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L’eroe nella poesia epica L’eroe nel mito L’intelligenza dell’eroe tra metis e dolos Il teatro greco L’eroe nella tragedia attica L’eroe nell’epica latina OBIETTIVI 1a Chiarire il passaggio dalla narrazione orale alla trascrizione dei miti. 1b Seguire l’evoluzione dal mito, alla poesia epica, alla tragedia attraverso la figura dell’eroe. 2a Per la figura dell’eroe nel mito, riconoscere la presenza di tratti fissi: caratteristiche comuni ai diversi eroi e situazioni ricorrenti in vicende differenti. 2b Vedere come nella poesia epica gli eroi si trasformano in personaggi che si integrano nel contesto sociale di cui esemplificano i valori più alti. 3a Conoscere la nascita del teatro greco e della tragedia. 3b Vedere come la tragedia attica riprende le vicende del mito e dell’epica, arricchendo di particolari le vicende degli eroi. V. JACOMUZZI, M.R. MILIANI, A. NOVAJRA, F.R. SAURO, Trame e temi © SEI 2011 1 on line volume B

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L’eroe nella poesia epica

L’eroe nel mito

L’intelligenza dell’eroe trametis e dolos

Il teatro greco

L’eroe nella tragedia attica

L’eroe nell’epica latina

OBIETTIVI

1a Chiarire il passaggio dallanarrazione orale allatrascrizione dei miti.

1b Seguire l’evoluzione dal mito,alla poesia epica, allatragedia attraverso la figuradell’eroe.

2a Per la figura dell’eroe nelmito, riconoscere la presenzadi tratti fissi: caratteristichecomuni ai diversi eroi esituazioni ricorrenti invicende differenti.

2b Vedere come nella poesiaepica gli eroi si trasformanoin personaggi che siintegrano nel contestosociale di cui esemplificano ivalori più alti.

3a Conoscere la nascita delteatro greco e della tragedia.

3b Vedere come la tragediaattica riprende le vicende delmito e dell’epica,arricchendo di particolari levicende degli eroi.

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La vera ragione della prodezza eroica è altrove; non dipende da calcoli utilita-ristici, né dal bisogno di prestigio sociale, ma è di ordine, si potrebbe dire, me-tafisico: è cioè legata alla condizione umana, che gli dei hanno fatto non soltantomortale, ma anche soggetta, come per tutte le creature di quaggiù, dopo il fio-rire della giovinezza, al declino delle forze e all’invecchiamento. L’impresa eroi-ca si radica nella volontà di sfuggire alla vecchiaia e alla morte, per quanto “ine-vitabili” esse siano, e di superare entrambe. Si va oltre la morte se la si accet-ta invece di subirla, facendone la posta in gioco costante di una vita che assu-me così valore esemplare e che gli uomini celebreranno come un modello di “glo-ria imperitura”. Gli onori resi alla sua persona vivente, che l’eroe perde quandorinuncia alla lunga vita per scegliere la rapida morte, li riacquista centuplicati nel-la gloria che circonderà il suo personaggio di defunto per tutti i tempi a venire.J.P. Vernant, La morte eroica in L’individuo, la morte, l’amore, Raffaello Cortina, Milano 2000.

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L’eroedalmitoalla tragedia attica

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LA TRASCRIZIONE DEI MITIIl mito è un particolare tipo di racconto che ha come oggetto eventi svoltisi in untempo remoto, diverso da quello attuale, e come protagonisti creature partico-lari: dei, demoni, eroi e, in alcuni casi, animali. I miti appartengono al patrimo-nio tradizionale di una comunità e vengono tramandati oralmente da speciali nar-ratori, che li raccontano in pubblico in occasioni legate a momenti religiosi e scan-dite da specifici riti. Narrare miti e eseguire riti sono attività sociali che han-no come finalità principale la costituzione, la conservazione e il rafforzamento diuna comunità. Una delle conseguenze della trasmissione orale dei miti è che dallo stesso rac-conto vengono generate varianti diverse, non sempre tra loro coerenti. Questofenomeno si attenuerà solo con l’invenzione della scrittura quando l’atto della tra-scrizione conferirà alle storie mitiche la forma stabile e definitiva in cui noi le co-nosciamo. La formalizzazione di una particolare variante del mito da parte di scrittori pre-stigiosi ne garantisce l’immortalità ma non comporta l’immediata sparizione del-le altre possibili versioni dello stesso racconto. Per questo motivo i mitografi chea partire dal IV secolo a.C. compilano raccolte sistematiche di miti cercano di ap-pianare le contraddizioni presenti tra le diverse storie in vari modi.I canali scritti attraverso cui il ricco patrimonio mitologico è pervenuto sono lapoesia epica, la letteratura erudita e la tragedia, generi assai diversi tra loroma accomunati dal loro carattere profano1. Gli scrittori antichi infatti, dall’età clas-sica in poi, si avvicinano ai miti con finalità letterarie più che religiose e la ste-sura di queste narrazioni avviene fuori dal contesto sacro e rituale in cui esse sononate.

DEI ED EROI Protagonisti di numerosi miti greci sono gli eroi, personaggi a metà tra gli uo-mini e gli dei che Omero ed Esiodo definiscono emìtheioi, cioè “semidei”, e il fi-losofo Aristotele afferma essere fisicamente e spiritualmente «superiori ai comunimortali».La differenza più notevole tra gli eroi e gli dei sta nel fatto che le divinità sono,per definizione, eterne e immortali, mentre gli eroi sono vissuti – seppure in modomitico e non storico – in un passato di lotte, conflitti e pericoli, hanno compiutoazioni decisive per il genere umano e infine sono morti, anche se in qualche mitosi parla di eroi che invece di morire vengono rapiti e condotti all’isola dei Beatio trasferiti direttamente sull’Olimpo.

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L’eroenel mito

1. profano: l’aggettivoprofano significa “privo dicarattere sacro, che nonha attinenza con lareligione né con ciò chead essa è connesso”. Iltermine deriva dal latinoprofanum che alla letteravuol dire “che stadavanti, fuori (pro) dalrecinto sacro del tempio(fanum), e ha comeopposto semantico laparola sacro.

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

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lʼeroe nel mito

Né dei né uomini, gli eroi si qualificano in relazione alla funzione che viene loroattribuita. Possono essere eroi civilizzatori, ossia fondatori di istituzioni civili oeconomiche, eroi antenati, cioè fondatori di stirpi o popoli, o eroi eponimi, fi-gure da cui prendono nome luoghi geografici.La poesia epica antica definiva eroi esclusivamente coloro che avevano combattutoa Troia e a Tebe. Tuttavia a partire dal VI secolo anche uomini reali – ma ecce-zionali sotto qualche aspetto – dopo la morte ottengono la qualifica di eroi: i pri-mi casi di eroizzazione di personaggi umani riguardano gli oikistai (fondatori dinuove colonie) e gli atleti vincitori di gare, mentre alla fine del V secolo anche iltragediografo Sofocle viene venerato come eroe dopo la morte.

IL CULTO DEGLI EROIIl culto degli eroi, la cui origine risale al-l’epoca micenea (XVII-XII secolo a.C), èpubblico e si concentra nei pressi del-la loro tomba, l’heroion, dove vengonocelebrati rituali analoghi a quelli desti-nati alle divinità infere in quanto i sacrificiavvengono di notte e le vittime sono ani-mali neri con la testa volta verso terra.Una delle ragioni di questo culto è co-stituita dalla protezione che l’eroeassicura alla propria città in guerra.Si narra che a Maratona fu visto Teseoa capo delle truppe ateniesi, mentre i cit-tadini di Locri lasciavano nel loro eser-cito un posto per Aiace Oileo e primadella battaglia di Salamina gli ateniesiinvocarono Aiace e suo padre Telamonechiedendo loro aiuto e sostegno.

I CARATTERI DELL’EROEL’analisi dei miti centrati sulla figura del-l’eroe rivela la presenza di tratti costantiche accomunano personaggi diversi edi situazioni analoghe che riaffioranoin storie mitiche differenti.

Quasi tutti gli eroi sono figli di divinità che si sono unite con un essere mor-tale e proprio a causa della loro nascita “illegittima” spesso da bambini sono espo-sti o abbandonati nelle acque da cui vengono fortunosamente salvati. La ricor-renza di situazioni di partenza tanto rischiose introduce un altro tratto tipico de-gli eroi, ossia la loro capacità di sopravvivere in condizioni estreme e di com-piere gesta prodigiose e straordinarie.Anche dal punto di vista fisico gli eroi presentano caratteri insoliti e particolariche manifestano la loro diversità rispetto agli uomini comuni. Secondo il mito il

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L’interno del Tesoro di Atreo a Micene, XIII secolo a.C.

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

corpo di Achille è potente e smisurato, le ossa di Oreste rinvenute a Tegea ri-velano una statura di sette cubiti (un cubito corrispondeva a circa cinquanta cen-timetri!) ed Eracle è dotato di una triplice fila di denti.Un altro tratto che accomuna gli eroi, distinguendoli decisamente dalle divini-tà, è il loro ruolo di combattenti. Infatti, nonostante molti dei abbiano combat-tuto in un passato mitico per consolidare la loro posizione e combattano anco-ra intervenendo nei conflitti umani, essi non possono essere considerati veri epropri guerrieri poiché, in quanto immortali, non rischiano la vita. I combattimentisostenuti dagli eroi – che sono sempre monomachie perché tutti gli eroi sonoesseri solitari – hanno invece sempre come esito finale la loro morte o quelladegli avversari.

LE SITUAZIONI RICORRENTIUna circostanza narrativa ricorrente nei miti eroici è costituita dal racconto del-le peregrinazioni dei protagonisti, spesso costretti ad allontanarsi dalla patriad’origine a causa di guerre o atti colpevoli e ad affrontare lunghi e difficoltosi viag-gi o vagabondaggi solitari durante i quali combattono con avversari di varia na-tura, fondano nuove città o stabiliscono speciali rapporti con i luoghi che accolgonole loro spoglie mortali. Il fatto poi che molti eroi mitici (per esempio il tebano Edi-po e l’argivo Oreste) nel loro incessante vagare passino immancabilmente perAtene può essere considerato una rappresentazione mitica e simbolica dell’ef-fettiva egemonia politica della città attica.Un’altra situazione frequentemente richiamata nei miti è l’uccisione casuale diun personaggio da parte dell’eroe, di cui una variante significativa e altrettantocomune è rappresentata dal caso in cui l’eroe uccide accidentalmente un fa-miliare o una persona di cui solo dopo scopre la vera identità (come acca-de ad Edipo che uccide il padre Laio credendolo un brigante). In altri casi, purnon commettendo materialmente omicidio, l’eroe è causa involontaria della mor-te di un parente (come Teseo che inconsapevolmente spinge il padre Egeo al sui-cidio).Infine, un ulteriore tratto comune a questi racconti è la morte violenta e spes-so prematura del protagonista. Moltissimi eroi muoiono nei combattimenti in-torno a Tebe e a Troia, alcuni vengono trucidati a tradimento (come accade adAgamennone al suo ritorno in patria), altri sono sbranati o fatti a pezzi dai loroantagonisti, altri ancora sono fulminati da Zeus o finiscono vittime di incidenti du-rante gare e sfide di vario genere.

LA COSTRUZIONE DEL PERSONAGGIO-EROEBasandosi sui numerosi elementi mitici ricorrenti, alcuni studiosi sono giuntialla conclusione che i diversi eroi sono frutto della composizione e dell’orga-nizzazione di tratti fissi non riferibili in esclusiva a un singolo personaggio. Il ca-rattere distintivo e peculiare di ciascun eroe deriverebbe perciò dalla diversa com-binazione degli stessi motivi di partenza. L’accentuazione dell’uno o dell’altro trat-to darebbe origine a quelle figure mitiche uniche e inconfondibili che chiamia-mo eroi.

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lʼeroe nella poesia epica

L’EROE DAL MITO ALL’EPICANell’ampio tessuto narrativo del poema epico gli eroi del mito si trasformano inveri e propri personaggi e i loro tratti originari – eccessivi, feroci e a volte di-sumani – si ridimensionano, integrandosi nel contesto sociale in cui sono in-seriti e del quale esemplificano i valori più alti.Nell’Iliade gli eroi sono l’espressione del principio ideale della kalokagathìa se-condo il quale la magnificenza, la forza e l’armonia dell’aspetto fisico riflettonola nobiltà dei valori morali. La figura che rappresenta in modo più emblematicoquesto concetto è quella di Achille, il più temibile dei guerrieri achei, nel qualealla bellezza e all’eccezionale potenza del corpo si abbinano uno straordinariocoraggio e un fortissimo senso dell’onore che lo spingono ad affrontare perico-li e avversari di ogni genere allo scopo di dimostrare la propria superiorità di guer-riero.Anche in Ettore, il maggiore antagonista di Achille, ritroviamo tratti riconducibi-li ai valori della kalokagathìa ma poiché gli eroi mitici acquisiscono spessore dipersonaggi soprattutto grazie alle loro peculiarità individuali, nel guerriero troia-no queste virtù eroiche vengono messe al servizio della comunità. Infatti, pur te-nendo al proprio prestigio di combattente, Ettore si sente eroe in quanto difen-sore della patria, del nucleo familiare e degli dei della sua città.

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L’eroenella poesiaepica

APPROFONDIMENTO

Achille è figlio di Peleo e della dea marina Teti che, secondo un mito, immergeva nel fuoco i figliappena nati per purificarli dalla loro parte mortale. Per questo motivo Peleo le sottrasse il settimo-genito Achille quando le fiamme gli avevano già bruciato un osso del piede destro e lo affidò alcentauro Chirone il quale disseppellì il corpo del gigante Damiso – celebre per la sua velocità nellacorsa –, ne prese un osso e lo mise al posto di quello mancante.Successivamente Peleo (o in altri miti Teti) per scongiurare la profezia secondo cui Achille sarebbemorto sotto le mura di Troia, lo fece nascondere alla corte di Sciro; qui l’eroe, travestito da donna,rimase fino al momento in cui Odisseo, con l’astuzia, smascherò il suo inganno costringendolo apartire.Nell’Achilleide, il poeta latino Stazio (I secolo d.C.) sostiene invece che Teti immerse Achille bambi-no nelle acque dello Stige, rendendo invulnerabile tutto il suo corpo ad eccezione del tallone per ilquale lo teneva e proprio in quel punto successivamente l’eroe fu colpito a morte.Nella rappresentazione che ne dà Omero il tratto della semi-invulnerabilità di Achille non è presentee l’eroe si distingue dai compagni soprattutto per la straordinaria e selvaggia forza fisica.

Achille nel mito

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

VIRTÙ, ONORE EGLORIAIl mondo descritto nell’Iliade riproducela struttura della società micenea –guidata da un’aristocrazia guerriera do-tata di potere e ricchezza e nettamen-te distinta dal popolo – il cui valore do-minante è quello dell’aretè, vale a direla forza e il coraggio fisico e moraleche vanno dimostrati nello scontro conil nemico.L’eroe compie imprese eccezionali alloscopo di ottenere timè kai klèos, “ono-re e fama”, poiché non è sufficiente es-sere forti e coraggiosi, ma occorre chequeste virtù vengano riconosciute so-cialmente. I guerrieri impegnati nellaguerra di Troia, infatti, non combatto-no né per il proprio popolo né per di-fendere un ideale ma per affermare ilproprio valore individuale attraversole gesta gloriose compiute in battaglia.Queste imprese, accolte dai compa-gni come segno di eccezionalità, ven-gono premiate con il bottino di guer-

ra, tripodi di bronzo, armi preziose, donne di rango fatte prigioniere e schiave del-l’eroe: senza questi segni visibili un atto eroico non sarebbe del tutto compiuto.Il riconoscimento esterno, infatti, quando è reso tangibile dagli oggetti ricevutiin dono, manifesta all’eroe che la sua eccezionalità è stata accolta e sancita dalgruppo di cui l’eroe fa parte. Tanto più è consistente e prezioso il premio otte-nuto con l’azione bellica, quanto più l’eroe viene confermato nel suo ruolo e cometale può posizionarsi all’interno della società di cui fa parte (la città, il gruppo deicombattenti in una guerra ecc.).

LA BELLA MORTEIl destino comune a molti eroi mitici di morire precocemente e in modo violen-to è alla base dell’ideale epico della bella morte, che si raggiunge affrontandovalorosamente un nemico di pari forza e dignità. Tutti gli eroi dell’Iliade ricercano con ostinazione la bella morte poiché essa è l’uni-co strumento per ottenere una gloria che non muoia con la loro morte naturalee sottrarre il proprio nome all’inevitabile dimenticanza che cancella ogni tracciadella presenza umana. Poiché i Greci non attribuiscono alcuna importanza allavita nell’oltretomba, configurata come un luogo in cui si aggirano ombre senzamemoria, l’unica immortalità possibile è quella che si realizza nel ricordo dei vivii quali, attraverso il racconto delle imprese eccezionali dell’eroe, legano per sem-pre il suo nome agli ideali eterni di valore, bellezza e coraggio.

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Oplita incombattimento.

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IL BRANOIncalzati dagli Achei, i Troiani si rifugiano all’interno delle mura della cittàmentre Ettore rimane sul campo di battaglia deciso ad affrontare Achille in unduello finale da cui dipende il destino dei due popoli. Il feroce combattimentosi conclude con la sconfitta dell’eroe troiano, la cui fine esemplifica l’idealegreco di “bella morte”: con il suo valore Ettore può acquisire una fama chefarà sopravvivere il suo nome alla dissoluzione del corpo, ma solo a condi-zione che esso possa ricevere un’adeguata sepoltura.

OMERO

Il duello finale tra Achille ed Ettore

quando furon vicini marciando uno sull’altro, il grande Ettore elmo lucente, parlò per primo ad Achille: «Non fuggo più1 davanti a te, figlio di Peleo, come or ora

corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge a starti a fronte, debba io vincere o essere vinto. Su invochiamo gli dei: essi i migliori

255 testimoni saranno e custodi dei patti;io non intendo sconciarti2 orrendamente, se Zeus mi darà forza e riesco a strapparti la vita; ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite3 armi, renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così».

260 E guardandolo bieco,4 Achille piede rapido disse: «Ettore, non mi parlare, maledetto,5 di patti: come non v’è fida alleanza fra uomo e leone, e lupo e agnello non han mai cuori concordi, ma s’odiano senza riposo uno con l’altro,

265 così mai potrà darsi che ci amiamo io e te; fra di noi non saran patti, se prima uno, caduto, non sazierà col sangue Ares,6 il guerriero indomabile. Ogni bravura ricorda;7 ora sì che tu devi esser perfetto con l’asta e audace a lottare!

270 Tu non hai via di scampo, ma Pallade Atena8

t’uccide con la mia lancia: pagherai tutte insieme le sofferenze dei miei, che uccidesti infuriando con l’asta». Diceva, e l’asta scagliò, bilanciandola; ma vistala prima, l’evitò Ettore illustre:

275 la vide, e si rannicchiò, sopra volò l’asta di bronzo e s’infisse per terra; la strappò Pallade Atena, la rese ad Achille, non vista da Ettore pastore di genti.9

Ettore, allora, parlò al Pelide10 perfetto:

genere poemaepico

tratto da Iliade(libro XXII, vv. 248-400)

anno VIII secolo a.C.

luogo Grecia

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E

1. Non fuggo più:precedentemente Ettoreera fuggito davanti adAchille e, inseguito da lui,aveva fatto tre volte ilgiro delle mura dellacittà.2. sconciarti: straziare iltuo cadavere.3. inclite: gloriose.4. bieco: minaccioso,accigliato.5. maledetto: la violentarisposta di Achille ècausata dalla sua iracontro Ettore, che haucciso l’amico Patroclo.6. Ares: il dio dellaguerra.7. Ogni bravuraricorda: fa’ appello atutta la tua abilità diguerriero.8. Pallade Atena: la deaAtena, figlia di Zeus,aveva l’appellativo diPallade che significa“scuotitrice dell’asta”.9. pastore di genti:epiteto che significa“capo”, “condottiero”.10. Pelide: Achille, figliodi Peleo.

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«Fallito! Ma dunque tu non sapevi, Achille pari agli dei, 280 no affatto, da Zeus la mia sorte; eppure l’hai detta.

Facevi il bel parlatore, l’astuto a parole, perché atterrito, io scordassi il coraggio e la furia. No, non nella schiena d’uno che fugge pianterai l’asta, ma dritta in petto, mentre infurio, hai da spingerla,

285 se un dio ti dà modo. Evita intanto questa mia lanciadi bronzo: che tu possa portarla tutta intera nel corpo. Ben più leggera11 sarebbe la guerra pei Teucri,12

te morto:13 ché tu sei per loro l’angoscia più grande». Diceva, e bilanciandola scagliò l’asta ombra lunga;

290 e colse nel mezzo lo scudo d’Achille, non sbagliò il colpo; ma l’asta rimbalzò dallo scudo; s’irritò Ettore, che inutile il rapido dardo14 gli fosse fuggito di mano, e si fermò avvilito, perché non aveva un’altr’asta di faggio; chiamò gridando forte il bianco scudo Deífobo,15

295 chiedeva un’asta lunga: ma quello non gli era vicino. Comprese allora Ettore in cuore e gridò: «Ahi! Davvero gli dei mi chiamano a morte. Credevo d’aver accanto il forte Deífobo: ma è fra le mura, Atena m’ha teso un inganno.

300 M’è accanto la mala morte, non è più lontana, non è inevitabile ormai, e questo da tempo era caro a Zeus e al figlio arciero di Zeus,16 che tante volte m’han salvato benigni. Ormai m’ha raggiunto la Moira.17

Ebbene, non senza lotta, non senza gloria morrò, 305 ma avendo compiuto qualcosa di grande, che anche i futuri18 lo sappiano».

Parlando così, sguainò la spada affilata, che dietro il fianco pendeva, grande e pesante, e si raccolse19 e scattò all’assalto, com’aquila alto volo, che piomba sulla pianura traverso alle nuvole buie,

310 a rapir tenero agnello o lepre appiattato:20

così all’assalto scattò Ettore, la spada acuta21 agitando. Ma Achille pure balzò, di urla empì il cuore selvaggio: parò22 davanti al petto lo scudo bello, adorno, e squassava23 l’elmo lucente

315 a quattro ripari;24 volava intorno la bella chioma d’oro, che fitta Efesto lasciò cadere in giro al cimiero.25

Come la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte, Espero,26 l’astro più bello ch’è in cielo, così lampeggiava la punta acuta, che Achille scuoteva

320 nella sua destra, meditando la morte d’Ettore luminoso, cercando con gli occhi la bella pelle, dove fosse più pervia.27

Tutta coprivan la pelle l’armi bronzee, bellissime,ch’Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;28

là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle 325 dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.

Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,

11. leggera:sopportabile.12. Teucri: Troiani, dalnome di Teucro, mitico redella regione dellaTroade.13. te morto: se tu fossimorto.14. dardo: termine chedefinisce qualunquearma da lancio, quindi siala freccia che la lancia.15. Deífobo: è il fratellominore di Ettore di cuiAtena ha preso lesembianze per ingannareil principe troiano checrede erroneamente dipoter contare sul suoaiuto.16. figlio arciero diZeus: Apollo, armato diarco.17. Moira: la divinità chepresiede alla vitadell’uomo decretandonela fine.18. i futuri: i posteri.19. si raccolse: sirannicchiò per prenderemaggiore slancio.20. appiattato:nascosto.21. acuta: dalla puntaacuminata.22. parò: oppose comeriparo.23. squassava:scuoteva violentemente.24. a quattro ripari: aquattro strati.25. la bella chiomad’oro, che fitta Efestolasciò cadere in giro alcimiero: la crinieradorata che Efesto avevaapplicato al pennacchiodell’elmo (cimiero) diAchille costruito da lui suinvito di Teti, madredell’eroe.26. Espero: il pianetaVenere.27. pervia: accessibilealla lancia.28. ch’Ettore avevarapito, uccisa la forzadi Patroclo: che Ettoreaveva sottratto alcadavere di Patroclodopo averlo ucciso.

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dritta corse la punta traverso al morbido collo; però il faggio greve29 non gli tagliò la strozza,30

così che poteva parlare, scambiando parole.330 Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso:

«Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo, di restare impunito: di me lontano non ti curavi, bestia! ma difensore di lui, e molto più forte, io rimanevo sopra le concave navi,

335 io che ti ho sciolto i ginocchi.31 Te ora cani e uccellisconceranno sbranandoti: ma lui32 seppelliranno gli Achei». Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente:«Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani

340 degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,33

i doni che ti daranno il padre e la nobile madre:rendi il mio corpo alla patria, perché del fuocodiano parte a me morto34 i Teucri e le spose dei Teucri».Ma bieco guardandolo, Achille piede rapido disse:

345 «No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere mea tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai fatto:nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne,nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto

350 o mi pesassero qui, altro promettessero ancora;

lʼeroe nella poesia epica

29. il faggio greve: lapesante asta di faggio. Lalancia era nei duelli laprincipale arma d’offesa.30. la strozza: la gola.31. io che ti ho sciolto iginocchi: io che ti houcciso, privandoti delvigore. Le ginocchiaerano considerate la sededella forza vitale.32. lui: Patroclo.33. oro e bronzoinfinito: un abbondanteriscatto di oggetti d’oro edi bronzo.34. del fuoco dianoparte a me morto:possano bruciare il miocadavere.

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Oplita in corsa con iltipico scudo nella manosinistra e la lancia inquella destra, lastra interracotta dipinta del VI secolo a.C.

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nemmeno se a peso d’oro vorrà riscattarti Priamo Dardanide,35 neanche così la nobile madre piangerà steso sul letto il figlio che ha partorito, ma cani e uccelli tutti ti sbraneranno».

355 Rispose morendo Ettore elmo lucente:«Va’, ti conosco guardandoti! Io non potevopersuaderti, no certo, ché36 in petto hai un cuore di ferro.37

Bada però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi,38

quel giorno che Paride e Febo Apollo39 con lui360 t’uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee».40

Mentre diceva così, l’avvolse la morte:la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.Rispose al morto il luminoso Achille:

365 «Muori! La Chera io pure l’avrò,41 quando Zeusvorrà compierla e gli altri numi immortali».[…]

395 Disse, e meditò ignominia contro Ettore42 glorioso:gli forò i tendini dietro ai due piedidalla caviglia al calcagno, vi passò due corregge43 di cuoio,lo legò al cocchio, lasciando strasciconi la testae balzato sul cocchio, alte levando44 le nobili armi,

400 frustò per andare: vogliosi45 i cavalli volarono.da Omero, Iliade, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1990

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volumeB

35. Dardanide:discendente di Dardano.36. ché: perché.37. un cuore di ferro:un animo duro,insensibile.38. numi: dei.39. Febo Apollo: Febo èun appellativo di Apolloche significa “luminoso”.40. sopra le Scee: sulleporte della città di Troia.41. La Chera io purel’avrò: anch’io sonodestinato a morire. LaChera è un demone cherapisce le anime perportarle nel mondo degliinferi.42. meditò ignominiacontro Ettore: decise dioltraggiare il corpo delglorioso Ercole.43. corregge: cinture.44. alte levando:sollevando verso l’alto.45. vogliosi: ubbidienti.

Fabbricazione dellearmi di Achille in un affresco del I secolo d.C.

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lʼeroe nella poesia epica

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STRUMENTI DI LETTURAI temi

La gloria imperitura: la condizione dell’eroeomerico è tragica e paradossale in quantoegli può raggiungere l’immortalità solomorendo. Per questo motivo, nel corso delsuo duello con Achille, Ettore cerca ostinata-mente la bella morte, disposto a subire i colpidell’avversario fino allo stremo e con onore,senza fuggire voltando le spalle all’avversario(vv. 283-284 No, non nella schiena d’uno chefugge pianterai l’asta, / ma dritta in petto,mentre infurio, hai da spingerla). Tuttavia, perché il nome del guerriero vengaconsegnato ai posteri, il suo corpo deve es-sere onorato con riti funebri che gli permet-tano di passare dalla condizione di essereumano vivo, inserito in un tessuto di relazionisociali, a quello di morto degno di essere ri-cordato. Infatti la mancanza di un rito funebre im-pedisce alla psychè – lo spirito che lascia ilcorpo dopo la morte – di accedere all’Adee disonora l’eroe, sottraendogli la gloria im-peritura che meriterebbe per il suo coraggio(v. 305 ma avendo compiuto qualcosa digrande, che anche i futuri lo sappiano). Perquesto, prima di dare inizio al combattimentofatale, Ettore propone ad Achille un patto cheimpegni il vincitore a restituire le spoglie delnemico (vv. 256-259 io non intendo sconciartiorrendamente, / se Zeus mi darà forza e riescoa strapparti la vita; / ma quando, o Achille, t’ab-bia spogliato l’inclite armi, / renderò il corpo

agli Achei: e anche tu fa’ così) affinché esse ri-cevano i meritati onori e diano all’eroe famaimmortale.L’oltraggio al cadavere: nel rifiutare la pro-posta di Ettore, Achille esprime la volontà di vendicare la morte di Patroclo abbando-nando il corpo del nemico agli uccelli e ai caniaffinché lo divorino e ne facciano scempio(vv. 335-336, v. 348, v. 354). La minaccia diAchille e il terrore con cui l’indomito Ettore laaccoglie sono spiegabili se si considera l’im-portanza che l’integrità del cadavere assumenei rituali funebri greci. Nell’Iliade i cadaveridei guerrieri morti in battaglia vengono lavati,cosparsi d’olio, profumati e ornati di stoffepreziose; successivamente vengono espostisul letto funebre per il lamento delle donneed infine bruciati; dopo il rogo le loro ossavengono deposte nella tomba nei cui pressiviene eretta una stele allo scopo di ricordareil nome e le imprese dell’eroe, rendendoneeterne la giovinezza e la bellezza che conti-nueranno a vivere nei pubblici encomi e neicanti epici.Non restituire o profanare il corpo del-l’avversario significa di fatto impedirgli diaccedere alla condizione di morto glo-rioso, condannandolo all’ignominia estrema.Il cadavere sporcato di polvere, tanto stra-ziato da essere irriconoscibile, smembratodagli animali o abbandonato alla decompo-sizione rappresenta l’esatto contrario dellabella morte, perché la mancata sepoltura im-pedisce all’anima dell’eroe di varcare le porte

Partenza di un soldatoper la guerra raffiguratasu un vaso dell’VII secolo a.C.

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dell’Ade e alla comunità di perpetuare, me-diante la tomba, il ricordo del suo nome edelle sue gesta. Solo il corpo integro, bellocome bello è stato in vita l’eroe, può renderecompleta e piena la “gloria” (in greco il kléos),che ogni eroe cerca, in pari misura con gli attidella sua vita e con la sua morte.

I personaggiL’intervento degli dei: nel mondo omericovittorie e sconfitte non sono mai comple -tamente nelle mani di chi combatte ma di-pendono dalla volontà degli dei. Questacon sapevolezza da un lato spinge gli eroi al-l’azione, alimentando la convinzione che unintervento soprannaturale possa risolvereanche le circostanze più difficili, dall’altrocostituisce l’aspetto più tragico del loro de-stino in quanto, se le divinità sono ostili,nessuno sforzo può garantire il successo diun’impresa.In quest’episodio risulta decisivo l’interventodella dea Atena, da cui Achille si sente so-stenuto mentre scaglia la sua lancia control’avversario (vv. 270-271 Tu non hai via discampo, ma Pallade Atena / t’uccide con lamia lancia) poiché prima ella restituisce al-l’acheo l’arma che ha fallito il colpo (vv. 276-277 la strappò Pallade Atena, / la rese adAchille, non vista da Ettore pastore di genti)poi, assunte le sembianze di Deìfobo, induceEttore ad affrontare da solo il furore di Achille,(vv. 294-295 chiamò gridando forte il biancoscudo Deífobo, chiedeva un’asta lunga: maquello non gli era vicino).Nell’Iliade accade di frequente che gli dei nonsi comportino in modo leale per favorire conogni mezzo i loro protetti tanto che Zeus èspesso costretto a richiamarli all’ordine affin-ché i loro interventi non ostacolino i disegnidella Moira.

Le parole chiaveLa Moira: Moira in greco significa “parte”. In-fatti proprio questo si tratta: a ciascuno è as-segnata la propria “parte” fin dalla nascita econ essa una porzione di beni e di mali che èinevitabile. La Moira è una forza impersonalee inflessibile che impone una legge che nonpuò essere trasgredita da nessuno poiché ciòaltererebbe l’ordine del mondo. È la Moira ilvero arbitro delle vicende umane e nean-che Zeus conosce le sue decisioni. Pocoprima che inizi lo scontro vero e proprio, in-fatti, Zeus pesa le sorti dei due eroi sulla suabilancia d’oro, scoprendo in quel momentoche quello destinato a morire è Ettore. Soloallora ad Atena è concesso scendere sul

campo di battaglia per l’ultimo ingannevolema risolutivo intervento a favore di Achilleche consentirà di attuare le decisioni dellaMoira. Di fronte alla Moira anche Ettore è co-stretto ad arrendersi, consapevole del fattoche la sua vita è giunta al termine e che nep-pure gli dei che fino a quel momento lo hannoprotetto potranno più aiutarlo (v. 303 Ormaim’ha raggiunto la Moira).La Moira, che in Omero è una forza inevitabilee astratta, viene personificata già nelle operedi Esiodo nella figura di tre filatrici, per l’ideache la vita è assimilabile a una tessitura.Atropo, Cloto e Lachesi, le Moire, sono dun-que le tre sorelle tessitrici che regolano la du-rata della vita degli uomini, rappresentata daun filo che la prima tende, la seconda avvolgee la terza taglia al momento della morte. Nes-suno ha la possibilità di distogliere le treMoire dalla loro opera eterna di tessitura, nédi conoscerne in anticipo l’opera che andràaccettata con inevitabile necessità.

Fabula e intreccioNelle parole che Ettore morente rivolge adAchille troviamo un esempio di prolessi, poi-ché il troiano anticipa la fine dell’eroe acheoper mano di Paride (vv. 358-360 Bada però,ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi, / quelgiorno che Paride e Febo Apollo con lui /t’uccideranno, quantunque gagliardo, soprale Scee) in modo analogo a quanto in prece-denza aveva fatto Patroclo in una circostanzasimile (vedi a p. 50). Ogni volta che un uomosi avvicina alla morte ha uno squarcio di pre-veggenza e anticipa con veridicità avveni-menti del futuro. Sotto questo aspetto l’Iliadedimostra il proprio legame con l’epica oralepoiché si ripropongono situazioni fisse che siripetono nel poema. Si tratta di episodi for-mulari, che permettevano al poeta epico difacilitare la sua performance orale e nellaforma scritta riproponevano situazioni ricor-renti, nelle quali il pubblico riconosceva l’in-dicazione di un modello di comportamento odi una informazione significativa.

La lingua e lo stileAnche in questo episodio l’autore fa largouso di epiteti che si riferiscono ai due prota-gonisti e alludono soprattutto alle loro pecu-liarità di combattenti. Achille è detto piederapido (vv. 260, 344) per la velocità che du-rante i combattimenti gli consente di spo-starsi rapidamente, mente Ettore è elmolucente (vv. 249, 337, 355) perché la sua im-ponenza e il suo coraggio lo rendono visibileda qualunque punto del campo di battaglia.

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LABORATORIOlʼeroe nella poesia epica

Labo

rato

rio

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volumeB14

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diffic

oltà

e a ciascuna attribuisci un titolo sotto forma di pro-posizione. Dividi il brano in sequenze11

Produzione

diffic

oltà

I temi Per quale ragione ideale Ettore, pur consapevole della morte imminente, de-cide di combattere fino alla fine? Trascrivi le frasi in cui l’eroe spiega i moti-vi del proprio comportamento.

Con quali azioni Achille cerca di profanare il cadavere di Ettore?

I personaggi Da quali divinità si sentono protetti i due eroi?

In quale momento Ettore comprende di essere stato abbandonato dagli dei?

Le parole chiave Anche Achille fa un indiretto riferimento al’inesorabile destino che regola lavita di tutti gli uomini: in quale punto dell’episodio?

La lingua e lo stile Individua gli epiteti con i quali vengono definiti i due eroi e spiega quali di essisottolineano le caratteristiche specifiche dei personaggi e quali, invece, sonogenerici e quindi riferibili indifferentemente all’uno o all’altro.Trova poi un esempio di epiteto riferito ad un oggetto inanimato.

10Vedi a p. 10

9Vedi a p. 14

8

7Vedi a p. 8

6

5Vedi a p. 14

Analisi

diffic

oltà

Quale accordo propone Ettore ad Achille prima di iniziare il duello?

Qual è la risposta di Achille?

In quale punto del corpo Achille ferisce Ettore?

Come si conclude il combattimento?4

3

2

1

Comprensione

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

LA METISSe le qualità distintive della maggior parte degli eroi sono la forza fisica e il va-lore guerriero, molti sono i protagonisti dei miti celebri per l’astuzia con cui rie-scono a portare a termine imprese apparentemente disperate. I Greci definisconometis quella particolare forma d’intelligenza fatta di accortezza, prudenza edefficacia pratica che si rivela indispensabile nelle situazioni incerte e che, gra-zie ad accorgimenti, artifici, inganni e stratagemmi di vario genere, fa trionfarechi – meno potente dell’avversario – sembrerebbe destinato alla sconfitta.A differenza degli uomini comuni, l’eroe dotato di metis è in grado di progetta-re – cioè di anticipare nella mente le conseguenze delle proprie azioni orientan-do il corso di un futuro oscuro per definizione – e di attendere il momento adat-to per agire rapidamente ma non sotto la spinta dell’impulso. Essere dotato dimetis significa dunque possedere abilità, astuzia e pazienza, doti tanto impor-tanti quanto il coraggio e la forza fisica.L’eroe greco simbolo della metis è Odisseo, che nell’Iliade svolge un ruolo de-terminante nella vittoria achea e nell’Odissea è protagonista di un lungo e tor-mentato viaggio di ritorno verso casa, altro tema ricorrente nei miti eroici.

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APPROFONDIMENTO

Nei poemi omerici Odisseo è detto figlio di Laerte e Anticlea, mentre altre tradizioni sostengono chela madre lo avrebbe concepito con Sisifo, lo scaltrissimo figlio di Eolo che dopo la morte riuscì conl’astuzia a sfuggire all’oltretomba e a tornare sulla terra.Divenuto adulto, Odisseo sostituisce Laerte nel governo dell’isola di Itaca. È lui a consigliare aTindaro, padre della bella Elena, di far giurare ai molti pretendenti della ragazza che rispetteranno lascelta matrimoniale e aiuteranno il prescelto a far valere i propri diritti nel caso qualcuno li metta indiscussione. Ed è a causa di questo impegno che, quando Paride sottrae Elena a Menelao, moltieroi sono obbligati a partecipare alla guerra contro Troia.Anche Odisseo è tenuto a partire per Troia ma, secondo una tradizione posteriore a Omero, giungea fingersi pazzo per evitarlo. Smascherato da Palamede, è costretto a mettersi in viaggio alla testadi dodici navi. Nel corso del lungo conflitto entra a far parte del consiglio dei capi achei, assumen-do il ruolo di mediatore e consigliere di Agamennone e portando a termine numerose imprese nellequali dimostra la propria metis: a lui è attribuita l’idea della costruzione del cavallo di legno cheprovocherà la disfatta della città assediata.A guerra conclusa, Odisseo intraprende un lungo nóstos (viaggio di ritorno verso casa) alla fine delquale approda a Itaca dove con un’ulteriore prova di astuzia riesce a sconfiggere i pretendenti diPenelope che hanno occupato il suo palazzo e a riprendere possesso del regno.

Odisseo nel mito

L’intelligenza dell’eroetra metis e dolos

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lʼintelligenza dellʼeroe tra metis e dolos

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IL DOLOS: L’INGANNO COME NECESSITÀ Protetto da Atena, Odisseo è per definizione il molto astuto (polymetis) e il mol-to abile (polyméchanos). La sua metis si manifesta sotto forme sempre diverseperché le difficoltà che deve affrontare sono mutevoli e cangianti come la vitastessa e richiedono grande duttilità mentale. La maggiore abilità di Odisseo con-siste nel dissimulare le proprie intenzioni presentandosi per quello che non è, oc-cultando le sue trappole sotto un’apparenza rassicurante o seducente. Per que-sto motivo, se da un lato la sua metis suscita ammirazione poiché spesso si ri-vela più preziosa e risolutiva della forza, dall’altro essa assume talvolta la con-notazione negativa del dolos, ossia dell’inganno.In effetti, in molti miti preomerici Odisseo è presentato soprattutto come auto-re di imbrogli e subdole macchinazioni che non trovano spazio nell’Iliade e nel-l’Odissea probabilmente perché risultano estranee al sistema di valori su cui sonocostruiti i due poemi nei quali, invece, gli inganni architettati dall’eroe vengono“idealizzati”, cioè giustificati come inevitabili e finalizzati alla realizzazione di unanobile impresa. Nell’Iliade, ad esempio, l’episodio in cui, insieme a Diomede, Odis-seo rapisce i velocissimi cavalli bianchi di Reso, sterminando a tradimento nelsonno dodici guerrieri nemici, viene presentato come un’azione necessaria perconseguire la conquista di Troia. Nel mondo omerico non esiste quindi contrapposizione tra metis e dolos, nésu queste qualità viene espresso un diverso giudizio morale, in quanto esse ap-paiono strettamente e intrinsecamente collegate. Il dolos non è altro che lo stru-mento di cui si serve la metis per perseguire un obiettivo legittimo, sia esso con-quistare una città o fare ritorno in patria.

Odisseo nell’Adesacrifica il montone per propiziarel’incontro con Tiresia,particolare da un vasodel IV secolo a.C.

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genere poemaepico

tratto da Odissea(libro X, vv. 210-399)

anno VIII secolo a.C.

luogo Grecia

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IL BRANOCon l’unica nave scampata alle tempeste e un drappello di sopravvissuti Odis-seo giunge all’isola di Eèa, abitata dalla bellissima maga Circe, figlia del Sole.Un piccolo gruppo di uomini parte per esplorare il territorio ma rimane vittimadegli incantesimi di Circe che trasforma i compagni di Odisseo in maiali e lirinchiude in un recinto. Il compito dell’eroe appare difficilissimo perché laforza e il coraggio nulla possono contro la potenza dei sortilegi della maga,ma la sua astuzia e l’intervento determinante del dio Ermes gli permettono dicapovolgere a proprio vantaggio una situazione disperata.

rovarono in un vallone la casa di Circe,fatta di pietre lisce, in posizione scoperta.E intorno c’erano lupi montani e leoni,

che lei stregò, dando farmachi tristi.1

Questi non si lanciarono sugli uomini, anzi,215 con le code diritte a carezzarli si alzarono.

Come i cani intorno al padrone, che dal banchetto ritorna,si sfregano; perché porta sempre qualche dolce boccone;così intorno a loro i lupi zampe gagliarde2 e i leonisi sfregavano; allibirono quelli a veder mostri paurosi.3

220 Si fermarono nell’atrio della dea trecce belle,4

e Circe dentro cantare con bella voce sentivano,tela tessendo grande e immortale, come sono i lavori delle dee, sottili e splendenti e graziosi.Fra loro prendeva a parlare Políte capo di forti,

225 ch’era il più caro per me dei compagni e il più accorto:«O cari, qui dentro una che tesse gran telasoave canta, e tutto il paese ne suona;o donna o dea. Su, presto, chiamiamo!»Così disse e quelli gridarono chiamando.

230 Subito lei, uscita fuori, aperse le porte splendentie li invitava; e tutti stoltamente le tennero dietro.Ma Euríloco restò fuori, ché temeva un inganno.Li condusse a sedere sopra troni e divanie per loro del cacio, della farina d’orzo e del miele

235 nel vino di Pramno5 mischiò: ma univa nel vasofarmachi tristi, perché del tutto scordassero la terra paterna.

OMERO

La metis contro la magia:Odisseo e Circe

1. farmachi tristi: filtrimagici dal potere nocivo.2. zampe gagliarde:dalle zampe possenti.3. allibirono quelli aveder mostri paurosi: icompagni sispaventarono vedendo lebelve feroci comportarsiin modo tanto mansueto.4. trecce belle: l’epitetosi riferisce alla bellezzadei capelli di Circe.5. vino di Pramno: unvino forte, molto rinomatonell’antichità.

T

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volumeB18

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E appena ne diede loro e ne bevvero, ecco che subito,con la bacchetta battendoli, nei porcili li chiuse.Essi di porci avevano testa, e setole e voce

240 e corpo: solo la mente era sempre quella di prima.Così quelli piangenti furono chiusi; e a loro Circeghiande di leccio6 e di quercia gettava e corniole7

a mangiare, come mangiano i porci che a terra si voltolano.8

Euríloco tornò indietro, all’agile nave nera,245 notizia a dir dei compagni, a narrarne la sorte crudele.

Ma non poteva formare parola per quanto volesse,sconvolto in cuore dallo strazio terribile: i suoi occhierano pieni di lacrime, l’animo pianto voleva.Ma quando tutti l’interrogammo stupiti,

250 finalmente degli altri compagni narrò la rovina:«Andammo come ordinasti, in mezzo al querceto, Odisseo luminoso,e in un vallone trovammo bella dimora,fatta di pietre lisce, in un luogo scoperto.Dentro una, che gran tela tesseva, cantava armoniosa,

255 o dea o donna. Essi gridarono chiamando.Subito lei, uscita fuori, aperse le porte splendentie ci invitava: e tutti stoltamente le tennero dietro.Ma io rimasi fuori, perché sospettavo un inganno.E son tutti spariti, nessuno di loro

260 è riapparso; a lungo seduto, io son rimasto a spiare».Così raccontava, e io allora la spada a borchie d’argentosulla spalla gettai, grande e bronzea; e l’arco a tracolla;e volevo forzarlo9 a guidarmi per la medesima via.Ma con le due mani le ginocchia afferrandomi, mi supplicava

265 e singhiozzando parole fugaci diceva:«Non mi condurre, non voglio, alunno di Zeus, lasciami!So già che tu pure non tornerai, e nessun altroricondurrai dei compagni: piuttosto, con questi prestissimofuggiamo; ancora, forse, possiamo evitare il mal giorno».10

270 Così parlava, ma io ricambiandolo dissi:«Euríloco, dunque tu resta qui in questo luogomangiando e bevendo, vicino alla nera concava nave.Io però vado, troppo grave dovere mi stringe!»Così dicendo, mi allontanavo dalla nave e dal mare.

275 E quando ormai, movendo per i sacri valloni,di Circe ricca di farmachi stavo per giungere al grande palazzo,allora mi venne incontro Ermes verga d’oro,11

mentre arrivavo alla casa, simile a un giovane eroe,cui fiorisce la prima peluria, bellissima è la sua giovinezza.

280 Mi prese per mano e parlava parola, diceva:«Dove, o infelice, per questi colli vai solo,ignaro del luogo? I tuoi compagni in casa di Circeson chiusi come maiali, abitando solide stalle.

6. leccio: un tipo diquercia.7. corniole: frutti delcorniolo, di colore rosso econ forma simile all’oliva.8. si voltolano: sirotolano.9. forzarlo: costringerlo.10. il mal giorno: lamorte.11. Ermes verga d’oro:Ermes, divinità prepostaal collegamento tra terrae cielo, porta messaggitra gli dei e gli uomini. Ilbastone d’oro (cadùceo)è segno del suo poteresulla parola, mezzo ditrasmissione dei suoimessaggi.

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12. erba benefica: è ilmoli, una pianta di cuinon si conosce l’identitàe che alcune fonti antichedescrivono come unaliliacea, dalla radice nerae il fiore bianco. Eraritenuta potente antidotocontro la magia.13. acuta: appuntita.14. appena passata lasiepe dei denti: appenamesso in bocca.15. refrattaria agliincanti: che respinge gliincantesimi.16. l’Argheifonte aureaverga: Argheifonte è unepiteto di Ermes e vuoldire uccisore di Argo, ilmostruoso cane dai centoocchi vinto dal dio. Il dioErmes aveva predetto aCirce l’arrivo di Odisseo.17. talamo: letto.18. farmi: rendermi.

E tu per liberarli qui vieni? Io ti dico285 che neanche tu tornerai, ma resterai là con gli altri.

Suvvia, dai pericoli voglio liberarti e salvarti.Tieni, con questa erba benefica12 in casa di Circeentra; il suo potere t’eviterà il mal giorno.Ti dirò anche tutti gli inganni funesti di Circe.»

[Ermes avverte Odisseo che Circe tenterà prima di fargli bere una pozione incantata, poi di colpirlo conuna lunga bacchetta; allora l’eroe dovrà minacciarla con la spada e quando la dea proverà a sedurlo nonpotrà rifiutare il suo amore ma prima dovrà farsi giurare solennemente che ella non tramerà altri in-ganni ai suoi danni.]

Ermete, quindi, se ne tornò all’alto Olimpo,per l’isola folta; e io alla casa di Circeandavo; e molto il mio cuore nell’andare batteva.

310 Mi fermai sulla porta della dea belle trecce,e là fermo gridai; la dea sentì la mia voce.Subito, uscita fuori, aperse le porte splendenti,e m’invitava: e io la seguii sconvolto nel cuore.Mi condusse a sedere su un trono a borchie d’argento,

315 bello, ornato: e sotto c’era lo sgabello pei piedi.Fece il miscuglio per me, in tazza d’oro, perché bevessi,e il veleno v’infuse, mali meditando nel cuore.Ma come me l’ebbe dato e bevvi – e non poté farmi incantesimo –con la bacchetta colpendomi parlava parola, diceva:

320 «Va’ ora al porcile, stenditi con gli altri compagni».Così diceva; e io la spada acuta13 dalla coscia sguainando,su Circe balzai, come deciso ad ucciderla.Lei gettò un urlo acuto, mi corse ai piedi e m’afferrò le ginocchia,e singhiozzando parole fugaci diceva:

325 «Chi e donde sei fra gli uomini? Dove la tua città e i genitori?Stupore mi prende, perché, bevuto il veleno, non hai subíto incantesimo.Nessuno, nessun altro uomo poté sopportare il veleno,chiunque lo bevve, appena passata la siepe dei denti.14

Ma forse nel petto hai mente refrattaria agli incanti;15

330 oppure tu sei Odisseo, l’accorto, che doveva venire,come mi prediceva sempre l’Argheifonte aurea verga,16

tornando da Troia con l’agile nave nera.Ma via, nel fodero la spada riponi, e noi orasul letto mio saliremo, che uniti

335 di letto e d’amore possiamo fidarci a vicenda».Così parlava, ma io ricambiandola dissi:«O Circe, come m’inviti a esserti amico,tu che porci m’hai fatto nel tuo palazzo i compagni,e me ora qui avendo, con inganno m’adeschi

340 a entrare nel talamo,17 a salire il tuo letto,per farmi18 poi, così nudo, vile e impotente?Non vorrò certo salire il tuo letto,

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lʼintelligenza dellʼeroe tra metis e dolos

V. JACOMUZZI, M.R. MILIANI, A. NOVAJRA, F.R. SAURO, Trame e temi © SEI 2011

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La metamorfosi deicompagni di Odisseo,particolare di un vasodel V secolo a.C.

se non hai cuore, o dea, di giurarmi il gran giuramento,che nessun sortilegio trami ancora a mio danno».

345 Così dicevo, e lei subito giurò come volli,e quando ebbe giurato, compiuta la formula,allora solo di Circe salii il letto bellissimo.

[Successivamente le ancelle di Circe lavano e cospargono di unguenti Odisseo e lo invitano a mangiare.]

375 Circe, come s’accorse di me, che sedevo e sul cibonon gettavo le mani, ma avevo troppo dolore,vicino mi venne e parole fugaci parlava:«Perché così, Odisseo, siedi simile a un muto,il cuore mangiandoti,19 e cibo e vino non tocchi?

380 forse altro inganno sospetti? Non devitemere: già l’ho giurato il gran giuramento».Così parlava; e io rispondendole dissi:«O Circe, chi è l’uomo, purché abbia giustizia,20

il quale ardirebbe empirsi21 di cibo e di vino,385 prima che sian liberati i compagni e li abbia visti con gli occhi?

Se con cuore sincero a bere e a mangiare m’inviti,scioglili,22 che li veda con gli occhi, i fedeli compagni».Così dicevo: e Circe uscì attraverso la sala,la verga in mano tenendo, le porte aprì del porcile

390 e fuori li spinse, simili a porci grassi di nove stagioni.23

Quelli le stavan davanti, e lei in mezzo a loroandando, li ungeva a uno a uno con altro farmaco.E dalle loro membra le setole caddero, natedal veleno funesto, che diede loro Circe sovrana:

395 uomini a un tratto furono, più giovani di com’eran prima,e anche molto più belli e più grandi a vedersi.Mi conobbero24 essi, e ciascuno mi strinse la mano,e in tutti, gradita, nacque voglia di pianto: la casaterribilmente echeggiava; la dea stessa provava pietà.

da Omero, Odissea, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1990

19. il cuoremangiandoti: rodendotinell’animo.20. purché abbiagiustizia: che abbiasenso di giustizia.21. ardirebbe empirsi:avrebbe il coraggio dinutrirsi.22. scioglili: liberali.23. di nove stagioni: dinovi anni.24. Mi conobbero: miriconobbero.

STRUMENTI DI LETTURAI temi

Scontro tra pari: per raggiungere i loro obiet-tivi Circe e Odisseo utilizzano gli stessi mezzipoiché entrambi dissimulano la loro vera na-tura e ingannano l’avversario mostrandosi perquello che non sono. Ma in questa contesaOdisseo possiede un’arma in più fornitagli daglidei che lo proteggono poiché, grazie ad Ermes,egli sa ciò che la maga è in procinto di fare edè perciò in grado di guardarsi dai pericoli.

In realtà anche Circe dispone di infor -mazioni utili sull’avversario, dal momentoche lo stesso Ermes le ha predetto l’arrivodell’accorto Odisseo di ritorno da Troia (v. 330). A differenza dell’eroe, però, ellanon sfrutta le proprie conoscenze per agirein modo accorto e prudente, probabilmenteperché si sente sicura della forza dei suoisortilegi ritenendoli sufficienti a tener testaa ogni strategia elaborata da un’intelligenzaumana.

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

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tramata o pensata alcuna astuzia che primanon fosse stata elaborata nella sua mente.

I personaggiLe scelte di Polite e Eurìloco: a differenzadell’eroe acheo, nessuno è immune dal ri-schio di comportarsi stoltamente, nemmenoPolite il quale, nonostante sia considerato ilpiù accorto dei compagni di Odisseo (v. 225),si fa trascinare dalla curiosità mettendo a re-pentaglio la vita dei suoi uomini. Più prudentee accorto è il comportamento di Eurìloco che,temendo un inganno (v. 232), non entra nellacasa stregata e quindi sfugge all’incantesimoe fa ritorno alla nave. La sua prudenza perònon ha niente in comune con quella di Odis-seo perché è dettata esclusivamente dapaura e viltà, come dimostrano il suo mutoterrore seguito da un pianto disperato (vv.246-248), il rifiuto di tornare alla casa di Circee la pressante richiesta affinché la nave ab-bandoni rapidamente l’isola (vv. 268-270).La prudenza e il coraggio: in Odisseo, in-vece, la prudenza si coniuga a coraggio,senso di responsabilità e, soprattutto, ca-pacità di azione e il risolutivo intervento diErmes si verifica solo dopo che l’eroe ha giàpreso la decisione di agire. In questa situazione Odisseo manifesta lapropria metis controllando l’impulso che lospingerebbe ad affrontare la situazione conla forza (vv. 261-263 e io allora la spada aborchie d’argento / sulla spalla gettai, grandee bronzea; e l’arco a tracolla; / e volevo for-zarlo a guidarmi per la medesima via) e te-nendo conto dei suggerimenti e dell’aiutoofferti dalla divinità. La sua scelta rivela l’ade-sione a un codice ideale piuttosto diverso daquello che caratterizzava l’Iliade poiché orala forza e il coraggio fisico non hanno valorein sé ma vanno messi al servizio di un dise-gno razionalmente predisposto.

La lingua e lo stileIl fiabesco: l’atmosfera dell’episodio è ricca dielementi fiabeschi tratti dall’antichissimo ser-batoio della tradizione popolare come filtri in-cantati, pozioni, bacchette magiche, piantemisteriose accessibili solo agli dei, formule ma-giche pronunciate da maghe potenti, aiuti inat-tesi e straordinari a sostegno dei protagonisti.Anche l’ambientazione contribuisce a creareun’atmosfera fatata e fuori dal tempo: la casadi Circe, isolata nel bosco (vv. 211-212), lebelve feroci che si muovono festanti e ami-chevoli (vv. 214-215), il canto soave chegiunge in lontananza (v. 221) irretiscono e at-tirano in trappola i malcapitati che incauta-mente si avvicinano.

Trasformazione in animali: Circe trasforma icompagni di Odisseo in animali e altri avevatrasformato prima di loro. Proprio quegli ani-mali feroci – maiali, lupi, leoni – accolgonomansueti chi si avvicina al palazzo di Circe,mostrando un atteggiamento insolito per belvedi quella forza. Inoltre ragionano come fosserouomini o in modo simile a loro. Circe ha dun-que il potere di trasformare gli uomini, nondando loro uno statuto superiore a quelloumano (come per esempio Calipso, quandovoleva rendere Odisseo un dio), ma uno infe-riore, quello animale. Quale valore ha questatrasformazione? La riflessione attuale sull’epi-sodio mostra che l’intera vicenda è una meta-fora. Nell’isola prima dell’arrivo di Odisseoavevano potere su uomini e cose solo donne,la dea e le sue ancelle, mentre gli uomini pocoaccorti venivano soggiogati e trasformati in ani-mali. Pur avendo zanne, lupi e leoni non attac-cavano, esattamente come se fossero uominiche rinunciavano al loro ruolo: potenzialmentecapi nella società, ammettevano invece di es-sere soggiogati da donne. Odisseo, resistendograzie al moli, alla sua spada e alla sua parola,ristabilisce un ordine che altrimenti, per la men-talità greca, sarebbe stato pericolosamenteposto in discussione e addirittura sovvertito.Gli ascoltatori degli aedi, lo abbiamo detto,sono uomini cresciuti negli ideali della forzaeroica. Odisseo doveva confermare queiprincipi, non smentirli e così secondo le di-rettrici della forza e dell’intelligenza, ricollocaogni cosa al suo posto, secondo gli ideali tra-dizionali, senza spostare dal proprio ruolo chiaveva potere e collocando chi era sottopo-sto al suo ruolo di sottomissione.

Le parole chiaveStolti e accorti: per due volte nell’episodio sidice che i compagni di Odisseo si sono com-portati stoltamente (vv. 231, 257), facendosi in-gannare dalle apparenze e, di conseguenza,finendo vittime delle stregonerie della maga. Es-sere stolti significa quindi non saper valutaregli eventi, fermarsi alla loro superficie e non cal-colare i rischi connessi alle proprie azioni.Odisseo, al contrario, è accorto (v. 330) so-prattutto perché riesce a prevedere gli in-ganni altrui e quindi a difendersene, e inquesto senso può a ragione essere definitoalunno di Zeus (v. 266), il dio che più di ognialtro è in grado di ingannare e smascherare lemacchinazioni. I miti, infatti, sostengono che ilpadre degli dei, nel timore di essere ucciso daun figlio, avesse inghiottito la prima moglieMetis – incinta di Atena – riempiendo cosìtutto se stesso di accorta prudenza (metis),motivo per cui nell’universo non poteva essere

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lʼintelligenza dellʼeroe tra metis e dolos

Labo

rato

rioLABORATORIO

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sul dio Ermes e spiega in 15 righe al massimo per quale mo-tivo, secondo te, egli interviene a favore di Odisseo.

il contenuto del brano assumendo il punto di vista di un narratoreesterno.Riassumi

Fa’ una ricerca

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Produzione

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oltà

I temi Quali indizi segnalano che l’isola di Eèa è un luogo di sortilegi?

Individua nell’episodio i passaggi in cui Odisseo dimostra di essere accortoe prudente.

Nella parte conclusiva de brano, Odisseo si rifiuta di mangiare perché ………………....……

....................................................................................................................................................................................................................................

Secondo te la scelta dell’eroe è dettata da autentica preoccupazione o è frut-to di un disegno?

I personaggi La trappola di Circe si basa sulla sua capacità di sedurre coloro che sbarcanosull’isola: con quali stratagemmi suscita l’interesse e conquista la fiducia de-gli uomini di Odisseo? Motiva la tua risposta.

Le parole chiave Individua e trascrivi termini ed espressioni appartenenti al campo semanti-co dell’incantesimo.

La lingua e lo stile Lo stile formulare è caratterizzato dalla ripetizione pressoché identica di in-teri moduli narrativi: trovane un esempio all’interno dell’episodio.

11Vedi a p. 10

10Vedi a p. 14

9Vedi a p. 8

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6Vedi a p. 14

Analisi

diffic

oltà

Perché Euriloco decide di restare fuori della casa di Circe?

Di quale incantesimo sono vittime gli uomini di Odisseo?

Quale personaggio viene in aiuto di Odisseo sulla strada che lo porta alla di-mora di Circe?

Perché la pozione magica di Circe non ha alcun effetto su Odisseo?

In che modo l’eroe si mette definitivamente al sicuro dagli inganni della maga?5

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Comprensione

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

IL RAPPORTO TRA TEATRO E TRAGEDIAIl teatro è un’invenzione peculiare della cultura greca la cui origine è strettamentelegata a quella della tragedia. È tuttora una questione aperta la definizione del-l’origine e dell’evoluzione del teatro e della tragedia: non intendiamo entrare intemi così complessi, avendo a disposizione poche righe. Per avvicinarci, però,almeno in parte, a una definizione di teatro tragico, citiamo la voce più antica aproposito, quella del filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.) che si riferisce allatragedia come alla «rappresentazione di un’azione seria e compiuta in se stes-sa, avente una determinata ampiezza, […] di persone agenti e non in forma nar-rativa; e che attraverso pietà e terrore consegue l’effetto di liberare da siffatte pas-sioni», aggiungendo che l’elemento più importante della tragedia «è la combinazionedi fatti, poiché essa è un’imitazione (mimesis) non di uomini ma di azione e di vita».

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Il teatro greco

Il sacrificio di Ifigenia,particolare di unaffresco della Casa del Poeta Tragico a Pompei.

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il teatro greco

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La tragedia è una rappresentazioneApprofondiamo il contenuto della citazione di Aristotele, sviluppando tre temi inparticolare. Il primo riguarda il fatto che la tragedia non è in forma narrativa,cioè non nasce come un testo scritto per essere letto, ma anzi per essere rap-presentato da persone agenti, cioè da attori che si muovono, parlano, agisco-no sulla scena, sviluppando un’azione dall’inizio alla fine (un’azione seria e com-piuta in se stessa). La tragedia, cioè, è per i greci un “dramma” (parola che vie-ne dal verbo greco drào, agire), indica una forma artistica che viene agita dapersone che la compiono, imitando ciò che accade nella vita reale. Dei ed eroi,pur essendo personaggi non reali e mitici, sono voci viventi di un dramma cheparla delle azioni e della vita di chi assiste alla rappresentazione.

Pietà e terroreIl secondo aspetto di cui parla Aristotele è che la tragedia si serve di pietà eterrore, cioè di due sentimenti; l’aspetto emotivo, infatti, è molto importante nel-la rappresentazione tragica. La paura e la pietà non sono citate a caso, ma perun motivo, che risponde a una precisa funzione della tragedia. Nello spettaco-lo tragico, infatti, viene portato in scena sempre un “caso limite” di un certo pro-blema (per esempio un figlio costretto a uccidere la madre per adempiere a unalegge) in modo tale che gli spettatori, immedesimandosi nei personaggi, pro-vino compassione (in questo senso va intesa la pietà aristotelica) ovvero “pa-

APPROFONDIMENTO

Il termine tragedia deriva dal greco tragoidía, il cui significato etimologico è “canto dei capri” (datrágos “capro” e oidè “canto”). Secondo alcuni studiosi questa espressione si riferirebbe allemaschere di coloro che partecipavano ad antichi rituali legati al culto di Dioniso, anche se ilprocesso che ha portato da queste arcaiche manifestazioni di carattere magico-religioso alla nasci-ta della tragedia come genere teatrale rimane piuttosto oscuro.Il legame tra teatro, tragedia e culto di Dioniso è testimoniato dal fatto che nel VI secolo a.C. Pisi-strato, tiranno di Atene, istituì dei concorsi che si svolgevano nel corso delle Grandi Dionise oDionise cittadine – celebrazioni in onore del dio Dioniso che si tenevano annualmente all’inizio dellaprimavera – durante le quali i tragediografi si sfidavano presentando al pubblico un’opera (succes-sivamente, una trilogia di opere) che non era destinata alla lettura ma esclusivamente a questaoccasione. E fu lo stesso Pisistrato a definire un apposito spazio per queste rappresentazioni, all’in-terno del recinto sacro a Dioniso Eleutero, sulla pendice sudorientale dell’Acropoli dove sorgeva unantico tempio dedicato al dio. Nel secolo seguente ad Atene venne allestito un teatro secondario nell’agorà (la piazza-mercatodella città bassa) e si inaugurò l’usanza di presentare un dramma satiresco1 a chiusura di ognitrilogia tragica estendendo il concorso drammatico anche alla commedia. Ogni spettacolo venivapreceduto da solenni manifestazioni e alla fine, mediante un complesso sistema di votazione esorteggio, si formulava la graduatoria dei vincitori.

1. Il dramma satiresco: è una forma teatrale antichissima riconducibile al culto del dio Dioniso. In esso gli attori del coro sono travestitida satiri e si muovono sulla scena recitando e danzando vivacemente. Le storie rappresentate nel dramma satiresco sono di generecomico o parodistico e, poste al termine della trilogia tragica, hanno la funzione di sollevare gli spettatori dalla tristezza provocata dagliepisodi luttuosi delle tragedie.

Origini della tragedia

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

tiscano con” il protagonista il suo dramma e lo facciano proprio. Unita alla pie-tà/compassione, gli spettatori proveranno anche paura nel sentire fin dove l’odio,la vendetta, la guerra, la trasgressione della legge ecc. possono portare.I due sentimenti citati da Aristotele, quindi, permettono di comprendere megliola qualità della tragedia, che è fatta per lo spettatore, perché entri in un certoproblema e lo viva, attraverso l’immedesimazione, fino alle sue estreme con-seguenze.

Oltre il drammaQual è il fine di questo processo? Lo dice ancora Aristotele nel suo testo: perconseguire l’effetto di liberare da siffatte passioni. La conseguenza ultima diuna tragedia dunque non è più tra le mura del teatro, ma fuori da quel luogo,nella vita reale. Avere vissuto con partecipazione il dolore che provano i per-sonaggi sulla scena fa comprendere agli spettatori fin dove portano gli atti, i pen-

sieri, i problemi posti dal dramma, in modo da non ripeterli nella vitareale. Il caso estremo portato dalla tragedia veniva posto in tutta

la sua radicalità e non risolto. Attraverso il dramma gli spetta-tori prendevano atto della questione posta dai personaggi

e dalla storia stessa, in modo da elaborarlo nella realtà erisolverlo o almeno avviarlo a una risoluzione. Nell’Orestea di Eschilo, per esempio, si poneva il problemadella legge da seguire, se quella antica o quella recente ela-borata dalla polis; nell’Edipo re di Sofocle il tema del desti-

no, se sia così costrittivo da non permettere libertà di scelta ose permetta un margine di autonomia nelle decisioni umane; nel-la Medea di Euripide la questione della pari dignità di diritti trastranieri e greci. Andare a teatro era dunque prendere atto di quei problemi che,

fuori da quel luogo aspettavano una risoluzione, al di là del mitoe dentro la realtà.

IL TEATRO, SIMBOLO DELLA POLISIn poco tempo gli spettacoli teatrali si diffusero in tutto il mondogreco e nei territori politicamente e culturalmente ellenizzati e l’edi-ficio dove si svolgevano le rappresentazioni diventò – con il tem-pio e l’agorà – il nucleo simbolico di ogni polis. L’importanza delteatro era tale che spettava all’arconte eponimo, la massima ma-gistratura cittadina, l’annuale scelta dei coreghi, coloro i quali do-vevano sostenere la parte maggiore delle spese per l’allestimento

degli spettacoli. Di norma si trattava dei cittadini più ricchi che difficilmente ri-

fiutavano questa onerosa incombenza per non perdere prestigioagli occhi dei concittadini. Era una forma di redistribuzione del-la ricchezza al di là della tassazione. D’altro canto, anche i menoabbienti avevano la possibilità di partecipare alle rappresentazioniperché a chi non poteva pagare l’ingresso agli spettacoli lo statoattribuiva uno speciale sussidio.

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Statuetta col visocoperto da unamaschera tragica.

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il teatro greco

Gli attoriNelle rappresentazioni teatrali gli attori sono esclusivamente maschi e maipiù di tre, anche se il numero dei personaggi del dramma può essere maggiorepoiché ogni attore – che in relazione all’importanza del ruolo viene definito pro-tagonista, deuteragonista, tritagonista – è in grado di interpretare più partisemplicemente cambiando costume e maschera. Nelle tragedie essi indossa-no costumi solenni ma anacronistici, poiché imitano quelli dei personaggi emi-nenti della loro epoca e non corrispondono affatto a quelli in uso nel periodomiceneo nel quale la tradizione colloca le vicende rappresentate.La maschera, elemento tipico di molte cerimonie religiose e funebri, nella rap-presentazione drammatica assolve anche a una funzione pratica, in quanto per-mette agli attori di ricoprire ruoli diversi nello stesso dramma e consente al pub-blico di identificare subito un personaggio in base ai suoi lineamenti caratte-ristici.

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Ricostruzione di unteatro greco del tardoIV secolo. Cavea Scena

Corridoio di ingresso/uscitadegli attori

Orchestra

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

Il coroIl coro è presente in tutte le forme del teatro greco

ed è formato da coreuti maschi anche quandol’opera prevede la presenza di figure femmini-li, il cui numero varia da dodici a quindici nella

tragedia e arriva a ventiquattro nella com-media. Esso è guidato dal corifeo chespesso dialoga con gli attori, fino a po-ter essere considerato un personag-gio vero e proprio. Anche il corifeo ei coreuti indossano maschere e co-stumi adeguati al rango e alla natura dei

personaggi interpretati.Disposto di fronte al pubblico secondo

uno schema quadrangolare, il coro rimane tal-volta in scena per tutta la durata del dramma.

Una delle sue funzioni è quella di rappresenta-re simbolicamente la partecipazione e la condivi-

sione della polis alle vicende narrate e di commenta-re attraverso la voce del corifeo le azioni e le scelte dei

personaggi.

La scenaLa rappresentazione si svolge su una scena aperta su tre lati e delimitata da unfondale costituito inizialmente da una tenda dipinta e poi da una facciata in legno(e in età romana in muratura), sulla quale sono dipinti gli elementi di un edificio,normalmente una reggia. Mancando il sipario, l’azione si sviluppa sempre davantial pubblico e al coro, situazione che impone l’utilizzo di alcuni accorgimenti, comequello di far raccontare da un nunzio gli avvenimenti che non è possibile e con-veniente presentare sulla scena, per esempio la morte di uno dei personaggi.Nel corso delle rappresentazioni è frequente l’utilizzo di macchine di scena comel’ekkiklema, una piattaforma scorrevole su ruote la cui funzione è mostrare un in-terno dove sta avvenendo una parte dell’azione e la mechanè, una gru con un brac-cio girevole manovrata da un argano a mano utilizzata per portare sulla scena dal-l’alto la divinità, che talvolta nel finale dell’opera interviene a risolvere la vicenda.

I poeti tragiciSecondo la tradizione, il primo poeta tragico sarebbe stato il leggendario Tespi,vissuto nel VI secolo, ma i soli tragediografi dei quali ci sono pervenute opere com-plete sono gli attici Eschilo, Sofocle ed Euripide, l’attività dei quali copre qua-si tutto il v secolo a. C.

Ad Eschilo (525-459) vengono attribuite numerose innovazioni nel campo del-la poesia tragica, come l’introduzione del secondo attore grazie al quale il gio-co drammatico risulta potenziato e arricchito. Nelle sue tragedie una funzionedecisiva viene attribuita al coro, che partecipa all’azione esaminando i fatti nelcorso del loro svolgimento, collegandoli reciprocamente e approfondendo leragioni etiche e religiose del conflitto messo in scena.

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Maschera teatrale di terracotta del IV secolo a.C.

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il teatro greco

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Da Eschilo in avanti la tragedia assume una struttura stabile e definitiva: ognirappresentazione inizia con un prologo, cui seguono l’ingresso del coro (pa-rodo) e gli episodi recitati dagli attori intervallati da canti corali (stasimi), perconcludersi con la scena finale (esodo).Ulteriori variazioni vengono realizzate da Sofocle (496-406) che introduce il ter-zo attore, aumenta il numero dei coreuti da dodici a quindici e spezza il lega-me tra i drammi della trilogia tragica, che da questo momento costituiranno uni-tà isolate e in sé compiute. La principale novità del teatro sofocleo consiste perònel fatto che il dramma – più che nell’azione – si svolge nell’animo del pro-tagonista il quale, posto al centro di un conflitto morale, acquista progressi-vamente consapevolezza delle ragioni del proprio destino, emergendo con for-za sugli altri personaggi.Un’altra tappa decisiva nello sviluppo del teatro tragico è costituita dalla pro-duzione di Euripide (485-406) che, mosso ancor più dei suoi predecessori daun continuo bisogno di sperimentazione, elimina definitivamente il legame trai drammi della trilogia, attribuisce grande rilievo agli elementi scenografici e li-mita la funzione del coro a semplice intermezzo musicale. Anche l’architettu-ra delle sue tragedie si presenta molto più varia, tanto che alcune sono imperniatesu un unico personaggio, altre su una coppia, altre su tre, altre addirittura suun gruppo di individui. Euripide è molto attento a indagare le profondità dell’animo umano e costruiscepersonaggi psicologicamente complessi e spesso oscillanti tra stati d’animocontraddittori. Talvolta poi la stessa figura, inserita in contesti drammatici di-versi, è tratteggiata dall’autore da punti di vista differenti.

Il teatro di Epidauro, IV secolo a.C.

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genere tragedia

tratto da Le troiane(vv. 860-1059 nel testo greco)

anno V-IV secoloa.C.

luogo Grecia

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

L’OPERANel prologo dell’opera Le troiane, Poseidone e Atena decidono di distruggerela flotta greca durante il ritorno verso la patria, il primo per vendicare Troia dicui è il fondatore, la seconda perché Aiace le ha mancato di rispetto strap-pando dal suo altare la supplice Cassandra. Sulla scena compare Ecuba, circondata dal coro delle troiane che rievocanola spedizione dei Greci e la distruzione della loro patria e delle loro famiglie.Poi sopraggiunge l’araldo Taltibio che comunica l’assegnazione delle prigio-niere troiane ai vincitori e prende in consegna Cassandra la quale, invasatadal dio, profetizza la morte che attende lei ed Agamennone.Su un carro che trasporta le spoglie di Ettore arriva Andromaca – destinatacome schiava a Neottolemo, il figlio di Achille – con il piccolo Astianatte e aquesta vista il dolore di Ecuba si accende nuovamente.Taltibio ritorna in scena per informare le donne che i Greci hanno deciso di uc-cidere Astianatte, suscitando così una nuova ondata di disperazione. Subitodopo sopraggiunge Menelao, deciso a condurre Elena ad Argo per punirla conla morte del suo tradimento. Senza mostrare alcun segno di pentimento, Elenaprova a giustificarsi ma Ecuba controbatte punto per punto alle sue paroleaccusandola di essere la sola responsabile di tanti lutti e rovine e supplicandoMenelao di ucciderla senza farsi nuovamente sedurre dalla sua bellezza.All’arrivo del cadavere di Astianatte collocato sullo scudo di Ettore, Ecuba ri-prende a piangere e a lamentarsi, vittima di un nuovo dolore che si somma aquelli già sofferti.La scena conclusiva della tragedia vede le donne troiane condotte in schia-vitù verso le navi greche mentre le fiamme avvolgono la loro città.

LA SCENATra i diversi temi affrontati ne Le troiane, il brano proposto pone l’accento sulpeso e sulle conseguenze delle scelte individuali quando esse coinvolgono eprocurano danni ad altri. La scena si svolge nell’accampamento greco dovegiunge l’acheo Menelao, intenzionato a punire con la morte la moglie Elenache lo ha abbandonato per seguire Paride, provocando con il suo comporta-mento la guerra tra Greci e Troiani.Bella e sensuale come sempre, la donna prova a discolparsi sostenendo dinon poter essere considerata responsabile di eventi determinati dalla volontàdivina, ma Ecuba, madre del troiano Ettore e ora destinata come schiava aOdisseo, respinge duramente le sue argomentazioni smontandole e ribaltan-dole punto per punto e invitando ripetutamente Menelao a fare giustizia dellatraditrice in modo esemplare.

MENELAO (entrando, con scorta di armati) O splendido fulgore di questo giorno, incui porrò le mani su Elena, mia sposa! Sono Menelao e ho sofferto molto, io el’esercito degli Achei. Venni a Troia non, come dicono, per via di una donna, macontro l’uomo traditore dell’ospitalità,1 che mi rapì dalle case la moglie.Ora, con l’aiuto degli dei, ha pagato il fio,2 lui e la sua terra caduta sotto lelance elleniche. Son venuto qui per condurre via la Spartana:3 non mi è dolce,

Euripide

La contesa tra Ecuba ed Elena

1. contro l’uomotraditore dell’ospitalità:essendo stato accoltopresso la reggia diMenelao, Paride eralegato a lui dal sacrovincolo dell’ospitalità, cheaveva spezzatoportandogli via i tesori erapendo la moglie Elena.2. fio: colpa.3. Spartana: Elena,originaria di Sparta.

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il teatro greco

infatti, chiamare col nome di moglie colei che un giorno fu mia. Con altreTroiane ella è nel numero delle prigioniere sotto queste tende. Coloro che afatica la ripresero con la lancia, me la diedero perché io la uccida, o, senza uc-ciderla a Troia, la riporti nella terra di Argo. E io ho deciso che Elena nonabbia morte a Troia, ma sia ricondotta sulla nave ondivaga4 in terra ellenica,perché ivi le diano morte a vendetta quanti persero i loro cari ad Ilio. Orsù,compagni, entrate nella tenda, portatela via trascinandola per la chioma sozzadi sangue! E quando i venti spireranno favorevoli, la ricondurremo nell’Ellade.

ECUBA O Zeus, fulcro della terra, che sopra la terra hai sede, chiunque mai tu sia,arduo a conoscere, o legge di natura o intelletto dei mortali, ti prego: tu, proce-dendo per vie silenziose, reggi secondo giustizia tutte le vicende dei mortali!

MENELAO E che? Tu invochi gli dei con preghiere insolite. ECUBA Ti approvo, o Menelao, se uccidi tua moglie. Ma evita di guardarla, che il

desiderio di lei non ti prenda. Ella lusinga gli occhi degli uomini, abbatte le città,incendia le case, tanto è il suo fascino. Io ben la conosco, e anche tu e coloro cheper lei hanno sofferto!

ELENA (in sontuoso abbigliamento, trascinata fuori della tenda) Menelao, questo è unpreambolo che incute paura. A viva forza sono tratta dalle mani dei tuoi servi da-vanti a questa tenda. E pur sapendo di essere odiata da te, voglio tuttavia chiederti:quali sono le decisioni tue e degli Elleni circa la mia vita?

MENELAO Non sei venuta qui per un giudizio: tutto l’esercito ti diede a me, chetu offendesti, perché ti uccidessi.

ELENA Posso rispondere a queste accuse che, se morrò, sarà ingiustizia?MENELAO Non sono venuto qui per discutere, ma per ucciderti.ECUBA Ascoltala, o Menelao; non ucciderla senza concederle questo favore e per-

mettimi di confutare le sue parole: tu non sai nulla delle sciagure di Troia. Matutto il mio discorso varrà a ucciderla, così da non consentirle scampo.

MENELAO Ti concedo questa tregua inutile: se vuol parlare, può. E sappia che fac-cio questo perché ascolti le tue ragioni, non per renderle un favore.

ELENA Giacché mi consideri nemica, forse non mi risponderai, sia che io sem-bri parlare a ragione, sia a torto. Pure, mi difenderò, opponendomi alle accuseche, penso, mi rivolgerai. Innanzi tutto costei5 partorì insieme con Paride l’ini-zio delle sventure; poi ha distrutto me stessa e Troia il vecchio che non ucciseAlessandro, funesto sogno di una fiaccola.6 Ascolta ora quel che ne seguì: Pa-ride giudicò il gruppo di tre dèe. La promessa di Pallade per Alessandro fu lasignoria sui Frigi7 e la distruzione dell’Ellade; Era gli garantì la signoria d’Asiae d’Europa, se Paride avesse scelto lei; Cipride,8 stupita per la mia avvenenza,mi promise in dono a lui, se avesse superato le altre dèe per bellezza. Consi-dera adesso le conseguenze di ciò: Cipride vinse le altre dèe, e le mie nozze, al-meno in questo, giovarono all’Ellade: infatti non siete stati soggiogati daibarbari,9 non veniste alle armi né sotto la loro tirannide. Ma quella che fu lafortuna dell’Ellade fu la mia rovina: venduta per la mia bellezza, sono accusatadi cose per cui avrei dovuto meritare una corona. Dirai che non ho ancora par-lato del fatto più grave, e cioè come fuggii dalla tua casa di nascosto. Il demonenato da costei, Paride o Alessandro, che ti piaccia chiamarlo, venne con l’aiutodi una dea potente. E tu, sciagurato, salpasti da Sparta verso Creta,10 lascian-dolo in casa tua! E sia pure: ma non te, bensì me stessa interrogherò per quanto

4. ondivaga: che oscillasulle onde.5. costei: Ecuba.6. il vecchio che nonuccise Alessandro,funesto sogno di unafiaccola: Alessandro èl’altro nome di Paride.Elena si riferisce al fattoche quando era incintaEcuba aveva sognato unafiaccola che incendiava lacittà e aveva compresoche il nascituro avrebbeprovocato la rovina diTroia; per questo motivoappena nato Paride fuesposto sul monte Idadove fu raccolto edallevato da un pastore.7. Frigi: popolo stanziatoin Anatolia (attualeTurchia) e alleato diTroia; in questo caso staper Troiani.8. Cipride: appellativodella dea Venere che aCipro era oggetto di unparticolare culto.9. barbari: i popolidell’Asia che gli abitantidella Greciaconsideravano barbari.10. salpasti da Spartaverso Creta: il mitoracconta che, una voltaaccolto Paride, Menelaodovette partire per Creta.

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11. scolte: sentinelle.12. Deifobo: fratello diEttore e Paride che sposaElena dopo la morte diquest’ultimo.13. Ida: il monte dove sisvolse la gara di bellezzatra le dèe a cui fece daarbitro Paride.14. impetrò: ottenne conuna supplica.15. Amicle: città dellaLaconia a sud di Sparta.

Poche sono le notizie certe sulla vita di Euripide. Nasce a Salamina tra il 485 eil 483, riceve una buona educazione letteraria, è adepto del culto di Apollo e nel408 abbandona Atene per recarsi prima in Tessaglia, poi in Macedonia. Muore aPella fra la fine del 407 e l’inizio del 406. Delle novanta tragedie attribuitegli nesono pervenute diciassette, tutte scritte nel periodo della maturità, ma per al-cune di esse la datazione e le circostanze della messa in scena sono solo ipotiz-zabili sulla base di elementi stilistici o riferimenti a fatti di attualità. Questa è lasuccessione dei drammi secondo l’ipotesi più accreditata: Alcesti (438), Medea(431), Ippolito (428), Ecuba (420 circa), Andromaca (430?), Eraclidi (430?), Sup-plici (424), Eracle (tra il 421 e il 415), Le troiane (415), Elettra (413), Elena (412),Ifigenia in Tauride (414), Ione (412), Fenicie (dopo il 412), Oreste (408) e infine

Ifigenia in Aulide e Baccanti, rappresentate postume. A Euripide viene anche attribuito Il Ciclope, l’unicodramma satiresco giunto fino a noi.

segue. Con quale animo abbandonai la dimora insieme a uno straniero, tra-dendo patria e casa? Punisci dunque la dea, e sii più potente di Zeus, signoredi tutti gli altri dei, eppur suo schiavo! Dunque, ho delle attenuanti. Qui tupotresti farmi un discorso plausibile: giacché Alessandro, morendo, era andatosotterra, non esistendo più il mio vincolo coniugale voluto dagli dei, io, la-sciata la casa, avrei dovuto recarmi alle navi degli Argivi. È proprio quello chetentai di fare, e possono attestarlo le scolte11 delle torri e le guardie delle mura,le quali spesso mi sorpresero mentre con una corda calavo furtivamente a terraquesto mio corpo giù dagli spalti. Il mio nuovo marito, Deifobo,12 dopo avermipresa con la forza, mi ebbe in moglie contro la volontà dei Frigi. Come potreidunque, o mio sposo, morire giustamente per mano tua, se Paride mi ha spo-sata con la forza e gli eventi della patria mi hanno condotta ad amara servitù,invece che a trofei di vittoria? E se pensi di ergerti ad arbitro tra gli dei, la tuapretesa è stolta!

CORIFEA Regina, difendi i tuoi figli e la patria, smascherando le suadenti paroledi costei, perché – pur avendo operato tanto male – ella parla bene: e questa ècosa terribile.

ECUBA Anzitutto sarò alleata alle dèe e mostrerò che le parole di costei non sonogiuste. Non credo che Era e la vergine Pallade siano giunte a tal punto di stol-tezza, per cui una avrebbe venduto Argo ai barbari e Pallade avrebbe asservitoAtene ai Frigi. Esse si recarono sull’Ida13 alla gara di bellezza per gioco e percivetteria. Perché mai Era, una dea, avrebbe avuto un tal desiderio di bellezza?Per ottenere forse un marito più potente di Zeus? E Atena, poi, cercava lenozze con qualche iddio, lei che, rifuggendo dalle nozze, impetrò14 dal padrela verginità? Non fare le dèe così stolte, per abbellire la tua colpa! Non con-vincerai i saggi. Tu affermasti che Cipride – quale ridicolaggine! – venne conmio figlio alla reggia di Menelao. Ma non avrebbe forse potuto, restandosenetranquillamente in cielo, trasportarti con tutta Amicle15 a Ilio? Mio figlio eradi una bellezza straordinaria e, contemplandolo, il tuo desiderio diventò Ci-pride! Tutte le follie sono Afrodite, per gli uomini! E il nome della dea nel-l’idioma ellenico comincia giustamente come la parola «afrosyne», che significa«pazzia». T’innamorasti follemente di lui, vedendolo magnificamente vestitoin foggia straniera e splendente d’oro. Ad Argo tu vivevi modestamente; e la-

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sciata Sparta, sperasti di sommergere con i tuoi sperperi la città dei Frigi, dovel’oro correva a fiumi: la casa di Menelao non ti bastava per trasmodare16 nel tuolusso. Sia pure: affermi che mio figlio ti condusse via con la forza. E chi mai sene accorse fra gli Spartani? Qual grido di allarme lanciasti, benché fossero viviil giovane Castore e suo fratello,17 non ancora assunti tra le costellazioni? Dopoche fosti giunta a Troia e con te gli Argivi sulle tue orme e fu lotta di morti-fere lance, se qualcuno ti narrava le gesta di Menelao, lodavi costui, cosicchémio figlio si crucciava di avere un grande rivale in amore. Se invece i Troianiprevalevano, egli per te non era più nulla. E mirando alla fortuna, facevi inmodo di trovarti sempre con essa senza curarti della virtù. Inoltre, affermi diesserti calata di nascosto dalle torri con una fune, come se restassi qui controvoglia. Ma quando mai fosti sorpresa a sospendere una corda o ad affilare unpugnale, come avrebbe fatto una donna onesta, rimpiangendo il primo marito?Eppure io più e più volte ti ammonivo: «Va’ dunque, figlia! Mio figlio con-trarrà un altro matrimonio; io ti invierò nascostamente alle navi achee: mettifine alla guerra fra noi e i Greci!». Ma questo era per te qualcosa di amaro. In-fatti nelle case di Alessandro tu insuperbivi e volevi essere riverita dai barbari:ciò per te contava molto. Dopodiché sei venuta qui curando la tua persona, eguardi lo stesso cielo che guarda tuo marito, o essere spregevole? Dovevi in-vece presentarti vestita di cenci, tremante di paura, col capo rasato e fidandopiù nella modestia che nella sfrontatezza, proprio per le tue colpe. (A Menelao)Menelao, perché tu sappia a che mirano le mie parole, corona di gloria l’Elladeuccidendo costei, e stabilisci questa legge anche per le altre donne: muoia chitradisce il marito!

CORIFEA Menelao, punisci tua moglie e sii degno dei tuoi avi e del casato: evitada parte dei Greci il biasimo di debolezza, tu che ti sei mostrato così valorosodi fronte al nemico.

MENELAO Tu e io siamo venuti allo stesso discorso: costei di sua volontà passòdalla mia casa al letto di uno straniero. Nelle sue parole Cipride è un merovanto. (A Elena) Va’ da coloro che ti lapideranno, sconta in un momento conla tua morte i lunghi affanni degli Achei, e impara a non disonorarmi!

ELENA (a Menelao) Per le tue ginocchia,18 non uccidermi addossandomi una fol-lia voluta dagli dei; abbi pietà di me!

ECUBA Non tradire i tuoi alleati, che costei condusse a morte! Ti scongiuro perloro e per i miei figli!

MENELAO Basta, vecchia! Di costei non mi curo. Ordino ai miei uomini che laportino alla nave, su cui navigherà. (La scorta esegue)

ECUBA Non salga mai sulla tua stessa nave!MENELAO E perché? Forse ora pesa più di prima?ECUBA Non v’è amante che non ami sempre.MENELAO Secondo l’animo della persona amata. Sarà come vuoi: non salirà sulla

mia stessa nave, hai ragione. E giunta ad Argo, questa sciagurata morrà di malamorte, come si merita, e insegnerà a tutte le donne ad essere oneste. Non èsemplice: ma la sua fine incuterà timore alla loro follia, anche se siano più mal-vage. (Esce)

da Euripide, Le troiane, in Tragici greci, traduzione di R. Cantarella, Mondadori 1977

16. trasmodare:esagerare.17. il giovane Castore esuo fratello: Castore ePolluce, i Dioscuri, eranofratelli di Elena.18. per le tueginocchia: invocazionecon valore di supplicacorrispondente al nostro“Per pietà!”.

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STRUMENTI DI LETTURAI temi

La responsabilità delle scelte: nel contra-sto verbale tra Ecuba ed Elena emerge iltema del rapporto esistente tra le sceltedegli uomini e la volontà degli dei: sonostate la vanità e l’avidità di Elena a provocarele innumerevoli morti e distruzioni che hannoaccompagnato la guerra di Troia o la bellis-sima moglie di Menelao è vittima della vo-lontà divina?Prima di Euripide gli scrittori tragici avevano invario modo sostenuto che il destino umanofosse determinato dagli dei e che il principalecompito degli uomini fosse quello di soppor-tare prove e avversità considerandole unaconseguenza della loro natura limitata ed im-perfetta. È su questa tesi che si basa la difesadi Elena la quale assolve se stessa affermandoche la sua fuga da Argo e il conseguente ab-bandono di Menelao, causa scatenante della

decennale guerra tra Achei e Troiani, sonostate il frutto di capricci, vendette e rancoridelle dee.È Ecuba a riportare la questione in un ambitoprettamente umano e sociale su un pianoche – con termine moderno – potremmo de-finire morale, permettendo a Euripide di di-battere in modo problematico e analitico iltema della responsabilità individuale dellescelte, senza tuttavia che si giunga ad unaconclusione certa e definitiva. Sconfitta, pri-gioniera, segnata da lutti e sciagure, la reginatroiana sostiene che Elena avrebbe potutocomportarsi diversamente, ma ha scelto dinon farlo mossa da interesse, avidità e su-perbia e animata da impulsi e desideri irra-zionali. Decidendo di seguire Paride e di nontornare da Menelao quando gliene è stata of-ferta l’occasione, la spartana ha pertanto og-gettivamente ostacolato la ricomposizionedel conflitto ed è a causa del suo atteggia-

Nave mercantile innavigazione, riprodottasu un vaso attico del VI secolo a.C.

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mento volontariamente irresponsabile cheEcuba ne chiede la morte, unico e tardivo ri-sarcimento alle sue sofferenze.

I personaggiLa vendetta di Ecuba: Euripide mostra nellesue opere una spiccata predilezione per lefigure femminili che, considerate più istin-tive e irrazionali degli uomini, gli consentonodi indagare e scandagliare gli impulsi pro-fondi e oscuri della natura umana. Ne Le troiane il personaggio di Ecuba, mo-glie del re Priamo e madre di diciannove figli– i maschi tutti morti nel corso della guerra,le femmine uccise o ridotte in schiavitù daivincitori – diviene un simbolo di Troia. Ladrammatica rovina di quella città sembra an-ticipare profeticamente la fine della stessaAtene che, pochi anni dopo la composizionedella tragedia, sarebbe stata sconfitta dagliSpartani e avrebbe conosciuto l’imposizionedi un regime oligarchico e la repentina con-clusione della sua esperienza democratica. Un tempo potente per il suo prestigioso ma-trimonio, la ricchezza della sua città, la forzae la bellezza dei suoi figli, Ecuba è ormai unadonna anziana, vestita di stracci e bloccatada catene: non le rimane altro che piangere ipropri morti e lamentare il destino di schia-vitù che la attende. Tuttavia la vecchia reginaritrova dignità e grandezza proprio nel ran-core e nell’odio che riversa nei confronti diElena, che l’ha sprofondata in quella condi-zione, e mediante la sua reiterata e quasi os-sessiva richiesta di vendetta, recupera ilproprio ruolo di guida, dando voce al doloredi tutte le troiane vittime della stessa sorte. Ilpersonaggio di Ecuba, così come quello diAndromaca e delle altre principesse troiane,sedute sulla spiaggia, in attesa di essere as-segnate come schiave a chi ha ucciso i loropadri, mariti, figli è espressione della partico-lare ottica con cui Euripide guarda la guerra:non dalla parte trionfale dei vincitori, ma daquella triste e disarmata dei vinti, che rap-presentano secondo l’autore il vero e ultimorisultato di ogni guerra.

Le parole chiaveBellezza, passione, follia: è la bellezza stra-ordinaria di Paride, secondo Ecuba, ad aversuscitato in Elena la passione amorosa, un

sentimento governato dalla dea Afrodite, il cuinome ha la stessa radice del termine afrosyne,che significa “pazzia”. Bellezza, passione, fol-lia sono quindi concetti reciprocamente legatie il loro effetto è l’irruzione nella vita sociale diuna devastante irrazionalità che spinge gli es-seri umani a compiere azioni ingiuste, immoralie dannose.Considerate dai Greci maggiormente in pre -da agli istinti, le donne cadono vittime dellapassione con più facilità, tuttavia con la lorobellezza esse sono a loro volta capaci di sca-tenare questo sentimento distruttivo. Perquesto Ecuba supplica Menelao di non fi-darsi mai di Elena il cui fascino, inesorabilecome una forza di natura, travolge le difesedi chi la guarda provocando lutti e rovine.

La lingua e lo stileIl procedimento dialettico: il dialogo traEcuba ed Elena si sviluppa seguendo mo-dalità che Euripide mutua dai sofisti, i filo-sofi che nel v secolo a. C. mettono in crisi iprincipi fondanti del patrimonio culturaledella tradizione negando l’esistenza di unaverità unica e indiscutibile e affermando chein una società possono coesistere opinioni,concezioni e valori diversi, la cui prevalenzanon dipende dalla loro intrinseca validità madalle capacità persuasive di chi li sostiene.Partendo da questo presupposto, assu-mono un ruolo centrale gli aspetti tecnicidella comunicazione, e l’attività principaledei sofisti consisterà soprattutto nell’inse-gnamento della retorica e della dialettica,ossia la capacità di elaborare discorsi con-vincenti sul piano formale e sostenere qua-lunque tesi con adeguate argomentazioni.Euripide discute il problema della responsa-bilità di Elena nell’esplosione del conflitto tragreci e troiani applicando alla disputa la tec-nica tipica dei sofisti, fondata sulla contrap-posizione di tesi sostenute da argomenticonvincenti e logici. L’uso accorto del lin-guaggio finisce con mettere sullo stessopiano ciò che è giusto e ciò che è ingiusto,ciò che è vero e ciò è falso, rischio segna-lato dalla Corifea la quale, riferendosi al-l’abilità verbale di Elena, sollecita Ecuba astare in guardia poiché “pur avendo operatotanto male – ella parla bene: e questa ècosa terribile”.

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Labo

rato

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diffic

oltà

A chi Elena attribuisce l’origine prima delle proprie sventure?

Ecuba cerca di convincere Menelao ……………………………...........................................................……………………….

Quali elementi dell’aspetto di Elena, secondo Ecuba, denunciano la vera na-tura della donna?

Qual è la decisione finale di Menelao?4

3

2

1

Comprensione

diffic

oltà

I personaggi In che modo Menelao mostra il proprio disprezzo nei confronti di Elena?

Perché di Elena si dice che ha la chioma sozza di sangue? Quale figura re-torica si cela in questa espressine?

Quale delle due contendenti sostiene la Corifea con i suoi interventi?

Le parole chiave Nella parte conclusiva del brano Ecuba afferma che “non v’è amante che nonami sempre”: che cosa intende dire con queste parole?

La lingua e lo stile Abbina a ciascuna delle tesi sostenute da Elena la corrispondente rispostadi Ecuba.

9Vedi a p. 10

8Vedi a p. 14

7

6

5Vedi a p. 8

Analisi

diffic

oltà

Quale delle due posizioni ti pare maggiormente persuasiva? che hai scelto .con un’ulteriore argomentazione

Sostieni la tesi10

Produzione

Elena sostiene che Ecuba sostiene che

Il suo destino è stato dettato dalla follia delle divinità ...................................................................................................................

Paride l’ha portata via da Argo con la forza ...................................................................................................................

Ella ha sempre desiderato fuggire da Troia ...................................................................................................................

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DAL MITO ALLA TRAGEDIALe tragedie attiche hanno come argomento episodi tratti dalla mitologia edall’epica, che i drammaturghi traducono in azione sulla scena, leggendo i fat-ti narrati in modo nuovo. Il mito, cioè, dà la struttura della storia, nota sia al-l’autore sia agli spettatori; la tragedia, attraverso personaggi e dialoghi, portauna riflessione su quel fatto mitico, con argomenti nuovi.Il poeta tragico peraltro non può intervenire sulla successione degli eventi che,riprendendo direttamente il mito, sono per definizione immodificabili. Per que-sto motivo l’azione creativa dell’autore è tesa soprattutto a spiegare il modoin cui la storia giungerà a una conclusione che è già nota al pubblico. A tale sco-po i poeti tragici modificano in maniera a volte significativa particolari e det-tagli dell’intreccio narrativo consegnato dalla tradizione. Conservano ben pocodei tratti originari degli eroi protagonisti e li fanno diventare personaggi origina-li in grado di esprimere la propria visione del mondo. Per esempio, dal mito diOreste – che per vendicare l’assassinio del padre Agamennone uccide la madreClitemnestra – derivano le Coefore di Eschilo (vedi a p. 198), l’Elettra di Sofoclee l’omonima tragedia di Euripide, tre testi che hanno protagonisti diversi e in-terpretano lo stesso mito da punti di vista molto differenti.

LO SCONTRO TRA NECESSITÀ E VOLONTÀAll’origine dei fatti narrati nelle tragedie c’è sempre una macchia (in greco mìa-sma) che segna l’esistenza del protagonista. È una situazione involontaria, igno-ta o trasmessa come una maledizione familiare, causata da una successione inar-restabile di eventi o conseguente a una scelta obbligata tra due trasgressioni egual-mente inique. Ciò che il personaggio si troverà a compiere dà al drammaturgol’occasione di riflettere sulla condizione dell’uomo, stretto tra la coercizione de-gli dei – i cui piani imperscrutabili determinano l’agire umano – e la volontà di ri-vendicare la propria dignità mediante la libertà di scelta.L’eroe tragico, che non può risolvere il conflitto tra ciò che gli è imposto dal de-stino e la sua propria volontà, appare destinato alla sconfitta ed è costretto, allafine, a riconoscere la propria impotenza di fronte alla Moira. Nell’indagare i sen-timenti e le ragioni che spingono l’eroe all’azione, la tragedia greca è ancora oggiun potente strumento di analisi sui temi del male e del dolore che affliggonola condizione degli uomini.

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genere tragedia

tratto da Coefore(vv. 123-509 nel testo greco)

anno V-IV secoloa.C.

luogo Grecia

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Eschilo

La vendetta di OresteL’OPERAL’Orestea di Sofocle è l’unica trilogia tragica sviluppata intorno a un perso-naggio che ci sia pervenuta completa e assume un’importanza particolarepoiché illustra le modalità attraverso cui l’autore indaga i nessi che intercor-rono tra le vicende di una stirpe.Agamennone – È il primo dramma della trilogia e si svolge intorno alla reg-gia degli Atridi in Argo.Quando Agamennone ritorna da Troia portando come preda di guerra Cas-sandra, la moglie Clitemnestra lo accoglie con gioia ma, appena entrati nelpalazzo, lo invita al bagno dovuto a chi rientra dopo una lunga assenza e conl’aiuto dell’amante Egidio lo uccide con un’accetta nella vasca di pietra. Cas-sandra, fuori dalla reggia, annunzia profeticamente la strage che l’adultera staper compiere e la vendetta che seguirà. Subito dopo anche la troiana muoreper mano di Clitemnestra che si giustifica al coro ricordando la lunga scia disangue lasciata dagli Atridi, il cui ultimo atto è stato l’uccisione della figliaIfigenia, sacrificata dal padre prima della spedizione militare contro Troia. Infine Clitemnestra si ritira nel palazzo con Egidio.Coefore – La vicenda narrata nel secondo dramma si svolge ancora ad Argo,dieci anni dopo. Ubbidendo all’ordine di Apollo, Oreste, figlio di Agamennone e Clitemnestra,torna di nascosto in città con l’amico Pilade per vendicare l’uccisione del padre.Mentre depone offerte sulla tomba di Agamennone, sopraggiunge uno stuolodi fanciulle che portano libagioni (le coefore) guidate dalla sorella Elettra, a cuipoco dopo Oreste si rivela spiegando le ragioni della sua presenza in Argo.Fingendosi un forestiero, l’eroe si presenta a palazzo per chiedere ospitalità.Qui viene accolto da Clitemnestra cui racconta che Oreste è morto e che a luisono state affidate le ceneri da consegnare ai genitori. Alla notizia Clitemne-stra chiama Egisto ed esce di scena. Appena varcata la soglia del palazzo,Egisto viene ucciso da Oreste. Al sopraggiungere della madre l’eroe brandi-sce di nuovo la spada, esitando però dinanzi al seno che lo ha nutrito. Piladegli ricorda il comando di Apollo e Oreste, trascinata la donna nel palazzo, lauccide accanto all’amante, proclamando di aver compiuto giustizia per or-dine di Apollo che nel tempio di Delfi lo purificherà del sangue versato.

Oreste e Pilade, in unaffresco della Casa delCentenario a Pompei.

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lʼeroe nella tragedia attica

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Eschilo nasce a Eleusi intorno al 525. Partecipa alle guerre persiane combattendo nelle battaglie di Ma-ratona (490), Salamina (480) e Platea (479). Le sue prime vittorie negli agoni drammatici risalgono al485. Nel 471 si trasferisce presso la corte di Ierone di Siracusa e successivamente ritorna ad Atene,dove trionfa con una trilogia tragica legata al ciclo tebano.Ritornato in Sicilia, muore a Gela nel 459 e la sua tomba diviene ben presto meta di pellegrinaggi. Oltre a numerosi frammenti di opere inseriti in testi di altri autori, di Eschilo sono pervenute solo settetragedie complete: Persiani (472), Sette contro Tebe (467), Supplici (di datazione incerta, probabil-mente rappresentata nel 463), Prometeo incatenato (collocabile tra il 470 e il 460) e la trilogia del-l’Orestea (458), costituita da Agamennone, Coefore ed Eumenidi, con cui il poeta vince per l’ultimavolta un concorso drammatico.

Eumenidi – L’azione inizia nel santuario di Apollo a Delfi dove Oreste vienedifeso da Apollo dalla furia delle mostruose Erinni, le divinità che vendicanoi delitti contro i familiari torturando il reo fino a farlo impazzire.Inviato dal dio ad Atene, Oreste viene assolto da un tribunale di cittadini ma lospettro di Clitemnestra incita alla vendetta le Erinni, che inseguono l’eroe e lo rag-giungono davanti al tempio di Pallade Atena. Appare la dea, che istituisce l’Areo-pago, un nuovo tribunale cittadino che si impegna a giudicare il caso di Orestecon equità. Durante il processo le Erinni accusano Oreste di aver violato i legamidi sangue, ma Apollo replica che l’eroe ha agito per vendicarsi di colei che, as-sassinando il marito, ha infranto il legame altrettanto sacro del matrimonio.Alla fine del dibattito Oreste viene assolto grazie al voto favorevole di Atenache placa le Erinni assicurando loro culto e onori in Atene. Il dramma si conclude con il corteo del popolo che accompagna le nuove deele quali, ormai placate e benevole, assumono il nome di Eumenidi. Esse sa-ranno garanti della legge, attraverso la paura che ispireranno ai cittadini.

LA SCENARientrato in incognito ad Argo con l’amico Pilade, Oreste si reca sulla tombadel padre dove depone alcuni riccioli dei suoi capelli in segno di devozione egratitudine. Poco dopo sopraggiunge sua sorella Elettra insieme a un gruppodi fanciulle inviate da Clitemnestra per offrire sacrifici che plachino l’ira deldefunto. Rivolgendosi a loro, che fungono da coro, la ragazza esprime il pro-prio dolore per l’uccisione del padre e l’indegno comportamento della madre;dice la sofferenza per le condizioni in cui è costretta a vivere, chiedendo aglidei che la aiutino in ogni modo a ottenere giustizia.

ELETTRA (versando da una coppa le libagioni1 sulla tomba) Ascolta, Ermes infero,2 eproclama questo mio voto: gli dei di sotterra,3 che custodiscono lo sguardo di miopadre, e la terra stessa, che tutto genera e alleva e poi ne accoglie ancora il germe,ascoltino le mie preghiere! E io, queste acque lustrali4 versando in onore dei morti,invocando mio padre dico: «Abbi pietà di me e del diletto Oreste; come torne-remo padroni di queste case? Poiché ora distrutti siamo e in qualche modo errantiper volontà della madre: ed essa come marito si è preso in cambio Egisto, che ècomplice della tua strage.5 E io son quasi una schiava, e Oreste è esule dai suoiaveri, mentre quelli,6 insolentemente, molto insuperbiscono nel frutto delle tuefatiche. Venga qui Oreste con buona sorte, ti prego; e tu ascoltami, padre: a meconcedi ch’io sia molto più casta di mia madre e più pia per la mano.7 Questi i votiper noi: e per i nemici io chiedo che apparisca, padre, il tuo vendicatore, e se-condo giustizia ricambi con uccisione chi ha ucciso. Questo io pongo al centrodella mia sinistra imprecazione, mentre contro di essi pronunzio questa sinistraimprecazione: a noi invece invia quassù buon esito, con l’aiuto degli dei e dellaterra e di Dike8 vittoriosa». Su questi voti queste libagioni io verso (esegue; al coro):a voi, come è costume, coronarle di gemiti intonando il peana9 in onore del morto.

1. libagioni: offerta alledivinità o ai morti di vino,latte o altri liquidi.2. Ermes infero: unadelle prerogative diErmes consistenell’accompagnare leanime dei defunti agliInferi, da cui l’appellativodi “psicopompo”.3. di sotterra: degliInferi.4. lustrali: offerte insacrificio.5. della tua strage:della tua morte.6. quelli: la madreClitemnestra e il suoamante Egidio.7. più pia per la mano:e che la mia mano sia piùpietosa.8. Dike: figlia di Zeus eTemi, è la dea dellagiustizia che regola laconvivenza umana, ma èanche la custodedell’ordine cosmicostabilito da Zeus edinterviene quando essoviene violato.9. peana: canto coralecommemorativo in onoredi divinità e uominiillustri.

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[Elettra osserva turbata come capelli sulla tomba del padre siano simili ai suoi e, piena di speranza, nonriesce tuttavia a dare a se stessa una spiegazione convincente. Frattanto Oreste esce dall’ombra e le siavvicina.]

ORESTE (avanzando verso Elettra, seguito da Pilade)10 Prega che le altre cose, pro-nunciando voti agli dei perché compiano,11 felicemente avvengano.

ELETTRA Che cosa dunque mi tocca ora per volontà degli dei?ORESTE Sei giunta alla vista di chi da lungo tempo bramavi.ELETTRA E sai tu chi fra i mortali invocavo?ORESTE So che molto invocavi appassionatamente Oreste. ELETTRA E in che cosa dunque conseguo i miei voti?12

ORESTE Sono io: non cercare altri, che ti ami più di me.ELETTRA (guardinga)13 Forse, o straniero, qualche inganno ordisci intorno a me?ORESTE In tal caso, tramo insidie contro me stesso. ELETTRA (come sopra) Vuoi dunque ridere delle mie sventure? ORESTE E anche delle mie, allora, se proprio rido delle tue. ELETTRA (dubbiosa) Mi rivolgerò dunque a te, sicura che tu sei Oreste?ORESTE Ora che mi vedi in persona, stenti a riconoscermi: invece, quando vede-

sti questa ciocca recisa per l’offerta funebre, la speranza ti diede le ali e ti parvedi vedermi, e così quando esaminavi le mie orme.14 Il ricciolo di tuo fratello, si-mile a quelli della tua testa, ponilo là donde fu reciso, e osserva; e guarda questotessuto; opera della tua mano, e i colpi della spatola nel disegno della scena di cac-cia. Ritorna in te, non smarrir l’anima per la gioia: so bene che i nostri parentipiù cari sono a noi due ostili.

CORIFEA O desiderio carissimo della casa del padre, lacrimata speranza di seme disalvezza, nel tuo coraggio fidando riacquisterai la casa del padre!

ELETTRA Occhio mio soave, tu per me adempi a quattro uffici: padre è necessa-rio che io ti chiami; poi cade in te 1’amore per mia madre – che giustissima-mente è odiata – e per la sorella spietatamente sacrificata;15 tu eri infine per meil fratello fedele, che solo mi restituisci alla dignità dovutami. Mi assista Kratos16

e anche Dike e Zeus per terzo, che di tutti è il più grande!ORESTE Zeus, Zeus, sii spettatore di questi fatti! Guarda la stirpe dell’aquila,17

orba18 del padre ucciso fra le spire e le volute di terribile vipera. E gli orfani op-prime digiuna fame: poiché non può portare al nido la cacciagione paterna. Inquesta condizione puoi vedere me e costei, dico Elettra, prole orba di padre, en-trambi in esilio dalla loro stessa casa: e se tu distruggi questi piccoli di un padreche a te sacrificava e molto ti onorava, donde potrai avere offerte da mano pari-mente generosa? E se distruggi la stirpe dell’aquila, non potrai ancora mandareai mortali segni suadenti,19 e questo tronco regale tutto, una volta inaridito, nondarà aiuto presso gli altari nei giorni dei sacrifici. Proteggici: da umile stato tupuoi innalzare a grandezza la casa, che ora sembra del tutto caduta.

CORIFEA O figli, o salvatori del focolare paterno, tacete, o figli, perché nessunosappia né, per il piacere di parlare, riveli tutto ciò a quelli che comandano: possaio un giorno vederli morti in resinoso vapore di fiamma!

ORESTE Certo, non mi tradirà l’oracolo molto possente del Lossia,20 che mi ordina diattraversar questo rischio, alto gridando e pronunciando gelidi tormenti al caldomio cuore, se non perseguo gli uccisori di mio padre, allo stesso modo ricambian-doli di morte, inferocito come un toro per il danno della mia eredità. E diceva che

10. Pilade: cugino diOreste e suo amicoinseparabile.11. perché compiano:affinché essi le realizzino.12. E in che cosadunque conseguo imiei voti?: e in chemodo i miei desideri sonostati realizzati?13. guardinga:sospettosa, diffidente.14. così quandoesaminavi le mie orme:poco prima osservando leimpronte nei pressi dellatomba, Elettra si erastupita che fossero ugualia quelle dei suoi piedi. Leorme dei piedi nel mondogreco arcaico eranoconsiderati veri e propricalchi della personaassente.15. sorellaspietatamentesacrificata: Ifigenia, sorella di Elettra, vienesacrificata dal padreAgamennone per placare la collera di Artemide cheblocca la flotta achea inAulide; secondo il mitoall’ultimo momento ladea ha pietà di lei e,messa al suo posto unacerbiatta, la porta in Tauride dove ne fa la suasacerdotessa.16. Kratos: personificazione dellaforza, che esegue lavolontà di Zeus17. la stirpe dell’aquila:i discendenti diAgamennone, Oreste edElettra. 18. orba: priva,mancante.19. segni suadenti:oracoli convincenti.20. Lossia: appellativo diApollo che si riferisce allecapacità oracolari del dio(da loxias, l’oscuro).

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con la vita avrei scontato la trasgressione, in molti ingrati tormenti.21 E il modo diplacare le potenze ostili di sotterra rivelò ai mortali: ma predisse anche, per noi due,morbi che assalgono le carni con selvagge mascelle,22 lebbra divorante il corpo an-tico,23 onde il male fa sorgere bianchi lembi.24 E altri assalti delle Erini prediceva,compiuti dal sangue paterno, che avrei visto movendo nella tenebra il fulgido occhio:poiché il dardo tenebroso degl’inferi, scagliato dai consanguinei uccisi che chiedonovendetta, e il furore e il vano terrore delle notti turba e sconvolge. E disse che dallacittà, oltraggiato corpo, sarei scacciato con bronzeo flagello.25 A siffatti esseri26 nonè lecito avere parte nelle libagioni, non libarne offerte:27 dagli altari li respinge, nonveduta, l’ira del padre; e nessuno li accoglie o li ospita. E da tutti inonorati e odiatimorranno,28 col tempo, malamente disseccati da perniciosa tabe.29 A tali oracoli bi-sogna dunque credere? Ma anche se non credo, l’opera dev’esser compiuta. Poichémolti desideri in un sol punto coincidono: gli ordini del dio e il dolore grande permio padre; e mi opprime inoltre povertà, perché cittadini gloriosissimi fra tutti, di-struttori di Troia con glorioso animo, non siano, in tal modo, soggetti a due donne:30

cuor di femmina ha Egisto;31 e se non è vero, lo saprà presto.

[Elettra e le Corifee iniziano il lamento per Agamennone, rievocando la vergognosa uccisione a tradimentoche ha dovuto subire e supplicando le divinità degli Inferi ed Agamennone stesso affinché aiutino i figlia fare giustizia.]

ORESTE (inginocchiandosi sulla tomba e toccandone la terra con le mani) Padre, uccisoin modo indegno di un re, ti supplico: dammi il potere della tua casa!

ELETTRA (c.s.) Anch’io, padre, questo attendo da te: salvami dopo aver infertogrande rovina ad Egisto!

ORESTE Così, saranno approntati per te i conviti rituali degli uomini: altrimenti,in mezzo ai morti che godono di offerte, tu sarai senza onori, senza le vittimedella terra consunte nel fuoco.

ELETTRA Anch’io, della mia eredità, libagioni nuziali ti porterò dalle case paterne:prima di ogni cosa io onorerò questa tomba.

ORESTE O Terra, rimandami il padre che sorvegli la lotta!ELETTRA O Persefone,32 concedi ancora splendida vittoria!ORESTE Ricordati del bagno,33 nel quale fosti ucciso, padre!ELETTRA Ricordati, quale strana rete inventarono!34

ORESTE In ceppi senza bronzo fosti serrato,35 padre!ELETTRA E turpemente in veli premeditati!36

ORESTE Ti risveglierai dunque a queste infamie, padre?ELETTRA Non risollevi il capo tuo dilettissimo?ORESTE Giustizia dunque invia come alleata ai tuoi cari: ovvero concedi in cam-

bio che noi usiamo gli stessi mezzi, se, vinto, vuoi vincere a tua volta.ELETTRA E questo estremo grido ascolta, padre: guarda questi piccoli presso la tua

tomba, la femmina e la prole maschile insieme: abbi pietà!ORESTE Non cancellare questa stirpe dei Pelopidi:37 in tal modo, pur morto, non

sarai morto.ELETTRA Per un eroe morto i figli sono fama salvatrice: e come sugheri sosten-

gono la rete salvando dal profondo i ritorti lini.38

ORESTE Ascolta, per te sono questi lamenti: e tu ti salvi onorando questa parola.da Eschilo, Coefore, in Tragici greci, traduzione di R. Cantarella, Mondadori, Milano 1992

21. E diceva che con lavita avrei scontato latrasgressione, in moltiingrati tormenti: el’oracolo di Apollo dicevache nel caso non avessiubbidito ai suoi comandi,per tutta la vita sarei statopunito con atroci tormenti.22. morbi che assalgonole carni con selvaggemascelle: malattie chedilaniano la carne.23. lebbra divorante ilcorpo antico: piaghe chedevastano l’aspettooriginario del corpo.24. onde il male fasorgere bianchi lembi:sofferenze che rendono icapelli bianchi. 25. con bronzeo flagello:con le armi.26. siffatti esseri: a coloroche non rispettano le divinità.27. non è lecito avereparte nelle libagioni, nonlibarne offerte: nonpossono prendere parte ariti e sacrifici perché sonoconsiderati impuri.28. da tutti inonorati eodiati morranno: emorranno odiati edisprezzati da tutti.29. malamente disseccatida perniciosa tabe:prosciugati da una malattiamortale. 30. due donne: Clitemnestra ed Egidio che viene definitodonna per la sua viltà.31. cuor di femmina ha Egisto: è vile come una donna.32. Persefone: la reginadegli Inferi, sposa di Ade.33. Ricordati del bagno:Agamennone viene uccisoda Clitemnestra mentre fa ilbagno.34. quale strana reteinventarono: per evitareche le sfuggisse,Clitemnestra ha bloccato ilmarito in una rete.35. In ceppi senza bronzofosti serrato: ti feceroprigioniero senza usarecatene.36. in veli premeditati: conun inganno premeditato.37. Pelopidi: discendenti diPelope, il progenitore delladinastia.38. come sugherisostengono la retesalvando dal profondo iritorti lini: come sugheriche sostengono la reteevitando che i filiscompaiano nelle profonditàdel mare.

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APPROFONDIMENTO

Oreste, figlio di Agamennone e Clitemnestra, ancora bambino viene portato di nascosto a Cirra, inFocide, dove il re Strofio, marito della sorella di Agamennone lo alleva insieme al figlio Pilade. Divenuto adulto, Apollo gli ordina di uccidere Egisto e Clitemnestra per vendicare la morte delpadre, ma il suo gesto provoca la persecuzione delle Erinni che lo costringono a rifugiarsi neltempio del dio a Delfi. Nel processo che viene istruito nei suoi confronti nell’Areopago di Ateneinterviene come difensore lo stesso Apollo, ma solo grazie al voto di Atena egli viene assolto. Un episodio del mito che lo riguarda si riferisce al matrimonio dell’eroe con Ermione, la figlia di Mene-lao e Elena, cui Oreste è stato promesso sin da bambino. Quando Menelao decide, invece di offrireErmione in sposa a Neottolemo, Oreste rapisce la ragazza che successivamente gli darà un figlio,Tisameno. In seguito l’eroe diviene re di Argo e anche di Sparta, dove succede a Menelao. Secondoun’altra tradizione, la sua tomba si trovava a Tegea dove a Oreste venivano tributati onori divini.

Oreste nel mito

STRUMENTI DI LETTURAI personaggi

Le Erinni: oltre ai personaggi fisicamentepresenti sulla scena come Elettra e Oreste, ilvero motore dell’Orestea sono le Erinni, genialati con serpenti al posto dei capelli che vi-vono nell’Erebo, la parte più profonda degliInferi. Il compito essenziale delle Erinni èvendicare i delitti – in particolar modo quellicommessi contro la famiglia – poiché essi co-stituiscono un’inaccettabile alterazione del-l’ordine cosmico. Dopo il sacrificio di Ifigeniasono loro a scatenare una lunga scia di lutti,prima spingendo Clitemnestra a uccidere ilmarito per vendetta, poi punendola del suoatto per mano del figlio e infine persegui-tando Oreste come matricida.La spaventosa furia delle Erinni traspare nelleprofetiche parole che Apollo rivolge a Oreste:prima l’eroe sarà colpito da malattie atroci edolorose (morbi che assalgono le carni conselvagge mascelle, lebbra divorante il corpoantico, onde il male fa sorgere bianchi lembi…malamente disseccati da perniciosa tabe), poisarà bandito dalla città (oltraggiato corpo, sareiscacciato con bronzeo flagello) e infine saràcostretto a errare di luogo in luogo fino al mo-mento in cui potrà purificarsi del suo crimine.

I temiLa macchia, il mìasma: le tragedie di Eschilosono costruite su una dinamica cui nessunodei protagonisti riesce a sfuggire. Secondo laconcezione della vita umana riportata dalla tra-gedia eschilea, agli uomini viene assegnato un

particolare limite entro il quale è lecito che essiagiscano. Quando qualcuno di loro lo oltre-passa, compie un atto di hybris cioè di “pre-varicazione”, che deve essere punito daglidei, sdegnati dal comportamento umano. Nonè detto che la macchia generata dall’atto di hy-bris sia del tutto lavata da chi l’ha compiuta,talvolta ricade sui figli all’interno della famigliae segna negativamente un’intera stirpe. Inol-tre, per rimediare a un atto di hybris si può tal-volta compierne un altro, inaugurando cosìuna terribile catena senza sosta. Oreste è l’ultimo discendente dei Pelopodi,una stirpe segnata da un delitto originario lacui colpa ricade sulle generazioni seguenti:Pelope, figlio di Tantalo, da bambino vieneucciso e fatto a pezzi dal padre che ne offre lecarni agli dei, i quali si accorgono del terribilebanchetto loro offerto e riportano in vita ilbambino, mentre Zeus maledice Tantalo e lasua discendenza. I delitti di sangue proseguono con i figli di Pe-lope, Atreo e Tieste, che uccidono il fratella-stro Crisippo e per questo vengono a lorovolta maledetti dal padre. SuccessivamenteAtreo si vendica di Tieste, che gli ha sedottola moglie, invitandolo a un banchetto dove, asua insaputa, gli fa mangiare il corpo dei trefigli. Egisto, il figlio di Tieste, punisce con lamorte il misfatto di Atreo i cui discendenticontinuano a spargere il sangue dei familiari.Agamennone, re di Argo, sacrifica in Aulidela figlia Ifigenia per propiziarsi la benevolenzadi Artemide ma al suo ritorno da Troia vienetrucidato dalla moglie Clitemnestra che in-tende vendicare l’innocente creatura. Nem-

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meno Oreste sfugge alla contaminazione deldelitto e per fare giustizia della morte delpadre, seguendo i dettami di Apollo, si mac-chia del più atroce tra i crimini di sangue, ilmatricidio (l’oracolo molto possente del Los-sia, che mi ordina di attraversar questo ri-schio, alto gridando e pronunciando geliditormenti al caldo mio cuore, se non perseguogli uccisori di mio padre).Libertà e necessità: quale margine di scelta,dunque, ha l’individuo rispetto a un destinoche spesso appare condizionato da eventimolto lontani nel tempo? Questa domanda at-traversa tutta la produzione teatrale di Eschilo,secondo il quale le divinità non intervengononell’esistenza umana per capriccio o invidia –come si riteneva in epoca omerica – ma agi-scono secondo giustizia, punendo l’atto dichi, con il suo comportamento, ha oltrepas-sato il limite posto agli uomini. Non c’è con-traddizione, quindi, tra Fato e respon-sa bilità individuale poiché l’uomo imboccaliberamente la propria strada ma deve sotto-stare alle inevitabili conseguenze delle sueazioni poiché il suo destino – e quello dei suoidiscendenti – è soggetto a un ineludibile cri-terio di giustizia secondo cui chi è colpevolepresto o tardi verrà punito. Il conflitto tra la ne-cessità imposta dal Fato e la libertà di sceltarimanda al mistero del rapporto tra uomini edei: in Oreste si risolve nel momento in cuil’eroe comprende la perfetta corrispondenzatra la sua volontà e ciò che gli dei gli impon-gono di fare (…anche se non credo, l’operadev’esser compiuta. Poiché molti desideri inun sol punto coincidono: gli ordini del dio e ildolore grande per mio padre).Giustizia e vendetta: le Coefore si fondanosu un’idea arcaica di giustizia, che si identi-fica con la vendetta, come dimostrano le pa-role di Elettra la quale, sulla tomba del padre,chiede l’apparizione di un vendicatore che“secondo giustizia ricambi con uccisione chiha ucciso”. La tragedia pone un caso limite,in proposito: se poniamo che sia giusto ven-dicare morte con morte, quando questo av-viene all’interno di una stessa famiglia, daparte di un figlio verso la madre, il sistemadella vendetta può ancora essere ritenuto va-lido per ristabilire la giustizia? La risoluzionedella domanda sembrerebbe essere propo-sta dall’ultima tragedia della trilogia, le Eu-menidi, in cui alla pratica della vendetta vienesostituita quella del giudizio in tribunale.

Le parole chiaveL’esilio: si tratta di una condizione ricor-rente nella storia degli eroi che spesso ven-gono allontanati dalla patria perché accusati

di una colpa effettivamente commessa o at-tribuita loro ingiustamente.Nel dialogo tra Elettra e Oreste nel termine esi-lio la valenza letterale si sovrappone a quellametaforica: entrambi sono stati esclusi daquanto spettava loro di diritto, Oreste perchéè stato privato dei suoi beni (esule dai suoiaveri), mentre a lei – che per rango dovrebbeessere la padrona della reggia – sono statetolte la libertà e la dignità (quasi una schiava).Successivamente le parole di Oreste ribadi-scono il comune destino di esclusione (en-trambi in esilio dalla loro stessa casa). Anchenella tremenda profezia di Apollo l’esilio ap-pare come la somma punizione per l’eroe chesi sottrarrà al suo compito. L’esilio è ritenutouna condizione terribile perché nella culturadella polis l’appartenenza alla propria cittàpermetteva di essere identificati, riconosciutie collocati all’interno di una famiglia e dellacomunità stessa. Essere esiliati significaval’esclusione dal consesso umano e civile(dalla città, oltraggiato corpo, sarei scacciatocon bronzeo flagello), nel quale si vive e si èriconosciuti. Perciò l’esilio è una condizioneche equivale alla morte.

La lingua e lo stileLe figure retoriche: rivolgendosi a Zeus,Oreste rievoca il crudele assassinio di Aga-mennone da parte di Clitemnestra rappresen-tando i due rispettivamente come un’aquila euna vipera (Guarda la stirpe dell’aquila, orbadel padre ucciso fra le spire e le volute di ter-ribile vipera), con una metafora che può es-sere interpretata a più livelli.L’aquila, animale sacro a Zeus, simboleggiainfatti la potenza e la regalità – doti che ben siaddicono ad Agamennone, re di Argo e capodell’esercito acheo – e nella cultura grecaessa è tradizionalmente considerata nemicadella vipera. Dunque che la vipera-Clitemne-stra abbia ucciso l’aquila-Agamennone strito-landolo tra le sue spire potrebbe quindisignificare che il re di Argo è stato assassi-nato con l’inganno e non in un leale scontro.Inoltre, nelle Storie di Erodoto, lo scrittoregreco vissuto nel V secolo a.C., viene riportatala notizia che la femmina della vipera, dopoessersi accoppiata, uccide il maschio divo-randolo. Questo atto suscita il desiderio divendetta nei piccoli i quali, al momento dellanascita, squarciano il ventre della madre e lauccidono. Questa immagine è stata spessocollegata alla mitica vicenda del matricidaOreste, anche perché, proprio nelle Coefore,prima del ritorno dell’eroe, in un sogno pre-monitore, Clitemnestra si vede partorire unserpente che le succhia il sangue dal seno.

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il contenuto del brano in terza persona, sostituendo ai dialoghi il di-scorso indiretto.Riassumi11

Produzione

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I temi In quale punto del testo compare un riferimento alla colpa contro il propriosangue commessa da Agamennone?

Con quale artificio Clitemnestra è riuscita a uccidere Agamennone?

Che cosa pensi dell’idea di giustizia che emerge in questo brano? Credi cheessa sia stata effettivamente superata o in determinate situazioni il deside-rio di vendetta affiora ancora oggi?

I personaggi Quali prove convincono Elettra dell’identità del fratello?

Per quali ragioni il legame di Elettra nei confronti di Oreste è più forte dell’usuale?

La lingua e lo stile Con quale metafora Oreste rappresenta se stesso e la sorella quando chie-de a Zeus di proteggerli affinché possano portare a termine il loro piano?

10Vedi a p. 13

9

8Vedi a p. 8

7

6

5Vedi a p. 14

Analisi

diffic

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Dove si svolge la scena?

All’inizio del brano a chi Elettra rivolge la propria preghiera?

Chi ha imposto a Oreste di tornare ad Argo?

Che cosa chiedono Elettra e Oreste allo spirito di Agamennone?4

3

2

1

Comprensione

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genere tragedia

tratto da Aiace(vv. 1-133; 430-480 nel testo greco)

anno V-IV secoloa.C.

luogo Grecia

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L’OPERAL’azione si svolge nell’accampamento acheo dove Aiace, umiliato dall’asse-gnazione delle armi di Achille a Odisseo e portato alla follia dalla dea Atena,durante la notte fa strage di pecore e buoi che scambia per i suoi compagnid’arme dei quali vuole vendicarsi.Il mattino dopo l’eroe torna in sé e comprende di aver compiuto un atto ver-gognoso che lo ha ulteriormente disonorato. Per questo motivo decide di sui-cidarsi e nonostante la concubina Tecmessa, madre del piccolo Eurisace,cerchi di dissuaderlo in ogni modo, si allontana dall’accampamento, rag-giunge la riva del mare e si uccide gettandosi sulla spada donatagli da Ettoreal termine di un duello.Alla scoperta del cadavere Teucro, fratello di Aiace, si scontra violentementecon gli Atridi Agamennone e Menelao i quali, avendo tenacemente odiatol’eroe quand’era in vita, vorrebbero ora punirne l’insubordinazione abbando-nando il suo corpo agli uccelli e ai cani.Sostenuto da Odisseo, Teucro riesce però a ottenere la giusta sepoltura peril fratello e il dramma si conclude con la celebrazione del rito funebre al qualesono presenti solo Tecmessa, il figlio e lo stesso Teucro.

LA SCENA La follia di AiaceL’azione inizia all’alba, dinanzi alla tenda di Aiace, con un dialogo tra la deaAtena e Odisseo mediante il quale il pubblico viene a conoscenza di quantoè appena accaduto: poiché non gli sono state assegnate le armi di Achille,Aiace si è furtivamente introdotto tra le tende dei guerrieri achei per farnestrage ma, reso folle da Atena, ha massacrato il bestiame e i suoi guardiani,coprendosi di ridicolo e di vergogna.Per umiliarlo ulteriormente e portare a compimento la sua vendetta, Atenaconvince l’eroe a uscire dalla tenda in cui si è rinchiuso e gli fa narrare la suaimpresa al cospetto di Odisseo, reso invisibile mediante un sortilegio. Aiaceracconta orgogliosamente di aver fatto scempio di molti Achei e di avernecatturati altri che ora tiene prigionieri nella sua tenda, tra i quali c’è Odisseo– in realtà un montone – che ha legato al centro della tenda e che sta tortu-rando lentamente.

ATENA Ti ho sempre visto, figlio di Laerte,1 in atteggiamento di chi caccia,pronto a cogliere un’opportunità contro i tuoi nemici; ed ora, davanti alla tendadi Aiace, sul mare, qui dove egli occupa la posizione estrema,2 ti scorgo intentogià da tempo a seguire ed esaminare le sue orme recenti, per capire se si trovao no nella tenda. E ben ti guida il tuo passo dal fiuto sottile, come di cagna la-cena:3 l’uomo,4 infatti, è da poco rientrato, col capo madido di sudore e le manicruente.5 Non hai più alcun motivo di spiare dentro a questa porta. Dimmipiuttosto perché ti sei preso questa cura: io so, e da me potrai apprendere ognicosa.

ODISSEO O voce di Atena, la dea a me più cara,6 come distinta, sebbene non tipossa scorgere,7 io intendo la tua voce, e l’accolgo nel mio cuore quale bron-zeo squillo di tromba tirrena!8 Sì, anche questa volta hai colto nel segno: mi ag-

Sofocle

La follia dell’eroe

1. figlio di Laerte:Odisseo.2. dove egli occupa laposizione estrema:nell’Iliade le tende diAiace e di Achille sitrovano alle estremitàopposte del campoacheo, mentre quella diOdisseo è situata alcentrodell’accampamento.3. cagna lacena: similea quello delle cagne dellaLaconia, note per il loroolfatto. La Laconia è unaregione meridionale dellaGrecia.4. l’uomo: Aiace.5. cruente: insanguinate.6. la dea a me più cara:Atena è la protettrice diOdisseo.7. sebbene non tipossa scorgere: Atenasi trova in un punto dellascena dal quale risultainvisibile ad Odisseo.8. bronzeo squillo ditromba tirrena: latromba degli Etruschi (oTirreni) era nota per il suosuono penetrante.

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giro in cerca di un nemico,9 di Aiace portatore di scudo;10 di lui, e di nessunaltro, seguo da tempo le tracce. Un gesto inconcepibile egli ha compiuto con-tro di noi questa notte, se pure è stato lui l’autore del fatto: nulla infatti sap-piamo di chiaro, ma vaghiamo nel dubbio; ed io, spontaneamente, mi sonosobbarcato la fatica di questa ricerca. Poco fa abbiamo trovato ucciso tutto ilbestiame, trucidato da mano d’uomo insieme con i guardiani stessi. Tutti ne at-tribuiscono la colpa a lui. Anzi, un testimone lo vide percorrere da solo la pia-nura, a grandi balzi, con in pugno la spada intrisa di fresco sangue, mi hariferito il fatto, precisandone i particolari. Subito mi lancio sulle sue tracce: al-cune le identifico, ma per altre rimango perplesso, e non so comprendere a chiappartengano. Sei giunta a proposito: in tutto, nel passato come nel futuro, iomi lascio guidare dalla tua mano.

ATENA Lo so, Odisseo, e da tempo mi sono messa sui tuoi passi, vigile custodedella tua caccia.

ODISSEO Dunque, amata signora, la mia fatica non è vana?ATENA Sì, perché questa è opera sua.ODISSEO E a che scopo egli spinse così la mano insana?ATENA Era gravato dall’ira per le armi di Achille.ODISSEO Ma perché è piombato con tale impeto contro il bestiame?ATENA Credendo di immergere la mano nel vostro sangue.ODISSEO Questo suo proposito era dunque rivolto agli Argivi?ATENA E l’avrebbe attuato, se io non avessi provveduto.ODISSEO Ma con quale ardire, con quale furia dell’animo?ATENA Di notte, solo, furtivo, si diresse contro di voi.ODISSEO E riuscì ad arrivarvi? Raggiunse la sua méta?ATENA Già si trovava alle porte dei due comandanti.11

ODISSEO E come trattenne la mano, avida di sangue?ATENA Io l’ho fermato, gettandogli sugli occhi le ingannevoli immagini di una

gioia funesta, e l’ho deviato sulle vostre mandrie, sul bottino sorvegliato daipastori, ancora confuso e indiviso. Là egli, avventatosi sulle prede, fece mas-sacro del bestiame dalle molte corna, roteando intorno la spada e trucidando,e credeva di uccidere di sua mano ora i due Atridi, avendoli in suo potere, oral’uno o l’altro dei capi greci, piombando loro addosso. E mentre l’uomo infu-riava nel morbo della follia, io lo incitavo, lo sospingevo in funesti lacci.

Sofocle nasce ad Atene nel 496. Nel 468 sconfigge Eschilo in un concorso tragico, nel 440viene eletto stratego con Pericle e nel 413 – dopo la disfatta ateniese in Sicilia – partecipaa una magistratura eccezionale istituita per fronteggiare il difficile momento. Assume anchediversi incarichi religiosi e dopo la sua morte, avvenuta nel 406 ad Atene, gli viene tribu-tato il culto dovuto agli eroi. Delle centotrenta opere attribuitegli, sono giunte integre sino a noi sette tragedie, dellequali sono databili in modo certo solo l’Antigone (442) e il Filottete (409), mentre per le ri-manenti viene ipotizzata la seguente successione: Aiace, Edipo re, Trachinie, Elettra, Edipoa Colono.Dell’autore ci sono pervenuti anche i primi quattrocento versi del dramma satiresco I cer-catori di tracce e oltre 1100 frammenti di altri opere.

9. nemico: Aiace, cheappartiene alloschieramento acheo, èun nemico per il modo incui ha reagitoall’attribuzione delle armidi Achille.10. portatore di scudo:epiteto che nell’Iliadedefinisce Aiace.11. due comandanti: idue Atridi, Agamennone,capo dell’esercito greco,e Menelao, signore diSparta.

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

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lʼeroe nella tragedia attica

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Quando poi fu sazio di tale strage, stretti in catene i buoi ancora vivi e tutte lepecore, li trascinò nella sua tenda, credendoli uomini e non preda dalle bellecorna; e ora là dentro infierisce su di loro, così legati insieme.

Mostrerò anche a te questo suo male in piena luce, perché, dopo aver visto, tulo possa annunziare a tutti gli Argivi. Rimani lì senza paura, e non considerarequest’uomo un pericolo per te: io infatti stornerò la luce dei suoi occhi dallavista di te12 (Rivolgendosi verso la tenda.) O tu che costringi nei ceppi le manidei prigionieri, accorri al mio richiamo! Dico a te, Aiace: esci davanti alla tuadimora!

[…]

(Aiace esce dalla tenda con in mano una sferza intrisa di sangue)

AIACE Salve, Atena, salve, figlia di Zeus! Quanto prezioso è stato il tuo aiuto! Inringraziamento di questa caccia ti offrirò spoglie d’oro massiccio.

ATENA Sagge parole. Ma dimmi: hai bene immerso la tua spada nel sangue deisoldati argivi?

AIACE Sì, posso vantarmene, e non lo nego!ATENA Anche sugli Atridi hai vibrato la tua mano?AIACE In tal modo che mai più, lo so, oltraggeranno Aiace.ATENA Dunque sono morti, se ho ben inteso le tue parole.AIACE Morti: ed ora vengano a prendersi le mie armi!ATENA Bene. E il figlio di Laerte? Che sorte gli hai riservato? Ti è sfuggito?AIACE Mi hai chiesto dov’è quella scaltra volpe?ATENA Appunto. Parlo di Odisseo, del tuo rivale.AIACE Siede lì dentro in catene, o mia signora, prigioniero a me graditissimo. An-

cora non voglio che muoia.ATENA Cosa intendi fargli prima? Che altro vuoi ricavare da lui?AIACE Prima, legato a una colonna del mio tetto…ATENA Qual pena darai a quell’infelice?AIACE …perisca sotto i colpi di sferza, col dorso insanguinato.ATENA Oh no, non torturarlo così, povero sventurato!AIACE Sono disposto ad appagarti in ogni altro desiderio, Atena, ma egli avrà la

punizione che ho detto, e non diversa.ATENA Ebbene, poiché è tuo piacere farlo, battilo pure, non risparmiare nulla di

quanto hai in mente.AIACE Vado a compiere l’opera. Questo soltanto ti chiedo: di assistermi alleata

sempre, come ora.

(Aiace rientra nella tenda)

ATENA Vedi, Odisseo, quanto è grande la potenza degli dei? Quale uomo avrestipotuto trovare più accorto di costui o più valente al momento di agire?

ODISSEO Io non ne conosco nessuno. Ma nonostante mi sia nemico, ho pietà diquell’infelice, per la tremenda sciagura a cui si trova aggiogato:13 nella sorte dilui trovo riflessa anche la mia. Vedo che noi, quanti viviamo, null’altro siamo senon fantasmi o vana ombra.

12. stornerò la luce deisuoi occhi dalla vistadi te: impedirò che lui tiveda.13. a cui si trovaaggiogato: a cui devesottostare.

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LA SCENA Aiace verso il suicidioRinsavito dalla sua follia, Aiace scopre di aver compiuto un’azione ignobile evergognosa che lo ha privato del suo onore di guerriero, esponendolo al pub-blico disprezzo e all’esclusione dalla collettività. La sua colpa può essere can-cellata solo da un gesto estremo e l’eroe, allontanatosi dalla tenda, si dirigeverso un boschetto di cespugli nei pressi del mare e lì si uccide.Queste sono le ultime parole, dirette al coro e a Tecmessa che inutilmentecerca di dissuaderlo facendo leva sui suoi sentimenti, con cui Aiace sostienel’ineluttabilità della sua scelta.

AIACE Aiai! Chi mai avrebbe pensato che il mio nome fosse così consonante allemie sciagure?14 Ora posso ben gridare due o tre volte «aiai»: tali sono i mali incui mi trovo! Da questa terra Idea15 mio padre, dopo aver ottenuto il primo e piùbel premio dell’esercito,16 tornò in patria riportando ogni gloria: ed io, suo figlio,giunto nella stessa regione della Troade con forza non minore, e compiute dimia mano non meno grandi imprese, così mi spengo, nel disprezzo degli Argivi.Eppure questo almeno credo di sapere: se Achille, vivo, come premio del valoreavesse dovuto aggiudicare le sue armi a qualcuno, nessun altro le avrebbe preseal posto mio. Ora invece gli Atridi le hanno assegnate con l’intrigo a un uomod’animo malvagio, capace di tutto, disprezzando il mio valore. Ma se questi occhie la mente stravolta non mi avessero deviato dal mio intento, essi non avrebberomai più emesso un simile giudizio a danno di altri. Ora invece la figlia di Zeus,l’indomita dea dallo sguardo di Gorgone,17 mentre su di loro levavo il mio brac-cio, mi trasse in inganno lanciandomi furioso morbo di follia, sì che le mani fraqueste mandrie insanguinassi; ed essi, scampati contro la mia volontà, esultano:se un dio vuol far del male, anche il vile può sfuggire al più forte. Ed ora chedevo fare? Manifestamente sono inviso agli dei;18 l’esercito dei Greci mi aborre19

e mi odiano tutta Troia e queste pianure. Dovrei forse far ritorno in patria, la-sciare i quartieri delle navi, gli Atridi soli, e attraversare il mar Egeo? E qualevolto mostrerò a mio padre, a Telamone, comparendogli innanzi? Come potràsopportare di vedermi apparire nudo senza i trofei, dei quali egli ebbe corona digloria? No, non è sopportabile questo. Debbo allora andare alle mura dei Tro-iani, piombare io solo contro essi soli, e compiendo qualche atto di valore tro-vare infine la morte? Ma così farei contenti gli Atridi. Non può essere. Si devecercare una prova per cui io possa mostrare al vecchio padre di essere da lui natonon degenere nell’indole.20 È turpe che desideri una lunga vita chi nei suoi malinon vede mutamento alcuno. Quale piacere ha in sé il giorno aggiunto a un altrogiorno, che avvicini e allontani il morire?21 Non posso tenere in nessun conto unmortale che si riscalda di vuote speranze. Chi è nato nobile deve o gloriosamentevivere o gloriosamente morire. Hai udito tutto.

da Sofocle, Aiace Elettra, traduzione di M. P. Pattoni, Rizzoli, Milano 2006

14. il mio nome fossecosì consonante allemie sciagure: Sofocleinterpreta il nome diAiace facendolo derivaredall’interiezione (pronuncia: aiai) usataper esprimere dolore.15. terra Idea: ilterritorio del monte Ida,nella regione dellaTroade.16. dopo aver ottenutoil primo e più belpremio dell’esercito:secondo il mito,Telamone avevapartecipato ad unaprecedente spedizionecontro Troia ed essendostato il primo a penetrarenella città aveva ricevutocome ricompensa Esione,figlia di Laomedonte.17. dallo sguardo diGorgone: dallo sguardointenso. Le Gorgoni eranotre mostri con la testacircondata di serpenti,zanne simili a quelle deicinghiali, mani di bronzo,ali d’oro e uno sguardocosì penetrante damutare in pietra chi lefissava.18. sono inviso agli dei:sono odiato dagli dei.19. mi aborre: midetesta.20. di essere da luinato non degenerenell’indole: di nonessere diverso da lui pertemperamento ecoraggio.21. Quale piacere ha insé … il morire?: l’ideaespressa in queste paroleè che ogni giornoavvicina econtemporaneamenteallontana la morte perchérende più vecchi ma altempo stesso rinvia lafine ad un momentosuccessivo.

ATENA Quanto hai visto ti insegni dunque a non proferire mai contro gli dei alcunaparola arrogante e a non sollevarti ad orgoglio, se più di altri sei potente per brac-cio o per vastità di ricchezza: un giorno solo basta a piegare tutte le cose umanee ad innalzarle di nuovo. Gli dei amano gli uomini saggi e odiano i malvagi.

da Sofocle, Aiace Elettra, traduzione di M. P. Pattoni, Rizzoli, Milano 2006

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

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lʼeroe nella tragedia attica

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APPROFONDIMENTO

Aiace, figlio di Telamone e Peribea e re di Salamina, partecipa alla guerra di Troia dove si dimostrail più forte tra i guerrieri achei dopo Achille. A causa della sua statura gigantesca viene anche defi-nito il grande Aiace per distinguerlo da Aiace Oileo, capo dei Locresi.Tra le varie versioni del mito relativo alla sua morte, la più nota è quella sviluppata da Sofoclesecondo il quale Aiace, defraudato con l’inganno delle armi di Achille che Teti aveva destinato al piùvaloroso degli Achei, impazzisce e massacra buoi e pecore credendoli i suoi compagni d’arme; poi,rinsavito, si uccide per la vergogna e viene sepolto sul promontorio Reteo.Secondo una tradizione posteriore, è Agamennone che – su consiglio di Atena – assegna a Odisseole armi di Achille, mentre un ulteriore mito racconta che, durante una tempesta, le armi di Achillevengono strappate dalla nave di Odisseo che se ne è impossessato con l’inganno e sospinte finoalla tomba di Aiace.Nell’antichità l’eroe Aiace godeva di grande popolarità ed esistevano diversi luoghi di culto a luidedicati; a Salamina ogni anno gli venivano tributati onori divini.L’Aiace, la più antica tra le tragedie attribuite a Sofocle – composta probabilmente tra il 450 e il 435– ha come argomento la follia e il suicidio dell’eroe.

Aiace nel mito

STRUMENTI DI LETTURAI temi

La hybris punita: nel pensiero greco la pa-rola hybris definisce il superamento e la vio-lazione dei limiti che gli dei hanno posto atutte le creature viventi. Coloro che tentanodi competere con le divinità sul piano dellaforza, dell’intelligenza, della bellezza o del-l’abilità in qualche arte si macchiano di hybrise per questo – siano essi uomini comuni oeroi – incorrono in feroci punizioni il cui scopoè ristabilire la gerarchia e l’ordine del mondo.Aiace è colpevole di hybris nei confronti diAtena perché, come spiega un personaggioin un passo della tragedia che non abbiamoriportato, a Telamone che prima della par-tenza lo ammonisce di “vincere con la sualancia, ma di vincere sempre con l’aiuto didio”, risponde superbamente che “con il fa-vore degli dei anche chi è nulla può riportarevittoria”, mentre lui confida “di ottenere lagloria pur senza di essi”. La tracotanza del-l’eroe, però, non si ferma qui e quando, nelcorso della battaglia, Atena gli si accosta persostenerlo contro i nemici, egli la allontanachiedendole di proteggere gli altri Achei, per-ché dove c’è lui “la linea di battaglia non s’in-frangerà mai”. L’inevitabile reazione della dea scaturiscedalla volontà di punire in modo esemplare chi

ha voluto considerasi pari a lei e, soprattutto,educare gli altri uomini. A Odisseo che – ac-corto come sempre – dichiara di confidarenel suo aiuto in ogni circostanza (in tutto, nelpassato come nel futuro, io mi lascio guidaredalla tua mano), Atena ordina di riferire aiGreci che cosa può accadere a chi osa sfi-dare gli dei (Mostrerò anche a te questo suomale in piena luce, perché, dopo aver visto, tulo possa annunziare a tutti gli Argivi) in modoche nessuno osi dubitare della loro potenza.La follia e il suicidio: Atena castiga Aiacerendendolo folle, cioè impedendogli di vederela realtà com’è effettivamente e spingendoloa compiere gesti che successivamente si ri-veleranno assurdi e ignominiosi (E mentrel’uomo infuriava nel morbo della follia, io lo in-citavo, lo sospingevo in funesti lacci). Ha cer-cato di avere le armi di Achille che testi -mo niassero, come bottino personale, il suoproprio eroismo, ma l’atto che ha compiuto loallontana sempre più da quel valore che vor-rebbe vedere confermato. Rinsavito, l’eroe ècostretto a confrontarsi con le conseguenzedelle proprie azioni e, in base al suo codicemorale, sceglie la morte come unica possibileforma di espiazione della vergogna (Si devecercare una prova per cui io possa mostrare alvecchio padre di essere da lui nato non dege-nere nell’indole).

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A fargli scegliere il suicidio, per rimediare allavergogna che prova, è dunque ancora unaconcezione dell’eroismo paragonabile aquella degli antichi eroi omerici, che ve-dono nel riconoscimento altrui la fonte certadel proprio valore (vedi p. 168), ma diversoè il percorso che porta alla conclusionedella sua vicenda. Solo con la sua vergo-gna, Aiace si dà la morte attraversando la fol-lia, l’angoscia, la sofferenza interna comesolo un uomo dall’animo particolarmentegrande può dimostrare di fare. Si inauguracosì un nuovo tipo di eroismo, legato a unadiversa e più profonda conoscenza della di-mensione interna dell’animo umano.

I personaggiLa solitudine dell’eroe: il tratto distintivo diAiace è l’orgogliosa solitudine nella quale con-duce l’esistenza, che dapprima lo spinge ad af-frontare i nemici senza l’aiuto di Atena, poi aportare a termine da solo quella che egli ritieneessere la sua vendetta e infine ad allontanarsida una collettività che disprezza ma nella qualenon potrebbe rientrare neanche volendo, vistoche ne ha violato le regole di convivenza (l’eser-cito dei Greci mi aborre e mi odiano tutta Troiae queste pianure). Anche la sua morte avvienein perfetta solitudine, in un punto della costalontano dal campo acheo, rendendo concreta-mente visibile agli spettatori del dramma la to-tale “diversità” dell’eroe e l’insanabile conflittoche lo oppone al mondo degli uomini.

Le parole chiaveIl disprezzo: l’ingiusta sottrazione delle armi diAchille, destinate da Teti al più valoroso degliAchei, costituisce per Aiace uno smacco in-sopportabile perché lo espone al disprezzo diquanti fino a quel momento lo hanno conside-rato degno d’onore e, soprattutto, del padre Te-lamone (nel disprezzo degli Argivi quale voltomostrerò a mio padre, a Telamone, comparen-dogli innanzi? Come potrà sopportare di ve-dermi apparire nudo senza i trofei, dei quali egliebbe corona di gloria?). Nella figura di Aiace ri-vive il sistema di valori centrato sull’aretè – ilcoraggio fisico e morale che si dimostra sulcampo di battaglia (vedi Il duello tra Achille edEttore a p. 169) – tipico degli eroi omerici i qualiricercavano nello scontro con l’avversario labella morte per evitare l’onta del disprezzo edel disonore. Inserito in un diverso contestoculturale, l’eroe di Sofocle spinge però alleestreme conseguenze gli ideali epici, cercandodi riacquistare con la morte volontaria la gloriaperduta (Chi è nato nobile deve o gloriosa-mente vivere o gloriosamente morire).

Le figure retorichePer la circospetta attenzione con cui Odisseoavanza nell’accampamento, Atena lo paragonaa una astuta cagna da caccia, abile a trovare letracce della sua preda (in atteggiamento di chicaccia… ti guida il tuo passo dal fiuto sottile,come di cagna lacena) e poco più avanti lostesso Aiace usa una metafora animale perdefinire colui che proditoriamente gli ha sot-tratto l’ambito trofeo (quella scaltra volpe).Anche Aiace si riferisce alla sua impresa uti-lizzando la metafora della caccia (In ringra-ziamento di questa caccia ti offrirò spoglied’oro massiccio), tuttavia la reale natura dellasituazione che sta vivendo, più che a un cac-ciatore lo rende simile ad una preda, brac-cata dalla divinità.

Fabula e intreccioL’intensità drammatica del dialogo tra Atenae Aiace si fonda sul contrasto tra la crudeleconsapevolezza della dea, artefice delleazioni dell’uomo, e la patetica incoscienzadell’eroe (Questo soltanto ti chiedo: di as -sistermi alleata sempre, come ora). Questi,incalzato dalle beffarde domande della divi-nità, giunge a gloriarsi della propria scelle-rata impresa di fronte all’invisibile Odisseo – e al pubblico, al corrente di quanto è effet-tivamente accaduto – il quale non può cheimmedesimarsi in quel povero infelice ecommiserarne la sorte (ho pietà di quell’in-felice, per la tremenda sciagura a cui si trovaaggiogato). La follia è parte possibile di ognianimo, infatti vederla in un altro significaavere coscienza di quanto potrebbe acca-dere anche a sé.

Aiace, statuabronzeadel I secolo a.C.

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lʼeroe nella tragedia attica

Labo

rato

rioLABORATORIO

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diffic

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Considerando la sorte di Aiace, Odisseo afferma: “... nella sorte di lui trovoriflessa anche la mia. Vedo che noi, quanti viviamo, null’altro siamo se non fan-tasmi o vana ombra.”Spiega che cosa intende dire l’eroe ed sulle sue pa-role.

esponi le tue riflessioni

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Produzione

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I temi Sottolinea i passaggi in cui Atena esplicita la propria volontà di punire Aiaceed educare gli altri mortali.

Quando rinsavisce, Aiace comprende o no che la sua follia è stata voluta da-gli dei? Motiva la tua risposta facendo riferimento al brano.

I personaggi L’odio tra Odisseo e Aiace è reciproco ma si manifesta in modo diverso: qua-le atteggiamento mostra Aiace verso Odisseo? In che modo, invece, que-st’ultimo si comporta nei confronti dell’eroe impazzito?

L’origine della punizione di Aiace è la sua orgogliosa superbia: in quale oc-casione l’eroe dà prova di non aver cambiato atteggiamento?

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8Vedi a p. 8

7

6Vedi a p. 14

Analisi

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Per quale ragione Aiace odia i suoi compagni di battaglia?

Con quale obiettivo l’eroe penetra nell’accampamento acheo nel corso del-la notte?

Perché la sua spedizione fallisce?

Per quale ragione l’eroe decide di togliersi la vita?

In quale luogo l’eroe si toglie la vita?Nella sua tenda Nell’accampamento acheo Nei pressi della costa troiana

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Comprensione

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genere tragedia

tratto da Medea(vv. 1021-1250 nel testo greco)

anno V-IV secoloa.C.

luogo Grecia

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

L’OPERALa tragedia si svolge a Corinto e si apre con le parole della nutrice che primarievoca l’impegno di Medea nell’aiutare Giasone a conquistare il vello d’oro,poi racconta le attuali sofferenze della donna, abbandonata dall’amato che hadeciso di sposare la figlia del re Creonte.Entra in scena Medea che, infuriata, cerca un modo per rispondere all’offesasubita e poco dopo sopraggiunge il pedagogo dei figli che le rivela le decisionidi Creonte, intenzionato a scacciarla dalla città insieme ai due piccoli.La collera di Medea cresce ma quando Creonte giunge di persona a comuni-carle le proprie disposizioni, ella riesce a dissimulare i sentimenti che la agi-tano e a ottenere che i figli rimangano un altro giorno a Corinto: poi, all’uscitadi scena del re, spiega al coro che intende vendicarsi di Giasone, uccidendola sposa e lo stesso Creonte.Poco dopo arriva Giasone, con cui la donna discute aspramente, e successi-vamente Egeo, il re di Atene che si è recato a Delfi, perché è afflitto da steri-lità; a questi Medea promette un filtro che lo guarirà dal suo male in cambiodi asilo ad Atene.Egeo giura solennemente di accogliere la donna che, ormai sicura di avereuna via di scampo, finge con Giasone di accettare di buon grado l’allontana-mento, dicendogli che intende donare alla giovane sposa una veste e una co-rona per convincerla a non bandire dalla città i suoi figli.Subito dopo invia alla reggia i due fanciulli con i doni, ma immediatamente unnunzio dà la notizia che la veste avvelenata donata da Medea ha straziato ilcorpo della sposa e che la corona ha preso fuoco, aggiungendo che il re, ten-tando di salvare la figlia, è rimasto a sua volta vittima del maleficio.A questo punto Medea compie l’ultimo e più atroce atto della sua vendetta euccide i figli: quando Giasone arriva per punirla del doppio delitto, scopre i lorocadaveri e non può far altro che piangere la sua sorte e osservare Medea chesi allontana nel cielo sul carro del Sole portando con sé i corpi dei fanciulli cuiintende dare sepoltura lontano da Corinto.

LA SCENAFuriosa per l’abbandono di Giasone, che prima si è servito di lei e ora la al-lontana per contrarre un matrimonio d’interesse, Medea si accinge a inviarealla reggia di Creonte dei doni nuziali che, grazie a un incantesimo, provo-cheranno la morte della sposa e di suo padre. Tuttavia, il gesto che sta percompiere non appaga completamente la sua sete di vendetta e, ossessionatadalla prospettiva dell’esilio, la donna giunge alla decisione estrema – e permolti versi aberrante – di uccidere i figli per evitare che restino da soli in terrastraniera, privi di protezione ed esposti a ogni genere di umiliazioni.Nel monologo che precede il suo ultimo delitto emerge con chiarezza il con-flitto interiore che lacera l’animo di Medea, scissa tra l’amore materno e l’ir-refrenabile desiderio di vendicare l’offesa subita cancellando ogni traccia delrapporto con l’uomo che l’ha tradita.

Euripide

La vendetta di Medea

MEDEA […] O figli, figli miei, ecco che avete una città e una casa1 in cui, la-sciando questa sventurata, abiterete per sempre, orbati2 di vostra madre. Iosto per andarmene in esilio, in un paese straniero, prima di aver gioito di voie di avervi visti felici; prima di avervi dato una sposa e di aver preparato e le-vata in alto la fiaccola nuziale. Ahi, povera me, per la mia superbia! Invano,

Euripidevedi a p. 192

1. avete una città e unacasa: poco prima Medeaha ottenuto da Giasoneche i figli rimangano aCorinto.2. orbati: privi.

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lʼeroe nella tragedia attica

dunque, o figli, vi ho allevato; invano ho sofferto e mi sono tormentata per voi,dopo avervi partoriti con crudeli doglie! Quante speranze, io infelice, avevoposto in voi: avreste sostentato la mia vecchiaia e, morta, mi avreste seppel-lito, piamente, con le vostre mani; sorte degna di invidia! Ora addio, dolcipensieri! Senza di voi, vivrò una vita triste e misera. E voi, con i vostri cariocchi, non vedrete più vostra madre, lontani, in una vita tutta diversa. Ahi,ahi, perché, figli miei, mi guardate con quegli occhi? Perché mai sorridetecon il vostro ultimo sorriso? Ahi, che fare? Il cuore mi manca, o donne,quando vedo il volto sereno di questi fanciulli! No, non posso! Addio, mieipropositi di prima! Condurrò i miei figli via da questa terra. Perché mai perfar soffrire al padre le loro sventure, dovrei raddoppiare la mia? No, nonposso: addio, miei propositi (Pausa.) Ma che mi accade? Dovrei giustamenteessere derisa, lasciando impuniti i miei nemici? Bisogna osare! O mia viltà,accogliere nel mio cuore parole miti! (Ai figli) Entrate in casa, figli. (I figli ese-guono.) Chi non può assistere a questo sacrificio, ci pensi! La mia mano nonverrà meno. Ahi, mio cuore, no, non farlo! Lasciali vivere, sciagurata, rispar-miali, i tuoi figli! Là, vivendo con me, ti daranno gioia. (Pausa.) Ma no, per idemoni inferi dell’Ade, non sarà mai che io abbandoni i miei figli all’oltrag-gio dei miei nemici! Comunque, devono morire: e poiché è necessario, io liucciderò, io che li ho generati! Ormai è fatto, senza scampo. E già, cinta la co-rona e indossato il peplo, la sposa muore,3 lo so. E poiché io vado verso unavia infelicissima e ad una ancor più infelice condurrò costoro, voglio salutarei miei figli. (I bambini tornano sulla scena). Datemi, o figli, datemi le mani, per-ché io le baci! O mano carissima, o volto carissimo, o nobili persone dei mieifigli! Siate felici, ma laggiù! Le gioie della vita ve le ha tolte vostro padre. Odolci abbracci, o tenere carni, o soavissimo alito dei miei figli! (Congedandoli)Andate, andate: non posso più guardare i miei figli, la sventura mi vince (Ibambini rientrano in casa). Comprendo il delitto che sto per osare: ma la pas-sione, che è causa delle più grandi sventure per i mortali, è più forte dei mieiproponimenti.

[Terminato il monologo, giunge un nunzio a portare la notizia della morte di Creonte e di sua figlia.]

NUNZIO (arrivando trafelato) Tu che hai compiuto empiamente una cosa così ter-ribile, fuggi, fuggi, Medea, o su una nave o su un carro!

MEDEA Che è mai successo, per cui dovrei fuggire?NUNZIO È morta or ora la figlia del re e suo padre Creonte per i tuoi filtri!MEDEA (esultante) Hai detto una cosa bellissima! D’ora innanzi sarai fra i miei

amici e benefattori.NUNZIO Che dici? Ragioni o davvero sei impazzita, tu che hai distrutto la casa del

re e gioisci a udire una cosa simile, senza tremare?MEDEA Anch’io avrei qualcosa da opporre alle tue parole: ma non aver fretta,

amico, e raccontami come sono morti. Quanto più orribilmente sono morti, mirallegrerai doppiamente.

NUNZIO Quando i due tuoi figli entrarono col padre nelle stanze della sposa, noiservi, addolorati per le tue disgrazie, ci rallegrammo e subito ci dicemmo l’un l’al-tro che tu e tuo marito vi eravate del tutto riconciliati. Chi baciava la mano e chi

3. cinta la corona eindossato il peplo, lasposa muore: la coronae il peplo sono i donistregati che Medea hainviato alla sposa diGiasone tramite i duefanciulli.

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4. gineceo: parte dellacasa riservata alle donne.5. detestando: nonsopportando.6. peplo: ampia e lungaveste di lana biancaindossata dalle donnegreche.7. il terrore di Pan:secondo il mito, il dio Panera capace di spaventarechiunque grazie al suoaspetto orribile e alle sueurla terrificanti.8. padre: il re Creonte.9. novello sposo:Giasone.10. serto: corona.11. dalle fauci invisibilidei farmaci:dall’invisibile morso delveleno.12. un vecchio che ègià una tomba: unvecchio che è vicino allamorte.

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il biondo capo dei tuoi figli: e io stesso, per la gioia, li accompagnai nel gineceo.4

La padrona, che noi adesso onoriamo al tuo posto, prima di aver visto la cop-pia dei tuoi figli, rivolse uno sguardo amoroso a Giasone. Ma poi si coprì gliocchi e volse altrove il bianco volto, detestando5 l’arrivo dei bambini. E tuomarito cercava di placare la collera e lo sdegno della giovane donna, dicendo:«Non essere ostile verso chi ti è amico. Non vorrai deporre lo sdegno, vol-gendo il capo e considerando cari a te quelli che lo sono per tuo marito? Ac-cetta questi doni e induci tuo padre per amor mio, a revocare il bando di esilioper questi bambini». Ella, quando vide i doni, non si oppose più, acconsentìin tutto al marito e, prima che i tuoi figli col padre si fossero allontanati, preseil peplo6 ricamato e lo indossò. Poi, messa sui riccioli la corona d’oro, si ac-conciò le chiome dinanzi a un lucido specchio, sorridendo alla muta immaginedella sua persona. Quindi, alzatasi dal trono, attraversò le stanze posando congrazia il candido piede, tutta felice per i doni ricevuti, spesso a lungo guar-dandosi, sulla punta dei piedi. Ed ecco, allora, una vista terribile! Mutandocolore, ella arretra di sghembo, tutta tremante, e fa appena in tempo ad ab-bandonarsi sul trono per non cadere a terra. Allora una vecchia serva, pen-sando che l’avesse colta il terrore di Pan7 o di qualche altro dio, levò alte grida;e poi vide una bava biancastra venirle sulla bocca, le pupille stravolte e il san-gue fuggirle dal corpo. La serva allora emise grandi gemiti di dolore. Subitouna corre alle stanze del padre,8 un’altra va in cerca del novello sposo9 per in-formarlo della disgrazia; e tutta la casa risuonava di passi precipitosi. E neltempo in cui un rapido corridore avrebbe percorso fino all’estremità duecentometri di stadio, la sventurata, ritrovando la voce e la vista, si riebbe con un ter-ribile gemito. Infatti due mali l’assillavano: dal serto10 d’oro che aveva sul caposgorgava un fiotto incredibile di fuoco distruttore, mentre il tenue peplo, donodei tuoi figli, divorava il candido corpo dell’infelice. In preda alle fiamme, ellasi alza dal trono e fugge, scuotendo qua e là il capo e le chiome come per get-tar via la corona; ma il monile d’oro stava saldamente attaccato e il fuoco di-vampava il doppio, quanto più scuoteva le chiome. Infine, vinta dallo spasimo,cade al suolo, a stento riconoscibile, tranne che al padre: non si distinguevanopiù né la forma degli occhi, né il bel volto; sangue e fuoco commisti stilla-vano dalla sommità del capo, e le carni, dilaniate dalle fauci invisibili dei far-maci,11 cadevano dalle ossa come lacrime di pino, spettacolo orrendo! E tutti,ammaestrati da quel caso, temevano di toccare il cadavere. Intanto, ignaro diquella sciagura, il misero padre, entrando improvvisamente nella stanza, siprecipita sul cadavere: e piangendo e stringendola fra le braccia, la baciavagridando: «Figlia sventurata, quale dio ti ha distrutta così malamente? Chi haorbato di te un vecchio che è già una tomba?12 Ahimè, che io muoia insiemecon te, figlia!». Quando ebbe finito di gemere e di lamentarsi, mentre cer-cava di rialzare le vecchie membra, restò avvinto al tenue peplo, come ederaai rami del lauro. E fu una lotta terribile: se cercava di sollevare un ginocchio,ella lo avvinghiava ancor più; e se tentava di tirarsi via con la forza, dilaniavadalle ossa le vecchie membra. Alla fine rinunziò, il disgraziato, e abbandonòla vita, incapace di vincere lo strazio. Ora giacciono morti insieme, il vecchiopadre e la figlia, sventura degna di lacrime. Di quanto ti riguarda, non diconulla: imparerai da te stessa come si ritorce il castigo. Non ora per la prima

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lʼeroe nella tragedia attica

13. senza tema: senzatimore.14. per copia diprosperità: perabbondanza di ricchezza.15. per: a causa.16. indugiamo:esitiamo.

volta ritengo che le cose umane sono un’ombra; e senza tema13 affermo chequelli che credono di avere intelletto saggio e acuto, meritano la punizione piùgrave. Fra i mortali non esiste uomo felice: per copia di prosperità14 uno potràessere più fortunato di un altro, ma felice non mai. (Esce di scena)

CORIFEA Sembra che in questo giorno un dio ha giustamente accumulato moltesventure su Giasone. O misera, come compiangiamo i tuoi casi, o figlia diCreonte, che movesti alle porte d’Ade per15 le nozze con Giasone!

MEDEA Mie care, ho deciso di agire: uccidere i miei figli e allontanarmi al piùpresto da questa terra, senza indugi, perché non li uccida una mano ancor piùnemica. Comunque, devono morire; e poiché è necessario, li ucciderò io, cheli generai. Armati, dunque, mio cuore! Perché indugiamo16 a compiereun’azione crudele e pur necessaria? Su, mano mia sventurata, prendi la spada,prendila, muovi a questa via di dolore. Non essere vile, non ricordarti dei figli,come ti sono cari, come li partoristi! Dimentica che ti sono figli, per questobreve giorno: e poi piangi! Anche se li ucciderai, ti furono cari tuttavia, odonna sventurata! (Entra nel palazzo)

da Euripide, Medea, in Tragici greci, traduzione di R. Cantarella, Mondadori, Milano 1977

APPROFONDIMENTO

Diverse tradizioni mitiche definiscono Medea, figlia del re Eeta e nipote del Sole e di Circe, comeuna maga dotata di grandi poteri.Quando gli Argonauti sbarcano nella Colchide per conquistare il vello d’oro, Medea tradisce il padreproteggendo Giasone, capo della spedizione, con un unguento magico. Una volta portata a terminel’impresa, Medea fugge per mare con Giasone, prendendo in ostaggio il fratello Absirto. Accortasidi essere inseguita, Medea uccide il fratello, lo fa a pezzi e li getta in mare per rallentare l’insegui-mento di Eeta. Dopo essersi uniti nella terra dei Feaci, Medea e Giasone sbarcano a Iolco dove la donna si vendi-ca di Pelia – che aveva tentato di far morire Giasone imponendogli la ricerca del vello d’oro –promettendo alle figlie di ringiovanirlo con una pozione magica e convincendole a farlo a pezzi e agettarlo in un calderone. Il consiglio, naturalmente, si rivela fasullo nelle mani delle due giovaniinesperte.Scacciati da Iolco per questo delitto, i due giungono a Corinto dove vivono insieme fino a quandoGiasone decide di sposare la figlia del re Creonte. Abbandonata dall’uomo amato, Medea mette inatto un’atroce vendetta, uccidendo la nuova sposa di Giasone, Creonte e i suoi stessi figli (vedi latrama di Medea a p. 212).Dopo essere fuggita ad Atene, dove il re Egeo le ha garantito ospitalità e asilo, tenta di ucciderne ilfiglio Teseo e per questo viene bandita dalla città. Successivamente ritorna in Colchide e qui ripor-ta sul trono Eeta dopo aver fatto uccidere Perse che lo aveva spodestato.Un ulteriore racconto mitico sostiene che alla fine della vita Medea viene trasportata nei Campi Elisidove si unisce ad Achille.

La Medea di Euripide fa parte di una tetralogia tragica comprendente due opere ormai perdute, Filot-tete e Ditti, e il dramma satiresco I mietitori. Il testo viene messo in scena per la prima volta durantele Grandi Dionisie del 431 a.C., ma Euripide si classifica terzo perché la Medea – come altri drammidell’autore – non è apprezzata dai contemporanei per la sua distanza dalla tradizione tragica.

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STRUMENTI DI LETTURAI temi

Gli eroi pezzenti: la produzione tragica diEuripide è profondamente influenzata dallacrisi morale, civile e politica seguita alla lungaguerra tra Atene e Sparta (431-404), che de-termina il progressivo sgretolamento dellecertezze tradizionali e per la prima voltamette in discussione l’idea stessa dell’esi-stenza di un ordine soprannaturale perfetto.Così la riflessione sul rapporto tra uomini edei che aveva caratterizzato l’opera di Eschiloe Sofocle, in Euripide cede il passo a un’ana-lisi quasi esclusiva del piano umano deglieventi, che sembrano svolgersi sotto gli occhiindifferenti degli dei, dettati dall’arbitrio delFato.Per questa ragione i drammi di Euripidevengono poco apprezzati dai contempo-ranei, sconcertati dalle caratteristichetroppo “umane” dei protagonisti – definitieroi pezzenti dal commediografo Aristofane,contemporaneo di Euripide – e delle situa-zioni rappresentate. Anche se provenientidalla tradizione mitica greca, i personaggi eu-ripidei appaiono desacralizzati, ossia spogliatidella loro natura eroica, simili in tutto a uo-mini comuni che agiscono in una realtà ana-loga a quella dell’autore, alle prese con lapropria irrazionalità, non conservando altroche il nome dei modelli originali.La forza dell’irrazionale: smarrita la possi-bilità di spiegare il senso complessivo del-l’agire umano, l’attenzione di Euripide siconcentra soprattutto sull’analisi dell’inte-riorità dei personaggi. L’aspetto più mo-derno della sua opera consiste infatti nellacapacità di scavare nei contraddittori labirintidelle emozioni e delle angosce di figure psi-cologicamente sfaccettate, oscillanti tra sen-timenti contraddittori, dominate da impulsiprofondi e incontrollabili, incapaci di domi-nare razionalmente la realtà. Tra i personaggipiù emblematici di questa condizione si poneMedea, che risponde all’offesa subita da Gia-sone, vivendo una condizione in bilico tra ir-razionalità e ragione.Un animo scisso: se nel colpire Creonte e lasposa di Giasone, Medea non conosce esi-tazioni anzi si compiace in modo esplicitodell’esito delle sue macchinazioni (Quanto piùorribilmente sono morti, mi rallegrerai dop-piamente), inevitabilmente più complessa econflittuale è la decisione di uccidere i figli.Nel monologo che precede quest’ultimo de-litto pare quasi che si fronteggino due donne

diverse che sostengono posizioni opposte:Condurrò i miei figli via da questa terra. Per-ché mai per far soffrire al padre le loro sven-ture, dovrei raddoppiare la mia?; Comunque,devono morire: e poiché è necessario, io liucciderò, io che li ho generati. La vera tra-gedia non si svolge quindi nella città di Co-rinto o nella casa di Medea, ma all’internodella mente ottenebrata e ferita delladonna, che è in ogni caso destinata allasconfitta, perché qualunque sia la sua deci-sione sarà costretta a rinunciare a una partedi se stessa.

I personaggiMedea, donna e barbara: nell’intensa figuradi Medea, Euripide concentra alcune delle te-matiche più originali della sua opera. Medea simboleggia la subalternità delledonne nella cultura greca, costrette dalleconvenzioni sociali ad accettare norme im-poste da altri, che consentono all’uomo dirompere un patto di fedeltà per un legamematrimoniale più vantaggioso. Allo stessotempo rappresenta anche la forza femminileche si ribella con violenza a questa condi-zione iniqua.La sua selvaggia irrazionalità – che vienespiegata da coloro che la circondano comeuna conseguenza del suo essere maga e perdi più barbara, cioè estranea al sistema divalori condiviso dai greci – già prima di giun-gere a Corinto l’ha spinta a compiere delittiatroci per amore di Giasone, anteponendo lapassione a ogni altra necessità. Tuttavia nelcaso che oppone Medea a Giasone si ri-specchia una questione propria del dirittogreco, che giustifica la reazione della donna,anche se non la sua violenza. Giasone èprincipe della città e pensa al fatto che i figliavuti da Medea non possono essere consi-derati suoi legittimi eredi, per via del fattoche sono figli di un greco e di una barbara, diuna straniera. Come reggitore della città,Giasone deve preoccuparsi della sua suc-cessione, per questo ripudia Medea e cercauna sposa greca, che gli dia figli legittimi. Lapreoccupazione di Medea circa i suoi bam-bini è anche in relazione al loro futuro, chenon sarà di legittima cittadinanza in alcunaaltra città. Quale domani può attenderli?Dietro alla reazione di Medea sta la cri-tica di Euripide al modello tradizionale difamiglia: secondo il cittadino medio ate-niese, Medea non può chiedere nient’altro ri-

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spetto a quanto ha già ottenuto, cioè di es-sere stata allontanata dal suo mondo di bar-barie. La prospettiva di Giasone è quelladella “legalità”, che non tiene conto della fi-gura umana di Medea, mentre Medea nonvede alcun rispetto di sé nel comportamentodi Giasone e si ribella al fatto di poter rive-stire secondo la mentalità greca solo il ruolodi concubina. Un’eroina forte dell’irrazionalità: Medea – come già abbiamo detto – nella sua terri-bile vicenda personale si comporta in unmodo profondamente segnato dall’irraziona-lità (Ragioni o davvero sei impazzita, tu chehai distrutto la casa del re e gioisci a udireuna cosa simile, senza tremare). Proprio que-sto è il dato che costituisce una svoltanuova al tema dell’eroismo in Euripide, ilfatto che non si intenda più essere eroisolo nella sopportazione del proprio de-stino o nella sofferta accettazione diesso, ma nella difficile relazione tra forzeche compongono la propria interiorità(Comprendo il delitto che sto per osare: mala passione, che è causa delle più grandisventure per i mortali, è più forte dei mieiproponimenti).Medea dice il mio thumòs, (il mio animo irra-zionale) è più forte della mia razionalità. Tesia trovare un qualche precario equilibrio tral’irrazionale che sta dentro di sé e l’irrazionaleche sta fuori da sé, nel movimento imper-scrutabile del Fato, gli eroi euripidei, e Medeain modo particolare, rendono evidente la con-dizione umana, che avvicina l’eroe o l’eroinaa qualunque uomo o donna, che divide conlei la lotta profonda e terribile per governarel’ingovernabile.

Le parole chiaveSventurata e infelice: alla prospettiva del-l’esilio Medea si definisce infelice e sventu-rata, immaginando per sé – separata a forzadai figli – una vita futura triste e misera. Nella prima parte del monologo la felicitàdella donna sembra dipendere dalla sortedelle sue creature e il suo amore di madre ap-pare ancora vivo e presente quando con-trappone alle sofferenze patite per mettere almondo e allevare i figli (invano ho sofferto emi sono tormentata per voi, dopo avervi par-toriti con crudeli doglie), la prospettiva ormaiinfranta di una futura serenità (Sto per andar-mene in esilio … prima di aver gioito di voi edi avervi visti felici).In forza di questo sentimento a un certopunto Medea viene anche sfiorata dall’ideache l’esilio potrebbe essere reso meno duro

dall’affettuosa presenza dei fanciulli (Là, vi-vendo con me, ti daranno gioia), ma subitodopo l’orgoglio ferito prende il sopravventosull’istinto materno spingendola a un’azioneatroce che ancora di più confermerà il suodestino di donna sventurata (mano mia sven-turata, prendi la spada, prendila, muovi a que-sta via di dolore; Dimentica che ti sono figli… e poi piangi … o donna sventurata) e nonle darà altra soddisfazione se non quella direndere a sua volta infelice Giasone, cui at-tribuisce la totale responsabilità della mortedei due fanciulli (Le gioie della vita ve le hatolte vostro padre).

Fabula e intreccioNel brano proposto è possibile osservare duemodalità espressive tipiche del teatro greco,il monologo del protagonista e l’interventodel nunzio che informa i presenti di ciò cheavviene fuori dalla scena.Se attraverso il monologo Euripide svela lecontraddittorie oscillazioni della mente diMedea permettendo allo spettatore di esplo-rare i lati oscuri della psiche umana, al nun-zio l’autore affida il compito di riportare ildramma sul piano concreto dell’azione. Contocchi rapidi questo personaggio rende vi-vide le figure che fino a quel momento hannofatto da sfondo, mostrando il tenero amoredella giovane sposa per Giasone (rivolse unosguardo amoroso a Giasone), la sua insoffe-renza nei confronti dei figli dell’uomo (dete-stando l’arrivo dei bambini) e la giovanilevanità che la induce a indossare i doni male-fici (Poi, messa sui riccioli la corona d’oro, siacconciò le chiome dinanzi a un lucido spec-chio, sorridendo alla muta immagine dellasua persona). Poi, con una repentina accelerazione delritmo, il nunzio racconta l’improvviso spez-zarsi dell’atmosfera gioiosa, il pallore e legrida della vittima innocente (Mutando co-lore, ella arretra di sghembo, tutta tremante… una bava biancastra venirle sulla bocca, lepupille stravolte e il sangue fuggirle dal corpo)e infine la morte della giovane e del padre av-vinti in un ultimo abbraccio (Ora giaccionomorti insieme, il vecchio padre e la figlia).Il ruolo del nunzio non si esaurisce qui, poichéa lui spetta anche la riflessione finale sull’ac-caduto nella quale – accomunando Medeaalle sue vittime – sostiene che nessun essereumano, colpevole o innocente che sia, puòsperare di raggiungere la felicità (Fra i mortalinon esiste uomo felice: per copia di prospe-rità uno potrà essere più fortunato di un altro,ma felice non mai).

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Labo

rato

rioLABORATORIO

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

diffic

oltà

I temi Secondo te, Medea è consapevole o no del fatto che le sue azioni sono in-giustificabili sul piano umano? Come spiega la sua scelta? Rispondi facen-do riferimento al testo.

Perché nel suo monologo Medea si dice convinta che i figli «comunque, de-vono morire?»

Quali scelte contraddittorie si affacciano alla mente della protagonista nel cor-so del suo monologo? Qual è la sua decisione finale?

I personaggi Quali gesti e atteggiamenti sottolineano l’innocente inconsapevolezza dei fi-gli di Medea?

Le parole chiave Quale altra figura presente nel brano viene definita misera e sventurata? Perquale motivo?

La lingua e lo stile Individua, trascrivi e illustra il significato delle due similitudini usate dal nun-zio per descrivere la morte di Creonte e di sua figlia. Perché, secondo te, ilpersonaggio sceglie immagini tanto delicate?

10Vedi a p. 13

9Vedi a p. 14

8Vedi a p. 8

7

6

5Vedi a p. 14

Analisi

diffic

oltà

Qual è l’offesa che scatena la collera di Medea?

A quali momenti futuri Medea dovrà rinunciare a causa dell’esilio?

In quale modo Medea provoca la morte della sposa di Giasone?

Perché muore anche Creonte?4

3

2

1

Comprensione

diffic

oltà

degli eventi presentati nel brano disponendoli secondo l’or-dine cronologico in cui si svolgono e sostituendo ai dialoghi il discorso indiretto.

L’autore non esprime alcun giudizio sulla protagonista della tragedia, limitandosia spiegare le ragioni psicologiche delle sue azioni: che cosa pensi tu di que-sto personaggio? Ti sembra che i suoi gesti possano essere compresi alla lucedella situazione in cui si trova o ritieni che essi non possano essere giustifi-cati in alcun modo? in un breve testo.Esponi la tua opinione

Esponi il contenuto

12

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Produzione

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lʼeroe nellʼepica latina

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LA FUNZIONE POLITICA DELL’EPICA LATINAMentre i poemi omerici si basavano su un patrimonio tradizionale già noto al pub-blico attraverso la secolare trasmissione orale di aedi e rapsodi, l’epica latinanasce in un contesto esplicitamente letterario e assolve soprattutto al compi-to politico di celebrare ed esaltare le personalità e gli eventi storici grazieai quali Roma è divenuta una potenza di prima grandezza. Questa nuova fun-zione diviene evidente nel I secolo a.C. quando, dopo aver vittoriosamente por-tato a termine numerose campagne militari e aver posto fine a circa cinquant’annidi guerre civili, Ottaviano, erede di Giulio Cesare, assume l’appellativo di Augu-sto e – interrompendo di fatto la tradizione repubblicana – dichiara di voler re-staurare quei valori del passato che hanno reso potente Roma.A tale scopo viene istituito il circolo culturale di Gaio Mecenate, dove i più va-lenti intellettuali dell’epoca contribuiscono con la loro opera a legittimare l’am-bizioso progetto culturale di Ottaviano. È questo il contesto in cui il poeta Virgi-lio compone l’Eneide, un poema epico che ha come protagonista Enea, un leg-gendario guerriero troiano sopravvissuto alla distruzione della sua città.

LA PIETAS DI ENEA Dei mitici eroi greci la figura di Enea conserva alcuni tratti peculiari, come l’ori-gine divina, il coraggio, la determinazione, la forza fisica, ma Virgilio non attribuisceal suo personaggio la facoltà sovrumana di affrontare vittoriosamente impreseeccezionali, poiché in lui vede soprattutto l’uomo nel quale si incarnano le virtùtradizionali che hanno fatto di Roma la maggiore potenza del mondo antico. L’epiteto che con maggiore frequenza definisce Enea è infatti pius, che vuol diredotato di pietas, un valore che comprende il senso del dovere, la devozione ver-so gli dei, il rispetto della famiglia e delle leggi che regolano i rapporti umani. Lescelte dell’eroe non nascono quindi né dal desiderio di gloria o di bottino, né dal-la volontà di affermare la propria superiorità individuale, ma dalla capacità di por-tare a termine la missione attribuitagli dal Fato, subordinando i propri interessipersonali al bene collettivo. In Enea la soggezione al Fato, che egli condivide congli altri eroi del mito, coincide con la necessità di adempiere ai suoi doveri an-che quando ciò comporta dolori e lutti, e di aderire al compito di fondare la nuo-va stirpe da cui avrà origine la gens Iulia.La reinterpretazione virgiliana dell’eroe troiano attribuisce un valore mitico anchealla figura di Ottaviano Augusto che viene presentato come l’ultimo e più grandediscendente di una dinastia divina destinata a realizzare un progetto grandioso:il principe appare come l’uomo destinato a dare compimento allo stesso disegnodel Fato, cui secoli prima aveva ubbidito Enea. Lo straordinario potere che egliconcentra nelle proprie mani viene in questo modo giustificato e legittimato.

L’eroenell’epicalatina

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genere poemaepico

tratto da Eneide(libro VI, vv. 752-853)

anno I secolo a.C.

luogo Roma

LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

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volumeB

IL BRANODopo aver abbandonato Didone, Enea approda finalmente sulle coste italichee, seguendo le indicazioni del padre apparsogli in sogno, si reca dalla Sibillacumana che lo accompagna nell’oltretomba affinché gli venga svelato comeproseguire il suo viaggio.Agli Inferi l’eroe incontra lo spirito di Anchise che dalla sommità di un’alturagli mostra la processione dei suoi discendenti, illustrandogli l’altissima mis-sione cui essi saranno chiamati.

Virgilio

L’incontro con i discendenti

veva detto Anchise; e il figlio, e con lui la Sibilla,conduce in mezzo a quei gruppi,1 tra la folla e il brusío,e sale un’altura, da cui tutto il lungo corteo

755 può osservare di fronte, vedere ogni viso che viene. «E ora la gloria che aspetta la prole di Dardano, quali nipoti attendiamo dall’Itala gente,1’anime ricche di gloria, che al nostro nome verranno,io ti dirò, voglio che tu conosca il tuo fato.

760 Colui, che vedi, quel giovane2 che all’asta pura s’appoggia, è il più vicino alla luce per sorte, e prima nell’ariaceleste nasce, misto d’italico sangue,3

Silvio, nome albano, il figlio tuo postumo,che tardi a te vecchio la sposa Lavinia

765 alleva tra i boschi, re e padre di re:per lui4 su Alba la Longa5 la nostra stirpe avrà regno. A lui vicino ecco Proca, gloria del sangue troiano,e Capi e Numitore, e chi rinnova il tuo nome,Silvio Enea,6 per pietà parimenti e per l’armi

770 glorioso, se mai abbia sorte di regnare su Alba.7

Che giovani! Guarda quanta forza dimostrano!e come le tempie hanno ornate di quercia civile!8

Questi Nomento e Gabii e la città di Fidene,

A

1. in mezzo a quei gruppi: tra la folla di anime che attendono diincarnarsi in un corpo mortale.2. quel giovane: Silvio, il figlio di Enea e Lavinia che, secondo laleggenda, sarebbe nato dopo la morte dell’eroe troiano3. misto d’italico sangue: nato da sangue troiano e italico.4. per lui: grazie a lui.5. Alba la Longa: la città di Albalonga.

6. Proca … Capi … Numitore … Silvio Enea: sono i nomi di alcunire albani tramandati dallo storico Livio.7. se mai abbia sorte di regnare su Alba: quando potrà finalmenteregnare su Alba. Il testo allude al fatto che Silvio Enea fu spodestato daun usurpatore e tornò a regnare dopo molto tempo.8. quercia civile: chi si distingueva per le virtù civili veniva incoronatocon un serto di foglie di quercia.

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lʼeroe nellʼepica latina

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quest’altri sui monti le rocche t’alzeranno di Collazia,775 Pomezia, e d’Inuo il Castello, e Bola e Cora.9

Questi nomi saranno, terre ora son senza nome.Ed ecco, all’avo compagno va il figlio di Marte, Romolo, che Ilia madre dà in luce, del sangue d’Assàraco:10

vedi tu come s’erge sull’elmo duplice cresta,11

780 e il padre stesso dei superi lo segna già del suo onore?12

Sì, figlio, fondata da lui la nobile Romapari alle terre l’impero, all’Olimpo avrà l’animo,13

e sette rocche, unica, cingerà del suo muro,14

feconda d’eroi:15 così avanza turrita la madre785 Berecinzia sul carro, fra i borghi di Frigia,

feconda di dei,16 e abbraccia cento nipoti,celesti tutti,17 tutti abitanti le vette del cielo.E ora piega i tuoi occhi, vedi qui questa gente,i tuoi Romani. Cesare è qui, e tutta la stirpe di Iulo,18

790 destinata a venire sotto la volta del cielo.Ecco l’uomo, ecco è questo che spesso ti senti promettere, l’Augusto Cesare, il figlio del Dio,19 che apriràdi nuovo pel Lazio il secolo d’oro, nei campi regnatida Saturno una volta;20 e sui Garamanti e sugli Indi21

795 allargherà il regno: fuor dello Zodiaco è la terra,22

fuor dalle strade del sole e dell’anno,23 ove Atlante celifero24

regge sull’omero l’asse prezioso di stelle splendenti.

[Anchise continua, indicando ad Enea dapprima le anime dei re che faranno grande Roma, poi quelle deiprotagonisti della vita militare, politica e civile del periodo repubblicano, ed infine illustrandogli le ragionistoriche per cui i Romani verranno considerati il più grande popolo del mondo.]

Forgeran con più arte spiranti bronzi25 altri popoli, lo credo, e vivi dal marmo sapran trarre i volti,diranno meglio le cause,26 le strade del cielo

9. Questi Nomento … Gabii … Fidene … rocche di Collazia …Pomezia … d’Inuo il Castello … Bola … Cora: sono i nomi diantichi insediamenti nel Lazio la cui fondazione viene attribuita aidiscendenti di Enea.10. all’avo compagno va il figlio di Marte, Romolo, che Iliamadre dà in luce, del sangue d’Assàraco: accanto al nonno (avo), ilre Numitore, arriva Romolo, il figlio nato da Marte e Rea Silvia, unadonna di sangue troiano (Ilia madre) perché discendente di Assàraco,antenato di Enea.11. vedi tu come s’erge sull’elmo duplice cresta: guarda come sulsuo elmo spicca una doppia cresta. L’elmo con due cimieri è unacaratteristica di Marte e del figlio Romolo.12. e il padre stesso dei superi lo segna già del suo onore?: e lostesso Giove, padre degli dei (superi), lo onora come una divinità? 13. all’Olimpo avrà l’animo: sarà simile agli dei per spirito.14. e sette rocche, unica, cingerà del suo muro: e sarà l’unicacittà ad inglobare nelle sue mura sette colline.15. feconda di eroi: madre di eroi.16. così avanza turrita la madre Berecinzia sul carro, fra i borghidi Frigia, feconda di dei: allo stesso modo in cui Cibele, la deamadre di molte divinità venerata a Berecinto (madre Berecinzia)avanza sul carro nelle città della Frigia con il capo cinto da torri.

Durante le processioni, la dea Cibele veniva rappresentata con la testacoronata di torri, accompagnata da leoni o su un carro trainato daquesti animali.17. celesti tutti: tutti di origine divina.18. Cesare è qui, e tutta la stirpe di Iulo: tra loro si trova ancheGiulio Cesare e la discendenza di Iulo (gens Iulia).19. l’Augusto Cesare, il figlio del Dio: Ottaviano Augusto, figlioadottivo di Giulio Cesare (figlio del Dio).20. che aprirà di nuovo pel Lazio il secolo d’oro, nei campiregnati da Saturno una volta: che nel Lazio darà origine ad unanuova età dell’oro, analoga a quella di Saturno.21. sui Garamanti e sugli Indi: sui popoli dell’Africa e dell’Asia.22. fuor dello Zodiaco è la terra: il suo impero si estenderà sottocostellazioni sconosciute.23. fuor dalle strade del sole e dell’anno: al di là dei punti raggiuntidal sole nel suo corso annuale: Anchise intende dire che l’impero diAugusto non avrà limiti.24. celifero: che sorregge il cielo.25. spiranti bronzi: statue di bronzo tanto fedeli da sembrare cherespirino (spiranti).26. diranno meglio le cause: saranno più abili a pronunciareorazioni.

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APPROFONDIMENTO

Come tutti gli eroi del mito, Enea è figlio di un uomo, Anchise, e di una divinità, la dea Afrodite.Discendente per parte di padre dalla mitica stirpe di Dardano (e quindi dallo stesso Zeus), inizial-mente viene allevato su una montagna, poi a cinque anni è affidato allo zio Alcatoo che provvedealla sua educazione.Sin da giovanissimo mostra di essere uno dei più valorosi guerrieri troiani e nel corso del decenna-le conflitto contro gli Achei è protagonista di numerosi combattimenti. Sul punto di essere uccisoper due volte, viene salvato dagli dei perché il Fato gli ha affidato il compito di dare continuità allastirpe troiana in un’altra terra.Dopo la caduta di Troia, seguendo le indicazioni di Afrodite, fugge e porta con sé il padre Anchise, ilfiglio Ascanio, la moglie Creusa e i più importanti simboli religiosi della sua città, i Penati e il Palladio.Secondo le tradizioni raccolte da Virgilio, Ascanio (chiamato anche Iulo) è il fondatore di Albalongada cui avrà origine la città di Roma.

Enea nel mito

27 misureranno asestante, il sorgerdegli astri sapranno:sapranno realizzarecalcoli astronomiciestremamente precisi.

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Enea in fuga da Troia con ilpadre Anchise e il figlioAscanio, rilievo in terracotta.

850 misureranno a sestante, il sorger degli astri sapranno:27

tu ricorda, o Romano, di governare le genti:questa sarà l’arte tua, e dar costumanze di pace, usar clemenza a chi cede, ma sgominare i superbi».

da Virgilio, Eneide, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1989

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lʼeroe nellʼepica latina

STRUMENTI DI LETTURALe parole chiave

L’eroe e il Fato: nel mondo romano il termineFato definisce la necessità immodificabile cheregola ogni aspetto del reale, seguendo prin-cipi che non possono essere conosciuti o in-dagati per via razionale. La parola Fato derivadal verbo fateor, “dire” e significa “ciò che èstato detto”. L’origine di quella “paroladetta” è perciò il divino, quindi quanto “èstato detto” non può essere in alcun modomodificato, ma solo individuato e seguito.L’intera vicenda di Enea è fortemente condi-zionata dal Fato, di fronte al quale nessunaistanza personale ha peso: è il Fato che gli hapermesso di scampare alla morte durante laguerra contro gli Achei e, allo stesso tempo,che gli ha imposto prove difficili, costringen-dolo prima ad abbandonare la sua patria esuccessivamente a lasciare Didone (vedi ap. 109) per raggiungere una nuova terra.

Fabula e intreccioLa finalità del poema: pienamente consa-pevole dei propri doveri di uomo, Enea siadegua ai disegni del Fato anche se quasisempre ciò comporta perdite, dolori e ri-nunce. C’è un momento però in cui la rigo-rosa ubbidienza dell’eroe al proprio destinodiviene fonte di fierezza e orgoglio ed èquando, nell’oltretomba, Anchise gli spiegache il suo fato (v. 759) lo vuole progenitoredei futuri governanti di Roma, la città da cuinascerà il più grande impero del mondo.Si tratta di un importantissimo snodo narra-tivo perché, esattamente a metà del poema,Enea scopre finalmente il senso di quanto gliè accaduto fino a quel momento e vienemesso in condizione di affrontare consape-volmente ciò che ancora deve verificarsi.In questo episodio diviene esplicita la finalitàdel poema poiché Virgilio, celebrando lamissione di Roma nella storia, attribuisce aun personaggio mitico, Enea, il rango di eroenazionale e a una figura reale, Ottaviano Au-gusto, il merito di aver portato a termine erealizzato un progetto le cui radici affondanoin un tempo remoto e leggendario. Per Virgi-lio, perciò, l’epica e l’eroe epico sono funzio-nali al fine che si propone. Scegliendo ungenere letterario che fin dal suo esordio ha ilcompito di tramandare storie con una fun-zione “modellizzante”, cioè capaci di tra-smettere un modello di comportamento,di pensiero, di aggregazione, Virgilio pro-

pone al suo pubblico un termine di con-fronto. Enea è il Romano per eccellenza, lasua pietas è diretta a rispettare principi di va-lore e di culto tipicamente romani e indicacosì nella forma più tradizionalmente con-sona alla trasmissione di modelli, una precisaimmagine di riferimento.

I temiEnea, simbolo dei valori romani: l’eroeEnea rappresenta il modello ideale di cit-tadino romano poiché in lui si concentranotutte le qualità dei mores maiorum, i costumie le tradizioni degli antenati da cui trasseroorigine il primo nucleo del diritto civile e lestesse Dodici Tavole, le prime leggi scritte deiRomani. I valori di cui Enea è emblema sono il corag-gio e la prestanza fisica ma anche il rispettodegli obblighi familiari e la consapevolezzadei propri doveri nei confronti della colletti-vità. Egli, infatti, pur soffrendo per le sceltecui il Fato lo costringe, persegue tenace-mente la missione cui è stato destinato per-ché, come ognuno dei discendenti incontratinell’oltretomba, sente di appartenere a un in-granaggio più ampio inserito in un piano chetrascende i suoi desideri di individuo.La discesa agli Inferi: il tema dell’eroe che,da vivo, visita l’altro mondo non è un’inven-zione virgiliana ma ricorre in molti miti del-l’antichità; già il protagonista dell’Odisseaaveva incontrato nell’Ade le anime dei defuntipresentatesi a lui per essere interrogate. Nelpoema di Virgilio però questa situazioneviene sviluppata in modo molto più ampio edEnea, accompagnato dal padre Anchise, siimbatte nella lunga processione dei suoi di-scendenti, che vengono rappresentati in mo-vimento perché per i Romani, il futuro esistesolo come prosecuzione di quanto è avve-nuto in passato e già prima di nascere cia-scuno è avviato ineluttabilmente ad assolvereallo specifico compito cui è stato destinato.

I personaggiLa processione delle anime: la scena dellasfilata degli illustri discendenti di Enea – chesi apre con Silvio, figlio postumo dell’eroetroiano, e si chiude con Marcello, l’amato ni-pote dell’imperatore Ottaviano Augusto – èstrutturata allo stesso modo dei corteiche si organizzavano in occasione dei fu-nerali dei nobili romani.

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LʼEROE DAL MITO ALLA TRAGEDIA ATTICA

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A Roma, infatti, le famiglie gentilizie acquisi-vano il diritto di conservare le riproduzioni incera dei volti dei loro antenati (realizzateprima della sepoltura) e quando un membrodella famiglia moriva, le immagini e le ma-schere degli antenati (imagines maiorum) ve-nivano indossate da uomini che avevano lestesse caratteristiche fisiche dei defunti,erano abbigliati in modo da ricordare le ca-riche pubbliche da essi ricoperte in vita eavanzavano su carri preceduti dalle insegnedistintive delle diverse magistrature. La successione delle immagini avveniva se-condo precisi criteri genealogici, per cui gliantenati più antichi venivano collocati intesta al corteo mentre il feretro era situatoalla fine della processione. La grandiosa rap-presentazione della gloria e del prestigiopassati aveva un’importante funzione edu-cativa sulle nuove generazioni perché raffor-

zava lo spirito di appartenenza familiare e in-duceva a emulare i comportamenti virtuosidei predecessori.

Le figure retoricheUn’articolata similitudine paragona la stra-ordinaria potenza della città di Roma, non an-cora nata ma già viva nei disegni del Fato, aquella di Cibele (vv. 783-787), la dea della fe-condità di origine anatolica il cui culto erastato ufficialmente introdotto nel mondo la-tino agli inizi del III secolo a.C. L’elemento cheaccomuna i due termini di paragone è la fe-condità, e in particolare la capacità di gene-rare esseri eccezionali, poiché la dea è madredi numerosissime divinità (v. 786 feconda didei), mentre a Roma è assegnato il glorio-so compito di dare i natali a moltissimi eroi (v. 784 feconda d’eroi).

Ferdinand Bol (1610-1680), Enea alla corte deilatini (1661-1663 ca.).

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lʼeroe nellʼepica latina

Labo

rato

rioLABORATORIO

diffic

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del brano.

di 15 righe al massimo le ragioni per cui quest’episodio as-sume una funzione esplicitamente celebrativa all’interno del poema.Esponi in un testo

Fa’ la parafrasi

10

9

Produzione

diffic

oltà

Le parole chiave Con quale espressione Anchise sottolinea che le vicende di Enea sono sta-te determinate dal Fato? Qual è, invece, la missione che il Fato ha attribuitoalla civiltà romana?

I temi Il discorso di Anchise sottolinea il legame che la gens Iula ha con l’antica cit-tà di Troia e con alcune divinità: individua nel testo i relativi riferimenti e tra-scrivili sul quaderno.

Legame tra gens Iula e la città di Troia: ........................................................................................................................................Legame tra gens Iula e gli dei: .......................................................................................................................................................................

In quali ambiti, altri popoli si dimostreranno superiori ai Romani ? Imprese militari Creazioni artistiche Capacità di parlare in pubb lico Scoperte geografiche Conoscenze astronomiche Abilità nel coltivare la terra

Le figure retoriche Nella parte conclusiva del brano, Anchise afferma che le conquiste territorialidi Ottaviano Augusto arriveranno “fuor dello Zodiaco … fuor dalle strade delsole e dell’anno, ove Atlante celifero regge ssull’omero l’asse prezioso di stel-le splendenti”. Quale figura retorica si cela in questi versi?

8Vedi a p. 13

7

6Vedi a p. 14

5Vedi a p. 14

Analisi

diffic

oltà

A quale scopo Anchise mostra a Enea le anime dei suoi successori?

Quali personaggi compaiono nel lungo corteo?

Quale tra queste figure appare più prestigiosa?

Quali luoghi saranno fondati dai discendenti di Enea?4

3

2

1

Comprensione

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