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Lettera personale Diario Testo non letterario: mi confido, mi sfogo con una persona amica, scrivo riflessioni e racconto momenti della mia vita. Prevalgono le sequenze riflessive. E‟ scritto in prima persona singolare. Si riferisce ad avvenimenti recenti. Si usa il tempo presente o il passato prossimo. Testo non letterario: mi confido, mi sfogo, scrivo riflessioni e racconto momenti della mia vita. Prevalgono le sequenze riflessive. E‟ scritto in prima persona singolare. Annota avvenimenti e riflessioni giorno per giorno. Si usa il tempo presente o il passato prossimo. STRUTTURA Luogo e data da cui si scrive Intestazione (Caro Riccardo) Introduzione (ti devo dire assolutamente che cosa mi è capitato…) Parte centrale (ho vinto il Concorso per il miglior tema…) Chiusura (scrivimi presto) Firma P. S. (cioè un‟aggiunta) Data in cui si scrive Libera esposizione degli argomenti. LA RICERCA Testo espositivo-informativo COME SI FA UNA RICERCA? 1. E‟ necessario rispondersi alla seguente domanda: “Riguardo all‟argomento dato, che cosa mi piacerebbe sapere di più?” 2. Una volta scelto l‟obiettivo della mia ricerca, cerco notizie su Enciclopedie, Internet, riviste specializzate, posso intervistare esperti o testimoni. 3. Raccolgo su schede o file le informazioni che ho trovato, senza accontentarmi di una sola “fonte” (cioè o solo l‟Enciclopedia o solo Internet) e senza scrivere cose che non capisco.

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Lettera personale Diario

Testo non letterario: mi confido, mi sfogo con

una persona amica, scrivo riflessioni e racconto

momenti della mia vita.

Prevalgono le sequenze riflessive.

E‟ scritto in prima persona singolare.

Si riferisce ad avvenimenti recenti.

Si usa il tempo presente o il passato prossimo.

Testo non letterario: mi confido, mi sfogo,

scrivo riflessioni e racconto momenti della mia

vita.

Prevalgono le sequenze riflessive.

E‟ scritto in prima persona singolare.

Annota avvenimenti e riflessioni giorno per

giorno.

Si usa il tempo presente o il passato prossimo.

STRUTTURA

Luogo e data da cui si scrive

Intestazione (Caro Riccardo)

Introduzione (ti devo dire assolutamente che

cosa mi è capitato…)

Parte centrale (ho vinto il Concorso per il

miglior tema…)

Chiusura (scrivimi presto)

Firma

P. S. (cioè un‟aggiunta)

Data in cui si scrive

Libera esposizione degli argomenti.

LA RICERCA

Testo espositivo-informativo

COME SI FA UNA RICERCA?

1. E‟ necessario rispondersi alla seguente domanda: “Riguardo all‟argomento dato, che cosa

mi piacerebbe sapere di più?”

2. Una volta scelto l‟obiettivo della mia ricerca, cerco notizie su Enciclopedie, Internet,

riviste specializzate, posso intervistare esperti o testimoni.

3. Raccolgo su schede o file le informazioni che ho trovato, senza accontentarmi di una sola

“fonte” (cioè o solo l‟Enciclopedia o solo Internet) e senza scrivere cose che non capisco.

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4. Ordino le informazioni secondo una “scaletta”, ovvero organizzandole seguendo un ordine

logico, per arrivare a rispondere alla mia curiosità iniziale.

COME SI FA UN RIASSUNTO

1. Osserva il

TITOLO

Il titolo è già un riassunto: ci dice quali sono gli argomenti principali su

cui l‟autore vuole puntare l‟attenzione.

2. Dividi il brano in

SEQUENZE

I testi narrativi ed espositivi sono costituiti da sequenze (talvolta indicate

dal rientro grafico): come le scene di un film, c‟è un cambio sequenza

tutte le volte che:

- cambiano i personaggi (es. arriva un personaggio nuovo, ne esce un

altro…)

- cambia il tempo della narrazione (es. si passa da un giorno ad un

altro…)

- cambia l‟ambiente della narrazione (es. da un interno si passa

all’esterno)

- c‟è un nuovo avvenimento.

Ricorda che le sequenze possono essere:

- narrative (raccontano ciò che succede)

- descrittive (descrivono il luogo, uno stato d‟animo)

- riflessive (riportano il pensiero dell‟autore o di un personaggio)

- dialogiche (riportano il dialogo diretto tra i personaggi)

3. Dai un titolo ad

ogni sequenza.

Oppure sottolinea

in ogni sequenza il

tema principale.

Cerca di evidenziare l‟informazione che ogni sequenza ti vuol dare,

indicandola proprio con un “titolo”: lascia perdere i dettagli e punta ai

“nodi” della storia, senza i quali non si capirebbe ciò che è successo;

prendi in considerazione soprattutto le sequenze narrative.

4. “Unisci” i vari

titoli.

Collega gli avvenimenti principali indicati dai titoli che hai dato e

costruisci un testo unitario e comprensibile per chi non ha il brano

davanti (prova a rileggerlo con lo spirito di chi non sa niente della storia).

RICORDA:

- Se anche il racconto è in prima persona (ad es. l’autore parla in prima persona ricordando

una sua esperienza: “Quando andai in Scozia…”) il riassunto è sempre in terza persona

(“L’autore racconta di quando è andato in Scozia”)

- Se ritengo necessario riportare i dialoghi, devo trasformarli in discorsi indiretti: es.” – E’

questa la direzione per il Lago di Lochness?” diventa “L’autore chiese la direzione per il

Lago di Lochness”.

LA RELAZIONE

E‟ un testo espositivo - informativo

Serve a presentare un‟esperienza di studio o di lavoro (un progetto, una visita d‟istruzione, un‟esperienza di

laboratorio…) sul quale si forniscono informazioni, dati e conoscenze.

E‟ simile alla ricerca, ma in più vengono descritte tutte le tappe del lavoro d‟indagine che si è svolto.

E‟ un testo oggettivo.

COME SI FA UNA RELAZIONE?

1) Si raccolgono informazioni sull‟argomento: si prendono appunti, si consultano le enciclopedie, si intervistano

esperti…

2) Si dà un ordine cronologico o logico all‟esposizione, cioè si fa una “scaletta”

ESEMPIO 1

TITOLO Progetto “Facciamo un film a scuola”

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INTRODUZIONE (cioè breve illustrazione

dell‟argomento)

Il 28 dicembre 1895 i pochi curiosi che, attratti da un

annuncio pubblicitario, entrarono nel Grand Café di

Boulevard des Capucines a Parigi, videro apparire sullo

schermo un enorme treno sbuffante che li spaventò, tanto

sembrava vero: era il cinema, “la fabbrica dei sogni”.

I fratelli francesi Auguste e Louis Jean Lumiere avevano

organizzato quella prima proiezione utilizzando un nuovo

apparecchio: il cinematografo (dal greco Cinema =

movimento e grapho = scrivere), in grado di proiettare

immagini in movimento.

OBIETTIVI: cioè a quale domanda si vuol rispondere con

questo lavoro? Quale scopo si vuol raggiungere?

Ma come nasce un film? E’ possibile realizzarne uno in

classe?

TEMPI (quanto tempo ha richiesto l‟attività?) 30 ore di lavoro in classe distribuite tra le lezioni di

italiano, inglese, francese, musica e tecnologia.

MODALITA‟ E PERSONE COINVOLTE (Chi ha svolto

il lavoro? Quali modalità sono state usate?)

Gli alunni delle due classi terze della Scuola Media “F. di

Bartolo” di Buti hanno lavorato divisi per gruppi

d’interesse: con l’aiuto degli insegnanti hanno ideato il

soggetto del film, steso il testo, scritto la sceneggiatura,

preparato scenografie e costumi, eseguito il trucco e la

recitazione, scelto le musiche, filmato e montato il film.

ESPOSIZIONE (E‟ la parte centrale della Relazione,

quella in cui si riferiscono tutte le informazioni raccolte)

Per fare un film a scuola è necessario darsi alcuni criteri:

Evitare idee che richiedano effetti speciali o

complicati fotomontaggi;

Scrivere una storia che non svolga in luoghi

troppo diversi o lontani dalla scuola;

Se si vuol risparmiare sui costumi è bene evitare

storie che si svolgono nel passato o nel futuro;

Evitare un linguaggio volgare.

Come nasce un film? In quanto forma d’arte, il film

esprime un’idea, un messaggio; la nostra idea è stata

quella di…..

CONCLUSIONI: si illustrano i risultati del Progetto. Gli

obiettivi sono stati raggiunti?

PROPOSTE E COMMENTI: questa è l‟unica parte

soggettiva della relazione, quella in cui si possono

esprimere giudizi e riflessioni personali, dire se

l‟esperienza mi è piaciuta, che cosa ho imparato…

Conigli sotto la Luna

Dino Buzzati

Nel giardino la luna, e quel profumo d'erba e piante che ricorda certe lontanissime mattine (saranno

mai esistite?) quando alle prime luci, con gli scarponi e il flobert, si usciva a caccia. Ma adesso c'e'

la luna quieta, le finestre sono spente, la fontana non getta piu': silenzio. Sul prato quattro cinque

piccole macchie nere. Ogni tanto si muovono con buffi salti veloci, senza il minimo rumore.

All'ombra delle aiole, come aspettando. Sono i conigli. Il giardino, l'erba, quell'odore buono, la

quieta luna, la notte cosi' immensa e bella che fa male dentro per incomprensibili ragioni, tutta la

notte meravigliosa e' loro. Sono felici? Saltellano a due a due, non viene dalle loro zampe il piu'

lieve fruscio. Ombre, si direbbero. Minuscoli fantasmi, genietti inoffensivi della campagna che

intorno dorme, visibile sotto la luna a grandissima distanza. E debolmente splendono anche le

remote pareti bianche di roccia, le montagne solitarie. Ma i conigli stanno con le orecchie tese,

aspettano, che cosa aspettano? Sperano forse di poter essere ancora piu' felici? La', dietro al

muretto, nel cunicolo che viene dal tombino, dove all'alba si nascondono a dormire, e' tesa la

tagliola. Loro non lo sanno. Neppure noi sappiamo, quando insieme agli amici si gioca e si ride, cio'

che ci attende, nessuno puo' conoscere i dolori, le sorprese, le malattie destinate forse all'indomani.

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Come i conigli noi stiamo sul prato, immobili, con la stessa inquietudine che ci avvelena. Dove e'

tesa la tagliola? Anche le notti piu' felici passano senza consolarci. Aspettiamo, aspettiamo. E

intanto la luna ha compiuto un lungo arco nel cielo. Le sue ombre di minuto in minuto diventano

piu' lunghe. I conigli, con le orecchie tese, lasciano sull'erba illuminata mostruose strisce nere.

Anche noi, nella notte, in mezzo alla campagna, non siamo piu' che ombre, fantasmi scuri con

dentro l'invisibile carico di affanni. Dove e' tesa la tagliola? Al lume favoloso della luna cantano i

grilli.

IL TESTO ARGOMENTATIVO (materiali per la discussione)

Legge sulle droghe in Italia e in Europa

Legge 49/2006: Nella Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio scorso è stato pubblicata la legge 21 febbraio n.49, di

conversione del decreto legge 272 del 2005, con la

quale è stato profondamente novellato il Dpr 309 del 1990 recante il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli

stupefacenti. Il punto di forza della nuova legge Fini/Giovanardi sulle droghe, è l'equiparazione tra droghe "leggere" e

droghe "pesanti", sotto l'aspetto della pericolosità e delle sanzioni. Detenere, cedere o consumare tali sostanze, non

importa in che quantità, sono comportamenti puniti dalla legge. In particolare, possedendo più di una quantità massima

prestabilita, si diventa spacciatori e si rischiano pene da uno a vent'anni di carcere, secondo la gravità. Il consumo è

comunque punito con sanzioni amministrative (il ritiro della patente, del porto d'armi, del permesso di soggiorno, ecc.)

revocabili se l'interessato si sottopone a programma terapeutico, di cui si è certificato il buon andamento.

I quantitativi: Mezzo grammo di cannabis, 750 milligrammi di cocaina, un quarto di grammo di eroina, 750

milligrammi di ecstasy, 500 milligrammi amfetamina e 150 microgrammi di Lsd: sono queste le quantità massime

consentite per il consumo personale di droga in base alle tabelle stabilite dalla legge. La legge di fatto parifica uso di

droghe leggere e pesanti, e come detto colpisce anche il consumo oltre allo spaccio. I fumatori di cannabis risultano ora

punibili anche per il possesso di qualche "canna". Ma quante?

Il "principio attivo": forse una decina o anche meno se si tratta di marjuana di buona qualità finemente tritata e

controllata (come quella contenuta ad esempio nei

farmaci consentiti in alcuni paesi tra cui l'Olanda per scopi terapeutici). Le tabelle parlano infatti di "principio attivo" e

quindi di un valore altamente variabile e legato alla "qualità" della sostanza che in pratica non è possibile valutare

durante i controlli di polizia ma solo con una successiva analisi chimica delle foglie di majuana o delle polveri trovate

addosso alle persone fermate. Tale scelta facilita lo spacciatore e penalizza il consumatore, visto che solo il primo sa

quanta "roba" può portarsi dietro conoscendo la merce che vende. Sarà comunque necessario tenere presente che tali

soglie sono solo uno degli indizi che la legge mette a disposizione per verificare se si tratta di consumo personale o di

spaccio, che si aggiunge agli altri due criteri: quello della modalità di presentazione delle sostanze (peso lordo

complessivo o confezionamento frazionato) e altre circostanze dell'azione (grandi quantità di denaro).

Il nuovo governo: A distanza di due mesi dall'inizio della legislatura, si delinea l'impegno del governo sulle droghe:

"Uno spinello fa meno male di mezzo litro di vino e il consumo di droghe leggere dovrebbe essere depenalizzato,

mentre la legge voluta dal centrodestra non fa distinzione tra sostanze leggere e pesanti, né' tra spacciatori e

consumatori". L'ha detto il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, aggiungendo: "la legge Fini sarà cambiata:

occorre essere severi contro lo spaccio". Dal canto suo il ministro della salute Livia Turco vuole modificare il decreto

ministeriale sulla "Tabella Unica", che fissa le soglie quantitative oltre le quali scatta il reato di spaccio: la quantità

massima detenibile di canapa passerebbe dagli attuali 500 mg a 1000 mg.

In Europa:

Le leggi che disciplinano il consumo di droga e la detenzione finalizzata all‟uso personale variano in misura

considerevole nei vari paesi dell‟Ue. In alcuni la legge vieta tali comportamenti e prevede pene detentive, in altri tali

comportamenti sono vietati ma le sanzioni sono generalmente lievi. Altri ancora non considerano il consumo di droga e

la detenzione finalizzata all‟uso come reati penali. Gli sviluppi degli ultimi anni evidenziano in seno ai sistemi

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giudiziari penali degli Stati membri l‟elaborazione di leggi e linee guida simili verso i tossicodipendenti, segnatamente

una propensione all’adozione di sanzioni meno severe nei confronti dell’uso personale di stupefacenti.

In Olanda La vendita di droghe leggere può sempre essere punita; tuttavia, la priorità viene data alla lotta alle droghe

pesanti, per cui: La quantità venduta è importante. Non viene attivamente indagata la vendita di una quantità massima di

5 grammi in coffee-shop autorizzati, mentre la vendita di quantità superiori (spesso legata all‟esportazione) viene

colpita duramente. La vendita di quantità superiori ai 5 grammi, sia essa effettuata in bar, caffè, ristoranti o sulla strada,

viene perseguitata attivamente. La teoria che sta dietro questa pratica è che la vendita di piccole quantità di droghe

leggere per uso personale causa minore rischio sociale e personale rispetto l'uso e la vendita delle droghe pesanti.

In Spagna e Portogallo la detenzione di qualsiasi stupefacente per uso personale non è soggetta a sanzioni penali. La

sanzione tende piuttosto ad essere di tipo amministrativo, ad esempio la diffida e l‟ammenda. In Spagna durante il

governo di José Maria Aznar vennero introdotte in Spagna le cosiddette "stanze del buco" per l'eroina sia a Barcellona

sia a Madrid. L'offrire ai tossicodipendenti spazi appositi, che offrono assistenza e igiene, ha dato ottimi risultati e

maggiore controllo. Dal 2001 la legge del Lussemburgo prevede unicamente un‟ammenda per l‟uso, il trasporto, la

detenzione e l‟acquisto di cannabis per uso personale. In Belgio, Danimarca, Germania e Austria le leggi e le linee

guida prevedono la non punibilità dei soggetti che per la prima volta vengono trovati in possesso illecito di stupefacenti,

in particolare di cannabis, i quali vengono "invitati" ad astenersi dall‟assumere droga nel futuro. L ‟invito è spesso

corredato da una diffida e da un periodo di prova.

In Irlanda la detenzione di cannabis è passibile di un‟ammenda alla prima o seconda condanna, mentre la pena

detentiva può essere comminata a partire dal terzo reato. Nel Regno Unito nel 2001 venne fatta un'innovativa proposta

dal ministro degli Interni: riclassificare la cannabis come una droga della "classe C" piuttosto che "B" per rendere il

reato di detenzione di cannabis non passibile di arresto. La proposta non passò ma vennero comunque promulgate leggi

a favore del consumo terapeutico (come anche in Spagna) In Francia una direttiva del 1999 raccomanda espressamente

che i reati connessi all‟uso di droga siano sanzionati solo da una diffida. In Grecia, Norvegia, Finlandia e Svezia si

evidenzia un‟applicazione "alla lettera" delle leggi che vieta in maniera rigorosa l‟uso di droghe.

Adozioni e coppie omosessuali Questito posto da Elisa

Domanda: Buon giorno, avrei una domanda da porre in merito alla questione delle adozioni da parte di genitori

omosessuali. Partendo dal presupposto che non ho nessun tipo di pregiudizio in merito e che a livello intuitivo sono

favorevole in quanto ritengo che siano una relazione equilibrata tra i partner e la cura della relazione coi figli gli

elementi essenziali e non tanto il genere dei genitori, vorrei avere dei chiarimenti da un punto di vista psicoanalitico per

poter corroborare la mia opinione o eventualmente essere disposta a modificarla. Vi ringrazio moltissimo per la vostra

disponibilità.

Risponde:

Alessandra Baglini Medico - Psicoterapeuta del CSTCS di Genova

Gentile Elisa, è difficile, per non dire impossibile, dare una risposta univoca alla sua domanda. Questo perché la già di

per sé controversa e complicata questione "adozione e famiglie omosessuali" coinvolge necessariamente altre – e

altrettanto controverse, e altrettanto complicate – problematiche. L'omosessualità è un disturbo psichico? È proprio così

scontato che siano importanti solo "la relazione equilibrata tra i partner e la cura della relazione con i figli e non tanto il

genere dei genitori"? E ammesso che crescere in una famiglia omosessuale non comporti danni psicologici, tali danni

non verranno piuttosto dall'atteggiamento ostile della società nei confronti di quella famiglia? E cosa spinge le coppie

omosessuali all'adozione? E il bambino adottato da una famiglia omosessuale dovrà affrontare processi mentali diversi

dal bambino adottato da una famiglia eterosessuale? Ognuna di queste domande, oltre tutto, ha anche valenze

ideologiche, politiche, etiche, quando non religiose, il che complica ulteriormente la questione: le varie tesi degli

studiosi finiscono inevitabilmente ad essere interpretate ideologicamente quando non siano state proprio le varie

ideologie politiche o religiose a fornire la base delle varie tesi. È forse opportuno rispondere alla sua domanda partendo

dalla prima questione che dobbiamo porre come preliminare: l'omosessualità è una malattia?

1. La questione dell'omosessualità Solo recentemente l'omosessualità è stata cancellata dal DSM e dall'OMS dall'elenco delle malattie psichiche,

cancellazione, lo ricordiamo, che è stata – e continua ad essere - criticata da determinati settori ideologici anche in

campo medico.

Freud, se da una parte presupponeva un "esito eterosessuale" della sessualità, dall'altra non considerava

l'omosessualità di per sé una nevrosi o un aspetto di una nevrosi e sottolineava anzi l'aspetto polimorfo della sessualità

del bambino. La psicoanalisi attuale preferisce parlare di atteggiamenti sessuali, omo od etero, di scelte di oggetto che

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costruiscono un risultato evolutivo della persona; non mancano peraltro studiosi di area cattolica o comunque cristiana

che affermano tuttora che l'omosessualità costituisce un disturbo, un "handicap psichico", attribuendo alla sessualità

degli omosessuali un carattere nevrotico, né mancano terapie – sulle quali esiste una ricca bibliografia - per "curare"

l'omosessualità.

2. Di cosa ha bisogno un bambino? Lei sembra dare per scontato che un bambino abbia bisogno solo della cura e della relazione indipendentemente dal

sesso di chi cura e relazione fornisce.

Non è che tale affermazione sia errata: solo che anche in questo caso non abbiamo risposte univoche; possiamo dire in

primo luogo che per fare il genitore, bisogna prima "essere": per poter dare risposte alle necessità del bambino. Un

bambino ha bisogno di un ambiente psicoaffettivo che gli permetta lo strutturarsi della mente dal punto di vista

intellettivo – cognitivo – razionale; il bambino deve trovare chi lenisce e contiene la sua sofferenza, fisica e psichica e,

soprattutto, gli fornisca modelli identificatori e relazionali che gli permettano lo sviluppo della personalità anche dal

punto di vista affettivo – sessuale.

Già Freud sottolineava come la personalità dell'individuo derivi dalle proprie pulsioni originarie ma anche dalla vita

relazionale Anche Ferenczi ha sottolineato l'importanza delle relazioni primarie, mentre Melanie Klein incentrò le

proprie

teorie sul "mondo interno" del bambino, la cui vita psichica è dominata dall'attività fantasmatica, dal gioco delle

fantasie inconsce e dalle difese connesse; il bambino, sin dai primissimi giorni di vita, si relaziona con l'esterno, con gli

"oggetti esterni", interiorizzandoli e costruendo su di essi tanto il proprio sistema interiore quanto il proprio sistema di

relazioni. Anche Anna Freud sottolineò l'importanza della "esperienza reale" e dell'ambiente in cui il bambino cresce,

sia

pure in modo diverso (e polemico) dalla Klein.

Lo sviluppo sessuale del bambino dell'uno e dell'altro sesso è inestricabilmente connesso alle sue relazioni oggettuali e

a tutti gli affetti che improntano sin dall'inizio il suo atteggiamento nei riguardi del padre e della madre. Bion (1973)

propone la metafora della madre come contenitore che ha la funzione di accogliere le sensazioni del neonato e di

assumere in sé le proiezioni emotive dei bisogni del bambino, attribuendo loro un significato, capacità che Bion

denomina reverie materna.

È molto importante ricordare i compiti del padre partendo dalla consapevolezza che la sua funzione consiste nel

promuovere e garantire il processo di "separazione dalla madre".

Winnicott parla invece di "holding", di ambiente facilitante, di "madre sufficientemente buona"; quello che il bambino

crea, spiega Winnicott, dipende in larga misura da ciò che gli viene presentato da una madre che si adatta attivamente

ai suoi bisogni.

La psicoanalisi è quindi attualmente più propensa ad attribuire importanza all'ambiente che circonda il bambino,

sottolineando le possibilità patogene o deprivanti dell'ambiente familiare. Si ritiene che il bambino abbia bisogno di

modelli identificatori e relazionali, ossia abbia bisogno di potersi confrontare sia con l'identico a sé, sia con il diverso da

sé e di essere amato in quanto identico e in quanto diverso: il bambino amato dalla madre difficilmente sentirà il

proprio essere maschio come una difesa dalla femminilità (o al contrario come una minaccia per la femminilità e quindi

per la madre), la bambina amata dal padre non attribuirà un valore negativo alla propria femminilità. Ma occorre anche

(e verrebbe da dire, soprattutto) che entrambi i genitori abbiano stima del proprio sesso e di sé stessi: un genitore che

non ha questa doppia stima finirà inevitabilmente per trasmetterla al figlio; allo stesso modo è indispensabile per la

sanità del bambino che egli non rappresenti la soluzione di conflitti irrisolti tra i genitori.

3. La genitorialità nella coppia eterosessuale ed omosessuale. Se di questo ha bisogno un bambino, la coppia omosessuale può fornirlo? Il discorso coinvolge in primo luogo le

motivazioni di genitorialità in genere. Si può volere un figlio per sostituire un'altra persona o per compensarne la

perdita, si ha in mente un bambino ideale che in realtà non esiste (per usare le parole della psicoterapeuta Silvia

Veggetti Finzi si ha in mente un "fantasma" di bambino, un modello ideale al quale il bambino vero non potrà aderire

con conseguenti delusioni e frustrazioni), la madre può volere più che un figlio, una gravidanza per dimostrare a sé

stessa di potersi riprodurre; oppure la gravidanza permette di recuperare il rapporto con la propria

madre.Specularmente, il padre può veicolarvi autostima, riconoscimento della propria sessualità e anche desideri di

immortalità; entrambi i genitori possono cercare – narcisisticamente - un sostituto del proprio Sé o addirittura un

alleato nei confronti del partner; oppure, molto più semplicemente, si può volere il figlio per amore verso il proprio

partner.

Motivazioni non sempre lineari; l'arrivo di un bambino porta i componenti della coppia a fare i conti con i propri

processi psichici e lo stesso arrivo del bambino deriva da un mondo relazionale complesso e ciò è tanto più vero

quando il bambino sia adottato. Quanto sopra è vero anche per le coppie omosessuali che a tale quadro aggiungono

l'elemento essenziale che le caratterizza, ossia la loro inevitabile sterilità biologica in quanto coppia; di per sé "la

sterilità assoluta comporta una umiliazione del narcisismo individuale e della pretesa onnipotente di esistere per

sempre" e in questo caso si ha una sterilità che non è tanto individuale (i due partner possono non essere sterili)

quanto appunto di coppia: la sterilità in questo caso è una ferita inevitabile della coppia che finisce con il ripercuotersi

sui singoli. Alla base del desiderio di genitorialità delle coppie omosessuali ci può quindi essere anche un elemento

narcisistico la riparazione di questa ferita.

Si può volere quindi un figlio, "naturale" od adottato per motivi "giusti" o "sbagliati", che permetteranno al bambino di

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crescere sano oppure di subire gli effetti delle aspettative dei genitori.

4. Il bambino nella coppia omosessuale Abbiamo visto come il bambino abbia bisogno di modelli identificatori e relazionali. Una coppia omosessuale può

fornire

tali modelli? La risposta non è, neanche a dirlo, univoca. Se una parte della psicoanalisi si lega ancora alla dicotomia

maschile / femminile, ritenendola necessaria allo sviluppo del bambino, e collegandola anche alla distinzione classica

dei ruoli e delle funzioni maschili / femminili, un'altra tesi invece ritiene superabile tale dicotomia: non solo perché in

una coppia possiamo avere una madre "autorevole" e un padre "tenero", ma anche perché i ruoli potrebbero dividersi

all'interno della coppia in maniera spontanea e soprattutto non fissa, nel senso che ognuno dei genitori può ricoprire il

ruolo dell'altro o entrambi, a seconda delle necessità del bambino, sempre tendendo presente il rischio della cosiddetta

"indifferenziazione".

Ma se la distinzione maschile / femminile viene superata a livello di distinzione di ruoli pure non si può agevolmente

superare la necessità per il bambino di un rapporto con l'identico a sé / diverso da sé.

Se una coppia omosessuale può agevolmente fornire i ruoli – le funzioni - paterni e materni non può fornire, nel proprio

interno, quel rapporto con il diverso e l'identico biologici che appare necessario al bambino per costruire la propria

identità; d'altra parte non è affatto indispensabile che la figura di riferimento identica / diversa sia presente nell'ambito

della coppia, ma semmai che essa sia presente stabilmente nella vita del bambino.

Neanche quest'ultimo assunto, va detto, è incontestato ritenendo alcuni autori che il bambino possa comunque riferirsi

al proprio mondo interno o che il bambino non debba riferirsi ad una differenza di sesso ma ad una differenza di

funzioni, funzioni che possono essere svolte anche da individui dello stesso sesso.

Inoltre, è da tenere presente che tanto la famiglia omosessuale che l'eterosessuale hanno un elemento comune ossia

che all'interno di essa si sviluppa un intreccio di "strutture fantasmatiche individuali, sopraindividuali e intersoggettive"

che attengono al rapporto tra i singoli individui e il gruppo: la famiglia può a seconda di questi intrecci e del loro

rapporto con l'esterno generare amore o diffondere odio, contenere il dolore o produrre angoscia.

Bisogna considerare, oltre tutto, che comunque l'istituto familiare sta radicalmente cambiando: le tecniche di

fecondazione stanno creando una procreazione diserotizzata, una riproduzione sganciata dal sesso ed è già teorizzabile

una procreazione sganciata da qualsiasi rapporto con il diverso da sé, tramite clonazione. La realtà sociale ci offre

modelli diversi di famiglie e quella omosessuale è solo una delle famiglie possibili: abbiamo fatto diversi riferimenti

all'elemento biologico della diversità necessario al bambino; ma il sistema della fecondazione, soprattutto eterologa e la

possibilità della clonazione, dissolvono proprio l'esclusivo rapporto biologico con i genitori, il bambino è frutto di

un'altra

fonte di vita diversa dal rapporto sessuale tra i genitori. La famiglia omosessuale potrà forse dimostrare che è

necessaria per il benessere del bambino una duplicità di funzioni e non di sessi. Non è detto che l'esistente,

l'istituzionalizzato, sia sempre naturale e giusto, e ciò che si sta sviluppando sia innaturale e sbagliato.

5. Gli studi scientifici Non esistono, va precisato preliminarmente, studi scientifici non controversi o anche solo comunemente accettati, sul

rapporto figli / coppie omosessuali.

In primo luogo, perché il fenomeno è recente, anche perché è recente, per motivi essenzialmente sociali, la possibilità

per gli omosessuali di formare coppie stabili socialmente accettate; in secondo luogo, le ideologie politiche, etiche e

religiose finiscono per influenzare le letture degli studi, quando non gli studi stessi (una pur sommaria ricerca in

internet – ad esempio partendo dai link contenuti nelle voci "omogenitorialità" e "adozione da parte delle coppie

omosessuali" sulla enciclopedia on line Wikipedia citate in bibliografia - le permetterà di verificare il muro contro muro

non tanto tra gli studiosi ma tra coloro che utilizzano politicamente tali studi).

È infatti vero che secondo una serie di studi, non vi sarebbero sostanziali differenze tra famiglie eterosessuali ed

omosessuali; e tuttavia gli studiosi di area cattolica o protestante negano il valore di questi studi, affermandone il

carattere limitato, non scientifico, ideologicamente orientato e comunque non probante, producendo altresì altri studi

che dimostrerebbero l'innaturalità della condizione omosessuale nonché i pericoli, potenziali e reali, che un bambino

può correre in una famiglia omosessuale.

Ovviamente anche tali studi sono accusati di essere limitati, non scientifici e derivanti da precisi pregiudizi: il dibattito

scientifico, ma più che altro ideologico, quindi prosegue, anche se essenzialmente nel mondo anglosassone; poche

invece le ricerche italiane (fra queste: Daniela Danna, Io ho una bella figlia – Le madri lesbiche raccontano, Zoe

Edizioni, 1998) che peraltro non sfuggono al fuoco incrociato di accuse e contraccuse. Unici punti fermi possono essere

considerate le prese di posizione ufficiali di alcuni istituti scientifici americani:

l'American Academy of Pediatrics si è espressa a favore di una equiparazione tra coppie omosessuali ed

eterosessuali in quanto esiste una "notevole letteratura scientifica secondo cui i bambini con genitori omosessuali

hanno le medesime aspettative e i medesimi vantaggi dei bambini con genitori eterosessuali";

l'American Psychiatric Association ha espresso la medesima posizione in quanto "numerosi studi degli ultimi

trent'anni dimostrano che i bambini cresciuti da coppie omosessuali hanno lo stesso livello di funzionamento

emozionale, cognitivo, sociale e sessuale dei bambini cresciuti da genitori eterosessuali". L'ottimale sviluppo dei

bambini non dipende, ha deliberato l'associazione dall'orientamento sessuale dei genitori ma dalla stabile unione

con gli adulti che si sono impegnati ad allevarli. Le stesse ricerche dimostrano che i bambini con due genitori

stanno meglio dei bambini con un solo genitore, indipendentemente dall'orientamento sessuale dei genitori;

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l'American Psychological Association ha approvato una risoluzione a favore dell'adozione da parte di coppie

omosessuali in quanto le ricerche hanno dimostrato che "il benessere dei bambini non è collegato

all'orientamento sessuale dei genitori".

Ovviamente la dizione "punti fermi" deve tenere conto delle critiche violente contro queste deliberazioni e contro gli

studi che le hanno originate da parte degli studiosi e delle associazioni di area cattolico / protestante.

In conclusione, cara Elisa, non posso darle una risposta precisa: l'istituto della famiglia sta cambiando, stanno saltando

o si stanno allentando tutti i tradizionali schemi della famiglia, della sessualità, della maternità e della nascita e noi

siamo nel mezzo del cambiamento; come ho già detto, il dibattito è aperto.

Antonio Gramsci - Indifferenti

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere

cittadino e partigiano. L‟indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli

indifferenti.

L‟indifferenza è il peso morto della storia. L‟indifferenza opera potentemente nella storia. Opera

passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che

rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l‟intelligenza. Ciò che succede, il male che si

abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che

solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

Tra l‟assenteismo e l‟indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita

collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e

tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un‟eruzione, un terremoto del

quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato

attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o

pochi si domandano: se avessi fatto anch‟io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà,

sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo

conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di

ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover

sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l‟attività della città futura che la mia

parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è

dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c‟è in essa nessuno che stia alla finestra

a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia,

odio gli indifferenti”.

11 febbraio 1917

Astensionismo e impegno politico

di Lorenzo Fazio | 28 maggio 2013

Adesso basta con questa storia dell‟astensionismo. Sui quotidiani, in tv, alle radio non si fa altro

che leggere e sentire opinionisti, politici e cittadini che puntano il dito addosso a chi non è andato

a votare. Molti se la prendono anche giustamente coi partiti che certo non hanno dato agli elettori

buoni motivi per esercitare un loro diritto.

Ma ciò che sfugge ai più è il fatto che andare a votare è soltanto una possibile opzione tra le tante

che un cittadino ha di partecipare all‟attività politica. Invece chi non mette quella benedetta croce su

un simbolo di partito viene fatto passare per un traditore della Repubblica e dei valori

costituzionali. Votare non sarebbe solo un diritto, è anche un dovere. Seguendo questo

ragionamento, chi non si reca alle urne non potrebbe pretendere dallo Stato le stesse garanzie di chi

invece ha fatto il suo “dovere”.

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Non ci sto. Il mio essere cittadino, le mie intenzioni politiche, il mio impegno civile non passano

unicamente attraverso il voto. Io posso non mettere la crocetta sulla scheda ma partecipare

all‟attività della mia circoscrizione, posso avviare iniziative pubbliche di quartiere, posso proporre

leggi di iniziativa popolare al parlamento, posso avviare campagne per indire un referendum, posso

controllare l‟attività dell‟amministrazione del mio paese o della mia città. Dopo aver fatto tutto

questo posso anche non andare a votare. Ma il mio dovere l‟ho fatto, di più e meglio di qualsiasi

altro cittadino che alla domenica mattina va a votare e non sa bene neanche perché.

Provate a informarvi sull‟attività della vostra circoscrizione, ne scoprirete delle belle. Noi abbiamo

scoperto che la commissione edilizia del comune ha approvato un insediamento di edifici

stravolgendo il quartiere, che la piazza centrale sarà ristrutturata, che i parcheggi per il bike sharing

non è previsto, che le strisce bianche dove attraversano i bambini per andare a scuola, nonostante le

continue proteste, continueranno a non avere nessuna segnalazione particolare, che le auto nel corso

continueranno a sfrecciare perché non sono previsti particolari limiti di velocità. E potrei

continuare.

Allora si può dire no, non ci sto: fatemi vedere i progetti, valutiamo se provare a bloccarli o

migliorarli, facciamo delle proposte. Questo è fare politica ed essere cittadini attivi. Magari

scopri che dall‟altra parte chi rappresenta l‟amministrazione non è completamente sordo alle istanze

della gente comune, che si può parlare con le istituzioni arrivando anche allo scontro a muso duro

ma sempre all‟interno di una dialettica democratica. Spesso i problemi nascono da una reciproca

diffidenza e da una mancata comunicazione. Accorciare le distanze tra cittadino e istituzioni vale

più di una crocetta su una scheda su cui è scritto un nome di un candidato che nemmeno hai scelto.

CANZONI SULLA GUERRA Il mio nemico, Daniele Silvestri, 2002

Finché sei in tempo tira

e non sbagliare mira

probabilmente il bersaglio che vedi

è solo l'abbaglio

di chi da dietro spera

che tu ci provi ancora

perché poi gira e rigira gli serve solo una scusa

la fregatura è che è sempre un altro che paga

e c'è qualcuno che indaga per estirpare la piaga

però chissà come mai qualsiasi cosa accada

nel palazzo lontano nessuno fa una piega

serve una testa che cada e poi chissenefrega

la prima testa di cazzo trovata per strada

serve una testa che cada e poi chissenefrega

la prima testa di cazzo trovata per strada

se vuoi tirare tira ma non sbagliare mira

probabilmente il bersaglio

che vedi è solo l'abbaglio di chi da dietro giura

che ha la coscienza pura

ma sotto quella vernice ci sono squallide mura

la dittatura c'è ma non si sa dove sta

non si vede da qua, non si vede da qua

la dittatura c'è ma non si sa dove sta

non si vede da qua, non si vede da qua

il mio nemico non ha divisa

ama le armi ma non le usa

nella fondina tiene le carte visa

e quando uccide non chiede scusa

il mio nemico non ha divisa

ama le armi ma non le usa

nella fondina tiene le carte visa

e quando uccide non chiede scusa

e se non hai morale

e se non hai passione

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se nessun dubbio ti assale

perché la sola ragione

che ti interessa avere

è una ragione sociale

soprattutto se hai qualche dannata guerra da fare

non farla nel mio nome

non farla nel mio nome

che non hai mai domandato la mia autorizzazione

se ti difenderai non farlo nel mio nome

che non hai mai domandato la mia opinione

finché sei in tempo tira e non sbagliare mira

(sparagli Piero, sparagli ora)

finché sei in tempo tira e non sbagliare mira

(sparagli Piero, sparagli ora)

il mio nemico non ha divisa

ama le armi ma non le usa

nella fondina tiene le carte visa

e quando uccide non chiede scusa

il mio nemico non ha divisa

ama le armi ma non le usa

nella fondina tiene le carte visa

e quando uccide non chiede scusa

il mio nemico non ha nome

non ha nemmeno religione

e il potere non lo logora

il potere non lo logora

il mio nemico mi somiglia

è come me

lui ama la famiglia

e per questo piglia più di ciò che da

e non sbaglierà

ma se sbaglia un altro pagherà

e il potere non lo logora

il potere non lo logora

La guerra di PieroFabrizio De Andrè, 1966

Dormi sepolto in un campo di grano

non è la rosa non è il tulipano

che ti fan veglia dall'ombra dei fossi

ma son mille papaveri rossi

lungo le sponde del mio torrente

voglio che scendano i lucci argentati

non più i cadaveri dei soldati

portati in braccio dalla corrente

così dicevi ed era inverno

e come gli altri verso l'inferno

te ne vai triste come chi deve

il vento ti sputa in faccia la neve

fermati Piero , fermati adesso

lascia che il vento ti passi un po' addosso

dei morti in battaglia ti porti la voce

chi diede la vita ebbe in cambio una croce

ma tu no lo udisti e il tempo passava

con le stagioni a passo di giava

ed arrivasti a varcar la frontiera

in un bel giorno di primavera

e mentre marciavi con l'anima in spalle

vedesti un uomo in fondo alla valle

che aveva il tuo stesso identico umore

ma la divisa di un altro colore

sparagli Piero, sparagli ora

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e dopo un colpo sparagli ancora

fino a che tu non lo vedrai esangue

cadere in terra a coprire il suo sangue

e se gli sparo in fronte o nel cuore

soltanto il tempo avrà per morire

ma il tempo a me resterà per vedere

vedere gli occhi di un uomo che muore

e mentre gli usi questa premura

quello si volta , ti vede e ha paura

ed imbraccia l'artiglieria non ti ricambia la cortesia

cadesti in terra senza un lamento

e ti accorgesti in un solo momento

che il tempo non ti sarebbe bastato

a chiedere perdono per ogni peccato

cadesti in terra senza un lamento

e ti accorgesti in un solo momento

che la tua vita finiva quel giorno

e non ci sarebbe stato un ritorno

Ninetta mia crepare di maggio

ci vuole tanto troppo coraggio

Ninetta bella dritto all'inferno

avrei preferito andarci in inverno

e mentre il grano ti stava a sentire

dentro alle mani stringevi un fucile

dentro alla bocca stringevi parole

troppo gelate per sciogliersi al sole

dormi sepolto in un campo di grano

non è la rosa non è il tulipano

che ti fan veglia dall'ombra dei fossi

ma sono mille papaveri rossi.

IL PROGETTO CUCINA

SALAME DI CIOCCOLATA

Ingredienti:

100 g di zucchero

200 g di burro

100 g di cacao amaro

200 g di biscotti secchi

1 bicchierino di sciroppo

oppure

2 uova (1 intero e un tuorlo)

125 g di burro

125 g di zucchero

15 noci o mandorle tritate

18 biscotti secchi sbriciolati

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Procedura (esecuzione):

- Montare il burro ammorbidito con lo zucchero, poi aggiungere (uova) sciroppo, cacao.

- Aggiungere i biscotti sbriciolati (e la freutta secca o anche dei canditi), lasciandone un po‟

da parte per infarinare il salame, e formare un composto omogeneo.

- Stendere il composto sulla carta oleata (magari cospargendola con i biscotti sbriciolati) e

dargli la forma di un salame.

- Lasciarlo riposare in frigo.

SALUTE: essendo un dolce composto principalmente da grassi o zuccheri non è molto salutare, ma,

se consumato ogni tanto senza eccedere, può essere una buona merenda o dessert…

ZUCCHERO: ahimé! Lo zucchero, si sa, non fa bene alla salute…il saccarosio, il nome dello

zucchero da tavola, può provocare molti danni al nostro organismo, infatti dobbiamo essere attenti a

non esagerare…

CACAO: ricavato dal frutto dell‟albero del cacao, è ricco di magnesio, potassio, rame, ferro e

calcio; nonostante per molto tempo si sia creduto che facesse molto male alla salute, ultimamente si

è scoperto che ha anche effetti benefici…

BURRO: essendo un latticino non è facile da digerire e non tutti possono mangiarlo; è molto

nutriente, perciò anche con questo ingrediente conviene non eccedere…

STORIA: in molte regioni d‟Italia è un dolce tipico pasquale. Non si conosce la vera origine della

ricetta, né vi sono sempre gli stessi ingredienti, ma è un dolce molto facile ed è anche molto

conosciuto e apprezzato.

PESTO ALLA GENOVESE

Ingredienti:

- 3 fascetti di basilico

- 50 g di parmigiano

- 4 spicchi di aglio

- 2 bustine di pinoli

- olio extravergine di oliva

- sale

Procedimento:

1. Lavare le foglie di basilico e asciugarle con un panno

2. Disporre il basilico nel mixer, aggiungere aglio, pinoli, parmigiano, olio e infine il sale.

3. Trasferire il pesto ottenuto in una ciotola e coprirlo con un filo d‟olio.

Curiosità:-

- BASILICO: originario dell‟India, “ocinium basilicum” significa “erba regia”; quello di

Genova, per l‟aria e il terreno particolari, ha un profumo e un gusto speciali; fiorisce da

Maggio a Settembre e ve ne sono diverse tipologie. E‟ un ottimo digestivo, antisettico e

aiuta a combattere l‟acidità di stomaco.

- PINOLI: sono semi commestibili di alcune varietà di pino; sono ricchi di proteine e fibre

vegetali; combattono l‟invecchiamento e aiutano la regolarità intestinale; ricchi di vitamina

K aiutano anche a combattere i crampi.

- AGLIO: famoso per essere un antibatterico naturale, è una pianta bulbosa della famiglia

delle Liliaceae. Cura il mal di denti (schiacciarlo, riducendolo a una poltiglia e metterlo

sulla parte dolorante, il raffreddore, la tosse, l‟influenza…

- PARMIGIANO: il parmigiano è composto per il 30% di acqua e il 70% da sostanze

nutritive: infatti è ricchissimo di proteine, vitamine e sali minerali. Ottimo per persone che

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praticano sport ed anche per chi è intollerante alla proteina del latte vaccino, grazie alla sua

lunga stagionatura.

Storia:

Nato da una ricetta povera, con olio, basilico, aglio e pinoli (alla portata di tutti) e formaggio

grattugiato dalle croste (ingrediente già più pregiato); molto in uso in Liguria, dove la tradizione

marinara permise la sua diffusione nel mondo.

Leggenda:

Sulle alture di Prà (Genova) c‟era un convento intitolato a San Basilio, dove viveva un fraticello

tanto povero, che mangiava solo acciughe. Un giorno, stufo del solito pasto, provò ad unire le foglie

dell‟erba aromatica che cresceva lassù a degli ingredienti donatigli di fedeli: così nacque il pesto

genovese.

LETTERATURA

TESTO = insieme di parole (o di altri elementi) ben organizzato, che ci comunica un

messaggio di senso compiuto

TESTI LETTERARI TESTI NON LETTERARI* TESTI ICONICI

Non hanno una finalità pratica:

l‟autore scrive per esprimersi.

Hanno una finalità pratica Oltre alle parole usano le

immagini

Testi narrativi Poesia Teatro cronaca

trama

biografia

manuale di Geografia

diario,

lettera personale

relazione

istruzioni per giocare

Testo argomentativo (articoli

di fondo dei giornali,

recensioni, saggi)

--------

Cinema

Fumetto

Pubblicità

Miti

Leggende

Favole

Fiabe

Racconti

Novelle

Romanzi

(realistici,

storici, di

avventura,

gialli,

fantastici,

umoristici…)

Epica

Lirica

Commedia

Tragedia

I testi non letterari possono diventare letterari se perdono la loro finalità pratica e assumono un

valore per tutti.

Solo i testi letterari più belli diventano LETTERATURA.

I testi teatrali hanno la particolarità di essere scritti. non perché qualcuno li legga, ma per essere

rappresentati su un palcoscenico.

DIFFERENZA TRA PROSA E POESIA

PROSA: testo dove il discorso è costruito secondo le regole sintattiche della lingua e non secondo

misure e ritmi regolari (da prorsus = diritto, continuo)

POESIA: testo costruito secondo misure (versi e strofe) e regole precise, con una ricerca della

musicalità (figure di suono) e di un linguaggio particolare (figure di significato)

VERSI = unità ritmiche costituite da un certo numero di sillabe (da vertere = voltare,

volgere) e con uno schema regolare degli accenti ritmici

STROFE = gruppi di versi

SCHEMA METRICO = il tipo di verso e di rime scelto dal poeta

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RIMA = è la figura di suono più importante; è l‟uguaglianza delle parti finali di due parole,

a partire dalla vocale su cui cade l‟accento tonico

ACCENTO TONICO

Nel pronunciare una parola la voce si appoggia sempre su una vocale, questa pressione si chiama

“accento tonico”, ma non viene scritto quasi mai.

Quando però l‟accento cade sulla vocale finale, alcune volte si scrive e allora si chiama “accento

grafico”.

A I U hanno sempre accento aperto o grave

E O possono avere accento aperto o chiuso (acuto), ma la O, quando si

trova alla fine di una parola ha sempre accento aperto.

LA PARAFRASI

Per capire una poesia bisogna prima capire bene il significato di tutte le sue parole.

Talvolta i poeti usano le parole in un ordine diverso da quello che noi usiamo normalmente quando

parliamo e scriviamo, usano anche parole difficili e concentrano tanti significati in poche parole;

ecco che bisogna fare una PARAFRASI, cioè “tradurre” la poesia nel nostro linguaggio, metterla in

prosa: così perde suggestione e musicalità, ma diventa comprensibile.

COME SI FA LA PARAFRASI?

1. Ordina le parole: quando è possibile metti prima il soggetto, poi il verbo e infine i complementi.

2. Sostituisci le parole: trova con il vocabolario un sinonimo delle parole difficili oppure la loro

definizione.

3. Aggiungi parole: quando ti sembra necessario, traduci le espressioni del poeta, usando più parole

di lui.

PRINCIPALI FIGURE DI SUONO E DI SIGNIFICATO

- Rima (vedi sopra)

- Assonanza: es “Aprile, dolce dormire”, aprile e dormire non sono in rima, ma hanno le stesse

vocali finali a partire dall‟accento tonico, -ile, -ire.

- Consonanza: es. posto e aste; le due parole hanno le stesse consonanti a partire dall‟accento

tonico: -osto, aste.

- Allitterazione: ripetizione della stessa lettera iniziale in due o più parole vicine; es.: stampa sopra

uno scalcinato muro.

- Anafora: ripetizione delle stesse parole all‟inizio del verso; es.: per me si va nella città dolente/

per me si va nell‟etterno dolore / per me si va tra la perduta gente.

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- Enjambement: la frase viene spezzata tra due versi: es.: Zacinto mia che te specchi nell‟onde / del

greco mar da cui vergine nacque…. Crea tensione nella lettura, allunga il ritmo.

- Personificazione: il poeta si rivolge ad un oggetto (ad esempio l‟isola) come se fosse una persona,

cioè usando espressioni che in genere si utilizzano per un uomo o una donna.

- Metafora: un paragone, cioè una similitudine a cui tolgo la pare centrale; es.: “Sei coraggioso

come un leone”, diventa “Sei un leone”.

- Metonimia: si sostituisce un termine con un altro che gli è “vicino”; es.: “pietra” (il materiale di

cui è fatto) per “tomba”.

- Sineddoche: indica la parte per il tutto; es.: “palme” per dire “braccia”.

U. FOSCOLO “Alla sera”, Milano, 1802 – 1803

Forse perché della fatal quiete

tu sei l‟immago a me sì cara vieni

o Sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete

tenebre e lunghe all‟universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co‟ miei pensier su l‟orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch‟entro mi rugge.

FAI L‟ANALISI DEL TESTO

- Schema metrico: si tratta di un sonetto di endecasillabi rimati secondo lo schema….

- Parafrasi: usa le note seguenti

o Fatal quiete = morte

o immago = immagine

o zeffiri = venticelli primaverili

o aere = cielo

o meni = porti

o invocata = chiamata con desiderio

o secrete = segrete

o soavemente = dolcemente

o tieni = riempi

o orme = impronte

o nulla eterno = morte

o reo = ingrato

o le torme delle cure = gli innumerevoli affanni

o onde = per cui

o meco = con me

o si strugge = si consuma

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o spirto = spirito

o rugge = ruggisce

- Rispondi:

o Quale elemento della natura viene personificato e con quali termini?

o Elenca le metafore

o Cerca la metonimia

o Elenca gli enjambement

o Perché al poeta è caro l‟avvicinarsi della sera?

o C‟è una stagione in cui il Foscolo preferisce aspettare la sera?

o Quale sensazione procura la sera all‟animo ribelle del poeta?

o Perché la poesia inizia con “Forse”?

o Il poeta dice che il suo carattere battagliero “dorme”, ma allo stesso tempo “ruggisce”: che

sensazione dà questa contrapposizione?

A SILVIA , di G. Leopardi (parafrasi)

Silvia, ricordi ancora

quando eri viva

quando la bellezza splendeva

nei tuoi occhi allegri e schivi

e tu, felice e pensierosa, stavi

per diventare una giovane donna?

Le stanze silenziose e le vie intorno

risuonavano

del tuo canto continuo

mentre sedevi intenta a lavori femminili,

assai contenta di quell‟avvenire indefinito che immaginavi.

Era il maggio profumato: e tu eri solita

trascorrere la tua giornata in questo modo.

Io lasciando di tanto in tanto gli amati studi

e i fogli e i libri su cui mi affaticavo

dove si consumavano la mia giovinezza e le mie energie,

dai balconi della casa paterna

ascoltavo il suono della tua voce

e il rumore del telaio mosso dalla tua mano rapida.

Ammiravo il cielo sereno,

le strade illuminate e gli orti,

da una parte il mare e dall‟altra parte il monte.

Nessuna parola umana può esprimere quello che io

sentivo nell‟animo.

Che dolci pensieri,

che speranze, che sentimenti, o Silvia mia!

Come (bella e piena di promesse) ci appariva allora

la vita umana e l‟avvenire!

Quando ripenso alle nostre grandi speranze,

mi sento opprimere da un sentimento

doloroso e inconsolabile,

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e torno a rammaricarmi della mia sventura.

O natura, o natura

perché non mantieni poi (cioè nell’età adulta)

quello che prometti allora (cioè durante la giovinezza)?

Perché inganni così tanto i tuoi figli?

Tu prima che l „inverno seccasse l‟erba

morivi, fragile creatura

combattuta e vinta da una malattia nascosta.

E non vedevi la tua giovinezza;

non ti rallegrava il cuore

il dolce complimento per i tuoi capelli neri,

per i tuoi occhi innamorati e pieni di pudore,

né le compagne ragionavano con te

dei loro sogni d‟amore.

Di lì a poco morì anche la mia dolce speranza:

ai miei anni il destino negò la giovinezza. Ahi come,

come sei passata cara compagna della mia gioventù,

mia speranza sempre rimpianta!

Questo è il mondo (che ho immaginato)?

Sono questi i piaceri, l‟amore, le attività, gli avvenimenti

di cui tanto parlammo insieme?

Questo il destino degli uomini?

All‟apparire della verità (della vita)

tu, misera, svanisti: e da lontano indicavi con la mano

la fredda morte e una tomba disadorna.

ROSSO MALPELO Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni. Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro. Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po' di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel po' di pane bigio, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finché il soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c'ingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio dell'asino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e sporco di rena rossa, che la sua sorella s'era fatta sposa, e aveva altro pel capo che pensare a ripulirlo la domenica. Nondimeno era conosciuto come la bettonica per tutto Monserratoe la Caverna, tanto che la cava dove lavorava la chiamavano “la cava di Malpelo”, e cotesto al padrone gli eccava

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assai. Insomma lo tenevano addirittura per carità e perché mastro Misciu, suo padre, era morto in quella stessa cava. Era morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno dell'ingrottato, e dacché non serviva più, s'era calcolato, così ad occhio col padrone, per 35 o 40 carra di rena. Invecemastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava ancora per la mezza giornata del lunedì. Era stato un magro affare e solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone; perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l'asino da basto di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelofaceva un visaccio, come se quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e così piccolo com'era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: -Va là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre Invece nemmen suo padre ci morì, nel suo letto, tuttoché fosse una buona bestia. Zio Mommu lo sciancato, aveva detto che quel pilastro lì ei non l'avrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma d'altra parte tutto è pericolo nelle cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l'avvocato. Dunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l'avemaria era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se n'erano andati di cendogli di divertirsi a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio. Ei, che c'era avvezzo alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli “ah! ah!” dei suoi bei colpi di zappa in pieno, e intanto borbottava:- Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata! e così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante!Fuori della cava il cielo formicolava di stelle, e laggiù la lanterna fumava e girava al pari di un arcolaio. Il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, contorcevasi e si piegava in arco, come se avesse il mal di pancia, e dicesse ohi! anch'esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, ilsacco vuoto ed il fiasco del vino.Il padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: -Tirati in là! - oppure: -Sta attento! Bada se cascano dall'alto dei sassolini o della rena grossa, e scappa! -Tutt'a un tratto, punf! Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udì un tonfo sordo, come fa la rena traditora allorché fa pancia e si sventra tutta in una volta, ed il lume si spense.L'ingegnere che dirigeva i lavori della cava, si trovava a teatro quella sera, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando vennero a cercarlo per il babbo di Malpelo che aveva fatto la morte del sorcio. Tutte le femminucce di Monserrato, strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia ch'era toccata a comare Santa, la sola, poveretta, che non dicesse nulla, e sbatteva i denti invece, quasi avesse la terzana. L'ingegnere, quando gli ebbero detto il come e il quando, che la disgrazia era accaduta da circa tre ore, e Misciu Bestiadoveva già essere bell'e arrivato inParadiso, andò proprio per scarico di coscienza, con scale e corde, a fare il buco nella rena. Altro che quaranta carra! Lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo ci voleva almeno una settimana. Della rena ne era caduta una montagna, tutta fina e ben bruciata dalla lava, che si sarebbe impastata colle mani, e dovea prendere il doppio di calce. Ce n'era da riempire delle carra per delle settimane. Il bell'affare di mastro Bestia!Nessuno badava al ragazzo che si graffiava la faccia ed urlava, come una bestia davvero.-To'! -disse infine uno. -È Malpelo! Di dove è saltato fuori, adesso?-Se non fosse stato Malpelonon se la sarebbe passata liscia... -Malpelonon rispondeva nulla, non piangeva nemmeno, scavava colle unghie colà, nella rena, dentro la buca, sicché nessuno s'era accorto di lui; e quando si accostarono col lume, gli videro tal viso stravolto, e tali occhiacci invetrati, e la schiuma alla bocca da far paura; le unghie gli si erano strappate e gli pendevano dalle mani tutte in

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sangue. Poi quando vollero toglierlo di là fu un affar serio; non potendo più graffiare, mordeva come un cane arrabbiato, e dovettero afferrarlo pei capelli, per tirarlo via a viva forza. Però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre piagnucolando ve lo condusse per mano; giacché, alle volte, il pane che si mangia non si può andare a cercarlo di qua e di là. Lui non volle più allontanarsi da quella galleria, e sterrava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul petto a suo padre. Spesso, mentre scavava, si fermava bruscamente, colla zappa in aria, il viso torvo e gli occhi stralunati, e sembrava che stesse ad ascoltare qualche cosa che il suo diavolo gli susurrasse nelle orecchie, dall'altra parte della montagna di rena caduta. In quei giorni era più tristo e cattivo del solito, talmente che non mangiava quasi, e il pane lo buttava al cane, quasi non fosse grazia di Dio. Il cane gli voleva bene, perché i cani non guardano altro che la mano che gli dà il pane, e le botte, magari. Ma l'asino, povera bestia, sbilenco e macilento, sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo; ei lo picchiava senza pietà, col manico della zappa, e borbottava:-Così creperai più presto! -Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono coll'anello di ferro al naso. Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui deboli di tutto il male che s'immaginava gli avessero fatto gli altri, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno strano diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che avevano fatto subire a suo padre, e del modo in cui l'avevano lasciato crepare. E quando era solo borbottava: -Anche con me fanno così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché egli non faceva così! -E una volta che passava il padrone, accompagnandolo con un'occhiata torva: -È stato lui! per trentacinque tarì! -E un'altra volta, dietro allo Sciancato: -E anche lui! e si metteva a ridere! Io l'ho udito, quella sera! Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un ponte s'era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che gli avevano messo nome Ranocchio ; ma lavorando sotterra, così Ranocchiocom'era, il suo pane se lo buscava. Malpelo gliene dava anche del suo, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano. Infatti egli lo tormentava in cento modi. Oralo batteva senza un motivo e senza misericordia, e se Ranocchio non si difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore accanimento, dicendogli: -To', bestia! Bestia sei! Se non ti senti l'animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che tilascerai pestare il viso da questo e da quello! -O se Ranocchiosi asciugava il sangue che gli usciva dalla bocca e dalle narici: -Così, come ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu! - Quando cacciava un asino carico per la ripida salita del sotterraneo, e lo vedeva puntare gli zoccoli, rifinito, curvo sotto il peso, ansante e coll'occhio spento, ei lo batteva senza misericordia, col manico della zappa, e i colpi suonavano secchi sugli stinchi e sulle costole scoperte. Alle volte la bestia si piegava in due per le battiture, ma stremo di forze, non poteva fare un passo, e cadeva sui ginocchi, e ce n'era uno il quale era caduto tante volte, che ci aveva due piaghe alle gambe. Malpelosoleva dire a Ranocchio: -L'asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s'ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi -.Oppure: -Se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi; così gli altri ti terranno da conto, e ne avrai tanti di

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meno addosso -.Lavorando di piccone o di zappa poi menava le mani con accanimento, a mo' di uno che l'avesse con la rena, e batteva e ribatteva coi denti stretti, e con quegli ah! ah! che aveva suo padre. -La rena è traditora, -diceva a Ranocchio sottovoce; -somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sempre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano Bestia, e la rena se lo mangiò a tradimento, perché era più forte di lui -.Ogni volta che a Ranocchio toccava un lavoro troppo pesante, e il ragazzo piagnucolava a guisa di una femminuccia, Malpelo lo picchiava sul dorso, e lo sgridava: -Taci, pulcino! -e se Ranocchio non la finiva più, ei gli dava una mano, dicendo con un certo orgoglio: -Lasciami fare; io sono più forte di te -. Oppure gli dava la sua mezza cipolla, e si contentava di mangiarsi il pane asciutto, e si stringeva nelle spalle, aggiungendo: -Io ci sono avvezzo -.Era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro; anche a digiunare era avvezzo, allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la minestra. Ei diceva che la razione di busse non gliel'aveva levata mai, il padrone; ma le busse non costavano nulla. Non si lamentava però, e si vendicava di soppiatto, a tradimento, con qualche tiro di quelli che sembrava ci avesse messo la coda il diavolo: perciò ei si pigliava sempre i castighi, anche quando il colpevole non era stato lui. Già se non era stato lui sarebbe stato capace di esserlo, e non si giustificava m ai: per altro sarebbe stato inutile. E qualche volta, come Ranocchio spaventato lo scongiurava piangendo di dire la verità, e di scolparsi, ei ripeteva: -A che giova? Sono malpelo! -e nessuno avrebbe potuto dire se quel curvare il capo e le spalle sempre fosse effetto di fiero orgoglio o di disperata rassegnazione, e non si sapeva nemmeno se la sua fosse salvatichezza o timidità. Il certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai.Il sabato sera, appena arrivava a casa con quel suo visaccio imbrattato di lentiggini e di rena rossa, e quei cenci che gli piangevano addosso da ogni parte, la sorella afferrava il manico della scopa, scoprendolo sull'uscio in quell'arnese, ché avrebbe fatto scappare il suo damo se vedeva con qual gente gli toccava imparentarsi; la madre era sempre da questa o da quella vicina, e quindi egli andava a rannicchiarsi sul suo saccone come un cane malato. Per questo, la domenica, in cui tutti gli altri ragazzi del vicinato si mettevano la camicia pulita per andare a messa o per ruzzare nel cortile, ei sembrava non avesse altro spasso che di andar randagio per le vie degli orti, a dar la caccia alle lucertole e alle altre povere bestie che non gli avevano fatto nulla, oppure a sforacchiare le siepi dei fichidindia. Per altro le beffe e le sassate degli altri fanciulli non gli piacevano.La vedova di mastro Misciu era disperata di aver per figlio quel malarnese, come dicevano tutti, ed egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra le gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati e selvatici come lupi. Almeno sottoterra, nella cava della rena, brutto, cencioso e lercio com'era, non lo beffavano più, e sembrava fatto apposta per quel mestiere persin nel colore dei capelli, e in quegli occhiacci di gatto che ammiccavano se vedevano il sole. Così ci sono degli asini che lavorano nelle cave per anni ed anni senza uscirne mai più, ed in quei sotterranei, dove il pozzo d'ingresso è a picco, ci si calan colle funi, e ci restano finché vivono. Sono asini vecchi, è vero, comprati dodici o tredici lire, quando stanno per portarli alla Plaja, a strangolarli; ma pel lavoro che hanno da fare laggiù sono ancora buoni; e Malpelo, certo, non valeva di più; se veniva fuori dalla cava il sabato sera, era perché aveva anche le mani per aiutarsi colla fune, e doveva andare a portare a sua madre la paga della settimana. Certamente egli avrebbe preferito di fare il manovale, come Ranocchio, e lavorare cantando sui ponti, in alto, in mezzo all'azzurro del cielo, col sole sulla schiena, -o il carrettiere, come compare Gaspare, che veniva a

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prendersi la rena della cava, dondolando si sonnacchioso sulle stanghe, colla pipa in bocca, e andava tutto il giorno per le belle strade di campagna; -o meglio ancora, avrebbe voluto fare il contadino, che passa la vita fra i campi, in mezzo ai verde, sotto i folti carrubbi, e il mare turchino là in fondo, e il canto degli uccelli sulla testa. Ma quello era stato il mestiere di suo padre, e in quel mestiere era nato lui. E pensando a tutto ciò, narrava a Ranocchio del pilastro che era caduto addosso al genitore, e dava ancora della rena fina e bruciata che il carrettiere veniva a caricare colla pipa in bocca, e dondolandosi sulle stanghe, e gli diceva che quando avrebbero finito di sterrare si sarebbe trovato il cadavere del babbo, il quale doveva avere dei calzoni di fustagno quasi nuovi. Ranocchio aveva paura, ma egli no. Ei pensava che era stato sempre là, da bambino, e aveva sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sotterra, dove il padre soleva condurlo per mano. Allora stendeva le braccia a destra e a sinistra, e descriveva come l'intricato laberinto delle gallerie si stendesse sotto i loro piedi all'infinito, di qua e di là, sin dove potevano vedere la sciara nera e desolata, sporca di ginestre riarse, e come degli uomini ce n'erano rimasti tanti, o schiacciati, o smarriti nel buio, e che camminano da anni e camminano ancora, senza poter scorgere lo spiraglio del pozzo pel quale sono entrati, e senza poter udire le strida disperate dei figli, i quali li cercano inutilmente. Ma una volta in cui riempiendo i corbelli si rinvenne una delle scarpe di mastro Misciu, ei fu colto da tal tremito che dovettero tirarlo all'aria aperta colle funi, proprio come un asino che stesse per dar dei calci al vento. Però non si poterono trovare né i calzoni quasi nuovi, né il rimanente di mastro Misciu; sebbene i pratici affermarono che quello dovea essere il luogo preciso dove il pilastro gli si era rovesciato addosso; e qualche operaio, nuovo al mestiere, osservava curiosamente come fosse capricciosa la rena, che aveva sbatacchiato il Bestia di qua e di là, le scarpe da una parte e i piedi dall'altra. Dacché poi fu trovata quella scarpa, Malpelo fu colto da tal paura di veder comparire fra la rena anche il piede nudo del babbo, che non volle mai più darvi un colpo di zappa, gliela dessero a lui sul capo, la zappa. Egli andò a lavorare in un altro punto della galleria, e non volle più tornare da quelle parti. Due o tre giorni dopo scopersero infatti il cadavere di mastro Misciu, coi calzoni indosso, e steso bocconi che sembrava imbalsamato. Lo zio Mommu osservò che aveva dovuto penar molto a finire, perché il pilastro gli si era piegato proprio addosso, e l'aveva sepolto vivo: si poteva persino vedere tutt'ora che mastro Bestia avea tentato istintivamente di liberarsi scavando nella rena, e avea le mani lacerate e le unghie rotte.-Proprio come suo figlio Malpelo! - ripeteva lo sciancato-ei scavava di qua, mentre suo figlio scavava di là -. Però non dissero nulla al ragazzo, per la ragione che lo sapevano maligno e vendicativo. Il carrettiere si portò via il cadavere di mastro Misciu al modo istesso che caricava la rena caduta e gli asini morti, ché stavolta, oltre al lezzo del carcame, trattavasi di un compagno, e di carne battezzata. La vedova rimpiccolì i calzoni e la camicia, e li adattò a Malpelo, il quale così fu vestito quasi a nuovo per la prima volta. Solo le scarpe furono messe in serbo per quando ei fosse cresciuto, giacché rimpiccolire le scarpe non si potevano, e il fidanzato della sorella non le aveva volute le scarpe del morto. Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli, quantunque fossero così ruvide e callose. Le scarpe poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone,quasi fossero state le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l'una accanto all'altra, e stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio. Ei possedeva delle idee strane, Malpelo! Siccome aveva ereditato anche il piccone e la zappa del padre, se ne serviva, quantunque fossero troppo pesanti per l'età sua; e quando gli aveano chiesto se voleva venderli, che glieli avrebbero pagati come nuovi, egli aveva

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risposto di no. Suo padre li aveva resi così lisci e lucenti nel manico colle sue mani, ed ei non avrebbe potuto farsene degli altri più lisci e lucenti di quelli, se ci avesse lavorato cento e poi cento anni. In quel tempo era crepato di stenti e di vecchiaia l'asino grigio; e il carrettiere era andato a buttarlo lontano nella sciara.-Così si fa, -brontolava Malpelo; -gli arnesi che non servono più, si buttano lontano -.Egli andava a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone, e vi conduceva a forza anche Ranocchio, il quale non avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa, bella o brutta; e stava a considerare con l'avida curiosità di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si aggiravano ustolando su greppi dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che Ranocchio li scacciasse a sassate. -Vedi quella cagna nera, -gli diceva, che non ha paura delle tue sassate? Non ha paura perché ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole al grigio? Adesso non soffre più -. L'asino grigio se ne stava tranquillo, colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde, e a spolpargli le ossa bianche; i denti che gli laceravano le viscere non lo avrebbero fatto piegare di un pelo, come quando gli accarezzavano la schiena a badilate, per mettergli in corpo un po' di vigore nel salire la ripida viuzza. -Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche; anch'esso quando piegava sotto il peso, o gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava dicesse: “Non più! non più!”. Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi e delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio -.La sciara si stendeva malinconica e deserta, fin dove giungeva la vista, e saliva e scendeva in picchi e burroni, nera e rugosa, senza un grillo che vi trillasse, o un uccello che venisse a cantarci. Non si udiva nulla, nemmeno i colpi di piccone di coloro che lavoravano sotterra. E ogni volta Malpelo ripeteva che la terra lì sotto era tutta vuota dalle gallerie, per ogni dove, verso il monte e verso la valle; tanto che una volta un minatore c'era entrato da giovane, e n'era uscito coi capelli bianchi, e un altro, cui s'era spenta la candela, aveva invano gridato aiuto per anni ed anni.-Egli solo ode le sue stesse grida! -diceva, e a quell'idea, sebbene avesse il cuore più duro della sciara, trasaliva.-Il padrone mi manda spesso lontano, dove gli altri hanno paura d'andare. Ma io sono Malpelo, e se non torno più, nessuno mi cercherà -.Pure, durante le belle notti d'estate, le stelle splendevano lucenti anche sulla sciara, e la campagna circostante era nera anch'essa, come la lava, ma Malpelo, stanco della lunga giornata di lavoro, si sdraiava sul sacco, col viso verso il cielo, a godersi quella quiete e quella luminaria dell'alto; perciò odiava le notti di luna, in cui il mare formicola di scintille, e la campagna si disegna qua e là vagamente -perché allora la sciara sembra più bella e desolata.-Per noi che siamo fatti per vivere sotterra, -pensava Malpelo, -dovrebbe essere buio sempre e da per tutto -.La civetta strideva sulla sciara, e ramingava di qua e di là; ei pensava:-Anche la civetta sente i morti che son qua sotterra, e si dispera perché non può andare a trovarli -.Ranocchio aveva paura delle civette e dei pipistrelli; ma il Rosso lo sgridava, perché chi è costretto a star solo non deve aver paura di nulla,e nemmeno l'asino grigio aveva paura dei cani che se lo spolpavano, ora che le sue carni non sentivano più il dolore di esser mangiate.-Tu eri avvezzo a lavorar sui tetti come i gatti, -gli diceva, -e allora era tutt'altra cosa. Ma adesso che ti tocca a viver sotterra, come i topi, non bisogna più aver paura dei topi, né dei pipistrelli, che son topi secchi con le ali; quelli ci stanno volentieri in compagnia dei morti -.Ranocchio invece provava una tale compiacenza a spiegargli quel che ci stessero a far le stelle lassù in alto; e gli raccontava che lassù c'era il paradiso, dove vanno a stare i morti che sono stati buoni, e non hanno dato dispiaceri ai loro genitori. -Chi te l'ha detto? -domandava

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Malpelo, e Ranocchio rispondeva che glielo aveva detto la mamma. Allora Malpelo si grattava il capo, e sorridendo gli faceva un certo verso da monellaccio malizioso che la sa lunga. -Tua madre ti dice così perché, invece dei calzoni, tu dovresti portar la gonnella -.E dopo averci pensato un po':-Mio padre era buono, e non faceva male a nessuno, tanto che lo chiamavano Bestia. Invece è là sotto, ed hanno persino trovato i ferri, le scarpe e questi calzoni qui che ho indosso io -.Da lì a poco, Ranocchio, il quale deperiva da qualche tempo, si ammalò in modo che la sera dovevano portarlo fuori dalla cava sull'asino, disteso fra le corbe, tremante di febbre come un pulcin bagnato. Un operaio disse che quel ragazzo non ne avrebbe fatto osso duro a quel mestiere, e che per lavorare in una miniera, senza lasciarvi la pelle, bisognava nascervi. Malpelo allora si sentiva orgoglioso di esserci nato, e di mantenersi così sano e vigoroso in quell'aria malsana, e con tutti quegli stenti. Ei si caricava Ranocchio sulle spalle, e gli faceva animo alla sua maniera, sgridandolo e picchiandolo. Ma una volta, nel picchiarlo sul dorso, Ranocchio fu colto da uno sbocco di sangue; allora Malpelo spaventato si affannò a cercargli nel naso e dentro la bocca cosa gli avesse fatto, e giurava che non avea potuto fargli poi gran male , così come l'aveva battuto, e a dimostrarglielo, si dava dei gran pugni sul petto e sulla schiena, con un sasso; anzi un operaio, lì presente, gli sferrò un gran calcio sulle spalle: un calcio che risuonò come su di un tamburo, eppure Malpelo non si mosse, e soltanto dopo che l'operaio se ne fu andato, aggiunse:-Lo vedi? Non mi ha fatto nulla! E ha picchiato più forte di me, ti giuro! -Intanto Ranocchio non guariva, e seguitava a sputar sangue, e ad aver la febbre tutti i giorni. Allora Malpelo prese dei soldi della paga della settimana, per comperargli del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera poi non c'era modo di vincere il ribrezzo della febbre, né con sacchi, né coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla fiammata. Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, quasi volesse fargli il ritratto, e allorché lo udiva gemere sottovoce, e gli vedeva il viso trafelato e l'occhio spento, preciso come quello dell'asino grigio allorché ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, egli borbottava:-È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi! -E il padrone diceva che Malpelo era capace di schiacciargli il capo, a quel ragazzo, e bisognava sorvegliarlo. Finalmente un lunedì Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se ne lavò le mani, perché allo stato in cui era ridotto oramai era più di impiccio che altro. Malpelo si informò dove stesse di casa, e il sabato andò a trovarlo. Il povero Ranocchio era più di là che di qua; sua madre piangeva e si disperava come se il figliuolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana. Cotesto non arrivava a comprenderlo Malpelo, e domandò a Ranocchio perché sua madre strillasse a quel modo, mentre che da due mesi ei non guadagnava nemmeno quel che si mangiava. Ma il povero Ranocchio non gli dava retta; sembrava che badasse a contare quanti travicelli c'erano sul tetto. Allora il Rosso si diede ad almanaccare che la madre di Ranocchio strillasse a quel modo perché il suo figliuolo era sempre stato debole e malaticcio, e l'aveva tenuto come quei marmocchi che non si slattano mai. Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non aveva mai pianto per lui, perché non aveva mai avuto timore di perderlo. Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò che la civetta adesso strideva anche per lui la notte, e tornò a visitare le ossa spolpate del grigio, nel burrone dove solevano andare insieme con Ranocchio. Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così. Sua madre si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo s'era asciugati i suoi, dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un'altra volta, ed era andata a stare a Cifali colla figliuola maritata,

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e avevano chiusa la porta di casa. D'ora in poi, se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, ché quando sarebbe divenuto come il grigio o come Ranocchio , non avrebbe sentito più nulla. Verso quell'epoca venne a lavorare nella cava uno che non s'era mai visto, e si teneva nascosto il più che poteva. Gli altri operai dicevano fra di loro che era scappato dalla prigione, e se lo pigliavano ce lo tornavano a chiudere per anni ed anni. Malpelo seppe in quell'occasione che la prigione era un luogo dove si mettevano i ladri, e i malarnesi come lui, e si tenevano sempre chiusi là dentro e guardati a vista. Da quel momento provò una malsana curiosità per quell'uomo che aveva provata la prigione e ne era scappato. Dopo poche settimane però il fuggitivo dichiarò chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa, e piuttosto si contentava di stare in galera tutta la vita, ché la prigione, in confronto, era un paradiso, e preferiva tornarci coi suoi piedi. -Allora perché tutti quelli che lavorano nella cava non si fanno mettere in prigione? -domandò Malpelo.-Perché non sono malpelo come te! -rispose lo Sciancato. -Ma non temere, che tu ci andrai! e ci lascerai le ossa! -Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo come suo padre, ma in modo diverso. Una volta si doveva esplorare un passaggio che doveva comunicare col pozzo grande a sinistra, verso la valle, e se la cosa andava bene, si sarebbe risparmiata una buona metà di mano d'opera nel cavar fuori la rena. Ma a ogni modo, però, c'era il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più. Sicché nessun padre di famiglia voleva avventurarcisi, né avrebbe permesso che si arrischiasse il sangue suo, per tutto l'oro del mondo. Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire, si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi.

RIPASSO DI GRAMMATICA

GRAMMATICA = insieme di:

FONOLOGIA (come si pronuncia una lingua),

MORFOLOGIA (come si scrive),

SINTASSI (secondo quali regole le parole si combinano tra loro)

LE PARTI DEL DISCORSO SONO 9

5 variabili: verbo, articolo, nome, aggettivo, pronome

4 invariabili: avverbio, preposizione, congiunzione, esclamazione

ACCENTO TONICO

Nel pronunciare una parola la voce si appoggia sempre su una vocale, questa pressione si chiama

“accento tonico”, ma non viene scritto quasi mai.

Quando però l‟accento cade sulla vocale finale, alcune volte si scrive e allora si chiama “accento

grafico”.

A I U hanno sempre accento aperto o grave

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E O possono avere accento aperto o chiuso (acuto), ma la O, quando si

trova alla fine di una parola ha sempre accento aperto.

SCALETTE PER L‟ANALISI GRAMMATICALE

NOME

- comune o proprio

- maschile o femminile

- singolare o plurale

ARTICOLO

- determinativo, indeterminativo, partitivo

- maschile o femminile

- singolare o plurale

VERBO

- voce del verbo (forma all‟infinito)

- coniugazione (1°, 2° o 3°)

- modo: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo (modi finiti); gerundio, participio,

infinito (modi indefiniti)

- il tempo

- la persona (1°, 2°, 3°, singolare o plurale)

- il genere: transitivo o intransitivo

- la forma: attiva, passiva o riflessiva

AGGETTIVO qualificativo

- maschile o femminile

- singolare o plurale

AGGETTIVO determinativo

- possessivo, dimostrativo, indefinito, numerale, interrogativo, esclamativo

- maschile o femminile

- singolare o plurale

PRONOME

- personale, possessivo, dimostrativo, indefinito, relativo, interrogativo, esclamativo

- maschile o femminile

- singolare o plurale

AVVERBIO o locuzione avverbiale

PREPOSIZIONE o locuzione prepositiva

CONGIUNZIONE o locuzione congiuntiva

- coordinante

- subordinante

ESCLAMAZIONE o locuzione esclamativa

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SINTASSI DELLA FRASE SEMPLICE (o PROPOSIZIONE)

(ANALISI LOGICA)

Analizza la funzione logica delle parole che compongono la frase semplice, detta anche

proposizione, cioè una sequenza di parole organizzata intorno ad un verbo, che esprime una

comunicazione sensata; fa frase semplice può essere

MINIMA: soggetto + predicato (es. Inizia lo spettacolo!)

ESTESA: soggetto + predicato + altre informazioni, cioè attributi, apposizioni, complementi (es.

Questa sera lo spettacolo teatrale inizia in anticipo)

NOMINALE: il predicato è sottinteso (es. Buio in sala!)

SOGGETTO

è la parte della frase di cui parla il predicato

- può essere costituito da qualsiasi parte del discorso o da un‟intera frase (quando il predicato

è impersonale)

- può essere sottinteso

- non c‟è con i verbi impersonali

PREDICATO

È la parte della frase che dice ciò che il soggetto fa,subisce, è. Può essere

- VERBALE, quando è formato da un verbo

- NOMINALE quando è formato dal VERBO ESSERE (copula) + un NOME o un AGGETTIVO o

un PRONOME (nome del predicato)

ATTRIBUTO

Sono tutti gli aggettivi che hanno funzione di attribuire una qualità o una caratteristica al nome a cui

si riferiscono

APPOSIZIONE

È un nome che ha la funzione di definire un altro nome, può essere preceduta da preposizioni o

locuzioni (es. Mio fratello, da bambino, era una vera peste)

COMPLEMENTI

Sono espressioni aggiunte alla frase minima, per arricchire il significato con altre informazioni;

possono essere

- DIRETTI, sono uniti direttamente al predicato o al soggetto: complemento predicativo del

soggetto, complemento oggetto, complemento predicativo dell‟oggetto

- INDIRETTI, si legano a un elemento della frase attraverso una preposizione semplice o

articolata.

SINTASSI DELLA FRASE COMPLESSA O PERIODO

La frase complessa è organizzata intorno a più verbi, che individuano frasi collegate tra loro a

formare una comunicazione più articolata.

Es.: Lo spettacolo teatrale, che abbiamo visto ieri, questa sera inizia in anticipo, perché hanno

aggiunto una parte nuova, che gli attori vogliono proporre al pubblico

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Verbi servili e fraseologici

Accompagnano un altro verbo, posto all‟infinito, e costituiscono con lui un unico predicato (ma si

possono trovare anche da soli):

Verbo Esempio

Dovere Devo partire

Potere Posso restare

Volere Non voglio essere noioso

Sapere Non seppe resistere alla tentazione

Osare Non oso fare una simile richiesta

Preferire Preferisco rimanere qui

Solere (=essere solito) Era solito trascorrere le giornate al parco

Essere in grado di Non sono in grado di recitare

Desiderare Non desidero proseguire gli studi

Accingersi a Paolo si accinge a partire

Essere sul punto di Essere sul punto di scoppiare

Stare per La partita sta per iniziare

Cominciare a Paolo cominciò a ridere

Mettersi a Poi si mise a piovere

Sforzarsi di Il poveretto cercò di alzarsi

Cercare di Cerca di arrivare presto

Tentare di Tentò di fuggire

Provare a Provò a resistere

Stare + gerundio Sta nevicando da ieri

Andare + gerundio Laura va domandando a tutti la stessa cosa

Continuare a Antonio continua a tacere

Insistere a Insiste a dichiararsi innocente

Finire per Finirete per litigare

Finire di Finì di mangiare e uscì

Cessare di Cessò di soffrire

Terminare di Terminò di grandinare

Smettere di Ha smesso di piovere

Finire con Finì con il perdere tutto

fare Ho fatto restaurare il mobile

lasciare Ho lasciato che uscissero

Vedersi ( anche con il participio passato) Si è vista perduta

lasciarsi Si è lasciato ingannare

trovarsi Si è trovato catapultato in un’altra dimensione

riuscire Non sono riuscito a dormire

andare L’operazione va eseguita subito

sentirsi Si è sentito ingannato

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PREDICATO (Vol. B, pp. 12 – 13)

Parte della frase che parla del soggetto. Può essere di due tipi.

VERBALE

E‟ costituito da un verbo.

NOMINALE

E‟ costituito dal verbo ESSERE (in qualsiasi

modo e tempo) + nome o aggettivo o pronome.

Esempi:

- Luca attraversa la strada.

- La banca è in centro (ATTENZIONE: il

verbo essere esiste anche come Predicato

verbale)

- Andrea è stato a Parigi (ATTENZIONE:

qui il verbo essere funziona come

ausiliare per formare un tempo

composto, cioè il passato prossimo; è un

Predicato verbale)

- Lucia ha mangiato da poco.

Esempi:

- Veronica è un’insegnante. (Essere +

nome).

- Sara è bella (Essere + aggettivo).

- Questo ombrello è il tuo? (Essere +

pronome)

ARTICOLO (Vol. A, p. 274)

E‟ uguale in genere e numero al nome che accompagna

Determinativo Indeterminativo Partitivo

Si può sostituire con un po’,

alcuni, alcune

Maschile Femminile Maschile Femminile Maschile Femminile

Sing. Pl. Sing. Pl. Sing. Sing. Sing. Pl. Sing. Pl.

il, lo

(l‟)

i, gli la le un, uno una (un‟) del,

dello

dei,

degli

della delle

VERBI SERVILI (Vedi Vol. A, pp. 187 – 188)

Sono verbi che “reggono” un altro verbo al modo infinito e con cui formano un unico PREDICATO

VERBALE. Eccoli:

DOVERE

Devi andare a scuola!

POTERE Potresti spostare il tuo zaino?

VOLERE Avrei voluto rimanere.

SAPERE Sai suonare la chitarra?

DESIDERARE Desidero fare un buon esame.

OSARE Chi osa indossare un abito simile?

“CHE”

Può avere quattro significati diversi:

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CONGIUNZIONE (Subordinante) Chi di voi mi ha detto che va in Grecia?

PRONOME RELATIVO Prendete l‟oggetto che costa meno.

AGGETTIVO

INTERROGATIVO/ESCLAMATIVO

Che lavoro farai da grande?

Che confusione!

PRONOME

INTERROGATIVO/ESCLAMATIVO

Che vuoi?

Che dici!

IL VERBO (vedi Vol. A p. 112)

I verbi italiani sono divisi in 3 gruppi che si chiamano CONIUGAZIONI

Ogni verbo regolare ha le terminazioni del gruppo a cui appartiene

(vedi ad es. la 2° persona plurale del presente indicativo):

1° Am – are 2° Tem - ere 3° Serv - ire

Voi am - ate Tem - ete Sev - ite

Voi gioc - ate Legg - ete Sent - ite

Voi mangi - ate Piang - ete Part - ite

I verbi essere e avere non seguono nessuna di queste coniugazioni, ma hanno una coniugazione

propria.

Ogni coniugazione ha

Modi finiti Modi indefiniti (dalla terminazione non si può

risalire alla persona che compie l‟azione)

Indicativo Infinito

Congiuntivo Participio

Condizionale Gerundio

Imperativo

I verbi hanno un genere

Transitivo Intransitivo

Luca mangia una mela Luca corre

Il verbo mangiare è transitivo perché può avere

un complemento oggetto: la sua azione transita

dal soggetto al complemento oggetto.

Il verbo correre non può transitare su nessun

complemento oggetto.

I verbi hanno una forma

I verbi hanno tutti una forma attiva (il soggetto compie l‟azione); i verbi transitivi possono avere

anche una forma passiva e una riflessiva.

ATTIVA Il soggetto compie l‟azione Io lavo

PASSIVA Il soggetto subisce l‟azione da parte di qualcuno

Uso la coniugazione del verbo essere + il participio passato del

verbo

Io sono

lavato

RIFLESSIVA Il soggetto compie un‟azione su se stesso

Alla coniugazione attiva aggiungo la particella pronominale.

Io mi lavo.

ATTENZIONE ai verbi “riflessivi” (vedi Vol. A p. 173)

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Io mi lavo = Io lavo me Mi = compl. oggetto Riflessivo

Io mi lavo le mani = Io lavo le mani a me Mi = compl. di termine Attivo

Io mi addormento Questa è un‟azione involontaria Intransitivo pronominale

VERBI IMPERSONALI (Vol. A p. 176)

Non hanno soggetto, nemmeno sottinteso, sono alla 3° persona singolare

Indicano fenomeni meteorologici Nevica

Fa un caldo terribile

Sembra, capita, succede, pare…. Succede che non tutto vada per il verso giusto.

Sembra che Lucia arrivi domani.

Conviene fare in fretta.

Tutti i verbi usati alla 3° persona singolare

preceduti dal “si”

Si spera sempre che le cose cambino

Ci si aspetta molto da lui

Essere + nome, aggettivo o avverbio E’ bello che tu sia qui

E’ un miracolo che tu non sia caduto

Era presto per cenare.

“SI”

Questa particella pronominale è presente in varie costruzioni e ha diversi valori:

valore esempio A.

grammaticale

A. logica

valore riflessivo proprio Marco si lava = Marco lava sé Forma

riflessiva

Predicato

verbale

valore riflessivo apparente Marco si lava le mani = Marco

lava le mani a se stesso

Particella

pronominale

c. di termine

valore riflessivo reciproco Mario e Antonio si detestano =

Mario detesta Antonio e

Antonio detesta Mario

Forma

riflessiva

Predicato

verbale

valore pronominale Mario si vergogna Intransitivo

pronominale

Predicato

verbale

valore passivante Si vendono auto usate = Auto

usate sono vendute

Forma passiva Predicato

verbale

valore impersonale In campagna si va a dormire

presto

Forma attiva Predicato

verbale

ATTENZIONE: solo nel secondo caso, ovvero quando svolge la funzione di c. di termine,

questa particella non fa parte del predicato, in tutti gli altri casi fa parte del predicato

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PREPOSIZIONI (Vol. A, p. 441 e seguenti)

Sono parti invariabili del discorso, collegano tra loro due parole o frasi, stanno davanti a:

- nome

- pronome

- verbo (quindi segnalano l‟inizio di una frase)

- avverbio

Si dividono in:

Proprie Improprie Locuzione

prepositive

semplici articolate Avverbi: Preferisco stare davanti (avv.) / Non stare

davanti a me (prep.) Prep. + avv. = es.

limitatamente

a…

di Del… Aggettivi: Sarà un lungo (agg.) viaggio / Abito lungo

(prep.) il fiume Prep. +

nome = es.

per mezzo

di…

a Al… Verbi: Escluso (partic. Pass.) da tutti, si ritrovò solo / E’

sempre aperto escluso (prep.) la domenica.

da Dal…

in Nel…

con Col..

su Sul…

per

tra

fra

I RAPPORTI DI COORDINAZIONE E SUBORDINAZIONE

Le frasi di un periodo sono legate tra loro da rapporti di coordinazione e subordinazione

COORDINAZIONE SUBORDINAZIONE

Il rapporto di coordinazione mette due frasi sullo

stesso piano: es. Sono uscito e mi sono divertito

molto.

Il rapporto di coordinazione si può costruire in

tre modi:

- con una congiunzione coordinante (sono

tante, ma tutte riconducibili ad “e”, “o”:

es. Vorrei protestare, anzi urlare!

(Vorrei protestare e urlare)

- per asindeto: le frasi sono accostate

tramite virgola o due punti: es. Si

sveglia, si alza, si lava;

- per polisindeto: le frasi sono accostate

ripetendo sempre la stessa congiunzione:

es. Si lamenta sempre e piange e grida e

Il rapporto di subordinazione fa sì che una frase

dipenda da un‟altra, cioè stia “sotto” l‟altra: es.

Ti ho portato il libro, che ho comprato ieri.

Aggiunge delle informazioni.

Il legame di subordinazione può avvenire in vari

modi:

- con una congiunzione subordinante:

es.Ti ho detto che non posso uscire;

- con un pronome relativo: es. Dimmi il

nome del posto in cui ti trovi;

- con una preposizione o locuzione

prepositiva: es. Mi sento pronto per

affrontare l’esame; Ha parlato prima di

pensare;

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scalpita!

Attenzione: una frase può essere coordinata alla

principale oppure ad una subordinata.

- con la virgola: es. Mi sono allenato,

andando spesso in piscina.

Attenzione: una frase può essere subordinata

alla principale oppure ad un‟altra subordinata.

PROGETTO COSTITUZIONE (Alcuni articoli) Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni

sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà

politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di

razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la

libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva

partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni

sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà

politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di

razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la

libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva

partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4

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La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo

questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una

funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 13.

La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra

restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi

previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di Pubblica

sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore

all'Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e

restano privi di ogni effetto.

È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Art. 15.

La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite

dalla legge.

Art. 16.

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le

limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.

Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

Art. 17.

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al

pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle

autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Art. 18.

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I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai

singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante

organizzazioni di carattere militare.

Art. 19.

Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o

associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti

contrari al buon costume.

Art. 21.

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo

di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali

la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa

prescriva per l'indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità

giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che

devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'Autorità giudiziaria.

Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni

effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della

stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.

La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Art. 23.

Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Art. 25.

Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

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Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

Art. 29.

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a

garanzia dell'unità familiare.

Art. 30.

È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei

membri della famiglia legittima.

La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Art. 31.

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e

l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.

Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Art. 32.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e

garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La

legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Art. 34.

La scuola è aperta a tutti.

L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze,

che devono essere attribuite per concorso.

Art. 36.

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Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso

sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 42.

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento

e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi

d'interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle

eredità.