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4 Periodico edito dal Centro Servizi per il Volontariato - Ferrara Numero Dicembre 2003 Anno VI Sped. in A.P. Comma 20/c art.2 Legge 662/96 Filiale di Ferrara Q uesto numero spe- ciale di “Mosaico” contiene gli atti del convegno “Letteratura, di- versità, emarginazione. I generi, le esperienze”, il secondo convegno nazio- nale su ‘Documentazione e Volontariato’, tenutosi il 31 maggio 2003 a Ferra- ra. L’iniziativa ha visto la partecipazione numerosa di persone appartenenti al mondo della scuola, delle biblioteche e del volonta- riato. Nell’anno europeo dedi- cato alle persone con di- sabilità, questo convegno è stato promosso dal CSV di Ferrara con l’obiettivo di stimolare un percorso di riflessione e di studio sul tema delle diversità. Chi è il diverso? Ma, soprattut- to, ‘diverso da chi?’ Le no- stre reazioni di paura nei confronti di chi presenta un deficit fisico o una ma- lattia mentale hanno radici antiche. Come ci spiega Cesare Padovani, esiste un’archeologia del mondo dell’emarginazione. Il mito non è una favola, ma un tessuto permanente e at- tualissimo in cui ricaviamo di volta in volta i nostri vis- suti. Pensiamo al perso- naggio del ‘Minotauro’, metà uomo metà animale, confinato nel cuore del la- birinto perché non venga visto dagli altri. La prima ‘apartheid’ risale quindi a quasi tremila anni fa e an- cora sopravvive nella so- cietà contemporanea. letteratura e diversità Un convegno su Francesca Gallini CSV Ferrara - Settore Documentazione

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4Periodico edito dalCentro Servizi per ilVolontariato - Ferrara

Numero

Dicembre 2003

Anno VI

Sped. in A.P. Comma 20/c art.2 Legge 662/96 Filiale di Ferrara

Questo numero spe-ciale di “Mosaico”contiene gli atti del

convegno “Letteratura, di-

versità, emarginazione. Igeneri, le esperienze”, ilsecondo convegno nazio-nale su ‘Documentazione

e Volontariato’, tenutosi il31 maggio 2003 a Ferra-ra. L’iniziativa ha visto lapartecipazione numerosadi persone appartenenti almondo della scuola, dellebiblioteche e del volonta-riato.Nell’anno europeo dedi-cato alle persone con di-sabilità, questo convegnoè stato promosso dal CSVdi Ferrara con l’obiettivo distimolare un percorso diriflessione e di studio sultema delle diversità. Chi èil diverso? Ma, soprattut-to, ‘diverso da chi?’ Le no-stre reazioni di paura neiconfronti di chi presentaun deficit fisico o una ma-lattia mentale hanno radiciantiche. Come ci spiegaCesare Padovani, esisteun’archeologia del mondodell’emarginazione. Il mitonon è una favola, ma untessuto permanente e at-tualissimo in cui ricaviamodi volta in volta i nostri vis-suti. Pensiamo al perso-naggio del ‘Minotauro’,metà uomo metà animale,confinato nel cuore del la-birinto perché non vengavisto dagli altri. La prima‘apartheid’ risale quindi aquasi tremila anni fa e an-cora sopravvive nella so-cietà contemporanea.

letteratura e diversitàUn convegno su

Francesca GalliniCSV Ferrara - Settore Documentazione

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CSV Centro servizi volontariato di Ferrarain collaborazione con

Assessorato alla Cultura della Provincia di FerraraComune di Ferrara

Associazione CDH Bologna

Con il patrocinio diRegione Emilia Romagna

Amministrazione Provinciale di FerraraComune di Ferrara

I.B.C. Soprintendenza per i beni librari e documentariRete Nephila dei Centri di documentazione sociale

DOCUMENTAZIONE E VOLONTARIATOII° convegno nazionale

Ferrara, Sabato 31 maggio 2003Ore 9,30 – 17,30

Auditorium Santa Monica, via Bovelli, 3

“LETTERATURA, DIVERSITÀ, EMARGINAZIONE.I GENERI, LE ESPERIENZE”

Mattina 9,30-13,00

Coordina i lavoriPaola Castagnotto , Assessore ai Servizi alla persona,

sociali e sanitari del Comune di FerraraApertura lavori e presentazione dell’iniziativa

Vito Martiello , coordinatore CSV FerraraRita Cinti Luciani , Assessore alla Cultura della

Provincia di Ferrara;

Interventi“Tra sociale e cultura. La letteratura e il lavoro

sociale”, Giovanna Di Pasquale“Umano è: come la fantascienza racconta il pianeta

handicap”, Daniele Barbieri“Il fumetto e l’emarginazione”, Loris Cantarelli“Il diverso nel mito, il mito del diverso”, Cesare

Padovani

Pomeriggio 14,30-17,30

Coordina i lavoriPatrizia Lucchini , Responsabile Ufficio BibliotecheAssessorato alla cultura della Provincia di Ferrara

Interventi“La letteratura e i fenomeni migratori: voci dal

mondo arabo”, Elisabetta Bartuli“L’editoria per bambini e ragazzi e la tematica della

marginalità: l’esperienza della casa editrice Fatatrac”,Vanna Cercenà

“Il gruppo di lavoro per le biblioteche interculturali dellaAIB”, Chiara Rabitti

La letteratura è intrisa dipersonaggi ‘diversi’, epuò costituire un efficacestrumento di mediazionetra chi scrive e vive la si-tuazione di sofferenza echi ascolta. Ogni giornole immagini televisive diguerra e di malattia ci tra-volgono violentemente.La lettura di un libro è in-vece un processo lento,che dà la possibilità di ri-flettere e di scegliere finoa che punto vogliamocoinvolgerci nella storia.Negli atti del convegnogli autori ci guidano in unviaggio attraverso i gene-ri letterari poco esplorati,quali la fantascienza e laletteratura araba, e i lin-guaggi narrativi più mo-derni, come il fumetto,ma anche attraverso ilracconto delle esperien-ze di chi si è organizzatoconcretamente attorno alrapporto tra libri, diver-sità, emarginazione, co-me l’Associazione Italia-na Biblioteche e la casaeditrice Fatatrac.

Una delle logiche di lavoroche si cerca di concretarenell’esperienza del settoredocumentazione del CSV

di Ferrara è quella di occuparsi degliaspetti culturali dei temi legati all’e-marginazione, e di farlo “tenendo unpiede nel sociale ed uno nel cultura-le”, ovvero cercando di proporre un“lavoro di spola” tra soggetti, ambiti,temi del lavoro sociale e di quelloculturale.

Questo nella convinzione che gli in-trecci tra strumenti e culture specia-lizzate da una parte, e strumenti eculture di taglio più generale dall’al-tra, rappresentino una positiva mo-dalità di lavoro, evitino la separazio-ne del sociale dagli altri ambiti dellasocietà, sollecitino le persone a nonpercepire come estranee le realtàdell’emarginazione, ma a ricono-scerne radici e tracce anche nellapropria personale cultura ed espe-rienza di vita.

Da qui l’idea di dedicare un secondoconvegno al tema del rapporto tra“Letteratura ed emarginazione”,centrando l’attenzione su alcuni GE-NERI paradigmatici delle realtà dellamarginalità sociale, e su alcune E-

SPERIENZE all’interno delle qua-li questa attenzione reciproca traletteratura ed emarginazione, trasociale e culturale, si è concreta-ta.Il convegno vuole soprattutto ri-volgersi:- al mondo delle biblioteche perattivare collaborazioni tra i Centridi documentazione operanti incampo sociale e le strutture dipubblica lettura- al mondo della scuola , perchépossa sottolineare ai propri allieviquanto i programmi scolastici“confinano e sconfinano” spessoe volentieri nell’ambito della mar-ginalità- ai volontari e ai Centri di docu-mentazione e CSV perché pro-pongano con competenza le spe-cificità delle varie realtà dell’emar-ginazione, ma contemporanea-mente ne sottolineino i fili comuniche le legano alle culture ed alle e-sperienze di tutte le persone e cit-tadini.

Perchè unconvegno su letteratura ed emarginazione?

Andrea Pancaldi

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Credo sia originale ein controtendenza lascelta di affrontare i

temi delle diversità, legatea condizioni di disabilità o diemarginazione per discri-minazioni culturali, razziali,etniche o religiose, in unasocietà che alimenta quoti-dianamente l’esclusione.L’esplorare questi temi al difuori dei campi delle prati-che sociali rappresenta unasfida etica e culturale. LaSezione Documentazionedel Centro Servizi per il Vo-lontariato di Ferrara ha cer-cato di affrontare la temati-ca della diversità con glistrumenti propri: l’elabora-zione del linguaggio, dellaparola, della lettura dei se-gni, la ricomposizione dellememorie, ruolo importanteaffidato alla letteratura, la ri-lettura del quotidiano e latrasposizione del quotidia-no in segni trasmissibili ecomunicabili. La letteraturaè uno strumento di elabora-zione della cultura.Il 2003, anno europeo dellepersone disabili, è un annomolto rischioso. Il rischioche si corre è il mettere inun’icona tutte le nostre buo-ne intenzioni: l’integrazione

sociale, le buone prassi, isensi di colpa di tutti per lecondizioni ancora difficili dichi soffre la disabilità. Peraffrontare i rischi bisognaaccettare la sfida dellecomplessità. A Ferrara ab-biamo intitolato il 2003 ‘Ol-tre i diritti, pensare anche aidesideri’. Cerchiamo di an-dare un poco oltre al temadel diritto. I desideri con-sentono di poter vivere ladimensione della comples-sità a pieno titolo. La situa-zione del disabile spesso è

una situazione consideratae affrontata come quelladell’immigrato, una condi-zione riduttiva semplificatavolentieri nella definizione“è un disabile”. La personaperde un nome, un cogno-me, un suo percorso di vita,forse anche una sua proie-zione di desideri e di statid’animo, di voglia di conflit-tualità e di voglia d’integra-zione. “E’ un immigrato”…eppure si chiama Alì,Mohammed, ha una propriaricchezza culturale, ha del-

le aspirazioni e dei desideri.Le semplificazioni contem-poranee si codificano in talidefinizioni.E’ difficile trovare la soluzio-ne univoca sulla comples-sità. Essa va gestita e af-frontata provando ad inve-stigare le ragioni culturali epsicologiche sedimentatenella cultura personale enella cultura collettiva di unpopolo, che viene tradottanei segni, nelle parole attra-verso cui quella cultura si èespressa e si esprime. In-vestigando quella culturaforse si possono provare adaprire spazi di confronto unpo’ più ampi. Il convegno dioggi costituisce un momen-to di riflessione che può te-nere aperta e alta la que-stione della complessità,grazie al contributo di per-sone che hanno esaminatole forme di espressione cul-turale, i generi letterari, leesperienze letterarie parti-colari. Il diritto alla diversitàè il diritto principale. Chisoffre condizioni di emargi-nazione o subisce le conse-guenze di un proprio statopercepito come diverso nondeve tanto rivendicare divedere soluzioni parzialidella propria vita, ma il dirit-to di essere inserito in unasocietà che decide di go-vernare la complessità e diriflettere sulle chiavi inter-pretative, ossia sul rapportoche l’elaborazione dei se-gni e delle parole ha rispet-to alla quotidianità.La letteratura è l’elabora-zione della quotidianità. Es-sa può rendere possibile, achi la utilizza e a chi la con-sidera uno strumento con-creto e non solo un’elabo-razione astratta, ricostruiredistanze e vicinanze, forsemeno condizionate emoti-vamente dal pathos delle

immagini. La parola elabo-rata nel racconto, nell’arti-colazione della memoria,nella ricostruzione dellememorie dà la possibilità dinon farsi soffocare dall’e-motività delle immagini. Vi-viamo in una società cheproduce molto pathos, sia-mo sommersi dalle imma-gini, le immagini drammati-che di chi soffre, la morte indiretta, di una televisionescandalosa che preferisceraccontare gli stati d’ani-mo, trascurando gli stru-menti per un’elaborazionee una lettura in termini diinterpretazione dei costu-mi, delle proiezioni future diun popolo, di un popolo ci-vile e ricco di storia come ilnostro. L’immagine aboli-sce lo sforzo di rifletteresulle vicinanze e sulle di-stanze, la parola scritta loconsente. La parola aiuta a

cogliere nella complessitàle differenze. E’ necessariointerpretare e leggere ledifferenze, riflettere sul si-stema dei segni e dell’ela-borazione delle memorie,sulle tecniche del racconta-re e del raccontarsi e il sen-so che ancora oggi questoruolo ha rispetto al doveredi gestire la complessitàfatta di tante diversità, equindi di diritti a tante diver-sità.

(*) Paola Castagnotto èAssessore ai Servizi allaPersona Sociali e Sanitaridel Comune di Ferrara

“Letteratura, diversità,

emarginazione. I generi, le esperienze”

Paola Castagnotto (*)

Introduzione d’apertura al Convegno

Vorrei portare un breve saluto e un messaggio.Abbiamo ritenuto, come Provincia, di collabora-

re alla realizzazione di questo convegno in quantoriteniamo fondamentale che da più parti e con ac-centi diversi si approfondiscano la ricerca e la ri-flessione sui complessi rapporti che intercorronotra la letteratura, i filoni e i generi culturali di varia ti-pologia e un tema delicato e difficile come l’emargi-nazione, nelle sue diverse connotazioni. Il convegno, organizzato dal Centro Servizi per ilVolontariato di Ferrara, giunge quest’anno alla suaseconda edizione, con l’obiettivo di esplorare, conl’intervento di esperti della materia, l’intricato e affa-scinante mondo della letteratura che si esprimespesso attraverso quei generi ingiustamente defini-ti di serie B. Si tratta di tutta la produzione che vadal giallo all’horror, alla fantascienza, alla stessanarrativa per ragazzi e bambini, individuando all’in-terno dei variegati e multiformi contenuti narrativi ilfilo rosso, il tema comune della diversità e dell’e-marginazione. La giornata di oggi porterà contributi anche sul ver-sante delle esperienze in cui si è concretizzata inquesti anni l’attenzione alle diverse culture, alle vo-ci provenienti da lontano ed entrate a far parte apieno titolo della nostra vita quotidiana. Mi riferiscoalla scelta, compiuta da numerose biblioteche pub-bliche in Italia, a favore della multiculturalità, della

Apertura lavorie presentazione dell’iniziativa

Rita Cinti Luciani (*)

IN QUESTO NUMEROIN QUESTO NUMERO11

IINNTTRROODDUUZZIIOONNEEUn convegno su letteratura e diversità;

Perché un convegno su letteratura ed emarginazione?

44AATTTTII DDEELL CCOONNVVEEGGNNOO

PRESENTAZIONE (4)Introduzione d’apertura; Apertura lavori.

RELAZIONE INTRODUTTIVA (6)Tra sociale e cultura.

I GENERI (10)Umano è; Il fumetto e l’emarginazione;

Il diverso nel mito; La letteratura e i fenomeni migratori.LE ESPERIENZE (38)

Introduzione alla seconda sessione;L’editoria per bambini e ragazzi;

Il gruppo di lavoro per le biblioteche interculturali.CONCLUSIONI (45)

Per proseguire lo sviluppo del rapporto di collaborazione

4466AAPPPPEENNDDIICCEE

Il lamento di Filottete; Antologia delle risorse Internet;Personaggi? No, persone; Gambadilegno e gli altri

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presenza nelle proprieraccolte di testi in lin-gue diverse dalla no-stra, dell’attenzione alleespressioni culturaliportate da gruppi e mi-noranze oggi larga-mente presenti nel no-stro paese. E’ questoun terreno di sviluppodell’attività bibliotecariache andrà sicuramentepotenziato e arricchito,sul quale le istituzionidovranno portare un si-gnificativo contributo.La Provincia di Ferrarada anni opera nel setto-re dello sviluppo del si-stema bibliotecario edella rete dei serviziinformativi diffusi sulterritorio. Credo che lacrescita di attenzione ela messa a disposizio-ne di risorse a favoredella biblioteca multi-culturale debbano ve-dere impegnate le am-ministrazioni locali, apartire dalla nostra, allaquale spetta l’importan-te compito di coordina-re e programmare gliinterventi e le risorse inmateria di beni culturalie quindi anche di biblio-teche, e che certo nonsi sottrarrà a questanuova affascinante sfi-da.

(*) Rita Cinti Luciani èAssessore alla Cultura

della Provincia di Ferrara

Il Centro DocumentazioneHandicap di Bologna(CDH), per cui lavoro damolti anni, utilizza spessoi linguaggi letterari, sia perquanto riguarda il lavorolegato all’informazione ealla documentazione, siaper quanto riguarda le atti-vità di formazione. In que-sti anni gli operatori delCDH hanno usato la lette-ratura sia per produrre deipercorsi di approfondi-mento, in particolare attra-verso il lavoro di redazio-ne della rivista “Accapar-lante”, che all’interno delleproposte di formazione ri-

volta a chi, insegnante, o-peratore o educatore, af-fronta quotidianamente itemi della relazione d’aiu-to e di cura. Anche se cisono moltissime altre di-scipline, forse più vicine aitemi del lavoro sociale,quali la pedagogia, la psi-cologia, la sociologia, ab-biamo scelto e scegliamola letteratura perché sia-mo convinti che questo ti-po di scelta metta a fuocoun bisogno che, probabil-mente, altri strumenti di-sciplinari, pure importantie che hanno un loro ruolo,non riescono a cogliere.

Voglio condividere convoi questa riflessione chenasce proprio dalla do-manda “perché la lettera-tura ha qualcosa da direal lavoro sociale e qualetipo di valenza usiamoperché essa risulti poiuno strumento efficace”.Sono tre le valenze princi-pali che la letteratura harivestito in questi anni nel-la nostra esperienza di la-voro. La prima è rappre-sentata dalla letteraturacome uno strumento, unastrada, un percorso dicomprensione non inevi-tabile, ma possibile. Laseconda valenza è più le-gata alla dimensione del-la letteratura come dialo-go, quindi come possibi-lità di andare verso, dipassare attraverso. Laterza parola chiave è l’a-scolto, quasi una contrap-posizione: accanto alla di-mensione della parola èstata per noi fondamenta-le la dimensione dell’a-scolto. Ripartirei dalla prima va-lenza, ossia la letteraturacome percorso di com-prensione. La letteraturaoffre degli straordinari in-contri con le narrazioni, e

offre in un qualche modouna rivisitazione delle sto-rie, le storie della nostraquotidianità più o menovicina. Essa ci permette,se ovviamente siamo di-sponibili, di arrivare aduna qualche forma di riap-propriazione di questestorie. Scrive FerdinandoCamon: “la storia classifi-ca, sistema e allontana. Ilracconto resuscita, riani-ma, attualizza”. Nell’e-strema sinteticità di que-sto passaggio emerge co-me molto stringente il ri-chiamo alla dimensionedel racconto, delle storiecome apertura di una pos-sibilità di compartecipa-zione verso l’esperienzadegli altri. E’ come se laletteratura diventasse unasorta di lente di ingrandi-mento che ci permette divedere empaticamentemeglio.In base al lavoro svoltodal CDH in questi anni,l’esperienza che ho inmente possiede dei trattiparticolari. Si tratta diun’esperienza che corre ilrischio di essere messa inun recinto, di essere eti-chettata, di essere moltobanalizzata e stereotipa-ta, perché è l’esperien-za della diversità. Mifaccio aiutare ancorauna volta da uno scrit-tore contemporaneo,Marias, che forse ci puòdare uno spunto prezio-so. Marias scrive: “Esisteun’enorme zona d’ombra,in cui solo la letteratura el’arte in genere possonopenetrare, e di certo nonper illuminarla o rischia-rarla, ma per percepirnel’immensità e la comples-sità. E’ come accendere

una debole fiammella cheperlomeno ci consente divedere che quella zona èlì e di non dimenticarlo”.Nel nostro lavoro la zonad’ombra a cui Marias fa ri-ferimento è rappresentatadalla presenza di un defi-cit nella vita di un indivi-duo. Queste condizionipossono dare la sensa-

zione di limite, di una pre-senza ingombrante, nonsolo per chi vive diretta-mente quella situazione,ma anche pertutti quelli checondividonoda vicino que-sta situazione.Sono zoned’ombra in cui

non è facile inoltrarsi eche tendiamo a rimuove-re, appunto come diceMarias. Ci si dimentica

La letteratura e il lavoro sociale

Giovanna Di Pasquale (*)

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quella singola persona,uomo o donna che sia, ein questo senso noi cre-diamo risieda poi la suaforza, nel non volere es-sere un’indicazione pre-scrittiva, nel non voleredire tutto attorno alla di-sabilità, o al vivere unasituazione di difficoltà,ma nel proporre una sto-ria particolare, che pro-prio per questo va ascol-tata, per poter essere inun qualche modo non di-co compresa, ma almenoavvicinata. E quindi inquesto senso abbiamolavorato molto sul rac-conto autobiografico,perché esso permetteproprio di stare vicinocercando di comprende-re quello che ognuno dinoi non vive direttamen-te. Quindi permette fral’altro, soprattutto perquanto riguarda la disa-bilità, di entrare in contat-to non solo con le partidifficili di cui abbiamo giàdetto, ma anche con tuttele parti di potenzialità e divitalità, quindi con l’es-

serci della persona disa-bile, col voler essere del-le persone disabili che èuna parte estremamenteimportante.In questi ultimi anni tantiracconti, testimonianze,racconti di vita delle per-sone disabili ci diconoanche questo, racconta-no di un cammino che èfatto sicuramente di diffi-coltà e di limite, ma è fat-to anche di molta vogliadi dire ad alta voce quel-lo che si è, che si sa fare,che si vorrebbe fare,quindi i diritti ma anche idesideri. Rispetto all’ideadi letteratura come ascol-to, quindi ascolto delletestimonianze, ma ascol-to anche di una situazio-ne che non conosciamoe che come spesso ac-cade perché non è cono-sciuta può metterci pau-ra, ha significato sostan-zialmente questo, accet-tare di confrontarsi con iterritori anche più difficilidella nostra quotidianità,permettere di vedere lesfaccettature di una

realtà, non banalizzare lacomplessità, vedere, ol-tre le apparenze stereoti-pate della categoria, lapersona nella sua inte-rezza.La letteratura, nell’espe-rienza della nostra Asso-ciazione, ha supportato ilnostro lavoro, che è unlavoro a cavallo tra la di-mensione culturale, so-ciale, educativa, a pattodi non diventare una viad’ammaestramento, unostrumento pedagogico diinsegnamento, ma quan-do continua ad esseresostanzialmente sé stes-sa. La letteratura funzio-na nel lavoro educativo,funziona nella formazio-ne, proprio quando conti-nua ad essere buona let-teratura, quando conti-nua a fondarsi sul piace-re di dare e ascoltare, unpiacere che è un piacerereciproco di chi scriveper essere letto e chilegge per aggiungere delsuo a quello che legge.Quando è così funziona,e riesce appunto anche

a colmare quel bisognodi partecipazione emoti-va che spesso chi lavorain questo campo ha den-tro. Il lavoro educativo eil lavoro nel sociale im-pongono anche una di-mensione emotiva moltoforte che la letteraturapuò, diciamo, far venirfuori in maniera filtratasenza però negarla. Allo-ra, quando la letteraturacontinua a fare il suomestiere, proporci dellebelle storie, farci ascolta-re delle storie che a-vremmo anche desidera-to scrivere, metterci incomunicazione con qual-cosa di molto lontano danoi, allora credo chepossa anche aiutare chiper mestiere non si oc-cupa di letteratura insenso stretto.Grazie.

(*) Giovanna Di Pasqua-le, pedagogista, è nata evive a Bologna.Si occupa di formazione eprogettazione in campo e-ducativo per conto di Con-text sas.E’ collaboratrice del Cen-tro documentazione han-dicap di Bologna nell’am-bito delle attività di forma-zione e documentazione

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che quelle zone ci sono;sperimentiamo, quindi,l’impossibile impresa ditenere lontano dalla no-stra vita i continui richia-mi al limite, alla mancan-za, alla difficoltà. Tendia-mo a relegarli nell’espe-rienza degli altri. Proprioin questo senso la lette-ratura diviene non solouno strumento di com-prensione, ma uno stru-mento di mediazione chepuò aiutare ad avvicinar-si a realtà che sono piùdifficili di altre e che percerti aspetti mettono be-ne in luce quella com-plessità che noi tutti vi-viamo.In questo senso la lette-ratura diventa strumentodi comprensione perchéopera una mediazione.In quale modo? Intantoessa ci permette di starevicini ma anche allo stes-so di mettere una distan-za rappresentata dallapagina, dalla trama delracconto. Attraverso lestorie, attraverso gli au-tori che più amiamo, at-traverso i libri in cui cisiamo riconosciuti, inrealtà accettiamo ancheil confronto con le situa-zioni difficili, con i pas-saggi aspri della nostravita. Attraverso la formamediata riusciamo a sta-re, a non scappare. Nellostesso tempo siamo vici-ni pur prendendo in uncerto modo le distanze,possiamo decidere di fer-marci nella lettura, pos-siamo chiudere le paginedi un libro e possiamosmettere di ascoltare. Equesto costituisce unaforma di rassicurazione,

che permette comunquedi tenere aperto il colle-gamento con le realtà di-verse, più lontane, più e-stranee a noi. Il terzo aiu-to che ci può venire dallaletteratura come media-zione è proprio il potermettere un terzo elemen-to tra noi e gli altri e lestorie degli altri a cui stia-mo assistendo: il terzo e-lemento è costituito dallastoria stessa. Questomeccanismo funziona inmodo simile per tutti, an-che per i bambini quandoascoltano attraverso lefiabe o i racconti cosemolto difficili e molto inte-ressanti per loro, ma an-che molto dure. C’è biso-gno che la storia forniscaun contenitore, che lastoria abbia un inizio euna fine, affinché siapossibile accettare ed a-scoltare cose non sem-plici. In questo modo laletteratura diventa unponte.Il ponte è un collegamen-to, ma è anche qualcosache va attraversato, equindi è un simbolo colle-gato alla nostra respon-sabilità. Per questo la let-teratura ci offre dellepossibilità che non sonoscontate: si tratta di unascelta in cui dobbiamoessere presenti, sia nellanostra disponibilità ad u-sarla, sia nella convinzio-ne di usare uno strumen-to efficace. Il ponte misembra un’immaginemolto esemplificativadella letteratura comedialogo. Il ponte mette incomunicazione le perso-ne, avvicina e allontanainsieme e bisogna deci-

dere di attraversarlo, co-sì come la letteratura puòessere un ponte di dialo-go, però occorre volerlo.L’idea della letteraturacome rivisitazione dellavita quotidiana, che è si-curamente una grandericchezza da questo pun-to di vista, presenta deirischi. Occorre avere inmente che la quotidia-nità, così come è il ser-batoio fondamentale del-la nostra vita, può ancheessere la nostra gabbia,qualcosa in cui ciascunodi noi si richiude, io con ilmio quotidiano, tu con iltuo, magari molto diversie distanti. Su questopunto la letteratura cispiazza poiché essa èdavvero il territorio deidestini incrociati, del me-ticciato, un qualcosa chesconvolge le abitudini eci fa davvero andare ver-so territori che non cono-sciamo e che ci possonospronare a ricercare undialogo. Affinché ci siadialogo non ci può esse-re solo la parola, nono-

stante la forza della paro-la scritta, del raccontoche si ferma e che ci in-troduce in mondi che nonconosciamo, ma ci deveessere anche uno spaziodato dall’ascolto.Per la realtà del mio cen-tro di documentazione,questa dimensione del-l’ascolto negli anni ha si-gnificato dare molto spa-zio alle testimonianze, aquel versante della lette-ratura che è fortementelegato alla dimensionedel racconto autobiogra-fico. La testimonianza sipropone come una formadi apertura, di ponte frachi vive direttamente unasituazione e chi non co-nosce quella situazionesulla propria pelle, ma lesi può avvicinare attra-verso l’ascolto. La testi-monianza è una stradamolto forte proprio per-ché ogni testimonianza èdiversa dalle altre, la te-stimonianza non si pro-pone come un modello,ma pretende un ascoltoparticolare, è la storia di

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clude con questo dialogo fra idue:“Stavo pensando – disse ladonna all’essere non terrestre– che forse continuerò a chia-marti Lester, se non ti dispiace”. Elui le risponde: “Non mi dispiace” –e l’abbracciò – “Tutto quello chevuoi pur che possa farti felice”.Nell’antologia “Il meglio diPhilip Dick” in calce a que-sto racconto apparve un brevecommento dell’autore: “Per mequesta storia simboleggia ciò che èun essere umano. Non si tratta di ave-re un certo aspetto o di provenire daun certo pianeta, ma di vedere fino ache punto si è gentili. La gentilezza cidifferenzia dai sassi, dai pezzi di le-gno, dal metallo e così sarà sem-pre, qualsiasi forma assumiamo,dovunque andiamo, qualun-que cosa diventiamo. ‘Uma-no è’ resta il mio credo e miauguro che possa essereanche il vostro”.

Ed è perché condivido com-pletamente questa “filoso-fia” di Philip Dick che il mio(lungo) percorso di lettura su “Come lafantascienza racconta l’handicap” pubblicatosulla rivista “Hp - Accaparlante” ripartiva daquel titolo, “Umano è”. Sapendo che molti in Italia hanno pregiudizi ver-so la fantascienza e che comunque è possibilea chiunque avere (dal “Centro documentazionehandicap” di Bologna) una copia di quel testo hopreferito in questo convegno di Ferrara gettarviin un racconto da incubo e poi mostrarvi un’altrafaccia, utilizzando oltretutto lo stesso autore. Ho“usato” Dick ma avrei potuto portarvi dentro lestorie di Ursula Le Guin o di Theodore Sturgeon.Allora perché la fantascienza è così interessan-te anche per il tema che qui affrontiamo oggi?Credo che tutti noi come esseri umani di frontea ogni novità e a ogni stranezza, a ogni personao cosa sconosciuta, ci sentiamo istintivamente

divisi fra la paura da una parte e il desiderio o lacuriosità dall’altra. La percentuale di paura e didesiderio dipendono dalle persone, dalla loro e-sperienza e (molto) dalla società in cui vivono.Se, ad esempio, fra due minuti atterrasse un’a-stronave extraterrestre qui a Ferrara, io andreiimmediatamente a vedere chi sono gli alieni,perché purtroppo la mia esperienza mi ha con-vinto che gli alieni non possano essere più “cat-tivi” di noi terrestri. Mi sentirei tristemente tran-quillo che nulla di orribile può accadermi perchégià vivo in un mondo che trovo intollerabile edunque mi sembra improbabile che gli alieni

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Un bambino corre, si nasconde, hapaura, sa che sta rischiando la vita:noi lettori non sappiamo perché si sta

nascondendo. Dopo qualche riga – siamo in unracconto di Philip Dick – cominciamo a capireche egli è terrorizzato perché il giorno dopo avràun esame e dovrà risolvere un’equazione di se-condo grado. Se non risolverà questa equazio-ne i suoi genitori si arrabbieranno moltissimo.Fin qui rimaniamo un po’ stupiti: che cosa ci puòessere di così spaventoso in una prova di esa-

me? Nelle ultime righe del racconto troviamo laspiegazione: quel bambino vive in una societàin cui è stato deciso che la misura dell’umanità,la definizione di un essere umano sta nel risol-vere un’equazione di secondo grado. Chi non lofa può essere eliminato, o meglio, poiché l’auto-re di questo racconto fu un gran provocatore, “a-bortito” visto che, nella società lì immaginata, ildiritto di aborto resta sempre valido finché nonsi diventa un “essere umano completo” dunquesino a che non si risolve un’equazione di secon-do grado. L’autore della storia, Philip Dick, non sposaquesta definizione di umanità, anzi la denuncia.E in un altro racconto breve dal titolo molto si-gnificativo - “Umano è” - ci offre la sua alterna-tiva, anzi “il suo credo” come lui stesso ebbeoccasione di commentare. Provo a offrire unasintesi della vicenda: quando Lester, violento eodioso, torna da una lunga missione spaziale,sua moglie Gil (la protagonista del racconto) loscopre dolce e capace di sentimenti veri. Ma ar-rivano i servizi segreti… Nella lettura apprende-remo in seguito che un invasore si è impadroni-to del corpo morente di Lester o almeno cosìsostengono gli agenti che chiedono a Gil di aiu-tarli a catturare “il mostro”. Ma alla fine del rac-conto la donna rifiuta: tradisce quindi la razzaterrestre. Ma noi sappiamo che Gil rifiuta per-ché l’alieno è infinitamente migliore dell’arro-gante maschio terrestre che sino a poco primaaveva posseduto quel corpo. La storia si con-

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Umano è:come la fantascienza racconta

handicapil pianeta

Daniele Barbieri (*)

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caratterizzato da un rovesciamento improvvisodi prospettiva in cui noi terrestri ci identifichiamocon la sentinella bagnata fradicia che sta aspet-tando il nemico ma c’è un colpo di scena, un cla-moroso rovesciamento di prospettiva in pocherighe che vi leggo: “La sentinella vide uno di lo-ro strisciare, prese la mira e fece fuoco. L’esse-re emise quel verso strano e agghiacciante chetutti loro facevano e non si mosse più. Il verso ela vista del cadavere lo fecero rabbrividire”. Edecco la rivelazione di Brown con la quale termi-na questo racconto-choc: “Molti, con il passaredel tempo, si erano abituati, non ci facevano piùcaso, ma lui no. Erano creature troppo schifose,con solo due braccia e due gambe, quella pelledi un bianco nauseante e senza squame.” Lasentinella è in realtà un alieno e i mostri siamonoi. Una bella provocazione. Poche righe prima

si diceva che non si era proprio riusciti a comu-nicare con questi alieni, che erano terribili e ap-pena arrivati avevano subito cominciato a spa-rare. Ma non si comportano proprio così gli abi-tanti della terra? La fantascienza parla di que-sto. C’è un alieno dello spazio, ma c’è anchequello sessuale, un alieno culturale e uno socia-le, un alieno politico e uno che è “diversamenteabile”. (…)Tutto ciò ci provoca a cercare di capire la diver-sità. Si può ad esempio partire dall’interculturanon chiedendo agli stranieri quale sia la loro i-dentità, ma provando a definire la nostra. Qualeè la nostra “base comune” di italiani (o se voletedi terrestri)? Dante Alighieri o Pippo Baudo? Ab-biamo qualcosa in comune? Pasolini e Bevilac-qua, entrambi scrittori italiani, hanno qualcosain comune? Quando il CDH mi chiese di fare unquaderno di almeno 60 pagine su come la fan-tascienza raccontava l’handicap, io chiesi un at-timo di tempo perché volevo riflettere. Ho sco-perto così che c’era una produzione letterariavasta e che nella mia memoria avevo dimentica-to molte cose. Ho fatto una verifica chiedendoad alcuni amici appassionati come me: ‘Se ti di-co fantascienza e handicap tu in 30 secondi checosa mi dici?’ La maggior parte di loro mi hannocitato il romanzo “Cronache del dopo bomba”ancora di Philip Dick, in cui il protagonista è pa-raplegico su una carrozzina ed è abbastanza“cattivo”. Non è un vero mostro, perché in Dicknon ci sono gli stereotipati cattivi e buoni macerto è un personaggio negativo, odioso. So-spetto che l’aver dimenticato i racconti in cui ilpersonaggio che noi definiamo handicappato èpresentato in un modo positivo e provocatorio,ricordando solo quelli in cui il disabile viene de-scritto negativamente, non sia un caso, ma la di-mostrazione della forza che certi pregiudizi in-consapevoli continuano ad esercitare anche sulmondo “strano” di chi legge la fantascienza.Perché parlo di un mondo strano? In una so-cietà sempre più omologata e controllata, se-condo la mia opinione, le persone che hannoqualcosa di molto diverso da dire, si possonotrovar bene nella fantascienza. A tali personequasi per statuto viene chiesto di dire “stranez-ze” e quindi lo possono fare. Se sono bravi, se

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possano far di peggio. Altri invece, la maggio-ranza penso, se atterrasse un’astronave fuggi-rebbero, forse perché non trovano questo mon-do intollerabile, oppure hanno l’immaginario nu-trito a brutti film di fantascienza in cui gli alienisono mostriciattoli verdi che sparano a tutti su-bito.Solo un altro accenno al perché la fantascienzaè così interessante: il secolo appena passato èsolo apparentemente quello della scienza trion-fante mentre è invece il secolo della tecnologia,delle applicazioni scientifiche su larga scala.Tecnologia come merce che, se viene nutritadall’ignoranza scientifica, diventa un ‘tecno-voo-doo’, ossia una magia. Non so a voi ma a mepare evidente che noi siamo “pervasi” di tecno-logie ma non ne conosciamo le regole. Intendodire che la stragrande maggioranza di noi igno-

ra i metodi di funzionamento di un qualsiasi con-gegno scientifico. Nel secolo scorso la fanta-scienza si è mossa fra le paure e i desideri, fra isogni e gli incubi delle persone che hanno assi-stito allo straordinario progresso della tecnica.Ma il ‘900 è stato anche teatro di altre straordi-narie trasformazioni. Un evento importante èstato l’ingresso di enormi masse nella democra-zia. All’inizio del ‘900 molta gente era terrorizza-ta dall’idea che milioni di persone entrassero inun mondo fino ad allora dominato da pochi. Altrierano invece speranzosi per questo. Dopo laseconda guerra mondiale, ancora, molti terrestridi pelle bianca, che sognavano di andare sullaLuna (ma non pensavano che in pochi anni l’im-presa si sarebbe realizzata) scoprono gli alienisul loro pianeta. Sono i popoli del cosiddetto ter-zo mondo, delle colonie che, intorno agli anni’50, cominciano a rivendicare i loro diritti di es-seri umani. Vengono riconosciuti – almeno sullacarta – i diritti dell’uomo, mentre quelli delledonne verranno presi in considerazione più tar-di o solo in alcune parti del mondo. Uno dei prin-cipali diritti umani sarebbe il non essere ridottoin schiavitù, ma sino a pochi anni fa (e persinooggi) c’è chi ha teorizzato che gli abitanti di al-cune parti del mondo – le colonie – sono bestie.Nei nostri libri di storia ci vantiamo di quandol’Europa abolì la schiavitù, senza ricordare cheessa fu cancellata nel 1794 ma fu subito restau-rata da Napoleone nelle “colonie”. (…) Se voileggete “Cuore di tenebra” dello scrittore polac-co-inglese Conrad troverete la definizione dellaciviltà come lui la vide nel Congo, cioè in unPaese che continua ad essere il cuore di tene-bra del mondo, perché lì stanno morendo milio-ni di persone, mentre i nostri mass media si gi-rano dall’altra parte perché sarebbe scomodospiegare le vere ragioni di questi massacri. Se-condo Conrad il concetto di superiorità della ci-viltà occidentale si traduce nella frase terribile‘sterminate quelle bestie’. Questa nostra civiltàcostruita con la ricchezza gronda sangue perquesto.Cosa c’entra con questo la fantascienza? Il la-voro che ho pubblicato su “Hp-Accaparlante” siapre con un racconto famoso e molto breve del-lo scrittore Fredric Brown, dal titolo “Sentinella”,

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Bibliografia■ AA.VV.– Le meraviglie del possibile – Ed. Einaudi

■ Marc Augè – La guerra dei sogni – Ed. Elèuthera

■ Antonio Baronia – Il cyborg, saggio sull’uomo artificiale- Ed. Teoria

■ Philip Dick – Cronache del dopo-bomba – Ed. Einaudi

■ Philip Dick – Le presenze invisibili – Ed. Oscar Mondadori

■ F. L. Fallace – Destinazione Centauro – Libra Editrice

■ Roy Menarini – Il cinema degli alieni – Ed. Falsopiano

■ Margot Piercy – Sul filo del tempo – Ed. Elèuthera

■ Frederick Pohl – Uomo più – Editrice Nord

■ Sholes-Rabkin – Fantascienza: storie, scienza, visione– Pratiche editrice

■ Orson Scott Card – Il gioco di Ender – Ed. Nord

■ Theodor Sturgeon – I massimi della fantascienza – Ed. Mondadori

Filmografia■ A.I. Intelligenza artificiale – Regia: Steven Spielberg,

2001

■ Blade Runner – Regia: R. Scott, 1982

■ Edward, mani di forbice – Regia: Tim Burton, 1990

■ eXistenZ – Regia: David Cronenberg, 1999

■ L’esperimento del dottor K – Regia: Kurt Neuman, 1958

■ L’uomo dagli occhi a raggi X – Regia: Roger Corman, 1963

■ La città dei bambini perduti – Regia: J. P. Jeunet e M. Caro, 1966

■ Radiazioni BX distruzione uomo – Regia: Jack Arnold,1957

■ Videodrome – Regia: David Cronenberg, 1983

Umano è:Bibliografia e Filmografia

a cura di Daniele Barbieri

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hanno belle idee e se scrivono bene possonoregalarci straordinarie metafore della società incui viviamo. Quando Isac Asimov, scrittore difantascienza e scienziato, ci parla di un certo ti-po di alieni in realtà sta parlando della situazio-ne “razziale” negli Stati Uniti d’America. L’autoreci presenta metafore sull’esclusione degli afro-americani dalla società “wasp”, dei “bianchi an-glosassoni protestanti”. Nel romanzo “L’uomobicentenario” ad esempio Asimov racconta lastoria di un cyborg. La parola deriva dalla fusio-ne di due termini della lingua inglese (cybernetice organism) e indica qualcosa che è in parte vi-ta organica e in parte una macchina, una crea-tura cibernetica. Ma anche uno dei miei miglioriamici è un cyborg, ad esempio, si chiama Igna-zio Onnis, è un sardo, ed è una delle ultime vit-time della poliomielite: sta in piedi con protesi al-tamente tecnologiche grazie al centro Inail di Vi-gorso di Budrio, straordinario ospedale di medi-cina pubblica. Forse se ho uno sguardo attentosu molte cose lo debbo proprio al mio amico I-gnazio. E le tante persone che vivono (o vivonomeglio) grazie alle macchine ci pongono antichedomande: fino a che punto siamo umani? Qua-le è la definizione di umanità? E dunque quanteparti di metallo dobbiamo avere nel corpo o nel-la testa per uscire dalla definizione di “esseri u-mani”? Problemi filosofici ma anche pratici. Neldiscorso introduttivo al convegno si parlava distorie tristi accadute recentemente, quali un al-bergo che ha rifiutato di ospitare delle personedisabili; ci si augurava che fattacci del generenon accadessero più. Mi dispiace dare una brut-ta notizia, ma tali fatti continuano a succedere.Un caso analogo a Cervia, in provincia di Ra-venna, è dell’anno scorso se non ricordo male.Di solito i giornali si indignano su queste storie,raccontando – magari con un certo piacere –che l’infame albergatore è stato punito, e cheper un mese l’albergo sarà chiuso. Purtroppo laverità non è questa (…), la punizione “terribile”che questi alberghi ricevono – almeno nel casoche io ho potuto controllare anni fa – consistenello stare chiusi 30 giorni ma fuori stagione, os-sia la punizione non sussiste.Per concludere lascio la parola ancora a PhilipDick. La sua definizione di essere umano è “con

quale rapidità sa reagire ai bisogni di un'altrapersona, e quanto può dare di sé” . Io sono d’ac-cordo con lui.

(*) Daniele Barbieri, giornalista. Vive e lavora a Imola inprovincia di Bologna.E’ stato per anni collaboratore de Il Manifesto, attualmen-te è redattore della rivista mensile Carta.E’ autore di saggi e di antologie per le scuole sui temi del-la fantascienza.

PER CONTINUARE A VISITARE LE “ZONE DI CONFINE” SEGNALIAMO...

“IL GIRO DI VITE. LE RAPPRESENTAZIONI DEL DOLOREATTRAVERSO LO SPECCHIO DELLE NARRAZIONI”.

Questo il titolo della relazione cheEmy Beseghi, docente di lettera-

tura per l’infanzia presso l’Universitàdegli Studi di Bologna, presenterà alconvegno nazionale “DIAMO PARO-LE AL DOLORE. La percezione deldisagio e della difficoltà nella vitaquotidiana delle bambine e deibambini” , che si terrà il 5 e 6 marzoprossimi a Modena presso il TeatroStorchi. La Beseghi affronterà il temapartendo proprio dagli spunti offertidalla letteratura per l’infanzia e dallarappresentazione del dolore infantilein essa contenuto.

Il convegno, organizzato da Comunedi Modena ed Università di Modenae Reggio Emilia, è finalizzato alla e-laborazione di una dimensione cultu-rale e di una azione educativa daparte delle figure che, in famiglia enelle istituzioni, sono a contatto con ildolore dei bambini. Come avvenutoin occasione di “Letteratura, diver-sità, emarginazione”, anche in que-sto caso il tema del convegno verràsviscerato con interventi, tra gli altri,di J. Baldaro Verde, V. Andreoli, T.Cancrini, G. Schelotto, E. Caffo, at-traverso il contatto con discipline di-verse – pedagogia, psicologia, filo-

sofia, ecc. – al fine di promuovere unpossibile sostegno per coloro che, avario titolo, si occupano dei bambiniper aiutarli ad elaborare percorsi diaccettazione positiva / superamento /ricomposizione delle loro esperienzedi vita.

Per richiedere il programma comple-to del Convegno e segnalare la pro-pria partecipazione, contattare la Se-greteria organizzativa:telefono 059.206775 – 206783 fax 059.206717e-mail [email protected]

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tualizzazione aiuta anchea capire quante emozioniil fumetto possa ancoraesplorare, raccontare eregalarci. Pur nascendo nell’Otto-cento (i primi albi esconoin Svizzera nel 1833, iprimi supplementi deiquotidiani domenicali acolori in USA nel 1895), ilfumetto moderno recu-pera situazioni e a voltepersonaggi del teatro,della letteratura e del mi-to. Inoltre già dai ‘proto-fumetti’ sulle pareti dellecaverne e dalle strisceche decoravano vasi emonumenti di migliaia dianni fa – disegni in se-quenza per un pubblicopiù o meno vasto e inte-ressato, realizzati più omeno bene, più o menoappassionanti … – èchiaro che il fumetto nonè una semplice illustra-zione, ma anzitutto unanarrazione. Queste ca-ratteristiche emergonoanche allo sbarco in Italiadel 1908 sul “Corriere deiPiccoli”, che presto aboli-sce le caratteristiche nu-volette per sostituirle conrime baciate alla base al-le vignette, ritenute piùaccettabili dalla cultura“alta” italiana, sempre in-visa alla civiltà dell’imma-gine che nasceva proprioallora. Tra l’altro questagloriosa testata è scom-parsa nell’estate del1995 tra l’indifferenzagenerale, un po’ perchérovinata dalla gestionedegli ultimi anni, un po’perché aveva banalmen-te rincorso i personaggidella televisione, addirit-tura rovesciando l’anticacancellazione pubblican-do i fotogrammi dei car-toni animati con l’aggiun-

ta di nuvolette posticce ...Per fortuna il fumetto ita-liano nel dopoguerra eraesploso con diverse pub-blicazioni e ancor oggi e-sistono almeno una cin-quantina di case editricispecializzate. Il grossopubblico conosce soprat-tutto i fumetti che si ac-quistano nelle edicole,storicamente il principalemezzo di diffusione in I-talia. Negli ultimi anni inFrancia la distribuzionein edicola è invece quasiscomparsa (comunqueconsiderata “letture dastazione”) e le uscite av-vengono ogni settimananelle librerie. Negli StatiUniti sono poi nate le fu-metterie, negozi specia-lizzati ormai diffusi a cen-tinaia anche in Italia,mentre in Giappone c’èuna situazione estremadi migliaia di fumetti perun pubblico iper-specia-lizzato (sullo sport pergiovani maschi, senti-mentale per ragazze a-dolescenti e così via).Nonostante i nostri con-nazionali leggano poco,nelle 35 mila edicole, 3mila librerie e 300 fumet-terie italiane si trovano o-pere per tutti i gusti e tut-te le tasche: qualchebrutto prodotto, moltissi-mi discreti, parecchi otti-mi, qualche capolavoro.

Humor & Handicap

Stiliamo un breve elencodei personaggi del fumet-to che descrivono situa-zioni di handicap ed e-marginazione, con alcu-ne curiosità: – Yellow Kid e gli sbanda-ti della newyorchese Ho-gan’s Alley (1895)– l’arto artificiale di Pietro

Gambadilegno, eterno ri-vale di Topolino (1928)– lo svampito Pippo(1929), amico di Topolino– il guercio Braccio diFerro (1929) e l’obesoBruto (1933)– il dentone Oscar(1931), amico di Bracciodi Ferro– lo stupido Zero, amicodi Beetle Bailey (1950)– il tonto Ciccio (1950),aiutante di Nonna Papera– lo strampalato tuttofareGaston Lagaffe (1957)– il miope e lo zoppo nel-la compagnia di B.C.(1958)– il nanismo di Asterix e ilgigantismo di Obelix(1959)– il maggiordomo muto diZorry Kid (1968)– i disadattati del GruppoTNT di Alan Ford (1969)– gli scalcinati investiga-tori di Jonny Logan(1972) – il pasticcione Mo-stralfonso (1980)– il deturpato protagoni-sta di “Venerdì 12” e l’u-

mile servo Giuda (1996) Il capostipite in tutti i sen-si è Yellow Kid, ma è cu-rioso citare soprattutto ilrivale di Topolino, quelGambadilegno che daglianni Quaranta ha una di-versa protesi artificialepur conservando in Italiail suo nome iniziale: unpo’ perché il disegnatoreche per 50 anni ha dise-gnato le strisce di MickeyMouse sui quotidiani di-segnava una volta lagamba di legno a sinistrae una volta a destra an-che all’interno della stes-sa storia, un po’ perchésembrava scorretto cheTopolino combattessecontro un disabile purcattivo. Esistono anchequestioni legate alle tra-duzioni, come – tanto perrimanere in ambito di-sneyano – con Pippo, l’a-mico fidato di Topolino,che in originale si chiamaGoofy (in inglese “tonto”,“stupido”) e quindi già al-l’origine contiene un’e-marginazione, con la fun-

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In oltre un secolo di sto-ria, il linguaggio del fu-metto ha affrontato il te-

ma della sofferenza so-stanzialmente con dueapprocci distinti: o con l’i-ronia o in forma di trage-dia. Per comodità, distin-gueremo un fumetto co-mico e uno realistico, conun terzo più specifico de-dicato al genere dei su-pereroi ... che li attraver-sa entrambi.

Il fumetto, arte … diversabile

Il fumetto e l’emargina-zione sono molto più le-gati di quanto non si pos-sa credere, in un curiosocammino comune che ri-vela più di una sorpresa.In Italia come nel restodel mondo, spesso e vo-lentieri ancor oggi il fu-metto è nascosto, deriso,misconosciuto nella suadignità. I fumettisti si la-mentano della poca con-siderazione del loro ge-nere, la loro arte fatica adessere riconosciuta co-me professione vera epropria, sia da parte dichi scrive le sceneggiatu-re, sia per chi realizza idisegni.È soltanto dagli anni Ses-santa che le cose comin-ciano a cambiare. Nel1964, in Francia, ClaudeBeylie definisce questo“mass medium” – che cipiace definire il primomultimediale nella storiadell’umanità – la Nona Ar-te, considerando (bontàsua!) ottava la Radio-TVe postulando il Manifestodi Ricciotto Canudo: Ar-chitettura e Musica comefondatrici, Pittura e Scul-tura come declinazionidella prima, Poesia e

Danza come prolunga-menti della seconda, il Ci-nema come sintesi di tut-te e sei. In terra d’Oltralpeesiste anche una presti-giosissima rivista seme-strale, “9e Art”, legata alCentro del Fumetto diBruxelles che gode di re-golari sovvenzioni statali,una situazione molto piùstrutturale delle disconti-nue esperienze italiane (aTorino, Cremona, Lucca,Roma, Muggiò, Palermo,Cagliari). In Italia lo ‘sdo-ganamento’ è avvenuto inuna celebre tavola roton-da tra intellettuali comeUmberto Eco, Elio Vittori-ni e Oreste del Buono, o-spitata sul primo numerodella rivista “Linus”(1965), oggi unica so-pravvissuta in edicola. Va inoltre ripetuto con for-za che il fumetto è un lin-guaggio (come il teatro,la letteratura, il cinema, latelevisione ...) e non ungenere (come il western,il poliziesco, l’avventura,la soap opera ...), anchese le recensioni sui quoti-diani spesso usano il ter-mine “fumettone” per in-dicare sterotipi e ruoli cri-stallizzati. Questa pun-

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IL FUMETTO E L’EMARGINAZIONE

Loris Cantarelli (*)

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– i mutantisopravvissutidelle “Crona-che del Dopo-bomba” (1973) – i freak incontratida Mister No (1975), Ma-gico Vento (1997) e Bren-don (1998)– il guercio negli Angelidel West (1979) – il monco Sergej Orloff,avversario di Martin My-stère (1982) – i compagni accecati diKen il guerriero (1983) – i drammi di Concrete(1986)– l’informatore nano Alfie(1988) e il piccolo visio-nario Efrem (1992), cheaiutano Nick Raider – i mutanti schiavizzatinel mondo di Nathan Ne-ver (1991) – il batterista in carrozzel-la di Gea (1999)Per la gran parte, abbia-mo segnalato personaggidel fumetto avventurosoitaliano, che – nel bene enel male – ha plasmatoper decenni fino a oggi ilgusto e il modo di consi-derare e di consumare ilfumetto in Italia. Comeaccennavamo poco in-nanzi, c’è tuttavia molto

dipiù, in

un am-bito mol-

to specifico ma sorpren-dentemente in grado dirinnovarsi: il fumetto digenere supereroistico.

Supereroi consuperproblemi

Tra le decine di esempi,ci limitiamo ai nomi deisupereroi più celebri:– la paralisi temporaneae le nevrosi di Batman(1939) – la nuova vita da para-plegica dell’ex Batgirl(1961)– la rocciosa Cosa deiFantastici Quattro (1961)– l’incontrollabile Hulk(1962)– la timidezza di Spider-Man, l’Uomo Ragno(1962)– i discriminati X-Men(1963)– l’alcolismo di Iron Man(1963)– la cecità di Devil (1964)

– la condizione di Spawne la deformità di SavageDragon (1992).Dopo la geniale rilettu-

ra dei supereroi neglianni Sessanta, sono

venuti quelli natinegli anni Ottantae Novanta, chehanno spintoancora di piùil pedale del-l’accelera-tore sulla

problematicità,sul fatto che a volte

sono peggio loro dei cri-minali che combattonoperché usano metodimolto più violenti (esem-plare il caso del giudiceDredd, il cui slogan è “lalegge sono io”, classicoesempio dove la cura èpeggio del male). Nel no-stro discorso sull’emargi-nazione può essere inte-ressante e fecondo di ri-flessione o dibattito con-siderare queste figure divigilantes, di supereroi,di maschere: il legamecon il teatro è tra l’altrofortissimo. Il personaggioprincipale è un vero disa-dattato, uno che si metteuna maschera anzituttoper sapere chi è. Gli sce-neggiatori di Batman, si-mile non a caso a Zorro,hanno molto sviluppatoquest’idea. L’Uomo Pipi-strello è un eroe, ma tut-to sommato anche un di-sadattato che ha bisognodi una maschera per e-sprimere del tutto la pro-pria personalità non e-sente da ombre (così co-me la luce abbagliante diSuperman non è esenteda tendenze fascistoidi):il playboy miliardario Bru-ce Wayne non ha una ve-ra vita sociale, deve usci-re di notte sui tetti per

sentirsi qualcuno. Il disa-dattato che diventa pro-tagonista è stata l’inven-zione degli anni Sessan-ta della casa editriceMarvel che ancor oggi sipuò dire viva di renditasu quest’idea. Dopovent’anni di supereroi co-me Batman, Superman,Wonder Woman, Flash,Capitan America, insom-ma gli invincibili, il pro-blema era ... trovare loroun problema! La krypto-nite, ad esempio, è statainventata dopo vent’annidi storie di Superman,perché questo personag-gio era sempre imbattibi-le e le storie erano tropporipetitive: occorreva un e-spediente narrativo perpoter raccontare vicendeinedite. Ci voleva insom-ma un tallone d’Achilleper il primo e più grandedei supereroi. Nei primis-simi anni Sessanta, na-scono in pochi mesi i su-pereroi che in questi ulti-mi anni hanno ridato os-sigeno a una Hollywoodsempre più in crisi d’idee.Nel gruppo dei FantasticiQuattro dove c’è ad e-sempio la Cosa, un esse-re roccioso per cui vale-vano già tutti i discorsisulle barriere architetto-niche che l’Italia ha rico-nosciuto poco più di undecennio fa con la famo-sa legge 13/89. La Cosaè una persona sensibileimprigionata in un corporoccioso orrendamentemutato in un incidente,mentre i suoi colleghi(l’Uomo Allungabile, laTorcia Umana e la DonnaInvisibile) sono rimastibelli, forti, senza impedi-menti. Bruce Banner, chenei momenti di paniconon può impedirsi di di-

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zione di caratterizzarloimmediatamente per chinon lo aveva mai letto. Inrealtà va anche dettoche, scritti nell’arco di de-cenni da diversi autori, glistessi personaggi si sonoarricchiti e approfonditipsicologicamente. Il di-scorso vale un po’ ancheper il rivale Bruto di Brac-cio di Ferro, ideato per laserie a cartoni animatidegli anni Trenta, comeper lo stesso Popeye:nato nelle strisce dellalongilinea Olivia che do-po 10 anni di avventuretra la sua famiglia, incon-tra questo marinaio guer-cio, manesco, che necombina di tutti i colori eche, di fatto, ruba la sce-na alla famiglia di Olivia ediventa protagonista del-la serie.

Cinema & fumetto,amicinemici

Il riutilizzo di Bruto nei fu-metti ci spinge tra l’altro auna riflessione sul conti-nuo scambio di perso-naggi e situazioni tra ci-nema di animazione e fu-metti, tanto che troppevolte si sente definire “fu-metto” (che è un prodottosu carta) un cartone ani-mato (che ovviamente vain onda in TV o al cine-ma). In realtà un cartoneanimato si sviluppa perconto suo, mentre il fu-metto è fisso e siamo noiche gli diamo vita leg-gendolo. Con cent’annidi esperienza alle spalle– ma un potenziale anco-ra ampiamente esplora-bile – oggi gli autori di fu-metti devono un po’ ar-rampicarsi sui vetri perraccontare qualcosa dinuovo e spesso giocano

proprio sul fatto che sia-mo noi a creare la storiamentre la leggiamo, nondiversamente da alcunitemi narrati da romanzi difantascienza anni Ses-santa o film anni Novan-ta. Nel caso del fumettoc’è anche l’immagine e inparticolare quella zonamisteriosa tra una vignet-ta e l’altra ... che siamonoi a riempire. Avete maipensato quanto dura lalettura di un albo di ‘Tex’piuttosto che una di unsupereroe come l’UomoRagno? Una di Dago o diDragon Ball? Una storiagiapponese con pochidialoghi viene letta velo-cemente perché è statapensata per essere vistapiù che letta, mentre unastoria di un classico ita-liano come Tex contienemolte più parole scritte erichiede più tempo. Il fu-metto si è molto radicatonella coscienza delle

persone perché il tuo fu-metto lo crei tu: non a ca-so quando qualche per-sonaggio passa in unaserie TV animata o addi-rittura viene trasposto infilm, il commento classi-co dell’appassionato o dichi l’aveva letto una voltaè: “Hanno sbagliato lavoce, non è la sua”. Que-sto perché l’esperienzadi lettore di fumetti è unqualcosa di unico (pursuscitando emozioni chepossono appassionareed essere scambiate perore tra appassionati) e o-gnuno si è creato la suastoria leggendola e dan-dosi un suo tempo di let-tura, forse ancor più cheleggendo un romanzo.Non è un caso nemmenoche le decine di film trattida fumetti sono – conl’eccezione di una dozzi-na ma non di più – sim-paticamente orrendi. Ifilm migliori tratti da fu-

metti sono in larga parterealizzati negli ultimissi-mi anni, con gli effettispeciali dell’ultima gene-razione che non costitui-scono l’unico punto diforza della pellicola ma simettono al servizio dellastoria e dell’(anti)eroe.Sullo schermo si è cosìriusciti a rendere visibilequello che da decenniuna sola persona abilecon la matita può realiz-zare con pochi soldi.

La dura realtà

Si può quindi stilare unaltro elenco sui perso-naggi del fumetto realisti-co: – il nanismo e la miopia diWash Tubbs (1924)– gli impacciati soldatiMarmittone (1928) e SadSack (1944)– gli avversari lombrosia-ni del duro poliziotto DickTracy (1931)– la magrezza del Kid diGim Toro (1946)– il nano Little Joe e il gi-gante Pat MacRyan, in-contrati da Tex (1948) – la momentanea cecitàdi Zagor (1961) – l’obeso Cico e il guercioLittle Owl, amici di Zagor(1961)– il monco El Gancho, a-mico del ComandanteMark (1966) – l’obeso re e il nano am-ministratore di Maxma-gnus (1968) – il cieco ispettore di poli-zia Mister Charade(1971)– le cicatrici non solo fisi-che del chirurgo BlackJack (1973) e di CapitanHarlock (1977) – la malattia dell’infeliceLady Oscar e la cecità diAndré (1973)

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venire Hulk, è forse il su-pereroe più famoso maanche più affine a model-li letterari come il para-digmatico dr. Jekyll & mr.Hyde. Gli X-Men sono a-dolescenti dotati di su-perpoteri che sono peròla loro dannazione per-ché non sanno control-larli oppure sono spaven-tosi se mal utilizzati equindi questi ragazzi,con tutto il dramma vis-suto nell’adolescenza,sono eroi non per ma no-nostante i loro superpo-teri, che in genere causa-no più guai che gioie.

Il comico è il tragicovisto di spalleRispetto a quello realisti-co, il fumetto umoristicoha evidenziato forse inmaniera migliore le con-traddizioni sia tra gli e-marginati sia tra i cosid-detti normali, perché far

ridere è più difficile chefar piangere. Lo stessoTotò dichiarò una voltache, in fondo, se gli attoricomici sono quattro gattie quelli drammatici sonocosì tanti, chiunque puòcapire che è più difficilefar ridere piuttosto chefar piangere ... la qual co-sa vale anche per il fu-metto. Nel caso dei fu-metti realistici, facendoun’analisi trasversale sultema fumetto ed emargi-nazione, emergono tantifamosi luoghi comuniche noi cerchiamo di evi-tare: i nemici di DickTracy sono lombrosiana-mente una galleria degliorrori: il cattivo è brutto eil brutto è cattivo, così illettore distratto o pocofedele dei quotidiani ca-piva immediatamente chiera il buono, il mascello-ne Dick Tracy che arriva-va e risolveva la situazio-ne, capendo subito dai li-neamenti del viso chi erail cattivo. Nel caso italia-no di Dylan Dog i luoghicomuni, le semplici situa-zioni di imbarazzo ven-gono invece rovesciate.In un certo periodo ‘Dy-lan Dog’ vendeva più di‘Tex’ perché aveva cattu-rato molta gente che nonleggeva fumetti, ad e-sempio le ragazze, chefino a 15 anni fa leggeva-no ben pochi fumetti. L’e-ditore Sergio Bonelli pen-sava quasi di essere de-stinato a chiudere barac-ca e burattini, finché gli sipresentò Tiziano Sclavi,uno scrittore di talentoche soffre spesso di crisidepressive e che avevadeciso di esprimere que-sta problematicità in unlinguaggio da lui a lungofrequentato e ricco di po-

tenzialità come il fumet-to. Sclavi era stato redat-tore al ‘Corriere dei Ra-gazzi’, una pubblicazioneparallela al ‘Corriere deiPiccoli’ degli anni Settan-ta in cui c’erano fumetti diavventura e aveva respi-rato, letto e visto come siscrivevano i fumetti daquando aveva comincia-to a leggerli. Proprio nelmomento più buio del fu-metto non solo italiano(quando gli stessi appas-sionati di fumetti ne leg-gevano pochi), questopersonaggio ha invertitola tendenza, svincolan-dosi quasi subito dal ge-nere horror degli inizi cheera un semplice pretestoper raccontare storie didisagio esistenzialista emetropolitano di persone“diverse” soltanto a pri-ma vista. Nelle rarissimeinterviste, lo stesso Scla-vi dichiarava di identifi-carsi con i freak, i mostri,i disadattati, come il suo

Dylan Dog, un “detectivedel paranormale” perquando c’è un problemache non è nei canoni, unex alcolista che ha fatto ilpoliziotto e ha lasciato ladivisa quando ha avutoproblemi. Tematiche co-me queste, unite a una fi-nissima scrittura che pa-droneggia le tecnichenarrative più intelligenti ea una capacità non co-mune di parlare al mon-do dei giovani, hannoportato a (ri)leggere fu-metti gente che non lo fa-ceva più da tempo o nonl’aveva mai fatto. Il fumetto umoristico, do-vendo spingere alla risa-ta, rischiava di più di ca-dere negli stereotipi enelle offese. Si può direpiuttosto che il fumettocomico ha evidenziato lecontraddizioni, però hatestimoniato anche la po-sitività di una convivenzacon la sofferenza. Il fu-metto umoristico cercanon di consolare, ma direndere proprio la quoti-dianità, mentre in molticasi del fumetto realisticoci si è un po’ rifugiati neicliché. Uno dei pochi au-tori italiani che pubblicafumetti disegnandoli escrivendoli completa-mente da solo – perchéanche se questa è l’im-magine che ha il grandepubblico, va tenuto benein mente che questa èuna cosa che succederaramente per avventurepiù lunghe di poche stri-sce quotidiane (a menodi lavorare giorno e nottesenza far altro) – si chia-ma Leonardo Ortolani epubblica da anni il suo fu-metto, ‘Rat-Man’, tantoapprezzato da venderesulle 20 mila copie, vale

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a dire più di ogni altro su-pereroe in Italia. Questopersonaggio è l’UomoRatto (nientemeno), unaparodia dei fumetti deisupereroi, uno che sicrede un supereroe sen-za averne i poteri, ani-mato da una tremendapassione per i fumetti e ipersonaggi che vuole e-mulare, con l’unico risul-tato di divertire (qualchevolta perfino di commuo-vere) il lettore con una fi-guraccia dietro l’altra. Sitratta quindi di un disa-dattato per definizione,mentre il suo stesso au-tore in un’altra serie daltitolo provocatorio “Lemeraviglie della natura”ha raccolto casi limitedella società, come l’a-borto, il naziskin, il mafio-so, la prostituta. In que-ste brevi storie Ortolanicammina costantementesu un filo che potrebbedavvero rivelarsi perico-loso ma in realtà sa man-tenere quasi sempre ri-velatorio. Dopo una diqueste, intitolata“L’AIDS”, l’autore ha in-fatti ricevuto una letteradi un ragazzo che avevaappena scoperto di es-sere sieropositivo, chegli rimprovera: “Le altrebattute mi hanno fatto ri-dere, quella no”. Nellapagina della posta Orto-lani risponde che è moltodispiaciuto, ma ancheche il lettore dovrebbe ri-flettere sul fatto di aver ri-so degli altri soggetti enon di quello in questio-ne perché era la sua si-tuazione. Lo stesso Orto-lani conclude: “Ovvia-mente non si può preten-dere innanzitutto da par-te mia di centrare sem-pre cose giuste e di dirle

nella giusta maniera, enon si può pretendereche tutti siano disposti adascoltarti mentre tu stra-parli, per cui se lo fai ti e-sponi al rischio di riceve-re delle gran bacchetta-te”. Ma in definitiva, val lapena rischiare: il silenziosarebbe forse un errorepeggiore.

(*) Loris Cantarelli vive elavora a Milano. E’ collabo-ratore della rivista “Fumodi china”.E’ autore di numerosi arti-coli e saggi sul tema deifumetti.

PER SAPERNEDI PIÙ

Albi a fumetti

- G.L. Bonelli, A. Galleppini, “Dramma al circo”,Tex nn.65-67, marzo-maggio 1966.- B. Jacovitti, “Zorry Kid", Corriere dei Piccolin.12, marzo 1968.- M. Bunker, Magnus, Alan Ford n.11, febbraio1970.- G.L. Bonelli, A. Galleppini, “El Muerto”, Texn.190, agosto 1976.- F. Giromini, S. Toppi, "Un’altra alba”, Sgt.Kirk. n.55, maggio-giugno 1977.- Y. Tatsumi, “Il telescopio”, Eureka, marzo1980.- D. Comès, “Silenzio”, Alter Alter, febbraio1981.- D. Comès, “Eva”, Alter Alter, 1982.- Chakir, “Il bastone bianco”, Mondo Erre, set-tembre 1982. - B. Jones, T. Liberatore, “Il confinato”, Frigidai-re, 1984.- T. Sclavi, F. Bignotti, “L’orrenda invenzione”,Mister No nn.138-139, novembre-dicembre1986.- T. Sclavi, L. Piccatto, “Il ritorno del mostro”,Dylan Dog n.8, maggio 1987.- D. Catenacci, S. Ricci, “Il piccolo K”, HP - Ac-caparlante, aprile 1988.- L. Montanari, G. Chiarolla, “Il campione”, ilGiornalino, luglio 1988.- F. Scòzzari, “Lorna”, Frigidaire, settembre1988.- C. Chiaverotti, G. Freghieri, "Frankestein!",Dylan Dog n.60, settembre 1991.- G. Berardi, I. Milazzo, “Quando muoiono i tita-ni”, Ken Parker Speciale n.1, 1992.- M. Colombo & C. Nizzi, B. Ramella, “Immagi-ni di morte”, Nick Raider n.45, febbraio 1992. - B. Vigna, D. Bastianoni, “Inferno”, Nathan Ne-ver n.10, marzo 1992.- T. Sclavi & M. Marcheselli, A. Venturi, “JohnnyFreak”, Dylan Dog n.81, giugno 1993.

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1. Cura della parolaIn un passo del Fedone[115 e], Platone riferisceun concetto fondamenta-le per la comprensione disé e del mondo: Infatti,caro Critone, tu sai beneche l’esprimersi scorret-tamente non solo è unmodo insano di pensare,ma fa male anche alle a-nime, e pertanto anchealla convivenza umana.La parola organizzatanell’espressione, dun-que, non è solo un ac-cessorio per farsi capire,ma definisce di volta involta il mondo. Quale mondo? Il mondocircoscritto, quello ogget-to di cura. Nel mio recente saggio,A partire da Ippocrate ,mi sono impegnato (e,perché no?, divertito) acostruire un elenco di pa-role chiave, partendo dalmondo arcaico fino adoggi, orientate verso lacura e la medicina, masoprattutto verso la co-municazione e il rispettodell’altro vivente, qualun-que sia la condizione incui si trova. Si tratta diuna cronologia culturale,dal momento che certiconcetti, risalenti a 2500anni fa, sopravvivono an-cora, e dal momento checerte parole ricostruisco-no di volta in volta la per-

cezione. Vediamone al-cune.Il termine ‘mostro’, ad e-sempio, appartiene al lin-guaggio della teratologia:il mostro è il dáimon, ilgenio-demone che ha lasaggezza, che fa paura

ma affascina (fascinosumet tremendum, lo definiro-no i latini). Nel Phedro[244 a-c] Platone riferiscedella convivenza di sag-gezza e follia attraversoun gioco di parole che siassomigliano nel suono

(maniké / mantiké): coluiche vede, prevede e sa,è anche ispirato, oltre ilconsueto modo di pensa-re, è dunque il folle, coluiche desidera e, di conse-guenza, trasgredisce, u-scendo dai parametri del-la normalità. I nostri anti-chi consideravano il “de-siderio” una trasgressio-ne nei confronti della logi-ca del destino, dellaanànche, termine grecoche indica la strada chenon può non essere per-corsa. Come poteva es-sere l’ordine delle stelle,e a quest’ordine anche glidèi dovevano sottostare.Di conseguenza, rifles-sione filosofica e manzìasi opponevano: l’una"considerava" (cum side-ris, cogliere il corso dellestelle all’interno della sualogica geometrica, oppo-nendo uno specchio con-tro il cielo), l’altra "deside-rava" (de sideris, tutte levolte che si esce dai trac-ciati indicati dal destino).Veggenza, quest’ultima,spesso funzionalmenteconfusa con una tra letante patologie da curare.Così, uscire dalle regole(soprattutto con i testi diPiaget applicati dogmati-camente), trasgredire lalogica espressiva era edè concesso ai poeti, maper le persone comuni fa-

Il diverso nel mito, ilmito del diverso

Cesare Padovani (*)

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- F. Corteggiani, G. Cavazzano, “Le GiovaniMarmotte e un ragazzo come tutti”, GM - Gio-vani Marmotte n.9, ottobre 1995, The Walt Di-sney Company Italia.- M. Medda, E. Michelazzo, “Caccia all’uomo”,Nathan Never n.55, dicembre 1995.- P. Chadwick, “Una nuova vita”, Concrete n.4,gennaio 1997.- P. Chadwick, “Una poltrona imbottita di dina-mite”, Concrete n.5, febbraio 1997.- G. Manfredi, G. Barbati & B. Ramella, “Bliz-zard”, Magico Vento n.15, settembre 1998.- C. Padovani, “Fumetti con handicap: quandola figura è in sequenza”, HP - Accaparlanten.72, 1999.- L. Enoch, Gea n.2, dicembre 1999.- L. Ortolani, Le meraviglie della natura - vol. I,giugno 2000 - S. Sandri, M. Bertolotti, “Un bambino davverospeciale”, il Giornalino, marzo-aprile 2001.- L. Ortolani, Le meraviglie della natura - vol. II,giugno 2001 - E. Larsen, Savage Dragon nn.1-5, gennaio2002-marzo 2003 - L. Ortolani, Venerdì 12 - Le Origini, aprile2002 - L. Ortolani, Venerdì 12 - Solitudine!, giugno2003

Volumi a fumetti

- M. Bunker, Magnus, Maxmagnus, EditorialeCorno 1970.- Quino, Mondo Quino, Bompiani 1981.- A. Preda, F. Travi, Andi Andi, C.L.A.S. 1984.- A. Pazienza, Tormenta, Milano Libri 1985.- Altan, Cico & Pippo - La crudeltà fatta in casa,Glénat Italia 1986.- M. Materazzo, “Colla”: un incontro straordina-rio, C.E.P.S. Bologna, 1998.- W. Eisner, Dropsie Avenue, PuntoZero 1999.- David B., Cronache dal grande male, Raspu-tin! 1999.- D. Mazzucchelli, Big man, Coconino Press2000.- D. Pennac, J. Tardi, Gli esuberati, Feltrinelli2000.

Testimonial a fumetti

- Dylan Dog: “Sfangando per gli alluvionati inPiemonte”, 1995.- Dylan Dog: “Concerto del Primo Maggio”,1997.- Lupo Alberto: “A chi getta la bottiglia, diavo-lazzo se lo piglia”, campagna sul riciclaggio deirifiuti.

Saggistica

- A. Orsi, “Essere o apparire: l’immagine del fu-metto affidata al medium fumetto”, tesi di lau-rea, corso di Pedagogia, Università di Bologna,1988-89.- L. Cavaliere, E. Pompili, “Materiale per la dia-gnosi e per la riabilitazione dei disturbi del lin-guaggio”, Psichiatria dell’infanzia e dell’adole-scenza n.4, luglio-agosto 1989.- E. Fucecchi, G. Galassi, “Anche un ‘fumetto’può aiutare a vincere le barriere del pregiudi-zio”, A.I.A.S. nn.5-6, 1991.- R. Mantegazza, B. Salvarani, Se una notted'inverno un indagatore… Istruzioni per l'uso diDylan Dog, Unicopli 1995.- S. Ferraris, “Handy, che spasso”, Vita, luglio1995.- F. Bianchi, P. Farello, Lavorare sul fumetto -Unità didattiche e schede operative, Erickson1997.- P. Guiducci, “Quando il fumetto veste da testi-monial”, Fumo di China n.57, aprile 1998.- F. Bianchi, P. Farello, “Lavorare sul fumetto:processi cognitivi, creatività e difficoltà di ap-prendimento”, Difficoltà di apprendimento n.2,dicembre 1998.- A. Ostini (a cura di), Dylan Dog. Indocili senti-menti, arcane paure, Euresis 1998.- S. Borgato, “Satira e handicap”, DM, agosto1999.- S. Gorla, P. Guiducci (a cura di), DiversAbili.Figli di una nuvola minore?, Cartoon Club2001.- D. Barzi, S. Gorla, P. Guiducci (a cura di), Nu-vole diverse - Per un vocabolario dell'handicape fumetto, gennaio 2002.

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sere raccolta e salva-guardata. E questo an-che a prescindere dallecaratteristiche particolaridi una persona, perchéuna certa armonia puòconvivere persino con uncerto dolore o con un cer-to handicap.Del resto "armonia", nelmito e nell'immaginariocollettivo mediterraneo –come si può leggere nelmio testo A partire da Ip-pocrate –, è pur sempreuna ferita ricucita, dueparti o aspetti che si ri-congiungono come lelabbra di una separazio-ne connaturata con l'uo-mo (e questo strappo èstato colto bene daFreud). Diventa allora si-gnificativo sapere che Ar-monìa, saggia moglie diCadmo re di Tebe, secon-do il mito era figlia di duedivinità contrapposte:della dea dell’amore (A-frodite) e del dio dellaguerra (Ares); e, come di-ce il suo bel nome, ricuci-va le ferite, riconciliava,trovava le soluzioni piùopportune. Così la salutepoteva, e può tuttora,convivere persino con uncerto dolore o con un cer-to handicap, dal momen-to che la salute è la salu-te per ciascuno di noi, inquanto è per ognunoquella ricucitura armoni-ca delle proprie disso-nanze.Del resto, l'intera culturamediterranea si fondasulla coincidenza degliopposti, sulla ricucituraarmonica dei contrari,sull'Apollo e Diòniso, sul-l'ordine e disordine, o sulfascinosum e tremendumche connota la poesiatragica, ma anche lastessa esistenza.

3. Strategie terminolo-giche tra luoghi comunied amplificazioniAlla gamma moderna ap-partengono termini quali:subnormale, invalido diguerra, disabile, inabile.Fino agli anni ‘70 alcuneassociazioni che si occu-pavano di persone disa-bili (ad es., A.N.F.F.A.S.)mantenevano la parolasubnormale . Se consi-deriamo questo terminedall’aspetto semantico,potremmo anche avvici-narci al suo valore funzio-nale: un valore funziona-le sia per chi aspirava afinanziamenti – comel’associazione – e sia perchi li erogava – come loStato o l’Ente Locale –, ilquale (ma in effetti en-trambi) relegava ad unasubumanità irrecuperabi-le, una popolazione indif-ferenziata per cui diven-tava comunque più van-taggioso (e rassicurante)finanziarne la sua so-pravvivenza e mantener-la ben separata dalla so-cietà produttiva piuttostoche farne un problemapolitico-sociale e mettere

in moto strategie d’inseri-mento.Quasi in parallelo, dallacultura anglosassone ab-biamo ereditato un termi-ne sportivo, l’handicap . Ilvocabolo è preso dall'ip-pica, per cui il cavallo cheoccupa la corsia più inter-na alla pista parte con unarretramento, o svantag-gio, rispetto agli altri ca-valli. Espressione infeli-ce, inadeguata, offensiva..., e che tuttavia si è usa-ta anche in queste rifles-sioni perché, oramai, è dipatrimonio comune.Ogni volta ci si trova difronte a “un caso unico”,e si dovrà capire con par-ticolare attenzione comeagire nei suoi confronti:innanzitutto, approfon-dendo la conoscenza, sela persona di cui ci si“prende cura” è handi-cappata, o ha un handi-cap , o è portatrice di han-dicap, oppure ancoratrattiene con sé l'handi-cap come chi si aggrappaad una identità.

Significativa è la frasepronunciata dalla prota-

gonista del film di JoanCampion, Un angelo allamia tavola (1990). Di-messa dalla clinica doveera ricoverata per disturbipsichici in quanto ritenuta“guarita”, la donna diso-rientata dice fra sé: “E a-desso, chi si prenderàcura di me?”

Questo trattenere l'handi-cap fa parte, ormai, di unguscio assistenzialisticoassai spesso incoraggia-to da meccanismi socio-politici che favoriscono laderesponsabilizzazione.Anche questi alibi del di-sagio devono essere te-nuti in considerazione dalmedico per orientare chiricorre a lui (svantaggiatofisico, psichico, sociale, oemarginato) verso la di-gnità della propria soffe-renza. C'è inoltre un'al-trettanta varietà di soffe-renze reali da cui si vor-rebbe uscire, e che, casoper caso, presentanospecifici comportamenti.Eccone alcune:- è quella di chi è handi-cappato: con cui s'inten-de connotare in toto una

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cilmente diventa leggibilecome “disturbo”, sintomoperlomeno di disagio senon di malattia: un bam-bino che scrivesse in uncomponimento "Pesciche volano in cielo, uc-celli nuotanti nel ma-re"…, viene non di radoclassificato avente lin-guaggio sincretico, e per-tanto un bambino conuna distonia da correg-gere. Altra lettura vienefatta se la stessa espres-sione si trova nell’Apoca-lisse di Giovanni oppurein una lirica.Mito e agiografie ricon-ducono a questi linguag-gi incompresi, che do-vrebbero farsi paradigmiper comprendere, men-tre invece si pietrificanoin pagine letterarie. Il la-mento del Minotauro nellabirinto dell’incompren-sibile non è capito né daArianna né da Pasiphaeperché è segnato da una"coabitazione" tra anima-le e umano, tra istinto eragione, nell’unità di quelsoma psichico che dopo,molto tempo dopo, Plato-ne distinguerà tra “corpo”e “anima” [Cratylo, 400c].E nemmeno le risposte i-spirate di Giovanna d’Ar-co convincono l’inquisito-re Couchon: sono e-spressioni che viaggianosu logiche diverse, perquesto la Pulzella andràal rogo. Non i conflitti, male guerre distruttrici e-splodono quando siscontrano due volontà in-tegraliste, con due oppo-ste espressioni, con duelinguaggi senza punti diriferimento comuni, e so-prattutto quando una del-le due volontà possiedel’esperienza della dialet-tica e della tolleranza.

2. Armonie e razionaliz-zazioniAltre parole forti ed em-blematiche, per connota-re la percezione di sé edell’altro, riescono a tra-durre le relative rappre-sentazioni in comporta-menti e, di conseguenza,in modalità d’intervento,sia come meccanismo diautodifesa sia, più di re-cente, in scelte politichecome strategia per otte-nere consenso. Nella teratologia dell’anti-chità troviamo il demonia-co, l’indemoniato, la stre-ga, la maga, il deforme,lo storpio, il disgraziato, ilfolle, l’invasato, e trovia-mo anche il peccatorecome stigmatizzazione diuna persona deviante. Ilpeccatore è una parola-concetto che non derivaunicamente dal Medioe-vo buio, ma ha una con-notazione culturale com-plessa che parte da S. A-gostino per arrivare all’at-tuale pensiero clericale, espesso anche laico (bastipensare come alcunemalattie, diffusesi negli

anni ‘70/’80 – comel’AIDS – siano state an-cora collegate all’idea delcastigo divino in seguitoad una disobbedienza ri-spetto alla norma). Non acaso, la parola peccatorederiva dal latino medioe-vale "peccus", comple-mentare a "mancus", il“mancino”. Mentre il man-cino è colui che usa lamano diversa da come lasi usa in genere, il pecca-tore non è altro che lo“zoppo”. Peccus è coluiche ha il piede “deviante”perché non segue la rettavia come molti altri. Convivere con il propriopiede zoppo, con la pro-pria devianza o con il pro-prio handicap, trovare"armonia" con la propriacondizione, certo non faparte della cultura percet-tiva comune. Il disagioche può causare una sof-ferenza, anche se silen-ziosa, anche se convis-suta da chi la ha, dev’es-sere amplificato da partedell’attuale cultura assi-stenzialistica, dev’essereposto in evidenza (anche

con esemplare eviden-za), in modo che chi os-serva possa accentuare idivarî e marcare ancorpiù il fatto di non apparte-nere a quel mondo, e,persino soccorrendolo,riaffermare la proprianon-devianza. Questemodalità comportamen-tali scattano anche se siha una certa cultura, an-che se si legge Ippocrateo Platone. Spesso rima-ne pura filosofia, o bellapagina non realizzabile,anche là dove Platone,nel Timeo [87 b-e], rife-rendosi all'equilibrio ar-monico da ricercare nellasalute (caro ad Ippocra-te), osserva: “Dunque,anche il vivente, per es-sere tale, dobbiamo sup-porre che sia in giusta mi-sura. Ora, delle giuste mi-sure noi avvertiamo quel-le piccole e ce ne rendia-mo conto, mentre dellepiù grandi e delle più im-portanti non ci rendiamoconto. Infatti, per la salu-te e le malattie, le virtù e ivizi, nessuna giusta mi-sura o mancanza di misu-ra risulta essere maggio-re di quella dell’animastessa in rapporto con ilcorpo.”

Con la consapevolezzache l'equilibrio, o la giustamisura nella convivenzadei contrari, sia una ten-denza, e non certo unamèta raggiungibile, diquesto si dovrebbe tenerconto. Così può essercisalute e serenità d'animoquando viene scopertoquel proprio modo di es-sere in armonia con lapropria condizione, quan-do viene trovata quellamisura con sé stessi che,di volta in volta, deve es-

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ner presente che, nellemalattie, si corre minorpericolo quando la malat-tia corrisponde più allanatura, all’età, alla con-suetudine, alla stagioneche quando riguarda larelazione, come racco-mandava il Medico gre-co.La nuova cultura sulla di-versità si è sforzata supiù versanti per superareogni tipo di classificazio-ne funzionale, e per sen-sibilizzare l’opinione pub-blica, non tanto ad accet-tare, quanto piuttosto aconvivere con le diver-sità, spesso utilizzando ilsalvagente del diritto. Ec-co quindi: il diritto al ri-spetto, il diritto al lavoro,il diritto all’assistenza, e ildiritto alla sessualità(ma, per quest’ultimo, hoespresso in altri saggi lemie divergenze). Fatto èche alcune proposizionialternative sono diventa-te slogan, luoghi comuni,o vere e proprie tautolo-gie: da “loro non sonocome noi ” si è passati a“loro sono come noi ”, equindi a “loro sono me-glio di noi ”, come pub-blicizzava fino a pocotempo fa Pubblicità Pro-gresso. Nessuno però,ancora, ha assunto comemodello di pensiero, ecome modello percettivo,il semplice “loro sono ”.

4. Quando il mito inse-gnaEntrando nella secondaparte delle mie conside-razioni che riguardano ilmito, non posso dare perscontata la risposta alladomanda: perché il mito? Innanzitutto occorrechiedersi che cosa è ilmito?, e poi perché lo si

evoca in contesti cosìlontani nel tempo, nei co-stumi e nellacultura. Certo ilmito non è unafavola, e nem-meno una me-tafora del direqualcosa di diverso,e tanto meno quell’ar-chetipo che la nostra esi-stenza sarebbe “condan-nata” ad imitare. Il mito è piuttosto quellaimpronta tipica del “vi-vente umano” sulla qua-le, di volta in volta neltempo, più di una popola-zione appartenente adun medesimo bacino cul-turale confronta il propriopiede comportamentalee la propria voce espres-siva, riconoscendovisi.Come un tessuto per-manente – e sempre at-tuale – dentro al qualenoi ricamiamo, di voltain volta, i nostri vissutidi paure, di angosce, disperanze, di colpe, didesideri ... Una sola pa-rola, a volte, trattiene insé la ricchezza del mito.Solamente pronunciandola voce //SOLE// con lostupore luminoso chepuò evocare questa pa-rola, si entra nella dimoradel suo miyhos (vocecorrelata a manthánôche significa “sto capen-do”), senza renderseneconto; e non si fa certomitologia come noi quistiamo facendo ...L’attualità di alcuni mitimediterranei è sorpren-dente; e soprattutto sor-prende come, nonostan-te il progresso delle co-noscenze scientifiche,sopravvivano certe rap-presentazioni nelle cuiimpronte tessiamo anco-ra le nostre paure, le no-

stre euforie, i nostri desi-deri ... Pensate all’attua-lità del mito della Terrache si abbraccia con ilCielo: Géa, la GrandeMadre generante, che sitrova ancora nell’amples-so di Urano, nonostantel’astronomia e le esplora-zioni interplanetarie. O-gnuno vive oggi in que-sto abbraccio fecondo,“opaco alla coscienza”,condizione per cui avver-te la rigenerazione dellepiante, degli animali edell’uomo, e in questoabbraccio nutre quotidia-namente le sue speran-ze. Per esemplificare l’ar-cheologia delle nostrereazioni di fronte alle di-

versità, ho individuatonella mappa dei miti me-diterranei tre cicli: il ciclodell’Argolide incentratosu Argos, ed evocato nel-le Supplici di Eschilo; ilciclo Minoico, incentratosul Minotauro a Creta; edil ciclo tebano, con riferi-mento alla tragedia di E-dipo.

- Il ciclo dell’Argolide ciguida a capire le reazioninei confronti della diver-sità etnica : quei dubbi equelle diffidenze che, no-nostante la matura antro-pologia, attiviamo ognivolta che ci troviamo difronte lineamenti somati-ci, ritualità, abilità e com-portamenti diversi dai ca-

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persona con quel suohandicap caratterizzante.La difficoltà di porsi in re-lazione con costoro di-pende, più che dalla gra-vità, dalla forza di tale ca-ratteristica;- è quella di chi ha unhandicap: con cui s'inten-de che una persona è se-gnata da un deficit chetutto sommato non incidenella percezione dellasua personalità;- è quella di chi ha subitoun handicap nel corsodella vita, per trauma omalattia o incidente ... Adifferenza di chi è natocon un handicap (che,generalmente imposta lavita e l'esistenza sul suomodo di essere), questapersona ha maggiori dif-

ficoltà nella sua organiz-zazione esistenziale: siaperché si trova repenti-namente ad essere“un'altra persona” e siaperché ha sempre da-vanti a sé il modello di vi-ta precedente al trauma.Sofferenza, questa. Col-ma d'angoscia se priva disperanze. Lo dice beneDante nel V canto dellaCommedia, allorchérammenta non esserci ...nessun maggior doloreche ricordarsi del tempofelice nella miseria;- è quella di chi è portato-re di handicap: con cuis'intende che lo svantag-gio non appartiene aduna persona, ma che so-no le circostanze (am-bientali, contestuali, fa-

miliari, sociali) che glie-lo provocano - tramiteostacoli o esclusioni diogni genere, o tramiteindifferenze - oppureavversità esterne cheaccentuano quel picco-lo disagio che ognuno

può avere;- è quella soffe-

renza di chi haun handicap

grave ogravissi-

mo, oppu-re di chi è

malato termina-le o allo stato vege-

tativo. In tale circo-stanza l'atteggiamen-to medico (al di là delfarmaco, al di là delsoccorso) deve esse-re tutt'altro che tecni-co, ma soprattutto de-ve essere quello "cli-nico ": appunto dotatodi quella capacità d'a-scolto (ancora una

volta ippocratica),di quella capa-

cità di incli-narsi verso chi

soffre, adatta per saper-gli comunicare la propriapresenza.Penso che soprattutto ladenominazione indiffe-renziata di portatore dihandicap contenga unmessaggio che reca ilpericolo di un’espropria-zione della personalità.Pensate se noi definissi-mo una bella donna e unbell’uomo come “portato-ri di sesso”: sarebbequalcosa di osceno, per-ché ridurrebbe ad un far-dello provvisorio e acci-dentale la personalità.La scuola romana già datempo ha introdotto iconcetti del diverso , deldisabile , del soggettocon deficit , del sogget-

to problematico , fino aldisadattato , all’emargi-nato , allo svantaggiato .Nella cultura sociale cheesige a tutti i costi l’inte-grazione secondo propriparametri, si sono succe-dute in breve tempo e-spressioni quali l’inte-grabile , il recuperabile .Il “recuperabile” estendel’ottica dall’operatore so-ciale che lavora con chideve recuperare, allasocietà civile, agli ammi-nistratori, ai genitori checoncorrono al pensierounico del modello di re-cupero. Il recupero impe-gna tutti i soggetti versouna deproblematizzazio-ne coincidente con la“pace sociale”. Ancor piùsignificativi sono apparsidi recente termini, quali ildiversamente abile e ildiversamente sano ,che seguono la scia dellacultura ecologica contra-ria alle “globalizzazioni” eper la difesa delle “biodi-versità”. Il diversamente sano co-munque si trova già negliaforismi di Ippocrate, co-me indicazione se noncome espressione: Nonoccorre che il medicoporti a guarigione, maoccorre che il medicoporti a quel soggetto unasua armonia. Armoniaassume così un concettodifferenziato della salute. Ogni volta ci si trova fac-cia a faccia con un diver-so diverso, e così pure o-gni volta ci si trova a do-ver tener conto di parec-chie circostanze, anchese la patologia sembraessere la stessa. Si deveprendere nella debitaconsiderazione l’abitudi-ne, la stagione, il luogo,l’età e così pure deve te-

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o indirette vengono e-spiate attraverso la mo-glie di Minosse, Pasifae.Afrodite, pure sentendosioffesa, fa invaghire Pasi-fae del Toro Bianco chescorazza per Creta, finoa progettarne l’accoppia-mento. Da questo rap-porto (di perversionezoofila) nasce il primo“mostro” della cultura oc-cidentale, il Minotauro,metà uomo metà toro, ilquale, nelle sue più sva-riate metamorfosi, faràda impronta alla storiadella teratologia fino ai“frutti della colpa” del no-stro non lontano Cotto-lengo, esseri che vengo-no esclusi agli occhi delmondo.Nelle opere teatrali piùnote, il Minotauro godràdi quegli attributi com-pensativi che riescono atamponare le angosce:avrà una saggezza chenon hanno gli altri uominie saprà prevedere. La te-ratologia arcaica e clas-sica confina questo Mo-stro nel cuore del labirin-to, perché non venga vi-sto dagli altri, e perchédesti terrore (un terrorefunzionale al potere mi-noico); ma anche per-ché, solo attraverso la e-laborazione "labirintica"del linguaggio collettivo,il Minotauro, inquietantee saggio, può parlare allegenerazioni seguentiche, in diversa misura econ differenti autodifese,si interrogano sulle fobiedi fronte alle dismorfie.Ecco, dunque, la primaapartheid, la prima sepa-razione dagli occhi uma-ni di una creatura natura-le che non aveva nessu-na colpa di trovarsi diver-so in una natura di diver-

si, mascherati dietro unaparvenza di omogeneità.Ma il Minotauro era e-stremamente diverso. Lasua deformità veniva –come tuttora accade –amplificata all’eccesso,perché veniva a trovarsinel cuore del labirinto diquel linguaggio accessi-bile a tutti che rinnovavada generazione a gene-razione la domanda e-strema: perché accadequesto? Il Minotaurosembra rispondere conun aforisma degno di E-raclito: “Il mito non si ve-de ma si avverte oltre lepareti del labirinto”. Alla fine degli anni Set-tanta, abbiamo avuto ilcoraggio di rompere lemura per liberare tuttequelle diversità,amplificate pro-prio perché e-scluse dalmondo. Teseo –come gli attuali Te-sei liberatori – nonha fatto niente di tut-to questo, non ha rot-to le mura del labirin-to, ha lasciato tutto co-sì come è. Metaforica-mente, Teseo (ovvero lasempre nuova riforma i-stituzionale) si è fattoaiutare da Arianna (ovve-ro l’operatore esperto, ilvolontario), la quale haindicato la via d’uscitasolo a lui: così, la fuga dientrambi (dall’enigma in-quietante del disagio) ri-propone la solitudine delsoggetto “recuperato”,come possono essere glieffetti delle terapie socia-li pragmaticamente teseai risultati della pace so-ciale. L’allegoria della viad’uscita funzionale èchiara. La società con-temporanea, sempre più

pragmatica, ha contem-plato diverse vie d’uscitaper risolvere il problemadel diverso o dell’handi-cappato, ma il “recupero”o l’“integrazione” non hamai guardato all’indietroper rimuovere le causesociali, pur mostrando ivalori di un impegno civi-le, tuttavia queste formedi recupero puntano piùall’efficienza che all’effi-cacia delle grandi risorsedel rapporto umano. Qualche anno fa Giovan-na ed io siamo andati a

Londra, prendendo l’ae-reo dalla Malpensa. Unavolta arrivati, dall’aereovediamo un curioso pul-mino che avrebbe porta-to i passeggeri all’uscitadell’aeroporto fino ai taxi.Hanno fatto scenderetutti i passeggeri direttiverso quel pulmino, tran-ne noi due. Più di trequarti d’ora siamo statiobbligati a rimaner fermisull’aereo, perché per idisabili è stato realizzatoun tunnel illuminato chedall’aereo porta diretta-

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noni della nostra etnia.Non ci troviamo, attual-mente, in un’epoca in cuisi possa ancora parlare odi immigrazione o di emi-grazione, ma ci dirigiamoverso l’epoca delle gran-di trasmigrazioni: feno-meno, questo, che co-stringerà a rivedere sia imodelli di ospitalità siaquelli di patto sociale.Come è noto dal mito, adArgos, nel golfo dell’Ar-golide, c’era già un re, ele Dànai, le Supplici, fug-gite dall'Egitto assiemeal padre Dànao, bussa-rono alla porta di questoregno per avere ospita-lità. La drammatica fugadelle 50 fanciulle figlie diDànao dall’Africa setten-trionale era dovuta allapersecuzione dei 50 figlidel re Egitto. Diverse perrazza, cultura e costumi,le Dànai furono dapprimaguardate con sospetto econ curiosità, poi il Re siconsultò e rifletté a lungoprima di spalancare leporte:Occorre frugare nell'abis-

so: calarsi sul fondo,scandagliare il pensiero,perché laggiù è il rime-dio, gli farà dire Eschilo..., e finalmente il benve-nuto. C'è sempre, comunque,una faticosa soglia d'at-tesa nell'incontro con l'al-tro, tanto più se l'altro simostra diverso, o troppodiverso: può durare an-che pochi secondi, mac'è, esiste comunque adogni latitudine del pen-siero. Ma l'altro portasempre qualcosa di nuo-vo, è comunque portato-re di doni anche se susci-ta sospetto: le Dànai,quale ringraziamento,portarono un'arte scono-sciuta a quei luoghi,quella della rabdo-manzìa, l’arte di saper in-dividuare e raccogliere leacque sotterranee, dacui poi fu reso possibileirrigare e bonificare quel-le terre ... Anche la mo-glie-regina contribuisceall’accoglienza: rappre-senta, come sarà Antigo-ne nel ciclo tebano, quel-

lo spirito femminile anco-ra “desiderante” piuttostoche rigidamente osser-vante delle regole diplo-matiche della città: ella,madre e regina, apriva lebraccia a chi chiedeva ri-fugio. La corifea, cheparla a nome delle 49 so-relle, darà un contributoimportante e simbolica-mente significativo all’ac-coglienza, quando ricor-da a quel re e ai suoiconsiglieri di essere unalontana parente: “Guardache attraverso Io, la bellafiglia di Pelàsgos, anticore di Argos, noi siamo pa-renti anche se siamo dipelle scura, perché vivia-mo da lunghissimo tem-po in Africa.” Questa os-servazione, presente inEschilo, è di un'attualitàincredibile, possiedeun’attualità antropologicadegna di Edmond Morris... Morris - ma non sololui - sostiene che possia-mo immaginarci come sefossimo uno accanto al-l’altro in una catena uni-versale che, attraverso isecoli e i millenni, si è di-slocata in territori diversidel globo, differenziatasiin gruppi sempre più e-stranei, per clima, percultura, per paralleli emeridiani, per incroci dirazze e così via. Ma se cidessimo la mano lungoquesta interminabile ca-tena tutti, in 6 miliardi chesiamo e per differenzeminime difficili da rileva-re, si perderebbe la per-cezione delle grandi dif-ferenze.

- Nel ciclo Minoico , in-centrato sul Minotauro aCreta, il problema delladiffidenza di fronte aun’altra etnia si complica

con il problema della rea-zione (dal sospetto, allapaura, al ribrezzo ...) difronte alle molteplici va-rianti della diversità fisi-ca, reazione definita dal-la clinica psichiatrica “di-smorfofobia”. La pauradella forma non canonicacosì come del comporta-mento non automatica-mente riconoscibile, ten-de ad amplificare qualitàe malvagità del soggetto-monstrum, rivestendolodi attributi esagerati neidue eccessi: attraversosimmetrie percettive (seè così ripugnante è an-che malvagio, oppurecon il proverbio veneto“da un disgrassià tri pas-si in là”), e attraversochiasmi compensatòrî (ècosì, ma il suo animo èeccezionale!). Risaliamoal mito corrispondente.E’ la vicenda del grandedio-re dell’Olimpo, che siinvaghisce di Europa: in-gannata da Zeus, trasfor-matosi in Toro, viene ra-pita in Siria e portata aCreta. (Si trova qui il pri-mo germe politico che al-lude alla volontà di co-struire un’Europa capacedi abbracciare ancheparte del Medio Oriente). Europa genera Minosseil quale, nato già segnatodalla colpa dell’ingannopaterno (Zeus, oltre adingannare Europa, hatradito Hera legittimaconsorte), commetteràaltre inadempienze, eper tutto questo dovràpagare. Questo “desti-no”, questa “anànche”onnipresente aleggiadappertutto, e provocaquelle catene di colpa-e-spiazione come le sim-metrie di causa-effetto;cosicché le colpe dirette

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Contrariamente a quanto il titolo del mio in-tervento lascerebbe supporre, durantequesto nostro incontro toccherò le temati-

che della letteratura araba scritta in arabo dagli a-rabi per gli arabi. Mi scuso per quanti resterannodelusi dalla mia decisione di non prendere in esa-me la produzione letteraria di cittadini non italianiche hanno deciso di esprimersi in italiano, ma cre-do che questo capitolo della letteratura italiana ab-bia molti estimatori, ben più informati di me. Daparte mia, preferisco rivolgere il tempo a mia di-sposizione alla produzione letteraria, alla produzio-ne di pensiero dunque, della riva sud del mediter-raneo, convinta come sono che il primo passo ne-cessario per mettersi in dialogo con chi non è noiconsista nel liberarsi dai pregiudizi e nel riconosce-re, di conseguenza, dignità a culture altre da noi.Ho scelto di parlare della letteratura araba, quindi,perché la letteratura è, a mio parere, la strada mae-stra per raggiungere tali obiettivi. Vi sono anche,però, motivazioni più "personali" a questa mia scel-ta.Ricordo che, come la maggior parte delle personedella mia generazione, durante l'infanzia ho gioca-to tante volte a indiani e cowboy, gridando "evviva!"ogni volta che un indiano cadeva ucciso. Soltantomolto più avanti nel tempo ho capito in che trappo-lone ero caduta: il mio immaginario si era costruitosull'immagine degli indiani che mi veniva dai filmwestern americani, che me li aveva sempre mo-strati come barbari, incivili, crudeli e senza cultura,facendo sì che io mi immedesimassi con gli altri, i‘nostri’. Ed erano stati libri e film come “Soldatoblu”, “Piccolo grande uomo”, “Un uomo chiamatocavallo”, a permettermi di operare la trasformazio-ne, a farmi riconoscere la dignità della cultura in-diana, scevrandola dai pregiudizi che ignoravo di

avere. Vi racconto un altro aneddoto: nel mese didicembre 2002, a Bolzano, durante una "tre giorni"dedicata alla cultura araba, che comprendeva in-contri nelle scuole, presentazioni di scrittori arabi,spettacoli teatrali e musicali e tavole rotonde a te-ma, la scrittrice libanese Hoda Barakat si è raccon-tata al pubblico. Al termine dell’incontro un ragazzole ha rivolto una domanda, una buona domanda:‘Perché io, che sono di Bolzano, dovrei leggere let-teratura libanese?’. Questa la risposta: ‘Non ti diròche devi leggere la letteratura libanese come neleggi altre, perché è bella e perché ti piacerà aver-la come amico sul comodino. Ti racconterò inveceche, quando è scoppiata la guerra in Kossovo, io

Elisabetta Bartuli (*)

vvooccii ddaall mmoonnddoo aarraabbooLa letteratura e i fenomeni migratori:

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mente alla hall dell’aero-porto attraverso un corri-doio infernale. Non im-porta aver perso i contat-ti con gli altri passeggeri,non importa l’esclusioneda un possibilissima e-sperienza comune, nonimporta avere il piaceredel braccio solidale deglialtri per entrare nel pul-mino di tutti; l’importanteè essere pragmatici, ot-tenere l’effetto di usciredall’aereo “senza grane”.E questa è l’efficienza.Teseo è uscito tranquillodal labirinto, mentre il Mi-notauro è rimasto dentro,morente.

- Il ciclo tebano , l’ultimoche ho considerato, miconsente alcune rifles-sioni sui comportamentidi fronte alla diversitàpsicologica , relativa allasfera emozionale chenon comprende soltantoil ben noto complesso diEdipo, ma una grandissi-ma varietà di forme di di-sagio, disorientamentopsichico, sensi di colpa,per un ventaglio che in-clude le patologie conte-nute nelle repressionidella “normalità” fino aicasi clinici. Il mito, che in-veste tutto il bacino delMediterraneo, riportauna genealogia concate-nata da crimini colposi,per cui ogni effetto si tra-muta immediatamente incausa di altri disagi, e diconseguenza di sensi dicolpa, disturbi relaziona-li, da cui e per cui vienemessa in moto la com-plessa macchina socialeper pianificare soluzionifunzionali con modellistandard tra terapie ed e-marginazioni. Vediamo-ne l’impronta.

Il primo re di Tebe, chesecondo la leggenda èCadmo, chiamato ancheil Fenicio, è il fratello diquella Europa che erastata rapita da Zeus.Cadmo sposa Armonia.Da questo inizio del mitonasce una secondagrande considerazione,che è la convivenza, lacoabitazione dei contrari.Nei drammi psicologicicoesistono sempre i con-trari. Aristotele usa il ter-mine sinechiòsis per de-finire, non già la contrad-dizione, ma la “coabita-zione dei contrari”, l’ar-monia. Armonia, mogliedi Cadmo, è la figlia didue divinità contrappo-ste, di Afrodite, dea del-l’Amore, e di Ares, diodella guerra. Armonianon può nascere solo daAfrodite o solo da Ares,perché appunto in queltessuto collettivo viene ri-conosciuta per questasua complementarietà.Alludendo alla congiun-tura dei contrari, "armo-nia" dunque non vuol diresimmetria, uniformità,perché contiene in sé ladialettica degli opposti,come appunto consiste ildialogo, una conquistanella comunicazione.L’"armonia" con questovalore è ritrovabile ancorprima del V secolo a.C..Eraclito avverte una sif-fatta armonia nella natu-ra stessa. Questa physis“ama nascondersi” e,appunto in questo suosottrarsi, esprime conmaggior vigore quellasua trama che trattiene insé i contrari (del mostrar-si e del non mostrarsi), in“giusta misura”. Nel Ti-meo Platone, riferendosiall’equilibrio della salute

caro ad Ippocrate, osser-va: ... dunque anche il vi-vente per essere taledobbiamo supporre chesia in giusta misura ...Ora della giusta misuranoi avvertiamo quellapiccola e ce ne rendiamoconto, mentre delle piùgrandi e delle più impor-tanti non ci rendiamoconto. Infatti per la salutee le malattie, le virtù e ivizi nessuna giusta misu-ra o mancanza di misurarisulta essere maggioredi quella dell’anima stes-sa in rapporto con il cor-po.Con la consapevolezzache l’equilibrio o la giustamisura nella convivenzadei contrari sia una ten-denza e non certo unameta raggiungibile, diquesto si dovrebbe tene-re conto. Così può esser-ci salute e serenità d’ani-mo quando viene sco-perto quel proprio mododi essere in armonia conla propria condizione,quando viene riconosciu-ta, quando viene trovataquella “giusta misura”con sé stessi che di voltain volta deve essere coltae salvaguardata.Le lacerazioni, che daCadmo, attraverso Lab-daco, Laio, arrivano adEdipo, sussisterebberocomunque nell’animo u-mano – e noi non le capi-remmo senza queste tra-me esemplari –, ma sa-rebbero certamente più

ricucite, e più sopportabi-li, se il disagio personalenon venisse amplificatonel disagio della civiltà.

(*) Cesare Padovani si èlaureato in lettere e filoso-fia a Bologna nel 1965. E’stato docente di lettere allescuole superiori; ha quindiottenuto un incarico nel‘71/’73 all’Università di Ur-bino, e nel biennio ‘78/’80è stato collaboratore allafacoltà di Psicologia dell’U-niversità di Padova. Ha pubblicato parecchie o-pere tra cui “La speranzahandicappata” (Guaraldi1974), “Handicap e sesso:omissis” (Bertani 1978),“Lo psicologo scalzo conaltri autori” (CLEUP, 1979),“Bruca tu che bruco an-ch’io” (Aiep 1986). Da parecchi anni è “forma-tore” di docenti, organiz-zando corsi d’aggiorna-mento e seminari di lingui-stica, teoria dell’immagine,retorica, mitologia ..., e daun ventennio segue i lau-reandi nella costruzionedella tesi di laurea.

In appendice il lamento di Filottete, monologo liberamente tratto da Sofocle ricostruito da Cesare Padovani

Nota

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l'errore risieda nell'uso del termine "islam" comeconcetto/parola onnicomprensiva. Credo infatti che la parola italiana “islam” sia statafin qui usata per definire almeno 4 piani/livelli/entitàdiverse:1. "Islam" come fede/religione. In questo caso, il di-retto interlocutore è il Cristianesimo. E forse è benericordare che il dialogo ecumenico tra uomini edonne di fede – islamica e cristiana – è in corso daben prima dell’11 settembre, con risultati incorag-gianti.2. "Islam" come Fondamentalismo. Lo scrittore al-gerino Habib Tengour in Gens de Mosta, già nel1997 definiva i movimenti politici che, nel mondo i-slamico, hanno fatto della religione la loro bandie-ra: “... dei felloni che sono riusciti a imbrogliare ilpopolo giocando con il Corano” (Actes Sud, Arles1997, pag. 80). Dovrebbe essere chiaro che que-sto fenomeno prettamente politico - che non è soloislamico, ma anche cattolico, ebraico, hindu, laico -è un discorso “altro” rispetto all’islam inteso comefede e necessita di ben altri strumenti di compren-sione. 3. "Islam" come immigrazione. In Italia più che inaltri paesi europei (vedi il caso Fallaci e seguenti)spesso non si è riusciti a disgiungere valutazionisull'appartenenza religiosa dei cittadini non europeipresenti sul territorio italiano dalle considerazionisocio-politiche legate al fenomeno migratorio, e ciònonostante il fatto che, secondo i rendiconto dellaCaritas, solo il 36% dei cittadini non europei pre-senti sul territorio italiano risulti provenire da paesia maggioranza musulmana.4. "Islam" come Cultura, come Civiltà. Con Cultu-ra/Civiltà intendo qui riferirmi a storia, geografia,sociologia, arte, filosofia e ai molti altri ambiti di sa-pere che si incentrano in una vasta area geografi-ca la cui popolazione è, in maggioranza, musulma-na. Dovrebbe a questo punto risultare evidenteche, così come "islam" come fede ha come con-traltare il Cristianesimo, "islam" come cultura hacome contraltare la Cristianità, con tutte le variantiintrinseche, sia strutturali che individuali, che i duetermini comportano.

Credo sia chiaro dalla mia lunga premessa che, amio modo di vedere e da quel che appare nei testiscritti da numerosi autori arabi, l'appartenenza reli-giosa non è la primaria componente identitaria. Miviene in aiuto, a questo proposito, uno scrittore li-banese, Elias Khuri, che vive a Beirut ed è il diret-tore dell’inserto letterario di uno dei maggiori quoti-diani nazionali. Così descrive la sua personale i-

dentità: “Io potrei raccontare il rapporto che lega laPiccola Montagna - cioè il quartiere di Ashrafiyah aBeirut dove sono nato - con il mare e la montagna;potrei dire come, da ragazzo, sentissi che la miacultura era ricca e plurale, plurale come conse-guenza del pluralismo religioso di Beirut, e riccagrazie alla mia capacità di fondere l’appartenenzacristiano-orientale che avevo ereditato dalla mia fa-miglia, l’appartenenza arabo-islamica propria allamia cultura, e l’appartenenza alla cultura mondialeche mi hanno insegnato Ra’if Khuri e ‘Omar Fakhu-ri, "Lo straniero" di Camus, "La nausea" di Sartre, eil sogno marxiano di sfidare il cielo”.(“Beirut e il Me-diterraneo. Doppia lingua e lingua plurale”, in EliasKhuri e Ahmad Beydoun, Rappresentare il Mediter-raneo. Lo sguardo libanese, Mesogea, Messina,2002).Parimenti, in un romanzo autobiografico, Edwardal-Kharrat racconta la sua giovinezza trascorsa adAlessandria d'Egitto e così definisce il periodo dicui sta parlando: “Eravamo nell’anno 1637 secon-do il martirologio copto, eravamo nell’anno 7413della creazione, eravamo nell’anno 1913 dopo Cri-sto secondo il computo copto ed etiope, eravamonell’anno 1921 dopo Cristo secondo la Chiesa diRoma, eravamo nell’anno 1339 dell’egira” (I sassidi Bubilli, Edizioni Lavoro, Roma 1999).

Ben riassume un altro scrittore libanese, AminMaalouf, che ci dice: “Tutti coloro che il mondo ara-bo affascina, seduce, inquieta, inorridisce o intriganon possono fare a meno di porsi, ogni tanto, uncerto numero di domande. Perché quei veli, quellebarbe tristi, quegli incitamenti all'omicidio? Perchétante manifestazioni di arcaismo, di violenza? Tuttociò è inerente a quelle società, alla loro cultura, al-la loro religione? L'islam è incompatibile con la li-bertà, con la democrazia, con i diritti dell'uomo edella donna, con la modernità? E' normale che ven-gano poste simili domande, ed esse meritano assaipiù delle risposte semplicistiche che vengono dateloro troppo spesso. […] Non posso seguire coloroche, ieri come oggi, ripetono gli stessi vecchi pre-giudizi ostili all'islam e che, ogni volta che si produ-ce un avvenimento rivoltante, si credono autorizza-ti a trarne conclusioni definitive sulla natura di certipopoli e della loro religione. Nello stesso tempo, misento a disagio davanti alle giustificazioni laboriosedi coloro che ripetono senza batter ciglio che quan-to succede è il risultato di uno spiacevole malinte-so, e che la religione è solo tolleranza; le loro moti-vazioni li onorano, e non li metto sullo stesso pianodi coloro che diffondono l'odio, ma il loro discorso

mi sono sentita molto partecipe e me ne sono chie-sta il motivo, dato che ho vissuto tre quarti dellamia vita in Libano, ora vivo a Parigi, non ho mai co-nosciuto un albanese né sono mai stata nei Balca-ni. Ho capito che la risposta stava nel fatto che a-vevo letto i libri di Ismail Kadarè. Essi mi avevanofatto trasformare un luogo su una carta geograficain un insieme di persone, di uomini, di donne, dibambini e di studenti, di gente viva. E aggiungeròanche che credo che se in Occidente aveste lettopiù letteratura irachena, forse adesso non sarem-mo arrivati alla drammatica situazione odierna’. Se consideriamo la letteratura come un messaggioveloce che "umanizza" ciò che si trova lontano dachi legge, leggere un libro diventa come sedersi nelsalotto di casa altrui, guardare la gente vivere, os-sia andare a scuola, fare la spesa, frequentare il ci-nema, preoccuparsi per lo stipendio basso, andarein vacanza, tutte le piccole cose che costituisconola quotidianità. Poiché di quotidianità sto parlando, mi sembra im-portante sfatare il pregiudizio diffuso secondo ilquale la lingua araba, considerata sacra, non con-sente di dire tutto, di dire la quotidianità. Per pro-varvi che così non è, mi basta ricordare che sonotradotti in arabo, ad esempio, i libri di Dario Fo, diAlessandro Baricco, di Rodari, di Moravia, di Buz-zati, della Tamaro, Harry Potter e i Pokèmon. In questa lingua - lingua viva, dunque - si esprimeuna fetta di mondo che comprende i paesi che van-no dall’Iraq al Marocco, passando per la Penisolaarabica e il Nord Africa, un mondo che è erede, frui-tore e produttore di un enorme patrimonio cultura-le. Prima di passare la parola agli autori arabi, vorreichiedere se vi siete accorti che, fino a questo mo-mento non ho mai nominato la parola "islam". Chie-do venia se a molti di voi apparirà banale, ma cre-do sia importante: nel titolo del mio intervento com-pare il termine “mondo arabo”, non "mondo islami-co" e di mondo arabo sono qui per parlarvi. Se par-liamo di “mondo arabo” deve essere chiaro chestiamo parlando dei 22 stati membri della Lega A-raba (Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Siria, Libano,Giordania, Yemen, Algeria, Bahrain, Kuwait, Libia,Mauritania, Marocco, Oman, Qatar, Somalia, Su-dan, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Comore ePalestina). Se parliamo degli abitanti del mondo a-rabo, quindi, deve essere chiaro che stiamo par-lando dei cittadini di questi ventidue stati e non di i-raniani, turchi, afghani, pakistani, indonesiani, ni-geriani, russi, cinesi, francesi, italiani o altro. In bre-ve, non stiamo parlando di persone di religione

musulmana. Non stiamo parlando di "islam". So-prattutto non stiamo parlando di "islam" nel modoin cui è diventato usuale parlarne - e scriverne - neimezzi di comunicazione di massa, da più di dueanni a questa parte. Poiché il risultato di tanta di-vulgazione mi sembra deludente e non noto cam-biamenti nell’ordine delle domande che l’opinionepubblica si poneva prima dell’11 settembre 2001 esi pone ora, sono molto propensa a credere che

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precipita perché i mariti del palazzo di questi tempinon si fidano degli idraulici. Con un procedimentoinfernale ci siamo ritrovati a letto, e io mi sono im-pegnata in una serie di movimenti ginnici che miero allenata a fare all’epoca del campionato ditaekwendo del 1987. […] Comunque, nonostantegli attacchi di risate durante l’allenamento, non miricordo di aver sudato nella pratica sportiva quantoho sudato questa volta, cosa che viene considera-ta il vero segnale di una corretta combustione deicarboidrati”.Il problema è che, in una storia come questa, nonci sono le palme, le oasi ed il deserto, in breve:dov'è il folklore?(Breve parentesi: lo scrittore spagnolo Javier Ma-rias racconta che, pur avendo avuto molto succes-so in Europa, in Italia non riusciva a farsi tradurreperché ‘i suoi libri non erano abbastanza spagnoli,perché non ci sono le nacchere, i tori, il flamenco’.Non è un mistero che la psiche umana sia attrattada ciò che conferma i suoi stereotipi).Quello che sto cercando di comunicarvi è che ognicultura è, di per sé, incatalogabile. Insito in qualsia-si cultura è il suo essere in movimento. Le quoti-dianità cambiano col passare del tempo, le culturecambiano. Faccio un esempio appaiando due brani tratti dadue libri a sfondo autobiografico dello scrittore ma-rocchino Muhammad Shukri, nato nel 1935. Nelprimo, ambientato negli anni '40-'50 si legge: ‘An-che lei aveva molto sofferto a causa della malva-gità del marito scellerato, eppure gli aveva tenutotesta finchè quell’uomo non l’aveva sconfitta facen-

do sposare la loro unica figlia Habiba con un suo a-mico, un anziano commerciante di bestiame, quan-do lei non aveva ancora 17 anni. Dopo appena unanno e qualche mese di matrimonio quell’uomo l’a-veva ripudiata perché la poverina non era ancorarimasta incinta. Sia il padre che la zia paterna latrattavano come una bestia, nessuno che la difen-desse’ (Il tempo degli errori, Theoria). Questo bra-no, mi pare, corrisponde alla donna araba come larappresenta il nostro immaginario. Sarà un buon e-sercizio, quindi, accostargli quest'altro: ‘Un ragaz-zo e una ragazza si baciavano. Camminavano in-clinati, lei lo abbracciava e lo sfiorava ogni voltache muoveva la testa. Esistevano solo per lorostessi. I passanti si giravano a guardarli. Ad un trat-to si sono fermati e si sono stretti forte sorridendo.Dei due la più disinvolta sembrava la ragazza’ (So-co Chico, Jouvence). Stesso autore, stesso sfondoautobiografico, stessa città: soltanto che tra il primoe il secondo libro di Shukri sono passati cinquantaanni. Cinquant'anni molto diversi, a guardarli da una odall'altra sponda del Mediterraneo. Cinquant'annidi pace, sulla sponda nord. Avete mai fatto caso al fatto che, quassù, chiamia-mo la Seconda Guerra Mondiale "L'Ultima Guer-ra"? Per chi abita a quattro ore di aereo da noi, do-po la nostra "Ultima guerra" ci sono state la guerradel ’48, del ’56, del ’67, del ’73, la guerra civile liba-nese, quella tra Iran e Iraq, la guerra del golfo del1991, l'Afganistan …Anche della guerra, della quotidianità delle guerre,rende conto la letteratura araba contemporanea.Mahmud Darwish, il più grande poeta palestinesevivente, ha scritto un unico libro in prosa, ambien-tato a Beirut nel 1982, durante l’invasione israelia-na. Nello stesso momento, sull'altra sponda delMediterraneo, si giocavano i mondiali di calcio."Anche noi amiamo il calcio, anche noi abbiamo ildiritto di amare il calcio e abbiamo il diritto di assi-stere alla partita. Perché no? Perché non uscire unpo’ dalla routine della morte? In un rifugio abbiamopotuto procurarci l’energia elettrica usando la bat-teria di un’automobile e in un battibaleno PaoloRossi ci ha trasmesso la gioia che ci manca. E’ unuomo che in campo si vede solo dove convieneche lo si veda. E’ un diavolo smilzo che noti solodopo che ha segnato una rete. Esattamente comeun aereo da bombardamento si vede solo dopoche i bersagli sono esplosi. Dove c’è Paolo Rossic’è un goal, un’ovazione, poi lui si nasconde escompare, apre un varco nell’area per quei suoi

non mi soddisfa. Quando un atto riprovevole vienecommesso in nome di una qualunque dottrina,questa non diventa scellerata, anche se non puòessere considerata come totalmente estranea a ta-le atto. Con quale diritto potrei affermare, per e-sempio, che i talebani dell'Afghanistan non hannonulla a che vedere con l'islam, che Pol Pot non hanulla a che vedere con il marxismo né il regime diPinochet con il cristianesimo? Come osservatore,sono obbligato a constatare che si tratta, in ognunodi questi casi, di una utilizzazione possibile delladottrina interessata, certo non la sola, né la più dif-fusa, ma che non può essere esclusa con un gestoinfastidito della mano. […] Ci si può immergere fin-ché si vuole nei libri sacri, si possono consultare gliesegeti, raccogliere argomentazioni: ci sarannosempre interpretazioni differenti, contraddittorie.Basandosi sugli stessi libri, si può accettare laschiavitù oppure condannarla, si possono venerarele icone o gettarle nel fuoco, si può vietare il vino otollerarlo, esaltare la democrazia o la teocrazia.Tutte le società umane hanno saputo trovare, nelcorso dei secoli, le citazioni sacre che sembravanogiustificare le loro pratiche del momento. Ci sonovoluti due o tremila anni perché le società cristianeed ebraiche, che invocano la Bibbia, cominciasse-ro a pensare che il 'non ammazzare' potrebbe an-che applicarsi alla pena di morte. Fra cent'anni cispiegheranno che la cosa era ovvia” (L’identità,Bompiani 1999, pagg.55-58).

Innegabilmente, uno dei cardini più potenti su cuiruota l'incomprensione occidentale nei confrontidel mondo arabo è la cosiddetta "questione femmi-nile". Eppure basta fare un giro in alcune librerie inquesti giorni per avere la conferma di quanto man-chi la voce delle donne comuni, persone, individui,cittadine del mondo arabo. Gli scaffali pullulano diresoconti giornalistici di storie estreme (Vendute,Schiava di mio marito, Mai senza mia figlia, Dietroil velo, Oltre il velo e varianti sul tema) e viene dachiedersi se, quando qualche giornalista italianodeciderà di far uscire i memoriali di Erika e Omar odel branco di Leno - storie vere, tragicamente verequanto quelle narrate in Vendute o in Mai senzamia figlia - le considereremo rappresentative dellacondizione dei nostri figli, e da esse trarremmospunto per descrivere e catalogare l'intero sistemasociale del nostro paese.D'altronde, già nel 1996 la scrittrice libanese HodaBarakat diceva in un’intervista: “Io potrei scrivereun best-seller in una settimana, perché è molto

chiaro quello che le case editrici europee voglionoda me e dalle altre scrittrici arabe. La donna deveessere vittima, possibilmente velata o, meglio an-cora, violentata e maltrattata. Se poi c’è una storiadi incesto, allora è ancora meglio e il libro si ven-derà di più. Dimenticavo che la donna deve soprat-tutto attaccare la sua religione. Ci vuole una donnaaraba e musulmana che dichiari chiaro e tondo chel’Islam è antimoderno e soprattutto che è contro ladonna”.Un paio d'anni or sono, nell'intento di fornirmi di untesto che mi aiutasse a esemplificare questi ed al-tri concetti legati all'immagine della donna araba,ho raccolto le voci di diciotto scrittrici egiziane con-temporanee in un testo dal titolo Rose del Cairo(e/o, Roma 2001). La lettura di almeno un brano inesso contenuto può forse aiutare a rendere contodi quanto la realtà non sia sempre quella che il no-stro immaginario ci consegna. Nora Amin, “Bizzarrie”: “Oggi mi sono infilata i pan-taloni al contrario e sono andata in ansia. Nono-stante sia convinta che non c’è differenza sostan-ziale tra il davanti e il dietro e nonostante certa gen-te consideri questo fatto di buon auspicio. Comun-que mi sono davvero molto agitata per quello chemi è capitato, e l’agitazione andava ben oltre: nonero agitata perché me li ero infilati al contrario, maperché sono andata in ansia per averlo fatto. […]Infine, ho preso in considerazione il vicino di casadel quale, prima di allora, non ero mai riuscita adattirare l’attenzione. Sembra molto emancipato eriesce sempre a rimettere in sesto la condotta fo-gnaria principale, quando si ottura e la situazione

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Ibrahim al-KONI - Libia1949 � LA PIETRA DI SANGUE– traduzione dall’arabo diRolando Del Cason conSamuela Pagani – presen-tazione di Rosella DorigoCeccato – ed. or. 1990 -Jouvence, Roma 1998,pagg.136

Waciny LAREJ – Algeria1954� DON CHISCIOTTE ADALGERI – traduzione dal-l’arabo di Wasim Dahmash– ed. or. 1996/99 – Meso-gea, Messina 1999,pagg.196

Nagib MAHFUZ - Egitto1912� TRA I DUE PALAZZI -traduzione dall'arabo diClelia Sarnelli Cerqua - ed.or. 1956 - Pironti, Napoli1989, pagg.653� IL PALAZZO DEL DESI-DERIO - traduzione dall'a-rabo di Bartolomeo Pirone- ed. or. 1957 - Pironti, Na-poli 1992 - pagg.598� LA VIA DELLO ZUC-CHERO - traduzione dal-l'arabo di Clelia SarnelliCerqua - ed. or. 1957 - Pi-ronti, Napoli 1992

‘Alya MAMDUH – Iraq1944� NAFTALINA – traduzio-ne dall’arabo di Maria Avi-no – ed. or. 1986 - Jouven-ce, Roma 1999, pagg.184

Ahlam MOSTEGHANEMI- Algeria� LA MEMORIA DELCORPO – traduzione dal-l’arabo e postfazione diFrancesco Leggio - ed. or.1993 - Jouvence, Roma1999, pagg.290

‘Abd al-Rahman MUNIF -Arabia Saudita 1933 � ALL'EST DEL MEDI-TERRANEO - traduzionedall'arabo di Monica Ruoc-co - postfazione di Monica

Ruocco - ed. or. 1975 -Jouvence, Roma 1993,pagg.213

Sabri MUSA - Egitto 1932� L'INCIDENTE DEL MEZ-ZO METRO - traduzione diMassimo Pappacena - in-troduzione di Concetta Fe-rial Barresi - ed. or. 1982 -Edizioni Lavoro, Roma1995, pagg.42

Ra’uf MUS’AD BASTA –Egitto 1936� L’UOVO DI STRUZZO.MEMORIE EROTICHE –traduzione dall’arabo diWasim Dahmash – postfa-zione di Wasim Dahmash– presentazione di AngeloArioli – ed. or. 1994 – Jou-vence, Roma 1998, pagg.242

Tayeb SALIH - Sudan1929 � LA STAGIONE DELLAMIGRAZIONE AL NORD -traduzione dall'arabo diFrancesco Leggio - intro-duzione e cura di France-sco Leggio - ed. or. 1966 -Sellerio, Palermo 1992,pagg.146

Ghada SAMMAN - Liba-no 1942 � UN TAXI PER BEIRUT -traduzione dall'arabo diSamuela Pagani - presen-tazione di Carmen LleraMoravia - nota di IsabellaCamera d'Afflitto - ed. or.1974 - Jouvence, Roma1995, pagg.115

Hanan al-SHEIKH - Liba-no 1945 � DONNE NEL DESERTO- traduzione dall'arabo diSamuela Pagani - presen-tazione di Bianca MariaScarcia Amoretti - ed. or.1988 - Jouvence, Roma1994, pagg.303

Baha TAHER - Egitto1935 � ZIA SAFIA E IL MONA-STERO - traduzione dall'a-

rabo di Giuseppe Marghe-rita - postfazione di Giu-seppe Margherita - ed. or.1991 - Jouvence, Roma1993, pagg. 114

Zakariyya TAMER - Siria1929 � L’APPELLO DI NOE’.Racconti scelti – a cura diEros Baldissera - ed. or.varie – Manni, Lecce 2002,pagg.141

'Abd al-Salam al-'UGIAY-LI - Siria 1918 � LE LANTERNE DI SIVI-GLIA - sette racconti - tra-duzione dall'arabo di MariaAvino - postfazione di Ma-ria Avino - ed. or. 1956 -Jouvence, Roma 1995,pagg.140

Muhammad ZAFZAF(Zefzaf) – Marocco 1945-2001� L’UOVO DEL GALLO –traduzione dall’arabo, po-stfazione e cura di Elisa-betta Bartuli – ed. or. 1984– Mesogea, Messina2000, pagg.113

ANTOLOGIE� Narratori arabi del Nove-cento - a cura di IsabellaCamera d'Afflitto - Bompia-ni, Milano 1994, pp.XXX-VII-657 – 2°edizione 2002� Rose del Cairo. Raccon-ti di scrittrici egiziane – acura di Elisabetta Bartuli –edizione e/o, Roma 2001,pp. 144

SAGGI� Elias KhuriRappresentare il Mediter-raneo. Lo sguardo libane-se, Mesogea, Messina2002 � Muhammad BarradaRappresentare il Mediter-raneo. Lo sguardo maroc-chino, Mesogea, Messina2002� Amin MaaloufL’identità, Bompiani Saggi,1998� Assia Djebar e RenateSiebertAndare ancora al cuoredelle ferite, Tartaruga 1997

piedi pronti alle occasioni, per portarle a matura-zione, a coglierle con il massimo della cupidigia.Non capisci se sta giocando a calcio o facendo l’a-more con la rete, ma è una rete ritrosa: lui su queltorrido campo spagnolo la tenta e la seduce con laraffinata galanteria italiana" (Una memoria per l'o-blio, Jouvence, Roma 1997). Questo brano espri-me la quotidianità di chi vive la guerra ogni giorno. Murid Barghuti è un altro poeta palestinese, nato aGerusalemme e trasferitosi in Egitto negli anni ‘60per motivi di studio. “Ho visto Ramallah” è il diariodel suo ritorno in patria dopo trent’anni di esilio. E-gli scrive: ‘Sono, da sempre, uno di quelli convintiche un’occupazione, qualsiasi occupazione, si av-vantaggi quando riesce a trasformare la patria, nel-la mente dei suoi abitanti, in un fascio di “figuresimboliche”. Simboli, e nient’altro.Quel che è certo è che non ci lasceranno trasfor-mare il nostro villaggio in una città, o adeguare ledimensioni delle nostre città ai tempi in cui viviamo.Diciamoci la verità: quando vivevamo al villaggionon avremmo voluto vivere in una città? Non mori-vamo dalla voglia di uscire dalla piccola, limitata,semplice Deir Ghassanah per andarcene a Ramal-lah, Gerusalemme e Nablus? Non ci auguravamoche Ramallah, Gerusalemme e Nablus diventas-sero come Il Cairo, Damasco, Baghdad e Beirut?Un anelito verso tempi nuovi, sempre.L’Occupazione ci ha lasciato con il vecchio. È que-sto il suo crimine. Non ci ha spogliato degli sconta-ti muretti in terra battuta di ieri, no, ci ha privato del-la bella incertezza di quello che avremmo realizza-to domani’.

Vi lascio con queste due vivide e incisive immaginidi un mondo arabo più variegato, mi auguro, diquanto non lo fosse venti minuti fa.

(*) Elisabetta Bartuli è membro del Collegio Docenti eResponsabile Risorse Umane del Master UniversitarioEuropeo “Mediazione intermediterranea: investimenti eintegrazione (M.I.M.)” coordinato dall’Università Ca’ Fo-scari di Venezia, con Universidad Autonoma de Barcelo-na, Universitè Paul Valery de Montpellier; insegna Lin-gua e letteratura araba presso l'Università Ca’ Foscari diVenezia (Dipartimento di Studi Eurasiatici, Corso di lau-rea in Lingue e Culture dell’Eurasia e del Mediterraneo);è membro del comitato di redazione della rivista “L’indicedei libri del mese” e traduttrice dall’arabo e dal franceseper conto di diverse case editrici (Jouvence, Mesogea,e/o, Einaudi et. al).

Rashid DAIF – Libano1950� MIO CARO KAWABATA– traduzione dall’arabo eintroduzione di Isabella Ca-mera d’Afflitto – ed. or.1995 - Jouvence, Roma1998, pagg. 140

Mahmud DARWISH - Pa-lestina 1941� UNA MEMORIA PERL'OBLIO - traduzione dal-l’arabo di Luigina Girolamocon la collaborazione di Eli-sabetta Bartuli – postfazio-ne di Gianroberto Scarcia –ed. or. 1987 - Jouvence1997, collana "Memorie delMediterraneo", pagg. 139

'Ali al-DU' AGI - Tunisia1909-1949� IN GIRO PER I CAFFE'DEL MEDITERRANEO -traduzione dall'arabo di I-sabella Camera d'Afflitto –a cura di Isabella Camerad'Afflitto - ed. or. 1933 - A-bramo, Catanzaro 1995,pagg. 111

Ghassan KANAFANI - Pa-lestina 1936-1972� RITORNO A HAIFA - tra-duzione e introduzione di I-sabella Camera d'Afflitto -presentazione di France-sco Gabrieli – Edizioni La-voro, Roma 1991 (3°99),pagg.55� UOMINI SOTTO IL SO-LE - traduzione dall'arabo epostfazione di Isabella Ca-mera d'Afflitto - prefazionedi Vincenzo Consolo - Sel-lerio, Palermo 1992, pagg.115

Sahar KHALIFAH - Pale-stina 1941 � LA PORTA DELLA PIAZ-ZA - traduzione dall'arabodi Piera Redaelli - postfa-zione di Piera Redaelli - ed.or. 1986 - Jouvence, Roma1994, pagg.198

Elias KHURI – Libano1948� IL VIAGGIO DEL PICCO-LO GANDHI – traduzionedall’arabo di Elisabetta Bar-tuli – prefazione di BiancaMaria Scarcia Amoretti –ed. or. 1989 – Jouvence,Roma 2001, pagg. 171

BIBLIOGRAFIAPer cominciare

Testi di letteratura araba contemporanea a cura di Elisabetta Bartuli

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libro. Il bambino lettore acui si rivolge inizia il suopercorso fin da piccolis-simo per arrivare alla pri-ma adolescenza. Si ini-zia con libri-immagine,dove la realtà può esse-re immediatamente per-cepita e decifrata attra-verso le illustrazioni. Nelcatalogo della Fatatracvi sono alcuni testi chepartono addirittura dazero anni di età. Decifrare la realtà attra-verso un libro aiuta a co-noscere. Una delle ra-gioni per cui viviamo inun clima di ostilità, paurae diffidenza con le con-seguenze che tutti ab-biamo sotto gli occhi de-riva dal fatto di non co-noscere abbastanza l’al-tro, di ignorarne la cultu-ra, le tradizioni, le espe-rienze, le difficoltà, i pro-blemi; di viverlo come e-straneo e quindi nemico.Il ragionamento dellaFatatrac è stato sempli-ce: se il libro è uno deiprincipali strumenti diconoscenza, è necessa-rio mettere in contatto ilragazzo con esperienzee tematiche che lo aiuti-no a crescere intellet-tualmente e affettiva-mente attraverso il magi-co mondo della parola

scritta e illustrata. La dif-ficoltà sta nel coniugaretutto questo col piaceredella lettura. La produ-zione della Fatatrac si i-spira a questa filosofiaquasi per una scelta ob-bligata: evidentementeesiste fra la casa editricee i suoi autori e illustrato-ri una specie di osmosiper cui essi trattano gliargomenti più vari, masempre improntati al de-siderio di comunicarequalcosa che rimanga,che faccia riflettere.Una delle tematiche ri-correnti nei testi dellaFatatrac è quella delladiversità. Non per nullaArianna Papini intitolavaun articolo che è statopubblicato nel sito di Ac-caparlante: “Fatatrac, di-versi libri diversi”, para-frasando il titolo di un te-sto di educazione inter-culturale rivolto ai bam-bini della scuola dell’in-fanzia “Diversi amici di-versi”.Diversità nella nostra so-cietà opulenta ed egoi-sta è ormai sinonimo dimarginalità: chi è inqualche modo non omo-logato alla maggioranzaentra in una specie dilimbo di cui si ignorano iproblemi, le dinamiche,le difficoltà. In questasacca emarginata trova-no posto anche quelliche con orribile terminesono chiamati extraco-munitari. All’inizio deglianni novanta, quandoper la prima volta in Italiacominciavano ad arriva-re questi sconosciuti, e-stranei e quindi nemici ela scuola si trovava adaffrontare impreparata il

bambini e ragazzidella marginalità:casa editrice “FATATRAC”

La narrazione delle storie attraversa i paesi, ipopoli, le tradizioni culturali, i territori piùlontani. Nella loro estrema diversità e specifi-cità le storie hanno accompagnato i primi annidi vita dei bambini di tutto il mondo. La trasmis-sione orale delle fiabe e dei racconti ha fattoparte della crescita di ognuno di noi. Queste narrazioni hanno un grande valorepedagogico: esse aiutano a crescere e a cono-scersi, ma anche a conoscere l’altro, il diverso.In questo seminario si parla di diversità e diemarginazione attraverso la letteratura, unostrumento di trasmissione di racconti e di storieche può consentire un accesso indiretto allequestioni sociali. Si tratta di un percorso obliquo che ci fa arriva-re alla verità, alla rottura degli stereotipi e deipregiudizi in maniera non moralistica né didatti-ca, ma attraverso le storie che spesso affonda-no le radici in tradizioni lontanissime maancora vive. Il raccontare e l’ascoltare rappresentano un for-tissimo stimolo ad andare oltre gli stereotipi eai pregiudizi, consentendo di avvicinarci alleradici di altre tradizioni e di altre culture inmaniera autentica. Questo passaggio è resopossibile sia attraverso la conoscenza dei patri-moni di culture diverse dalle nostre tradizionioccidentali, sia attraverso l’approccio a generiletterari, rivalutati dalla critica più recente, qualila fantascienza, l’horror, il fumetto. Essipossono avvicinare il lettore in manieramediata e indiretta a questioni importanti,senza cadere negli ammaestramenti e negliindottrinamenti. La letteratura per ragazzi e per bambini parlaal cuore del lettore e spesso, purtroppo, riceveun’attenzione marginale rispetto all’editoriaadulta. Questa immagine la penalizza ingiusta-mente, in realtà oggi nella letteratura perragazzi appaiono titoli di grande interesse, cheandrebbero conosciuti, valorizzati e promossi.

(*) Patrizia Lucchini è responsabile dell’UfficioBiblioteche - Assessorato alla Cultura dellaProvincia di Ferrara

Introduzione alla secondasessione del Convegno

Patrizia Lucchini (*)

Nella presentazionedi questo conve-gno si accenna a

un lavoro di spola trasoggetti, ambiti, temi dellavoro sociale e di quelloculturale.Il fatto che sia stata quiinvitata a esporre la suaesperienza anche unacasa editrice di libri perbambini e ragazzi, fapensare che in questaimmaginaria tela in cui simuove la spola fra il so-ciale e il culturale, troviun posto non secondarioanche l’editoria, con unaparticolare attenzione aquella dedicata ai ragaz-zi.Sono qui appunto perraccontare una esperien-za in questo campo, cheho in parte condiviso col-laborando da anni conNicoletta Codignola, edi-tore, e con Arianna Papi-ni, art director, della Fa-tatrac.Occorre innanzi tutto fareuna premessa a caratte-re generale sulla lettera-tura per l’infanzia. Inquesti ultimi anni si èpassati da un specie diletteratura considerataminore, sotto tutela, e-dulcorata e didascalica auna produzione che havisto allargarsi le temati-

che e le problematiche atutto campo. Il concettodi fondo è questo: i bam-bini devono essere ri-spettati, non trattati co-me creature incapaci diriflettere e di affrontare ilmondo che li circonda;non ci sono tematichetabù, si può scrivere ditutto, ma ciò deve esserefatto in un linguaggiosemplice (e non semplifi-cato), chiaro e compren-sibile che aiuti a com-prendere la realtà.Non ci sono quindi tema-tiche che non possanoessere comunicate aibambini e ai ragazzi at-traverso un libro. Il pro-blema nasce da due in-terrogativi: come acco-stare il piccolo lettore allibro e quali testi produr-re per portarlo a capire lacomplessa realtà che locirconda, appassionan-dolo nello stesso tempoalla lettura.Il problema dell’educarealla lettura compete allafamiglia e alla scuola: al-le case editrici spetta in-vece il compito di pubbli-care buoni libri.Questa è la strada cheda più di venti anni ha in-trapreso la Fatatrac, oc-cupandosi della “materiaprima”, cioè dell’oggetto

L’editoria pere la tematica l’esperienza della

Vanna Cercenà (*)

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bambino e nella sua for-mazione.A gennaio di quest’annola Fatatrac ha perso tuttii libri presenti nel catalo-go in un incendio che hadistrutto il suo magazzi-no editoriale. La solida-rietà e l’affetto di tuttil’hanno incoraggiata a ri-prendere il suo cammi-no: ha così provato di-rettamente quanto valgail riconoscimento e il so-stegno di quelli che cistanno intorno.

(*) Vanna Cercenà è nataa Firenze e oggi vive nellacampagna toscana. Ha i-niziato a collaborare conla Casa Editrice Fatatracalla fine degli anni ottantacontribuendo alla stesuradi testi dedicati a bambinie ragazzi sulla educazio-ne interculturale, nella col-lana “Tu non sai chi sonoio” e di educazione alla le-galità con ”L’Alfabeto delcittadino” e “Viaggio nelleparole”. Ha poi continuato

a condividerne le iniziati-ve, rappresentandola spes-so in manifestazioni e con-vegni. È anche autrice dilibri pubblicati nella colla-na i “Nuovi ottagoni” dellastessa casa editrice fra cui“A immagine e somiglian-za”, “Il mistero della torresaracena”, “Mai più cro-ciate”, “Quando soffia ilvento delle streghe”,“Sharif e il leopardo afga-no”.

Edizioni Fatatrac: una bibliografia fra le

diversitàa cura di Vanna Cercenà

Interculturalità

● AA.VV. - Diversi amici diversi - 4-6 anni● Mario Mariotti - Dall’altra parte del libro - dai4 anni● AA.VV. - Amici nel mondo - 5-8 anni● AA.VV. - Vieni a casa mia? I bambini italianie i bambini cinesi si incontrano - 6-8 anni● AA.VV. - Com’è il tuo paese? L’Italia e laCina, due mondi che si incontrano - 9-11 anni● AA.VV. - Cici Daci Dom. Incontro con ibambini Rom - 6-8 anni● AA.VV. - La casa del sole e della luna. IRom, un popolo che viene da lontano - 9-11anni● AA.VV. - La strada delle stelle. Viaggio con ilpopolo arabo - 9-11 anni● AA.VV. - Le mille e una parola. Dialogo con ilmondo arabo - 9-11 anni● AA.VV. - Ogni bambino ha la sua stella.Incontro con i bambini kurdi - 6-8 anni● AA.VV. - La primavera viene d’improvviso. Ikurdi, popolo di montagna - 9-11 anni● Bruno Tognolini - Sentieri di conchiglie - dai 7anni● Vanna Cercenà - Il mistero della torre sara-cena - dai 7 anni● Marina Iraso - La città sotto la sabbia - dai 12anni● Gnugo De Bar - Strada patria sinta - 9-13anni● AA.VV. - Tantipopoli - 11-15 anni● Mariangela Giusti - Una scuola, tante culture- per genitori e insegnanti

Handicap

● Guido Quarzo - Talpa, Lumaca, Pesciolino -dai 7 anni● Arianna Papini - Amiche d’ombra - dai 7 anni● AA.VV. - La città a ostacoli - 9-13 anni

problema dell’inserimen-to di alunni appartenentia etnie e culture diverse,la Fatatrac si è occupatadi intercultura.Vi posso assicurare, da-to che per anni mi sonooccupata nella scuoladell’inserimento di questibambini, che essi eranofra le creature più margi-nali del sistema, e nellastessa marginalità fini-vano col trovarsi gli inse-gnanti a cui, senza stru-menti, questi alunni era-no affidati. All’appello della scuolarispose allora la Fatatracinsieme alla Regione To-scana. Nacque il primolibro della collana “Tunon sai chi sono io” sullacultura cinese a cui se-guirono poi quelli sullacultura rom (i bambinirom erano al top dell’e-marginazione!), su quel-la araba e kurda. Si trat-ta di testi di piacevolelettura, illustrati quasisempre da pittori appar-tenenti alla stessa etniatrattata nei libri, dove so-no riportate poesie, rac-conti leggende, ricette,filastrocche, storia e tra-dizioni … In questi testi enelle relative illustrazionisi possono identificare ibambini di ciascuna cul-tura. Ma i libri della colla-na erano e sono destina-ti a tutti gli alunni, nonsolo a quelli delle classiin cui sono presenti icompagni stranieri, pro-prio come strumento diquella conoscenza che èla chiave per aprirsi allacomprensione di chi èdiverso da noi.Sulle tematiche dell’in-tercultura la Fatatrac ha

pubblicato anche il giàrammentato “Diversi a-mici diversi” per i bambi-ni della scuola dell’infan-zia, “Tantipopoli” per i ra-gazzi del biennio dellascuola superiore. Men-tre il primo è una piccolastoria ispirata a una ma-cedonia di frutta dove o-gni frutto può stare insie-me senza perdere il pro-prio sapore, il secondo èun testo di conoscenzadei miti, delle tradizioni,dei giochi, del modo distare insieme con coeta-nei nelle varie culture. Cisono poi molti altri libriche provocano una ri-flessione su questi argo-menti: alcuni si trovanonella collana di narrativa“I nuovi ottagoni”. Devocitarne anche alcuniscritti da me: “Il misterodella torre saracena”, sulcommercio di bambinistranieri, “Mai più crocia-te”, “Sharif e il leopardoafgano” (e ancora “La

città sotto la sabbia”, diMarina Iraso; “Come i pi-ni di Ramallah” di Anto-nio Ferrara.) Tutti questi testi raccon-tano vicende e avventu-re di protagonisti che iragazzi sentono vicini ein cui si possono identifi-care. Non c’è alcun ac-cenno moraleggiante, lapercezione dell’ingiusti-zia, della marginalità av-viene indirettamente.Forse l’identificarsi con ilbambino palestinese o i-sraeliano dei “Pini di Ra-mallah”, o con Karim, ilpiccolo tunisino rapito dauna banda di trafficantinel “Mistero della Torresaracena” vale più diqualsiasi discorso mora-leggiante su “dobbiamovolerci tutti bene”. L’e-lenco sarebbe ancoralungo perché è il settoreche conta il maggior nu-mero di titoli. Se qualcu-no è interessato può tro-varlo nel catalogo o in

Internet al sito www.fata-trac.com .Non potevano ovvia-mente mancare testi de-dicati in modo specificoall’handicap; ma anchein questo caso la manoche li traccia è lieve; so-no racconti come “Talpa,Lumaca e Pesciolino” diGuido Quarzo, su bam-bini non proprio perfetti o“Amiche d’ombra” di A-rianna Papini, che è in-sieme un racconto di for-mazione (un anno discuola media della pro-tagonista) e la storia del-l’amicizia con una bam-bina non vedente inseri-ta nella classe. Il testo èscritto con un linguaggiofreschissimo in cui i ra-gazzi si possono identifi-care e dà il senso di uncorretto e felice rapportofra coetanei, al di là della“diversità” di ciascuno.Questo testo lo si puòtrovare anche in Braille,così come tutti i testi de-gli ottagoni possono es-sere richiesti in una ver-sione adatta ai bambiniipovedenti. Fra i libri della Fatatracc’è anche un’altra “mar-ginalità” che mi piace ci-tare: quella degli anima-li. Una collana dal titolo“Con rispetto parlando”racconta proprio storierigorosamente vere diqueste creature per lequali è tanto scarso il ri-spetto.E se questa marginalitàpuò sembrare non inchiave con l’argomento,è opportuno riflettere suquanto possa influire laconoscenza e il rapportocorretto con gli animali,nella psicologia di un

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ti operativi del lavoro mul-ticulturale in biblioteca,intendendo la multicultu-ralità come un insieme disituazioni, di materiali, distrumenti e di servizi, cor-rispondenti a precisi mo-menti o nodi critici dellanostra attività professio-nale. Un primo punto riguardain generale le problemati-che relative al rapportosia con il nuovo che con ilvecchio pubblico, il qualepure deve essere sensi-bilizzato e reso capace direlazionarsi proficuamen-te con lo straniero; quindivengono le difficoltà del-l’acquisizione e della se-lezione delle nuove rac-colte bibliografiche, dellacatalogazione e della ge-stione fisica di materiali inlingue e in alfabeti diver-

si; infine la discussione siapre sulle competenze,sulla formazione e sullariqualificazione di chi giàlavora nella biblioteca esulla possibilità di avva-lersi di personale stranie-ro.Su questi temi stiamo la-vorando, cercando di affi-nare strategie e strumen-ti attraverso soluzionicooperative, di coordina-mento e di scambio diinformazioni: ma la fun-zione principale del grup-po di lavoro in questa fa-se è forse ancora quelladi fare emergere le espe-rienze e provare a con-frontarle.

Abbiamo imparato checon il termine ‘multicultu-rale’ si intende una foto-grafia statica di unarealtà in cui diverse cultu-re si affiancano, mentre ilconcetto di ‘intercultura-lità’ è dinamico, ed espri-me l’impegno di fare inte-ragire quelle diverse cul-ture in modo positivo. Lamulticulturalità è proba-bilmente ormai uno statodi fatto; è dunque versol’interculturalità che la bi-blioteca pubblica deve o-perare.Ma l’interculturalità rap-presenta un atteggia-mento culturale in séstessa, costituendo unaconsapevolezza e unmodo di lavorare indipen-dente dalla quantità di et-nie e di culture presentinella comunità servitadalla biblioteca: è in so-stanza la disponibilità alladiversità. Mi capita ognitanto di ascoltare alla ra-dio un programma dal ti-tolo Diversi da chi? e ognivolta effettivamente riflet-

to sulla sostanziale relati-vità dell’idea di diverso.Chi è diverso? E da chi èdiverso? In un incontro tra bibliote-cari delle regioni di AlpeAdria, i colleghi unghere-si riferivano che anche lo-ro devono ogni giorno af-frontare le questioni dellamulticulturalità e dell’im-migrazione, ma che i loroimmigrati sono i dirigentidelle multinazionali: quin-di il problema si pone intermini completamentedifferenti; per noi è invecelogico che qui oggi il te-ma della multiculturalitàvenga inserito nell’ambitodell’esclusione sociale edell’emarginazione. L’anno scorso, nel corsodi un seminario dedicatoalle pluralità delle culturenella famiglia, una ragaz-za, figlia di una coppiamista, mi diceva di nonriuscire a capire perché sivedesse un problema inquello che lei considera-va una grande ricchezza:certo la diversità è unaricchezza in assoluto, mapuò diventare esclusioneed emarginazione in rap-porto ad un dato conte-sto. Se i libri fossero tutti scrit-ti in braille, molti di noi sitroverebbero in grave dif-ficoltà: il problema infattinon è la diversità, ma l’e-marginazione che ne de-riva e che è il frutto di unrapporto non qualitativoma quantitativo, che creauna minoranza rispetto auna maggioranza.

Lo straniero spesso sitrova in Italia perché eragià emarginato nella suaterra; egli porta con sé lasua lingua e la sua cultu-

ra, che sono una mercepreziosa: il fatto di nonsaperle apprezzare di-pende dalla nostra igno-ranza. Ma non esiste una cultu-ra monolitica e incontami-nata: la nostra cultura,che noi conosciamo oche crediamo di cono-scere, non è l’unica, e inrealtà le storie che rac-contiamo e le parolestesse che usiamo ven-gono spesso da lontano,anche se non ce ne ren-diamo conto. Lo stranieropuò ritrovare questi ele-menti trasformati e difficil-mente riconoscibili, comeun figlio allevato da un e-straneo, che è tuo manon ti conosce, e tu nonlo riconosci. Credo che si dovrebbecominciare ad estrarre, avalorizzare e a evidenzia-re tutto ciò che è entratoa far parte della nostracultura senza apparte-nervi fin dall’inizio (maquando possiamo collo-care l’inizio della nostracultura?), così come so-no entrati nel nostro mon-do questi nuovi cittadini.

Le biblioteche sono pernatura e per vocazionemulticulturali e intercultu-rali, perché mantengonoe propongono i prodotti diuna cultura che cambia.Le biblioteche pubblichehanno proprio la funzionedi diffondere, rimescola-re e far crescere le cultu-re, creando nuova cono-scenza e nuova cultura. Oggi esiste la bibliotecadi pubblica lettura con-trapposta alla bibliotecadi conservazione, una si-tuazione che riflette lacontraddizione tra le fun-

Il gruppo di lavoro chequi rappresento nac-que nell’estate 2001

nell’ambito della Com-missione Nazionale Bi-blioteche Pubbliche del-l’Associazione ItalianaBiblioteche (AIB), propo-nendosi di affrontare i va-ri aspetti dell’esclusionesociale e dell’emargina-zione nelle biblioteche.Subito tuttavia la Com-missione si rese contoche il tema era troppoampio per poter essereapprofondito in modosoddisfacente, e che sa-rebbe stato più opportu-no concentrare il nostrointeresse in una direzio-ne più specifica, che fos-se comunque significati-va e consentisse di ac-quisire un metodo di ap-proccio e di lavoro. Inquello stesso periodostavano affiorando da di-verse parti nella lista didiscussione dell’AIB pre-cise sollecitazioni allo svi-luppo delle problemati-che legate alla multicultu-ralità in biblioteca.Si scelse così ancor pri-ma dell’11 settembre2001, in tempi che po-tremmo definire non so-spetti, di seguire quest’ul-tima pista, cercando distudiare insieme, elabo-rare e offrire ai colleghidegli strumenti professio-nali capaci di aiutare lebiblioteche pubbliche adessere attivamente pre-senti nella nuova societàmulticulturale e a fornireservizi efficaci agli stra-nieri che sempre più nu-merosi entrano a far par-te delle nostre comunitàdi riferimento.

Dal convegno di oggi è e-merso come la letteratura

possa essere un mezzodi inclusione e di parteci-pazione, ossia di supera-mento della diversità, eattualmente anche le bi-blioteche stanno lavoran-do in questa prospettiva. Tuttavia il primo proble-

ma che si pone è costitui-to proprio dal fatto che laletteratura stessa è vei-colo di diversità linguisti-ca e culturale: il libro di-venta così una linea diconfine per la lingua eper la cultura che rappre-

senta, e non può essereletto o compreso da chinon conosce i codici lin-guistici e culturali che lohanno prodotto. Più volte nei nostri incon-tri abbiamo dunque ap-profondito i diversi aspet-

Il gruppo di lavoro per le biblioteche interculturali dell’Associazione Italiana Biblioteche

Chiara Rabitti (*)

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Veneto dell’AssociazioneItaliana Biblioteche.Dal 2001 al 2003 è statamembro della Commissio-ne Nazionale BibliotechePubbliche dell’AIB, costi-tuendo e seguendo in par-ticolare un gruppo di lavo-ro sulla multiculturalitànelle biblioteche pubbli-che. Dal 1998 insegna Ca-talogazione bibliograficapresso l’Università Ca’Fo-scari di Venezia.

Per proseguire lo sviluppo del rapporto di collaborazionetra biblioteche e volontariato

Andrea Pancaldi (*)

Credo che questa giornata abbiaportato molti esempi di esperien-ze interessanti nell’ambito del

rapporto tra letteratura ed emargina-zione e offerto anche molti spunti etracce di lavoro.Nella carpetta che vi è stata distribuitatrovate materiale informativo riferito adue esperienze che permettono di ri-manere informati sulle tematiche trat-tate oggi.La prima è quella della Rete ‘Nephila’,una rete di centri di documentazioneoperanti nell’ambito sociale che si ècostituita dopo il convegno che il CSVdi Ferrara ha organizzato due anni fasul tema “Volontariato e documenta-zione”. Dopo quel convegno una ven-tina di centri di documentazione italia-ni hanno deciso di dare il via ad unaforma di collegamento stabile perscambiarsi esperienze, modelli opera-tivi ed avviare un luogo di dibattito sul-la documentazione in campo sociale.Tra le altre attività la Rete Nephila haavviato anche un proficuo rapportocon l’Associazione Italiana Bibliote-che (AIB). Ricordo che c’è stato nel-l’ottobre scorso, nell’ambito di “Biblio-com”, un convegno dei centri di docu-mentazione in area sociale e l’iniziati-va verrà ripetuta nell’autunno di que-st’anno sul tema della soggettazione,dei linguaggi, dei thesauri e dei cata-loghi per argomento che vengono uti-lizzati in ambito sociale. Un tema cen-trale per la vita dei centri di documen-tazione. Rimanere in contatto con la rete èsenz’altro una utile modalità per esse-re informati sulle iniziative nel campo

della documentazione sociale e sui te-mi del convegno di oggi.Per avere recapiti e informazioni sullarete si possono consultare le pagineweb all’indirizzo www.accaparlante.it/nephila dove troverete anche un pri-mo abbozzo di un Virtual reference de-sk dedicato alla documentazione incampo sociale.Un’altra possibilità è una mailing list cheha attivato il CDH di Bologna da ormaiun anno e mezzo (si può richiedere al-l’indirizzo andrea@accaparlante. it) suitemi della documentazione sociale,quindi su tutto quello che “bolle in pento-la” in quel lavoro di spola tra sociale ecultura che sono contento abbia ricorda-to Vanna Cercenà nel suo intervento. Quindi esistono strumenti, occasioni diinformazione per le persone interessa-te a queste tematiche e quindi ad unapproccio anche di ordine culturale aitemi dell’emarginazione. Per altre ri-sorse vi rimando alla scheda informati-va sulle risorse Internet su letteraturaed emarginazione che trovate nel sitodel CSV (www.csvferrara.it) e chepubblicheremo anche negli atti delConvegno che usciranno come nume-ro monografico della rivista Mosaico,curata dal CSV stesso.

(*) Andrea Pancaldi , giornalista, si occu-pa di progetti nel campo dell’informazionee documentazione sociale per il CentroDocumentazione Handicap (CDH) di Bolo-gna. E’ consulente del settore informazio-ne-documentazione del Centro Servizi peril Volontariato di Ferrara e di altre organiz-zazioni.

zioni di tali strutture; main realtà anche la bibliote-ca pubblica ha un suoruolo di conservazione,che non è statico e passi-vo, non si riferisce esclu-sivamente ai supporticartacei, ma alla culturadella comunità servita: èun processo attivo di con-fronto e di crescita, di tra-sformazione continuacon stimoli e con apportisempre nuovi. In questomodo la biblioteca pubbli-ca conserva la vita dellacomunità e la sua capa-cità di crescere cultural-mente, e questo significaveramente conservare lacultura.

I più recenti documentidella Federazione Inter-nazionale delle Associa-zioni Bibliotecarie affron-tano la questione dellamulticulturalità con un’ot-tica nuova: non più in uncapitolo a parte espres-samente dedicato a quel-le comunità in cui la pre-senza di diverse etnie im-pone una specifica atten-zione, ma come una ten-sione trasversale, unacondizione in qualchemodo essenziale in ogniservizio. Così si sottoli-nea come la stessa se-zione locale della biblio-teca si debba riferire ef-fettivamente a tutta la co-munità, e non apparten-ga soltanto a chi è nato inquel luogo, ma anche achi in quel luogo è venutocon la sua storia e la suacultura. Un atteggiamento inter-culturale costituisce inrealtà un beneficio pertutta la comunità: è im-portante far comprenderequesto agli amministrato-ri, che devono trasforma-

re l’investimento sullapluralità culturale in un in-vestimento ordinario, nonuna graziosa concessio-ne alla moda sociale delmomento. Quando nellamia biblioteca ho comin-ciato a pensare di crearedei servizi che avesserouna dimensione intercul-turale, ho interpellato ilResponsabile dell’Immi-grazione del Comune diVenezia e ho ricevuto dalui il più bel complimento:infatti mi ha guardatoquasi con stupore, e miha rivelato che in realtàquel tipo di servizi li stavogià offrendo da moltotempo.

La biblioteca è fatta perfar leggere e per far cre-

scere le persone: ‘Natiper leggere’ è il titolo diun’iniziativa dell’AIB rivol-ta ai bimbi in età presco-lare, ma nati per leggeresiamo tutti. Si può legge-re con gli occhi, con lemani o con le orecchie, ela funzione della bibliote-ca è proprio quella di farleggere coloro che perleggere sono nati. Nel 2001, all’inizio dell’at-tività del nostro gruppo dilavoro, abbiamo effettua-to una piccola indaginetra le biblioteche che sistavano muovendo nelsettore dell’intercultura, eabbiamo scoperto che a-vevano tutte delle carat-teristiche generali comu-ni: il radicamento nel con-testo della comunità, l’at-

tenzione alle fasce d’u-tenza svantaggiate, la di-sponibilità alla collabora-zione e la creatività. Ci siamo resi conto che làdove esistevano questecaratteristiche, anche iservizi multiculturali sistavano sviluppando in-sieme agli altri; ma doveesse mancavano nonc’era reale disponibilitàné per lo straniero né peraltri tipi di utenza minori-taria, e non c’era forsenemmeno una vera bi-blioteca pubblica.Eppure nella società glo-bale, dove siamo tutti unaminoranza, il passaggiodalla diversità delle cultu-re alla cultura della diver-sità diventerà un proces-so obbligato, pena la per-dita del senso stesso del-la cultura.

(*) Chiara Simonato Ra-bitti , nata a Venezia nel1950, si è laureata in lin-gue e letterature stranierenel 1973 presso l’Univer-sità Ca’Foscari di Venezia.Dal 1976 al 1990 ha pre-stato servizio presso l’Ar-chivio storico delle arti con-temporanee della Biennaledi Venezia, occupandosi inparticolare dell’automazio-ne del catalogo. Presso laFondazione Querini Stam-palia dirige dal 1990 il ser-vizio di catalogazione e dal1998 è responsabile dellaBiblioteca. Nell’ambito di diverse con-venzioni tra la Fondazionee la Regione Veneto e laProvincia di Venezia, dal1996 è responsabile di unalunga serie di corsi di for-mazione e aggiornamentoprofessionale per gli ope-ratori bibliotecari del terri-torio.Dal 1993 al 1996 è stataPresidente della Sezione

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quest’arco e queste frecce, dono di Eraclemorente…

CORO. Sappiamo anche noi, lo sanno tutti gliAchei,e pure Odisseo sapeva le ragioni del donoche ricevesti da Heracle sul monte Eta.L’Eroe disperato dallo strazio che pativaper quella camicia infuocata, dono di Deinaìrasua sposa,implorava di dar fuoco alla catasta su cui si buttòstremato.Voleva por fine al suo dolore, invocava la morte…Tutti fuggirono, il figlio suo, Illo, piangeva e non obbedì all’ordine del padre.Solo tu, o Filottète, accendesti quel rogo...ponendo fine alle pene.E fu così che tu ereditasti dalle sue stesse manil’arco divino e le prodigiose frecce che tuttiancora t’invidiano!

FILOTTETE. Ma che mi giova questo dono perquesta mia piaga, putrida e mordente che non mipermette il sonno? […pausa…]Dove ha origine dunque questa mia colpa? Checosa mai dovrei espiare?

CORO. Fu la vendetta di Hera per aver aiutato Heracle a morire. Euthanassìa!La regina dell’Olimpo avrebbe voluto che Heracle soffrisse per sempre.Heracle, frutto stupendo dell’amore tra Zeus eAlcmèna bella, divenne l’oggetto della vendetta della consortetradita. Ma tu, tu l’ha aiutato a morire... Ecco la tua colpa!Ed Hera ti ha voluto punire.

FILOTTETE. Perché si devono espiare le colpedegli altri?Io ho aiutato un amico a morire. Non avrei potutosopportare di sentirlo soffrire in eterno... Hoancora nelle orecchie i suoi lamenti. Perché espiare ?

CORO. E' questa l'Anànche, un destino che non è né giusto né ingiusto, a cui sottostanno anche i Divini...E’ questa la strada che non può non essere per-corsa nemmeno dai voleri divini

FILOTTETE. C’era un cantore imbarcato con noialla volta di Troia, Demòdoco: chissà se verrà a

sapere di me, dell’inganno subìto ad opera di quelbastardo di Odisseo... Quale aedo potrà dire dime, del torto subìto, se nessuno mi è vicino....Come potranno ricordarmi nei canti? Nessuno,nessuno saprà ricucire le mie due piaghe ingiu-ste: la ferita alla gamba e l'onta di una colpa chenon è né mia né di Heracle. Chissà se torneranno a riprendermi?

CORO. Verranno a riprenderti, verranno Odisseoe Neottolèmo promettendoti ancora una volta la guarigioneda parte di Macaòne, uno dei discepoli diAsclepio...Ma tu, attento a non cedere al ricatto. Per la seconda volta ti inganneranno: gli Atrìdi non vogliono salvare te, ma bramano conoscere il nascondiglio dove tu hai posto al sicuro l’arco e le frecce diHeracle...Tirèsia, indovino, vaticinò che solo con le armi diHeracle Troia cadrà.

FILOTTETE. E’ questo dunque il Destino? E’questa l’Anànche? E’ questa la Legge che sta aldi sopra di tutti? E’ questa quella mia strada chenon posso non percorrere? Perché, perché mai accadono gli eventi?[...pausa...]Solo con la mia piaga qui mi lasciarono!...[...pausa...]Ora, più che la ferita mi brucia l’anima per nonessere con qualcuno con cui parlare del miodolore... [...pausa...]Anch’io come Heracle, come Ifigenia, comeMedea, ho un mio dolore, certo un dolore diverso

[ Filottète, solo e dolente, si trascina la gambaferita arrancando sulla costa nord-orientale dell’i-sola di Lemno ]

FILOTTETE. Più di cento lune, cento lunghe lunesono trascorse, le ho contate ad una ad una, leho scrutate fino alle loro insospettabili differenze...ma ancora all’orizzonte nessun albero greco,nessuna candida vela! Dove saranno, a quest’ora, i miei cari amici, i mieicompagni di viaggio? Da lungo tempo oramai dovrebbero trovarsi sottole mura di Troia... Forse l’avranno già conquista-ta, o staranno ancora assediandola... E, chissà,se il caro Palamède ancora a petto nudo genero-samente combatte, o è ferito, o... no, morto no,non posso pensarlo, ad impazzire dal doloreprima di me sarebbe suo padre, Nàuplio... E il biondo Pàtroclo, e Illo pavido figlio di Héracleche amavo come un fratello... e il caroNeottolèmo?. Sì, Neottolèmo figlio del prodigiosoAchille... Con lui..., ah quante galoppate supuledri privi di sella lungo la sterminata pianuradella Tessaglia, attraverso il bosco di Tempe riccod'alloro, fino alla foce del Penèo, fino al mare...fino alla casa di mio padre, a Melibèa, da dove siscorge appena la cima dell’Olimpo sempreavvolta tra le nubi...Ed ora, ora che mi resta di tutto questo?Questo mio straziante dolore alla gamba, che nonmi dà tregua... E la mia disperata solitudine.

CORO. Solo, ti hanno lasciato, solo con il tuonome: Filottète. Seguivi la flotta di Agamennone alla volta di Troia, con le tue sette navi e con i tuoi trecentocinquan-ta Arcieri. Non era ancora all’orizzonte la baia troiana, e tutti secondo gli accordi riteneste opportuna unasosta.Chi approdava a Lemno, chi sugli isolotti vicini,perché Tenédo doveva essere l’ultima tappa.Tu, Filottète, ti fermasti a Crise, per rifornirti

d’acqua,e per i sacrifici al dio marino che volevi tuoalleato... Lì, incontravi il rapido amore con Crisa, dolceregina del luogo,ma presso l’altare ti morse un serpente.Subito, allora, fosti condotto qui, a Lemno,dietro consiglio di Odisseo, perché Macaòne tiavrebbe guarito... Ma proprio qui, a Lemno, l’inganno: venistiabbandonatocon la tua putrida ferita, perché nessuno,nessuno sopportava quel tuo odore. Solo, ti hanno lasciato, qui, solo con il tuoassurdo inutile nome. Filottète...Filottète... Filottète... Filottète...

FILOTTETE. Già, il mio nome. [...pausa...]Quale strambo dèmone, quale onomatùrgo beffar-do suggerì all’orecchio di mio padre Peante ilnome che porto: Filottète?Filottète, già, questo mio assurdo nome: FI-LO-TTE-TE, significa “colui che ama il possesso”... Ma quale possesso io bramerei? Aih, aih,...[...pausa lamentosa...] Che cosa possiedo se non questa mia ferita? E

monologo liberamente tratto da Sofoclericostruito da Cesare Padovani

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Convegno“LETTERATURA, DIVERSITÀ, EMARGINAZIONE”

Antologia delle risorse internet

Un’antologia di contributi per incontrare e approfondire i possibili rapporti tra letteratura ed emargina-zione sullo sfondo dell’interesse per la documentazione in campo sociale ed educativo.

“E’ la vita a scrivere le storie e la letteratura rappresenta la lente che mette a fuoco queste storie”

Il materiale è organizzato rispetto a tre possibili chiavi di accesso al tema: gli autori, i generi, le esperienze(case editrici, biblioteche, scuole, associazioni …)

Perché la letteratura? di Giovanna Di Pasqualehttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/archivio/ricerca1.asp?Tipo=23Perché la letteratura per affrontare un percorso at-torno al tema della diversità?L’introduzione a “Il magico Alverman, racconti sulladiversità”.

Il cavaliere inesistente, di Italo Calvinowww.comune.fe.it/csv/convlettemarg-calvinoVivere e amare il proprio corpo, di Maria Cristina Pe-sci, medico, psicoterapeutaIl Cavaliere inesistente e lo scudiero come metaforedello sviluppo senso-motorio del bambino handicap-pato. Il corpo, l’handicap, la diversità, le percezioni,le sensazioni, le emozioni.

Castelli di rabbia, di Alessandro Bariccohttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/archivio/ricerca1.asp?Tipo=23Mormy, di Marina Maselli, pedagogista

A Quinnipak c’è Mormy tra gli altri. A Quinnipak lestorie si intrecciano, si aggrovigliano in un tempo a-nomalo e non si riesce più a dipanarle, piccoli mirag-gi di ironia e tragicità. Perché a Quinnipak la diver-sità e l’impotenza non spaventano nessuno.

Il giovane Holden, di J.D.Salingerhttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/archivio/ricerca1.asp?Tipo=23Uno o due (o forse più) giovani Holden, di Mariange-la Giusti, pedagogistaQuando si fa il mestiere dell’insegnante ad ogni nuo-vo anno scolastico si sa già che nelle nuove classidove ci troveremo a lavorare ci saranno uno, due,giovani Holden, ragazzi o ragazze la cui storia indivi-duale si colloca al limite.

Frankenstein, di Mary Shelleyhttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/archivio/ricerca1.asp?Tipo=23L’adorabile creatura, di Nicola Rabbi, giornalistaPerché parlare di Frankenstein? Cosa ha a che farequesto personaggio con l'emarginazione, con la di-versità, con il lavoro educativo? Parecchio, dato cheFrankenstein è diventato dal 1816 (anno della sua"creazione") ad oggi, attraverso le sue riduzioni ci-nematografiche, un mito moderno della sua diver-sità, quella rifiutata e perseguitata perché fa paura.

L’amante, di Marguerite Durashttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/archivio/ricerca1.asp?Tipo=23Prima di tutto donna, di Maria Cristina Pesci, medi-co, psicoterapeuta; Daniela Lenzi, psicologaFemminile e handicap: una terra di nessuno che fa-cilmente diventa silenzio e si rende invisibile. Tantoinvisibile che l'idea di avventurarsi in questa terrapuò sembrare, a prima vista, azzardata. E' azzarda-

GLI AUTORI

da tutti... Unico. [...lunga pausa...]Ma che cos’è mai questo mio dolore ? Non ditemi che è alghìa, non ditemi che è pathìa,non ditemi che è una delle tante sofferenze, enemmeno che assomiglia alle molte infinite soffe-renze degli altri... Come ho inventato nuovi attrezzi per procacciar-mi il cibo, occorrerebbe inventare una nuovaparola per dare un senso a quello che provo....[...pausa...]

Che cosa mai potrà essere questo indicibile, mio,unico, muto dolore ?Spesso cerco di ascoltarlo, questo mio dolore.Cerco di localizzarlo, cerco di sapere dove sitrova, il punto preciso dove pulsa il suo cuore (mache abbia un cuore?): se è nella piaga del pol-paccio, oppure nel tendine del piede, o se da lì hainizio per diffondersi lungo tutta la gamba, e su sufino alla coscia, all'anca, e quindi diramarsi albraccio, alla mano, e ancora più su fino a rag-giungere il collo e la cervice... Ma quel punto preciso non capisco mai dove sitrovi: anche se parlassi con Macaòne, o conAsclèpio in persona, loro stessi non saprebberolocalizzarlo attraverso le mie descrizioni. Sì, puli-rebbero il pus, mi fascerebbero la tibia, ma noncentrerebbero mai tutto il cuore di questo mioormai diffuso dolore.

Perché questo patire ormai mi prende tutto, a talpunto che anche il pensiero mi diventa doloroso...

E tra questi tormenti disseminati, pulsanti dovun-que, la sofferenza s'ingigantisce quasi volessedialogare con me. Ed è a questo punto che io lainterrogo: per sapere se il dolore sia in me, siacon me, oppure se il dolore, divenuto sofferenza,mi avvolga e mi compènetri...

Perché, se è in me, o se è con me, prima o poiriuscirei a circoscriverlo, sarei capace di isolarlodal resto di me, troverei il modo di ritagliarmi nelcorpo uno spazio per pensare ad altro, per avere,pur soffrendo, un'aura di tregua e di sonno... Ma se, invece, fosse il dolore ad avvolgermi...allora, allora sarei io, e tutto me stesso, adesservi racchiuso dentro! Allora lo saprei ancormeno rintracciare, localizzare, isolare. Solo l'av-vertirei.

Lo sentirei invadermi e compenetrarmi comeun'entità esterna a me, impossibile da capire, dadirezionare, da medicare: in tal caso sarebbe lui,quest'immenso male senza lamento, a tracciare ilsolco della mia anànche. Così, non provereinemmeno angoscia.

Ne sentirei l'odore, allora, senza puntare gli occhialla sua ferita, come fosse un cielo grigio unifor-me e sordo: anche scrutandolo, non saprei dovelampeggia il fulmine. Quel putrido odore che so di emanare, ma nonsento perché è troppo mio, lo sentirei nell'aria cir-costante, come una eredità ambientale, come unguasto precedente, una discarica tossica chenemmeno l'Olimpo riuscirebbe a smaltire. Sì,proprio una condanna, una irreversibile condannaad uno stato di cose irrimediabili. Un enormeaccumulo di misfatti che, a richiesta, non rispon-derebbero mai alle mie domande:

Perché i figli odiano i padri? Perché si fanno apezzi i nemici? Perché ci si abbandona? Chesenso può avere questa stessa guerra?

Ecco perché non proverei angoscia per la miasofferenza. Ma ne avrei paura.

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Sturgeon) che autori famosi affrontino l'handicap di-rettamente. Molto spesso però possiamo intravede-re nei mutanti l'ombra lunga dei diversi perseguitati,degli alieni. Se "i negri verdi" sono chiaramente lametafora del razzismo negli Usa, in altri fra coloroche vengono discriminati - telepati, longevi o sempli-cemente la bimba che nasce con 6 dita su un piede- quali altri roghi, oltraggi, apartheid possiamo deci-frare? C'è un racconto che mostra, quasi come in uncatalogo degli incubi, le 100 facce di questa intolle-ranza. In The Wheels of God di Paul Darcy Boles siparte dal paradossale spunto di rendere tutti handi-cappati. Un giorno, senza un perché negli Stati Unitiogni persona si sveglia senza piedi e con rotelle sot-to le gambe. È comprensibile lo sconcerto generalema poi tutto sembra andare per il meglio: non solol'umanità si riorganizza ma i più magnificano questasplendida evoluzione. Quando però un tal RonaldStarr nasce con i piedi e dunque si accorge di comesia difficile campare da diverso.

Fatatrac, diversi libri diversihttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/hp74/index.htm L’esperienza della casa editrice fiorentina Fatatrac

Kabiliana, la letteratura del confrontohttp://www.alice.it/news/primo/milazzo_anna.htm

L’esperienza della casa editrice Kabiliana di LaSpezia

Il gruppo di lavoro sulle biblioteche multiculturali del-la AIB associazione italiana bibliotechehttp://www.aib.it/aib/commiss/cnbp/mc/mc.htm

Il mitohttp://www.chiamamicitta.com/n387/padovani.htm Scoperchiare il vaso di Pandora; un corso per inse-gnanti organizzato dal Provveditorato agli studi di Ri-mini.Togliere il coperchio al Vaso di Pandora per recupe-rare, attraverso alcuni miti mediterranei, le traccedell'uso degli stupefacenti, della manipolazione ge-netica, dell'inquinamento, della solidarietà, dell'ab-bandono, della paura per il contagio, della donazio-ne degli organi, fino a scoprire le radici dell'ospitalità,della tolleranza. Ecco i conflitti tra i fratelli Apollo eArtemide, i litigi tra i coniugi Era e Zeus, tra gli a-manti Arianna e Teseo, Medea e Giasone; ecco ladifficile ricerca dell'identità attraverso il mito di Narci-so e quello di Eros e Psiche, ed ecco il sangue infet-to donato da Nesso a Deianira, e persino l'affitto del-l'utero per la nascita di Dioniso. Con questo metodosi vuole restituire al mito la freschezza della sua at-tualità attraverso dei confronti con i nostri comporta-menti.

Il romanzo giallohttp://www.geocities.com/CapeCanaveral/Launchpad/4291/tutticolori.htmTutti i colori del giallo: possono i romanzi gialli contri-buire ad una educazione interculturale?Una esperienza del CD-Lei centro documentazionelaboratorio educazione interculturale del Comune diBologna

Scheda a cura di Andrea PancaldiSettore informazione - documentazione CSV Ferrara

LE ESPERIENZE

to pensare al femminile per un mondo come quellodella disabilità, che si dibatte tra la ricerca di unapropria identità e il rifiuto di una discriminazione? Leparole di Marguerite Duras sembrano dare voce aquesti difficili interrogativi che forse desideriamo ri-mangano tali.

Funes o della memoria, Intervista ad Umberto Eco(da AA.VV., Pensieri sulla fine dei tempi), Aldo Bonomi, Il trionfo della moltitudine, forme econflitti della società che viene http://www.accaparlante.it/cdh-bo/documentazione/bollettini/Zefiro%209-10/docantolettZ9.htm Documentazione, spunti per una antologia letteraria,di Giovanna Di Pasquale, pedagogista, Andrea Pan-caldi, giornalista.Non è certo una gran novità affermare che spesso lecose più interessanti e significative su un determina-to tema non le troviamo tanto nei saggi, o nei ro-manzi, a volte, dedicati espressamente a quell'argo-mento, ma sulle e tra le righe di altri testi, che ci ca-pitano tra le mani, che leggiamo per altri scopi, ma-gari in spiaggia a Rimini o in un prato a Cortina.Questo vale anche per la documentazione e per ilsuo utilizzo, la sua produzione, la sua organizzazio-ne, la sua circolazione in campo sociale o più speci-ficatamente nelle realtà interessate ai temi della di-versità e dell'emarginazione.

La letteratura per l’infanziahttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/hp74/index.htm Le facce delle diversità nella letteratura infantile (e-ditoriale), di Annalisa Brunelli e Giovanna Di Pa-squale pedagogiste

La letteratura intesa come luogo di rivisitazione del-la vita quotidiana. Quotidianità è la dimensione in cuisiamo immersi … dentro cui agiamo e reagiamo. Perquesta sua "naturalità ed ovvietà" è la dimensionecon cui facciamo più fatica a confrontarci; la com-prensione dei meccanismi che la sostengono è sot-terranea, spesso non ricercata così come non èscontato il farli venire a galla. Da molti punti di vistala quotidianità fatica ad affermarsi con valore, consenso e anche con piacere. Spesso è la rottura chein un qualche modo ci fa riprendere contatto con ilquotidiano ... nella quotidianità noi conosciamo infat-ti anche la rottura dell'ordinario e del consueto: l'i-gnoto e la paura, la malattia e la morte, la nascita dif-ficile e la convivenza con essa. Le forme di questarottura si presentano a volte come evento inatteso escioccante, a volte sotto il segno della cronicità e delnon cambiamento e sono spiazzanti e difficili da in-terpretare.Partendo da queste riflessioni tra le molte valenzepossibili, segnaliamo alcuni rimandi per noi partico-larmente pertinenti rispetto al collegamento fra quo-tidianità e letteratura: la letteratura come catalogo,inventario del mondo; la letteratura come mediazio-ne verso la vicinanza con la propria ed altrui espe-rienza; la letteratura come dialogo.

I fumettihttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/hp2002-02/index.htm Nuvole diverse, per un vocabolario dell’handicap afumetti, Di Stefano Gorla e Paolo Guiducci, giornali-sti ed esperti di fumettiOrmai è assodato che esiste una letteratura scritta euna letteratura disegnata. Sul senso da dare a que-sto secondo termine si è raggiunto un sentore co-mune, almeno nel mondo del fumetto. La definizionedi letteratura disegnata è legata a Hugo Pratt, il papàdi Corto Maltese, che amava parlare in questi termi-ni del fumetto, sottolineandone il valore letterario e lapropensione alla narrazione … è il fumetto, il diver-sabile dei media … un linguaggio che evoca, provo-ca, interpreta … una voce per spostare continua-mente la linea di confine tra diversità e normalità.

Il romanzo di fantascienzahttp://www.accaparlante.it/cdh-bo/informazione/hp/hp2001-01/index.htm Umano è, come la fantascienza racconta l’universo-handicap, di Daniele Barbieri, giornalista… facciamo un piccolo salto indietro nel tempo, co-me conviene a chi si muove nella fantascienza. Èdifficile fino agli anni '70 (se si esclude il già citato

I GENERI

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per tutti un racconto diPhilip Dick, “Umano è”,nel quale una donnaaspetta il ritorno delmarito dallo spazio. Equesto marito, che leitemeva, torna cambiato,tanto che se ne innamoradi nuovo. Si scoprirà poiche si tratta di un alienoche ha occupato il corpodel marito morente. Madecidono di continuare avivere insieme. Perché infondo, osserva Barbieri,“la fantascienza è il luogoin cui esseri straniscavano nelle pieghe delnostro immaginario. Equello che ci insegna èche davanti a qualsiasicosa nuova siamo divisitra paura e desiderio, mala paura si può superare”.Theodore Sturgeon,nella “Nascita del supe-ruomo” racconta la storiadi un cervello collettivo,una Gestalt che per fun-zionare ha bisogno ditutte le sue componenti:una di queste è un idiota.“Ma alla fine, quello checi viene da pensare è cheabbiamo una definizionedi umanità basata sustandard ingannevoli.

Anche Sturgeon ciinsegna che ilsuperuomo non èquello che hauna superforza,ma quello cheha una super-sensibilità,una capa-cità dicapire”.

Insomma,le letteratu-re offronomateriali chepossono essereusati in molti modi:per la formazionedegli operatori, maanche per la sensibilizza-zione dei cittadini, oltreche nella scuola. E, aquesto proposito, GuidoArmellini , che insegnaDidattica della letteraturaall’Università di Padova,avverte: “Quando si parladi letteratura ed emargi-nazione si corre il rischiodi fare di essa un usomoralistico, cercando ditrovare espedienti perindurre negli studentibuoni sentimenti. Mal’obbligo di provare buoni

sentimenti ne suscita dicattivi”.E’ nella scuola, in parti-colare, che si rischiaspesso di mettere in attoprocessi di spontaneitàobbligata. “L’educazionealla tolleranza, alla lega-lità, al rispetto dell’altro,proposti come un doveressere – ribadisceArmellini – rischiano dioccultare il fastidio chel’altro ci dà, non offrendospazi per esprimerlo. Ilconflitto invece c’è, e va

affrontato per poter poiaccettare e valorizzare ladiversità”.Ma la letteratura, diceva-mo, è importante anchenel lavoro sociale.Secondo Giovanna DiPasquale , pedagogistadel CDH, il CentroDocumentazione Handi-cap di Bologna, “la lette-ratura è uno strumentoefficace ed emotivamen-te coinvolgente per rag-giungere pubblici nonspecialistici che riesconocosì ad avvicinarsi allamarginalità e capirla unpo’ meglio. Ma la usiamoanche nel lavoro formati-vo degli operatori, perchénon basta solo un saperetecnico, specialistico.Testi noti come Il giovaneHolden di Salinger, o altrimeno conosciuti, comecerti racconti di ToninoGuerra, possono aiutarea fare i conti con unarealtà che fa paura. Adesempio per capire checosa è la relazione diaiuto utilizzo Il diario diJane Somers di DorisLessing, in cui una donnaanziana malata e unagiovane e in carriera siincontrano e si aiutanoreciprocamente. La lette-ratura, in fondo, ci aiuta amettere a fuoco anche lenostre storie”.

(*) da “Avvenire” del 1giugno 2003

Personaggi? No, persone

Le vite di chi èemarginato perchédiverso sono tutte

degne di essere narrate.Ma, quando ci si prova, siscopre che è molto diffici-le. Hanno tutti i presup-posti per riuscirci i gior-nalisti, ma quasi mai ciprovano. E anche iromanzieri sembrano inquesti anni preferire altritemi. La saggisticainvece produce tantissi-mo. Ma non raccontastorie, e invece è anchedi queste che abbiamobisogno.Però, guardandoci un po’più attentamente attorno,scopriamo che le storiedella diversità ci sono, esono anche dense disignificati: soltanto chemagari appartengono ageneri considerati minori,un po’ snobbati.Il fumetto, per esempio,se ne occupa da quandoè nato: “Il primo, alla finedell’Ottocento, aveva perprotagonista Yellow Kid,il quale altri non era cheun ragazzino basso,brutto, con le orecchie asventola, che se neandava bighellonando.Era l’emblema di quelloche oggi chiameremmoemarginato, o almenosoggetto a rischio”,ricorda Loris Cantarelli ,esperto della rivista“Fumo di China”.Cantarelli è uno dei rela-tori al convegno organiz-zato dal Centro Serviziper il Volontariato che si èaperto ieri a Ferrara e in

cui si discute proprio di“Letteratura, diversità,emarginazione”.Dal filone comico delfumetto si possono trarremolti esempi: Asterix eObelix in fondo sono unnano e un gigante;Gambadilegno è unostorpio; Ciccio, l’aiutante

di Nonna Papera, è unpo’ tonto. “Il fumettocomico ha il vantaggio dinon buttarla mai sul pate-tico - continua Cantarelli .Qualche caduta di tono sipuò trovare nelle storie,più che nei personaggi.Little Orfan Annie, prota-gonista di un fumetto

degli anni Venti, era orfa-nella contro cui tutti sem-bravano accanirsi. Dopoun po’ però diventavatutto stucchevole, super-ficialmente pietoso”.Se si esce dal filonecomico si trovano moltipersonaggi interessanti.“La scuola americana hatrasformato dei disadat-tati in supereroi. L’UomoRagno è timido e insicu-ro; gli X-Men sonosostanzialmente degliadolescenti discriminatiper i loro poteri… NeiFantastici Quattro c’è lafigura della Cosa, esseredeforme, roccioso, ed èuno dei personaggi piùcommoventi, perché inogni storia si fa carico deiproblemi che ognuno dinoi incontra”.Altri generi che per le loropotenzialità metaforichesembrano prestarsi parti-colarmente a raccontareil nostro rapporto con ladiversità sono l’horror ela fantascienza. Di que-st’ultima si occupaDaniele Barbieri , gior-nalista, curatore di anto-logie per la scuola. Cita

Da emarginati a protagonisti: ecco comeletteratura, film e fumettiraccontano il “diverso”

Paola Springhetti (*)

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che il volontariato entrasse nelle scuole perparlare di bambini maltrattati, di handicap, di rac-colta sangue, di legalità, di impegno ambientale ocivico. Oppure che regalassero opuscoli, libri,video alle biblioteche di quartiere, o delle scuole,o che utilizzassero le loro sale per incontri e con-ferenze. Tutte pratiche certamente positive anchese non esenti da qualche rischio e contraddizione.Al CSV di Ferrara pareva invece che nulla dinuovo dovesse essere portato in biblioteca o ascuola, ma che queste, a ben vedere, avesserogià al loro interno tutti gli strumenti e le occasioniper parlare e riflettere sui temi sopra citati.Bastava scavare un poco, o semplicemente soffiarvia un po’ di polvere, avere la pazienza di tirarefuori maghi, orchi e lupi dalle favole, alieni edextraterrestri dalle file degli “Urania” allineati negliscaffali, di leggere con attenzione i miti greci otante pagine di Italo Calvino, Marguerite Duras,Mary Shelley, Marguerite Yourcenar… perfino ifumetti, ancor spesso oggetto di ostracismo nellescuole e nelle biblioteche, traboccano di diversi,disabili, emarginati.

Rappresentare le diversitàLa letteratura, ha ricordato Giovanna DiPasquale nel suo intervento dedicato al rap-porto tra letteratura e lavoro sociale, “…rappresenta la lente che mette afuoco le storie della vita. E’ unalente particolare capace di pro-durre una forma di comprensio-ne nell’esperienza degli altri, inparticolare quando quest’ultimaha segni e tratti tali da costruirleintorno un recinto di diversità”. E lungoquesto che può essere definito il filo rossodel convegno si sono dipanate le relazioni diDaniele Barbieri sulla rappresentazionedella disabilità nel romanzo di fantascienza(… tra alieni e alienati il passo è breve…), diLoris Cantarelli, redattore di “Fumo diChina”, che ha ripercorso la parabola delfumetto italiano e straniero raccontandoanche gustosi aneddoti come quello relativoad uno dei personaggi disneyani più cono-sciuti, Gambadilegno, che ai nostri giorni loè solo di nome, mentre inizialmente lo eraanche di fatto. Molto applaudito l’interventodi Cesare Padovani, semiologo riminese,che ha condotto il pubblico attraverso i vari

cicli del mito greco e di come questo affronta divolta in volta i temi della solidarietà, della tolleran-za, della diversità.Se la mattinata del convegno ferrarese è stata piùcentrata sull’emarginazione e sui generi letterari,la sessione pomeridiana ha affrontato il tema dellediversità attraverso l’appassionato intervento diElisabetta Bartuli, arabista all’Università CàFoscari di Venezia, che ha sottolineato quanto siaancora iconografica la rappresentazione che si hadel mondo e della cultura dei Paesi arabi (paesiarabi, attenzione, non Islam…), sospesi ancoratroppo spesso tra palme, veli e cammelli e ad unarappresentazione del ruolo della donna solo edunicamente giocata su schemi di dominio e sotto-missione. Forte dalla Bartuli un richiamo adandare oltre ai classici, alla favolistica ed alla let-teratura popolare per conoscere la letteraturaaraba contemporanea come antidoto, anche, allepaure di tanti per nuove calate di barbari. Hannoconcluso il convegno gli interventi di Vanna

“Coniugare letteratura, diversità ed emarginazionesignifica porsi in zona di confine, di meticciamen-to. Così le linee che si intersecano nel convegno diFerrara paiono a prima vista estremamente distan-ti fra loro: si va infatti dalla fantascienza all’handi-cap, dal diverso nel mito al mito del diverso, dal-l’horror alla letteratura araba, dalle bibliotecheinterculturali all’esperienza della letteratura perragazzi della casa editrice Fatatrac …”

Aluisi Tosolini, nella sua recensione nel sitowww.scuolaer.it del convegno “Letteratura, diver-sità, emarginazione” (organizzato a Ferrara il 31maggio scorso dal locale Centro Servizi per ilVolontariato – CSV), individua bene la zonain cui il convegno intendeva collocarsi: ilconfine.Confine; parola magica e contempo-raneamente temuta. Il confine separama al tempo stesso unisce, connettecon ciò che ci pare altro da noi.

Letteratura, luogo d’incontroE per un volontariato troppo spessoimpegnato a riflettere ed organizzare suciò che capita nelle proprie “piazze”, nel“centro” delle proprie “città” (i servizi attivati, il rap-porto con l’Ente locale, le relazioni interpersonali,il collegamento tra i gruppi…) è salutare ogni tantoandare a sedersi sui propri confini, là dove i temi,le esperienze, le dinamiche lo separano ma altempo stesso connettono con ciò che gli staattorno, che lo alimenta e, in fondo, lo giustifica.Se con il I° convegno nazionale su Volontariato edocumentazione del 2001 il CSV di Ferrara avevavoluto porre attenzione alle strutture, i centri didocumentazione e i CSV che nel panorama attualesi occupano, più gli uni che gli altri, di documenta-zione, col secondo convegno si è voluta identifica-re una zona di confine, la letteratura appunto.Letteratura come ideale luogo di incontro chepotesse intrecciare gli interessi e le attività del

volontariato da una parte, e di due soggetti, lebiblioteche e la scuola dall’altra, che possonoessere formidabili partner del volontariato, e deiCSV in particolare, nella diffusione di quella culturadella solidarietà e della responsabilità personale edi cittadinanza, che sempre fa capolino allorché ilvolontariato parla di sé.Per fare questo, ai più, parrebbe più ovvio e logico

Gamba di Legnoe gli altriLetteratura, diversità, emarginazione: se ne è parlato a Ferrara, durante il

secondo convegno nazionale su Documentazione e Volontariato.

Perché il volontariato ha bisogno della cultura per capire e per parlare alla società

Andrea Pancaldi (*)

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Cercenà, scrittrice per l’infanzia, che ha illustratole tante iniziative della casa editrice fiorentinaFatatrac, e di Chiara Rabitti della AssociazioneItaliana Biblioteche che ha raccontato l’esperien-za del gruppo di lavoro della AIB sui temi dellebiblioteche multilingue e multiculturali.

Il fare e l’approfondireUn convegno indubbiamente denso, molto recen-sito sia sul versante sociale che culturale, e che aposteriori forse si può dire si sia spinto anche al dilà del confine sopra evocato, registrando un forteafflusso dal mondo della scuola e delle bibliote-che, mentre più sparuta è stata la rappresentanzadei volontari o degli operatori sociali in genere, ariprova di una attenzione ancora limitata del volon-tariato ad accompagnare l’impegno sociale con unparallelo e attento lavoro culturale che ha anchenelle pratiche di documentazione uno dei suoi nodidi lavoro centrali. Troppo spesso ancora nel volon-tariato cultura del fare e cultura dell’approfondi-mento sono viste come difficilmente conciliabili,ma questo in parte è noto e questa stessa rivistalo aveva già sottolineato nella presentazione delconvegno apparsa nel numero di aprile.Per ogni ulteriore approfondimento sui temi delconvegno rimandiamo al sito del Centro Serviziper il Volontariato di Ferrara (www.csvferrara.it)nel quale potete trovare una ricca sezione dedi-cata ai temi della documentazione in campo

sociale, il programma ed il documento preparato-rio del convegno ed una ricca antologia dellerisorse disponibili in Internet sul rapporto tra lette-ratura ed emarginazione.

(*) da “Rivista del Volontariato” n. 7/8 luglio/agosto 2003

Numero 4 – Dicembre 2003 – Anno 6 – Reg. Trib. di Ferrara n.8 del 4/5/98Direttore responsabile: Vito MartielloSede di direzione: 44100 Ferrara – P.le Kennedy, 2 (c/o CentroServizi per il Volontariato) – Telefax: 0532/765728Internet: www.csvferrara.it E-Mail: [email protected]: Francesca Gallini, Pierluigi Guerrini, Stefania Guerrini,Vito Martiello, Andrea Pancaldi, Alberto Poggi, Enrico RibonHanno collaborato: Daniele Barbieri, Elisabetta Bartuli, LorisCantarelli, Paola Castagnotto, Vanna Cercenà, Rita Cinti Luciani,Giovanna Di Pasquale, Patrizia Lucchini, Cesare Padovani, ChiaraRabitti, Paola SpringhettiProgetto Grafico: Studio Gualandi – Stampa: Tip. Sangiorgio Lit.– Ferrara Tiratura: 2500 copieLe immagini di questo numero: pagg. 1/3 Max Ernst, Il Capricorno;

pagg. 5, 22, 51 E.C. Segar; pagg. 6, 7, 40, 41 Jacovitti; pagg. 8, 18, 19, 56

M. C. Gaimes; pagg. 16,17, 55 W. Disnay; pagg. 20, 21 R. Smythe; pag. 32

I. Penn, Donne Guedras; pagg. 26, 27 Il gladiatore mancino (I° sec. a.C.);

pag. 31 Calligramma speculare sciita; pag. 34 H. Vernet, L’arabo narratore;

pag. 46/48 Bestiario fantastico; pag. 50 B. Kane; pagg. V. Hugo, Apparizione

dei musicisti; pag. 53 A. Uderzo;

MOSAICO Periodico di informazione del volontariato edito dal Centro Servizi per il Volontariato di Ferrara