, coinvolgendo ( supremo scandalo )

anche i sacerdoti. I termini sono molto aspri, e viene utilizzata soprattutto la metafora dell’ adulterio,

come già avevamo trovato in Osea.

- La previsione del castigo imminente, consistente nell’ invasione del minaccioso vicino del Nord,

descritta in tinte fosche e gran ricchezza di immagini e di particolari raccapriccianti. Questo pericolo

si fece sempre più concreto a partire dall’ anno 615 a.C., quando l’ attacco contemporaneo dei

Babilonesi e dei Medi al cuore stesso dell’ Assiria portò guerre e distruzione in tutto il Medio Oriente.

Caduta Ninive ( 612° a.C. ), il territorio occidentale dell’ ex impero assiro passò sotto il controllo dei

Babilonesi, che continuarono una politica di espansione imperialista verso Sud-Ovest, soprattutto con

l’ avvento al trono di Nabucodonosor.

Un’ ultima osservazione: a differenza del primo Isaia e dei “ profeti minori “ suoi contemporanei,

l’ingiustizia sociale non ha più la priorità fra i capi di accusa al popolo di Israele, pur essendo ancora

deplorata ( cap. 5, 25-29 ). Al tempo di Geremia la colpa più grave consisterebbe soprattutto

nell’ipocrisia e nel relativismo religioso. Da un lato ci si considera sufficientemente “ protetti “ dalla

presenza del Signore nel tempio, senza che perciò sia necessario osservare la Torah e i relativi precetti

con scrupolo e coerenza. D’ altro lato si cerca di “ tenersi buoni “ ugualmente gli dei degli altri popoli

della zona, visto che questi stessi popoli – o almeno alcuni – sembrano passarsela ancora meglio del

“popolo eletto “. Il profeta invece si sta ormai rendendo conto che i vari idoli venerati tutt’ intorno non

solo sono impotenti e inefficaci, ma addirittura non esistono. Il peccato di Giuda è quindi addirittura

doppio, unendo la mancata riconoscenza al Dio Salvatore con la stoltezza di idolatrare un “ nulla “.

II° Sezione: Oracoli durante il regno di Ioiakim (capp. 7-20)

In questo gruppo di capitoli il profeta prosegue la sua violenta critica al comportamento dei suoi

compatrioti, tra cui non salva nessuno, né i capi, né i sacerdoti, né i profeti, né la gente comune. Ogni

tanto nel testo si inserisce qualche spiraglio di speranza in una conversione, e nel conseguente perdono del

Signore, che si attuerebbe col ritorno della sovranità e della prosperità per il regno di Giuda (capp.12.14-

17, 16,14 sgg 17,12-18).Tuttavia si tratta di brevi interludi, mentre il quadro complessivo che risulta da

questi brani è sempre più fosco toccando limiti di disperazione assoluta e desolata confessione di

impotenza, di fronte all’ormai ineluttabile disastro. Sappiamo del resto che in quel periodo la pressione

della grande potenza del Nordest si fece sempre più pesante e sempre più prossima, e si sarebbe conclusa

con la prima caduta di Gerusalemme (597 a.C.), che comportò una pesante imposizione finanziaria, una

prima parziale deportazione dei cittadini più ricchi e importanti, la sostituzione del re legittimo con uno

imposto dai vincitori.

Non c’ è più niente che vada bene a Gerusalemme e nel regno. Il culto è malfatto, e mescola le

prescrizioni mosaiche ad abitudini e procedure idolatriche, come quella del sacrificio dei neonati. Il

Tempio è divenuto “ spelonca di ladri “ ( cfr. Mt 21, 13 ). I re – o i loro funzionari - amministrano lo stato

con sopraffazione e ingiustizia. I poveri sono sfruttati e oppressi, e tuttavia anch’ essi non sanno reagire in

modo giusto. I “ profeti di corte “ sono ottimisti, e ingannano sia il re che il popolo dando una falsa

sicurezza nell’ aiuto del Signore, che invece è talmente irritato contro questo stato di cose dal

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proibire allo stesso Geremia di intercedere. Chi dovrebbe provvedere al ristabilimento di un governo

corretto ed efficace si mostra assolutamente privo di iniziativa ( cfr. cap. 14 ); al contrario altri personaggi

sfuggono alle loro responsabilità dandosi ai bagordi e agli eccessi di ogni tipo. In certi momenti il profeta

è talmente esasperato dallo stato delle cose dal dubitare perfino della possibilità teorica di un

ravvedimento ( ad es. cap 13,23).

Nella tragedia generale viene anche fuori, nel corso della narrazione, il dramma personale del profeta, che

si trova schiacciato fra i sempre più esigenti comandi della Parola di Dio e la corrispondente reazione,

sempre più irritata e minacciosa, delle autorità e dello stesso popolo. Da un lato egli è costretto a operare

in continua posizione polemica, compiendo azioni simboliche provocatorie e rinunciando perfino a farsi

una famiglia ( cap. 16 ). Dall’ altra si trova esposto prima a contumelie e minacce, poi anche a vie di fatto

e a privazioni della libertà personale. Quando cerca di esporre al Signore la difficoltà della sua posizione,

riceve sì assicurazioni di solidarietà e sostegno, ma non sempre queste si traducono in provvedimenti

immediati di salvaguardia. Perfino a casa sua, nel paese natale di Anatot, non è più al sicuro; i suoi stessi

compaesani gli si rivoltano contro (cap 11,18 ; 18, sgg). E’ probabile che Luca avesse presente questi

episodi quando narra del rigetto di Gesù a Nazareth (Lc ,28-30).

Al colmo dell’ esasperazione Geremia si lamenta nei confronti del Signore con accenti degni di Giobbe.

E’ una vera e propria requisitoria contro JHWH, che lo ha “ sedotto “ e “ piegato con la forza “ (cap 20,

7-18). Tuttavia non viene mai meno la fedeltà alla Parola ricevuta, che rimane sempre l’ unica sua ragione

di vivere e operare; e non si affievolisce la fiducia nell’ aiuto dell’ Onnipotente. Il libro di Geremia è fra i

testi profetici il più ricco di riferimenti alla biografia del protagonista, il che accresce la drammaticità della

vicenda e mette ancora più in risalto la complessa psicologia del profeta.

III° Sezione: Oracoli durante il regno di Sedecia [ capp. 21-33 ]

Come spesso avviene negli scritti biblici, anche il testo definitivo di Geremia sembra essere stato ordinato

secondo il principio dell’ “ inclusione “; ciò comporta in particolare che le conclusioni più importanti del

profeta non si trovino nella parte finale del libro ( come accade generalmente nei testi moderni ), bensì al

centro. Pertanto in questi capitoli troviamo il punto più alto del messaggio dell’ autore, dove tutte le

recriminazioni e le minacce precedenti trovano uno sbocco in positivo, aprendo una inattesa luce di

serenità e di speranza.

Fino quasi agli ultimi tentativi di resistenza alla pressione dell’ avanzata dei Caldei Geremia aveva tentato

di aiutare il suo popolo e il suo re a difendere quanto restava del regno di Giuda. L’ unica cosa che lo

distingueva dai cortigiani e dai teologi “ ufficiali “ era la scelta dei mezzi per una resistenza efficace:

secondo lui non servivano le alleanze e i giri di valzer in politica estera, non serviva opprimere

ulteriormente la gente con tributi e corvées per sostenere un forte esercito. L’ arma vincente, come al

tempo dei patriarchi, doveva essere invece la conversione e il rispetto della Torah. Con tutte le

implicazioni conseguenti, in particolare riguardo al rigetto di ogni idolatria, alla purificazione del culto e

al ripristino della giustizia sociale.

Alla morte di Ioiakim la sorte di Gerusalemme era ormai segnata. Il suo successore Ioiakin resistette tre

mesi all’ assedio dei Caldei, poi la capitale si arrese. Il re fu fatto prigioniero, e deportato a Babilonia

assieme a tutta la classe dirigente e ai quadri tecnici del regno. Giuda rimase ancora formalmente un

regno indipendente, ma in realtà vassallo del re di Babilonia. Fu messo sul trono un parente del re deposto,

Sedecia. A quel punto però il profeta si rende conto che quello stato è ormai irriformabile; la corruzione

tocca tutti gli strati sociali, dal re fino ai cittadini senza mezzi e senza potere. Per questo anche pregare il

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Signore per la conservazione di quel sistema può diventare una bestemmia. D’ altro canto la caduta e

l’occupazione dello stato, compresa la “ santa “ capitale, Gerusalemme, non significano di per sè la fine

del popolo eletto e non cancellano l’ alleanza solennemente proclamata sul Sinai. E’ questa la grande

intuizione di Geremia, che sarà ripresa dal Deutero-Isaia e che troverà un singolare contrappunto a

distanza con la profezia di Ezechiele dall’ esilio di Babilonia: l’ alleanza non è intrinsecamente connessa

con l’ indipendenza politica dello stato, né con le fortune della dinastia davidica.

E’ dunque possibile ricostruire un nucleo di fedeli che continuerà a perpetuare il “ popolo di Dio “,

svincolandosi – almeno temporaneamente - da ogni preciso riferimento geografico e dinastico. A tenere

insieme questa nuova aggregazione sarà sufficiente l’ ascolto e la pratica della Parola di Dio, ormai

disponibile in forma sufficientemente organica e tramandata di generazione in generazione dai sacerdoti e

dagli scribi.

Per questo Geremia si rivolge non più soltanto agli ultimi disperati difensori della città e ai pochi

cortigiani rimasti ad attorniare il re; egli interpella direttamente gli esiliati, che ormai costituiscono colonie

importanti in Babilonia e in altre città dell’ Impero. I deportati, privati di tutto quello che prima poteva

creare una falsa sensazione di sicurezza, sono nella condizione ideale per iniziare un “ nuovo esodo “

verso la libertà da ogni forma di regime vessatorio e discriminatorio. Questo esodo inizialmente è dunque

un cammino spirituale, una “ teshuvah “ ( ritorno – conversione ) verso gli insegnamenti di Mosè,

aggiornati e ribaditi dai profeti e dai sapienti, che può essere compiuto in qualsiasi luogo si risieda e in

qualsiasi condizione economica e sociale. Quindi il profeta li esorta a non abbandonarsi alla disperazione

e alle recriminazioni, ma a organizzarsi per vivere nelle nuove sedi in modo efficace e con atteggiamento

positivo. In terra straniera sarà non solo lecito bensì doveroso metter su famiglia, lavorare, prosperare

economicamente e socialmente.

Resta viva naturalmente la speranza del ritorno anche fisico alla terra della promessa ad Abramo, quella

dove “ scorre il latte e il miele “; permane la nostalgia di Gerusalemme e del Tempio, il luogo scelto dal

Signore stesso per suo “ riposo “ ( cfr. Ps 132, 14 ). Anche un fatto “ privato “, quale l’ acquisto di un

campo nel suo paese natale, serve a Geremia per dimostrare la fiducia nella continuità della benevolenza

divina ( cap. 32,6 sgg). Tuttavia questa prospettiva non è più così essenziale e così urgente, e può essere

rinviata ad un futuro non meglio definito; da questo momento il popolo di Israele assumerà una tensione

particolare verso gli “ ultimi tempi “, che servirà ad evitare i fraintendimenti e i tradimenti in cui i padri

erano sovente caduti negli anni successivi alla gloriosa conquista della terra di Canaan.

Questa tensione si incarnerà nel concetto di Messia, l’ unto dal Signore per eccellenza, che regnerà nella

Pace secondo Giustizia. La discendenza davidica, che gli viene attribuita, diventerà poco a poco una figura

allegorica, riassumente in sé tutte le caratteristiche positive di un leader popolare: fedeltà al Signore,

osservanza della Legge, capacità di orientare la marcia del popolo verso lo sbocco della storia nel

compimento del progetto di Dio, quello delineato con la mitica settimana della Creazione.

Geremia è dunque il primo a esporre chiaramente il concetto di “ nuova ed eterna Alleanza “, che troverà

riscontro nel “ cuore di carne “ di Ezechiele e nella “ sposa riscattata e rivestita “ del secondo Isaia.

IV° Sezione: Vicende dell’ultimo periodo di vita di Geremia (capp.34-45)

Il grande poema sul futuro riscatto del regno e del popolo di Israele, contenuto nei capitoli 30 e 31, ha per

un breve momento fatto dimenticare l’ amarezza e la frustrazione del profeta per il degrado inarrestabile

della situazione. Subito dopo però la cronaca quotidiana riporta il testo alla contemplazione della miseria

del presente. Nei capitoli immediatamente successivi troviamo una serie di vicende personali del profeta,

da riferirsi a periodi e situazioni diverse, che illustrano le molteplici peripezie subite dall’ autore per poter

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continuare il proprio ministero profetico a dispetto di tutto e di tutti. Le vicende private danno un’ idea dei

rischi e delle sofferenze patite, ma anche di alcuni segnali di speranza nel futuro del popolo di Israele.

Vediamole in rapida sintesi.

La sorte di Sedecia. Al re viene preannunciata la sconfitta e la prigionia. Come tentativo estremo di

correre ai ripari, prova a mettere in pratica, almeno parzialmente, la legge della liberazione degli schiavi

(Dt 15 ); poi però, dietro pressione delle classi padronali, fa marcia indietro, irritando così ancor più il

Signore, che parla per bocca di Geremia ( cap 34).

I Recabiti. Si tratta di una tribù isolata e nomade di Israeliti, che da generazioni osserva fedelmente una

serie di precetti comportamentali assunti per voto da un antenato. Questa tribù è un esempio della non

impossibilità di osservare scrupolosamente la Torah, e perciò rende ancora più biasimevoli le continue

mancanze degli abitanti di Giuda ( cap.35).

Il rotolo bruciato. Episodio avvenuto in precedenza, sotto il re Ioiakim: Geremia aveva già allora fatto

scrivere dal suo segretario Baruc gli oracoli di minaccia per il re e il popolo in caso di ulteriori

trasgressioni della Legge. Questo rotolo venne letto nel tempio e impressionò fortemente gli uditori. Ma il

re, venuto a conoscenza, fece requisire il rotolo e lo distrusse con le sue mani, mentre il profeta e il suo

segretario dovettero nascondersi per sfuggire alle ire regali. Comunque il rotolo bruciato venne riscritto, e

costituì il nucleo del testo del presente libro ( cap.36).

Geremia imprigionato. Per la sua insistenza nel profetare l’ ira del Signore e la sventura per

Gerusalemme e la dinastia, il profeta viene imprigionato, battuto e infine isolato in fondo a un pozzo dove

rischia di morire di stenti. Una resipiscenza finale del re, consigliato da un alto funzionario timorato di

Dio, salva alla fine Geremia ( capp. 37-38).

Caduta di Gerusalemme. Sommaria descrizione della conquista finale di Gerusalemme, e dei suoi

effetti: distruzione della città e del tempio, saccheggio, cattura del re e punizione per la sua ribellione a

Nabucodonosor, deportazione dei cittadini. Viene specificato l’ ordine espresso di rispettare Geremia.

Ultime vicende di Geremia. Il profeta, che avrebbe potuto emigrare a Babilonia come ospite di riguardo,

preferisce restare con i resti del suo popolo, condividendone la sorte. Egli cercherà di organizzare il

popolo a vivere in pace con i dominatori e ristabilire una vita civile accettabile, ma i suoi consigli non

saranno seguiti. Ci saranno ancora violenze e stragi intestine fra i sopravvissuti. In particolare si

scanneranno a vicenda i sostenitori della collaborazione con i Caldei e il partito “egiziano“, che sperava

in una riscossa supportata dal Faraone. Geremia, pur non coinvolto nelle violenze, profetizzò la sconfitta

degli Egiziani e l’ assurdità di far conto sul loro aiuto. Tuttavia verrà obbligato a riparare in Egitto con

l’ultima banda di rivoltosi Giudei. Lì finirà i suoi giorni ( capp.40-44).

C’ è da sottolineare, in tutta questa sequenza di vicende sanguinose e spesso incoerenti, il persistere della

solidarietà di Geremia con la parte più povera e più debole del popolo. Avrebbe potuto emigrare a sua

volta a Babilonia, dove sarebbe stato al sicuro e avrebbe goduto di prestigio e relativo benessere; egli

preferì invece seguire fino all’ ultimo la sorte del residuo rimasto, almeno fino a quando non fu costretto

con la forza a lasciare la patria per rifugiarsi in Egitto. Quanto alle ragioni dell’ostilità del profeta nei

confronti dell’ Egitto, mi sembra di poter dire che c’ erano motivazioni politiche, culturali e simbolico-

religiose.

Le ragioni politiche derivavano da una intelligente e lungimirante analisi del momento storico: l’ Egitto

era ormai in piena decadenza, e non assolutamente in grado di reggere a uno scontro diretto contro la

potenza dei Caldei. Era dunque Babilonia la scelta che poteva garantire una permanenza pacifica nel

territorio. Le ragioni culturali erano legate alla maggiore affinità di lingua e di costumi con le regioni

mesopotamiche. Le ragioni religiose consistevano in una maggior tolleranza religiosa dell’ impero

babilonese. Inoltre non si può dimenticare che la religione ebraica e il culto di JHWH erano nate proprio

con la fuga dalla schiavitù in Egitto. Il ritornare sotto l’ ala del Faraone poteva quasi apparire come un

vero e proprio “ contro-Esodo “.

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V° Sezione: Oracoli contro le Nazioni (capp. 46-52 )

Prima di tutto c’ è un problema di testo: questa sezione, messa in coda al libro nella versione finale in

lingua ebraica ( testo Masoretico ), si trova invece più o meno alla metà del libro nell’ autorevole versione

in greco detta “ dei Settanta “. Le traduzioni attuali seguono il testo Masoretico, ma nel cap. 25,v.15-38 è

rimasta intrappolata una introduzione generale chiaramente legata ai capitoli che ora analizziamo.

Gli oracoli contro le nazioni pagane non sono una novità di Geremia; già i libri di Isaia e di Amos

riportavano analoghe sezioni, che si ritroveranno anche nel quasi contemporaneo Ezechiele e, in forma

parziale, in altri fra i cosiddetti “ profeti minori “. Evidente lo scopo di questi scritti: prima di tutto

rincuorare i credenti rimasti fedeli al Signore nonostante i rovesci politici e militari, assicurando che le

grandi e piccole potenze straniere non erano comunque né invulnerabili né indistruttibili, mentre

specularmene la debolezza e l’ oppressione di Israele non sarebbero durate in eterno. Inoltre queste

rassegne erano un mezzo per illustrare la teologia della storia interpretata dai profeti biblici. Il Signore

consentiva i momenti e di egemonia e li alternava a quelli di decadenza e di crisi sia per far vedere la Sua

alta signoria sulla storia del mondo, sia per premiare e/o punire i comportamenti virtuosi o colpevoli dei

sovrani e dei popoli.

Anche Geremia segue questo schema. Ai vari popoli citati ricorda che i rispettivi successi militari ed

economici sono stati concessi dal Signore in quanto servivano ad ammonire e a punire altri popoli

colpevoli contro JHWH. In particolare i castighi sono applicati ai figli di Israele che, avendo a

disposizione la Torah, avrebbero dovuto invece essere di buon esempio a tutti gli altri popoli. In ogni caso

la misericordia del Signore avrebbe alla fine ricondotto alla pace e alla prosperità Giuda e Israele prima di

tutto, ma anche i superstiti della altre nazioni. E’ tipico di Geremia l’ inserire un lumino di speranza nel

finale di ciascun oracolo, dopo la descrizione di orribili catastrofi e stragi.

La lista di nazioni di Geremia è leggermente variata rispetto ai più antichi profeti dell’ ottavo secolo. Ci

sono ovviamente tutte le piccole e grandi tribù confinanti con la terra di Canaan, ma è sparita l’ Assiria,

ormai cancellata dalla storia dopo l’ avvento dell’ impero Caldeo. Vengono invece menzionati altri popoli

più a oriente, come i Medi e gli Elamiti, che stanno diventando importanti per le vicende belliche di inizio

del sesto secolo. Lo stile narrativo, in prevalenza in versi, è particolarmente drammatico e sopra le righe.

Vi si coglie l’ indignazione per il comportamento inumano e spietato dei vari eserciti invasori ( che

oltretutto non rispettano nemmeno i luoghi di culto ), ma anche un certo compiacimento per la prossima

disgrazia degli attuali superbi dominatori del mondo.

Il libro di Geremia si chiude con un capitolo di narrazione storica (cap. 52), che riporta altri particolari

sulla distruzione di Gerusalemme e la sorte dei dirigenti e degli abitanti, e termina con una notizia

positiva, riguardante la cessazione del trattamento punitivo nei confronti degli ultimi resti della dinastia

davidica.

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3. SINTESI DELLE OSSERVAZIONI DEI VARI PARTECIPANTI AL

GRUPPO DI RIFLESSIONE

Libro di Geremia

PREMESSA

L’ordine dei capitoli nel libro di Geremia (52) non corrisponde alla cronologia. I capitoli 1-25

contengono all’inizio le parole del profeta stesso, dettate a Baruk e più tardi sviluppate (cfr.36,32).

Descrivono i dialoghi interiori del profeta, le sue lamentazioni, perfino la sua ribellione a JHWH che gli

ordina di annunciare il castigo a Gerusalemme.

Nel secondo gruppo di capitoli (26-45) si trovano i racconti biografici, chiari e dettagliati che, senza

dubbio, sono stati registrati da un testimone oculare, probabilmente dal suo stesso segretario Baruk.

Nell’ultimo gruppo (45-51) il profeta si rivolge ai popoli vicini: Egiziani, Filistei, Moabiti, Ammoniti,

Edomiti, Elamiti, Arabi e soprattutto Babilonesi.

Il libro di Geremia, in parte, è stato scritto almeno due volte; la versione greca infatti è più breve del testo

ebraico.

A Geremia si attribuiscono anche :

- la LETTERA DI GEREMIA, un piccolo scritto tramandato soltanto in greco, destinato ai prigionieri

ebrei in Babilonia, in cui il profeta mette in rilievo la follia dell’idolatria e dell’iconolatria.

Nella versione dei Settanta, lo scritto fa seguito alle Lamentazioni, nella Volgata forma l’ultimo (VI)

capitolo del libro di Baruk.

I protestanti la collocano tra i libri apocrifi; i cattolici nel numero dei libri deutero-canonici dell’AT. La

tradizione cattolica accetta generalmente Geremia come suo autore, anche se non si può stabilire con

certezza la data di composizione.

- e le LAMENTAZIONI, titolo di un libro della Bibbia che comprende 5 poesie.

In ebraico il titolo proviene dalla prima parola dei capp. 1,2 e 4 –EKA- , cioè “Come”.

Queste poesie sono composte in ordine alfabetico (salvo il cantico 5), e ogni strofa inizia con una delle

lettere dell’alfabeto, prese nel loro ordine.

Sono lamenti poetici sulla distruzione di Gerusalemme nel 586 a.C. La tradizione attribuisce la loro

composizione a Geremia, come risulta nella Bibbia dei Settanta, e probabilmente si basa su 2Cr 35,25

(“Geremia compose un lamento su Giosia; tutti i cantori e le cantanti lo ripetono ancora nei lamenti su

Giosia; è diventata una tradizione in Israele. Esso è inserito fra i lamenti”).

Lo stile proprio e certi elementi storici fanno pensare ad un autore posteriore che riprende il messaggio di

Geremia.

Le Lamentazioni costituiscono il IV dei ‘cinque rotoli’ del canone ebraico e sono recitate il 9 Ab, giorno

anniversario della distruzione del Tempio.

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Geremia vive in anni movimentati -dal 627 al 585 a.C.- quando il regno di Giuda è strettamente coinvolto

nella caduta definitiva dell’impero d’Assiria, nell’espansione dell’impero babilonese e nella lotta contro

l’Egitto per il possesso della Siria e della Palestina.

Per più di 40 anni condivide i drammi e le attese di Giuda, vivendo per lo più in Gerusalemme nelle più

difficili condizioni e con grandissimo coraggio, continuando ad offrire consigli ed esortazioni, pur

constatando la decadenza e il crollo della situazione politica e religiosa della nazione.

Figlio del sacerdote Hilqia, nacque fra il 650 e il 645 a.C. ad Anatot vicino a Gerusalemme, ma pare non

abbia mai esercitato il suo ministero.

Nella sua vita si possono distinguere 3 periodi:

- il I, durante il regno di Giosia, nel XIII anno del quale avrebbe ricevuto la propria vocazione e in seguito

(609) avrebbe vissuto la tragica esperienza dell’uccisione del re Giosia, il “giusto” a Meghiddo ad opera

del faraone Necao

- il II, sotto il regno di Joiakim caratterizzato dalle violente accuse ed oracoli contro la classe dirigente

(funzionari regi e sacerdoti) alla quale rimprovera di allontanare il popolo dalla fedeltà al Dio

dell’alleanza, e contro i “falsi profeti” che presentandosi come portatori della parola di Dio inducevano

invece il popolo a confidare nelle istituzioni sacre della città.

- il III, tra la prima disfatta di Gerusalemme da parte dei Babilonesi (597 a.C.) e quella definitiva del

587/6 con la conseguente distruzione della città e deportazione degli abitanti.

Geremia è un profeta appassionato, polemico e persino violento nelle sue espressioni; vive in tempi duri ,

drammatici, ed è convinto che le minacce e le catastrofi che incombono sul popolo siano causate

dall’infedeltà e dall’iniquità dello stesso popolo che lo subisce.

Egli lo predica apertamente e pubblicamente, pur sapendo che la sua predicazione profetica gli avrebbe

provocato rischi e guai e che comunque non sarebbe stato ascoltato.

Tuttavia non si sottrae alla sua missione e, anche se non avrà successo né alcun segno di approvazione e

di consenso né da parte dei capi né da parte del popolo, continuerà a tener fede alla sua vocazione di

profeta e al mandato che ha ricevuto, suo malgrado, dal Signore.

Libro di Geremia capp.1-6

Questi capitoli iniziano con un sommarietto redazionale, che inquadra il periodo di attività del profeta (1-

3), seguito da un vivace scambio di battute che ne descrive la vocazione (1,4-10).

E’ un passo stupendo che si fonda sul progetto che Dio formula per la salvezza del suo popolo:”Prima di

formarti nel grembo materno ti conoscevo, e prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito

profeta delle nazioni.”(1,4-5) e che, all’obiezione di Geremia di non saper parlare “ perché sono un

ragazzo” attraverso un gesto simbolico lo incoraggia e lo purifica consacrandolo profeta “sopra le

nazioni e sopra i regni per sradicare… demolire… abbattere.. distruggere…edificare.. piantare”. Dovrà

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essere per il suo popolo come una sentinella che vigila, controlla, corregge, ammonisce, illumina,

incoraggia a non rompere l’alleanza con Dio.

In questi pochi versetti si può trovare una sintetica descrizione del “mestiere” di profeta, come lo intende

la Bibbia (1,7-8), nonché l’affermazione del valore universale del ruolo, non limitato al popolo di Israele

(1,10).

Segue poi una serie di oracoli che, secondo il sommario iniziale sarebbero stati pronunciati nel XIII anno

di Giosia (627 a.C.) e che sono costituiti da una sequenza di poemi intervallati da brevi paragrafi in

prosa, che toccano sostanzialmente due temi:

- La constatazione dell’apostasia generalizzata di Giuda, del tutto simile a quella rinfacciata a

Israele dai profeti più antichi, che riguarda tutte le categorie di cittadini, coinvolgendo (supremo

scandalo) anche i sacerdoti. I termini sono molto aspri e utilizzano la metafora dell’adulterio,

come già aveva fatto Osea.

- La previsione del castigo imminente, costituito dall’invasione del minaccioso vicino del Nord,

descritta in tinte fosche con grande ricchezza di immagini e di particolari raccapriccianti. Questo

pericolo si fece sempre più concreto a partire dall’anno 615, quando l’attacco contemporaneo dei

Babilonesi e dei Medi al cuore stesso dell’Assiria portò guerre e distruzione in tutto il Medio

Oriente. Caduta Ninive (612), il territorio occidentale dell’ex impero assiro passò sotto il

controllo dei Babilonesi, che continuarono una politica di espansione imperialistica verso sud-

ovest, soprattutto con l’avvento al trono di Nabucodonosor.

A differenza del Primo Isaia e dei “Profeti Minori” suoi contemporanei, l’ingiustizia sociale, pur essendo

ancora deplorata (5,25-29), non ha più la priorità fra i capi d’accusa al popolo di Israele.

Al tempo di Geremia la colpa più grave consisterebbe soprattutto nell’ipocrisia e nel relativismo

religioso: da un lato ci si considera sufficientemente “protetti” dalla presenza del Signore nel Tempio,

senza che perciò sia necessario osservare la Torah e i relativi precetti con scrupolo e coerenza; dall’altro,

si cerca di “tenersi buoni” ugualmente gli dei degli altri popoli della zona, visto che questi stessi popoli –o

almeno alcuni di essi- sembrano in condizioni migliori del popolo eletto.

Il profeta invece si rende conto che i vari idoli venerati intorno non solo sono impotenti e inefficaci, ma

addirittura “non esistono”.

Il peccato di Israele è quindi doppio, poiché unisce la mancata riconoscenza al Dio Salvatore alla stoltezza

di idolatrare un “nulla”.

In quest’ottica sono da sottolineare due punti focali:

- Il Signore dà forza a chi è scelto da Lui: “non temere di fronte a loro, perché io sono con te per

salvarti” (1,5-8): renderà il suo profeta simile ad una colonna di ferro e a un muro di bronzo, ad

una città fortificata, per piegare le resistenze dei più forti

- La necessità della conversione: Il Signore però è esigente e per bocca di Geremia invita il suo

popolo alla conversione perché “non vuole conservare in eterno la sua ira” con chi lo ha tradito.

Dunque, “se vuoi ritornare Israele, oracolo del Signore, a me devi ritornare”(4,1). Il Signore

ribadisce il suo appello alla conversione, alla perfezione di fede e al giuramento nel nome di

JHWH che indica il segno della fede riaffermata.

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Richiami per l’oggi

I temi della missione profetica, dell’infedeltà ed allontanamento da Dio, della pace, della compassione

infinita di Dio e del lavoro (v. a parte), si offrono a delle connessioni con l’oggi, con i nostri programmi, i

nostri contesti e comportamenti e sollecitano alcuni spunti di riflessione:

- Anche nel nostro tempo la missione dell’evangelizzazione è contrastata da tante prese di posizione e da

correnti di pensiero più o meno debole:

quanto e come ci prepariamo a testimoniare in modo coerente le rivelazioni di salvezza che il Signore ci

ha fatto e ci fa conoscere in mille modi, senza cedere alla tentazione di mediarle ed alterarle per avere il

compiacimento dei nostri interlocutori?

- Geremia ci aiuta a capire che sono caduche le sollecitazioni umane all’illusione di poter fare a meno di

un dialogo intenso e costante con Dio. Oggi i nostri idoli sono le ricchezze, le comodità, il piacere, il

potere e il successo:

quanto ci impegniamo a prendere le distanze da questi idoli che ci costruiamo con le nostre capacità

intellettive, relazionali, inventive e progettuali, ancor più che manuali, ed ai quali rendiamo culto nelle

forme più varie?

- Oggi sappiamo che il Signore normalmente non interviene in modo diretto, ma attraverso i processi

storici e la complessità delle relazioni tra le persone ed i popoli. Il concetto di fondo, delineato da

Geremia, è che senza un rapporto positivo di attenzione al Signore ed ai suoi insegnamenti andiamo alla

deriva:

possiamo leggere le reazioni della natura e degli altri popoli ai nostri egoismi come strumenti del piano

di Dio ed ogni ricerca sfrenata di ricchezza e di potere come nostra irresponsabilità e disattesa del

comando di Dio, usando male i doni della libertà, dell’intelligenza e dell’amore?

- Il Signore, proprio perché ama il suo popolo e l’umanità intera, è incessantemente impegnato a

comunicare il suo amore e, attraverso i profeti, a sollecitare ad accogliere questa sua proposta di vita più

piena ed aperta a prospettive di costante sviluppo:

quanto siamo attenti ad accogliere ed a testimoniare questa verità che Gesù ci ha rivelato nella sua

interezza, offrendoci costanti aiuti perché la viviamo con coerenza?

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Libro di Geremia capp.7-20

Sintesi delle riflessioni del Gruppo

Questi capitoli contengono una serie di oracoli in poesia, raccordati qua e là da sezioni in prosa,

pronunciati da Geremia sotto gli ultimi re davidici di Giuda, soprattutto al tempo di Ioiakim (608-598

a.C.), in cui il profeta prosegue la sua violenta critica al comportamento dei suoi compatrioti, di cui non

salva nessuno, né i capi né i sacerdoti né i profeti né la gente comune.

Ogni tanto si inserisce nel testo qualche spiraglio di speranza in una conversione e nel conseguente

perdono del Signore, che si manifesterebbe nel ritorno della sovranità e della prosperità per il regno di

Giuda; tuttavia si tratta di brevi interludi, mentre il quadro complessivo è sempre più fosco e rasente i

limiti della disperazione assoluta e della desolata confessione di impotenza di fronte all’ormai ineluttabile

e inevitabile disastro.

Sappiamo infatti, che in quel periodo la pressione della grande potenza del Nordest si stava facendo

sempre più pesante e sempre più prossima: la prima caduta di Gerusalemme del 597 comporterà una

pesante imposizione finanziaria, una prima parziale deportazione dei cittadini più ricchi ed importanti, e la

sostituzione del re legittimo con uno imposto dai vincitori.

Non c’è più niente che vada bene a Gerusalemme e nel regno di Giuda : il culto è malfatto, perché

mescola le prescrizioni mosaiche ad abitudini e procedure idolatriche, come il sacrificio dei neonati.

Il Tempio è diventato spelonca di ladri; i re e i loro funzionari amministrano lo stato con sopraffazione e

ingiustizia; i poveri sono sfruttati e oppressi, ma anch’essi non sanno reagire in modo giusto; i “profeti di

corte” sono ottimisti e ingannano sia il re che il popolo dando una falsa sicurezza nell’aiuto del Signore,

che invece è talmente irritato contro questo stato di cose da proibire allo stesso Geremia di intercedere.

Chi dovrebbe provvedere al ristabilimento di un governo corretto ed efficace si mostra assolutamente

privo di iniziativa; altri sfuggono alle loro responsabilità dandosi a bagordi ed eccessi di ogni tipo.

In certi momenti Geremia è talmente esasperato dallo stato delle cose da dubitare persino della possibilità

teorica di un ravvedimento. Comunque l’eventuale intervento misericordioso del Signore riguarderà

semmai il gruppo dei deportati, non chi resterà a Gerusalemme, destinata alla punizione più radicale.

In questo tragico contesto emerge anche il dramma personale del profeta, che si trova schiacciato tra

sempre più esigenti comandi della Parola di Dio e la reazione, sempre più insofferente e minacciosa

delle autorità e dello stesso popolo. Da un lato egli è costretto ad operare in posizione continuamente

polemica, compiendo azioni simboliche provocatorie e rinunciando anche a formarsi una famiglia

(cap.16). Dall’altro si trova esposto prima a contumelie e minacce,poi anche a vie di fatto e a privazioni

della libertà personale.

Quando cerca di esporre al Signore la difficoltà della sua posizione, riceve sì assicurazioni di solidarietà e

di sostegno, che però raramente si traducono in provvedimenti immediati di salvaguardia: persino a casa

sua, ad Anatot, non è più al sicuro, perché i suoi stessi compaesani gli si rivoltano contro.

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Al colmo dell’esasperazione Geremia si lamenta con il Signore, con accenti che richiamano Giobbe: è una

vera e propria requisitoria contro JHWH, che lo ha “sedotto” e “piegato con la forza” (20,7-18).

Tuttavia non viene mai meno la sua fedeltà alla Parola ricevuta e la sua fiducia nell’aiuto dell’Altissimo.

Non stupisce che Geremia, uno dei massimi profeti di Israele, sia stato perseguitato: la sua parola è dura e

non si ferma di fronte alla pretesa intoccabilità dei capi religiosi; di più, non arretra di fronte alla

tradizionale intangibilità dei “luoghi santi”, prima fra tutte la città di Gerusalemme, inclusa la santità del

tempio.

Si tratta di una critica radicale, di una vera e propria demitizzazione nei confronti dell’ideologia nascosta

dietro l’affermata sacralità del luogo più alto del culto israelitico.

Il dramma del popolo, per cui il povero soffre sempre mentre l’empio appare felice è presentato da

Geremia drasticamente: la stessa religione non è in grado di intervenire, peggio, a volte diventa essa

stessa un ulteriore strumento di potere e di oppressione.

Certo, può sembrare che in Geremia prevalgano le tonalità del pessimismo e della lamentazione. Invece in

lui si incontrano il realismo di una onesta (talora) amara lettura della realtà e la limpidità di una fede

adamantina, che nulla concede ad adattamenti ed annacquamenti della Parola del Signore, e che da ultimo

rimette tutto nelle mani di Dio, incluso il giudizio sulla giustizia e sull’ingiustizia.

E’ questo il senso dell’invocazione di vendetta che troviamo ripetuta due volte (11,20; 20,12): “Signore

degli eserciti, che provi il giusto e scruti il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di essi;

poiché a te ho affidato la mia causa!”

Con queste espressioni Geremia non intende reclamare vendetta e dunque maledizione sui propri nemici.

L’atteggiamento è più profondo, per quanto inserito nel contesto e nel linguaggio del tempo: la vendetta

equivale al ripristino della giustizia, che con fede certa Geremia invoca non come il risultato di un’azione

umana (che poi sarebbe sempre ancora l’azione dei potenti), ma come azione di Dio.

Poiché solo a Dio spetta decretare il giudizio sulla storia e sugli uomini.

Interessanti sono i gesti simbolici, perché ci aiutano a capire non solo il messaggio, ma anche la posizione

del profeta:

- la cintura di lino, nascosta in una fessura nel greto del torrente e poi marcita, è indice di morte,

perché è la fine destinata a chi non aderisce a Dio (cap 13)

- i boccali di vino poi mandati in frantumi indicano il disordine e la distruzione che si abbatterà sul

paese (cap 14)

- la bottega del vasaio (cap 18) che rimodella un vaso, quindi segno di vita

- la brocca di terracotta (cap 19) che si rompe richiama ad una situazione disastrata che non si può

aggiustare

Geremia vede e vive l’orrore per il peccato di Israele nella valle del Tofet dove rimangono tracce visibili

del peccato idolatrico del popolo che aveva sacrificato…..”i loro figli e le loro figlie”(7,31)

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Richiami per l’oggi

- le modalità con cui Dio interviene nella storia dei popoli implicano una particolare attenzione e

mediazione attraverso le culture e i linguaggi, per cogliere il significato di fondo che è la coerenza con la

Parola di Dio che va ricercata e compresa nell’attualità, sulla linea della giustizia e dell’attenzione ai

soggetti deboli

- l’ipocrisia del culto e del tempio, con cui spesso si maschera l’inesistenza della fede o si sostituisce il

rapporto con Dio - con l’ostentazione del potere o con la ricerca di ammirazione - e di spettacolarità , di

cui non è indenne anche la chiesa dei nostri giorni

- la quantità e la gravità dei peccati commessi allontanano da Dio e rendono meno sensibili alle sue

comunicazioni, ma non interrompono le attenzioni del Signore ed i suoi inviti ad emendare la condotta e

le azioni

- comunque tutto quello che abbiamo e siamo viene dal Signore ed è destinato alla realizzazione del suo

progetto, perché il Signore è sempre attento e prodigo di doni per chi lo invoca con sincerità ed impiega

bene i doni avuti

- i riferimenti alla giustizia e all’equità sono il criterio della comprensione del senso delle profezie e lo

stretto nesso tra la fedeltà di Dio e le varie attività umane come pure i rapporti di Israele con le altre

nazioni possono richiamare il tema del rapporto tra fede e politica

Libro di Geremia capp 21-30

La lettura dei capp.21-30 mette in evidenza, grazie anche alla provocazione del linguaggio figurato, le

grandi difficoltà che incontra chi testimonia la verità; la consapevolezza della condizione di peccatori,

cioè di chi sceglie di allontanarsi e di rimanere lontani dal Signore; il valore primario della vita; la gravità

della pretesa di parlare in nome di Dio proprio perché si è mandati da Lui; la considerazione ed il rispetto

per il prossimo, e comunque la pace ed il progresso come promessa permanente del Signore.

Sono capitoli importanti perché contengono le conclusioni più alte del messaggio dell’autore (secondo il

principio dell’<inclusione>, per cui appunto ciò che è più significativo è collocato non alla fine del libro,

ma al centro): infatti qui tutte le recriminazioni e le minacce precedenti trovano uno sbocco in positivo,

aprendo una inattesa luce di speranza.

Il profeta infatti si rende conto che lo stato delle cose è ormai ineluttabile: la corruzione tocca tutti gli

strati sociali, dal re fino ai cittadini senza mezzi e senza potere, e ormai la caduta e l’occupazione dello

stato di Giuda compresa la sua capitale, la città ‘santa’ Gerusalemme è inevitabile.

Ma la sua grande intuizione (ripresa dal Deutero-Isaia e successivamente da Ezechiele) è che l’alleanza

non è intrinsecamente connessa con l’indipendenza politica dello stato né con le fortune della

dinastia davidica.

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E’ dunque possibile ricostruire un nucleo di fedeli che continuerà ad essere e a perpetuare il “popolo di

Dio”, svincolandosi, almeno temporaneamente, da ogni preciso riferimento geografico e dinastico: a

tenere insieme questa nuova riaggregazione sarà sufficiente l’ascolto e la pratica della Parola di Dio,

ormai disponibile in forma sufficientemente organica e tramandata di generazione in generazione dai

sacerdoti e dagli scribi.

Per questo Geremia non si rivolge più agli ultimi disperati difensori della città e ai pochi cortigiani che

attorniano il re, ma interpella direttamente gli esiliati, che ormai costituiscono colonie importanti in

Babilonia e in altre città dell’impero.

I deportati, privati di tutto quello che prima poteva creare una falsa sensazione di sicurezza, sono nella

condizione ideale per iniziare un “nuovo esodo” verso la libertà da ogni forma di regime vessatorio e

discriminatorio: è un cammino spirituale verso gli insegnamenti di Mosè, aggiornati e ribaditi dai profeti e

dai sapienti, che può essere compiuto in qualsiasi luogo e in qualsiasi condizione economica e sociale.

Questa sezione si articola in una serie di oracoli contro i re, i magistrati, i sacerdoti, i profeti, il popolo

(capp.21, 22, 23), nel discorso dell’esilio, concepito non più soltanto come castigo, ma come possibilità di

riscatto e di purificazione in previsione di un ritorno, che prima di tutto è un ritorno spirituale (capp.24 e

25), nelle vicende di Geremia , maltrattato e vituperato, che sfiora la condanna a morte, ma non si astiene

dal consigliare il re ad arrendersi al sovrano di Babilonia (capp.26,27,28), nella Lettera agli esiliati e nella

promessa di una restaurazione (capp.29 e 30).

Nei capitoli 21-24 le accuse contro il re e gli altri dirigenti di Giuda sono precise: hanno favorito

l’idolatria tra il popolo, hanno cercato i propri interessi e agito con ingiustizia, hanno cercato alleanze

sbagliate, contrarie al piano di Dio. Anche i profeti, quelli che vengono chiamati con un termine comune

“i pastori” del popolo, sono infedeli a Dio. Sono forti le invettive contro questi ultimi, perché per motivi

ignobili essi hanno sostituito i propri pensieri e le proprie parole a quelle di Dio,”i quali rubano gli uni

agli altri le mie parole”(23,30), e fanno a gara a chi parla di più.

Geremia denuncia la falsa sicurezza che si fa sul Tempio e sulla Città Santa come fossero la dimora

inviolabile di Dio, nonostante tutti i peccati e l’infedeltà di Israele

Queste denunce danno un quadro sconcertante del regno di Giuda: i re hanno fallito, la dinastia di Davide

è caduta, il gregge di Dio è decimato e disperso.

Le parole ‘sacrileghe’ pronunciate nell’atrio del tempio provocano uno scandalo e lo si vuole linciare:

“devi morire”(26,8). Geremia, alle prese con le autorità politiche e religiose, portato davanti ai magistrati,

si difende con grande coraggio: il suo comportamento è pieno di dignità e le parole che dice in propria

difesa , sono un invito alla riflessione e alla responsabilità che i suoi accusatori si assumono di fronte a

Dio al popolo (26,12-15). I giudici, avendo meno interessi concreti dei sacerdoti e dei profeti,

riconoscono che Geremia è davvero un profeta e non è pertanto condannabile, perché ha parlato a nome

del Signore Dio.

Però: in un momento in cui tutto sembrava tragicamente per finire, da Geremia si leva un segno fiducioso

e messianico: il Signore non ha detto l’ultima parola.

Sarà Dio stesso ad intervenire in favore del suo popolo: “Ecco, verranno i giorni nei quali susciterò a

Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia

sulla terra” (23,5).

Con questo oracolo di annuncio per tempi futuri, l’attenzione del profeta è rivolta a costruire il futuro più

che a demolire il passato.

Questa tensione si incarnerà nel concetto di “Messia”, l’Unto del Signore , che regnerà nella pace secondo

giustizia. La discendenza davidica che gli viene attribuita, diventerà poco a poco una figura allegorica

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riassumente in sé tutte le caratteristiche positive del fedele a JHWH: fedeltà al Signore, osservanza della

Torah, capacità di orientare il cammino della storia nel compimento del progetto di Dio

Dopo la prima deportazione (598 a.C.) Geremia interviene contro i fautori della rivincita, che pensano di

cambiare la situazione in loro favore, ma è sugli esiliati nel paese dei Caldei che si pongono tutte le

speranze di Dio per i tempi futuri. Ed è in questo futuro, che il profeta preannuncia ormai non lontano,

che Dio stabilirà una nuova alleanza con il suo popolo:”Darò loro un cuore capace di conoscermi, perché

io sono il Signore; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, se torneranno a me con tutto il

cuore”(24,7).

Il messaggio positivo di Geremia di questi capitoli si può articolare in 3 punti:

- le profezie della felicità: questi racconti, dovuti al segretario Baruch, mettono in evidenza che dalle

prove sorgerà, lentamente, il nuovo destino della nazione. Resta viva naturalmente la speranza del ritorno

alla terra della promessa ad Abramo, permane la nostalgia di Gerusalemme; tuttavia questa prospettiva

non è più così essenziale e così urgente e può essere rinviata ad un futuro non meglio definito (da questo

momento il popolo di Israele assumerà una tensione particolare verso gli ‘ultimi tempi’ che servirà ad

evitare i fraintendimenti e i tradimenti in cui i padri erano sovente caduti negli anni successivi alla

gloriosa conquista della terra di Canaan).

Si tratta del concetto della “nuova ed eterna alleanza” che troverà riscontro nel “cuore di carne” di

Ezechiele e nella “sposa riscattata e rivestita” del Secondo Isaia e che risorgerà sulle rovine dell’antica

alleanza lacerata

- la lettera agli esiliati : il profeta scrive ai deportati per aprire loro gli occhi, affinché rinuncino ai sogni

e alle nostalgie e guardino alla realtà presente: “Costruite case, seminate e mangiate i frutti, prendete

moglie e mettete al mondo figli” (29,5-6). Israele deve sopravvivere e nessuna attesa passiva è

giustificata. Quindi i profeti che non sono stati da Lui inviati, non devono trarre in errore, ma di essi si

devono sbarazzare, soprattutto di Semaià “perché ha predicato la ribellione contro il Signore” (29,32)

- il canto della speranza : se profetizza la sventura, Geremia canta anche la speranza. Quando la

situazione pare senza via di uscita, il profeta si rivolge al suo popolo, che da molto tempo sta espiando le

sue infedeltà, e lo esorta al coraggio e alla fiducia: il Signore non perde mai di vista i suoi figli dispersi.

Se punisce il popolo infedele è per purificarlo dal peccato. Dopo il pentimento il “ritorno”, l’amore di

Dio riappare grande e misericordioso: i popoli di Israele e di Giuda ritorneranno dall’esilio e i loro pianti

si trasformeranno in canti di gioia, prenderanno possesso della terra concessa ai loro padri, i paesaggi

familiari riprenderanno vita; di nuovo riunito si stringerà attorno alle sue città, al suo tempio, al suo Dio:

“Voi sarete il mio popolo e io il vostro Dio” (30,22).

Richiami per l’oggi

- L’amore per Gerusalemme e per il suo popolo mette il profeta Geremia contro tutti. Egli sa che il vero

amore sta sia nello svelare la Verità che nell’aiutare a ricercare stili di pace. Non si ama

accondiscendendo alla pigrizia ed al sopruso e illudendo il popolo che non desidera altro che di essere

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ingannato dai falsi profeti e dai venditori di menzogne, ma impegnandosi sulla ricerca della volontà di

Dio.

Si costruisce su valori etici, di cui l’unico, vero ed essenziale, è la giustizia verso coloro che non hanno

potere, che impone scelte di liberazione verso i poveri, come fa il Signore stesso.

Il vero pastore è il Signore che si fa davvero carico delle sue pecore.

- Ci sono tante deportazioni nella storia sia individuale che sociopolitica: l’importante è avvertire la

responsabilità e la solidarietà nell’impostare schemi e cuori “nuovi”, sensibili ai richiami sul futuro e su

progetti più umani e non sulle nostalgie di certezze legate ad un passato inadeguato alle nuove situazioni:

occorre davvero avere un “cuore nuovo” per imparare a “conoscere il Signore”.

Forse anche noi dobbiamo imparare a conoscere il Signore, azzerando le nostre pretese verità e rivedendo

con coraggio le nostre celate idolatrie, per porci con umiltà e disponibilità a lasciarci guidare da una

Parola che va sempre cercata e riconosciuta.

- Il “cuore nuovo” implica l’abbandono dell’egoismo e dell’interesse, che offuscano e impediscono di

vedere i diritti e i bisogni degli altri: è solo attraverso questa lente che ci si può avviare a conoscere il

Signore.

Libro di Geremia capp 30-41

Questa sezione del libro di Geremia presenta i temi della nuova alleanza, della fiducia nell’intervento di

Dio, della responsabilità delle persone e dei popoli rispetto alle conseguenze delle disobbedienze ai

comandi di Dio, della liberazione degli uomini e delle donne, del valore della vita umana e della fedeltà di

Geremia.

Inizia al cap. 30 il Libro delle consolazioni, il cui tema fondamentale è senza dubbio quello della speranza

e della fiducia e nel cap.31 l’Annuncio della nuova alleanza, come libera iniziativa di intervento da parte

di Dio per avviare un nuovo ordine di relazioni con Israele.

Questo grande poema sul futuro riscatto del regno e del popolo di Israele apre una parentesi sul discorso

generale del profeta di amarezza e di frustrazione per il degrado inarrestabile della situazione.

Di fronte agli ultimi tradimenti della Legge (Sedecia che si rimangia il provvedimento di remissione

giubilare della schiavitù) Geremia non può che ribadire la condanna del Signore e l’imminenza del

disastro: la città sarà presa e distrutta, la popolazione deportata, il re stesso fatto prigioniero e accecato.

Ci sarà comunque un “piccolo resto” tra i Giudei che scamperà all’ira del Signore, per la sua

perseveranza e la sua fedeltà: in particolare, è il caso dei Recabiti, un curioso esempio di sopravvivenza

di un tipo di vita nomade e naturale, ormai assolutamente anacronistica.

A questo punto del testo, la storia del popolo si intreccia con le vicende personali del profeta: per una serie

di capitoli seguiamo le vessazioni e le minacce che gli vengono sistematicamente inferte, sempre più

seriamente, fino a metterne in gioco la vita stessa.

Geremia, infatti, rimasto solo a sostenere il partito di sottomettersi pacificamente ai Caldei e attendere e

preparare l’eventuale riscossa con una riforma sociale e religiosa, rischia addirittura la vita: viene

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imprigionato e sarebbe addirittura stato lasciato a morire di fame senza l’intervento di un alto funzionario

di corte.

Alla fine tutto avviene come il profeta aveva predetto: sistemata la situazione politica e territoriale ad est,

Nabucodonosor torna con un agguerrito e numeroso esercito ad ovest. Gli Egiziani si ritirano e Giuda

resta senza difesa. Gerusalemme viene conquistata con la forza e questa volta non c’è pietà: la città e il

tempio sono distrutti, il re è accecato e portato in catene a Babilonia, i nobili, gli artigiani e i proprietari

sono deportati. Nel paese restano solo i poveri, e con essi anche Geremia, liberato dalla prigione e

rispettato dai Caldei.

Nel paese comunque permase una situazione piuttosto confusa, in cui rimase coinvolto anche il profeta,

che, nonostante predicasse di vivere in pace sotto l’autorità di Babilonia, si ritrovò al centro di vicende di

violenza e di distruzione.

In tutta questa sequenza di vicende sanguinose e spesso incoerenti, c’è però da sottolineare la volontà di

Geremia di stare dalla parte dei più poveri e più deboli del popolo e la sua solidarietà con essi. Avrebbe

potuto a sua volta emigrare in Babilonia, dove sarebbe stato al sicuro e avrebbe goduto di prestigio e di

un relativo benessere, ma preferì, invece, seguire fino all’ultimo la sorte di chi era rimasto; almeno fino a

quando non fu costretto con la forza a lasciare la patria per rifugiarsi in Egitto.

I TEMI PRINCIPALI

- La Nuova alleanza - Si inquadra in una promessa di Dio: quella di un’alleanza appunto “nuova” tra

Lui e il suo popolo, che instaura un nuovo ordine di relazioni con Israele: “Io porrò la mia Legge in mezzo

a loro e sul loro cuore la scriverò. Allora io sarò per essi il loro Dio ed essi saranno per me il mio

popolo”(31,33).

Geremia afferma la colpa d’Israele, ma dice anche della capacità e volontà di Dio di riallacciare i rapporti

della sua storia d’amore con l’umanità. L’aggettivo <nuova> significa un rapporto basato non più su qualcosa di quasi esteriore (tavole della legge) ma sul

“cuore”, cioè sulla persona.

Dunque la teologia della <nuova alleanza>, (ripresa poi da Gesù e dal Nuovo Testamento), al cui

fondamento sta la promessa del perdono divino, ha come cardine non più l’osservanza della legge, ma il

cambiamento del cuore umano; ed è possibile quando il popolo e l’uomo ammettono la propria incapacità

di fare il bene, ed allora interviene Dio con la sua libera iniziativa: “Io perdonerò la loro iniquità e i loro

peccati non li ricorderò”(31,34).

Geremia sottolinea la priorità di un rapporto diretto con il Signore attraverso l’ascolto e la meditazione

della sua Parola e l’attenzione alle sollecitazioni che il Suo Spirito di amore immette nel cuore di

ciascuno

- La fiducia nell’azione di Dio - “Godrò nel beneficarli, li fisserò stabilmente in questo paese con tutto

il cuore e con tutta l’anima…………Come ho mandato su questo popolo tutto questo grande male, così io

manderò su di esso tutto il bene che ho loro promesso… e si chiameranno miei testimoni…..”(32,41-43).

Qui c’è l’anticipazione non solo della promessa di una nuova alleanza, ma anche del carattere di eternità

che essa avrà per il Signore, e l’esplicita conferma che Dio rispetta pienamente la libertà delle sue creature

e del suo popolo, è attento alle loro esigenze, è pronto a perdonare le loro debolezze, opera per metterli

nella condizione di partecipare alla sua stessa vita e rispetta le loro scelte, sia nei rapporti con Lui che con

il loro prossimo.

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- La liberazione degli uomini e dei popoli - “Io ho concluso un’alleanza con i vostri padri, quando li

ho fatti uscire dal paese d’Egitto, da una condizione servile, dicendo: al compiersi dei sette anni

rimanderà ognuno il suo fratello ebreo che si sarà venduto a te; egli ti servirà sei anni, quindi lo

rimanderai libero, disimpegnato da te. Ma i vostri padri non mi ascoltarono e non mi prestarono

orecchio”(34,12-15).

La liberazione degli uomini e dei popoli è un bene da condividere; le attenzioni e la misericordia con cui

il Signore gratuitamente si rapporta alle persone e ai popoli, costituiscono degli insegnamenti da

apprendere, dei criteri per le scelte di vita e degli esempi da seguire nei rapporti con il prossimo.

- La superficialità con cui gli uomini e le donne vivono l’alleanza con Dio - E’ proprio la facilità con

cui Israele, nelle sue diverse fasi storiche, ha aderito alle Parole del Signore, ma anche l’immediatezza con

cui ha disatteso gli impegni assunti, la superficialità dell’adesione a Lui, che ha impedito agli Israeliti di

comprendere, accogliere ed essere fedeli ai doni del Signore, esponendoli alla paura ed alle dinamiche

con cui essa riduce le capacità e le sfere di iniziativa. (v.34,16-18).

- Il valore della vita umana e la precarietà delle città - Il continuo richiamo alla distruzione di

Gerusalemme e alla strage che ne seguirà è direttamente correlato all’invito ad evitarle con la consegna

ai Caldei; invito costantemente disatteso, dovuto all’infedeltà all’ascolto della Parola del Signore, che per

questo interverrà con la sua punizione (37,6-10).

Richiami per l’oggi

Tutto il libro di Geremia è stato riletto dai cristiani in trasparenza della vicenda di Gesù e dell’evangelo

che ha portato agli uomini: il rapporto con Dio, che è Padre misericordioso, va ribaltato. Dio non vuole

gente che esegue degli ordini, ma persone che liberamente sollecitate entrano in un rapporto di amicizia e

di amore con Lui, in fiducia e fedeltà.

Perciò, per noi, ancor più degli Israeliti, la tepidezza e l’incostanza del rapporto con il Signore espongono

alle sollecitazioni dell’autoreferenzialità, della presunzione di poter fare a meno di essere attenti alla Sua

Parola, perché la si dà quasi per scontata.

E’ anche fortemente presente il tema della libertà e delle responsabilità personali e collettive rispetto alle

omissioni e al mancato ascolto della Parola del Signore, nonchè agli effetti della mancata efficacia della

Sua presenza nella storia.

Sono temi ripresi ampiamente e sviluppati nel Nuovo Testamento, ancora molto attuali, che la Chiesa

fatica tuttora a rapportare al nostro contesto storico.

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Libro di Geremia capp 42-52

Questi ultimi capitoli del libro di Geremia si possono dividere in due sezioni:

- la prima (capp 42-45) continua e completa la storia delle vicende di Geremia , sempre più solo a

sostenere la tesi dell’obbedienza agli oracoli divini, in sostanza la pace.

Dopo l’uccisione di Godolia, è chiaro che ci si debba aspettare la reazione del governo babilonese. Per

l’ennesima volta Geremia viene interpellato perché consulti il Signore sul “che fare”. E per l’ennesima

volta il profeta riferisce la risposta dell’Altissimo, che naturalmente non piace ai capi del popolo e viene

quindi rifiutata.

E’ singolare questo atteggiamento contraddittorio, che attraversa tutte le classi sociali di Israele: hanno

bisogno di consiglio, non possono fare a meno di un profeta, e tuttavia mantengono una radicale sfiducia

nei suoi confronti, e, di riflesso, nei confronti del Signore.

Così viene respinta la proposta di accordarsi con i Caldei e ricostruire una comunità viva e fiorente in

Babilonia, e si opta per continuare l’opposizione ai vincitori, confidando sull’appoggio dell’Egitto.

Verremo poi a sapere che non sarà l’Egitto a creare fastidi a Nabucodonosor, ma, al contrario, l’Egitto

stesso sarà sconfitto e invaso dal grande re babilonese.

Geremia, che probabilmente avrebbe potuto rifugiarsi presso i Caldei che lo rispettavano, preferisce

seguire la sorte del suo popolo, per cui emigrerà in Egitto dove certamente non era ben visto. Il testo non

riferisce nulla sulla sua fine, ma la tradizione lo vuole ucciso in Egitto. Si salverà il suo discepolo Baruc,

uno dei pochi che non l’avevano mai tradito (v.cap.45).

- La seconda (capp 46-51) contiene una serie di “oracoli contro le nazioni”, una serie di previsioni di

sventura per i vari popoli e staterelli che circondano Israele, oltre, naturalmente, le due super-potenze –

Babilonia ed Egitto-.

Rispetto ai molti altri profeti che contengono sezioni analoghe, più o meno complete e dettagliate, questa

manca del riferimento all’Assiria , ormai inglobata nell’impero babilonese, e all’Etiopia, citate invece da

Isaia.

Evidentemente questi brani servivano per riequilibrare le dure minacce e le terribili profezie pronunciate

dai profeti contro il loro stesso popolo, ma soprattutto per riaffermare che il Dio d’Israele avrebbe punito a

tempo debito anche le colpe e le sopraffazioni dei potenti di turno.

- L’ultimo capitolo (cap 52) è una specie di sintesi storica per far terminare il libro con una nota almeno

parzialmente positiva.

Può essere interessante cercare di capire le ragioni della scelta (naturalmente ispirata dallo Spirito) in

favore di Babilonia e contro l’Egitto, che sono politiche, culturali e simbolico-religiose:

- le motivazioni politiche derivano da una intelligente e lungimirante analisi del momento storico: l’Egitto

era da tempo in grave crisi e non si intravedevano segnali di un possibile ritorno all’antica potenza,

mentre Babilonia poteva assicurare maggiore stabilità e pace interna

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- le motivazioni culturali sono legate ad una maggiore affinità di lingua e di costumi con le popolazioni

mesopotamiche (anch’esse semite), ed anche ad una maggiore tolleranza religiosa, che si accrescerà

sempre più sotto l’imminente dominio persiano

- le motivazioni religiose: il culto di JHWH era nato con l’uscita del popolo ebreo dall’Egitto e un ritorno

massiccio in direzione contraria poteva in un certo senso simboleggiare un ritorno indietro e una

sconfessione dell’evento fondante del Giudaismo: l’Esodo.

I TEMI PRINCIPALI

Un primo tema è quello della Signoria di Dio che i testi biblici spesso indicano con l’espressione “Dio

degli eserciti”, riconoscendo in Lui la guida di tutte le campagne e manovre militari. Geremia, in

particolare, a questo proposito usa con insistenza il verbo “ispirare” che ci aiuta a capire come

l’intervento di Dio nei rapporti tra le nazioni avvenga attraverso gli uomini. Dio è il protagonista che

determina l’esito ed il senso storico degli eventi; il suo ruolo è però quello del regista più che del

condottiero che dirige le truppe e le azioni militari; le responsabilità invece delle modalità di espressione

della forza e delle violenze appartengono alle persone che le compiono, non al Signore.

Un secondo tema è quello del rapporto di Dio con i popoli che emerge in modo forte in questi capitoli

finali di Geremia: potrebbe far pensare alla natura sociale e alla vocazione politica degli uomini e delle

donne: una natura ed una vocazione che essi sono chiamati ad esprimere attraverso l’impegno attivo ad

essere attenti alle persone che incontrano, a sviluppare relazioni interpersonali, a costruire città ed a

governare comunità.

Il Signore non dimentica mai l’alleanza con il suo popolo da cui pretende ascolto e fedeltà, come pure gli

altri popoli, che spesso vengono presentati come strumento della volontà del Signore.

Un terzo tema è quello dei modi con cui Israele strumentalizza il suo rapporto con il Signore, quando gli

chiede di indicargli la via e che cosa deve fare, ma non lo fanno con il cuore, perciò alla prima occasione

tornano a sacrificare agli idoli e a provocare altezzosamente Geremia (42; 44).

Un quarto tema è quello relativo alle punizioni e alle disobbedienze al Signore che Geremia descrive

come distruzione della vita delle persone e delle città. Quando l’uomo si allontana da Dio perde la facoltà

di essere fattore di sviluppo umano, economico e sociale. Tutto si inaridisce e perde senso, non si

riconoscono più le funzioni nella storia delle persone e del popolo.

Sono significativi tuttavia gli accenni ad una speranza, ad un’apertura verso la gioia, perché l’esilio sta per

finire e il popolo ritornerà al suo Dio “pascolo di giustizia e speranza dei loro padri”, che farà giungere

anche il suo perdono “perché io perdonerò a quanti lascerò superstiti”(50.18-20); anche se vi sarà

vendetta contro gli sterminatori di Israele, la misericordia di Dio si manifesterà verso di essi “ma io

cambierò la sorte di Moab negli ultimi giorni”(48; 49).

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IN CONCLUSIONE

La storia del piccolo regno d Giuda si intreccia con la storia personale del profeta: egli segue e nello stesso

tempo è travolto dagli avvenimenti. Legge la storia del suo popolo attraverso i fatti politici e militari e

attribuisce, secondo la riflessione del suo tempo, successi e sconfitte alla fedeltà o meno del suo popolo a

Dio. Così la sua interpretazione della storia lo pone sempre in contrapposizione al potere, ai “profeti di

corte”, alle attese rivendicazionistiche di un popolo che pretende continuamente la libertà strutturando le

proprie scelte su furbizie e complotti di parte. Il profeta arriva addirittura a farsi nemico del Tempio,

rinnegandolo e denunciando la sua insignificanza di fronte al continuo e pervicace rifiuto di Dio: “Se vuoi

ritornare, o Israele, -dice il Signore- a me dovrai tornare. Se rigetterai i tuoi abomini, non dovrai più

vagare lontano da me. Il tuo giuramento sarà: ‘Per la vita del Signore, con verità, rettitudine e giustizia.

Allora i popoli si diranno benedetti da te e di te si vanteranno”(7,1-2)

Il culto per avere valore segue e corona uno stile di vita corretto e coerente, che esprime l’amicizia e

l’ubbidienza a Dio nella fedeltà di ogni giorno. E la coerenza acquista il volto di responsabilità personali

e sociali: ”Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere commettere adulterio,

giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate. Poi venite e vi presentate

alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: siamo salvi! Per poi compiere tutti

questi abomini”(7,8-10)

Il peccato contro la fedeltà a Dio non si esaurisce in singoli gesti di peccato, ma coinvolge tutta una vita

nel rifiuto a Dio e nell’accettazione della idolatria.

L’esperienza di Geremia porta a scoprire la forza di Dio e la caparbietà dell’uomo. Da questo scontro

nasce la sconfitta, ma anche la scoperta che Dio non abbandona. Il peccato del popolo di Dio, riassunto

nell’idolatria, viene perciò continuamente assomigliato ad un adulterio: lo sposo viene abbandonato,

mentre vengono accettati gli amanti.

Il profeta sviluppa il tema dell’Alleanza in termini di rapporto personale: non più il cuore di pietra, ma un

cuore di carne, sensibile, capace di riferirsi a Dio e agli altri con il cuore di chi ama sinceramente e

totalmente. Ma richiama decisamente le responsabilità di ciascuno di fronte al male: nell’Alleanza Nuova

sono in gioco una legge e una coscienza personale, per cui ciascuno è chiamato in causa personalmente

nella scelta della gioia e della fedeltà.

Certo, Dio vuole il bene dei suoi fedeli ed è sempre disposto al perdono, ma richiede ai suoi una

collaborazione drammatica, una fiducia totale e una disponibilità sempre pronta alla Sua Parola e alla Sua

Presenza.

4. Considerazioni generali e finali

Al termine dell’analisi di un testo lungo e complesso come quello di Geremia, non è facile trovare un

“motivo chiave” che caratterizzi questo libro, sia in assoluto che confrontandolo con gli altri testi

profetici. Cercheremo comunque di estrarre e sottolineare alcuni temi che sembrano ritornare lungo tutto

il testo, a ondate successive. Prima però occorre fare un paio di considerazioni sulla struttura stessa del

libro, che pure presenta dei problemi.

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Intanto si osservi che in Geremia le vicissitudini biografiche del profeta sono dappertutto intrecciate con

gli argomenti della sua predicazione e gli oracoli che trasmette. Ciò non avviene, almeno in modo così

insistito e diffuso, per gli altri profeti scrittori. Nessun altro esprime un’ angoscia paragonabile alla sua, in

una continua verifica della paradossale e assurda contraddizione che lo perseguita. Da un lato sia i

governanti che il popolo esigono i suoi responsi di profeta, lo interpellano e lo obbligano a pronunciarsi.

Dall’ altro lato i suoi oracoli/ consigli vengono regolarmente rifiutati, lo si accusa di malafede e lo si

perseguita fino a minacciarne la morte. Nello stesso tempo il Signore, che pure sta sempre dalla parte del

suo profeta, lo spinge insistentemente a parlare ma raramente gli dà una mano per toglierlo dai guai.

Per questo riteniamo che il “ genere letterario “ del libro abbia influenzato più degli altri anche gli autori

dei Vangeli canonici, in particolare i Sinottici, che hanno inserito gli insegnamenti di Gesù nella

narrazione del Suo avvicinamento a Gerusalemme, e della inevitabile conclusione con la Passione.

Un’ altra caratteristica del testo è l’ apparente scoordinazione tra i vari brani: si passa da un argomento

all’altro in modo improvviso, poi si riprende il tema precedente. D’ altronde neppure si segue l’ordine

cronologico dei fatti, anzi si torna indietro sovente nella narrazione, tanto che è facile confondere un re

con l’ altro tra i suoi antagonisti. Esistono addirittura due versioni, entrambe antiche e autorevoli, riguardo

alla sequenza dei capitoli. A parte differenze minori, ma comunque rimarchevoli, la versione ufficiale

ebraica ( masoretica ) mette in fondo al libro gli oracoli contro le nazioni pagane, che invece la versione

greca dei LXX mette quasi al centro.

Forse la spiegazione sta nell’enfasi diversa che i vari argomenti avevano nelle rispettive epoche di

composizione, tenendo conto il frequente uso nella Bibbia dello schema “ concentrico “, per cui

l’argomento più importante e pressante si metteva in posizione centrale. L’ odio verso gli stranieri era più

cocente e urgente nell’epoca ellenistica, quando fu stesa la versione greca, che mise questi oracoli in

posizione più eminente. C’ era allora la repressione sia politica che “ culturale “ dei Seleucidi. Invece

nell’alto medioevo, quando operavano i masoreti, la condizione di diaspora era ormai accettata dagli

Ebrei, e la prospettiva messianica sembrava l’ unico sbocco possibile per un ritorno del regno di Israele.

Passando ai contenuti, e preso atto del frequente altalenare di oracoli di sventura e morte con squarci di

speranza in un, sia pure non prossimo, lieto fine, possiamo identificare tre motivazioni fondamentali per

la condanna e la conseguente tragica fine della dinastia davidica, e tre ragioni di speranza per alimentare

delle prospettive di riscatto.

° Una prima imputazione è il sincretismo religioso, problema che serpeggia qua e là in tutta la storia del

popolo di Israele, ma che doveva essere particolarmente marcato ai tempi di Geremia, quando il piccolo e

povero regno di Giuda sembrava completamente soverchiato dalla forza militare ed economica, nonché

dalla cultura dei potenti vicini. Del resto perché meravigliarsi? Basta osservare al giorno d’ oggi il

successo, in tanti paesi e culture diverse, delle sette e delle filosofie di matrice statunitense, diffuse coi

mezzi di comunicazione più all’ avanguardia.

° Una seconda accusa, non certo nuova, è l’ ingiustizia sociale. Le denunce dei profeti più antichi non

avevano avuto gran seguito. Il testo della Torah si andava man mano arricchendo di precetti in favore dei

più deboli e indifesi, ma non erano certo quelli i comandamenti più scrupolosamente osservati. La

predicazione di Geremia contribuirà in modo sostanziale alla cosiddetta “ tradizione deuteronomista “.

Tuttavia anche in seguito la situazione non sarebbe granché migliorata, e lo testimoniano anche i Vangeli

– soprattutto Luca – e altri libri del NT.

° Un terzo aspetto negativo, per il giudizio del profeta, è la presunzione della classe dirigente ( ma

probabilmente accettata anche fra il popolo ) nel puntare tutto sulla “ politica di potenza “, anziché sul

rispetto della Torah. Questo tipo di argomentazione è più difficile da comprendere oggigiorno, nell’attuale

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concezione di laicità dello stato e di accettazione pacifica della coesistenza fra diverse opinioni filosofiche

e religiose. Resta il fatto che all’ epoca era considerata una grave mancanza di fiducia – quindi anche di

rispetto – nei confronti dell’ Alleanza col Signore. E c’ è anche da dire che alla testa di chi preferiva la

soluzione “ politica “ si trovavano allora – e si trovano anche oggi – gli interessi dei capi dell’ esercito e

dell’ industria bellica ( già esistente, anche se non importante come ai nostri giorni ).

Per riassumere, il profeta apparentemente sembra consigliare l’ arrendevolezza verso il più forte e un certo

collaborazionismo; in realtà sta suggerendo la via della non-violenza e della resistenza passiva, ben

sapendo che, presto o tardi, gli imperi fondati sull’ oppressione entrano in crisi e si sfaldano.

Quanto alle motivazioni per attendersi prospettive migliori, la prima e fondamentale è la fiducia nella

promessa, fatta dal Signore ad Abramo e rinnovata in varie occasioni. In questo Geremia non si discosta

dalla dottrina e dalla prassi di tutti i profeti biblici ( e non solo gli “ scrittori “ ).

Più specifica di Geremia e del suo tempo è la considerazione che la libertà e la prosperità promesse dal

Signore possono trovare spazio anche prescindendo dall’ indipendenza politica. Quest’ ultima

condizione resta sempre desiderabile, anche per poter svolgere con efficacia e credibilità il compito “

sacerdotale “ affidato al popolo di Dio, ma sui tempi e le modalità c’ è maggiore elasticità e meno

urgenza. A questa rivoluzionaria evoluzione del pensiero “ politico “ avrà certamente contribuito la

tolleranza religiosa che si veniva man mano rafforzando nei grandi imperi mediorientali.

Infine il profeta interpretava in modo positivo anche miglioramenti relativamente piccoli

nell’atteggiamento dei vincitori, che davano comunque spazio a una pacifica e prospera convivenza degli

Ebrei della diaspora con i popoli ospitanti. Il saper leggere i “ segnali deboli “ è da sempre una delle

caratteristiche dei profeti biblici, ed anche Geremia non fa eccezione.

Queste intuizioni di Geremia troveranno riscontro e sviluppo nei due grandi profeti immediatamente

successivi, il di poco più giovane Ezechiele e l’ ignoto autore della seconda parte di Isaia ( Deutero-

Isaia).

Per concludere, mi sembra di poter affermare che dal punto di vista umano la principale caratteristica

propria di Geremia sia la solidarietà completa e continua col suo popolo, in ogni vicissitudine storica di

quegli anni tumultuosi. Egli proviene da una famiglia di notabili benestanti, può godere dell’ amicizia di

personaggi influenti e del rispetto tributatogli dagli stessi invasori; tuttavia non cercherà mai di

approfittare delle sue entrature per salvare sè stesso, lasciando l’ ingrato popolo di Giuda al suo destino.

La sua ispirazione profetica, unita a una notevole lungimiranza politica e capacità di analisi storica, gli

fanno perfettamente intuire il baratro in cui la maggioranza dei Giudei sta precipitando, ma ciò nonostante

continua a rimanere con la sua gente.

Dal punto di vista teologico Geremia rappresenta uno dei vertici della concezione del profeta come “ servo

sofferente “ di JHWH; in altre parole, è un’ incarnazione storica della misteriosa figura che appare nei

canti del Deutero-Isaia.Tutto il contrario del profeta invincibile e sterminatore dei cattivi, come ad

esempio il giovane David o l’ Elia del Carmelo. Anche per questo i Vangeli si sono spesso riferiti a

Geremia come “ figura “ di Gesù di Nazareth.

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5. Appendice: Antologia di brani dei contributi individuali

La vocazione di Geremia nasce su un progetto che Dio formula per la salvezza del suo popolo:”Prima di

formati nel grembo materno ti conoscevo e prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito

profeta delle nazioni” (1,4-5).

Il profeta si sente incapace di portare la parola di Dio e perciò, come Mosé e come Isaia, ha bisogno delle

rassicurazioni di Dio. Il gesto del toccare le labbra richiama la purificazione e la consacrazione ad una

comunicazione alta.

Il mandorlo, in ebraico, è richiamato da una parola che assomiglia a ”vigilante”. Le due visioni perciò si

richiamano a vicenda: un nemico sta per arrivare da settentrione, e una grande capacità di attenzione deve

aiutare il popolo a scoprire che è necessaria una conversione del cuore.

I richiami della giovinezza di Israele corrispondono al tempo del deserto: per la ingrata terra di morte che

il Signore ha fatto attraversare sostenendo il suo popolo e conducendolo in una terra di giardino (2,7).

Entrare nella terra senza la purificazione del cuore significa contaminare la terra stessa: i sacerdoti, i

detentori della legge, i pastori, i profeti non hanno riconosciuto il Signore e hanno seguito i falsi dei. Il

richiamo al giudizio, al cospetto del popolo stesso, noto anche ad Isaia, (5,1ss) con il processo alla vigna

del Signore, ricorda l'ingiustizia che si sta verificando nella discendenza. Viene fatto il confronto tra

questo popolo che abbandona il suo Dio e popoli pagani d'occidente che invece restano fedeli a ciò che

non è Dio (2,11).

Il contrasto tra la scelta di Dio e l'accettazione dell'impero del popoli pagani ricorda, sul tema dell'acqua,

una decisione assurda: abbandonare le sorgenti di acqua, e scavarsi cisterne screpolate che non tengono

l'acqua (2,13). È molto chiaro il desiderio di Dio: egli vuole che il proprio popolo sia libero e vengono

quasi denunciate con lo stupore di Dio le decisioni cercate e desiderate di schiavitù.

Immagine più ricorrente è quella della prostituzione, poi quella della inutilità e insignificanza di questi

nuovi dei, dell'impotenza a salvare questo popolo dalla schiavitù

Un richiamo ardito si rifà agli ornamenti di una vergine e alla cintura di una sposa per parlare di Dio

legato al suo popolo.

Il dramma di Dio si consuma nell'amore al suo popolo, nella consapevolezza della sua ingratitudine,

superficialità e malvagità e insieme nel castigo che gli viene, in un certo senso, strappato di mano perché

”sono tutti i ribelli, spargono calunnie, tutti sono corrotti” (6,28).

__________

Sul lavoro, i versetti che hanno stimolato le mie riflessioni sono stati in particolare:

- 3,3 “ Per questo sono state fermate le piogge e gli scrosci di primavera non sono venuti.”

- 4,3 “ ... Dissodatevi un terreno incolto e non seminate tra le spine”.

- 5,24-25 “...Temiamo il Signore Dio nostro che elargisce la pioggia d’autunno e quella di

primavera a suo temo, ha fissato le settimane per la messe e ce le mantiene costanti. Le vostre

iniquità hanno sconvolto queste cose e tengono lontano il benessere”.

La prima e la terza frase mi hanno richiamato il ruolo centrale di Dio rispetto alla produttività del lavoro,

immediatamente percepibile in agricoltura, ma che é centrale in tutti i settori produttivi; la seconda frase

mi ha invece fatto pensare all’importanza di applicarci con intelligenza al lavoro, perché esso sia più

produttivo.

Sono solo pochi riferimenti, non certo centrali in questi primi sei capitoli di Geremia, che mi hanno però

stimolato a riflettere sul senso del lavoro che il Signore propone di vivere e ad interrogarmi se esso non

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sia quello di orientare al bene comune le capacità di cura, trasformazione e distribuzione di beni e servizi

che possono rispondere ai bisogni materiali, culturali e sociali delle persone e delle comunità.

In quest’ottica il lavoro non sarebbe un’attività destinata solo ad alcune categorie sociali, come lo

considerava la cultura greca e come, seppur in termini assai diversi, vi abbiamo fatto riferimento

noi;sarebbe invece un’attività alla quale, seppure in forme diverse, tutte le persone sono chiamate ad

esercitare con le loro specifiche capacità ed attitudini e con i contenuti professionali resi possibili dal

progresso scientifico e dalle sue applicazioni scientifiche ed organizzative. Un’attività quindi che si

caratterizza e si qualifica per lo spirito con cui é compiuta.

__________

Geremia è un profeta la cui missione, nei piani di Dio, inizia prima ancora della nascita.

Di questo prende coscienza, quando era poco più che bambino e questo lo fa tremare, poiché si sente un

semplice, non sa parlare, si sente incapace di adempiere la missione che gli è affidata, ma dalla garanzia

della protezione di Dio, riceve forza e coraggio per affrontare tutte le difficoltà cui andrà incontro.

Dio si assume tutta la responsabilità di quello che dirà: porrà sulle sue labbra quello che dovrà dire, gli

darà forza per dirlo: «Non dire: sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti

ordinerò. (1,7). Attraverso la parola, il profeta adempirà alla sua missione di: «Sradicare e demolire,

distruggere e abbattere, edificare e piantare» (1,10).

A Geremia gli viene detto di rimanere fedele alla missione ricevuta, altrimenti Dio sarebbe diventato per

lui motivo di spavento: «Tu poi, cingiti i fianchi, alzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti

alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro» (1,17).

Ma nella promessa, “Ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”

(1,19) il profeta Geremia, oltre ad avere la garanzia della protezione divina, sente la forza della sua

vocazione. Dio aiuta quelli che ha scelti per il suo servizio.

Ora la sua vocazione è chiara: Geremia, sente la voce di Dio che lo chiama ad essere il profeta del suo

popolo, “l’amico dei suoi fratelli”. Sa che dovrà avere a che fare con i responsabili che hanno deviato il

popolo: re, capi politici, sacerdoti, stranieri.

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Viene citato il lavoro nel cap. 10,3 come esempio di un legno che “tagliato nel bosco, prodotto dalle mani

di chi lavora con l’ascia” viene bruciato e finisce in nulla, come l’oggetto adorato dal popolo.

Ancora, nel cap. 12 si racconta che a causa dell’ira del Signore “ hanno seminato frumento, hanno

raccolto spine; si sono affaticati ma senza profitto, si vergognano dei loro raccolti”

Nel cap. 16 vengono citati pescatori e cacciatori come immagine di giudizio e di castigo, nei confronti di

Israele, che indica esilio e deportazione.

Poi vi è un accenno al sabato, come giorno del Signore, invitando il popolo a non fare opere servili

proibite il giorno di sabato.

E infine nel cap. 18 il «simbolo» del vasaio, che stava facendo un lavoro al tornio ma il lavoro non riesce

e il vaso si rovina. Il vasaio deve ricominciare da capo con nuovo materiale.

Il profeta con questo «simbolo» vuole offrire l’occasione per una riflessione sulla libertà e sulla grazia di

Dio e sulla responsabilità umana nel guastare il progetto di Dio.

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Certo, può sembrare che in Geremia prevalgano le tonalità del pessimismo e della lamentazione. Ma forse

è più corretto dire che in Geremia si incontrano il realismo di una onesta (e talora amara) lettura della

realtà e la limpidità di una fede adamantina, che nulla concede a adattamenti e annacquamenti della parola

del Signore, e che da ultimo rimette tutto nelle mani di Dio, incluso il giudizio sulla giustizia e

sull’ingiustizia. E’ questo il senso dell’invocazione di vendetta, che troviamo ripetuta due volte (Ger

11,20; 20,12): «Signore degli eserciti, che provi il giusto e scruti il cuore e la mente, possa io vedere la

tua vendetta su di essi; poiché a te ho affidato la mia causa!». Con queste espressioni Geremia non

intende reclamare vendetta e dunque maledizione sui propri nemici. L’atteggiamento è più profondo, per

quanto inserito nel contesto e nel linguaggio del tempo: la vendetta equivale al ripristino della giustizia,

che con fede certa Geremia invoca non come il risultato di un’azione umana (che poi sarebbe sempre

ancora l’azione dei potenti), ma come azione di Dio. Perché solo a Dio spetta decretare il giudizio sulla

storia e sugli uomini.

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L’amore per Gerusalemme e per la sua terra mette il profeta Geremia contro tutti. Egli sa che il vero

amore sta sia nello svelare la Verità che nell’aiutare a ricercare stili di pace. Non si ama,

accondiscendendo alla pigrizia ed al sopruso, illudendo il proprio popolo che non desidera altro che di

essere ingannato dai falsi profeti, ma impegnando sulla ricerca della volontà di Dio.

Si costruisce su valori etici e il vero valore è nella giustizia verso coloro che non hanno potere e nelle

scelte di liberazione verso i poveri come fa il Signore stesso.

- L’egoismo e l’interesse che non sanno vedere i diritti degli altri e cosi il volto di Dio si nasconde, mentre

il proprio antenato ha conosciuto il Signore, poiché ha difeso la causa del misero e del povero.

-Il vero pastore è il Signore che si fa carico delle sue pecore. Tra cattivi pastori non c’è differenza, siano

essi da Samaria o da Gerusalemme.

-Anche nelle diverse fasi della deportazione c’è un diverso atteggiamento di Dio. Nella prima

deportazione, sviluppatasi in forma più umana, Dio si preoccupa di alleggerire la fatica ma lo fa

incoraggiando a sistemarsi nel paese in cui sono arrivati. E’ una deportazione di classi alte e medio alte tra

cui ci sono i migliori lavoratori, capaci di operare anche nel nuovo contesto.

-Profetizzare contro la città e contro la casa di Dio era una bestemmia. Egli vuole impedire l’accesso al

culto. Gesto terribile.

__________

Nei capitoli 21-24 le accuse contro i re egli altri dirigenti di Giuda sono precise: hanno favorito l’idolatria

tra il popolo, hanno cercato i propri interessi e agito con ingiustizia, hanno cercato alleanze sbagliate

contrarie al piano di Dio. Anche i profeti, quelli che vengono chiamati con un termine comune “i pastori”

del popolo, sono infedeli a Dio. Per motivi ignobili essi hanno sostituito i propri pensieri e le proprie

parole a quelle di Dio, “i quali si rubano gli uni gli altri le mie parole” fanno a gara a chi parla di più.

Le denunce danno un quadro sconcertante del regno di Giuda: i re hanno fallito, la dinastia di Davide è

caduta, il gregge di Dio è decimato e disperso.

In un momento in cui tutto sembrava stare tragicamente per finire, da Geremia si leva un segno fiducioso

e messianico: il Signore non ha detto l’ultima parola.

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Sarà Dio stesso ad intervenire in favore del suo popolo. «Ecco verranno i giorni nei quali susciterò a

Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia

sulla terra» (23,5).

Con questo oracolo di annuncio per tempi futuri, l’attenzione del profeta è rivolta a costruire il futuro più

che a demolire il passato.

Dopo la prima deportazione (598 a.C.) Geremia interviene contro i fautori della rivincita, che pensano di

cambiare la situazione in loro favore, ma sugli “esiliati nel paese dei Caldei” si pongono tutte le speranze

che Dio farà nei tempi futuri dopo la purificazione fatta dall’esilio. In questo futuro che il profeta annuncia

ormai non lontano, Dio stipulerà una nuova alleanza con il suo popolo: «Darò loro un cuore capace di

conoscermi, perché io sono il Signore; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, se torneranno a

me con tutto il cuore (24,7).

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E’ la promessa di un’alleanza nuova tra Dio e l’uomo e Dio instaurerà, per sua libera iniziativa, un nuovo

ordine di relazioni con Israele “Io porrò la mia legge in mezzo a loro e sul loro cuore la scriverò. Allora

io sarò per essi il loro Dio ed essi saranno per me il mio popolo” . (31,33)

Geremia afferma la colpa di Israele, ma dice anche della capacità e volontà di Dio di riallacciare i rapporti

della sua storia d’amore con l’umanità.

L’aggettivo «nuova » significa un rapporto non più basato su qualcosa di «quasi» esteriore (tavole della

legge sul Sinai) ma basato sul “cuore”, cioè sulla persona. “Alla legge si accompagna e domina la grazia,

al peccato succede il perdono, al timore l’unione intima”. Questo oracolo della Nuova Alleanza lo

troviamo nel Nuovo Testamento, dove viene ripreso integralmente da Paolo e da Luca.

Dunque la teologia della «nuova alleanza », al cui inizio sta la promessa del perdono divino, ha come

cardine non più l’osservanza della legge da parte dell’uomo, ma la promessa di Dio di cambiare il cuore

umano.

Tuttavia la nuova alleanza è possibile quando il popolo e l’uomo ammettono la propria incapacità a fare il

bene; la nuova alleanza si realizza perché Dio promette e concede il suo perdono “Io perdonerò la loro

iniquità e i loro peccati non li ricorderò” (31,34).

Questo profeta la sua profezia dell’alleanza nuova, la sua persona e il suo messaggio, diverranno

l’annuncio del Messia nella tradizione giudaico-cristiana.

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Un primo tema sul quale mi sono soffermato e che ho trovato assai interessante ed intrigante é quello

della Signoria di Dio che i libri biblici esprimono in modo ricorrente con la dizione “Dio degli eserciti”.

Gli autori dei libri biblici riconoscono in Dio la guida di tutte le manovre militari. Geremia in particolare,

a questo riguardo, usa con insistenza il verbo “ispirare” che ci aiuta a capire come l’intervento di Dio

nei rapporti tra le nazioni avvenga attraverso gli uomini. Dio é il protagonista che determina l’esito ed il

senso storico degli eventi. Il suo ruolo é però quello del regista più che del condottiero che dirige le

truppe e le azioni militari. Le responsabilità delle modalità di espressione della forza e delle violenze degli

eserciti sono delle persone che le compiono, non del Signore.

Per cercare di capire meglio l’intervento del Signore nei conflitti tra le nazioni mi sono chiesto se é

corretto vedere in lui il “Signore della storia” che ispira ed orienta tutte le dinamiche di cambiamento dei

rapporti di forza e delle innovazioni storiche. Dinamiche che, con il trascorrere dei secoli, a fianco di

quelle degli eserciti , hanno visto emergere anche alte forme di espressione delle

forze in grado di mutare gli equilibri ed i rapporti di potere.

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Un secondo tema che mi ha fortemente stimolato é quello del rapporto di Dio con i popoli che emerge in

modo forte in questi capitoli finali di Geremia.

Lo leggo come specificazione e non come alternativa al rapporto che il Signore ha con ogni persona e lo

collego alle limitate possibilità di espressione delle persone all’interno delle comunità nomadi e delle

società antiche.

Mi viene inoltre spontaneo chiedermi se questo rapporto di Dio con i popoli non sia un invito a

considerare la natura sociale e la vocazione politica degli uomini e delle donne. Una natura ed una

vocazione che essi sono chiamati ad esprimere attraverso l’impegno attivo ad essere attenti alle persone

che incontrano, a sviluppare relazioni interpersonali, a costruire città ed a governare le comunità. E’ in

questo modo che le persone possono sviluppare il rapporto con Dio e riconoscerlo come Padre, oltre che

come Signore.

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1. Geremia nasce in una famiglia sacerdotale e in un mondo agricolo, che continua a sognare poiché

desidera, per tutta la sua vita, vivere in un podere magari allargato, con una casa costruita nel campo del

cugino Canamel, accettando, lui per primo, che “Ancora si compreranno case, campi e vigne in questo

paese”(32,15).

E tuttavia sarà sempre il profeta che non trova casa, non trova spazio e morirà in solitudine.

Geremia, poeta e profeta, rappresenta la coscienza critica, contestata e ignorata del e dal suo popolo.

2. Il libro di Geremia è anche il libro delle sue” confessioni” poiché unisce insieme la sua vita personale

travagliata e i progetti che Dio ha sul suo popolo. Geremia è in mezzo, mediatore angosciato e spesso

abbandonato. Spesso si sente tradito, strumentalizzato, mentre lamenta di essere stato sedotto da Dio e

vorrebbe fuggire. E tuttavia ama il suo popolo e continua a farsi interprete e mediatore presso Dio stesso.

3. La storia del piccolo regno di Giuda si intreccia con la storia personale del profeta. Egli segue e nello

stesso tempo è travolto dagli avvenimenti. Egli legge la storia del suo popolo attraverso i fatti politici e

militari e attribuisce, secondo la riflessione del suo tempo, successi e sconfitte alla fedeltà o meno del suo

popolo a Dio. Così la sua introspezione della storia lo pone sempre in contrapposizione al potere, ai

”profeti di corte”, alle attese rivendicazioniste di un popolo che pretende continuamente la libertà

strutturando le proprie scelte su furbizie e complotti di parte. Il profeta arriva addirittura a farsi nemico del

tempio, poiché lo rinnega denunciandone l'insignificanza al confronto del rifiuto di Dio. “«Se vuoi

ritornare, o Israele - dice il Signore - a me dovrai ritornare. Se rigetterai i tuoi abomini, non dovrai più

vagare lontano da me. Il tuo giuramento sarà: Per la vita del Signore, con verità, rettitudine e giustizia.

Allora i popoli si diranno benedetti da te e di te si vanteranno» (7,1-2).

Il culto, per avere valore, segue e corona uno stile di vita corretto e coerente che esprime l’amicizia e

l’ubbidienza a Dio nella fedeltà di ogni giorno. E la coerenza acquista il volto di responsabilità personali e

sociali: “Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio,

giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate (nota l'elenco di sei

elementi che suppone un elenco incompleto). Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo

tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini (7,8-10)”

4. L'esperienza di Geremia porta a scoprire la forza di Dio e la caparbietà dell'uomo. Dallo scontro nasce

la sconfitta e tuttavia anche la scoperta che Dio non abbandona. Il peccato del popolo di Dio, riassunta

nell'idolatria, viene continuamente assomigliata ad un adulterio: lo sposo è abbandonato e vengono

accettati gli amanti (3,1-4,4).

«Se vuoi ritornare, o Israele - dice il Signore - a me dovrai ritornare. Se rigetterai i tuoi abomini, non

dovrai più vagare lontano da me. Il tuo giuramento sarà: Per la vita del Signore, con verità, rettitudine e

giustizia. Allora i popoli si diranno benedetti da te e di te si vanteranno» (4,1-2).

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5, Dio ascolta la preghiera e vuole il bene dei suoi fedeli ma sottomette gli amici ad una collaborazione

drammatica. E’ disposto a perdonare anche se si dovesse trovare un solo uomo giusto (5,1). Va richiamato

e confrontato il testo della intercessione di Abramo al Signore per Sodoma e Gomorra: là Abramo si ferma

a 10 giusti (18,32).

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Il tema del “sabato” nel cap.17 e la sua santificazione viene ricordato e citato dal profeta, pena per chi

non ascolta la parola di Dio e il fuoco che divorerà i palazzi di Gerusalemme senza estinguersi.

Una denuncia puntuale viene fatta al cap. 22 nei confronti di chi non retribuisce il lavoro fatto dal suo

prossimo. La pratica del diritto e della giustizia viene considerata causa della prosperità.

La sezione del libro di Geremia che apre alla speranza è nei cap. 30 e 31. Viene promessa e descritta la

restaurazione di Gerusalemme che comprende il ritorno dall’esilio, la ricostruzione della città, la crescita

della popolazione, la ripresa del culto; in altre parole l’alleanza ristabilita con il Signore. Ed è proprio

questa alleanza nuova che viene proclamata dal profeta Geremia, uno dei passi più famosi del libro e più

importanti dal punto di vista teologico. Ma l’oracolo dice anche che la nuova alleanza è possibile quando

il popolo confessa la propria radicale impotenza a fare il bene e Dio concede il suo perdono all’uomo e

cambia il cuore dell’uomo.

L’emancipazione degli schiavi viene ricordata dal profeta come impegno preso dal popolo con un rito

sacrificale, ma infranto dallo stesso popolo. (cap.34)

Infine, l’azione del “martellare”, che ricorda il lavoro, indica la volontà di Dio di compiere la sua opera

di giustizia. Quindi un Dio operoso e giusto che non si limita a far si che Babilonia martelli per lui gli altri

popoli, ma a sua volta verrà martellata e ridotta ad un cumulo di macerie per le colpe commesse nei

confronti del popolo del Signore. (cap.51)

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In questa ottica ho relativizzato molto il tradizionale accostamento di Geremia alle lamentazioni al punto

che i suoi scritti ne sono diventati un sinonimo; la lettura sistematica ed approfondita del suo libro mi ha

fatto interpretare le sue lamentazioni in termini assai diversi dall’atteggiamento rinunciatario e passivo di

“piangersi addosso”.

I lamenti di Geremia, infatti, sono espressi nei confronti del Signore quali gridi di dolore, ammissioni di

impotenza ed invocazioni di aiuto al Creatore, riconosciuto capace anche di imprese inimmaginabili per

le nostre limitate capacità di pensiero e di immaginazione. Capacità che comprendevano quella di dar

senso alle sofferenze e di far emergere la straordinaria produttività dell’amore che si manifesta con la

misteriosa e paradossale dinamica della ricchezza realizzata attraverso la povertà, della crescita attraverso

la rinuncia, dell’affermazione attraverso il sacrificio e della vita piena attraverso il passaggio della morte.

Ho perciò trovato sempre più interessante la figura di Geremia per le particolari assonanze con la nostra

condizione di operatori sociali impegnati in un contesto tutto proteso al potere economico, politico e

mediatico ed in una società permeata da dinamiche individualistiche, che ha poche considerazioni ed

emargina le persone prive di ricchezze o che hanno problemi fisici e sociali e che continua ad insistere

nell’assurda concezione della pace basata sulle armi e sul potere politico ed economico.

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Il libro del profeta Geremia contiene molti elementi biografici,confessioni drammatiche, pressanti

richiami, oracoli e minacce.

Per il dono particolare del Signore, Geremia in giovanissima età viene chiamato ad essere il tramite tra

Dio e il suo popolo.

Di indole timido e umile ma sicuro e forte nella fede in Dio che lo vuole interprete in un momento tragico

della storia del popolo ebreo, il periodo 622-587 a. C. circa.

Profeta e consigliere autorevole (purtroppo non creduto) di ben cinque re consecutivi e dei suoi dignitari.

In quel tempo si stava consumando la tragedia della città santa, il tempio di Gerusalemme e la sua gente.

In tutti gli strati sociali del popolo della Giudea e di Israele era diffusa una religiosità di facciata,

l’idolatria e il mal costume prevaleva sul bene ancora presente ma che le autorità politiche e religiose non

sapevano coltivare e far emergere.

In questo contesto la voce del profeta gridava forte e decisa ma purtroppo ne sortiva l’effetto contrario.

Geremia è visto dai capi con sospetto, accusato di tradimento, arrestato, maltrattato, più volte rischia la

vita, prova che il Signore permette per temprare il suo uomo.

Tanta è la fede di Geremia nel Signore che mette la missione di salvezza prima della sua vita affinché il

popolo si converta.