Lettera Pastorale dell’Arcivescovo Mons. … che anche loro – come si fa tra amici –...

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ARCIDIOCESI DI AGRIGENTO Anno Pastorale 2014-2015 Lettera Pastorale dell’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro «CORAGGIO! ALZATI, TI CHIAMA!» (Mc 10,49)

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ARCIDIOCESI DI AGRIGENTOAnno Pastorale 2014-2015

Lettera Pastorale dell’ArcivescovoMons. Francesco Montenegro

«CORAGGIO!

ALZATI,

TI CHIAMA!»(Mc 10,49)

INTRODUZIONE

Cari amici,anche quest’anno desidero far precedere e ac-compagnare l’inizio del nuovo anno liturgico-pastorale da una mia lettera nella quale riprendoil cammino fin qui fatto e provo a delineare ipassi che ci attendono.Come Chiesa siamo chiamati a dare precedenzaassoluta alla Parola di Dio, poiché da questa Pa-rola siamo stati creati e dalla stessa, che si è fattacarne in Cristo Gesù, siamo stati redenti. L’impe-gno pastorale di tutti noi, anche se faticoso, devefar riecheggiare la Parola affinché arrivi ovunquee a tutti con il carico di speranza e di gioia chela contraddistingue. Anch’io, dopo averla ascol-tata, mi metto a servizio di questa Parola e tento– attraverso queste mie parole – di spezzarla avoi con un unico obiettivo: che tutti mettiamo inpratica la Parola di Dio ascoltata.

Vi scrivo, pertanto, non come chi ha la pretesadi insegnare e proporre teorie proprie, ma conl’animo del fratello e padre che incoraggia,esorta, orienta e ricorda il patrimonio, «quelloche ci è stato trasmesso» (1 Cor 15, 3), che ab-biamo ricevuto. Tutti abbiamo bisogno di attin-gere a questo “tesoro”della Parola se vogliamoaffrontare le sfide del tempo presente ed essere«cittadini degni del Vangelo» (Fil 1,27). Pertantoquesta lettera la rivolgo a tutti gli uomini e ledonne di buona volontà: quanti, a partire dai sa-cerdoti e dai diaconi, operano nelle nostre par-rocchie, ma anche tutti coloro che, con grandegenerosità e spirito di sacrificio, ogni giorno lot-

tano per i valori nei quali credono.La rivolgo a quanti in questo momento

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si sentono afflitti per i problemi chevivono, per la mancanza di lavoro,per le difficoltà in famiglia, per i di-sagi dei loro giovani figli, ai fratelliimmigrati che non riescono a inserirsipienamente nella nostra società, agli anziani chesperimentano tanta solitudine, agli ammalati cheavvertono la precarietà della vita, a chi ha vissutolutti laceranti e, per questo motivo, ha smarritola speranza, a quanti si sentono ai margini dellenostre città… Mi permetto di rivolgerla anche aquanti non appartengono alla nostra comunità difede, con l’unico desiderio, se dovessero leg-gerla, che anche loro – come si fa tra amici – co-noscano ciò che è nel cuore di un Vescovo.

La mia speranza è che a tutti arrivi il messaggiopiù bello che l’uomo abbia mai conosciuto: Dioci ama e per noi ha mandato il suo Figlio, il quale– morto e risorto – è con noi sempre!

LE TAPPEDEL NOSTRO CAMMINO

L’anno che ci apprestiamo a iniziare prolungaun tempo che abbiamo dedicato ad alcune sot-tolineature importanti.Ormai, attraverso un tempo di ascolto e di verificadi alcuni anni, abbiamo compreso la necessità dicrescere nel valore della comunione e di rinsaldarevincoli fondamentali: quello tra noi e Dio, quellotra i sacerdoti e il Vescovo, quello dei presbiteri traloro e con i fratelli laici, quello con il territorio cheabitiamo. Inoltre, sempre attraverso quell’eserciziodi ascolto, abbiamo avvertito il desideriodi una forte spinta missionaria per essere

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Chiesa “in uscita” e per superare alcune logiche diautoconservazione che danneggiano ogni tessutoecclesiale. Nella consapevolezza, poi, che quantoeravamo chiamati a vivere non poteva essere fruttodi improvvisazione o vuoto spontaneismo, ab-biamo deciso di investire nella formazione perso-nale e comunitaria.

L’impegno di questi anni lo abbiamo vissutocon momenti di entusiasmo pastorale, ma anchecon momenti di stanchezza e scoraggiamento amotivo della distanza esistente fra ciò che ci era-vamo prefissi e quanto riuscivamo a raggiungerecon le nostre forze.Mentre come Chiesa diocesana eravamo impe-gnati in questo lavoro pastorale, sia il Santo Padresia l’Episcopato italiano ci hanno invitato a vivereuna nuova fase evangelizzatrice, cioè la rinno-vata coscienza di essere Chiesa che rifiuta ognitentazione di chiusura e rompe ogni indugio af-frontando le sfide del mondo per annunciare ilVangelo della gioia, anzi, il Vangelo che è gioia.

Il biennio che stiamo per iniziare lo vogliamoincastonare dentro la cornice che qui accennosoltanto: l’Esortazione Apostolica di Papa Fran-cesco Il Vangelo della gioia, gli Orientamenti Pa-storali della CEI per l’annuncio e la catechesi inItalia Incontriamo Gesù e il V Convegno dellaChiesa Italiana che si terrà a Firenze dal 9 al 13novembre 2015 sul tema In Gesù Cristo il nuovoumanesimo. Il denominatore comune è Cristo:contemplato come fonte di dirompente gioia(Esortazione del Papa), colto come motivo di rin-novato incontro (Orientamenti della CEI) e pen-

sato come leva per un umanesimo che sem-pre si rinnova nel contesto post-moderno

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(Convegno Ecclesiale di Firenze).Il lavoro pastorale che ci attende

si inserisce in questo scenario che èmolto stimolante e costituisce unagrande opportunità per essere Chiesache vive la comunione, annuncia con franchezzaapostolica il Vangelo a tutte le creature e si lasciasempre formare da Cristo Maestro.Un impegno pastorale, dunque, che si presentaavvincente ed entusiasmante perché è in sintoniacon tutta la Chiesa e sarà in grado di creare sin-fonia tra di noi se sapremo affrontarlo bene, conumiltà, nell’obbedienza della fede e con grandespirito di fraternità, non preoccupati di fare moltecose ma di crescere insieme come Chiesa “una”,in costante e fecondo dialogo con il mondo.

L’ICONA BIBLICA: IL CIECO DI GERICO (Mc 10,46-52)

Per questo mi piace partire da una paginaevangelica: l’episodio della “Guarigione delCieco di Gerico”, narrato da Marco. QuestoVangelo lo ascolteremo durante l’anno liturgicoe avremo modo di scoprire le particolarità lette-rarie e teologiche dell’evangelista che, comesappiamo, in maniera sintetica ed essenziale cipresenta “il Vangelo” che è Gesù, Cristo e Figliodi Dio. Con la sua narrazione Marco ci guida auna graduale scoperta dell’identità del Messiae a una conseguente adesione a Lui. È il Vangelodel catecumeno, cioè di colui che si introducealla vita di fede; è il Vangelo del primo annunciodestinato a persone – per lo più pagani – che de-siderano andare al cuore del mistero diColui che pende dalla Croce e risorge.

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Io che vi sto scrivendo e voi che leggete met-tiamoci in ascolto di questa Parola:

46E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Ge-rico insieme ai discepoli e a molta folla, il figliodi Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo lastrada a mendicare. 47Costui, al sentire chec’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e adire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà dime!». 48Molti lo sgridavano per farlo tacere, maegli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbipietà di me!». 49Allora Gesù si fermò e disse:«Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendo-gli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». 50Egli, get-tato via il mantello, balzò in piedi e venne daGesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che ioti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che ioriabbia la vista!». 52E Gesù gli disse: «Va’, la tuafede ti ha salvato». E subito riacquistò la vistae prese a seguirlo per la strada.

A. «…SEDEVA LUNGO LA STRADAA MENDICARE… COMINCIÒ A GRIDARE…»

Gesù sta per entrare a Gerusalemme dovevivrà gli ultimi giorni della sua vita terrena; l’epi-sodio del cieco è l’ultimo miracolo raccontatoprima dell’ingresso messianico a Gerusalemme.Certamente l’evangelista riferisce un raccontoche circolava nella tradizione della prima comu-nità; tuttavia, come spesso avviene nei Vangeli,alla pura dimensione storica dei fatti è coniugataquella simbolica, in modo che ogni lettore si ri-conosca nell’episodio narrato.

Desidero, insieme a voi, entrare nel testo

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e capire il messaggio in esso rac-chiuso per il nostro cammino eccle-siale. S. Ignazio di Loyola suggerivaai suoi la “composizione delluogo”, cioè lo sforzo di ricostruire lascena descritta dal Vangelo per poi collocarsi alsuo interno e sentirsi parte di quello che accade,delle parole che vengono pronunciate o dellereazioni che l’evangelista riporta. In definitiva,fare in modo che tutti ci sentiamo parte del Van-gelo – anzi, nel Vangelo – per meglio gustarlo eassaporarlo.Immaginiamoci perciò dentro quella scena. Lacittadina di Gerico non distava molto da Geru-salemme. Era una delle tappe preferite dai pelle-grini che si recavano nella Città Santa e che lì so-stavano dopo lunghi viaggi. Per questo era unacittà caotica, sempre piena di gente provenienteda ogni parte.

Anche lo scorso anno, attraverso la paraboladel Samaritano, ci siamo imbattuti con Gerico,poiché nel racconto lucano l’uomo scendeva daGerusalemme a Gerico. Ancora una volta Ge-rico ci interpella! Immaginiamola come unadelle nostre città, piccole o grandi che siano.Confusione di suoni e di immagini; volti che simischiano; storie che si intrecciano; popoli di-versi che si incontrano… Gesù si trova a Gericoma la sta lasciando perché deve dirigersi versoGerusalemme. È in città ma non rimane bloccatodentro nessuna realtà umana. Il corteo che lo ac-compagna si unisce e si mischia al chiasso diquelle vie a tal punto che diventa difficile indi-viduare il Messia. Lui c’è, ma tanti non Lo rico-noscono. Probabilmente conoscono lecose da Lui fatte e dette, ma, a motivo

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del disordine e della calca, non riescono a rico-noscerLo.

Questa è la prima tappa che vorrei sottoli-neare: «Il figlio di Timeo, Bartimeo, sedevalungo la strada». I più bisognosi, conoscendoil movimento che si creava in città, preferi-vano mettersi un po’ fuori perché da lì certa-mente sarebbero passati i pellegrini; in questomodo avrebbero avuto più possibilità di rice-vere qualche spicciolo. E lì, un po’ fuori, fragli altri troviamo Bartimeo. Quest’uomo haun padre, un’identità precisa e, conseguente-mente, un nome. Un nome, tuttavia, che nonè nome proprio, ma indica la relazione filialenei confronti del padre, che si chiama Timeo:“bar”, infatti, in ebraico significa “figlio”.Quest’uomo, dunque, si chiama “Bartimeo” esiede lungo la strada.

Ancora una volta la strada diventa protagoni-sta. È la strada della missione: quella additata daGesù ai discepoli («Strada facendo annunciateche il Regno di Dio è vicino»); la strada dove ilbuon Samaritano incontra il malcapitato mezzomorto. Bartimeo siede lungo la stessa strada. IlPapa spesso ci esorta a essere “Chiesa di strada”.È, questo, un richiamo provvidenziale! Chiesa distrada, cioè Chiesa che fa tesoro di quanto arrivadentro le sue mura e subito si spinge oltre, si sbi-lancia, fuori-esce o esce-fuori per capire quelloche accade e per portare a tutti quello che ha vis-suto e sperimentato. Penso che debba essereormai chiaro a tutti che il Signore non ci vuole“chiesa di salotto” o “chiesa-museo” ma Chiesa,

che sa attraversare la strada, anzi, che la saabitare, che sa cioè riconoscerla come suo

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luogo privilegiato e preferito perfare esperienza del Risorto e per di-mostrarsi non solo esperta di uma-nità, ma – di più – immessa in essa.

La strada nei Vangeli non va intesa semplice-mente come uno spazio geografico, ma va vistacome una cattedra! Lì avvengono incontri, si af-frontano difficoltà, si capiscono tante cose etante cose si sperimentano. Bartimeo era unodegli abitanti di quella città. Non era cieco dallanascita, ma lo era diventato; però ormai nessunopiù si accorgeva di lui, al punto che nessuno piùlo aiutava e per questo a lui non rimaneva chestare seduto lungo la strada. La strada che aglialtri serviva per camminare, a lui serviva per“stare”. Aveva stravolto la finalità della stradaperché per lui non c’era più spazio nelle case enella città dove era nato.Questa riflessione sulla strada non vi sembri

artificiosa o inutile. Abbiamo davvero bisogno diaccorgerci di quello che accade nelle nostrestrade. Da tempo chiedo che le nostre comunitàrealizzino la lettura del territorio. A qualcunopotrebbe sembrare un inutile esercizio di socio-logia o di statistica. Lo ripeto: non si tratta sem-plicemente di conoscere le nostre strade, ma disapere ciò che l’uomo vive in esse e soprattuttodi conoscere chi le vive.

Il nostro è un territorio pieno di problemati-che che, a volte, non sfiorano le nostre preoc-cupazioni ecclesiali e non trovano neppureposto nelle preghiere delle comunità. Ci sonoviolenze inaudite (basti pensare a quanto è ac-caduto a San Giovanni Gemini qualchesettimana fa); c’è droga in quantità smi-

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surata che arriva in tutti i nostri comuni (nes-suno pensi che i paesi ne siano esenti!) e inte-ressa le diverse fasce di età e i vari ceti; tanti deinostri ragazzi che frequentano il catechismo ilfine settimana (ma solo in quei giorni?) li tro-viamo posteggiati in piazza con la bottigliadell’alcol in mano o a fare l’esperienza dellospinello se non della droga; c’è immensa cor-ruzione (pensiamo all’indagine denominata “Lacarica delle 104”); c’è mafia che strozza im-prese e commercianti e inquina comuni e isti-tuzioni; c’è prostituzione nascosta che creasfruttamento e, qualche volta, anche morte; c’èusura che crea povertà e violenza; c’è dipen-denza da gioco, da “gratta e vinci”, da slotma-chine, che distrugge intere famiglie… E tuttoquesto avviene tra gli sguardi indifferenti anchedei cristiani che pensano che l’unica cosabuona da fare sia andare in chiesa.

E quell’uomo lungo la strada chi è? A chi ap-partiene? Chi se ne deve curare? Chi lo deve rial-zare? Come facciamo a dirgli che siamo tutti fra-telli in Cristo e che Dio lo ama se nessuno siferma per capire la sua situazione? Dobbiamo di-ventare Chiesa di strada, Chiesa che sa starelungo la strada, che sa “leggere” la strada percapire intelligentemente quali sono o quali pos-sono essere i rimedi migliori e più efficaci.Chiesa che va nelle periferie, che è attenta a chiincontra ed è pronta a rialzare chi, anziché at-traversare la strada per camminare e per cre-scere, la usa come giaciglio dove aspetta ineso-rabile la morte che già porta dentro.Quell’uomo – e, insieme a lui, il “Bartimeo” di

ogni tempo – grida, fa sentire la sua voce,nella speranza che qualcuno lo ascolti.

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Quel grido è una vera preghiera,anche se non conosce i canonidelle formule ma solo l’urlo del do-lore, non conosce l’armonia delcanto ma quello disordinato della di-sperazione. È però il grido che il Signore ascoltae che Lo fa girare dalla parte di chi lo innalza.Come non si fa a riconoscere nelle tante urla diquesto tempo la preghiera sofferta che si in-nalza al Padre?

Viste così, le strade sono cattedrali aperte dadove quotidianamente svettano preghiere urlateal Padre che è nei cieli. Ecco perché dobbiamoconoscere le nostre strade! Ed ecco perché dob-biamo fare la lettura del territorio!

B. «MOLTI LO RIMPROVERAVANO…GESÙ SI FERMÒ E DISSE: CHIAMATELO!»

La folla era infastidita dalle urla di Bartimeo.Le urla, quando sono eccessive, si fa di tutto permetterle a tacere. L’arma più facile è il rimpro-vero. Si alza la voce affinché il debole di turnocapisca che non ha diritto di parola. Il deboledeve fare sempre silenzio. Anzi deve accettarecon pazienza (è il consiglio facile che sappiamodare in simili casi!) la situazione nella quale si ètrovato; e basta. Si deve rassegnare. Questoavranno pensato i componenti del corteo che ac-compagnava Gesù. Erano troppo interessati aGesù per poter badare al cieco. La sua voce di-sturbava le parole preziose del Rabbì.

Gesù, invece, nonostante il chiasso,sente le parole di quell’uomo: «Figlio di

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Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Lui, Parola vi-vente, non soffoca le nostre parole, ma le rico-nosce, le ascolta e le accoglie. Nell’episodio del-l’emorroissa, tra i tanti che si accalcavano pertoccarLo, Gesù si accorse della donna che,unica, si era accostata a Lui con fede nella spe-ranza di ricevere la guarigione. E tutto tra lo stu-pore dei discepoli, i quali quasi lo rimprovera-vano per la domanda apparentemente insensata:«Chi mi ha toccato?» (Mc 5,31).Gesù è sempre attento alla distinzione tra follae persona. La prima è indefinita, anonima, senzavolto e, perciò, senza identità; la seconda hasempre un volto, un nome, una storia, un vissuto.Gesù sta frequentemente con le folle, ma ama lepersone e spesso le chiama e le porta in disparteper rivelare e donare loro la dimensione perso-nale del suo amore. Lo stesso accade per il cieco.In tanti, in quel momento, stanno parlando, mauno solo viene ascoltato da Gesù, il quale siferma per farsi prossimo di quell’uomo. Gesùaveva dei programmi, forse degli incontri da fare,ma appena quella voce arriva ai suoi orecchi so-spende ogni cosa. In quel grido avrà riconosciutouna richiesta di aiuto e sarà rimasto attratto daquesto. Avrà pensato che quell’uomo aveva sì bi-sogno, ma innanzitutto era un uomo che chia-mava le cose con il loro nome. Non fingeva. Eranon vedente, ma in quel momento si sentivavisto da Gesù.

Questo è un atteggiamento che va imitato.Gesù che si ferma per ascoltare Bartimeo per noiè modello di agire ecclesiale. Vogliamo, comeLui, essere Chiesa che sa uscire per strada, sa ri-

conoscere i suoni veri che provengono dalcuore di ogni uomo e si sa fermare. Non ci

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sono altri programmi che questo.Ogni altro programma, per quantonecessario a organizzare le attivitàpastorali, non può non essere ani-mato da questo bisogno: ascoltareDio per ascoltare meglio l’uomo.

In questa prospettiva vorrei ancora parlarvidella Visita Pastorale che intendo iniziare a par-tire da quest’anno. Qualcuno potrebbe stupirsidel fatto che già altre volte era stata inserita inprogramma e non ancora avviata. Alla base diquesta apparente lacuna non vi è una distrazioneo la mancanza di tempo. Ho chiesto diversevolte di vivere la Visita Pastorale dopo che ognicomunità abbia realizzato la lettura del territorio,per fare in modo che la mia presenza risulti piùefficace per un vero discernimento. Credetemi,ho davvero bisogno che tutti mi aiutiate ad ascol-tare i tanti “Bartimeo” del nostro tempo.È opportuno che ogni comunità viva la dimen-sione della strada e dell’uscita come stile mis-sionario; quando sarà chiara la visione d’in-sieme, di ciò che vive ogni comunità, allora in-sieme – io e voi – vivremo la Visita Pastoralecercando di capire cosa il Signore ci voglia direattraverso ciò che accade e quali siano le solu-zioni pastorali più efficaci per dare una rispostaevangelica a quanto ci sembra problematico odifficile. In questo modo le voci dei tanti che ur-lano nelle nostre strade non rimarranno inascol-tate, ma ci sarà una comunità intera - vescovo,sacerdoti, diaconi, religiosi, operatori pastorali,fedeli tutti… - che sentirà il bisogno di sostareper ritrovare il Vangelo della speranza. Stento apensare una Visita Pastorale fatta di riu-nioni, relazioni da leggere, organizza-

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zioni, perché il Vescovo abbia impressioni po-sitive, anche se poi, magari, non corrispondonoalla realtà.

C. «CORAGGIO! ALZATI, TI CHIAMA!»

Il terzo passaggio del brano che vorrei sottoli-neare è il momento culminante dell’episodio. Lamoltitudine preoccupata di far tacere il ciecoviene zittita dalla scelta del Maestro, che invecechiede di chiamarlo. Quanti fino a quel mo-mento avevano tentato di evitare l’incontro tra ilfiglio di Timeo e il Figlio di Dio adesso sono chia-mati a prestare la voce a Gesù che si rivolge al-l’uomo seduto lungo la strada. Qui accade uncambiamento importante, soprattutto se letto inchiave ecclesiale. Si assiste al passaggio da follache ostacola a comunità che aiuta, da gente cheblocca a famiglia che incoraggia.Prima ancora di ridare la vista al cieco, Gesù

rende vedenti coloro che ancora non si erano ac-corti di quell’uomo. Sono loro i primi guariti. Lasosta di Gesù li aiuta a scoprire qual è il vero or-dine da seguire: prima l’uomo e poi i programmi.E quando aprono gli occhi sulla realtà di quel-l’uomo finalmente iniziano a utilizzare i terminigiusti, imparano a coniugare i verbi del Vangeloe a declinare i sostantivi della speranza: «Corag-gio! Alzati, ti chiama!». Parole, queste, chehanno il sapore della Pasqua. Dio è armonia equesti tre termini ne definiscono i colori più belli.Costituiscono i grandi capitoli del Vangelo dellavita! Sono le parole che tutti vorremmo sentire,soprattutto quando viviamo momenti di soffe-

renza e di sconforto: il coraggio per ritor-nare a sentirsi vivi, il rimettersi in piedi per

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riprendere a camminare e il sentirsichiamati che fa sentire unici eamati.

Gesù non aveva affidato a quellepersone un compito preciso, ma chi era stato allaSua scuola, chi Lo frequentava da tempo e co-nosceva il cuore del Maestro, sapeva bene chedalla Sua bocca non potevano che uscire proprioquelle parole. Come Chiesa del Signore dob-biamo adoperarci per fare l’esperienza di quegliamici di Gesù. Non possiamo essere comunitàche ostacola l’incontro con Cristo. Dobbiamo,piuttosto, essere famiglia che favorisce l’incontrocon Lui e che fa riascoltare la buona e bella no-tizia che ogni uomo è amato da Dio; la buona ebella notizia che il Padre non vuole che alcunostia sul ciglio di una strada, ma che tutti affron-tiamo il cammino della vita da risorti, continua-mente chiamati alla vita e alla lotta contro ilmale.

La Chiesa è chiamata a far arrivare a tutti - esoprattutto a chi ha perso la speranza - la vocedel Maestro. Per questo motivo la Chiesa - e,nello specifico, ogni comunità ecclesiale- vive lapropria funzione sacramentale collocandosi fraDio e l’uomo. Dal Padre raccoglie la Parola chesi è fatta carne e questa (non altre!) porge al-l’uomo con grande generosità. Alla Chiesa èchiesto di evangelizzare, non di organizzare. Ilcompito per il quale la Trinità l’ha da semprepensata e voluta è di far giungere, per suo tra-mite, la salvezza a tutti gli uomini. La Chiesa fa-vorisce l’incontro con Cristo attraverso la cate-chesi, la liturgia e la testimonianza dellacarità. Se la Chiesa non dovesse fare ciò,

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tradirebbe la propria vocazione e la propria mis-sione.

Le persone che si rivolgono al cieco certa-mente erano state al seguito di Gesù e lo cono-scevano, ma in loro qualcosa si era inceppato.Forse avevano dimenticato la vitalità del Van-gelo, l’avevano sostituita con delle formule stan-che, conosciute a memoria, ma non più in gradodi scaldare i cuori. La mia impressione è chequesta sia la situazione nella quale si trova oggila nostra Chiesa, soprattutto per la catechesi.Come Chiesa Italiana si è sentito il bisogno didare nuovi orientamenti (Incontriamo Gesù), suiquali si deve scommettere. È una scelta impor-tante perché ci può aiutare a riscoprire un nuovomodo di evangelizzare. Però attenzione a un pe-ricolo: non si tratta di cambiare formula (unmodo di fare catechesi piuttosto che un altro),ma di cambiare atteggiamento! Come quellafolla dobbiamo avere il coraggio di fermarci, dirimetterci in ascolto di Gesù che parla e chechiama, per ridire le Sue parole e non le nostrechiacchiere, la Sua novità e non le nostre for-mule, la Sua misericordia e non i nostri pregiu-dizi. In definitiva, dobbiamo favorire a tutti l’in-contro con Gesù risorto e vivo, sempre pronto adamare. In questa linea le parole che i presenti ri-volgono al cieco costituiscono il modo miglioreper fare catechesi. Quei tre termini sopra ricordati devono diven-tare il cuore dell’annuncio.

«CORAGGIO!»

Innanzitutto il coraggio. È l’invito a par-tire dal cuore. Il termine lascia intendere la

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capacità di agire con il cuore (cor-agere); la capacità di affrontare lavita – la propria e quella degli altri– non con la logica delle forzeesterne, ma con quella dirompenteche è il cuore, il centro vitale dell’essere. E se,come Chiesa, riusciamo a trasmettere il fatto cheDio ha a cuore tutti ed è nel cuore di tutti, tuttipossiamo essere cristiani coraggiosi; essere per-sone che in ogni circostanza fanno scattare lamolla del cuore risanato e ricolmato dallo stessoamore di Dio.Coraggio in famiglia quando le cose iniziano adandare male, coraggio nell’accogliere l’immi-grato, coraggio nell’andare incontro al povero,coraggio nelle scelte sociali e politiche, coraggioper essere sempre dalla parte della verità… Inogni cosa il coraggio e sempre con coraggio!

«ALZATI!»

La conseguenza del coraggio, dell’agire colcuore, è ritrovare la posizione corretta per af-frontare la vita. Quando scatta il cuore anche legambe si mettono in movimento. Altrove, nellostesso Vangelo di Marco, Gesù, guarendo il pa-ralitico, prima gli dice «Ti sono rimessi i tuoi pec-cati» (Mc 2, 5) e poi «Alzati e cammina» (Mc 2,11). Prima gli sana il cuore sanguinante dal pec-cato e, di conseguenza, lo abilita a camminare.Lo stesso avviene in questa pagina.

Al coraggio deve seguire inevitabilmente il ri-mettersi in piedi. Per questo abbiamo bisogno diguardare con sincerità al cieco, perché probabil-mente, per mille motivi, anche noi (nonsolo noi, Chiesa Agrigentina) ci siamo

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seduti, ci siamo adagiati su posizioni comode,abbiamo preferito cullarci su alcuni dati confor-tanti letti con le nostre lenti (le feste partecipate,le Messe domenicali piene, i battesimi in quan-tità…); e questo, lentamente, ci ha fatto perderedi vista tutto ciò che c’è al di là. Per uno che staseduto l’orizzonte è sempre ristretto, proprio per-ché dal basso si vede ben poco. Anzi, potremmodire che la vera cecità è stare seduti! È quella po-sizione che rende ciechi. Mancano gli orizzonti,non compaiono le valli o i monti o il sole che sialza… Manca tutto. Per vedere bisogna alzarsi.Alzarsi è il verbo della risurrezione e, perciò,

della vita. È il verbo a cui dobbiamo tendere. Lacatechesi deve annunciare che Dio vuole cristianiche stanno in piedi. Cristiani che sanno cammi-nare, che sanno affrontare le sfide, che sannoguardare lontano senza mai smettere di poggiarelo sguardo su quella linea di confine tra il cielo ela terra, che è l’unico modo per non avere maiconfini. In piedi per dire di no all’indifferenza,anche se pia, e a qualsiasi proposta di male, di in-giustizia, di malaffare. In piedi davanti a ogniuomo senza mai piegare la schiena di fronte anessuno, se non davanti a Dio e all’uomo che sof-fre. «Alzati!» ripete a noi oggi il Signore. Dob-biamo alzarci e rialzarci continuamente per sapercamminare con coraggio. E dobbiamo farlo supe-rando la logica del “si è fatto sempre così”.Consentitemi di fare, a questo proposito, solo unesempio. La cronaca nazionale degli ultimi mesici ha messo davanti situazioni scabrose di comi-tati di feste che durante le processioni dei Santifanno inchini davanti a case di mafiosi o altro.Tutti ci siamo scandalizzati, ma dobbiamo stare

attenti. Anche le nostre feste hanno bisognodi essere riviste. Mentre le tradizioni si ac-

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contentano di ripetere il passato,anche se ormai privo di senso, laTradizione (quella della Chiesa!)non segue la logica del “si è fattosempre così”. La Tradizione si mettesempre in ascolto di Dio per fare la Sua volontànel tempo presente.

Qualche anno fa vi ho chiesto di fare atten-zione all’uso del denaro in occasione delle feste,facendo scelte che privilegiassero i poveri. Èstata condivisa in pochi casi. Per la maggior partedei comitati questa mia richiesta è stata accoltacome una indebita intrusione. Intanto molti dinoi, forse vicini di casa, vivono situazioni di di-soccupazione o di malattia o di altro. Penso cheancora molto rimanga da fare a proposito. Perquesto, con umiltà e coraggio, torno a chiedereai sacerdoti e ai fratelli laici, soprattutto a quanticompongono i comitati delle feste, di dare giustaattenzione ai programmi e ai loro svolgimenti.Non possiamo rendere la festa di un Santo odella Vergine occasione di scandalo! I tanti “Bar-timeo” che ci sono lungo le nostre strade nonchiedono solo la carità, ma reclamano giustizia.Usare il denaro senza tener conto di loro non èrendere onore a Dio e ai Santi, ma è senz’altropeccato. La tradizione popolare deve servire allacrescita di tutti nel bene e non offendere chi è instato di necessità.

«TI CHIAMA!»

È l’ultima espressione verbale di questa frase.È l’ultimo tassello, che completa l’opera d’arte.Il coraggio serve per riaccendere ilcuore, l’alzarsi è utile per prendere le di-

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stanze dal ciglio della strada. Adesso non rimaneche capire quale direzione prendere. Perchéanche il rimettersi in piedi senza una direzionerischia di diventare vuoto. Gesù, oltre a chiedercidi stare in piedi, indica anche una direzione, da’un senso preciso, un orientamento chiaro, allastrada da imboccare.«Ti chiama!», cioè «è qui per te, ti sta aspettando,desidera incontrare proprio te, vuole entrare inrelazione con te, ti vuole essere amico». Quel-l’uomo, fino a quell’istante, sapeva di vivere manon aveva incontrato nessuno che lo facesse sen-tire vivo; nessuno si ricordava di lui; nessuno lochiamava e, perciò, si sentiva già morto, inutile.Gesù, chiamandolo, lo fa sentire vivo, unico,speciale. Forse è stato quello il momento esattoin cui il cieco ha ripreso a vedere. Ha capito cheanche per lui c’era un barlume di luce vitale o divita luminosa.

A questo punto il Vangelo racconta che l’uomofa uno scatto inaudito. Con grande capacità pla-stica Marco ci presenta tre verbi di movimento:«Gettò via il mantello, balzò in piedi, venne daGesù». La situazione dell’uomo conosce un’im-pennata inattesa. Nessuno se lo sarebbe aspet-tato. Immaginavano un uomo che, ancora stri-sciante, molto lentamente iniziasse prima a ran-nicchiarsi e poi ad alzarsi con fatica, visto chetutti i suoi muscoli erano atrofizzati. E invece no!Tutto a un tratto, all’improvviso, con una bel-lezza straordinaria, il cieco balza in piedi, lanciail mantello che per lui era l’unico spazio conces-sogli, l’unico confine da rispettare. Ora, grazie a Gesù, prende coscienza e si riap-propria della sua dignità di uomo. E saltadalla gioia, perché finalmente ora tutti

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sanno che è un figlio amato da Diocome loro.Ecco cosa accade all’uomoquando si sente chiamato nelmodo giusto! È stata l’esperienza deichiamati nella Bibbia, di tanti peccatori che sisono sentiti raggiunti dalla grazia di Dio. Èl’esperienza che ancora la Chiesa deve sapersuscitare nei confronti di tutti. Con la catechesi, e non solo, siamo invitati

a “chiamare”, a far sentire ognuno preziosoagli occhi di Dio, unico, speciale. Chiederemoalle Parrocchie di avviare dei percorsi di risco-perta della fede anche per persone che vivonosituazioni irregolari o critiche; e questo perchériteniamo che dal più piccolo al più grande trai figli di Dio, da chi ancora è senza colpa a chiha commesso degli errori ed è sinceramentepentito, dal bambino che desidera accostarsi aisacramenti a chi tra i giovani ha già fatto uso disostanze stupefacenti… tutti sentano rivolto aloro l’invito di Dio. Un invito personale e liberante che ha dentrouna forza esplosiva di vita, a tal punto che, unavolta accolto, può determinare balzi di gioia esussulti di risurrezione.

D. «VA’, LA TUA FEDE TI HA SALVATO…E LO SEGUIVA LUNGO LA STRADA»

Concludo questa mia lettera con qualche ri-flessione sull’ultimo versetto del brano. Gesùaveva chiesto all’uomo cosa volesse e questi,senza alcuna esitazione, aveva espresso ilsogno di tornare a vedere. A differenzadi altri episodi simili (come la guari-

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gione di un altro cieco – quello di Betsaida –riportata unicamente proprio dallo stessoMarco) Gesù non compie alcun gesto, masemplicemente lo invia, facendo riferimentoalla sua fede più che alla sua vista: «Va’, la tuafede ti ha salvato».

Nelle parole di Gesù si nota il passaggio dallaguarigione alla salvezza. L’uomo chiedeva laguarigione e Gesù gli dona la salvezza, che èmolto di più della guarigione. E lo fa puntandosulla fede dell’uomo, sulla sua fiducia nel Mae-stro di Nazaret, precedentemente invocato comeFiglio di Davide. Bartimeo ritorna a vedere, manon fa di questo dono un uso egoistico. Non sene torna a farsi i fatti propri, ma prende la deci-sione di seguire Colui che, salvandolo, gli avevaridato la vista. Gli esegeti ci ricordano che Bar-timeo è modello di ogni credente che, dopo averincontrato la Luce, si mette alla sua sequela. Equesto è molto interessante anche per il nostrocammino di evangelizzazione.

L’invito a compiere una nuova tappa nell’an-nuncio del Vangelo (nuova perché diverso è loscenario culturale e sociale nel quale ci tro-viamo) va esattamente nella direzione della se-quela, che – se ci pensiamo attentamente – èl’unica vera condizione che Gesù detta: «Se-guimi!». Dall’inizio alla fine, i Vangeli sono pieni di

questo imperativo. Gesù non chiede che si com-piano opere particolari, non dà indicazioni eti-che o norme casistiche. Chiede che ci si mettadietro a Lui, che se ne ripercorrano le orme e che

Lo si segua ovunque Lui voglia condurre.«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rin-

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neghi se stesso, prenda la sua croceogni giorno e mi segua» (Mc 8,34).La vita cristiana è sequela di Cristo;è cammino dietro al buon Pastore;è farsi discepoli; è scoperta gradualeche solo dietro a Lui la nostra vita ha un senso.Il brano finisce esattamente con la stessa pa-rola con cui era iniziato: in apertura il ciecosedeva lungo la strada, alla fine lungo la stradaprende a seguirlo. La strada assume un doppiovalore: all’inizio del brano è luogo di stancarassegnazione; alla fine diventa situazione diripartenza. Se vogliamo, sono le due possibiliimpostazioni ecclesiali di fronte alle qualisiamo posti: o Chiesa che sta ferma lungo lastrada, cieca e stanca, disposta solo a elemo-sinare e senza nessuna voglia di mettersi inpiedi; oppure Chiesa luminosa, che balza quo-tidianamente in piedi e si dice pronta a seguireil Maestro sulle strade del mondo. Sono dueopzioni entrambe possibili. A noi la scelta!

Con il cuore di padre e di pastore vorrei an-cora sollecitare tutti affinché riprendiamo a se-guire Gesù con maggiore determinazione. E se,per tanti motivi, ci siamo seduti lungo la strada,se abbiamo dato spazio alla rassegnazione e aisuoi mille risvolti, se pensiamo che non ci siapiù nulla da fare perché tanto nessuno ciascolta, adesso è arrivato il momento di rialzarcie di vederci chiaro, con la luce che è Gesùstesso, per seguirlo ovunque Lui vorrà condurci.Questo nostro tempo, le nostre città con gli uo-mini e le donne che le abitano, stanno chie-dendo e aspettando una Chiesa in cammino.Non certo una Chiesa perfetta, impec-cabile nelle strutture e nell’organizza-

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zione, ma una Chiesa umile che sappia cammi-nare con coraggio per seminare speranza. UnaChiesa che sappia guardare il territorio e ilmondo nella sua interezza, perché è a tutto ilmondo che siamo stati inviati.A questo proposito, non va dimenticato il di-

scernimento che da alcuni anni abbiamo avviatoa proposito della scelta di una diocesi di altropaese con la quale avviare un rapporto di coo-perazione missionaria. Speriamo, nell’arco diquest’anno, di arrivare a una scelta e all’avvio diuna nuova esperienza missionaria. Tuttaviacredo che il problema non sia il tempo entro ilquale scegliere, ma come arrivare alla scelta. Vo-glio dire che, se non sentiamo forte la spinta mis-sionaria, la scelta si rivelerà un fuoco di paglia.So bene che solo alcuni saranno chiamati a par-tire (spero sacerdoti e diaconi, religiosi e laici),ma è necessario che tutti maturiamo la dimen-sione missionaria e avvertiamo il bisogno di por-tare a tutti e dovunque il Vangelo.

CONCLUSIONE

L’episodio di Bartimeo ci suggerisce più pistedi lavoro pastorale. In apertura della lettera in-vocavo un atteggiamento di ascolto attento dellaParola e di obbedienza umile a essa. Le frasi sullequali mi sono soffermato aprono scenari im-mensi di impegno e di ricerca della volontà diDio.

Il Piano Pastorale vi presenterà in modo siste-matico e ordinato tutti i contenuti che saremo

chiamati a conoscere e realizzare con il no-stro impegno.

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Approfitto di quest’occasione perringraziare tutti coloro che, all’in-terno dei diversi Dipartimenti dellaCuria, si sono adoperati per sten-dere il Piano Pastorale, così cometutti i componenti dei diversi Organismi di par-tecipazione che hanno dato il loro contributo du-rante la fase del discernimento. A me stava acuore, attraverso questo scritto, comunicarvi ciòche io stesso ho inteso della Parola e manifestare,semplicemente, quanto ritengo che Dio ci stiachiedendo in questa precisa stagione della nostravita ecclesiale.

Su quanto vi ho scritto e sul mio impegnopastorale chiedo la preghiera di tutti voi. Pre-gate per me e per tutti i sacerdoti, affinché ilSignore ci doni un cuore sapiente che desi-deri solo la realizzazione della sua volontà inuno stile di gratuità e generosità.Venga in nostro aiuto la Vergine Santissima; Leiche tante volte ha attraversato la strada, che si èmessa in viaggio per raggiungere la cugina Elisa-betta, che ha accompagnato e seguito il Figlionel suo continuo peregrinare lungo le stradedella Palestina. Ci aiuti Lei, la Vergine corag-giosa, che ha saputo affrontare ogni situazionecon cuore materno e forte e che neanche nel mo-mento della croce ha ceduto alla tentazione dimollare tutto.

Ci prenda per mano la Madre che ha fattodella sequela lo stile della Sua vita. Ci soccorranei momenti della nostra stanchezza affinchémai smarriamo la vocazione di essere Chiesagioiosa che ha ancora un tesoro da an-nunciare e che sa stare insonne fino a

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quando la più piccola e la più fragile fra le crea-ture non torni a sentirsi amata da Dio, a talpunto - come Bartimeo - di balzare in piedi edesultare interiormente per cantare: «L’animamia magnifica il Signore!».

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In copertina: R. Politi, Guarigione del cieco nato (particolare),

olio su tela, sec. XIX.Siculiana (AG) Santuario SS. Crocifisso.