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Leonardo Maria COSTA LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEGLI SPORTIVI NELLA COMUNITA’ EUROPEA INTRODUZIONE “Nell’età moderna lo sport ha sempre tenuto a rivendicare una propria autonomia nei confronti delle autorità costituite 1[1] ”, qualunque fosse la loro n atura 2[2] . Questa ricerca di una sfera di azione autonoma sfociava spesso nella convinzione delle varie istanze sportive di poter esistere come ordinamento separato rispetto a quello statuale, giacché esse si sentivano investite di una missione di interess e superiore che fondava le sue radici nel mito di Olimpia e nella fratellanza universale e che travalicava certamente gli angusti confini degli Stati 3[3] . 1[1] Cfr. P. DE CATERINI, “Le società sportiv e nella prospettiva del mercato unico europeo ”, in Società sportive e ordinamento giuridico , Siena, 1994, p. 45 e ss.. 2[2] Sul punto, cfr. C.MIÈGE , Le Sport Européen , Parigi, 1996, p.65. Secondo tale autore, “régi par ses règles propres et disposant d’une organisation spécifique, le monde sportif, qui dans tous les Pays membre s’est toujours efforcé d’affirmer son indépendance et son autonomie à l’égard des autorités publiques, est longtemps resté à l’écart de la construction européenne. De surcroît, les milieux sportifs sont traditionnellement peu ouverts aux principes de la libre circulation et de la libre concurrence qui sous -tendent cette construction” . 3[3] Lo scarso interesse dimostrato in un primo momento da questi ultimi nella regolamentazione del settore sportivo aveva facilitato lo svilupparsi di un ordinamento autonomo a vocazione mondiale e a strutturazione piramidale caratterizzato da una grande osservanza tributata alle sue regole dai suoi membri: sportivi, club e federaz ioni. Tale fenomeno è ancora più accentuato dalla esistenza di una vera e propria giustizia sportiva e dal vincolo di giustizia sportiva che ne discende. Esso impone l’obbligo, in caso di controversie, di non adire il giudice statale, ma gli organi federali, pena la squalifica o l’espulsione dell’associato riottoso. Si tratterebbe in sostanza di una “clausola compromissoria”, che pur non avendo un completo riconoscimento giuridico idoneo a negare giurisdizione al giudice ordinario, è non solo universalmente riconosciuta, ma anche universalmente rispettata. Vedi sul punto, P. DINI, “Le basi dell’autonomia normativa nel diritto sportivo” , in Rivista di diritto sportivo, 1975, p.239. Secondo tale autore la clausola compromissoria sarebbe equiparabile ad una obb ligazione bilaterale. Il soggetto di diritto sportivo si impegna infatti a rispettare detta clausola (prestazione), mentre l’autorità sportiva si impegna a tutelare l’attività agonistica del singolo o del gruppo (controprestazione). Il rispetto della quiet e sportiva si spiegherebbe anche a causa della “realità” degli effetti sanzionatori, difficilmente rimuovibili con un’azione giudiziale.

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Leonardo Maria COSTA

“LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEGLI SPORTIVI NELLA COMUNITA’ EUROPEA”

INTRODUZIONE

“Nell’età moderna lo sport ha sempre tenuto a rivendicare una propria autonomia

nei confronti delle autorità costituite 1[1]”, qualunque fosse la loro n atura2[2]. Questa

ricerca di una sfera di azione autonoma sfociava spesso nella convinzione delle varie

istanze sportive di poter esistere come ordinamento separato rispetto a quello statuale,

giacché esse si sentivano investite di una missione di interess e superiore che fondava

le sue radici nel mito di Olimpia e nella fratellanza universale e che travalicava

certamente gli angusti confini degli Stati 3[3].

1[1] Cfr. P. DE CATERINI, “Le società sportiv e nella prospettiva del mercato unico europeo ”, in Società sportive e

ordinamento giuridico , Siena, 1994, p. 45 e ss..

2[2] Sul punto, cfr. C.MIÈGE, Le Sport Européen , Parigi, 1996, p.65. Secondo tale autore, “régi par ses règles propres et disposant d’une organisation spécifique, le monde sportif, qui dans tous les Pays membre s’est toujours efforcé d’affirmer son indépendance et son autonomie à l’égard des autorités publiques, est longtemps resté à l’écart de la construction européenne. De surcroît, les milieux sportifs sont traditionnellement peu ouverts aux principes de la libre circulation et de la libre concurrence qui sous -tendent cette construction” .

3[3] Lo scarso interesse dimostrato in un primo momento da questi ultimi nella regolamentazione del settore sportivo aveva facilitato lo svilupparsi di un ordinamento autonomo a vocazione mondiale e a strutturazione piramidale caratterizzato da una grande osservanza tributata alle sue regole dai suoi membri: sportivi, club e federaz ioni. Tale fenomeno è ancora più accentuato dalla esistenza di una vera e propria giustizia sportiva e dal vincolo di giustizia sportiva che ne discende. Esso impone l’obbligo, in caso di controversie, di non adire il giudice statale, ma gli organi federali, pena la squalifica o l’espulsione dell’associato riottoso. Si tratterebbe in sostanza di una “clausola compromissoria”, che pur non avendo un completo riconoscimento giuridico idoneo a negare giurisdizione al giudice ordinario, è non solo universalmente riconosciuta, ma anche universalmente rispettata. Vedi sul punto, P. DINI, “Le basi dell’autonomia normativa nel diritto sportivo” , in Rivista di diritto sportivo, 1975, p.239. Secondo tale autore la clausola compromissoria sarebbe equiparabile ad una obb ligazione bilaterale. Il soggetto di diritto sportivo si impegna infatti a rispettare detta clausola (prestazione), mentre l’autorità sportiva si impegna a tutelare l’attività agonistica del singolo o del gruppo (controprestazione). Il rispetto della quiet e sportiva si spiegherebbe anche a causa della “realità” degli effetti sanzionatori, difficilmente rimuovibili con un’azione giudiziale.

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La situazione si è complicata notevolmente in Europa, quando allo Stato si è aggiunto

un altro ordine giuridico, dalla particolarissima natura ibrida a metà tra

confederazione e federazione di Stati come la Comunità economica europea: nei

confronti di detta Comunità il mondo dello sport è stato ancor più diffidente, non

scorgendo in essa altro che una au torità lontana, dalla natura e dai poteri non ben

definiti e, proprio per questa ragione, ancora più temibile.

Il quadro appena delineato è stato turbato il 15 Dicembre 1995 dalla Corte di

Giustizia delle Comunità europee che, rendendo la sua sentenza nel caso Bosman, ha

provocato un vero e proprio terremoto nel mondo del calcio e dello sport in generale:

forse mai come allora il problema della libera circolazione degli sportivi nella

Comunità europea, tema cui si rivolge la presente trattazione, è sta to assunto agli

onori della cronaca, suscitando un vivo interesse anche nei non specialisti del diritto

comunitario.

Come è noto, tale sentenza condannava alcune regole vigenti all’epoca nel settore

calcistico, ed è sicuramente per tale circostanza, ess endo il calcio lo sport più

praticato e più seguito in Europa, che una pronuncia pregiudiziale della Corte di

Lussemburgo ha trovato eco non solo nella dottrina 4[4], ma anche tra i media ed il

grande pubblico 5[5]: forse non altrettanto conosciuto è però il fatto che, per quanto

importante, detta pronuncia non ha rappresentato altro che la ripresa di un rapporto e

4[4] Vedi ad esempio, M. COCCIA, “ Il dopo Bosman e il modello sportivo europeo” , in Rivista di diritto sportivo,

1998, p. 335: “ La sentenza Bosman è certamente una delle pronunce più note e discusse rese dalla Corte di giustizia comunitaria negli ultimi anni. Basti considerare che il numero di commenti dedicati a Bosman dalla dottrina supera largamente quello riservato a d altre pur celebri pronunce, che hanno posto le basi del processo di integrazione sovranazionale comunitario”.

5[5] Cfr. P. DEMARET , “Quelques observations sur la signification de l’arrêt “Bosman” , in Revue du marché unique européen, 1996, n.1, p. 11 ss. .

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se si vuole di un dialogo, tra mondo dello sport e Comunità europea, il cui filo si era

interrotto bruscamente alcuni anni prima.

Se per la Comunità europea il caso Bosman è stato un mezzo attraverso cui

affermare, o meglio riaffermare l’applicazione del diritto comunitario anche in un

settore, che come quello dello sport poteva sembrare in principio al ri paro dalle sue

regole, il mondo sportivo europeo, dal canto suo, ha vissuto la sentenza in modo

traumatico, avvertendola come una indebita interferenza “nella più completa

affermazione dell’autonomia privata organizzata riconosciuta e rispettata dallo

Stato6[6]”, capace di auto- legiferare, auto - amministrarsi e auto- giudicarsi.

Invero, proprio dalle relazioni tra il mondo dello sport ed il diritto comunitario si è

ritenuto di dover trarre le mosse nello svolgimento del presente studio. Prima di poter

analizzare partitamente il tema della libera circolazione degli sportivi nella Comunità

europea era tuttavia necessario stabilire preliminarmente se il diritto comunitario

contenesse delle disposizioni regolanti la materia in parola, se tali norme

differenziassero lo sport rispetto ad altri settori ed infine, quale fosse la disciplina

prevista.

Si è cercato in subordine di vedere se lo sport, e quindi la libera circolazione degli

sportivi, potessero comunque essere regolati secondo altre norme pertinenti del diritto

comunitario. A questo proposito l’analisi del problema è stata condotta in massima

parte attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, la

cui interpretazione estensiva delle norme del Trattato ha portato a riconoscer e, come

6[6] P. DINI, “Le basi dell’autonomia normativa nel diritto sportivo” , op. cit..

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si vedrà, a determinate condizioni, l’applicabilità in subiecta materia delle norme

riguardanti la libera circolazione dei lavoratori, subordinati o autonomi.

La sentenza Bosman, cui si accennava in precedenza, sarà così inserita nell’alveo

delle altre pronunce, anteriori ( Walrave, Donà) e successive (Deliège e Lehtonen),

rese dalla Corte nella materia, e tale circostanza permetterà di apprezzare nella giusta

misura l’evoluzione della disciplina in oggetto. In particolare, mentre le due

precedenti sentenze, entrambe degli anni Settanta, forniscono i principi cardine nella

materia, le ultime due sono sicuramente sintomatiche sia di un nuovo approccio verso

lo sport, sia del crescente interesse che si ha in ambito comunitario per tale attività,

che come poche altre riesce a coniugare l’aspetto più prettamente economico e

finanziario con quello del sano impegno e della genuina passione.

Ciò premesso, è stato ritenuto opportuno precisare il tema rationae personae , e sotto

tale profilo gli sportivi “c omunitari”, ossia cittadini di uno degli Stati membri che

compongono la Comunità europea, sono stati differenziati dai non comunitari, per i

quali è prevista una diversa disciplina. Per quanto riguarda ancora tali ultimi soggetti,

si vedrà che una ulterior e distinzione tra cittadini extracomunitari può essere operata,

nel caso in cui essi provengano da Paesi terzi con i quali la Comunità ha concluso

degli accordi di associazione. In proposito, l’analisi sarà condotta facendo riferimento

alla lettera del Tra ttato ed all’applicazione che dei principi posti in via pretoria dalla

Corte di Giustizia è stata fatta dalle Corti nazionali.

Gli argomenti presentati saranno dunque trattati in tre capitoli: nel primo, saranno

tracciate le linee generali dell’azione com unitaria nel settore dello sport e si farà

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riferimento alla disciplina attinente alla libera circolazione dei lavoratori, che come

premesso risulta applicabile allo sportivo; nel secondo si esaminerà la giurisprudenza

della Corte di Giustizia in materia. S i farà inoltre cenno all’azione delle altre

istituzioni comunitarie, soprattutto della Commissione. In ultimo, il terzo capitolo

sarà dedicato all’analisi della libera circolazione degli sportivi non comunitari: si

vedrà se una libera circolazione tout court di detti sportivi sia possibile, o se sia

invero configurabile in una forma attenuata.

CAPITOLO I

Cenni sulla libera circolazione dei lavoratori

Premessa

L’obiettivo fondamentale del Trattato istitutivo della Comunità Economica

Europea (in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht 7[7] la sua

7[7] Trattato modificativo delle norme CEE, CEEA e CECA, firmato il 7 Febbraio 1992 ed entrato in vigore il primo Gennaio 1993. Rappresenta una tappa fondamentale nel processo di integrazione europea. E’ fondato su tre pilastri: le Comunità (titoli I, II, III, IV), la politica estera e di sicurezza comune (titolo V), la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (titolo VI). Fra le innovazioni p iù importanti da esso apportate al Trattato CEE può essere ricordata l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione, riconosciuta a tutti i cittadini degli Stati membri della Comunità, che tra le altre cose conferisce un diritto di elettorato attivo e passi vo per le elezioni comunali e per il Parlamento europeo ai cittadini che risiedono in uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la nazionalità. Nel trattato di Maastricht sono previsti anche nuovi settori di competenza comunitaria (cultura, protezion e della salute), il rafforzamento dei capitoli riguardanti la politica sociale, la coesione economica e sociale e l’ambiente, la modifica di alcuni meccanismi decisionali, e soprattutto l’istituzione di quella Unione economica e monetaria che ha trovato la sua espressione più tangibile nell’introduzione, il 1° Gennaio 2002, della nuova moneta comune (l’euro). Per maggiori approfondimenti, cfr. G. TESAURO, Diritto comunitario , Padova, 2001.

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denominazione ufficiale è divenuta “Comunità europea” 8[8]), firmato nel 1957 in

Roma, era l’instaurazione, tra i suoi originari sei membri, di un mercato unico

comune teso a promuovere “uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività

economiche nell’insieme della Comunità, una crescita continua e non inflazionistica,

un alto grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello occupazionale

e di protezione sociale, un miglioramento sempre più rapido del loro tenore di vita ed

una più stretta collaborazione” fra essi 9[9]: da quanto precede, non sorprende che

nessun cenno alla disciplina di un settore come quello dello sport pote sse trovarvi

posto.

Invero, dato che la Comunità europea è una Organizzazione internazionale di Stati

con competenze attribuite 10[10], non essendo lo sport contemplato nel Trattato di

Roma11[11], l’immunità di questo rispetto a quelle sembrava in principio assoluta.

Nonostante tali premesse, la Corte di Giustizia delle Comunità europee (la Corte),

grazie ad una interpretazione estensiva 12[12] delle norme del Trattato, è riuscita a

colmare in via pretoria tale lacuna legislativa, stabilendo che l’attività spo rtiva,

benché non specificamente inserita tra le materie di competenza della Comunità

economica europea, rientrava per certi rispetti nell’ambito di applicazione del diritto

8[8] La nuova denominazione rappresenta senza ombra di dubbio un c ambiamento sostanziale dell’approccio verso il cittadino: la Comunità si afferma dunque sempre più come una Organizzazione internazionale composta non solo da Stati ma anche da individui. 9[9] Art. 2 CEE, attuale 2 CE. 10[10] In tal senso l’art.5 del Tratta to CE (ex art. 3 B). 11[11] Né lo sarebbe stato in quello di Maastricht. Al contrario, una dichiarazione sullo sport è stata inserita nell’Atto finale del Trattato di Amsterdam. 12[12] Vedi sul punto J. M. DE WAELE e A. HUSTING, “Le sport, la société et le droit”, in Sport et Union européenne , opera collettiva, Bruxelles, 2001, p. 7 ; anche i due autori mettono in risalto che “c’est au travers des arrêts de la Cour de Justice que les activité physiques et sportives, bien qu’ignorées par les différents Traité s européens, sont entrées de plain pied dans le champ d’application des principes communautaires”.

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comunitario13[13] e che agli sportivi professionisti cittadini di uno Stato membro, se

impegnati in una attività economica, potesse essere riconosciuta la qualifica di

lavoratori ex art.39 CE (art.48 CEE) o di prestatori di servizi ex art.49 CE (art.59

CEE)14[14].

Invero, dato che nel prosieguo del presente lavoro sarà fatto riferimento sia a

queste norme, sia alla disciplina che esse presuppongono, appare non solo opportuno,

ma anche necessario, occuparsi previamente della libera circolazione del

lavoratore15[15] in generale, per poi vedere, nei capitoli seguenti, quali siano le

peculiarità ed i principi valevoli in specie per lo sportivo.

13[13] Cfr. la sentenza 12 Dicembre 1974, causa 36/74, Walrave, Racc. 1974, p.1405 di cui si dirà diffusamente nel cap. II. 14[14] In genere la Comunità europ ea conserva tre mezzi di azione per intervenire nei settori in cui nessuna competenza le è riservata dal Trattato: il primo è quello dell’azione intergovernativa, ossia della modifica concordata dagli Stati delle sue attribuzioni; il secondo è fornito dall ’art.308 CE (“Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deli berando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso”, mentre il terzo consiste appunto nel far leva sulle norme generali del Trattato. 15[15] Invero, in tutte le sentenze che si p renderanno in considerazione nel cap. II lo sportivo sarà considerato come un lavoratore salariato, e solo in via subordinata come prestatore di servizi. Dato che in ogni caso, come statuito dalla Corte nella sentenza Walrave, cit., la differenza tra le du e discipline non è la protezione che il Trattato intende riservare al lavoratore, che è identica, ma la circostanza che nel caso della prestazione di servizi, non si è in presenza di un contratto di lavoro, riteniamo sufficiente limitare l’analisi partita alla sola disciplina concernente il lavoratore ex art.39 CE. Una simile impostazione è stata seguita, nel suo recente contributo al tema, anche da J.P. DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , Bruxelles, 2000, cui si rimanda.

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1.1 La libera circolazione dei lavoratori nel contesto del Trattato

Sebbene l’art.3 lettera c) 16[16] del Trattato di Roma indichi fra le azioni della

Comunità la realizzazione della libera circolazione delle persone, senza ulteriori

specificazioni, il suo titolo III, che detta disposizioni più dettagliate sulle singole

libertà fondamentali, in realtà non prende in considerazione le persone che in

un’ottica alquanto ristretta, vale a dire essenzialmente i n quanto lavoratori (ossia meri

fattori della produzione) 17[17].

E’ quindi a vantaggio di questa più ristretta categoria di soggetti che le norme del

Trattato si rivolgono, in perfetta sintonia col tenore generale delle sue disposizioni,

improntate, almeno in un primo momento, ad una logica mercantilistica. In questa

prospettiva, nel Trattato CEE (attualmente Trattato CE) sono state inserite

disposizioni regolanti ogni attività di lavoro prestata da un cittadino di uno Stato

membro in un altro Stato membro, quale che sia il tipo di rapporto (subordinato o

autonomo) ed il carattere (occasionale o stabile) del suo esercizio sul territorio della

Comunità. Queste disposizioni si sono concretate in diverse categorie di norme

concernenti: 16[16] Attuale art. 3 lett. c) CE. 17[17] Positivo è stato al riguardo il recepimento, da parte del legislatore comunitario, degli orientamenti della Corte di Giustizia. Una prima estensione normativa del diritto di libera circolazione è stata effettuata in forza delle diretti ve 90/364, 365 e 366 CEE del Consiglio del 1990, in GUCE L 180 del 13 Luglio 1990 (l’ultima direttiva è stata sostituita da una nuova direttiva, la 93/96 CEE del Consiglio, in GUCE L317 del 18 Dicembre 1993). Dette direttive generalizzano il diritto di sog giorno ricomprendendovi: 1) i cittadini degli Stati membri che non ne beneficiano in virtù di altre disposizioni del diritto comunitario, nonché i loro familiari, a patto che i primi dispongano per sé e per i propri familiari di a)una assicurazione malatti a che copre tutti i rischi nel Paese ospitante e b) di risorse sufficienti per non costituire un peso per la previdenza sociale dello Stato di accoglienza; 2) i lavoratori subordinati e autonomi che abbiano un reddito da pensione o per rendita da infortuni o sul lavoro o per malattia professionale, nonché i loro familiari; 3) gli studenti ed i loro congiunti alle stesse condizioni del n.1. Successivamente, un ulteriore ampliamento della titolarità del diritto di libera circolazione è stato attuato dall’art. 8A (attuale 18) del Trattato di Maastricht: ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte alcune limitazioni, e alle condizioni previste dal Trattato stesso. Cfr. sul punto, G. TESAURO, Diritto comunitario , op. cit..

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a) i lavoratori subordinati (libera circolazione dei lavoratori, artt.39 a 42

CE, artt.48 a 51 CEE);

b) i lavoratori autonomi, questi ultimi considerati diversamente a seconda

che svolgano:

- una attività stanziale18[18] (norme sulla libertà di stabilimento,

artt.43 a 48 CE, artt.52 a 58 CEE);

- una attività occasionale19[19] (norme sulla libera prestazione dei

servizi20[20], artt.49 a 55 CE, 59 a 66 CEE).

Queste tre libertà di movimento delle persone si ispirano al principio generale di

non discriminazione tra i cittadini dei vari Stati membri praticata in base alla

nazionalità previsto dall’art. 12 CE 21[21] (ex. art. 6, già modificato dal Trattato di

Maastricht) ed anzi ne costituiscono anche la specificazione particolare, articolandosi

diversamente in relazione al diverso rapporto di lavoro. La disciplina delle libertà in

causa varia in ragione dei vari osta coli da eliminare per assicurare al lavoratore

migrante le migliori condizioni lavorative possibili, unitamente al più adeguato

livello di compenetrazione con il tessuto sociale dello Stato ospitante in relazione

all’attività svolta 22[22].

18[18] Si tratta di lavoratori che si trasferiscono in un altro Stato membro per esercitarvi una attività lavorativa o professionale a titolo indipendente. 19[19] Sono queste persone che forniscono servizi di natura occasionale o temporanea in un altro Stato della Comunità. 20[20] Questa attività partecipa solo in parte alla libertà di circolazione, perché in alcune circostanze può anche realizzarsi senza che vi sia alcuno spostamento fisico delle persone interessate (prestatore e destinatario): questo è il caso, ad esempio, di una polizza di assicurazione stipulata da un cittadino comunitario in un altro Stato membro attraverso Internet: qui è la sola prestazione che “viaggia”. Tale libertà non deriva quindi dalla libera circolazione delle persone, ma si configura come una libertà di circolazione diversa dalle altre. Cfr. sul punto, G. ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione europea , tomo I, Torino, 1998. 21[21] “Nel campo di applicazione del Trattato […] è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”. Giova però ricordare che essendo l’art.12 un principio generale, esso non viene esaurito dalle norme che ne costituiscono una applicazione a se ttori specifici, mantenendo anzi una efficacia residuale rispetto a queste. 22[22] Sul punto, vedi G. ARRIGO, “Il diritto del lavoro dell’Unione europea”, op. cit..

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Nonostante alcune differenze, la normativa sulle libertà di movimento presenta

alcuni caratteri comuni. Innanzitutto, le disposizioni in causa si applicano in generale

ai cittadini che svolgono una attività economica all’interno del territorio della

Comunità ma in uno Sta to membro diverso da quello di cui sono cittadini (o in cui

risiedono). Il rapporto di lavoro, qualunque sia la sua natura, deve comunque riferirsi

al territorio comunitario o presentare un legame stretto con esso 23[23]. Ne consegue

che la circostanza che i l lavoro sia temporaneamente svolto al di fuori del territorio

della Comunità non è sufficiente ad escludere l’applicazione del principio della libera

circolazione (e della parità di trattamento tra nazionali e comunitari che ne consegue),

qualora mantenga un nesso abbastanza stretto con detto territorio 24[24]. In ogni caso

però, le norme sulla libera circolazione non sono applicabili a situazioni puramente

interne ad uno Stato membro o che non abbiano alcun collegamento con una

qualunque delle fattispecie p reviste dal diritto comunitario 25[25]: così, un lavoratore

(nel senso comunitario del termine) portoghese, se discriminato nel proprio Paese di

origine da parte del suo datore di lavoro, non potrà godere della protezione che il

diritto comunitario accorda a d esempio ad un suo collega francese, se prima di questo

avvenimento non abbia mai risieduto o lavorato in un altro Stato membro della

Comunità26[26]. L’ipotesi di figura illustrata appartiene alla categoria delle c.d.

23[23] Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, ogni volta che un rapporto g iuridico, in ragione del luogo in cui è sorto o di quello in cui produce i suoi effetti, si può ubicare nel territorio della Comunità, allora sarà soggetto al sindacato del diritto comunitario. 24[24] Sentenza 12 Luglio 1984, causa 237/83, Prodest, Racc. p.3153 25[25] Sentenza 28 Marzo 1979, causa 175/78, Regina, Racc.1979, p.1129 26[26] Sentenza 5 Giugno 1997, cause riunite C -64 e C-65/97 Uecker e Jacquet , Racc.1998, p.I-3171. Se si considerano i requisiti posti dal diritto comunitario affinché le norme sul la libera circolazione delle persone siano applicabili si possono verificare delle situazioni paradossali. Ad esempio, ad un cittadino italiano, ma nato in Francia e residente in Francia sin dalla nascita, sarebbe immediatamente applicabile il diritto alla libera circolazione, in qualità di lavoratore,

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“discriminazioni alla rovescia”, alle quali può essere posto rimedio solamente

mediante un intervento delle norme nazionali a tutela del principio di

uguaglianza27[27]. Situazioni come questa, in cui una normativa o una prassi vigenti in

uno Stato membro finiscono per arrecare uno svantaggio ai cittadini di detto Stato in

favore di quelli comunitari, sono neutre rispetto al diritto comunitario. Per quanto

riguarda il requisito della cittadinanza 28[28], requisito essenziale per beneficiare dei

diritti concessi dalle norme del Trattato, in mancanza di una nozione comunitaria del

termine29[29] resta di competenza di ciascuno Stato membro fissare le condizioni per

l’acquisto o la perdita della stessa 30[30]. Se inizialmente il diritto alla libera

circolazione delle persone e dei servizi era limitato sola mente ai soggetti che

esercitassero una attività economica rilevante (o che altrimenti ne fossero i

destinatari31[31]) e non alle persone in quanto tali, ciononostante il contenuto di questa

libertà è stato via via precisato ed arricchito sia da alcuni atti di legislazione

secondaria32[32] (regolamenti e direttive), che ne hanno disciplinato gli aspetti sociali e

anche se egli non avesse mai messo piede al di fuori di questo Stato membro. In tal senso vedi la sentenza 28 Ottobre 1975, causa 36/75, Rutili, Racc. p.1219. 27[27] Cfr. sul punto, G. TESAURO, Diritto comunitario, op. cit.. 28[28] Sulla cittadinanza europea, vedi U. VILLANI, “La cittadinanza dell’Unione europea”, in Studi in ricordo di Antonio Filippo Panzera, vol. II, p. 1001 ss., Bari, 1995 e P. MENGOZZI , “La cittadinanza dell’Unione e le libertà del mercato unico”, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. XV, Padova, 1997, p. 304 ss., L.S. ROSSI, “I cittadini”, in TIZZANO ( a cura di), Il diritto privato dell’Unione europea, Torino, 2000, p. 97 ss.. 29[29] La cittad inanza europea prevista dal Trattato di Maastricht cui si accennava supra non si sostituisce, ma si aggiunge alla situazione soggettiva del singolo cittadino di ogni Stato membro. Cfr. l’art. 17 CE . Se il requisito della cittadinanza è richiesto affinché un individuo possa godere dei benefici delle norme sulla libera circolazione delle persone così non è per i suoi familiari. Cfr. infra. 30[30] Del resto, anche il Trattato rinvia sul punto alle disposizioni pertinenti degli ordinamenti statuali particolari quando all’art. 17 definisce cittadino dell’Unione europea chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. 31[31] Sentenza 31 Gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 16/83, Luisi, Racc. 1984, p.377 32[32] Era apparso subito chiaro ai padri fondatori della Comunità ed alle sue neonate istituzioni che da sole le norme del Trattato, avendo prevalentemente una portata generale, non avrebbero potuto fare molto in relazione all’ambizioso obiettivo che volevano concretare. Le norme di attuazione e di completamen to del Trattato rispondevano quindi ad una duplice funzione: 1)attuare i principi posti dal diritto comunitario e 2)adeguare le discipline pertinenti degli Stati nazionali, assai reticenti a lasciar libero corso pratico ad una costruzione che avevano pur caldamente appoggiato se non promosso a livello teorico. Vedi sul punto G. VIDIRI, “La libera circolazione dei lavoratori nei Paesi della CEE ed il blocco calcistico delle frontiere” , in Giurisprudenza italiana, vol. CXL, 1988, parte IV p.66.

Eliminato: Racc.

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previdenziali, sia da una pregnante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle

Comunità europee, che ne ha esteso il concetto a fattispecie e a s oggetti inizialmente

non nominati ed ha allo stesso tempo interpretato in maniera restrittiva le deroghe (si

pensi a quelle previste al terzo comma dell’art. 39 CE) cui gli Stati potevano

assoggettare la detta libertà.

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1.2 La libera circolazione dei lav oratori dipendenti

La libertà di movimento per i cittadini di uno Stato membro che decidano di

svolgere una attività lavorativa salariata in un altro Stato membro è assicurata dagli

artt.39 a 42 del Trattato (ex artt.48 a 51 33[33]). L’elemento distintivo d ella disciplina in

esame rispetto a quella della libera circolazione delle persone fisiche e giuridiche che

esercitano una attività professionale (art.43) è sicuramente il carattere sociale della

disciplina concernente i lavoratori subordinati, nonché ovvi amente, come già

palesato, la diversa consistenza degli ostacoli da superare o la diversa intensità del

contatto che il cittadino di uno Stato membro rispettivamente ha con la comunità

sociale dello Stato ospitante 34[34]. Nello specifico, la norma fondament ale da prendere

in considerazione è sicuramente l'art.39 CE, che enuncia i contenuti, positivi e

negativi di questa libertà. Tale norma vieta innanzitutto, al suo comma n.2 ogni

discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membr i, per

quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro (principio del

c.d. trattamento nazionale 35[35]); parimenti, in positivo, essa specifica anche la portata

di tale libertà, che prevede il diritto di spostarsi nel territorio d egli Stati membri al 33[33] Questa categorie di norme regge una libertà sensibile, in relazione al suo oggetto, l’uomo, e si differenzia per questo motivo dalle altre libertà di circolazione dei fattori produttivi. Anzi, nel trattamento comune dei lavoratori è stata vista una forma iniziale, seppur rudimentale ed imperfetta di cittadinanza europea. Così LEVI SANDRI, riportato in POCAR- TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea , Milano, 2000, p.287 34[34] Ciò non toglie che, relativamente ad alcuni aspetti, l a disciplina delle tre libertà sia essenzialmente unitaria. Così i principi posti dalla Corte di Giustizia in materia di libera circolazione sono stati spesso riferiti sia all’art. 39 (ex 48) sia all’art. 49 (ex 59). Vedi su questo ultimo punto la sentenza Walrave, cit., in cui la Corte ha statuito che, al fine di promuovere la libera circolazione di chi vuole fornire prestazioni lavorative, il tipo di rapporto giuridico da cui traggono origine dette prestazioni è irrilevante, poiché il principio di non dis criminazione vale indistintamente per tutte le attività lavorative, subordinate o indipendenti. Cfr. anche M. COCCIA, “L’indennità di trasferimento e la libera circolazione dei calciatori professionisti nell’Unione europea” , in Rivista di diritto sportivo, 1994 p. 350 ss. 35[35] Secondo H. RANNOU, “La citoyenneté européenne et l’immigration ”, in Revue des Affaires européennes, 2000, p.38, “il était évident que la libre circulation n’aurait rien d’attractif si le travailleur courait le risque, en exerçant son droit de mobilité, de perdre tous ses droits en matière de sécurité sociale”

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fine di rispondere ad offerte di lavoro (comma 3b), il diritto d’ivi risiedere al fine di

svolgervi una attività lavorativa (comma 3c) e di restarvi, anche se in qualità di

soggetti economicamente non più produttivi dopo aver occupato un impiego (comma

3d).

Secondo il principio del trattamento nazionale, i lavoratori di uno Stato membro

(i comunitari) non possono ricevere un trattamento diverso da quello che lo Stato

membro di accoglienza riserva ai propri cittadini (i nazionali). La p arità di

trattamento mira in questo modo alla realizzazione di un mercato unico caratterizzato

da condizioni di accesso all’impiego, di impiego e di licenziamento più

omogenee36[36] possibili. Si noti che comunque tale principio impone un obbligo per

così dire “minimo” agli Stati membri: essi dovranno garantire almeno lo stesso

trattamento del nazionale al lavoratore comunitario, ma ciò non implica che essi non

potranno, se vorranno, fare di più privilegiando il comunitario 37[37].

Il divieto contenuto nell’art.39 CE rappresenta nel sistema del diritto

comunitario un raffinato strumento di azione contro ogni possibile resistenza

campanilistica e protezionistica degli Stati membri nel settore del lavoro. Tale norma

è volta non solo a colpire le discriminazioni c.d. dirette o palesi (ed in un certo senso

più rudimentali) basate sulla cittadinanza ma, vieta anche le discriminazioni

indirette , ossia quelle che basandosi su criteri diversi dalla nazionalità, come la 36[36] In proposito, cfr. i regolamenti nn. 1408/71, del 14 Giugno 1971, in GUCE L149 del 5 Luglio 1971, e 574/72 CEE del Consiglio, del 21 Mar zo 1972, in GUCE L 74 del 27 Marzo 1972 e loro aggiornamenti. Detti regolamenti dettavano una serie di disposizioni che miravano a realizzare una tendenziale unitarietà dei regimi nazionali attraverso principi basilari volti a rendere complementari le posi zioni contributive e previdenziali dei lavoratori migranti nei vari Stati membri. Vedi sul punto, R. FOGLIA, “La libera circolazione dei lavoratori e giurisprudenza nazionale. Problemi introduttivi”, in NASCIMBENE, (a cura di), La libera circolazione dei l avoratori: trent’anni di applicazione delle norme comunitarie , Milano, 1998. 37[37] Così TESAURO, Diritto comunitario , cit. Vedi anche quanto detto a proposito delle discriminazioni alla rovescia, supra.

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residenza, pervengono sostanzialmente al medesim o risultato38[38]. Invero, secondo

una giurisprudenza innovativa della Corte di Giustizia, anche le normative

indistintamente applicabili, che non comportano né direttamente né indirettamente un

trattamento deteriore del cittadino comunitario rispetto al na zionale, se tuttavia hanno

per effetto o per oggetto di pregiudicare 39[39] in qualche modo l’accesso al mercato del

lavoro o se impongono in capo al comunitario un peso, un onere eccessivo e non

proporzionato rispetto all’obiettivo che vogliono raggiungere, possono essere vietate,

se non giustificate da interessi generali 40[40], anche se si applicano senza distinzione

riguardo alla nazionalità 41[41]. Naturalmente il divieto di discriminazione con

riferimento alla nazionalità del lavoratore non concerne le even tuali disparità di

trattamento che possono risultare (e che anzi ovviamente risultano) dalle diverse

legislazioni degli Stati membri, poiché esse sono generalizzate a tutti gli individui che

ne sono interessati e si basano su criteri oggettivi che non hann o alcuna relazione con

la nazionalità42[42].

38[38] Cfr. la sentenza 23 Febbraio 1994, causa C - 419/92, Scholz, Racc., p. I -505. Sul punto cfr. G. GAJA, “La libera circolazione dei lavoratori : diritto comunitario e diritto nazionale. Considerazioni introduttive”, in NASCIMBENE, (a cura di), La libera circolazione dei lavoratori: trent’anni di applicazi one delle norme comunitarie, op. cit.. Tali discriminazioni sono le più difficili da accertare e traggono la loro origine da norme o prassi che attribuiscono un trattamento migliore in relazione a qualità diverse dalla cittadinanza, ma di cui sono general mente in possesso anche in questo caso esclusivamente o in maniera preponderante i cittadini dello Stato di migrazione e non gli stranieri, quali appunto la residenza. 39[39] Queste restrizioni ad una libertà fondamentale del Trattato possono trovare una giustificazione se 1) si applicano in modo non discriminatorio a tutti i soggetti; 2) sono giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico; 3) sono idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e 4) non vanno al di là di quanto necess ario per il raggiungimento di questo. Si badi che comunque i motivi addotti a giustificazione della restrizione devono essere ritenuti degni di protezione non solo a livello nazionale, ma anche da parte della Comunità. Inoltre le misure messe in atto devono in ogni caso essere quelle che apportano il pregiudizio minore al diritto comunitario. Solo in relazione a misure restrittive non discriminatorie, né in diritto né in fatto, sono ammissibili giustificazioni diverse da quelle espressamente previste dal Tr attato. 40[40] Sentenze 20 Maggio 1992, causa C -106/91 Ramrath , Racc. 1992, p. I -3351 e 31 Marzo 1993, causa C -19/92, Kraus, Racc. 1993, p. I-1663 41[41] Sentenza 15 Dicembre 1995, causa C -415/93, Bosman, vedi infra, cap.II 42[42] Sentenza 28 Giugno 1978 , causa 1/78, Kenny, cit. in POCAR, op. cit.. In altri termini, un cittadino italiano impiegato in Germania in qualità di lavoratore salariato non potrà lagnarsi del fatto che i lavoratori britannici ricevono, in Gran Bretagna, un trattamento migliore risp etto a quello che la Germania riserva ai suoi cittadini.

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Al principio della parità di trattamento in ambito lavorativo è stata data

applicazione, in sintonia con quanto previsto dall’allora art.49 CEE (attuale 40 CE)

con il Regolamento 1612/68 del Consiglio 43[43]: esso mira a garantire ai lavoratori

subordinati44[44] la stessa paga, le stesse condizioni lavorative e gli stessi vantaggi

sociali di cui godono i cittadini dello Stato membro di accoglienza 45[45].

Per quanto concerne invece l’accesso al lavoro, sono vietate ( in seguito all’entrata

in vigore del reg. 38/64 46[46] CEE e della direttiva 64/240 CEE 47[47] del Consiglio) le

condizioni di priorità o di precedenza concesse nel lavoro da uno Stato ai propri

nazionali48[48]. Non sono altresì tollerate le norme che subor dinino l’accesso al lavoro

da parte dei lavoratori migranti a requisiti che il nazionale non deve soddisfare. Il

diritto del cittadino comunitario di accedere ad una attività lavorativa nel territorio di

un altro Stato membro alle stesse condizioni del naz ionale ingloba necessariamente i

diritti complementari di uscita dal proprio Paese e di entrata sul territorio del nuovo

Stato d’elezione, così come il relativo diritto di soggiornarvi. La mobilità del

lavoratore ed il suo soggiorno sono consentite dietro presentazione di un semplice 43[43] In GUCE L 257/68, modificato dal reg. 312/76, GUCE L 39/76 e dal reg. 2434/92, GUCE L 245/92. In particolare, l’art.1 di tale regolamento stabilisce che “ogni cittadino di uno Stato membro, qu ale che sia il luogo della sua residenza, beneficia del diritto di accedere ad una attività salariata e di esercitarla sul territorio di uno Stato membro conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupaz ione dei lavoratori nazionali”. Sono pertanto inapplicabili nei confronti del cittadino straniero comunitario le disposizioni o le pratiche amministrative di uno Stato membro a) che limitino la domanda o l’offerta di impiego o il suo esercizio da parte degli stranieri o li subordinano a condizioni non previste per i nazionali; b) che, benché applicabili senza distinzioni rispetto alla nazionalità, hanno per scopo o effetto, esclusivo o principale, di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall’impiego offerto (art.3). 44[44] Parte della dottrina, cfr. per tutti, J.P. DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , cit., ritiene che tale atto normativo sia applicabile anche ai lavoratori indipendenti. Tale argomento si fonda sulla lettera del IV considerando del preambolo del reg. 1612/68, cit., in cui si afferma che “la libera circolazione deve essere riconosciuta ai lavoratori dipendenti, stagionali o frontalieri, o a quelli che esercitano la loro attività in qualità di prestatori di servizi”. 45[45] Beneficia del diritto di libera circolazione non solo il lavoratore che si sposti in un altro Stato per rispondere ad una offerta di lavoro, ma anche colui che vi si rechi per cercarlo. Il diritto alla libera circolazione viene così garantito senza che vi sia alcuna offerta lavorativa corrispondente. 46[46] In GUCE L 62 del 17 Aprile 1964 47[47] Ibidem 48[48] Ed anzi nel caso in cui delle priorità siano previste rispetto agli stranieri, il cittadino comunitario dovrà essere parificato al nazionale.

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documento di identità valido, da cui risulti la cittadinanza del lavoratore 49[49]. Il diritto

a soggiornare nel Paese di occupazione è comprovato (e non costituito 50[50]) da una

carta di soggiorno 51[51] (che sostituisce per il com unitario il permesso di soggiorno)

rilasciata per 5 anni e rinnovabile. Invero, al suo mancato possesso non può

corrispondere alcun provvedimento sanzionatorio 52[52], né tantomeno di

espulsione53[53]. Anche nel caso in cui il cittadino comunitario non abbia un

documento valido per l’espatrio oppure ometta di regolarizzare la propria posizione

nello Stato membro di accoglienza, non potrà essergli impedito il soggiorno sul

territorio di detto Stato. Importantissima è al riguardo la sentenza Watson54[54],

relativa alla controversia sorta a seguito del mancato adempimento della normale

prassi di notifica alla polizia della presenza di uno straniero sul suolo italiano. Il

procedimento penale aperto contro questa cittadina comunitaria avrebbe potuto

comportare la sua espulsione dall’Italia. Secondo quanto affermato dalla Corte di

Lusssemburgo, lo Stato membro può imporre ai cittadini di un altro Stato membro

degli obblighi, come quelli del caso di specie, e può anche sanzionare l’inosservanza

49[49] Cfr. la direttiva n.68/360 CEE del Consiglio del 15 0ttobre 1968, GUCE L 257 del 19/10/1968 relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori che si occupa più specificamente della mobilità del lavoratore e del su o soggiorno nello Stato membro di occupazione . Ulteriori adempimenti quali l’assoggettamento a controlli che integrino una prassi sistematica o il rilascio di visti d’ingresso che possono risolversi in un ostacolo alla libera circolazione sono vietati. 50[50] In effetti il diritto di soggiorno attiene già al lavoratore comunitario (autonomo e subordinato) in virtù del Trattato. Così TESAURO, Diritto comunitario , op. cit.. 51[51] Il cittadino comunitario ha diritto alla carta di soggiorno, quando ne ricorra no le condizioni, senza che lo Stato ospite abbia alcun potere discrezionale. La carta è valida in tutto il territorio dello Stato membro di accoglienza (cfr. sul punto la sentenza 28 Ottobre 1975, causa 36/75, Rutili, Racc. p. 1219. 52[52] Sono dispensat i dal possesso di una carta di soggiorno 1) i lavoratori assunti per un periodo inferiore a tre mesi; 2) i lavoratori stagionali provvisti di regolare contratto; 3) i lavoratori frontalieri. 53[53] A questo proposito, cfr. l’opinione espressa da F. MANCINI, “Principi fondamentali di diritto del lavoro nell’ordinamento delle Comunità europee”, in Il lavoro nel diritto comunitario e l’ordinamento italiano, Padova, 1988, p. 27 ss., circa la sentenza Royer. Secondo tale autore, dal momento che entrata e soggior no sono diritti di origine comunitaria, il comportamento del migrante non può ritenersi lesivo dell’ordine pubblico. 54[54] Sentenza 7 Luglio 1976, causa 118/75, Racc. 1976, p. 1186. La signora Watson, cittadina britannica era stata assunta in Italia in qua lità di fille au pair .

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delle dette prescrizion i, anche nel caso in cui obblighi di contenuto simile non siano

previsti a carico del cittadino nazionale. Tuttavia, la sanzione non deve essere tanto

grave da porre un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori e nel caso di specie

l’espulsione era in effetti “una pena non proporzionata all’interesse che protegge e

all’importanza del valore che ferisce 55[55]”.

Sebbene siano stati emanati vari atti di legislazione secondaria al fine di rendere

meglio operative le previsioni generali di questa libertà d i movimento, una

giurisprudenza oramai consolidata 56[56] ha stabilito che l’art.39 CE è provvisto di

efficacia diretta 57[57], in considerazione della sua ratio, della sua formulazione e della

sua finalità58[58]. La normativa derivata, pur prevista in talune n orme del Trattato, non

avrebbe per la Corte che il compito di facilitare l’applicazione delle disposizioni di

quest’ultimo, completandone il disposto, così che la loro eventuale mancata

attuazione non avrebbe l’effetto di pregiudicare i diritti concessi ai singoli dal

Trattato né l’applicazione di quest’ultimo.

55[55] Vedi F. MANCINI, “Principi fondamentali di diritto del lavoro nell’ordinamento delle Comunità europee”, cit.. 56[56] Vedi ad esempio la sentenza Donà, cit. 57[57] L’effetto diretto si definisce come l’attitudine di una disposiz ione di un Trattato internazionale o di ogni altra fonte di diritto internazionale pubblico di conferire ad un individuo dei diritti e dei doveri che possono essere invocati davanti alle autorità nazionali e i tribunali. Così, una regola provvista di effet to diretto non si limita a produrre degli effetti giuridici nei confronti degli Stati parti dell’accordo, ma incide direttamente sullo status giuridico dei cittadini di questi ultimi. Una norma del Trattato CE è direttamente efficace, ossia conferisce ai s ingoli diritti che il giudice nazionale ha il dovere di tutelare se è sufficientemente chiara e precisa e se la sua applicazione non richiede l’emanazione di ulteriori atti comunitari o nazionali di esecuzione o comunque di interpretazione. Sul punto cfr. G.TESAURO, Diritto comunitario , cit.. L’effetto diretto di una norma del diritto comunitario risiede secondo Tesauro nella sua idoneità a creare direttamente ed utilmente diritti ed obblighi in capo ai singoli, senza che lo Stato abbia modo di esercitare q uella funzione di diaframma che consiste nel porre in essere una qualche procedura formale per riversare sui singoli gli obblighi o i diritti prefigurati da norme esterne al sistema giuridico nazionale. 58[58] Per quanto riguarda tale criterio interpretativ o, vedi la sentenza 5 Febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos , Racc. 1963, p.3, in cui la Corte ha statuito per la prima volta che anche norme del Trattato potessero avere un effetto diretto, partendo dal presupposto che il Trattato non crea unicamen te degli obblighi mutui tra gli Stati contrattanti, ma stabilisce un nuovo ordine giuridico i cui soggetti sono non solo gli Stati, ma anche i loro cittadini. Così, allo stesso modo in cui crea degli oneri in capo agli individui, il diritto comunitario è a nche destinato a dar vita a diritti che entrano nel loro patrimonio giuridico. Tali diritti nascono non solo quando una attribuzione esplicita ne è fatta dal Trattato, ma anche in ragione di obblighi che questo impone in maniera ben definita tanto agli ind ividui che agli Stati membri ed alle istituzioni comunitarie.

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La predisposizione normativa è stata arricchita, anche in questo caso,

dall’interpretazione estensiva che di dette norme ha fatto la Corte di Giustizia, in

particolare in riferimento alle nozioni d i vantaggio economico, sociale e fiscale che

spettano al migrante. Essa vi ha incluso non solo le prestazioni sociali, ma anche altri

vantaggi indiretti, quale il diritto per i familiari a carico di un lavoratore di

soggiornare con questi, o anche la poss ibilità di poter praticare ogni attività ricreativa

che avesse potuto favorire l’inserimento del lavoratore e della sua famiglia nel tessuto

sociale del Paese ospitante. La Corte ha infatti ritenuto di dover ricomprendere nella

nozione di vantaggio sociale ogni genere di agevolazione o beneficio che, connessi o

meno ad un contratto di lavoro, siano generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali in

relazione semplicemente alla loro qualità di lavoratori o alla semplice residenza sul

territorio nazionale, facendovi rientrare non solo i vantaggi inerenti alla qualità di

lavoratori, ma anche quelli non riconducibili al rapporto di lavoro 59[59].

59[59] Cfr. sul punto, la sentenza 30 Settembre 1975, causa 32/75, Cristini, Racc. p. 1085.

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1.3 Nozioni comunitarie di lavoratore e di attività economica

Nell’illustrazione della disciplina comunitar ia circa la libera circolazione dei

lavoratori subordinati si è a lungo trattato di un soggetto, il lavoratore, cittadino di

uno Stato membro, che svolge una particolare attività dipendente di natura

economica, ossia in qualche modo remunerata, ma non si è chiarito che cosa si

dovesse esattamente intendere con queste locuzioni. Al riguardo può dirsi in questa

sede che le norme analizzate non forniscono ulteriori precisazioni, limitandosi a

enunciare i diritti connessi allo status del soggetto esercitante un a tale attività. Per

quanto concerne questi profili, la Corte di Giustizia, nel silenzio del Trattato e degli

atti della legislazione secondaria, non ritenendo affatto opportuno operare un rinvio

alle normative dei vari Stati membri 60[60], ha preferito procedere in via pretoria alla

creazione di una nozione di lavoratore e di attività lavorativa in senso

comunitario61[61] (che secondo una giurisprudenza consolidata devono intendersi in

ogni caso in maniera non restrittiva). Se così non fosse avvenuto si sare bbe arrecato

un grave pregiudizio alla lettera del Trattato, “poiché la portata di questa espressione

potrebbe venire fissata e modificata unilateralmente, eludendo il controllo delle

istituzioni comunitarie, da norme nazionali che potrebbero quindi esclud ere ad

60[60] Era evidente infatti, come afferma F. MANCINI, , “Principi fondamentali di diritto del lavor o nell’ordinamento delle Comunità europee”, cit., che se il rapporto di lavoro fosse stato definibile in base alle norme dei vari Stati membri avremmo avuto di questo concetto tante nozioni quante erano (o sono adesso) gli ordinamenti di tali Stati, con il rischio di dover rinunciare ad un mercato comune. 61[61] Cfr. la prima pronuncia della Corte in tal senso: sentenza 19 Marzo 1964, causa 75/63, Unger, Racc. p.351.

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libitum delle categorie di persone dalla sfera di applicazione del Trattato 62[62]”.

Invero, deve considerarsi lavoratore ai sensi dell’art.39 CE (ex art. 48 CEE) una

persona che fornisca prestazioni di carattere economico ad un’altra persona sotto la

direzione di quest’ultima, ricevendo da essa come contropartita una

remunerazione 63[63]. La Corte ha stabilito che è un lavoratore, nel senso comunitario

del termine, chi svolga una qualsiasi attività economica 64[64] anche se il reddito

proveniente dalla suddetta attività è inferiore al minimo vitale 65[65] e deve essere

integrato dai sussidi di disoccupazione concessi dallo Stato di accoglienza 66[66].

La Corte ha altresì progressivamente attenuato il dato economicistico della

prestazione lavorativa cui fare r iferimento, riconoscendo la qualità di lavoratore

anche a quegli individui che attendono ad una occupazione il cui valore economico è

scarso o non esattamente quantificabile e senza che ad essa corrisponda

necessariamente una controprestazione di natura re tributiva “potendo essere

sufficiente anche la presenza di utilità economicamente valutabili 67[67]”. Ai fini del

diritto di libera circolazione è lavoratore subordinato anche chi svolga o intenda

svolgere una attività ad orario ridotto e che per essa perce pisca o percepirebbe una

retribuzione più bassa del salario minimo che la legge o i contratti collettivi di lavoro

62[62] Sentenza 23 Marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. p. 1035, citata in G. ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione europea, op. cit.. 63[63] Cfr. su questo concetto la sentenza 3 Luglio 1986, causa 66/85, Lawrie- Blum , Racc. p.2121. Si badi bene che la regolamentazione comunitaria si estende non solo ai lavoratori subordinati che prestino attualmente una attività lavorativa, ma altresì a coloro che avendo lasciato una occupazione sono suscettibili di assumerne un’altra. 64[64] Cfr. la sentenza 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave. Ancora su questa sentenza Cfr. infra, cap. II. 65[65] Sentenza 23 Marzo 1982, Levin, cit.. 66[66] Sentenza 3 Giugno 1986, causa 139/85 , Kempf, Racc. p. 1741. 67[67] Sul punto vedi FOGLIA, “La libertà di circolazione dei lavoratori”, in Il diritto privato dell’Unione europea, TIZZANO (a cura di), Torino, 2000, p. 833.

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assicurano nel settore 68[68]. In sostanza, il concetto di attività lavorativa subordinata

ingloba quasi tutte 69[69] le prestazioni di lavoro di pendente, con la sola esclusione di

quelle attività che siano marginali o accessorie 70[70]. Come si vede l’estensione

interpretativa della nozione di lavoratore è stata notevole, poiché la Corte è giunta

sino a riconoscere il diritto di circolare liberament e nel territorio della Comunità

anche a quei soggetti che non ancora attivi nel mondo del lavoro avessero deciso di

spostarsi in un altro Stato membro per cercare lavoro anche senza aver ricevuto

previamente nessuna offerta 71[71] (e questo contrariamente a l significato apparente

reso dalla lettura congiunta delle lettere a) e b) dell’art.39, secondo cui la libertà di

circolazione è assicurata a vantaggio di quei lavoratori che a seguito di una offerta di

lavoro effettiva proveniente da un diverso Stato memb ro rispetto a quello di residenza

avessero deciso a tal fine di recarvisi 72[72]). Lavoratore sarà un giorno chi al

momento cura la sua formazione: così che la Corte riconosce il diritto di circolazione

per motivi di studio o di perfezionamento professional e anche ai lavoratori del

domani ma che in un primo momento lo sono solamente in fieri73[73].

Questo per quanto riguarda il lavoratore strictu sensu . Ma è di chiara intelligenza

che la libertà di circolazione che il Trattato riconosce al lavoratore dipendente, ossia 68[68] Sentenza Levin, cit.. 69[69]Ad esempio è lavoro subordinato anche l’opera prestata in cambio del mero sostentamento presso una congregazione religiosa come nel caso Steymann, sentenza 5 Ottobre 1988, causa 196/87, Racc. p. 6159. Correttamente ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione europea, op. cit. , valuta in maniera molto positiva l’orientamento della Corte. In particolare, “escludendo dalla propria valutazione il criterio della sufficienza dei mezzi economici così conseguiti la Corte giunge ad ammettere che il diritto comunitario ha la funzione primaria di consentire a chiunque di migliorare il proprio livello di vita, correlandolo più ai diritti fondamentali” che non a quelli “economici” dei lavoratori. 70[70] Sentenze 26 Febbraio 1992, causa C -3/90, Bernini, Racc. p. I- 1071 e Levin, cit.. 71[71] Sentenza 26 Febbraio 1991, causa C -292/89, Antonissen , Racc. p.745 72[72] La libera circolazione importa il diritto: a) di rispondere ad offerte di lavoro effettive; b) di spost arsi a tal fine nel territorio degli Stati membri. Sul punto vedi F. MANCINI, , “Principi fondamentali di diritto del lavoro nell’ordinamento delle Comunità europee”, op. cit.. 73[73] Lavoratore è nel giudizio della Corte anche colui che svolga un tirocinio (sentenza 21 Novembre 1991, causa C -27/91, URSSAF).

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stanziale, sarebbe fortemente compromessa, se non svuotata di ogni suo significato se

non si fosse riconosciuta a questo soggetto la possibilità di essere accompagnato dai

suoi familiari. Il lavoratore pot rebbe in effetti essere indotto a rinunciare ad esercitare

il suo diritto di libera circolazione per ragioni che non concernono le condizioni

occupazionali che gli sono offerte, ma che attengono alla sfera personale.

Al fine di assicurare (nell’interesse del lavoratore) un contenuto effettivo e

completo al diritto di libera circolazione, la Corte ha portato agli estremi il diritto di

ricongiungimento familiare 74[74], e trascendendo dal significato che tradizionalmente

veniva dato al termine “ famiglia”, ha interpretato estensivamente questa nozione,

sino a ricomprendervi le unioni di fatto 75[75] o i coniugi separati, gli ascendenti del

lavoratore (se a suo carico) ed anche i figli maggiorenni se invalidi 76[76]. Ai familiari

del lavoratore sono riconosciuti var i diritti, ricollegabili al principio di non

discriminazione, fra cui quello di accesso all’istruzione e le facilitazioni per i figli.

Tali diritti sono concessi in via indiretta, derivando da quelli del lavoratore. Si noti

che la validità di questa giuris prudenza non è minimamente inficiata dalla circostanza

che il coniuge o i figli del lavoratore siano cittadini di un Paese extracomunitario 77[77]:

d’altronde non avrebbe potuto essere altrimenti, dato che i titolari del diritto sono i

lavoratori, mentre i c omponenti del suo nucleo familiare non sono che i beneficiari,

insieme al lavoratore, di questa normativa. Il diritto al ricongiungimento familiare

74[74] Il diritto al ricongiungimento familiare è stato ritenuto in sostanza dalla Corte un diritto corollario ad un diritto protetto, e conseguentemente, degno anch’esso di protezione. Sul punto, cfr. DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe, op. cit.. 75[75] Sentenza 17 Aprile 1986, causa 59/85 Reed. Racc. p. 1283. 76[76] Sentenza 16 Dicembre 1976, causa 63/76 , Inzirillo , Racc. p. 2057. 77[77] Agli altri cittadini dei P aesi terzi che non siano componenti del nucleo familiare di un lavoratore non è consentita, in linea di principio, a libera circolazione nella Comunità, salvo diverse previsioni contenute in accordi stipulati con la CE. In tal senso, cfr. G. ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione europea, op. cit..

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richiede tuttavia che vi sia un qualche collegamento con una delle fattispecie

contemplate dal diritto comun itario: se il lavoratore non ha mai esercitato

precedentemente il suo diritto alla libera circolazione, diritto principale, non potrà

certamente beneficiare del diritto corollario al ricongiungimento familiare.

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1.4 Deroghe al principio di libera circola zione

La libertà di movimento di cui si è trattato sin adesso, sebbene caratterizzata da un

ambito di applicazione assai vasto per quanto riguarda le fattispecie contemplate, non

è però senza limiti. In particolare, nel Trattato sono presenti due deroghe 78[78] che

possono essere invocate per limitare l’efficacia delle norme in questione, una di

ordine generale, contemplata dal comma 3° dell’art. 39, ed una più specifica rubricata

al suo comma 4°. In virtù di tali disposizioni, la disciplina comunitaria dell a libera

circolazione dei lavoratori non si applica agli impieghi nella pubblica

amministrazione, mentre il diritto di ingresso e di soggiorno può subire delle

restrizioni dettate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità

pubblica. Per quanto concerne il primo profilo, l’applicazione della deroga al settore

della Pubblica amministrazione ha suscitato non pochi inconvenienti 79[79], ma non è

rilevante ai fini del tema oggetto di questa trattazione, dato che non può

ragionevolmente pensar si che l’attività di uno sportivo professionista possa essere

assimilata ad un impiego nella Pubblica amministrazione.

78[78] Si noti che dette deroghe valgono anche per il settore del diritto di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, e ciò in forza degli artt.45 e 46 e 55 CE rispettivamente. Tali norme integrano una disciplina di carattere identico a quella della libera circolazione dei lavoratori alle altre due libertà di movimento delle persone. 79[79] Soprattutto in relazione alla estensione della nozione di impieghi nella pubblica amministrazione e del concet to stesso di Pubblica amministrazione vedi L. DANIELE, “I limiti della libera circolazione agli impieghi nella pubblica amministrazione e l’ordine pubblico”, in NASCIMBENE (a cura di), op. cit..

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Più interessante è invece, ai fini dell’indagine in oggetto, passare ad esaminare il

secondo tipo di deroghe. Il comma 3° dell’art. 39 80[80] pone in essere un discrimine di

nazionalità potenzialmente assai rilevante, benché “a tutta prima legittimo 81[81]”:

invero, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica sono dei settori in

cui tradizionalmente si esprimeva e si esprime tutt’oggi la potestà dello Stato. Proprio

per questi caratteri le deroghe in considerazione non possono essere interpretate che

in maniera restrittiva e non possono prescindere da un controllo comunitario delle

motivazioni addotte dai vari Stati membri 82[82].

Se lo Stato conserva dunque una certa discrezionalità nella materia, anche in

ragion del fatto che il diritto comunitario non impone agli Stati membri “una scala

uniforme di valori in merito alla valutazione dei comportamenti che possono essere

ritenuti contrari dell’ordine pubblico 83[83]”, esso non è in nessun caso legibus solutus ,

poiché l’adozione di provvedimenti restrittivi è sottoposta al sindacato del diritto

comunitario ed in particolare del principio di proporzionalità tra comporta mento

ritenuto antisociale e norma sanzionatoria: quest’ultima non potrà essere adottata

80[80] Nella materia è intervenuta la direttiva 64/221 CEE de l Consiglio, in GUCE L 56 del 4 Aprile 1964, adottata in applicazione dell’allora art.56 CEE ma valevole anche nel settore del lavoro indipendente. Cfr. su questa affermazione, L. DANIELE, “I limiti della libera circolazione agli impieghi nella pubblica am ministrazione e l’ordine pubblico”, op. cit. 81[81] Sul punto, vedi G. ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione europea , op. cit.. 82[82] Sebbene la lettera dell’art. 39 comma 4° inducesse a ritenere che la possibilità di invocare le deroghe che esso prevede fosse di esclusivo appannaggio dello Stato, la Corte ha ritenuto nella sentenza 15 Dicembre 1995, causa C -415/93, Bosman, Racc. p. I-4921, di estendere tale prerogativa anche ai privati. 83[83] Sentenza 18 Maggio 1982, cause riunite 115 e 116/81 Adoui e Cornuaille, Racc. p.1665.

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inoltre che in relazione al comportamento personale 84[84] dell’individuo verso cui è

diretta85[85].

84[84] Per la Corte, solo un cittadino comunitario che avesse concretamente e specificamente leso l’ordine pubblico avrebbe potuto essere soggetto ad un provvedimento di espulsione, giacché l’ordine pubblico è leso solo da una minaccia effettiva e abbastanza grave a uno degli interessi fondamentali della società. 85[85] Cfr. sul punto l’art. 3 della direttiva 64/221 CEE del Consiglio, cit.. Provvedimenti restrittivi non possono così basarsi sulla sola esistenza di precedenti conda nne penali, anche se esse configurino un rischio reale di pericolosità sociale, né possono essere emanati in via preventiva o come misura esemplare. Al riguardo, secondo MANCINI, “Principi fondamentali ..”, op. cit., si tratterebbe di “un’ottima norma, ma che chiede molto”, dato che non è facile giudicare la pericolosità di un comportamento in termini puramente individuali, “quando come avviene più spesso, esso è parte di un agire collettivo o il prodotto di una imitazione”.

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CAPITOLO IILa libera circolazione degli sportivi comunitari

Premessa

In questo secondo capitolo si tratterà della disciplina particolare concernente la

libera circolazione degli sportivi. Come si è già avuto modo di osservare, è

essenzialmente grazie alla interpretazione estensiva delle norme del Trattato da parte

della Corte di Giustizia delle Comunità europee che si è arrivati alla possibilità di

riconoscere anche a tale categoria di soggetti il beneficio del godimento della libertà

di circolazione previsto in sede comunitaria per il lavoratore, e così l’analisi giuridica

della disciplina comunitaria in materia si baserà proprio sullo studio della

giurisprudenza rilevante della Corte.

La prima volta in cui la Corte ebbe ad occuparsi di un caso concernente il mondo

dello sport fu nella causa Walrave e Koch contro l’Union Cycliste Internationale (in

seguito UCI 86[86]) ed altri. In essa la Corte ha precisato che lo sport, in quanto attività

economica ai sensi dell’art. 2 CEE 87[87], è sottoposto al diritto comunitario.

86[86] L’UCI comprende le due fed erazioni internazionali ciclistiche dei dilettanti e dei professionisti. 87[87] “ La Comunità ha per missione […] di promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell’insieme della Comunità”.

Eliminato: ¶

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2.1 Causa 36/74 Walrave e Koch contro UCI 88[88]

Oggetto della controversia di cui la Corte di Giustizia era stata investita, in virtù

dell’art.177 del Trattato CEE 89[89] (attuale art. 234 CE), dall’Arrondissementsrechtbank

di Utrecht, era l’applicazione di un regolamento posto in essere dall’UCI nel 1970 il

quale stabiliva che, a partire dal 1973, il corridore e l’allenatore che gareggiavano nel

campionato mondiale di corse dietro battistrada dovessero essere della stessa

nazionalità. I signori Walrave e Koch, due allenatori di nazionalità olandese,

ritenendosi gravemente danneggiati da questa nuova regolamentazione, dato che la

gran parte della loro attività si svolgeva con corridori non olandesi, cercarono di

vedere riconosciuto il loro diritto convenendo l’UCI e le federazioni spagnola 90[90] e

olandese davanti al Tribunale circondariale di Utrecht. Quest’ultimo si risolse a porre

alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale relativa alla compatibilità di questa

nuova regola con gli artt.7 n. 1 91[91] CEE (attuale 12 CE), 48 (39) e 59 (49) comma 1º

del Trattato CEE nonché con il regolamento n. 1612/68 CEE del Consiglio relativo

alla libera circolazione dei lavoratori cittadini di uno degli Stati membri all’interno

della Comunità.

Le convenute si opponevano alla domanda, rilevando che in manifestazioni a

carattere mondiale, a rappresentanza nazionale, l’esigenza della stessa nazionalità per

88[88] Sentenza 12 Dicembre 1974, ca usa 36/72, Walrave, Racc. 1974, p.1405. 89[89] La Corte di Giustizia è competente a giudicare a titolo pregiudiziale ogniqualvolta la risoluzione di una questione sull’interpretazione del Trattato o sulla validità e interpretazione degli atti emessi dagli o rgani comunitari è ritenuta dal giudice nazionale necessaria per emanare la propria sentenza.

90[90] La federazione spagnola fu citata in giudizio in quanto organizzatrice dei campionati mondiali che si sarebbero tenuti di lì a poco. Si noti che all’epoca d ei fatti in questione la Spagna non era ancora entrata a far parte della CEE.

91[91] “Nel campo di applicazione del Trattato […] è vietata ogni discriminazione esercitata in ragione della nazionalità”.

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tutti i componenti di una squadra non sarebbe stata affatto una pratica

discriminatoria; che inoltre le norme comunitarie non avrebbero potuto trovare

applicazione ad eventi che si svolgono al di fuori del territorio comunitario 92[92].

Ciò premesso, nel caso in esame la Corte afferma in primo luogo che, tenuto

conto degli obiettivi della Comunità, essenzialmente mercantili (almeno all’epoca),

l’esercizio dello sport non rileva del diritto comunitario che nella misura in cui esso

costituisca un’attività economica ai sensi dell’art. 2 CEE (attuale art.2) 93[93].

Conseguentemente, l’attività di uno sportivo professionista potrebbe rilevare del

campo di applicazione sia degli artt.48 a 51 (39 a 42 attuali) sia di quelli dal 59 al 66

(49 a 55) del Trattato e ciò avendo riguardo alla diversa natura della prestazione da

questi offerta, a titolo di l avoratore dipendente nel primo caso o di prestatore di

servizi nel secondo.

Tuttavia la Corte si cura di precisare che quale che sia il legame giuridico in virtù

del quale queste prestazioni sono realizzate, le disposizioni ex artt.48 e 59 (artt. 39 e

49 attuali) del Trattato non sono altro che una specificazione della regola generale di

non discriminazione fondata sulla nazionalità enunciata all’art.7 CEE (attuale 12).

Ciò che varia è in sostanza solamente il tipo di relazione lavorativa e non già il teno re

92[92] A riguardo, l’UCI argomentava che la clausola controversa era al di fuori del campo di applicazione del Trattato, perché a) la sua applicazione territoriale si estendeva all’esterno della Comunità; b) la Corte non poteva certo constatare la nullità eventuale di una clausola internazionale applicabile in più di cento Paesi. Detto argomento era stato però rigettato dall’Avvocato Generale, il quale aveva ritenuto che una disposizione comunitaria poteva invalidare una regola applicabile anche a livello mondiale , poiché alla Comunità, come ad uno Stato sovrano, doveva essere riconosciuta la possibilità di decretare che una disposizione internazionale era illegale sul suo territorio e non doveva essere applicata. Cfr. Warner, conclusioni, in Raccolta, 1974 p.1427 . 93[93] A detta di G.M UBERTAZZI “ Le domaine matériel du droit communautaire”, in Revue trimestrelle de droit européen, 1976, p. 635, sarebbe davvero difficile essere d’accordo con la definizione suggerita dall’affare Walrave secondo la quale il campo d’azione del diritto comunitario si esaurirebbe nella accezione delle attività economiche menzionate all’art. 2. Ciò anche in ragione del fatto che la Comunità non si limitava nemmeno allora al solo sviluppo delle attività economiche e che la vigenza del diritto da essa promanante si estendeva a tutte le materie che fossero direttamente interessate dalla missione della stessa.

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della protezione che il Trattato intende assicurare in ogni caso ai destinatari della

norma.94[94] Si vede qui come nella visione della Corte la regola di non

discriminazione abbia una vocazione tale da estendersi in egual misura alle

prestazioni di lavoro subordinato o di servizio.

Nei punti che precedono la Corte ha dunque posto alcuni paletti per la

legittimazione dell’intervento comunitario nel mondo dello sport. Tuttavia, il divieto

di discriminazione operata su base nazionale, ed è questo uno dei pu nti su cui più si

dibatterà negli anni che seguirono questa causa, non concerne la composizione di

squadre sportive, in particolare di squadre nazionali, poiché la formazione di queste

è una questione che interessa unicamente lo sport e non è configurabile come una

attività economica. Vengono quindi in rilievo per la Corte dei criteri tecnico - sportivi

che il diritto comunitario non potrebbe sindacare.

Ora, le federazioni nazionali e mondiali dei vari sport, facendo leva sulla oscurità

di questa frase e sul valore esemplificativo che ad essa sembra dare la Corte, hanno

considerato la dizione “ il divieto di non discriminazione non concerne la

composizione di squadre sportive, ad esempio, di squadre nazionali ” in un’accezione

alquanto vasta, e hanno ritenuto che questa potesse considerarsi come un tacito

riconoscimento delle loro pratiche restrittive, anche per quanto riguardava gli incontri

che non impegnavano una rappresentativa nazionale. Per converso, tanto la

Commissione che l’avvocato generale Warner nelle sue conclusioni, avevano ritenuto

che l’unica eccezione al divieto di discriminazioni su base nazionale di cittadini 94[94] Sull’interpretazione parallela di queste previsioni cfr. sentenza 8 Aprile 1976, causa 48/75 Royer, Racc. 1976, p. 497, in cui la Corte risponde alla questione pregiudiziale sottopostale benché il giudice nazionale di rinvio avesse mancato di specificare se il caso fosse coperto dagli artt.48 o 52 CEE (attuali 39 e 43).

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comunitari nello sport fosse quella diretta alla costituzione delle sole squadre

nazionali.

Al di là delle incertez ze suscitate da una frase non proprio felice, in sostanza il

principio affermato in questo momento è quello che lo sport professionistico ricade

all’interno delle previsioni del Trattato quando questo costituisce una attività

economica; tuttavia ci sono de lle circostanze in cui la discriminazione di atleti

stranieri può essere accettata per ragioni che non abbiano tale natura. In quest’ottica,

la limitazione della partecipazione agli incontri disputati da una squadra nazionale ai

soli cittadini di quello St ato è certamente comprensibile dato che questa attiene alla

sfera dell’identità e dell’orgoglio nazionale più che a quella meramente

mercantile95[95].

Posta una eccezione all’applicabilità di un principio generale del Trattato come

quello della libera circolazione dei lavoratori, la Corte si premura nel punto seguente

di ribadire che tale restrizione deve restare limitata al suo oggetto proprio.

Una delle obiezioni fatte valere dalle istituzioni chiamate in causa dai ricorrenti

era quella attinente alla natura della regolamentazione contestata: essa promanava da

un ente privato internazionale ed extracomunitario e non già da una autorità pubblica.

Questo rilievo assumeva una particolare importanza, dato che parte della dottrina

dell’epoca riteneva le norm e comunitarie applicabili al solo Stato e inefficaci nella

sfera giuridica dei privati; solo lo Stato avrebbe dovuto attenersi alle regole

comunitarie: in questo caso quindi il divieto di discriminazione si sarebbe posto come

95[95] Si pone il principio secondo il quale in talune ipot esi la cittadinanza degli atleti può essere assimilata ad un criterio tecnico- sportivo di ammissione alla fase di selezione e come tale è atto a sfuggire al giudizio di legittimità comunitaria.

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limite all’azione di questo e non già a quella di istituzioni rilevanti del diritto privato

ed aventi una propria autonomia giuridica.

Si poneva quindi il problema di sapere se gli articoli del diritto comunitario

chiamati in causa potessero essere invocati direttamente dai singoli cit tadini per

contestare la validità di atti promananti da enti privati e operanti una discriminazione

su base nazionale, ossia se essi avessero un effetto diretto orizzontale .

La Corte stabilisce in modo chiaro che la proibizione di tali discriminazioni si

impone non solamente all’azione della pubblica autorità, ma anche a quella di ogni

altra natura96[96] mirante a regolare in maniera collettiva il lavoro salariato e le

prestazioni di servizi. Gli articoli chiamati in causa impongono un divieto

incondizionato di discriminazione quale che sia la fonte dalla quale questa trae la sua

origine (anche quindi extracomunitaria). Ciò in ragione del fatto che se le prescrizioni

del diritto comunitario potessero essere aggirate o neutralizzate attraverso le

regolamentaz ioni di organismi privati, la lettera del Trattato sarebbe disattesa e i

diritti che esso riconosce ai cittadini resterebbero lettera morta 97[97]. Si creerebbero

inoltre delle inammissibili ineguaglianze riguardo all’applicazione che ogni Stato

membro potrebbe fare del diritto comunitario, poiché le condizioni di lavoro sono

regolate in maniera diversa, per via di disposizioni regolamentari, legislative o

amministrative o ancora da convenzioni ed altri atti conclusi o adottati da persone

private in ognuno di essi (punto 19 della sentenza). Se questa affermazione non 96[96] Secondo M. COCCIA, L’indennità di trasferimento e la li bera circolazione dei calciatori professionisti nell’Unione europea” , op. cit., alla luce di tale giurisprudenza va scartata la tesi estrema della completa autonomia degli ordinamenti federali rispetto al diritto comunitario. Anche nell’ordinamento interno , nessuna associazione privata può estendere la sua autonomia sino al punto di derogare ai principi ritenuti di ordine pubblico. 97[97] L’abolizione degli ostacoli alla libera circolazione della persone e dei servizi costituiva e costituisce ancora oggi uno degli obiettivi fondamentali della Comunità consacrato dall’art. 3 lettera c) del Trattato.

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poneva troppi problemi per quanto concerneva l’art.48 CEE (ora 39 CE), anche se il

comma 3 di detta disposizione afferma espressamente il diritto dei lavoratori migranti

di soggiornare in uno degl i Stati membri al fine di esercitarvi un impiego

conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative regolanti

l’impiego dei lavoratori nazionali, e se il regolamento 1612/68 del Consiglio relativo

alla libera circolazione dei lavo ratori all’interno della Comunità, nel suo titolo I

riguardante l’accesso all’impiego mira esclusivamente le disposizioni legislative

regolamentari e amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro, la

situazione era meno evidente per quant o concerneva l’art.59 98[98] (attuale 49). In

effetti, mentre nel caso dell’art.48 (attuale 39) la Corte si poteva fondare per questa

estensione della sua applicabilità sull’art.7 comma 4 del regolamento sopracitato,

disponendo questo espressamente che “ogni clausola di una convenzione collettiva o

individuale o di un’altra regolamentazione collettiva o regolante l’accesso

all’impiego, l’impiego, la remunerazione e le altre condizioni di lavoro e di

licenziamento è nulla di pieno diritto nella misura in cui p revede o autorizza delle

condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori di un altro Stato membro”, una

disposizione simile non esiste per quanto concerne la prestazione dei servizi.

Ciononostante, la Corte risolve questa antinomia tra le due norme sostenendo che le

attività di cui all’art.59 (49) del Trattato non si distinguerebbero da quelle dell’art.48

(39) per la loro natura ma solo per la circostanza che sono esercitate al di fuori di una

98[98] In proposito l’UCI aveva sostenuto che il suo regolamento non poteva essere certamente considerato una disposizione legislativa, regolamentare o amministrat iva degli Stati membri, né una pratica interna o internazionale discendente da un accordo concluso dalla Comunità e che conseguentemente non potesse essere contestato alla luce del diritto comunitario.

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relazione di lavoro (punto 23). Tale circostanza non pot eva dunque giustificare una

interpretazione più restrittiva del campo di applicazione della libera prestazione dei

servizi, posto che i due articoli in parola sono disposizioni parallele.

Per la soluzione del caso di specie la Corte, in ossequio al princi pio della

ripartizione delle competenze tra il giudice comunitario e quello statale, rimandava

l’apprezzamento dei fatti al giudice di rinvio, il quale sarebbe stato anche tenuto a

stabilire in concreto sull’opportunità di censurare gli effetti provocati d al regolamento

litigioso in ragione della loro localizzazione 99[99] sul territorio della Comunità.

Spettava al giudice nazionale accertare caso per caso la esistenza del nesso spaziale e

ravvisare le eventuali violazioni del principio di non discriminazione; stabilire in

ultima analisi se la regola incriminata riguardasse unicamente lo sport come tale, e

fosse quindi possibile esentarla dalle prescrizioni della normativa generale

comunitaria in materia di libertà di stabilimen to e di libera prestazione dei servizi.

La Corte preferiva inoltre demandare al tribunale di Utrecht la soluzione del

problema di sapere se in questa disciplina potesse correttamente parlarsi, nel caso del

corridore e del suo allenatore, della composizion e di una squadra sportiva, in quanto

si trattava della applicazione delle norme del Trattato al caso concreto. Si potrebbe

aggiungere rispetto a questo punto che, a detta di molti, i soli ciclisti sarebbero i veri

concorrenti, mentre i conducenti delle mot ociclette svolgerebbero piuttosto un’attività

ausiliaria, assimilabile a quella di un massaggiatore ad esempio. Questa

99[99] La localizzabilità si intende sia rispetto al l uogo in cui sorge il rapporto giuridico, sia rispetto a quello in cui si dispiegano i suoi effetti.

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considerazione è rafforzata dal fatto che gli allenatori non sono menzionati

nell’ordine di arrivo a conclusione della gara.

In ogni caso però, i ricorrenti erano abilitati a valersi del diritto comunitario

innanzi al giudice nazionale affinché fosse sanzionata la violazione del fondamentale

diritto loro attribuito dal Trattato di Roma. Qualora si considerassero i ricorrenti quali

prestatori di servizi, l’art. 59 1º comma (attuale 49), prescrivendo l’abolizione di

qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza nel suo campo di applicazione (e

almeno per i cittadini di uno Stato membro), attribuiva in effetti ai singoli, a

decorrere dalla scadenza del periodo di transizione, diritti soggettivi che il giudice

nazionale era tenuto a salvaguardare, anche in mancanza delle previste direttive di

attuazione e ciò, anche se i seguenti articoli 60, 62 e 64 CEE (attuali 50 e 53 CE ,

l’art.62 è stato abrogato), riguardavano espressamente l’abolizione dei soli ostacoli

statali. Statuendo in tal senso la Corte conferma così nel caso in esame la prospettiva

inaugurata con il caso Reyners100[100], in materia di libertà di stabilimento, ed estesa

con la pronuncia Van Binsbergen101[101] alla prestazione dei servizi.

D’altronde era assolutamente pacifico che l’art.48 CEE (attuale 39 CE), che

impone l’abolizione delle discriminazioni fondate sul la cittadinanza nel settore del

lavoro subordinato, poteva applicarsi anche ai contratti e ai negozi posti in essere da

soggetti diversi dall’autorità pubblica, poiché provvisto di applicabilità diretta, così

come del resto il precitato art.7 del regolamen to 1612/68 CEE, il quale estende il

100[100] Sentenza 21 Giugno 1974, causa 2/74, Racc. p. 652. 101[101] Sentenza 3 Dicembre 1974, causa 33/74, Racc. p. 1299.

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divieto di cui trattasi ai contratti ed alle regolamentazioni collettive in materia di

lavoro.

Secondo quanto affermato da Ubertazzi 102[102], sarebbe assai difficile trovarsi in

sintonia con il dictum di questa sentenza per quanto concerne le attività sportive non

lucrative, che a causa dell’affermazione secondo la quale lo sport sarebbe soggetto al

diritto comunitario solo come attività economica ai sensi dell’art. 2, vengono di fatto

estromesse dal suo campo di applicaz ione materiale. Tale Autore metteva in risalto il

fatto che naturalmente la condizione degli sportivi dilettanti non avrebbe potuto in

alcun caso essere assimilata a quella dei professionisti, poiché i primi in quanto

prestatori d’opera non retribuiti non ricadevano in una delle previsioni degli articoli

del titolo III del Trattato. Ciononostante, anch’essi trovavano una protezione, seppure

indiretta, nelle norme del Trattato e nei vantaggi economici e sociali accordati

dall’art. 48 CEE (attuale 39 CE) e da i suoi regolamenti di accompagnamento. Ad

esempio, il reg. 1612/68 CEE del Consiglio, mira a ricomprendere nella parità di

trattamento che lo Stato di accoglienza deve riservare al lavoratore migrante, ogni

vantaggio sociale o fiscale, sia esso legato o me no al contratto di impiego, di cui

beneficia il nazionale. L’intento è quello di permettere una integrazione completa del

lavoratore comunitario straniero e della sua famiglia, nonché la piena realizzazione

della personalità del lavoratore, ed è indubbio c he l’attività sportiva sia un potente

mezzo per raggiungere entrambi gli obiettivi. Può quindi dirsi in definitiva che anche

102[102] G.M. UBERTAZZI, “Le domaine matériel du droit communautaire”, op. cit..

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l’attività sportiva non retribuita è ricompresa nel campo di applicazione del Trattato.

In questo particolare caso è pacifico però che la protezione accordata al dilettante -

lavoratore salariato sarà meno completa di quella di cui gode lo sportivo

professionista, poiché il primo non potrà avere libero accesso all’attività sportiva

praticata a livello amatoriale che nel territorio del lo Stato membro in cui risiede per

ragioni di lavoro.

La sentenza Walrave fu seguita a soli due anni di distanza da un’altra pronuncia

concernente il mondo dello sport: in questo caso oggetto della controversia era un

regolamento organico emanato dalla federazione calcistica nazionale di uno degli

Stati membri103[103]. Invero, anche detta sentenza come la precedente, non ha avuto

nella prassi che pochi effetti, poiché i principi enunciati dal giudice comunitario

furono sistematicamente disattesi.

103[103] Secondo A. M. V. Valenti, “La competenza della Comunità europea in materia sportiva: note sul problema di illegittimità del blocco calcistico delle frontiere”, in Rivista diritto sportivo, 1976 p.337 ss., tale sentenza sarebbe “sicuramente più importante della precedente, perché affronta il problema in modo completo e sulla base di principi generali e dunque validi ed applicabili a qualsiasi attività sportiva di carattere professionale”.

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2.2 Causa 13/76 Donà contro Mantero 104[104]

La causa ha avuto origine da un ricorso presentato dal sig. Donà al giudice

conciliatore di Rovigo contro il presidente dell’omonima associazione calcistica di

quella cittadina, il signor Mantero. Questi aveva incaric ato il Donà di ricercare

qualche calciatore straniero da inserire nella propria squadra. A tal fine quest’ultimo

aveva fatto pubblicare un annuncio su un giornale belga, ma il convenuto si era

rifiutato di rifondere le spese sostenute dall’attore, adducend o come motivo del

rifiuto l’esistenza di un regolamento organico della FIGC (Federazione Italiana

Giuoco Calcio), il quale, limitando il tesseramento 105[105] nelle squadre italiane ai soli

giocatori cittadini di questa nazione 106[106], privava alla stesso temp o di ogni utilità la

ricerca di eventuali stranieri disposti a militare nella società del Rovigo 107[107].

Mantero affermava che Donà avrebbe dovuto conoscere tale divieto 108[108], mentre

104[104] Sentenza 14 Luglio 1976, causa 13/76, Racc. p. 1333. 105[105] Tale divieto risultava dal coordinato disposto degli artt.16 e 28 lettera g del regolamento FIGC. Alcune deroghe erano concesse, ma erano valide solamente in casi limitati o conseguivano da una decisione disc rezionale emessa dal Consiglio federale. 106[106] Già dagli anni Sessanta numerose federazioni calcistiche e sportive in generale avevano adottato norme intese a limitare se non ad impedire la possibilità che le squadre ad esse affiliate ingaggiassero giocat ori con diversa cittadinanza, ritenendo che la libera circolazione degli sportivi vigente all’epoca impedisse l’esplosione dei giovani nazionali di talento e fosse di pregiudizio per il mantenimento della rappresentatività dei club. Si deve tenere presen te che la cittadinanza sportiva non sempre corrisponde a quella legale, poiché ad esempio un calciatore tedesco che abbia acquisito la cittadinanza brasiliana non potrà essere schierato dalla rappresentativa nazionale del suo nuovo Paese se già impiegato i n passato da quella del suo Paese di origine. 107[107] In generale, il numero di stranieri autorizzati a prendere parte ad un campionato nazionale o internazionale variava (e varia tuttora) in relazione a) alla disciplina sportiva; b) alla federazione; c) al livello della competizione; d) alla stagione sportiva; e) al sesso ed f) all’età dei partecipanti. Sul punto, cfr. DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe, op. cit.. 108[108] Il c.d. blocco calcistico delle frontiere era stato decretato dalla F IGC in seguito alla sconfitta della rappresentativa italiana nel corso del mondiale di calcio del 1966 svoltosi in Inghilterra. La federazione calcistica italiana riteneva infatti che la débâcle degli “azzurri” fosse stata causata dalla ingente presenza di calciatori stranieri nel campionato italiano.

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quest’ultimo ribatteva però che il regolamento in questione fosse in cont rasto con gli

artt.7 (attuale 12), 48 (39) e 59 (49) del Trattato CEE.

Il giudice di rinvio pose le seguenti questioni pregiudiziali alla Corte:

1. se gli artt.7, 48, 59 CEE conferiscono a tutti i cittadini comunitari il

diritto di effettuare una prestazion e di servizi in qualunque luogo della Comunità;

2. se in particolare i giocatori di calcio fossero anch’essi beneficiari di

tale diritto, nel caso in cui ovviamente le loro prestazioni avessero un carattere

professionale ;

3. nell’affermativa, se il diritto di cu i trattasi potesse essere invocato

egualmente per ottenere la non applicazione delle regole contrarie emanate da un

ente privato (in questo caso una federazione sportiva) nel territorio di uno Stato

membro;

4. se infine, nel caso in cui tutte e tre le precedenti questioni avessero

avuto un esito positivo, il diritto in questione potesse essere invocato dai singoli

direttamente davanti alle giurisdizioni nazionali.

Già da questi pochi elementi si può intravedere la delicatezza del caso. La regola

contestata riguardava uno sport avente un’enorme rilevanza e popolarità come il

calcio, e non una disciplina secondaria del ciclismo; essa inoltre trovava una sua

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giustificazione in scopi a tutta prima non solo legittimi, ma anche degni di tutela,

come la preservazione dei vivai nazionali 109[109].

A ben vedere, i fatti all’origine della causa porterebbero a pensare ad una

controversia costruita “ad hoc” da parte di Donà e Mantero per indurre la Corte di

Giustizia a pronunciarsi sulla compatibilità col diritto comunitario delle

regolamentazioni poste in essere dalla FIGC, il cui contenuto era simile a quello delle

altre federazioni calcistiche degli Stati membri. In realtà veniva quindi messo in

discussione l’intero sistema eu ropeo delle quote nazionali 110[110], appoggiato se non

imposto dalle federazioni internazionali quali l’Union Européenne des Associations

de Football (UEFA) e la Fédération Internationale des Associations de Football

(FIFA). L’impatto potenziale di questa se ntenza avrebbe potuto essere dirompente:

l’inerzia dimostrata da coloro i quali avrebbero potuto giovarsi di questa pronuncia

farà sì che solo con la sentenza Bosman (vedi infra), successiva di quasi venti anni, si

arriverà allo smantellamento delle regole sulle quote nazionali (almeno per quanto

concerne gli sportivi comunitari).

Nonostante la possibile artificiosità del caso, e che, come afferma il Barile 111[111],

non vi fosse un legame diretto ai sensi dell ’art. 177 CEE (attuale 234 CE) tra la

questione pregiudiziale postale e la soluzione del caso di specie, la Corte accetta di

pronunciarsi. Essa richiama innanzitutto la portata degli articoli 7 CEE (attuale 12 109[109] Per un’analisi più accurata e completa delle giustificazioni addotte dalle varie federazioni nazionali e mondiali a difesa delle proprie regolamentazioni vedi il caso Bosman, causa C-415/93, cit., infra. 110[110] La compatibilità con il diritto comunitario di questo sistema e di quello dei trasferimenti sarà oggetto di analisi della Corte nella sentenza 15 Dicembre 1995, causa C -415/93, Bosman. 111[111] P. BARILE , “La Corte di Giustizia delle Comunità europee e i calciatori professionisti”, in Rivista di diritto sportivo, 1977 pag. 303.

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CE), 48 (attuale 39) e 59 (attuale 49) CEE. L’art. 7 (attuale 12), come già visto in

precedenza, vieta ogni tipo di discriminazione operata su base nazionale, mentre gli

artt.48 (39) e 59 (49) applicano il dettato del primo a due settori più specifici,

rispettivamente alla libera circolazione dei la voratori e alla libera prestazione dei

servizi.

In dettaglio, l’art.48 CEE (ora 39 CE) implica l’abolizione di ogni

discriminazione fondata sulla nazionalità tra gli Stati membri per quanto concerne

l’impiego, la remunerazione e le altre condizioni di lavo ro. Sempre in materia di

libera circolazione dei lavoratori salariati, l’art.1 del Regolamento n. 1612/68 del

Consiglio stabilisce che ogni cittadino di uno Stato membro, quale che sia il luogo

eletto da questi a residenza, ha il diritto ad accedere ad un’ attività salariata e di

esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, mentre l’art. 59 (49) del Trattato,

dal canto suo, impone la soppressione delle discriminazioni attuate contro i cittadini

di uno Stato membro stabilitisi in uno Stato della Comun ità altro rispetto a quello del

destinatario delle prestazioni 112[112].

La Corte opera anche un richiamo all’art. 60 n.3 CEE (attuale 50 n.3 CE), che

impone di riservare ai prestatori di servizi un trattamento parificato a quello di cui

godono i “nazionali” dello Stato in cui la prestazione ha i suoi effetti.

Dopo aver richiamato questi principi, la Corte passa ad un’analisi più specifica

del caso di specie e riafferma la sottoposizione dello sport al diritto comunitario nella 112[112] Per apprezzare appieno la distinzione più marcante tra le tre regole concernenti le libertà di movimento dei lavoratori sarà sufficiente ricordare che la diversa estensione dei diritti accordati dai loro disposti risiede nella legislazione secondaria che li accompagna. Il reg. 1612/68 CEE si applica infatti solamente ai lavoratori ai sensi dell’art. 39 attuale, mentre quelli considerati dagli artt.4 3 o 49 devono affidarsi alla regola generale contro le discriminazioni dell’art. 12 CE. Oltre a quanto già detto nel cap. I, vedi su questo punto S. WEATHERILL , “Discriminations on grounds of nationality in sport ”, in European Law Review, 1989, p.57.

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misura in cui il primo costitui sca un’attività economica ai sensi dell’art. 2 del

Trattato. Questo è certamente il caso dell’attività dei giocatori professionisti o

semiprofessionisti di calcio, siano essi dei lavoratori salariati ricompresi nella

previsione dell’art. 48 (39), siano ess i dei prestatori di servizi remunerati e quindi

soggetti all’art. 59 (attuale 39) 113[113]. A questo proposito, l’esatto legame giuridico

intercorrente tra la società e lo sportivo dovrà essere sottoposto alla valutazione del

giudice nazionale. In ogni caso tuttavia, qualora questi giocatori siano cittadini di uno

Stato membro, essi beneficiano in tutti gli altri Stati delle disposizioni comunitarie in

materia di libera circolazione delle persone e dei servizi.

Nonostante quanto precede, è sicuramente questo il punto chiave della sentenza,

la Corte stabilisce che le summenzionate disposizioni del diritto comunitario, non si

oppongono ad una disciplina o prassi sportiva che escluda i giocatori stranieri dalla

113[113] Vedi in senso contrario BARILE, “La Corte di Giustizia delle Comunità europee e i calciatori professionisti ”, op. cit., secondo cui il rapporto giuridico intercorrente tra calciatore e società non potrebbe essere ricompreso né sotto le disposizioni dell ’art. 48 CEE (ora 39 CE) né tantomeno sotto quelle dell’art. 59 CEE (attuale 49 CE), essendo configurabile come contratto atipico o addirittura composto, per la non configurabilità ad esempio né di un diritto del calciatore a svolgere specifiche mansioni, posto che il suo ruolo è affidato a scelte discrezionali della società, né ad effettuare in concreto la prestazione, potendo la società o l’allenatore decidere di mantenerlo inattivo non impiegandolo. Anzi, secondo l’Autore, il fatto che il giudice a quo avesse mantenuto nella incertezza l’esatta qualificazione giuridica del rapporto che legava la società e il giocatore sarebbe stato atto a provocare una declaratoria di irrecevibilità da parte della Corte. A questo illustre studioso potrebbe rispondersi con le parole della stessa Corte: “l’art. 177, basato su una netta separazione di funzioni tra giurisdizioni nazionali e la Corte, non permette a quest’ultima né di conoscere dei fatti, né di censurare i motivi della domanda di rinvio; che, quando una giurisd izione nazionale chiede l’interpretazione di un testo di diritto comunitario, bisogna considerare che essa ritiene tale interpretazione necessaria per la soluzione della controversia; che la Corte non potrebbe esigere dalla giurisdizione nazionale l’afferm azione espressa dell’applicabilità dei testi di cui egli chiede l’interpretazione; che, fintantoché l’invocazione del testo di cui si tratta non è manifestamente erronea, la Corte è adita correttamente; che la questione di sapere se l’una o l’altra delle d isposizioni di cui l’interpretazione è domandata è applicabile al caso di specie, esula dalla competenza della Corte di giustizia e rileva di quella del giudice di rinvio”, causa 13/68, Salgoil Racc. 1968. Questa linea giurisprudenziale seguita dalla Corte sarà mutata radicalmente con le sentenze Foglia/Novello (sentenza 11 Marzo 1980, causa 104/79, Racc. p. 745) e Foglia/Novello II (sentenza 16 Dicembre 1981, causa 244/80, Racc. p. 3045). In queste sentenze la Corte rifiuta di pronunciarsi sulle questioni che le sono sottoposte affermando che l’art.177 (attuale 234) affida alla Corte il compito non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, ma di contribuire alla amministrazione della giustizia nei singoli Stati membri. A d essa pertanto non compete la soluzione di questioni pregiudiziali che le siano proposte nell’ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su taluni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessi tà obiettiva inerente alla definizione della controversia in oggetto.

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partecipazione a certi incontri per dei motivi non economici , ma inerenti al carattere

ed alla fisionomia specifica di detti incontri, ed aventi natura prettamente sportiva,

come ad esempio è in occasione di incontri tra squadre nazionali di diversi Paesi . Ai

fini del divieto generale di non discriminazio ne è irrilevante che la regolamentazione

contestata sia il frutto dell’azione di enti privati piuttosto che di quella di autorità

pubbliche: l’interdizione di discriminazione si impone infatti anche alle

regolamentazioni di altra natura miranti a regolare, in maniera collettiva, il lavoro

salariato e le prestazioni di servizio remunerate. Le regole nazionali appaiono dunque

in violazione dell’art. 48 CEE (attuale 39 CE). Si tratta dunque di vedere se queste

restrizioni alla libera circolazione dei lavorator i possano essere giustificate in virtù

delle deroghe disposte dalla stessa norma. L’art. 48 n. 3 CEE ammette in effetti una

deroga alla libertà di cui trattasi per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza

o sanità pubblica; tali eccezioni però dev ono essere concepite restrittivamente, in

quanto deroghe ad uno dei principi fondamentali della comunità. Esse inoltre, devono

essere opposte al destinatario solo in ragione del suo comportamento specifico e non

in forza di un provvedimento di ordine gener ale poiché l’art. 48 (attuale art. 39 CE)

non giustifica tali misure preventive generali 114[114]. Invero, secondo Weatherill 115[115],

“a further, perhaps more fundamental reason why the Article 48(3) exceptions may

be unavailable to the football authorities i s that the construction of Article 48 (3)

114[114] Cfr. su questo punto, S. WEATHERILL , “Discriminations…”op. cit. Secondo M. CASTELLANETA, “Libera circolazione dei calciatori e disposizioni della FIGC” , in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1994, p. 635 e ss., “non appare conforme al dettato comunitario ritenere che le limitazioni poste dalle federazioni calcistiche nazionali possano rientrare in motivi di ordine pubblico, stante la necessità di salvaguardare la competitività delle nazionali di calcio, perché si giungerebbe ad una interpretazione che va oltre gli scopi del Trattato” 115[115] S. WEATHERILL, “Discriminations…”op. cit.

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appears to limit its use to the State, not to private bodies [..]. Legally, this indicates

that Article 48 (1) and (2) are horizontally directly effective, but Article 48 (3)

exceptions are not” 116[116]. Per quanto concerne il comma 4, si deve sicuramente

escludere la possibilità che la deroga prevista sia invocabile nel settore dello sport.

Si evince da quanto precede che è incompatibile con l’art. 7 (attuale 12) e,

secondo il caso, con gli artt. 48 a 51 ( attuali 39 a 42 CE) e 59 a 66 (attuali 49 a 55

CE) del Trattato CEE ogni regolamentazione o prassi nazionale, anche emanata da

soggetti privati, che riservi ai soli cittadini dello Stato membro in cui tale prassi vige,

il diritto di partecipare, in qualità di gio catore professionista o semi professionista a

degli incontri di calcio, salvo che non si tratti di escludere i giocatori stranieri

(comunitari) dalla partecipazione a certi incontri per dei motivi non economici,

attinenti al carattere ed al quadro specific o di detti incontri. Come la Corte ha già

evidenziato rispettivamente nelle sentenze del 3 e 4 dicembre 1974 ( Van

Binsbergen117[117] e Van Duyn118[118]), gli artt. 48 e 59 1° comma e 60 3° comma

dall’altro119[119], hanno efficacia immediata negli ordinamenti gi uridici degli Stati

membri e conferiscono ai singoli dei diritti soggettivi che il giudice nazionale deve

tutelare.

Nella sentenza Walrave la Corte ricomprende nell’eccezione al divieto di

discriminazione la questione della formazione di squadre in compe tizione, mentre in

116[116] In contrasto con questo assunto confronta la sentenza resa dalla Corte ne lla causa C-415/93, Bosman, cit., in cui la Corte ammette la possibilità che tali ragioni di ordine essenzialmente pubblico possano essere invocate anche da soggetti privati poiché “la portata e il contenuto di tali giustificazioni non variano secondo la n atura, pubblica o privata, di una normativa restrittiva a sostegno della quale sono invocate”. 117[117] Sentenza 3 Dicembre 1974, citata. 118[118] Sentenza 4 Dicembre 1974, causa 41/74, Racc. p.1337. 119[119] Artt. 39 e 49 1° comma e 50 3° comma attuali.

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Donà limita fortemente la portata del principio posto nella pronuncia anteriore, ed in

tal modo riduce anche sensibilmente il margine di manovra relativo che aveva

lasciato alle varie federazioni nazionali. La lettera del punto 14 della sentenza Donà

(che è la questione di cui stiamo occupandoci) è in effetti più restrittiva rispetto al

punto 8 della sentenza Walrave: scompare il riferimento alla composizione delle

squadre sportive, mentre rimane l’esenzione dal divieto di discriminazio ne per quelle

pratiche che escludano i giocatori stranieri dalla partecipazione ad alcuni incontri per

dei motivi non economici, come è ad esempio, nel quadro di squadre nazionali.

La sensazione è che in ogni caso queste due sentenze della Corte di Giust izia

manchino della necessaria chiarezza 120[120]. La Corte parla di alcuni incontri, senza

precisare quali siano e se questi siano solo gli incontri delle squadre nazionali o se

altri incontri possano essere presi in considerazione. Secondo Weatherill 121[121] però,

“such special considerations advanced in the case of national teams appear

inapplicable in the case of normal football League matches, since such fixtures are

not in general played by distinctively representative teams ”. In contrasto con questa

interpretazione è l’opinione espressa dall’avvocato generale Trabucchi nelle sue

conclusioni122[122]. Questi, mettendo in rilievo la possibilità che le squadre nazionali

potrebbero qualificarsi per una delle coppe europee per club e quindi divenire

rappresentative della propria nazione in Europa, ammette le discriminazioni allo

120[120] J.L. DUPONT, “ La situation du sportif professionnel avant l’arrêt Bosman ”, in Revue du marché unique européen, 1996, n.1, p 65 ss.. 121[121] S. WEATHERILL. “Discriminations on ground of nationality in sport”, op. cit.. 122[122] A. TRABUCCHI , conclusioni sulla causa Donà, in Raccolta, 1976, p.1345. Vedi anche, dello stesso autore “Le limitazioni all’ingaggio dei giocatori stranieri e la libera circolazione dei lavoratori nella Comunità europea” , in Rivista di diritto sportivo 1976, p. 348.

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schieramento di stranieri da parte di tali squadre per motivi attinenti essenzialmente

alla sfera sportiva. Lo stesso Trabucchi ha ritenuto il valore della pronuncia della

Corte come limita to al solo effetto di risolvere il caso di specie, senza ripercussioni

possibili su un’eventuale e completa liberalizzazione del settore. La sua opinione è in

definitiva che “l’affermazione del principio di non discriminazione a danno di

lavoratori di altr i Stati membri della CEE è accompagnata da una così ampia e

generica riserva che questa attesa sentenza non pare destinata a portare grandi

mutamenti di fondo alla prassi attuale della circolazione dei calciatori tra le squadre

delle singole nazioni”. Inol tre, sempre secondo Trabucchi, “anche attività sportive

che presentano un carattere economico possono sfuggire al divieto di discriminazioni,

quando le limitazioni basate sulla nazionalità del giocatore obbediscono ad esigenze e

perseguono finalità purame nte sportive, e purché dette limitazioni siano idonee e

proporzionali al raggiungimento del fine 123[123]”.

Ritornando a quanto stabilito dalla Corte, essa affermava la contrarietà delle

regolamentazioni sportive al diritto comunitario e demandava al giudice nazionale la

soluzione del caso di specie. Sarebbe stato dunque compito del giudice di Rovigo

quello di dover stabilire se, alla luce della natura della prestazione sottoposta alla sua

attenzione, un calciatore professionista dovesse considerarsi un prest atore di servizi o

un lavoratore subordinato. In quest’ultimo caso la giurisdizione nazionale sarebbe

stata però vincolata nella sua decisione dal fatto che la nozione di lavoratore non

poteva affatto dipendere da considerazioni esclusivamente nazionali, d ovendo in ogni

123[123] A. TRABUCCHI, conclusioni sulla causa Donà, in Raccolta, 1976, p. 1345.

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caso corrispondere ad una accezione comunitaria del termine. Sarebbe stato in effetti

troppo facile per i governi degli Stati membri appellarsi ad una diversa qualificazione

nazionale del lavoratore per restringere in tal modo la tutela acco rdata dal diritto

comunitario al lavoratore migrante.

Deve sottolinearsi che, specialmente all’epoca di queste due pronunce, il

calciatore professionista era considerato un lavoratore subordinato: una tale soluzione

del problema era quella che sembrava me glio corrispondere alla situazione esistente

negli anni Settanta ed è pertanto da condividersi. Sarebbe tuttavia quantomeno

affrettato affermare che così sia ancora ai giorni nostri. Per lo sportivo professionista

di oggi il contratto che lo lega alla soci età è certamente una grande fonte di

guadagno, ma allo stesso tempo egli può stabilire tanti altri rapporti giuridici con

imprese o enti di vario tipo interessati a legare a lui il proprio nome che possono

fruttargli introiti davvero considerevoli, molto s uperiori a quanto ricevuto dal proprio

“datore di lavoro” tradizionale, ossia la sua squadra di appartenenza.

Inoltre, alla luce della decisa evoluzione in senso economico dello sport e delle

nuove forme di contratto sperimentate, che permettono ad esempi o alle squadre degli

sport di gruppo o alle nazionali di attirare grandi investimenti sfruttando l’immagine

dei propri atleti con contratti di forniture e di sponsorizzazioni, non è così facile come

lo era in passato stabilire se l’atleta stia fornendo all a sua stessa squadra un servizio

in qualità di lavoratore salariato o in quanto prestatore di servizi.

Quale che sia la realtà delle cose ai giorni nostri, l’analisi comparata di queste due

prime sentenze porta ad essere perlomeno scettici nei confronti di esiti

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giurisprudenziali quanto meno criticabili per la parte che concerne, o meglio che non

concerne, le attività sportive non lucrative. Una parte della dottrina ha ritenuto che “è

operazione da prestigiatori quella con cui la Corte prima evidenzia la ri levanza

economica del rapporto - di lavoro o di prestazione di servizi - tra atleta e

organizzazione sportiva”, e dunque la sua conseguente sottoposizione al diritto

comunitario, “e poi pretende quella stessa rilevanza automaticamente cancellata o dal

carattere tecnico-sportivo” (ed in realtà politico) “del requisito della cittadinanza (

sentenza nel caso Walrave), ovvero dal carattere sportivo, o comunque non

economico, dei motivi che hanno suggerito l’adozione di un requisito siffatto

(sentenza sul caso Donà)124[124]”.

La Corte sarebbe addirittura in contrasto con la propria giurisprudenza costante,

secondo la quale il rispetto del diritto comunitario si imporrebbe in attività di

carattere non economico, purché collegate o interferenti con rapporti

economici125[125].

124[124] In tali termini, L. FORLATI PICCHIO , “Discriminazioni nel settore sportivo e Comunità europee ”, in Rivista di diritto internazionale, 1976, p. 745 ss. Quanto affermato dalla Corte sarebb e criticabile poiché, introducendo una nuova deroga non prevista dalla lettera del Trattato alla libera circolazione dei lavoratori, essa cadrebbe in contraddizione palese con il principio affermato in passato secondo cui le deroghe alle libertà fondament ali devono essere intese nella maniera più restrittiva possibile. Inoltre, la rilevanza economica del rapporto sportivo comportando la applicazione del Trattato ed il divieto di discriminazione fondato sulla cittadinanza, non si capisce perché la cittadina nza o criteri tecnico- sportivi siano atti a limitare la validità del Trattato, nella misura in cui siano economici, o anche economici, i rapporti su cui la discriminazione obiettivamente incide. Invero, la Forlati riteneva altresì che non fosse affatto po ssibile giustificare una qualsiasi discriminazione dei cittadini non nazionali richiamandosi al pregiudizio arrecato alle finalità tecnico- sportive apportato dalla loro eventuale partecipazione agli incontri tra società professionistiche, poiché “la rispondenza del requisito della cittadinanza alla soddisfazione di generalizzate esigenze sportive appare [..] contraddetta dalla circostanza che la cittadinanza è sovente imposta esclusivamente per il tesseramento di calciatori professionisti e non invece per i dilettanti, per i quale le finalità sportive dovrebbero emergere con chiarezza”. Invero, nella sentenza Donà sarebbe rinvenibile “un accenno di stanchezza della Corte nella difesa della prospettiva europeistica”. 125[125] L. FORLATI PICCHIO, “Discriminazioni nel settore sportivo e Comunità europee”, op. cit.. Sempre secondo tale autore, sarebbe censurabile l’espediente utilizzato dalla Corte e consistente nel ritenere la rilevanza economica del rapporto cancellata dalla presenza nello stesso di profili di altra natura. Dall’eventuale carattere sportivo del requisito non era dato alla Corte desumere la esclusione dalla sfera di applicazione del Trattato del rapporto colpito da discriminazione.

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In aggiunta a queste critiche di segno negativo, un altro indirizzo

giurisprudenziale 126[126], avanzava l’opinione secondo cui le norme discriminatorie

poste in atto da enti nazionali o internazionali sportivi dovessero essere perseguite

non tanto o non solo a causa della loro incompatibilità con gli articoli del Trattato

sulla libera circolazione delle persone, quanto per violazione della normativa

comunitaria relativa alla concorrenza 127[127]. A parere degli studiosi fautori di tale

indirizzo, scarta ta la possibilità di imputare una sorta di responsabilità (ovviamente

indiretta) a carico dello Stato per quelle normazioni poste in essere da soggetti

rilevanti dell’autonomia privata 128[128] ai sensi dell’art. 169 CEE (attuale art.226 CE),

la stessa Commissione, impotente in materia di circolazione dei lavoratori, avrebbe

potuto invece far molto in caso di violazione della normativa comunitaria della

concorrenza129[129], in virtù degli importanti poteri che le erano (e le sono) riservati

126[126] Cfr. le opinioni espresse nei loro articoli da GIARDINI, “Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori”, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1988, p.452, BIANCHI D’URSO, “Attività sportiva e libera circolazione nella CEE “, op. cit. e WEATHERILL, “Discriminations..”, op. cit.. Per quest’ultimo tuttavia, benché contrarie alle norme sulla concorrenza, le regolamentazioni degli enti sportivi discriminanti rispetto ai comunitari potrebbero, se notificate, essere esentate ex art. 85 (3) CEE, attuale art. 81n.3 CE. 127[127] Tale opinione può essere inquadrata in un discorso di più ampio respiro, tendente a ricercare dei rimedi esperibili per reagire al perdurare di regole discriminatorie palesemente contrarie allo spirito della comunità. Benché infatti fosse stata affermata l’esistenza di u n diritto in capo ai singoli che le giurisdizioni nazionali erano in dovere di tutelare, l’inerzia (almeno sino al caso Bosman) dei soggetti aventi diritto ad invocare il caducamento della norma discriminatoria ed il malcontento suscitato dai punti che le due sentenze non avevano saputo o voluto risolvere la dottrina era stata indotta a chiedersi se vi fossero altri rimedi atti a risolvere il problema. 128[128] Un’ipotesi del genere non potrebbe essere accettata cfr. in tal senso, S. WEATHERILL, op. cit. e A. GIARDINI , op. cit. Così anche A. TRABUCCHI, op. cit., il quale affermava di non aver potuto accettare il principio secondo cui uno Stato potrebbe essere considerato responsabile per le attività intraprese sul suo territorio da individui o enti privati esercitanti la loro autonomia contrattuale.

129[129] Se lo sport professionale può costituire una attività economica, e quindi può ricadere all’interno delle previsioni del Trattato, non vi era alcuna ragione per cui esso non avrebbe potuto essere soggetto al le regole di concorrenza del Trattato di Roma ed in particolare alle disposizioni degli artt.85 (attuale 81) ed 86 (82). Benché entrambi si riferissero a quelle pratiche pregiudizievoli del commercio intracomunitario (il che farebbe pensare che la loro app licazione sarebbe possibile alle sole merci), la Corte ha infatti stabilito che dovendosi intendere la nozione di commercio in una accezione alquanto vasta, la loro validità si estendeva anche ad accordi relativi alla fornitura di servizi. Questa autorevol e opinione è rafforzata dal fatto che la lettera del Trattato non sembrava dal canto suo escludere le pratiche concernenti il lavoro dalla applicazione delle regole di concorrenza. Cfr. sull’argomento, S. WEATHERILL , “Discriminations…”, op. cit.

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nella materia130[130]. Già Weatherill 131[131], pur mettendo in guardia sulla possibile

sovrapposizione tra le regole sulla circolazione delle persone e quelle della

concorrenza, metteva in luce come queste ultime, oltre ad avere una validità materiale

molto più vasta delle prime, ricomprendendo anche le cosiddette discriminazioni

“alla rovescia 132[132]” ed essendo in generale neutre rispetto al criterio della

cittadinanza, consentivano alla Commissione di poter agire in qualità di guardiana del

Trattato133[133].

L’art. 81 CE (ex art. 85 CEE), vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni

di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il

commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,

falsare o restringere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune,

mentre il disposto dell’art.82 CE (ex art. 86 CEE) vieta lo sfruttamento abusivo di

una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo

nella misura in cui questa possa essere pregiudizievole del commercio tra Stati 134[134]

130[130] La Commissione, intervenendo in caso di violazione della normativa comunitaria antitrust, può emettere a carico delle imprese inosservanti di dette regole, delle decisioni giuridiche vincolanti che si concretano anche nell’irrogazione di sanzioni pecuniarie. Tale potere della Commissione trova il suo fondamento nel Regolamento 6 Febbraio 1962, n.17/1962 del Consiglio, in GUCE n.113 del 21 Febbraio 1962. 131[131] L’Autore parla di “overlap” nel senso che, ad esempio, un accordo intervenuto tra Commissione e orga nismi dirigenti del mondo del calcio in forza dell’art. 85 n.3 (attuale 81 n.3), potrebbe essere messo in discussione da un privato cittadino che agisse in giudizio davanti ad una giurisdizione nazionale per violazione da parte di tale accordo della libertà concessagli dall’art. 48 (attuale 39) del Trattato. 132[132] Sono quelle discriminazioni che si verificano quando uno Stato nazionale pone in essere una normativa che finisce per avere degli effetti discriminatori per i propri nazionali, favorendo invece i cittadini di un altro Stato membro. 133[133] La Commissione vigila infatti affinché siano applicati i principi del Trattato in materia di concorrenza, istruisce i casi di presunta infrazione qualora li ritenga veritieri, propone mezzi per porvi fine, prend e decisioni motivate sull’infrazione (anche d’ufficio) ed ha inoltre l’importantissimo potere di esentare, a seguito della sua notifica, un accordo prima facie restrittivo grazie alle deroghe previste dall’art. 81 n.3 attuale ( ex art. 85 n.3). 134[134] Secondo tale dottrina era pacifico che, nel caso di cui trattasi, le norme in parola avessero per effetto quello di prevenire, limitare o distorcere la concorrenza sul mercato delle fonti di approvvigionamento dei calciatori, e che fossero inoltre sicuramente configurabili come accordi di imprese o di associazioni di imprese falsanti la concorrenza o tendenti a conservare nel tempo in maniera illecita una posizione dominante, dato che le predette norme promanavano da enti di diritto privato che detenevano un m onopolio nazionale o internazionale sulla disciplina che organizzavano. Conseguentemente, certi aspetti di questi sistemi di potere non condannati dalla Corte, perché non ricompresi dall’art. 48 CEE (attuale 39 CE), lo sarebbero stati nel quadro di una pr ocedura fondata sull’art. 85 (81).

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membri. Il discorso era sviluppato riferendosi al settore calcistico, ma è chiaro che

tutte le norme che prescrivono una limitazione al tesseramento o all’allineamento

degli sportivi comunitari in occas ione degli incontri hanno indubitabilmente degli

effetti nocivi sulla concorrenza 135[135], quale che sia il tipo di sport o la federazione

che li adotta136[136].

Questo di cui si è tentato di rendere conto era il confuso scenario che si

presentava nell’Europa dello sport sul finire degli anni Settanta. Poi per quasi un

ventennio la situazione rimase immutata, benché varie fossero state le iniziative e le

prese di posizione del Parlamento europeo e della Commissione tese a rivendicare la

signoria del diritto comunitario sulle regole sportive. Prima del “terremoto Bosman”,

la Corte si occupò un’ultima volta di un “ affaire” concernente lo sport in una

sentenza del 1987.

135[135] Cfr. sul punto, VIDIRI, “La libera circolazione dei lavoratori nei Paesi della CEE ed il blocco calcistico delle frontiere”, cit.. Secondo tale autore, con l’esclusione o la limitazione dell’ingaggio dei calciatori stranieri, le società e le federazioni sportive si suddividerebbero di fatto i rispettivi mercati nazionali, incidendo in termini negativi sugli scambi. 136[136] In effetti, ed in qualsiasi sport, anche se una soc ietà fosse libera di tesserare illimitatamente gli stranieri comunitari, in presenza di una normativa che ne limitasse lo schieramento in occasione di normali incontri di campionato, sarebbe scoraggiata dall’operare una tale scelta. E’ assolutamente pacifi co, in effetti, che nessun datore di lavoro razionale sarebbe disposto ad assumere in pianta stabile un soggetto abilitato a fornirgli le sue prestazioni lavorative saltuariamente, preferendolo ad un altro che fosse invece libero di farlo in maniera contin uativa.

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2.3 Il caso Heylens e il riconoscimento dei diplomi

Sebbene non riguardante propriamente gli sportivi in quanto tali, questa causa è

sicuramente interessante per molto rispetti, essendo strettamente correlata al

variegato mondo dello sport, ed inserendosi inoltre nella scia delle tante sentenze

emesse dalla Corte di Giustizia miranti al definitivo consolidamento dell’ acquis

secondo cui ogni Stato della Comunità, in vista della realizzazione di un mercato

unico senza frontiere, avrebbe dovuto accettare i diplomi e le qualifiche acquisite

negli altri Stati membri come se fossero state quelle da esso rilasciate. Il riferimento è

alla causa 222/86 Union Nationale des Entraîneurs et Cadres Techniques

Professionnels du Football (UNECTEF) contro George Heylens ed altri. Invero,

anche ai tecnici professionisti citta dini di uno Stato membro ed esercitanti la loro

opera dietro retribuzione in qualità di lavoratori subordinati o di prestatori di servizi,

doveva essere garantita la possibilità di rispondere ad offerte lavorative provenienti

da altri Stati membri della Co munità o di offrirsi sul mercato del lavoro di questi

ultimi. Sennonché, l’aver affermato in linea di principio la libertà di stabilimento e di

prestazione dei servizi non era sufficiente, dato che nella prassi uno degli ostacoli

maggiori che si frapponeva alla realizzazione delle previsioni del Trattato era

rappresentato dalle norme nazionali che regolamentavano l’accesso alle varie

professioni.

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2.3.1 Causa 222/86 UNECTEF contro Heylens ed altri 137[137]

Nel 1984, il sig. Heylens, cittadino belga, regola rmente diplomato presso l’Ecole

des entraîneurs de l’Union Royale belge des sociétés de football association, era

ingaggiato per una stagione in qualità di allenatore da una squadra di calcio francese,

il Lille olympic sporting club. In Francia all’epoca d ei fatti, l’accesso alla professione

di allenatore era disciplinato da alcuni decreti del segretario di Stato per la gioventù e

lo sport, tra cui uno del 30 luglio 1965 138[138], il quale istituiva una commissione

speciale per l’esame delle domande di ammissi one per equivalenza dei diplomi

stranieri e demandava la competenza a decidere allo stesso segretario di Stato per la

gioventù e lo sport. Questi avrebbe emesso decisioni individuali fintantoché non

fossero stati stipulati accordi in materia con i paesi st ranieri. Affinché l’Heylens

potesse effettivamente esercitare la professione di allenatore era quindi necessario

che la sua qualifica venisse riconosciuta come equivalente a quella disciplinata in

Francia. Tuttavia così non accadde: la domanda del sig. He ylens fu respinta, ed anzi

gli fu intimato di astenersi da ogni tipo di insegnamento retribuito sul territorio

francese139[139].

Il convenuto ritenne di non doversi conformare al divieto e fu citato in giudizio

innanzi al Tribunale penale di Lilla insieme a i dirigenti della squadra, in quanto

rispettivamente autore e complici di una violazione dell’art.43 della legge 16 luglio 137[137] Sentenza 15 Ottobre 1986, causa 222/86, Heylens, Racc. 1987, p. 4097 ss.. 138[138] In Journal Officiel de la République Française del 26/10/1965. 139[139] Si noti che l’esercizio illegittimo dell’attività di allenatore era sanzionato con una a mmenda o con l’arresto.

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1984, n. 84-610140[140], e dell’art. 259 del codice penale francese, relativo alla

usurpazione di titoli 141[141].

Il tribunal de grande instance di Lilla, ritenendo la normativa francese

incompatibile con le norme comunitarie sulla libera circolazione dei lavoratori,

sospese il procedimento, ponendo alla Corte di Giustizia la seguente questione

pregiudiziale:

“ Se il fatto di porre come re quisito per esercitare l’attività retribuita di

allenatore di una compagine sportiva il possesso di un diploma francese o di un

diploma straniero riconosciuto equivalente da una commissione che decide con

parere non motivato, e avverso il quale non è conte mplato nessuno specifico

gravame, costituisca, in mancanza di una direttiva che si applichi a detta attività,

una limitazione della libera circolazione dei lavoratori di cui agli artt.48 e 51 142[142]

del Trattato CEE”.

Secondo la Corte, per risolvere il problema posto dal giudice di rinvio si doveva

tenere presente che l’art. 48 (ora 39) del Trattato non era che l’attuazione, in materia

di circolazione dei lavoratori, del principio fondamentale sancito dall’art. 3 lett. c)

CEE (attuale art.3 lett. c), il quale mira alla realizzazione, all’interno del mercato

unico, delle quattro libertà mercantili fondamentali (di circolazione delle merci, delle

persone, dei servizi e dei capitali). L’art. 48 (ora 39) inoltre, costituendo anche l a

140[140] Si tratta di una legge relativa all’organizzazione ed alla promozione delle attività fisiche e sportive ( JORF 17/7/1984). 141[141] Per esigenze di completezza è opportuno precisare che, a seguito di una seconda valutazione op erata dal segretario di Stato, era stata infine riconosciuta l’equivalenza del diploma del sig. Heylens; tuttavia, avendo questo provvedimento una efficacia ex nunc, esso non influiva sulla eventuale sussistenza dell’illecito penale. Il quesito posto alla Corte di giustizia, così come la causa principale restavano così attuali. 142[142] Attuali 39 a 42 CE

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specificazione di un altro principio fondante dell’architettura comunitaria, ossia del

divieto generale di discriminazione in base alla nazionalità dell’art. 7 CEE (ora art.12

CE), imponeva l’obbligo di eliminare nelle legislazioni degli Stati membri le

disposizioni che prevedevano nei confronti dei cittadini comunitari un trattamento

diverso o più svantaggioso rispetto a quello riservato ai nazionali per ciò che

concernesse l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Ora, come

anche la Commissione aveva messo in risalto, il fatto che uno Stato membro esigesse

una qualificazione professionale attestata dal possesso di un diploma o di un titolo

nazionale rappresentava indubbiamente un ostacolo all’effettivo esercizio della

libertà di circolazione, costituendo una forte discriminazione indiretta a danno degli

stranieri. In ragione di ciò, benché fosse vero che, in mancanza delle disposizioni di

armonizzazione previste dall’art.57, 1º comma (attuale 47) e dal regolamento 1612/68

CEE gli Stati potessero definire le conoscenze e le qualifiche necessarie all’esercizio

di tale professione e richiedere un diploma che le attestasse, era anche vero che le

direttive previste avevano il solo scopo di facilitare l’esercizio della libertà e non

anche quello di determinarne l’effettiva validità.

L’art. 5 CEE (attuale 10 CE), imponendo inoltre in capo agli Stati membri un

obbligo positivo di cooperazione con la Comunità nell’assolvimento della sua

missione nonché uno negativo di astensione dal porre in esse re misure suscettibili di

mettere in pericolo la sua realizzazione, ricomprendeva certamente nella sua sfera di

applicazione anche le disposizioni in materia di libera circolazione dei lavoratori,

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come la Corte aveva stabilito in diritto nella sentenza de l 28 Aprile 1977 143[143].

Stando così le cose, si trattava per la Corte di conciliare la legittima esigenza degli

Stati membri di regolare l’accesso e l’esercizio di una professione con i principi del

Trattato; ciò poteva essere fatto se la procedura di rico noscimento avesse consentito

alle autorità nazionali di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attestasse

qualifiche almeno equivalenti rispetto a quelle richieste al nazionale e se il

richiedente, in caso di una decisione di rifiuto, avesse p otuto facilmente conoscere le

ragioni di questo 144[144] ed esperire tutti i ricorsi possibili avverso essa.

Seguendo la Corte, la valutazione dell’equivalenza doveva effettuarsi in

considerazione del livello delle conoscenze che questo diploma consentiva d i

presumere in possesso del suo titolare, tenuto conto della natura e della durata degli

studi e della formazione pratica di cui attestava il compimento.

Per le suesposte ragioni, l’opinione espressa dalla Repubblica francese secondo

cui la richiesta dell ’Heylens non sarebbe giustificata non è condivisibile. Anche

ammettendo che, come dichiarava la Francia, la decisione negativa del ministro

avrebbe potuto essere impugnata con ricorso giurisdizionale innanzi al giudice

amministrativo o penale, non è esatto affermare, come pur questa faceva, che questo

motivo fosse idoneo ad assicurare una efficace protezione giuridica all’interessato, la

mancanza di motivazione non essendo atta a privare l’Heylens di ogni garanzia. A

tutta prima tale argomentazione sembra a ssurda, poiché la legittimità della 143[143] Sentenza resa nella causa 71/66, Thieffry, Racc.1977, p.765 . 144[144] In tal senso, cfr. la direttiva del Consiglio del 25 febbraio 1964, cit., relat iva al trasferimento ed al soggiorno degli stranieri. Il suo art.8 esige che gli Stati assicurino ai cittadini comunitari l’accesso a tutti i mezzi di ricorso esperibili dai propri cittadini, mentre l’art.6 precisa che “i motivi di ordine pubblico, di sicu rezza o di sanità pubblica sui quali si basa il provvedimento sfavorevole ai cittadini di un altro Stato membro devono essere portati a conoscenza di questi, salvo che vi si oppongano motivi inerenti alla sicurezza dello Stato”.

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motivazione è essenziale alla piena efficacia dei mezzi di ricorso esperibili,

“consentendo all’interessato di valutare se la decisione di rifiuto sia effettivamente

giustificata e non ecceda invece quanto necessario per il conseguimento degli scopi

perseguiti”145[145]. Nel caso in esame, il fatto che il giudizio di valutazione

dell’equivalenza non sia motivato non è affatto neutro per l’interessato, potendo egli

anche decidere di rinunciare a valersi dei mezzi di ricorso che gli sono riconosciuti al

fine di evitare l’alea di un processo costoso e dall’esito imprevedibile. Questo

ingiustificato gravame posto all’esercizio di un diritto fondamentale conferito

individualmente a qualsiasi lavoratore della Comunità è inaccettab ile, poiché è

fondamentale che i singoli possano decidere se o adire o meno il giudice avendo

piena conoscenza della situazione.

Concludendo, l’art. 48 CEE (ora 39 CE) richiedeva per la Corte che la decisione

di rifiuto di equivalenza opposta ad un cittad ino comunitario fosse soggetta ad un

onere di natura giurisdizionale che consentisse al suo destinatario sia di verificarne la

legittimità rispetto al diritto comunitario sia di conoscerne i motivi.

145[145] Opinione espressa dal Giudice relatore S. F. Schockweider, in Racc. 1987 pag. 4105.

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2.4 Cenni sulle azioni comunitarie per la salvaguardia della libertà di circolazione

degli atleti nello sport (1986 -1991)146[146]

L’affaire Heylens , non interessando se non in via indiretta il problema della libera

circolazione degli sportivi comunitari nel territorio degli Stati membri, non apportò

nella materia nessuna soluzione agli interrogativi lasciati irrisolti soprattutto dal caso

Donà, tant’è che nella sentenza Bosman la Corte sarà ancora una volta chiamata ad

occuparsi della compatibilità con il diritto comunitario delle regolamentazioni

sportive concernenti le clausole di nazionalità.

A dire il vero, benché con poco successo, non è che le altre istituzioni comunitarie

fossero state inerti di fronte al problema del mantenimento in vigore di una normativa

palesemente in contrasto con uno dei principi “costituzionali” del Trattato come

quello della libertà di circolazione delle persone. Già nel 1978, la Commissione

aveva deciso, sulla spinta della sentenza resa nell’affare Donà, di intavolare dei

negoziati con le istanze europee del calcio, settore nel quale il problema era visto

come più urgente, ed era riuscita ad ottenere dall’UEFA, da un lato, l’impegno a

sopprimere le limitazioni al numero di stranieri comunitari che ogni club era

autorizzato ad ingaggiare, e dall’altro, a portare a due il numero di questi che poteva

essere impiegato in occasione di un incontro. Quest’accordo che sembrava soddisfare

pienamente la Commissione è stato però definito “ une demi- mesure”, poiché :

146[146] Per una panoramica più completa sul punto, cfr. MIÈGE, Le Sport Européen , op. cit.., DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , op. cit., p. 385 ss..

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a) “soit l’arrêt Donà étend son exception aux rencontres de championnat et a ux

rencontres des Coupes d’Europe, et dès lors, l’UEFA n’a pas à admettre une

ouverture relative des équipes à des joueurs étrangers ;

b) soit l’arrêt Donà ne concerne que les rencontres entre équipes nationales et

dès lors aucune restriction à l’engagemen t mais également à l’utilisation de joueurs

communautaires ne peut être négociée par la Commission concernant les matchs de

clubs147[147]”.

Nel 1984 il commissario Richard invitò ancora le federazioni nazionali e l’UEFA

a modificare i loro statuti in modo da renderli conformi alla lettera del Trattato, ma

senza fortuna. L’anno seguente, il commissario Sutherland ricordava alle federazioni

il carattere non derogatorio del gentlement’s agreement del 1978. Nel 1986 la

Commissione, sotto la spinta della relazio ne Adonnino, decideva di contattare ancora

una volta le federazioni interessate per ottenere la regolarizzazione della situazione.

Un anno dopo, il vice presidente della Commissione Marin fu autorizzato a

convocare una riunione con le federazioni e gli Sta ti membri al fine di riaffermare la

posizione della Comunità e di invitarli ancora una volta a stabilire un calendario per

l’eliminazione delle discriminazioni. Lo stesso anno la Commissione proponeva una

soluzione che prevedeva tra le altre cose:

147[147] In tali termini, J .L DUPONT , “Le droit communautaire et…” , op. cit.. Sembra però di poter obiettare che questa critica sia in realtà priva di fondamento, essendo data la natura transitoria (e non derogatoria) dell’accordo del 1978, in vista della piena re alizzazione della libertà di circolazione per i calciatori. Il fatto che l’UEFA finì con il considerare la questione chiusa con la modifica parziale del suo regolamento e non si adeguò alle disposizioni pattuite non inficia dunque la bontà dell’azione intr apresa dalla Commissione.

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- l’ingaggio e la partecipazione di tre giocatori stranieri cittadini

comunitari in tutti gli incontri ufficiali nel 1988/89 e 1989/90

- l’eliminazione progressiva di ogni quota e l’instaurazione della piena

libera circolazione nel 1992.

L’UEFA però anche que sta volta decise di ritirarsi dal negoziato ed un vero e

proprio accordo fu raggiunto solo nel 1991: esso stabiliva che, a partire dal luglio

1992, le federazioni nazionali prevedessero nei propri regolamenti la possibilità per le

squadre di prima division e148[148] di schierare almeno tre giocatori non nazionali in

incontri di campionato, più due giocatori detti “assimilati”, ossia che avessero

militato nel campionato dello Stato in questione per almeno cinque anni, di cui tre

passati nelle formazioni giovani li. La norma fissava solo un requisito minimo, sicché

le varie federazioni potevano anche prevedere delle norme più liberali.

Finalmente la Commissione era riuscita a porre fine al lungo contenzioso che la

opponeva al mondo del calcio, ma tale accordo 149[149] non incontrava affatto i favori

del Parlamento europeo, che anzi lo criticò aspramente in una sua risoluzione 150[150]

148[148] La regola si sarebbe estesa solo a partire dalla stagione 1996/97 a tutte le categorie di calciatori non dilettanti. 149[149] Molto critica al riguardo è anche M. CASTELLANETA, “Libera circolazione dei calciatori e disposizi oni della FIGC, cit., la quale afferma che con tale accordo sarebbe solo mutato il tipo di violazione del diritto comunitario, passato dalla fissazione di un limite al tesseramento dei calciatori stranieri “all’ineffettività dell’esercizio dell’attività lavorativa dei calciatori dei Paesi membri della CEE”, dovuta al limite al loro schieramento. Secondo tale autore il gentlemen’s agreement sarebbe un “escamotage con il quale è stato violato il diritto comunitario con l’avallo della Commissione, che ha preferito continuare sulla strada della mediazione e del compromesso con l’UEFA” e costituirebbe “un prezzo troppo alto da pagare per salvaguardare degli interessi economici o sportivi”. 150[150] Ris. B3-19784/91 del 21 novembre 1991(GUCE n° C 326 del 16 Dicembre 1991). Già nella sua risoluzione dell’11 Aprile 1989 sulla libera circolazione dei calciatori professionisti nella Comunità (GUCE n° C 120 del 16 Maggio 1989), il Parlamento incitava la Commissione “a prendere energicamente posizione contro le regolamentazioni adottate in taluni settori dello sport, qualora siano in contraddizione con il Trattato di Roma, e a provvedere alla loro abolizione e alla loro riforma, se necessario, alla luce de lla libertà di circolazione e di stabilimento, tenuto conto della posizione delle federazioni competenti”. Il filo conduttore dell’azione del Parlamento era quello di essere uno stimolo nei confronti della Commissione, la cui azione era reputata “frammenta ria” ed “esitante”. Sul punto. Cfr. C. MIÈGE, Le Sport européen , op. cit..

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che riaffermava la sua netta opposizione 151[151] ad ogni ostacolo alla libera

circolazione dei calciatori professionisti nella Comunità 152[152]. A parziale discolpa

della condotta della Commissione potrebbe però farsi valere che essa cercava molto

probabilmente di conciliare le due opposte esigenze, quella della libera circolazione

dei calciatori con la necessità di prendere in conto le specif icità dell’organizzazione

del calcio professionistico e della formazione delle squadre. Quale che fosse la realtà,

le nuove regole non sarebbero durate a lungo, poiché oramai i tempi erano maturi

perché si verificasse l’impensabile 153[153]: un singolo giocatore aveva finalmente

trovato il coraggio di adire il giudice ordinario per contestare le norme sportive.

151[151] In una successiva risoluzione del 19 Novembre 1992 il Parlamento europeo ha paragonato l’UEFA ad una “mafia di trafficanti di schiavi”, criticando il compromesso sulle quote dei calciatori stranieri nei mercati nazionali. 152[152] Contro tale accordo fu anche intentato da Bosman un ricorso in annullamento davanti alla Corte di giustizia, ma essa rifiutò di pronunciarsi a causa della presunta mancanza di effetti giuridici dell’a tto: secondo la Corte in tale patto la Commissione si sarebbe limitata a prendere nota delle modifiche che l’UEFA proponeva sia alla sua disciplina dei trasferimenti che a quella delle quote nazionali. Causa C -117/91. A parere di M. CASTELLANETA, “Libera circolazione dei calciatori e disposizioni della FIGC”, cit., la Corte, “pur agendo conformemente al Trattato CEE, ai sensi dell’art.173 CEE” (attuale 230 CE), che le consente di esercitare un controllo di legittimità sugli atti vincolanti del Consiglio e della Commissione, “avrebbe potuto giudicare negativamente il comportamento della Commissione”. L’autrice rileva in sostanza che se si tiene conto della costante giurisprudenza della Corte in materia, “costituiscono atti o decisioni che possono costituire oggetto di una azione di annullamento ai sensi dell’art. 173 CEE, i provvedimenti destinati a produrre effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in maniera rilevante la situazione giuridica di questo”; il nomen giuridico dell’atto o la sua forma “sono invece, in linea di massimo irrilevanti” a tal fine. 153[153] Così anche P. DEMARET, “Quelques observations sur la signification de l’arrêt Bosman” , in Revue du marché unique européen, 1996, n1, p. 11 ss., secondo cui “il pouvait paraître fort risqué pour un joueur de se lancer dans une longue procédure judiciaire, à supposer m ême qu’il ait pu prouver sans trop de difficulté qu’il n’avait pas été soit engagé soit aligné pour des raisons de nationalité ”.

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2.5 Causa C-413/93 Union Royale Belge des Sociétés de Football Association

ASBL e altri contro Bosman 154[154].

Nel 1990 giungeva ad espirazione il contratto di Jean Marc Bosman, calciatore

professionista di nazionalità belga. In occasione del suo rinnovo questi si era visto

proporre dalla sua squadra, il Royal club di Liegi (RC Liegi), un nuovo contratto,

della durata di una stagione, che prevedeva u na retribuzione lorda totale

(comprendente la quota fissa e gli altri emolumenti), equivalente a circa un quarto del

trattamento finanziario riservatogli in precedenza e corrispondente al minimo

salariale previsto dal regolamento del 1982 della federazione belga, l’Union Royale

Belge des Sociétés de Football Association (nel prosieguo URBSFA).

Qualsiasi altro lavoratore della Comunità sarebbe stato, nelle stesse condizioni,

libero di offrire le sue prestazioni ad un altro datore di lavoro: non così Bosman,

poiché secondo le norme federali vigenti all’epoca, egli rimaneva legato alla sua

società anche a contratto scaduto. La situazione del ricorrente era assai particolare,

poiché egli, benché con un contratto in scadenza, non era affatto libero di offrirsi s ul

mercato del lavoro, dato che le norme federali URBSFA, così come quelle di tutte le

federazioni europee, prevedevano che un calciatore non avrebbe potuto lasciare la sua

squadra di provenienza, né quindi essere impiegato dalla sua eventuale nuova

154[154] Sentenza 15 Dicembre 1995, causa C -415/93, Racc. 1995, p.5040 ss.

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compagine sportiva, se quest’ultima, o egli stesso, non avessero versato alla prima la

cosiddetta indennità di formazione o promozione 155[155].

Bosman decise di rifiutare il contratto propostogli e fu collocato, in ottemperanza

alle regole URBSFA vigenti, nell’ele nco dei calciatori “cedibili”, passibili cioè di

trasferimento156[156]. Nel periodo di tempo in cui il trasferimento viene detto

“libero157[157]”, Bosman riuscì a trovare un ingaggio per la SA d’économie mixte

sportive de l’union sportive du littoral de Dunker que (U.S. Dunkerque), un club

francese di seconda divisione; le due società si misero d’accordo per il trasferimento

temporaneo di Bosman per la durata di una stagione contro il pagamento di una certa

somma, ma con la possibilità per il Dunkerque di riscat tare Bosman a titolo definitivo

in cambio del versamento di una indennità pari a quattro milioni ottocentomila

franchi belgi. Entrambi i contratti, quello di Bosman con il Dunkerque e quello tra il

Dunkerque e il RC Liegi furono sottoposti alla condizione risolutiva secondo la quale

essi non avrebbero più avuto effetti nel caso in cui il rilascio del certificato di

trasferimento internazionale 158[158] che, conformemente alle regole FIFA (Fédération

Internationale des Associations de football) la federazione d i partenza, ossia quella

belga in questo frangente, doveva emettere alla nuova associazione nazionale del

calciatore (nel caso di specie, la federazione francese), per dimostrare che tutte le

155[155] Questa può essere calcolata in due modi: nel caso di trasferimento detto “ imposto”, essa viene determinata in base a criteri oggettivi come l’età del giocatore e la sua retribuzi one lorda annua, mentre se il trasferimento è “ libero”, essa viene determinata di comune accordo dalle due squadre. 156[156] Il trasferimento è definito come il procedimento mediante il quale un calciatore cambia tessera societaria, ossia si lega ad un’altra società. Se il trasferimento è internazionale, oltre al cambiamento di tesseramento vi sarà anche quello della affiliazione, rapporto che lega il calciatore ad una federazione nazionale. 157[157] Nessuno aveva in effetti dimostrato interesse a valersi dei servigi del signor Bosman nel periodo precedente, quello riservato ai trasferimenti “imposti”. 158[158] Nel caso di trasferimento tra federazioni nazionali di diversi paesi tale certificato costituiva un elemento essenziale per la legalità del negozio.

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obbligazioni finanziarie, compresa l’indennità di trasferimento , erano state regolate,

non fosse avvenuto entro il 2 Agosto. I due contratti non entrarono mai in vigore,

poiché il RC Liegi, nutrendo dei dubbi sulla solvibilità del club francese omise di

richiedere il certificato di svincolo alla sua federazione e per di più ritirò il cartellino

di Bosman impedendogli di giocare per la stagione 1990/91 159[159].

Fu così, che, per l’effetto combinato dei regolamenti FIFA, UEFA e URBSFA, ed

in particolare a causa del sistema di indennità di trasferimento che queste norme

avevano instaurato, a Bosman fu impedito di continuare ad esercitare la sua

professione per conto di un altro datore di lavoro 160[160]. L’8 agosto 1990, Bosman adì

il tribunale di prima istanza di Liegi chiedendogli di pronunciarsi sulla questione di

fondo e parallelamente chiese che con provvedimento di urgenza fosse ingiunto alla

sua squadra e alla federazione belga di versargli una remunerazione mensile e di non

ostacolarlo in alcun modo nella sua ricerca di un nuovo impiego. Nel 1991 161[161]

anche l’UEFA venne convenuta in giudizio per ottenere dal giudice una declaratoria

di invalidità del suo regolamento per contrarietà con gli artt.48, 85 e 86 del trattato

CEE162[162] (attuali artt. 39, 81 e 82 CE), nella parte in cui esso prevedeva un sistem a

di trasferimenti che contemplava il pagamento di una indennità di trasferimento in

caso di cessione di un calciatore il cui contratto fosse giunto a scadenza, nonché nella

159[159] In virtù del regolamento della federazione belga una squadra aveva il potere di sanzionare con questo provvedimento disciplinare il rifiuto del calciatore di accettare il contratto propostogli. 160[160] Sul punto si veda M. THILL, “L’arrêt “Bosman” et ses implications pour la libre circulation des sportifs à l’intérieur de l’Union européenne dans des contextes factuels différents de ceux de l’affaire “ Bosman””, in Revue du Marché unique européen, 1996, n. 1, p. 89 ss.. 162[162] Nel novembre 1990 Bosman aveva presentato un ricorso alla Commissione basato sulla contrarietà di queste regole al solo art. 85.

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parte in cui i calciatori di altri Stati membri della Comunità non erano equiparat i a

quelli nazionali per quanto riguardava l’accesso alle competizioni nazionali 163[163].

Non è possibile in questa sede render conto della evoluzione della “odissea

processuale” del caso 164[164]. Basti dire che solo nel 1993 l’ affaire arriverà innanzi alla

Corte di giustizia su rinvio operato dalla Cour d’appel di Liegi. I quesiti posti dal

giudice di rinvio furono:

“ Se gli artt.48, 85 e 86 del trattato di Roma vadano interpretati nel senso che essi

vietano:

1. che una società calcistica possa pretendere e pe rcepire il pagamento di

una somma in denaro allorché un giocatore già tesserato per la stessa società, dopo

la scadenza del contratto con essa stipulato, viene ingaggiato da una nuova società

calcistica.

2. che le associazioni o federazioni sportive, nazional i o internazionali

possano includere nei rispettivi regolamenti norme che limitano la partecipazione di

giocatori stranieri, cittadini di Paesi aderenti alla Comunità, alle competizioni che

esse organizzano”.

La prima questione metteva in causa in sosta nza il sistema dei trasferimenti

nazionali, mentre il secondo quesito concerneva le clausole di nazionalità già oggetto

163[163] Nonostante che l’impedimento maggiore (se non il solo, a detta di molti), incontrato da Bosman nella sua ricerca di un nuovo impiego gli fosse v enuto dalle regole sui trasferimenti, questi stimava infatti che anche le regole sulle quote nazionali avessero ostacolato la sua carriera, riducendo le sue possibilità di essere ingaggiato o schierato da parte di un club di un altro Stato membro. Sia l’UR BSFA che l’UEFA, da Bosman convenute in giudizio contesteranno vivamente questa posizione, opponendo all’attore nella causa principale il carattere ipotetico della questione. 164[164] Il procedimento conta non meno di sedici sviluppi significativi a livello nazionale prima di approdare finalmente dinanzi alla Corte di giustizia.

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di trattazione nel caso Donà. Richiamando la giurisprudenza costante della Corte,

l’UEFA sosteneva l’irricevibilità della questione preg iudiziale, dato che la

chiarificazione dei quesiti posti non sarebbe stata necessaria per consentire al giudice

di rinvio la risoluzione dei fatti a quibus . In particolare essa nutriva dei seri dubbi

sulla prima questione, mentre la seconda avrebbe avuto a ddirittura carattere ipotetico,

dal momento che la carriera di Bosman non sarebbe stata ostacolata in alcun modo

dalle norme relative agli stranieri 165[165]. Tuttavia la Corte, confutando i contrari

argomenti preliminari, accetterà di pronunciarsi su entramb e le questioni.

Uno degli elementi marcanti di quella che è sicuramente “ un arrêt incisif”166[166] è

senz’altro costituito dalle conclusioni, “ superbement écrites167[167]” dell’Avv. Gen., e

ciò non solo in ragione della loro estrema lunghezza. Lenz opera in e ffetti una

brillante ed accurata ricognizione del diritto comunitario e della giurisprudenza della

Corte in materia di libera circolazione delle persone e della concorrenza, e molto

spesso fornisce ai magistrati di Lussemburgo gli elementi sui quali essi c ostruiranno

le argomentazioni della sentenza. Invero, molto spesso egli arriva persino ad

esaminare questioni che non erano nemmeno state sollevate dal giudice di rinvio o

dalle parti nella fase scritta ed orale del procedimento; per quanto riguarda la

compatibilità delle regole litigiose con il diritto comunitario della concorrenza egli è

il solo ad addentrarsi nella materia, dato che la Corte, come si vedrà meglio nel

prosieguo della trattazione, rifiuterà di pronunciarsi in merito. L’analisi del caso ch e 165[165] In tal senso cfr. anche S. WEATHERILL, “ Annotations on the Bosman case”, in Common Law Market Review, 1996, p.991 ss., e M. COCCIA, “L’indennità di trasferimento e la libera circolazione dei calciatori professionisti nell’Unione europea”, in Rivista di diritto sportivo, 1994 n.2, p.350 ss. 166[166] D. O’KEEFFE e P. OSBORNE , “L’affaire Bosman: un arrêt important pour le bon fonctionnement du marché unique européen”, in Revue du marché unique européen, 1996 n.1, p.17 e ss. 167[167] Ibidem

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qui ci occupa non poteva dunque prescindere dal considerare partitamente le opinioni

espresse da Lenz .

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2.5.1 Le conclusioni dell’avvocato generale Lenz

Lenz esordisce nella sua analisi sul fondo richiamando la giurisprudenza della

Corte nel settore della sport 168[168], e desumendone i seguenti principi cardine:

1. il settore dello sport è soggetto al diritto comunitario qualora sia

configurabile come una attività economica;

2. l’attività dei calciatori professionisti costituisce una attività a f ine di lucro

e rientra nell’ambito di applicazione del diritto comunitario;

3. a questa attività si applicano sia l’art. 48 (ora 39) che l’art. 59 (49), ma

alcune eccezioni al disposto di queste norme sono possibili qualora si tratti di regole

sportive operanti delle discriminazioni tra sportivi nazionali e comunitari per motivi

non economici, ma di natura prettamente sportiva.

Posto che l’art. 48 (attuale 39) prevedeva sin già dalla fine del periodo transitorio

che i lavoratori potessero circolare liberamente all’interno della Comunità per cercare

un impiego in un altro Stato membro alle stesse condizioni concesse da detto Stato ai

propri lavoratori, e che il calciatore è un lavoratore ai sensi di tale articolo, le norme

relative agli stranieri sono state rite nute da Lenz discriminatorie, poiché limitano il

numero dei calciatori stranieri 169[169] comunitari che una società può ingaggiare e si

168[168] Sentenze Walrave e Donà, cit.. 169[169] In verità la normativa prevedeva delle limitazioni allo schieramento non dei calciatori “stranieri”, ma di quelli che non potevano essere selezionati per la rappresentativa nazionale. Sebbene formalmente i due concetti non siano equivalenti, nella pratica finiscono comunque per coincidere, poiché un calciatore che non può essere selezionato per la squadra nazionale è di norm a un cittadino straniero.

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configurano quindi come una classica restrizione ai sensi del paragrafo n.2 di questo

stesso articolo 170[170].

Stabilita la violazione del diritto comunitario da parte delle regole relative agli

stranieri, si tratta per Lenz di vedere se nondimeno esse possano trovare una qualche

giustificazione o possano essere esentate dal divieto di discriminazione in base ai

principi post i in materia di sport dalla passata giurisprudenza della Corte 171[171].

Secondo l’Avvocato Generale l’eccezione al divieto di discriminazioni posta nelle

sentenze Walrave e Donà sarebbe inapplicabile al caso di specie: sia la formula

adottata dalla Corte, as sai restrittiva e da mantenersi entro i limiti del suo obiettivo

specifico, sia la ragione stessa dell’art. 48 (ora 39) lo vieterebbero 172[172].

Lenz è però disposto a concedere che la preservazione dell’equilibrio tra club, sia

una esigenza degna di tutela, che potrebbe di per sé giustificare il mantenimento delle

regole sportive emanate a tal fine, anche nel caso in cui queste dovessero rivelarsi

discriminatorie: malgrado ciò, il sistema dei trasferimenti non sarebbe il mezzo più

170[170] Risulta infatti evidente che nessuna società avrebbe ingaggiato più giocatori, o molti più giocatori, di quanti non le fosse concesso poi di schierarne effettivamente sul campo di gioco Cfr. su questo punto D. O’ KEFFEE e P. OSBORNE, ““L’affaire Bosman: un arrêt important pour le bon fonctionnement du marché unique européen”, cit.. A nulla vale così il richiamo operato dall’UEFA secondo cui le norme non violerebbero il principio della libera circolazione perché non limiter ebbero la possibilità delle squadre di ingaggiare i calciatori, ma solamente quella di schierarne contemporaneamente più di un certo numero, perché tale norma si risolve comunque con l’essere una discriminazione nell’accesso dei comunitari al mercato del l avoro. 171[171] Si ricorda che secondo la disciplina anteriore data dalla Corte alla materia se si fosse dimostrato che i calciatori stranieri erano esclusi da determinati incontri per motivi non economici , ma inerenti al carattere ed alla fisionomia specifica di detti incontri ed aventi quindi natura prettamente sportiva, le norme di cui trattasi avrebbero potuto essere considerate legittime. 172[172] Se in effetti i giocatori di altri Stati membri potessero essere esclusi da normali incontri di campionato, l a deroga finirebbe per ricomprendere la totalità dell’attività di un calciatore professionista, ed il diritto alla libera circolazione verrebbe svuotato di ogni rilevanza ed utilità (punto 140 delle conclusioni). Concludendo questa prima parte della sua analisi, Lenz, per ragioni di completezza, confuta anche l’argomento secondo cui il fatto che le norme in vigore riguardanti gli stranieri siano state elaborate dall’UEFA in accordo con la Commissione sia di per sé atto a sanare l’illiceità delle norme controverse. La Commissione non è infatti né autorizzata, né abilitata a modificare la sfera di applicazione o la portata delle norme del Trattato.

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idoneo per conseguire tale obiettivo, che potrebbe essere raggiunto da altre normative

con minore pregiudizio per libertà di circolazione 173[173].

Passando all’esame della seconda questione, l’Avvocato Generale mette subito in

luce che, quale che sia il regolamento (UEFA o FIFA) appl icato dall’URBSFA, tale

normativa, prevedendo in ogni caso il pagamento di una indennità di

trasferimento174[174] costituiva certamente un deterrente alla libertà di circolazione del

calciatore. Parimenti, la subordinazione del trasferimento internazionale a l rilascio

obbligatorio di un certificato di svincolo necessario per permettere il cambiamento di

affiliazione del calciatore da una federazione nazionale ad un'altra rappresentava

anch’esso un onere ingiustificato alla libertà di circolazione di quest’ult imo175[175]. La

disciplina dei trasferimenti era quindi contraria all’art. 48 (ora 39) del Trattato.

Secondo l’Avvocato Generale “ la Corte dovrebbe tuttavia prendere in esame le

suddette questioni soltanto qualora il precetto dell’art. 48 dovesse esaurirsi nel porre

un divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza”, ma così non è, poiché,

secondo Lenz, esso si estende sino a “vietare in linea di principio tutte 176[176] le

restrizioni alla libera circolazione” (punto 164) 177[177]. Al vaglio dell’art.48 ( attuale

173[173] In ogni caso le regole in vigore lo realizzano solo in minima parte, non influendo sulla possibilità delle squadre più ricche di accaparrarsi tutti i migliori giocatori, nazionali o esteri (punto 147 delle conclusioni). 174[174] Si badi bene che le norme in questione non sono affatto discriminatorie, applicandosi in maniera identica alle diverse fattispecie riscontrabili, ovvero senza distinzione in base alla cittadinanza dei calciatori, sia per trasferimenti all’interno sia per quelli all’esterno del Regno del Belgio. 175[175] Tale diversa disciplina sarebbe stata ammissibile solamente nel caso in cui il certificato si fosse rivelato una mera formalità derivante dal fatto che al trasferimento all’estero conseguiva anche un cambiamento di affiliazione alla federazione. 176[176] Secondo D. O’KEEFFE e P. OSBORNE, “L’affaire Bosman: un arrêt important pour le bon fonctionnement du marché unique européen”, op. cit., se l’art.48 (39) si limitasse solamente a prescrivere un divieto di discriminazione, allora questa analisi sarebbe stata non solo inutile, ma a nche impossibile. 177[177] Per meglio chiarire questa sua affermazione, l’Avv. Gen. prende in considerazione non solo l’evoluzione intervenuta nella giurisprudenza della Corte in materia di libera circolazione dei lavoratori, ma anche in quella r elativa alla libertà di stabilimento, dato che, come è noto, cfr. cap. I, le due discipline non sono altro che l’applicazione, in due settori specifici, dell’obiettivo fissato dall’art. 3 lettera c) CE, il quale ha come scopo precipuo il raggiungimento di un mercato interno caratterizzato dalla eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci,

Eliminato: impossibile.

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39) del Trattato dovrebbero passare pertanto anche quelle norme di uno Stato

membro che valgano indistintamente per i suoi cittadini e per i cittadini comunitari,

superando tradizionale concezione che ne limitava la portata unicamente a fattispecie

interessanti l’applicazione a questi ultimi di una norma discriminatoria dello Stato di

accoglienza178[178].

L’interpretazione sistematica delle libertà fondamentali previste dagli artt.48, 59 e 30

CE (attuali 39, 52 e 28), conduce inoltre Lenz ad estender e all’ambito della

circolazione dei lavoratori la giurisprudenza Cassis179[179], valevole per il settore delle

merci, e Sager180[180] e Gouda181[181] riguardanti la prestazione dei servizi.

Conseguentemente, tenendo conto del principio consolidato dalle sopracitate

sentenze, secondo cui anche le norme nazionali che valgano senza distinzioni per

delle persone, dei servizi e dei capitali. Considerato anche “l’evidente parallelismo” esistente tra gli artt.48 e 52 del Trattato (attuali 39 e 43), è sicuramente lecito per Lenz presupporre che queste norme “per determinate fattispecie ricevano soluzioni concordanti” (punto 165). In particolare, due sentenze sono fondamentali per confermare il ragionamento dell’Avvocato Generale . Nella prima, resa il 20 maggio 1992, nella causa C -106/91, Ramrath, Racc. p. I-3351, la Corte rilevò che le condizioni imposte dalla normativa dello Stato membro all’esercizio della professione da parte di un cittadino comunitario andavano esaminate alla luce di tutte le norme del Trattato relative alla libera circolazione, senza che fosse necessario esaminare se un lavoratore avesse lo status di subordinato, di lavoratore autonomo o di prestatore di servizi, che anche se la delicata e particolare natura di certe occupazioni poteva richiedere il loro assoggettamento a delle condizioni, la libera circolazione delle persone avrebbe potuto essere limitata solo da “norme giustificate da un interesse generale, obiettivamente necessarie per realizzare esi genze imperative, e valevoli per tutte le persone e le imprese che esercitino le suddette attività nel territorio dello Stato membro in cui trattasi” , senza riguardo per la cittadinanza dell’operatore economico; nella seconda, emessa il 31 maggio 1993, rel ativa alla causa C-19/92, Kraus, Racc. p. I-1663, la Corte dichiarava espressamente che qualsiasi misura atta a restringere o ad ostacolare l’esercizio da parte dei cittadini comunitari, “ compresi quelli dello Stato membro che ha emanato il provvedimento stesso”, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato “ è contraria agli artt.48 e 52, anche se questa si applica senza discriminazione in base alla cittadinanza” , e aggiungeva che tale provvedimento non violerebbe le due norme solo nel caso in cui pers eguisse uno scopo legittimo, compatibile con il Trattato e giustificato da motivi imperativi di interesse generale, atto a garantire il raggiungimento dello scopo stesso che persegue, e sempre che esso non vada oltre quanto necessario al raggiungimento di questo. 178[178] Una tale concezione novatrice del significato attribuito all’art.48 si spiegherebbe per STEINDORFF, citato dallo stesso Lenz, al punto 192 delle sue conclusioni, con il fatto che la Corte sarebbe stata in passato “condizionata dai problemi che era necessario risolvere in sede di decisione e che potevano essere risolti alla luce del divieto di discriminazione”, mentre allo stato attuale “fattispecie nuove e di diversa natura potrebbero rendere necessario un diverso approccio”. Segnatamente, le discriminazioni di trattamento previste rispetto al nazionale sarebbero state le uniche ad essere censurate per tanto tempo perché solo perché costituivano la restrizione più evidente e più grave alla libera circolazione. 179[179] Sentenza 20 Febbraio 19 79, causa C-120/78, Rewe, Racc. p. 649. 180[180] Sentenza 25 Luglio 1991, causa C - 76/90, Racc. p. I-4221. 181[181] Sentenza 25 Luglio 1991, causa C - 288/89, Racc. pag. I -4007.

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merci (o cittadini) nazionali e per merci (o cittadini) importate (di un diverso Stato

membro), possono costituire misure di effetto eq uivalente ad una restrizione, vietate

ai sensi dell’art. 30 182[182] (o dell’art. 59 183[183]), qualora la loro applicazione non sia

giustificata da esigenze imperative connesse all’interesse generale, Lenz può

concludere che ogni lesione della libertà dell’art. 48 ( attuale 39) necessita di una

giustificazione 184[184]. In definitiva la disciplina dei trasferimenti è contraria all’art.

48185[185] (39): essa sarebbe giustificabile solo da motivi di interesse generale e solo

nel caso in cui fosse proporzionale al raggi ungimento dello scopo perseguito 186[186].

Per quanto concerne la compatibilità delle regole controverse con il diritto

comunitario della concorrenza, l’Avvocato Generale si chiede se effettivamente le

182[182] Attuale art. 28 CE. 183[183] Attuale art. 49 CE. 184[184] Richiamando la giurisp rudenza Cassis Lenz sembrava prestare il fianco alle critiche, poiché la Corte ne aveva limitato la portata con la sentenza Keck e Mithouard (sentenza 24 Novembre 1993 , cause riunite C -267/91 e C-268/91, Racc. p. I- 6097) la quale operava una distinzione tra condizioni di vendita e modalità di vendita e poneva il principio secondo cui “contrariamente a quanto sinora statuito, l’art.30 non osta all’applicazione di disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita. Tuttavia, come Lenz si affretta a precisare, il fatto che la giurisprudenza in materia di libera circolazione dei servizi, benché sviluppatasi sulla scia di quella dell’art.30 (attuale 28), non sia stata influenzata da quest’ultima sentenza, è sintomatico del volere della Cor te di non estendere Keck ad altri settori. Lenz preferisce così seguire, così come del resto farà la Corte, la giurisprudenza Alpine e ciò perché la disciplina dei trasferimenti incide (come accadeva appunto in Alpine), direttamente sull’accesso al mercato del lavoro degli altri Stati membri, mentre la normativa controversa nel caso Keck non restringeva affatto l’accesso al mercato, e non lo ostacolava più di quanto non facesse per i prodotti nazionali. Secondo Lenz la disciplina dei trasferimenti è diretta mente restrittiva nell’accesso al mercato del lavoro e si differenzia in maniera sostanziale da altre discipline indistintamente applicabili riguardanti l’esercizio della professione; costituendo inoltre un ostacolo alla libera circolazione posto dal Paese di origine più che da quello di provenienza è senz’altro più opportuno differenziare questa fattispecie accostandola alla giurisprudenza Alpine più che a quella derivante dalla sentenza Keck. 185[185] Secondo l’Avv. Gen. la pretesa di una indennità di tras ferimento non doveva ritenersi illegittima in ogni caso. Invero, doveva senz’altro riconoscersi, a vantaggio di una squadra che cedeva i propri calciatori, una qualche forma di compensazione per il lavoro di preparazione svolto nella formazione di questi. Tuttavia siffatta disciplina sarebbe stata compatibile con il diritto comunitario a due condizioni (in realtà sono tre): 1) l’indennità avrebbe dovuto essere oggettivamente correlata alle spese sostenute dalla società cedente per la formazione del giocator e; 2) avrebbe potuto essere richiesta solo in occasione del primo passaggio di società e 3) sia il club di provenienza ad aver provveduto alla formazione del giocatore. Cfr. Lenz, conclusioni, punto 239. 186[186] L’unica vera esigenza degna di salvaguardia tra le tante proposte dalle federazioni è quella secondo cui le regole sulle indennità di trasferimento sarebbero necessarie al fine di mantenere un equilibrio finanziario e tecnico tra i club, ma il modo in cui tale obiettivo viene perseguito è ritenuto d all’Avv. Gen. non adeguato: nulla impediva infatti alle migliori e più ricche squadre di accaparrarsi i migliori giocatori, fossero essi nazionali o esteri. Egli suggeriva di sostituire a quello in vigore un nuovo sistema compensativo, fondato sulla solida rietà delle compagini più ricche verso quelle più deboli e povere (ma tuttavia necessarie alle prime per la realizzazione e lo svolgimento del campionato), e su una ridistribuzione degli utili, di vendita dei diritti televisivi, derivanti da sponsorizzazio ni pubblicitarie o dalla vendita dei biglietti (punto 226). Anche questa suggerimento verrà accolto in sede decisionale dalla Corte.

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società calcistiche (o le federazioni stesse) possano co nsiderarsi delle imprese ai sensi

dell’art.85 (ora 81) del Trattato: avuto riguardo sia alla nozione comunitaria di

impresa187[187] sia a quella di attività economica 188[188], poteva sicuramente concludersi

che i club professionistici, quale che fosse l’entit à dell’attività economica svolta,

rientrassero in questa categoria 189[189].

Alla luce del disposto dell’art. 85 CE (attuale 81 CE), gli accordi e le decisioni

prese dalle federazioni o tra federazioni sono contestabili ove essi incidano o siano

potenzialmente in grado di incidere sulla libertà di commercio tra Stati membri, in un

senso che possa nuocere alla realizzazione degli scopi del mercato unico. Entrambe le

discipline contestate da Bosman, quella sui trasferimenti e quella sulle quote

nazionali hanno sia per effetto o per oggetto quello di limitare o di restringere il

commercio intra-comunitario, sia quello di limitare la possibilità delle singole società

di farsi concorrenza mediante l’impiego dei calciatori 190[190], perché ripartiscono le

187[187]La nozione di impresa non è esplicitata nel Trattato, ma secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia essa ingloba ogni entità impegnata in un’attività economica, indipendentemente dal suo statuto giuridico e dal suo modo di finanziamento. Secondo G. CAMPOGRANDE , “Les règles de concurrence et les entreprises sportives professionnelles après l’arrêt “Bosman”” , in Revue du marché unique européen, 1996 n. 1, p. 45 ss, alla luce di questa definizione sarebbero delle imprese sportive professionali, sottoposte alle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza: 1)gli atleti in qualità di prestatori di servizi; 2)le società; 3)le associazioni di società sia nazionali che internazionali. 188[188] Costituisce una attività economica ogni attività che partecipi agli scambi economici, a prescindere dalla ricerca del profitto, cfr. su questo punto anche G. CAMPOGRANDE, “Les règles de concurrence…”, op. cit.. 189[189] Come è stato rilevato correttamente da A. GIARDINI, “Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori” , op. cit., negare la natura di imprese alle società di calcio significherebbe disconoscere “ quei caratteri di economicità ormai propri alla sport (quanto meno, a livello professionistico), magari in nome di una idea di purezza e disinteresse” che appare fortemente idealizzata e poco attuale nel calcio moderno . Se i club sono delle imprese, le federazioni saranno necessariamente delle associazioni di imprese, o delle imprese esse stesse, nei limiti in cui l’attività che svolgono possa essere considerata di natura economica e non organizzativa. A sostegno dell’argomento, Lenz richiama due pronunce, la prima della Corte di Giustizia e la seconda del Tribunale di prima istanza, nelle quali le federazioni venivano considerate delle imprese a tutti gli effetti e che non furono in alcun modo contestate 190[190] Lenz sembra considerare il campionato o la serie come mercato pertinente, quello cioè sul quale avverrebbe la restrizione della concorrenza tra le squadre,. Questa identificazione tra le due fattispecie viene però contestata da A. PAPPALARDO e N. PARISIS, “Droit de la concurrence et sport professionnel par équipe” , in Revue du Marché unique européen, 1996, n.1, p. 57 ss., che obiettano che nel ragionamento dell’Avv. Gen. vi sarebbe una ambiguità, perché non sarebbe affatto chiaro se i club si fanno concorrenz a in occasione dell’acquisto dei calciatori, o grazie al loro utilizzo, se cioè essi siano la posta in gioco della competizione o semplicemente lo strumento di questa. Secondo i

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fonti di approvvigionamento191[191] e congelano in maniera illecita la situazione

concorrenziale esistente 192[192].

Invero, le federazioni sportive obiettavano che la disciplina litigiosa non solo

non fosse un ostacolo alla concorrenza, ma che anzi avesse come scopo quello di

favorirla. In proposito Lenz afferma che non poteva negarsi che, in ragion del fatto

che la concorrenza tra società calcistiche è diversa rispetto a quella tra normali

imprese su un qualsiasi mercato 193[193], determinate restrizioni avrebbero potuto

rivelarsi necessarie. Tuttavia, nessuna delle regole poste in essere dalle federazioni è

ritenuta veramente indispensabile per il raggiungimento dello scopo perseguito; due autori non sarebbe però possibile identificare il mercato con la competizi one sportiva, perché questa non è una competizione economica. Allora, la restrizione alla concorrenza operata dalle regolamentazioni sportive “doit être comprise en ce sens que les réglementations affectent la concurrence que les clubs, après s’être approv isionnés sur le marché où sont offerts les services des joueurs, se livrent sur un autre marché”. 191[191] Questa era anche l’opinione espressa dalla Commissione, cfr. su questo punto, A. PAPPALARDO e N.PARISIS , “Droit de la concurrence et …”, op. cit., i quali si chiedono se questa ripartizione delle fonti riguardi i servizi prestati dai giocatori, o gli stessi giocatori. Tali autori ritengono comunque che, tutt’al più, le regolamentazioni avessero per effetto di limitare il ricorso alle fonti (nel caso del le regole sulla nazionalità), e di frenare la loro libera circolazione (sistema dei trasferimenti). In proposito, i due autori notano che in questo caso il mercato presenta una anomalia rispetto alle normali condizioni in cui si applica l’art.85 (attuale 81), poiché in genere si ha un cartello quando uno dei due gruppi che operano su un mercato, quello dei venditori o quello degli acquirenti, decide di far fronte comune al fine di ottenere una maggiore forza contrattuale per imporsi sull’altra parte. Cosic ché si mettono d’accordo quelle imprese che ipoteticamente sarebbero in concorrenza tra di loro, esercitando sul mercato le stesse funzioni. La situazione è certamente diversa allorché i negoziati si sviluppano tra club (compratori) e i giocatori, che offr ono le loro prestazioni sul mercato (e quindi tra i due gruppi, e non all’interno di uno stesso gruppo). In questo caso si può effettivamente ammettere che una restrizione della libertà d’azione dei compratori può limitare la concorrenza per l’acquisto, ma - continuano i due - dove risiede l’effetto nocivo della restrizione? Secondo Lenz le regole di trasferimento priverebbero i club “della possibilità di sfruttare l’occasione d’ingaggiare i giocatori, che si offrirebbero a loro nelle condizioni di normale co ncorrenza”. In questo caso si può vedere come la restrizione alla concorrenza che si è voluta raggiungere con l’accordo nuoce agli stessi club che ne sono i promotori: ma un cartello è in generale criticabile per gli effetti vantaggiosi ingiustificati che proprio essi dovrebbero trarne. Secondo i due autori, non si capisce così perché delle imprese concluderebbero degli accordi che sarebbe loro pregiudizievole, e la situazione si complicherebbe in seguito, quando Lenz parla dell’ostacolo alla libertà dei g iocatori arrecato dalle regole sui trasferimenti. Ciò equivale a dire che le regole nocciono ai giocatori: “cette thèse est sans doute défendable, mais à condition d’accepter que le joueur soit assimilé à un client des clubs, et plus précisément à un fourn isseur”. Una tale eventualità era stata esclusa da Lenz che riteneva che i giocatori non potessero considerarsi come prestatori di servizi, né appunto come clienti dei club. 192[192] Secondo Lenz la concorrenza limitata sarebbe unicamente quella tre le soc ietà, e non già quella tra i calciatori, come Bosman avanzava nelle sue osservazioni. Egli concede che anche i singoli possano essere considerati delle imprese, ma solo a condizione che la loro attività possa configurarsi come una prestazione di servizi ef fettuata dietro corrispettivo. Cfr. causa Deliège, infra. 193[193] Mentre su un mercato “tipo” ogni impresa cerca di proteggere la quota di mercato posseduta e di acquisirne sempre di maggiori sottraendo clienti alle sue dirette concorrenti, ed anzi, cercan do di eliminare queste ultime dal mercato, così non avviene per quanto riguarda lo sport: in questo caso ogni squadra ha bisogno delle altre sia per raggiungere il successo che per organizzare il campionato , e nessuna di esse mira ad eliminare le sue conc orrenti sul mercato. Mentre di solito l’impresa meno efficiente viene esclusa dal mercato, questo non ha senso nella competizione sportiva.

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inoltre, le eventuali deroghe ai sensi dell’art. 85 n.3 (attuale 81 n.3) del Trattato

avrebbero potuto essere accordate solamente dalla Commissione ed unicamente a

seguito di previa notifica (punto 277 delle conclusioni). A parte il fatto che le

normative non sono state comunicate alla Commissione è dubbio che questa avrebbe

potuto autorizzare c omportamenti contrari alle norme del Trattato.

L’ultimo punto delle conclusioni di Lenz verte sull’analisi della compatibilità

delle norme delle federazioni sportive con il dettato dell’art. 86 CE 194[194] (ora 82 CE).

Data la lettera della norma è essenzia le per Lenz appurare se nel caso di specie possa

parlarsi o meno di una posizione dominante. In proposito Lenz chiarisce che questa

nozione corrisponde ad una situazione di potenza economica grazie alle quale

l’impresa che la detiene è in grado di ostacola re la persistenza di una concorrenza

effettiva sul mercato e ha la possibilità di tenere comportamenti indipendenti nei

confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori 195[195]. Invero, nel

caso in esame, non si poteva rinvenire alcun pregi udizio arrecato ai clienti o ai

consumatori di questo eventuale cartello di imprese, poiché per Lenz i calciatori non

potevano essere assimilati a nessuna di queste due categorie. Nel caso di specie non si

ha dunque nessuna violazione dell’art. 86 196[196] (attuale 82).

194[194] Tale norme vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercat o comune o su una parte sostanziale di questo, nella misura in cui ciò possa essere pregiudizievole al commercio tra gli Stati membri. 195[195] In questo caso, dato che l’ingaggio dei calciatori non è una prerogativa delle federazioni, le norme dei regolamenti delle federali dovrebbero essere fatte risalire alle sole società. Le norme relative agli stranieri sono contenute però nei singoli regolamenti di ciascuna federazione, mentre la disciplina dei trasferimenti in altri Stati si rinviene nei regolamenti FI FA e UEFA. Occorreva pertanto chiedersi se, nel primo caso, a detenere collettivamente una posizione dominante fossero le società professionistiche nell’ambito di ciascuna federazione, e se, nel secondo, fossero invece le dette società nell’ambito dell’int era Comunità. Era indubbio che la mutua dipendenza dei club faceva propendere per la conclusione che fossero questo ultimi a detenere in effetti in solido una tale posizione. 196[196] Secondo COCCIA, “L’indennità di trasferimento e la libera circolazione dei calciatori professionisti nell’Unione europea” , cit., l’applicazione di tale disposizione alla fattispecie in esame sarebbe fuori luogo, poiché “da

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2.5.2 La sentenza della Corte

La Corte esordisce nella sua analisi sul fondo ricordando che l’attività sportiva

rileva del diritto comunitario quando questa possa configurarsi come un’attività

economica ai sensi dell’art.2 del Trattato CE 197[197], e liquidando recisamente le

argomentazioni tendenti a reclamare per lo sport un trattamento privilegiato. Sono

così respinti ad esempio sia la pretesa di un ampio margine di autonomia, basato

sull’analogia tra sport e cultura, sia la limitazione de lla sfera di azione del diritto

comunitario in ragione del principio di sussidiarietà, o del rispetto della libertà di

associazione dei singoli. Nel primo caso, perché la questione sollevata dal giudice

nazionale interessa la libera circolazione dei lavora tori- calciatori, e non un settore in

cui le competenze comunitarie sono assai limitate come quello della cultura 198[198]; nel

secondo caso, perché il rispetto del principio di sussidiarietà non può permettere che

l’autonomia di cui dispongono le associazion i private per adottare norme sportive

limiti l’esercizio dei diritti concessi ai privati dal Trattato; nel terzo caso infine,

perché anche se la libertà di associazione rientra nei diritti fondamentali protetti

dall’ordinamento comunitario, le norme emanat e dalle associazioni sportive nel caso

un lato non vi è alcuna società sportiva che possa considerarsi in posizione dominante sulle altre e, dall’ altro, non si possono configurare le federazioni sportive nazionali o internazionali quali entità in concorrenza con le società sportive che ne fanno parte”. L’eventuale posizione dominante di una federazione “potrebbe solo ipotizzarsi nei confronti di un’altra entità che svolga una attività analoga e concorrente, ma non certo nei confronti delle società sportive”, giacché queste ultime “partecipano alle attività da essa predisposte in qualità, sostanzialmente, di fruitrici di servizi”. 197[197] Vedi il punto 4 della sentenza Walrave e il punto 12 della sentenza Donà, citate. 198[198] Secondo A. MANZELLA, “L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?” , in Rivista di diritto sportivo, 1996 n.3, p. 416, la soluzione data dalla Corte al rapporto sport - cultura sarebbe insoddisfacente; egli critica vivacemente la circostanza che, mentre nei settori della sanità e della cultura, “materie prossime se non addirittura intrinseche” al fenomeno sportivo, il principio di sussidiarietà “domini sovrano”, ciò non avvenga anche nello sport, per cui la Corte ha rifiutato ogni assimilazione.

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a quo, non sono necessarie per garantire ai calciatori o alle società il godimento di

tale libertà.

Successivamente, per non vanificare l’effetto utile dell’art. 48 (attuale 39) del

Trattato, che altrimenti potrebbe essere aggirato da normative private, essa conferma

l’applicazione del diritto comunitario alle regole sportive emananti da enti privati e

dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato 199[199], ed anzi, per evitare

disparità nell’applicazione di questa disposizione in ragione dei maggiori carichi

gravanti in capo ai privati che si vedrebbero privati della possibilità di invocare, al

contrario degli Stati, le deroghe ex art. 48 comma n.3 (39 n.3), estende anche ai

soggetti privati tale possibili tà (effetto orizzontale diretto dell’art.39 n.3 200[200]). Per

quanto riguarda il fondo dell’attuale questione, la Corte fa notare come la situazione

oggetto di rinvio da parte del giudice a quo sia assimilabile a quanto avveniva nella

causa Kraus, ove la misura contestata si applicava non solo senza alcuna

discriminazione fondata sulla cittadinanza, ma si presentava più nel Paese d’origine

che in quello di destinazione. Sembrerebbe così trattarsi di una controversia non

coperta dalle disposizioni del diritto comunitario riguardanti la libera circolazione dei

lavoratori, dato che questa disciplina non è applicabile alle cosiddette

discriminazioni alla rovescia. Invero, in questo caso il collegamento con il diritto

199[199] Sentenze Walrave, punti 17 e 25, e Donà, punti 17 e 18. 200[200] Su tale problema, cfr. DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , op. cit., p. 441, secondo l’aut ore, se si ammette che gli artt.39 e 49 siano direttamente applicabili anche a degli organismi privati, quali le federazioni sportive, e se si afferma che queste ultime devono potere far valere un diritto a ricorrere alle giustificazioni previste da tali articoli, si deve accettare il fatto che “il serait alors possible, d’admettre que, par analogie avec les mesures étatiques discriminatoires, les mesures discriminatoires adoptées par les fédérations sportives, peuvent être justifiées, non au regard de l’orde public des Etats membres, mais au regard de “l’orde public” des fédérations elles -memes

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comunitario è però assicurato dal contratto di lavoro stipulato tra Bosman e l’U.S.

Dunquerque.

Fatte queste premesse, la Corte, seguendo in questo ragionamento il suo avvocato

generale, riprende la teoria dell’ostacolo già da questi illustrata e conferma che

l’articolo 48 ( 39) non si limita solo ad essere un divieto di discriminazione fondato

sulla cittadinanza, ma in virtù della sua natura osta a qualsiasi provvedimento che

potrebbe sfavorire un cittadino comunitario nello svolgimento di un’attività

economica in un altro Stato membro, anche qualora una tale misura trovasse

applicazione indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati (punti 95,

96 e 97)201[201].

Trasponendo la sua giurisprudenza relativa alla libertà di stabilimento 202[202] al

settore della libera circolazione delle persone, la Corte sottolinea il fatto che, benché

le norme ex artt.48 a 51 (attuali 39 a 41) siano volte ad assicurare essenzialmente allo

straniero comunitario il trattamento nazionale, nondimeno esse non possono

permettere che sia lo Stato d’origine ad ostacolare con proprie norme il libero accesso

del proprio cittadino ad impieghi offerti in altri Stati membri. Il diritto di svolgere

un’attività lavorativa nella comunità sarebbe certamente svuotato di ogni signi ficato

se così fosse. Ora, se è vero che le norme sui trasferimenti si applicano anche

all’interno degli Stati membri e che quindi non ci sarebbero distinzioni tra le regole

201[201] Invero, a giudizio della Corte, la libera circolazione dei lavoratori è, sin dall’origine della Comunità europea, una delle libertà cardine previste dal Trat tato e garantite da disposizioni munite di effetto diretto, così come è il caso delle altre norme sulla libera circolazione delle persone: tutte queste regole perseguono un obiettivo comune, quello di facilitare ai cittadini comunitari l’esercizio delle at tività professionali di ogni natura sul territorio della Comunità. Le disposizioni di cui si tratta formano secondo la Corte una unità, con dei principi che, applicabili in un caso, possono essere estesi ad un altro. 202[202] Sentenza 27 Settembre 1988, causa 81/87 Daily Mail, Racc. p. 5483

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per i trasferimenti interni e quelle per i trasferimenti internazionali, esse cost ituiscono

nondimeno degli ostacoli alla libera circolazione dei calciatori che volessero

trasferirsi in un altro Stato, perché impediscono loro di lasciare liberamente le società

di provenienza anche dopo la scadenza del contratto di lavoro, o li distolgon o dal loro

proposito203[203]. Al riguardo non è esatto invocare a sostegno della normativa

contestata il parallelismo con la giurisprudenza Keck204[204] per limitare l’applicazione

dell’articolo 48 (ora 39) del Trattato, perché quella che sembrerebbe una modal ità di

vendita generale del prodotto calciatore in realtà non lo è. Le norme sui trasferimenti

applicabili in Belgio, Stato esportatore, hanno invece l’effetto di condizionare

direttamente l’accesso dei calciatori al mercato del lavoro degli altri Stati me mbri e

costituiscono una restrizione illegale del diritto alla libera circolazione, perché

possono ostacolarli in ciò sia fatto che in potenza 205[205]. Oltre quindi a costituire un

deterrente per le squadre nell’ingaggio dei calciatori 206[206] questa normativa si

traduceva in un onere ingiustificato, in un ostacolo alla libera circolazione dei

203[203] In contrasto con il giudizio della Corte vedi, M. COCCIA, “L’indennità di trasferimento e …” , cit.. Tale autore, basandosi sul testo del regolamento UEFA, ritiene che le normative sportive in materia di trasferimenti non comportino alcuna restrizione alla libertà di circolazione degli sportivi, posto che, come viene sancito dal suo articolo 14 comma 2, “ les relations économiques entre les clubs n’excerceron t aucune influence sur l’activité sportive du joueur”. Per questo motivo, le norme di trasferimento “non determinerebbero automaticamente per i calciatori professionisti la concreta impossibilità o difficoltà di rispondere ad offerte di lavoro e di spostar si liberamente a tal fine nel territorio dei diversi Stati membri”. Ad avviso di Coccia, nessuna discriminazione, fosse questa anche indiretta o dissimulata, conseguirebbe all’applicazione dell’indennità di formazione o promozione ai trasferimenti dei cal ciatori professionisti in ambito comunitario. 204[204] Sentenza 24 Novembre 1993, cause riunite C -267/91 e 268/91, Keck e Mithouard , cit.. Di nuovo la corte si è mostrata reticente ad estendere Keck al di là della libera circolazione delle merci. Bosman si inserisce nel solco delle sentenze Schindler ed Alpine (sentenze citate), in cui la pertinenza di questa giurisprudenza era stata rigettata. 205[205] Il fatto che le regole applicabili ai trasferimenti regolino i rapporti economici tra club e non le relazio ni di lavoro tra giocatori e club non esclude, come invece pretendeva l’UEFA, l’applicazione dell’art.48 (attuale 39) del Trattato , nella misura in cui la circostanza che i club sono tenuti a pagare le indennità in occasione dell’ingaggio di un giocatore proveniente da un altro club influisce sia sulle possibilità del giocatore di trovare un impiego sia sulle condizioni alle quali questo gli viene offerto (punto 75) . Parimenti la Corte ha ritenuto che nessuna importanza avesse la circostanza che il giocatore, giunto in scadenza di contratto fosse libero, almeno formalmente, di concludere un nuovo accordo con un'altra squadra: ciò in ragione del fatto che il nuovo club restava sempre tenuto a pagare l’indennità di trasferimento, sotto pena di sanzioni che pot evano giungere sino alla sua radiazione dalla federazione per debiti (punto 101). 206[206] Solo chi avesse potuto pagare l’indennità di trasferimento avrebbe ad esempio potuto valersi dei servigi di Bosman.

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calciatori avente la sua origine nel Paese di provenienza del cittadino comunitario

(invece che in quello di destinazione 207[207] come accade di solito).

Tuttavia la Corte , adoperandosi in una “interessante e non scontata lettura delle

disposizioni dell’art. 48” 208[208] che la porta a considerare tale norma alla stregua di un

divieto generale posto a qualsiasi pratica atta ad ostacolare l’esercizio della libertà di

circolazione che esso intende garantire, non pone tanto l’accento sulla portata

discriminatoria della norma o sul trattamento differenziato sulla base della nazionalità

che essa potrebbe ingenerare: essa preferisce porre in rilievo piuttosto la circostanza

che la necessità di un accordo tra società acquirente e venditrice per il trasferimento

di un calciatore per determinare l’entità dell’indennità di trasferimento si presta a

rendere più difficile, in termini assoluti, la libera circolazione all’interno

dell’Unione209[209]. Ciò detto, la Corte passa all’esame delle possibili giustificazioni di

queste disposizioni 210[210] effettuato sulla base dei consolidati criteri interpretativi.

Anche se l’art.48 (ora 39) vieta in linea di principio ogni ostacolo alla libera

circolazione, derivi esso da disposizioni emesse dallo Stato di origine della persona

207[207]Rispetto a circostanze come questa la Corte ha più volte precisato nella sentenza 7 marzo 1991, causa C -10/90, Masgio, cit., che “le disposizioni che impediscono ad un cittadino di lasciare il Paese d’origine per esercitare il suo diritto di libera circolazione, o che lo dissuadano dal farlo, costi tuiscono ostacoli frapposti a tale libertà anche se si applicano indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati”. 208[208] Tale è l’opinione di TIZZANO e DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman” , in Rivista di diritto sportivo, 1996 n.3., p. 416, i quali ricordano come già da tempo la Corte avesse mostrato la tendenza ad ampliare il divieto posto da questa norma non solo alle restrizioni di carattere discriminatorio, ma più in generale a tutte quelle che limitano il diritto di un soggetto di circolare all’interno della Comunità per esercitare una attività professionale. 209[209] Cfr. su questo punto, TIZZANO e DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman” , op. cit.. Per meglio chiarire questo passaggio potrebbe dirsi insomma che a lla Corte non interessa che l’ostacolo sia discriminatorio: nella misura in cui tale ostacolo esiste, ed è di natura tale da rendere più difficile l’esercizio da parte del cittadino comunitario del suo diritto alla libera circolazione, esso è vietato. Lo stesso concetto è espresso in maniera più elegante dai due Autori, i quali precisano che la pronuncia si inserirebbe in quel filone interpretativo che tende a colpire gli ostacoli effettivi al pieno godimento della liberalizzazione proclamata dal Trattato piuttosto che la natura discriminatoria dell’ostacolo stesso. 210[210] Cfr. su questo punto, il ragionamento seguito da Lenz, supra. Si ricorda che mentre le discipline discriminatorie possono essere in un certo senso “sanate” se trovano la loro giustificazi one nelle norme derogatorie previste dal Trattato stesso, quelle indistintamente applicabili, quelle indistintamente applicabili sono ammesse se possono ricollegarsi ad esigenze imperative di carattere generale.

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interessata, e sia esso applicabile indipendentemente dalla nazionalità di quest’ultima ,

tuttavia degli ostacoli alla libera circolazione delle persone sono ammessi se le regole

che li pongono in essere perseguono un obiettivo legittimo, compatibile con il

Trattato e se si giustificano grazie a ragioni imperative di interesse generale : ciò

sempre che, naturalmente, l’applicazione di queste regole sia atta a garantire la

realizzazione degli obiettivi che si vogliono raggiungere (sia insomma necessaria) e

sia in ultimo proporzionale a questo fine211[211] (punto 104).

Tenuto conto dell’importanza sociale considerevole che riveste l’attività sportiva

e, più particolarmente quella calc istica, all’interno della Comunità, la Corte, come il

suo Avvocato generale, era disposta ad ammettere che gli obiettivi di preservare

l’equilibrio finanziario e sportivo tra le società e di incentivare la ricerca di calciatori

di talento fossero legittimi , anche per preservare una certa uguaglianza delle

possibilità e l’incertezza dei risultati. Costituendo degli scopi compatibili con il

Trattato essi avrebbero potuto in principio giustificare degli ostacoli alla libera

circolazione dei lavoratori (punto 1 06). Nei fatti tale non era però il caso delle regole

relative ai trasferimenti che oltre a non impedire ai club più ricchi di assicurarsi i

servizi dei giocatori più dotati, prevedevano delle indennità di trasferimento

indipendenti dalle spese reali soppo rtate dai club per formare i futuri giocatori

professionisti212[212]. Questo sistema non costituisce un mezzo adeguato per

raggiungere gli obiettivi che si era prefisso, né il mezzo meno oneroso per la libera

circolazione dei giocatori che sia suscettibile d i raggiungerli (107 a 110). 211[211] Se quindi lo stesso risultato può essere raggiunto con delle norme meno restrittive, anche in presenza degli altri requisiti, la normativa non potrà essere accettata alla luce del diritto comunitario. 212[212] Così come i calciatori che non sarebbero mai divenuti professionisti.

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A parere della Corte esisteva un a soluzione alternativa molto meno restrittiva

dell’attuale che avrebbe potuto permettere di raggiungere con maggior successo gli

obiettivi di cui sopra: il sistema proposto dall’Avv. Gen., basa to su una

ridistribuzione parziale degli utili.

Anche le regole che limitano l’allineamento in campo di calciatori stranieri

comunitari sono dichiarate contrarie al disposto dell’articolo 48 213[213] (attuale 39) CE.

Esse costituiscono, anzi, una forma classi ca e palese di quote nazionali espressamente

vietate dal Regolamento 1612/68 del Consiglio oltre che dal comma 2° del richiamato

art.48 (39), perché esse finiscono con l’incidere sulle possibilità di ingaggio dei

giocatori214[214]. La circostanza che queste clausole non concernano l’ingaggio dei

giocatori da parte dei club, che non è limitato, ma la possibilità per i primi di essere

impiegati negli incontri ufficiali è indifferente, visto che la partecipazione a questi

incontri rappresenta la parte essenziale dell’attività del giocatore professionista:

anche in questo modo la regola, se non in via diretta, restringe la libertà contrattuale

del giocatore 215[215] (punto 120).

213[213] Concordano pienamente con l’opinione della Corte TIZZANO e DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman”, cit., secondo cui dalla generale sottoposizione delle attività sportive professionistiche al diritto comunitario non poteva non derivare la declara toria di illegittimità delle norme sulle quote nazionali. 214[214] Secondo COCCIA, “L’indennità di trasferimento e ..”, cit., tale normativa non sarebbe incompatibile con il diritto comunitario, anche alla luce della recente evoluzione in materia che aveva portato i club a poter ingaggiare quanti calciatori stranieri comunitari volessero. Anche la limitazione allo schieramento sarebbe ammissibile, configurandosi in sostanza come una regola inerente al carattere ed alla fisionomia degli incontri calcistici, esentata dalla Corte dal divieto di discriminazioni nella sentenza Donà: nelle competizioni internazionali le varie squadre rappresentano il proprio Paese di appartenenza e di conseguenza, i campionati nazionali possono essere classificati come delle compe tizioni volte a qualificare le società per le gare internazionali. 215[215] Cfr. su questo punto l’opinione discordante di A. MANZELLA, “L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?”, op. cit., secondo cui l’ “essenza” del principio della libera circolazione sarebbe invece pienamente tutelata dalla possibilità dei club di stipulare contratti con un numero illimitato di sportivi non nazionali comunitari. Le clausole limitative, secondo l’Autore, sarebbero sta te poste a difesa del carattere “nazionale” dei campionati, dato che questi si concludono con l’assegnazione ( nella massima serie , si aggiunge) del titolo di campione di “quel” Paese: si tratterebbe insomma di una “ragionevole” applicazione del principio c omunitario e non della sua negazione.

Eliminato: ¶

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Parallelamente a quanto fatto nell’analisi della precedente questione, non

considerando queste regolamentazioni come discriminatorie, ma come ostacoli allo

spiegamento della libertà concessa dal Trattato, la Corte poteva ammettere una loro

giustificazione per ragioni diverse da quelle riprese dal comma 3 dell’art.48 (attuale

39) CE. Ricollegandosi alla giurisprudenza Walrave e Donà, che la Corte comunque

conferma, era stato avanzato dalle varie federazioni a supporto delle regole litigiose il

fatto che queste erano state poste in essere unicamente per ragioni riguardanti lo sport

in sé e per sé. Tuttavia, mentre la Corte aveva espressamente messo in risalto che

questa deroga, costituendo una limitazione alla lettera del Trattato, doveva rimanere

circoscritta solo a determinate fattispecie 216[216], l’applicazione pratica del principio

era stata al contrario estesa dalle Federazioni fino a ricoprire l’intero ambito

dell’attività esercitata dai calciatori professionisti, svuotando così di ogni effetto utile

il disposto dell’art.48 (ora 39), e sicuramente non poteva essere tollerata oltre (punti

128 e 129). Anche se nella versione inglese 217[217] della sentenza del 1974, gli incontri

tra squadre nazionali sono citati come esempi, lasciando dunque intendere che altri

tipi di incontri potrebbero essere ricompresi nell’eccezione, tuttavia di nessuna

rilevanza sono per la Corte gli argomenti secondo cui i club rappresenterebbero il

loro Paese nelle competizioni internazionali e sarebbero in tal modo assimilabili a

delle rappresentative nazionali. Il legame di rappresentatività esistente tra le suddette

squadre e lo Stato di provenienza non sarebbe di certo più importante di quello

intercorrente tra queste e la loro città o regione d’origine negli incontri nazionali e 216[216] Sentenza Donà, punto 15 217[217] Tale impostazione ha comunque un “ peccato di origine”, dato che la versione facente fede è quella francese, lingua di procedura della causa in questione.

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non sembra affatto che vi siano delle regole corrispondenti che restringano la

partecipazione dei giocatori di altre città o regioni 218[218]. La Corte respinge anche gli

argomenti secondo cui che restrizioni contribuirebbero a mantenere il tradizionale

legame tra i club e loro stato di appartenenza, o sarebbero necessarie al fine di

mantenere una riserva di nuovi giocatori da schierare nella rappresentativa

nazionale219[219]. Inoltre il fatto che un accordo fosse stato trovato con la

Commissione nell’adozione di tali regole non è rilevante, poiché al di fuori dei casi in

cui tali competenze le sono esp ressamente attribuite, la Commissione non ha il potere

di dare garanzia quanto alla compatibilità di un determinato comportamento con il

Trattato e non dispone, in ogni caso, del potere di autorizzarne violazioni.

La Corte non si pronuncia sulla compatibil ità delle regolamentazioni a queste

norme del Trattato poiché la loro invalidità è stata già provata in relazione all’articolo

48 (ora 39)220[220]. Evitando di sviluppare questa parte della domanda pregiudiziale

perché si sarebbe trattato di un argomento ad abundantiam il collegio giudicante ha

senz’altro contribuito ad innescare una situazione di grande incertezza rispetto alla

applicazione delle norme sulla concorrenza alle regole controverse 221[221]. Il solo a

pronunciarsi sulla questione resterà quindi il s olo Avvocato Generale, che dichiara

espressamente la contrarietà delle regolamentazioni sportive alla lettera dell’art. 85

218[218] Cfr. su questo punto, D. O. KEEFFE e P. OSBORNE , “L’affaire Bosman: un arrêt important pour le bon fonctionnement du marché unique européen ’’, op. cit.. 219[219] La Corte non era per nulla convinta che ragioni di interesse sportivo potessero richiedere un legame imposto tra denominazione geografica della squadra e provenienza del giocatore. Questi giocatori potrebbero anche svolgere la loro attività all’estero, dato che le regole delle federazioni nazionali non vietano la possibilità di convocare i giocatori anche in questa ipotesi. 220[220] Punto 138 della sentenza. 221[221] Non così TIZZANO e DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman ”, op. cit., secondo cui “l’unico interesse ad una applicazione dell’art.85 sarebbe stato rappresentato dalla verifica delle condizioni di ap plicabilità del terzo comma del medesimo articolo, operazione peraltro resa impossibile dal fatto che, come è noto, un’intesa per godere di un beneficio dell’esenzione non può porsi in contrasto con disposizioni diverse da quelle dell’art. 85 n.1”.

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(attuale 81) CE: tuttavia com’è noto, le conclusioni di quest’ultimo, se non riprese dal

giudizio della Corte, per quanto autorevoli, non creano il diritto, né sono tantomeno

cogenti222[222].

La Corte richiamando la sua giurisprudenza in materia ricorda che la norma così

come viene da essa interpretata 223[223] dovrebbe essere applicata dal giudice anche ai

rapporti giuridici sorti e costitu itisi prima della sentenza che statuisce sulla domanda

di interpretazione, purché ne sussistano i presupposti, e che solo in via eccezionale, e

in ossequio al principio della certezza del diritto si può limitare la portata della

sentenza nel tempo. Tuttavi a, nel caso di specie, data l’applicazione generalizzata

delle norme delle federazioni calcistiche, considerazioni imperative ostano a che le

situazioni già regolate in passato siano rimesse in discussione, a meno che gli

interessati non avessero preso a t empo debito iniziative atte a salvaguardare i loro

diritti. Cosicché tutte le indennità pagate e non contestate in giudizio o dovute in virtù

di contratti stipulati prima della data della sentenza sono da considerarsi dovute. 224[224]

222[222] Secondo CAMPOGRANDE, “Les règles de concurrence et les entreprises sportives professionnelles après l’arrêt “Bosman”” , cit., la posizione prudente della Corte non sarebbe affatto criticabile, poiché “une procédure préjudicielle ex art.177 du Traité CEE ne constitue pas le cadre approprié pour une première réponse jurisprudentielle exhaustive au problème de l’applicabilité des règles de concurrence dans le domaine de l’activité sportive”. Un tale giudizio deve sicuramente condividersi, anche perché, sempre secondo tale autore, le regole antitrust costituiscono “une matière qui dépasse le cadre des règles de transfert et de nationalité des joueurs professionnels, et qui, jusqu’ici, n’a pas fait l’objet d’une analyse économique et juridique approfondie” 223[223] Le sentenze pronunciate dalla Corte di Giustizia in via pregiudiziale producono effetti ex tunc : in sostanza, l’interpretazione della norma retroagisce fino al momento stesso in cui la norma è entrata in vigore perché la Corte esplicita il significato d ella norma quale sin da allora avrebbe dovuto essere. Se così non fosse, ciò equivarrebbe a postulare che la norma aveva un contenuto diverso prima della interpretazione della Corte. 224[224] Secondo O’ KEEFFE e OSBORNE , “L’affaire Bosman: un arrêt importa nt pour le bon fonctionnement du marché unique européen, cit., questa indulgenza eccezionale potrebbe spiegarsi in ragione del fatto che i casi che estendono il campo delle clausole della libera circolazione al di là della pura interdizione di discriminaz ione si sono poste un certo tempo dopo i fatti che hanno dato luogo al caso di specie. Le associazioni in causa potevano quindi essere scusate di non aver riconosciuto che le loro regole di trasferimento violavano l’art.48 (ora 39) anche se si applicavano come tali, senza distinzione di nazionalità. Tuttavia, per quanto concerne le quote nazionali, la Corte non ha reputato ragionevole che le parti interessate potessero considerare una discriminazione tanto evidente compatibile col diritto comunitario.

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Un primo fatto di questa sentenza, “attesissima” e “largamente annunciata” 225[225],

colpisce: grazie ad essa, la Corte di Giustizia e la stessa Comunità europea, che per

molto tempo erano state considerate da parte di moltissimi cittadini degli Stati

membri come delle entità as tratte, distanti, e, in un certo senso oscure, sono

finalmente riuscite a raggiungere una certa notorietà ed hanno acquisito una repentina

e subitanea concretezza. Certamente ciò è dovuto al grande risalto mediatico di cui la

sentenza Bosman ha beneficiato, grazie soprattutto alla natura del suo oggetto: lo

sport più che il diritto o le organizzazioni internazionali ha la capacità di suscitare,

per un verso o per un altro, l’interesse di gran parte dell’opinione pubblica. Per il

tramite del calcio e della “ legge Bosman”, come volgarmente viene definita la

sentenza che qui ci occupa, il diritto comunitario è così entrato nelle case di

moltissima gente 226[226].

Alcuni elementi di questo giudizio assai complesso devono essere posti in

rilievo227[227]: innanzitutto il fatto che benché la Corte si sia pronunciata

esclusivamente sulla contrarietà delle norme portate alla sua attenzione nei confronti

del solo art. 48 (attuale 39) CE, l’applicazione delle sentenza (e del diritto

comunitario) sarebbe stata garantita negl i anni seguenti dalla Commissione 225[225] A. TIZZANO e M. DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman” , cit.. Sul fatto che la sentenza Bosman non abbia detto in realtà nulla di rivoluzionario sono anche VAN MIERT, THILL, O’KEEFFE e OSBORNE, i cui articoli appaiono tutti in Revue du march é unique européen, 1996, n.1. 226[226] Cfr. sul punto, l’affermazione di J.M. DE WAELE e A HUSTING,”Le sport, la Société et le Droit”, in Le sport et l’Union européenne , Bruxelles, 2001, p.7, “au niveau européen, depuis l’arrêt rendu par la Cour de Justice des Communautés européennes dans le cadre de l’affaire Bosman, on n’a jamais autant associé le terme de sport à la fois à ceux d’Union européenne et de droit. 227[227] Deve comunque tenersi a mente che il dictum di tale sentenza non è affatto rivoluzionario. In tal senso, cfr . S. WEATHERILL, “The Helsinki report on sport”, in European Law Review, 2000, p. 283

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brandendo contro le federazioni sportive la minaccia di una procedura per violazione

delle norme sulla concorrenza 228[228], usate così come una sorta di “ bras armé229[229]”

dell’art.48 (attuale 39), e ciò, benché dalla senten za Bosman in quanto tale non

potesse trarsi alcuna conseguenza sul piano del diritto antitrust230[230]. A riguardo è

sicuramente censurabile il timido atteggiamento della Corte, perché con la sua

reticenza nel pronunciarsi 231[231] anche per quanto riguardava la compatibilità delle

regole sportive contestate rispetto alle norme del diritto comunitario della

concorrenza essa lasciava in sospeso alcune importanti questioni 232[232] quali ad

esempio la sorte delle indennità esatte in caso di trasferimento tra club s tabiliti nel

medesimo Stato membro ed i diritti eventuali dei giocatori dei Paesi terzi 233[233] ed in

generale, l’applicabilità degli artt.85 (attuale 81) e 86 (attuale 82) CE alle indennità di

trasferimento ed alle clausole di nazionalità 234[234]. Nonostante l’antinomia tra il

228[228] Ancora MANZELLA, “L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?” , cit., critica questa “as tuzia procedurale”, considerandola peraltro una evidente forzatura. Egli però azzarda l’ipotesi secondo cui l’azione della Commissione sia stata dettata “dal timore di incorrere in sanzioni” ex art. 178 CE (attuale 235) per la mancata attuazione della sent enza della Corte di Giustizia. 229[229] Così si esprimono A. PAPPALARDO e N. PARISIS, “Droit de la concurrence et sport professionnel par équipe”, op. cit.. 230[230] Su quest’ultima affermazione, vedi M. COCCIA e C. NIZZO, “Il dopo Bosman e il modello sportivo europeo” , op. cit.,. 231[231] Sul silenzio della Corte appare assai critico G. VIDIRI, riportato in S. BASTIANON, “La libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza Bosman” , Rivista di diritto sportivo, 1996, p.508 (510 nota 5), il quale rileva che “se la sentenza avesse riconosciuto la violazione dei principi della concorrenza da parte delle norme federali denunziate di illegittimità, avrebbe sicuramente assunto una portata be n più incisiva”. L’autore rileva anche che se la Corte avesse dichiarato la contrarietà delle regole sportive alla normativa comunitaria antitrust, l’azione della Commissione avrebbe “resa maggiormente ardua l’elusione dei principi fissati dalla Corte di giustizia che, come è prevedibile, incontreranno nella loro concreta attuazione, ostacoli in ragione del comportamento delle federazioni nazionali degli Stati membri, sempre decise a rivendicare la piena autonomia dell’ordinamento sportivo, a tutela degli specifici e rilevanti interessi del mondo calcistico”. 232[232] Secondo BASTIANON, “La libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza Bosman” , cit., vari motivi potrebbero spiegare l’atteggiamento della Corte: 1) innanzitutto, l’esigenza di limitare in qualche modo la portata innovativa della sua pronuncia; 2) in secondo luogo, il timore di scatenare una serie di richieste alla Commissione, da parte delle società calcistiche, di una esenzione ex. art. 85, n. 3 (at tuale 81, n. 3); 3) in ultimo, la complessità dell’analisi economica da compiere che avrebbe indotto il giudice comunitario a rimandare in altra occasione, e forse in altra sede, la soluzione dei problemi”. 233[233] A questa fattispecie sarà dedicata un a parte specifica nel corso della trattazione nel capitolo III. 234[234] Basandosi sul solo fondamento dell’art.48 (attuale 39) questa sentenza non concerneva che i giocatori cittadini degli Stati membri della Comunità e la loro libera circolazione: ma le st esse regole erano applicate sia all’interno di uno Stato ai suoi cittadini, che ai giocatori dei Paesi terzi nelle loro relazioni di lavoro con i club della Comunità. Se queste

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fondamento dell’azione (la contrarietà di alcune regole delle federazioni calcistiche

all’allora art.48 ) ed i mezzi con i quali essa avrebbe dovuto essere condotta (poteri

in materia di concorrenza), la Commissione manifestò a più ripr ese la sua intenzione

di far rispettare il giudicato della pronuncia Bosman servendosi dei poteri a sua

disposizione 235[235]. Fu così che un avvertimento ufficiale, concernente le regole delle

due organizzazioni condannate dalla Corte sulla base dell’art. 48 (attuale 39), fu

indirizzato alla FIFA e all’UEFA in merito ad una procedura di infrazione basata

sull’art. 85 comma 1 del Trattato CE (ora 81 comma 1) e sull’art. 53 comma 1

dell’accordo sullo Spazio Economico Europeo 236[236] (nel prosieguo SEE).

In altri termini, certi aspetti del sistema calcistico che non erano stati condannati

dalla Corte, perché non ricadevano sotto le disposizioni dell’art. 48 (ora 39),

sarebbero stati condannati alla luce degli artt.85 CE (ora 81) e 53 SEE. Ad esempio

sarebbe stata dichiarata incompatibile con il disposto dei due articoli una indennità di

trasferimento richiesta in relazione al passaggio di un qualsiasi giocatore, cittadino o

meno di quello Stato, da una società di uno Stato facente parte dello SEE a quella di

situazioni non hanno alcuna incidenza per l’applicazione dell’art. 39 (ex art. 48) esse ricadono al contrario nell’ambito di applicazione dell’art. 81 CE (ex art. 85). 235[235] Agendo in tal modo, secondo M. COCCIA e C. NIZZO, “Il dopo Bosman e il modello sportivo europeo ”, op. cit., la Commissione avrebbe operato una sorta di “ immoral suasion” nei confronti delle organizzazioni sportive, “prendendo spunto dalla sentenza Bosman”. I due autori criticavano l’azione non proprio ortodossa della Commissione stigmatizzando il fatto che la sua azione di condanna delle regole sportive alla luce del diritto antitrust non fosse accompagnata da una seria e serena rilevazione del mercato rilevante in cui le presunte violazioni della concorrenza avrebbero avuto luogo. Sicuramente il diritto antitrust avrebbe dovuto trovare applicazione ogni qual volt a le federazioni o le leghe sportive avessero agito sul mercato, ma allo stesso tempo “occorre esercitare cautela e rigore scientifico quando invece si vogliono esaminare alla sua luce normative sportive non strettamente (o solo indirettamente) collegate a lle tematiche economiche”. 236[236] Sono membri dello SEE, oltre ai quindici Stati della Comunità europea, la Norvegia, l’Islanda ed il Liechtenstein. Questo accordo mira alla creazione di detto spazio che prevede delle regole affatto simili nella sostanz a a quelle degli articoli 39 e 49 del Trattato CE. Come già messo in rilievo s upra, le conseguenze di una procedura di infrazione ai sensi degli artt.81 CE attuale e 53 SEE sono molto più gravide di conseguenze rispetto a quelle che discendono dalla appl icazione dell’art.39: questo perché l’apprezzamento delle regole delle federazioni calcistiche rispetto all’art.81 CE si fa in funzione della restrizione di concorrenza tra club e non già in relazione alla nazionalità del giocatore.

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un altro Stato membro. In secondo luogo, la limitazione del numero di giocatori non

cittadini in occasione di competizioni internazionali e nazionali 237[237] tra club sarebbe

stata vietata non solo nei confronti dei giocatori di nazionalità di uno degli stati SEE ,

ma anche per i giocatori di Stati terzi ma sotto regolare contratto in un club di uno

Stato dello SEE. Le regole di concorrenza avrebbero inoltre messo in causa sia il

pagamento dell’indennità di trasferimento da parte di club SEE per i trasferimenti da

Paesi terzi, sia i sistemi di trasferimento nazionali nella misura in cui queste

restrizioni avessero avuto un effetto sensibile sugli scambi intracomunitari.

A seguito della messa in mora, la FIFA e l’UEFA annunciavano che per rispettare

la sentenza Bosman il sistema dei trasferimenti non sarebbe più stato applicato per

quei giocatori che giunti alla scadenza del contratto avessero deciso di passare da un

club di uno Stato dello Spazio Economico Europeo ad un altro 238[238].

Sebbene in modo molto lato, si pu ò certamente sostenere che detta sentenza

evidenzi un certo riconoscimento, da parte della Corte, di quella stessa specificità

dello sport che in tanta parte del suo giudizio essa sembra così pervicacemente

negare239[239] per affermare pienamente, definitiva mente, e, attraverso un messaggio

237[237] Vedi sul punto l’opinione di K. VAN MIERT, “L’arrêt “Bosman”: la suppression des frontières sportives dans le Marché unique européen” , in Revue du marché unique européen, 1996 n.1, p 5, secondo cui “il est impossible d’exclure que les décisions d’une asso ciation nationale imposant le paiement d’indemnités de transfert relatives aux transferts de joueurs professionnels ou devenus professionnels à l’intérieur d’un Etat membre soient susceptibles d’entraîner des distorsions de la concurrence sur le marché européen du spectacle du football. Il n’est pas non plus exclu que de telles décisions affectent de manière sensible le commerce entre Etats membres. En effet, en raison de la limitation dans les sources de recrutement ainsi imposée au niveau natio nal, les clubs auront plutôt tendance a recruter des joueurs dans d’autres Etats membres. Ce fait pourrait entraîner un détournement des courants d’échanges interétatiques des prestations de services des joueurs”. 238[238] La FIFA si impegnava anche a cerca re di trovare un sistema alternativo di compensazione all’indennità di trasferimento, nel quadro del rispetto della sentenza della Corte. Per quanto concerneva le quote nazionali l’UEFA decideva il 19 febbraio 1996 di sopprimere formalmente e con effetto i mmediato le clausole di nazionalità per le competizioni infra- europee tra club. 239[239] Su questo punto correttamente anche BASTIANON, “La libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza Bosman”, op. cit.. In tal e sede l’autore afferma che “[occorre] comprendere che il caso Bosman non ha ucciso il gioco del calcio professionistico, ma si è limitato ad affermare, anche in questo settore,

Eliminato: l’interieur

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di ampiezza comunitaria il principio secondo cui lo sport non è in nessun caso

intoccabile240[240]. Come giustificare altrimenti se non in virtù di una tale

interpretazione, la conferma della eccezione all’applicazione del d iritto comunitario

nei confronti di quegli incontri che oppongano le rappresentative nazionali di due

diversi Paesi perché questi incontri non presenterebbero una rilevanza economica?

Invero, è di chiara intelligenza come così non sia: al contrario proprio questi incontri

sono al centro di un giro d’affari considerevole, come si evince dalla levitazione dei

contratti di sponsorizzazione delle nazionali o anche, e soprattutto, dalla entità dei

contratti di trasmissione televisiva dei loro incontri. Forse in questo caso si può dire,

cercando di interpretare il pensiero della Corte, che, sebbene l’aspetto economico sia

rilevante, quello prettamente sportivo è tale da primeggiare sul primo: quale che sia la

realtà dei fatti non ci sembra però opportuno ed approp riato continuare a perpetuare

una dizione che porta con sé problemi ed incertezze di rilievo. Il grande successo che

l’attività sportiva ha conosciuto negli anni Ottanta e Novanta del secolo appena

scorso ha infatti portato con sé notevoli problemi, non ul timo quello di determinare

con esattezza ove finiscano le considerazioni economiche e dove inizino invece

l’applicabilità di elementari e comuni principi sanciti dal Trattato di Roma, lasciando impregiudicata la possibilità di ricercare altre e meno restrittive soluzioni, compatibili sia con le regole delle libera circolazione, sia con quelle del diritto antitrust. Dello stesso avviso è M. THILL, “La reconnaissance de la spécificité du sport en droit communautaire”, in Europe, Giugno 2000, p. 4 ss., anche per tale autore è erroneo pensare, come taluni hanno fatto, che la sentenza Bosman abbia “méconnu le spécificités du sport en Europe”. Vedi anche WEATHERILL, “The Helsinki report on sport”, op. cit., “although the sporting sector is not in principle excluded from the application of the Treaty, nevertheless its specific characteristics should be taken into account. This is a concession familiar from Bosman for, contrary to much of the il l- informed criticism hurled at that judgment by sporting organisations and administrators shocked at the intrusion of law on their turf, the Court there accepted that in some respects sport has features which distinguish oit from normal industries”. 240[240] Vedi in tal senso anche A. HUSTING, “ L’union européenne un cadre réglementaire pour l’activité sportive” , in Sport et Union européenne , Bruxelles, 2001, p. 17. Per tale autore, “cet arrêt Bosman marquait surtout la récupération par l’ordre juridique co mmunautaire de l’espace de liberté que les ordres juridiques nationaux avaient laissé aux réglementations sportives privées et traduisait le souci de réaffirmer une fois pour toute la soumission de la règle sportive au droit communautaire”.

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quelle più prettamente sportive: se all’epoca delle sentenze precedenti era possibile

operare una netta e chiara distinzione tra economico e non econo mico, così non è ai

giorni nostri e diventerà sempre più difficile in futuro considerare gli interessi

sportivi come sprovvisti di ogni elemento commerciale.

La Corte insomma, riconoscendo un valore in sé, distinto da quello economico per

gli incontri tra squadre nazionali, cerca di mitigare in questo modo le conseguenze di

un esito giurisprudenziale che forse si era spinto un po’ troppo oltre per la parte che

concerneva l’estensione dell’ambito di applicabilità dell’art.48 241[241] (ora 39). Che

fosse necessario in un certo senso temperare gli effetti di una sentenza aspramente

criticata da molti242[242] (e che potenzialmente avrebbe potuto distruggere

l’organizzazione mondiale dello sport del calcio) era anche l’opinione della

Commissione243[243]”.

Se da un lato la Corte concedeva qualcosa al mondo del calcio, dall’altro però, ed

è questo un altro carattere distintivo della sentenza Bosman rispetto a quelle anteriori

241[241] Ad esempio, TIZZANO e DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman” ,op. cit., stigmatizzano il fatto che con la sentenza Bosman la Corte abbia rinunciato a qualsiasi riferimento al criterio della discriminazione, poiché la sensibile estensione della portata del divieto di restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori che ne era conseguita avrebbe avuto potuto avere come risultato - secondo i due studiosi - la creazione una situazione di incertezza in relazione all’art.48 (attuale 39) simile a quella cui la Corte aveva voluto porre rimedio con la sentenza Keck rispetto all’art.30 (ora art. 28 ). 242[242] Cfr. le emblematiche opinioni di A. MANZELLA, “ L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?” , cit., secondo cui la sentenza Bosman avrebbe posto scarsissima attenzione alla “poliedrica” realtà cui fa capo lo sport per privilegiare una lettura dei fatti in chiave esclusivamente commerciale. Per reagire a questo stato di cose, si sarebbe dovuto, secondo l’Autore, di mostrare che la “struttura genetica dello sport è insita nella inscindibile maniera di praticarlo e di interpretarlo. Ad avviso di tale autore, la Corte di Giustizia avrebbe perciò ignorato la “caleidoscopica” realtà sportiva per dar corso ad una visione m olto parziale di questa, avveratasi ad esempio allorché la suprema istanza comunitaria “ha inteso valutare tutta l’attività sportiva e, in particolare, il problema della libera circolazione degli sportivi (professionisti e non) sulla base di esclusive cons iderazioni economiche”, ed escludendo in questo modo “la validità delle clausole di natura tecnico - sportiva che regolamentavano l’applicazione pratica di quel principio comunitario nei campionati nazionali delle singole discipline sportive”. 243[243] Vedi sul punto la posizione dell’allora Commissario europeo alla concorrenza K. VAN MIERT, “L’arrêt “Bosman”: la suppression des frontières sportives dans le Marché unique européen” , Revue du marché unique européen, 1996 n.1, p 5: “l’application des règles du d roit communautaire aux activités sportives ne signifie pas pour autant que les institutions chargées d’appliquer ce droit n’ont pas à prendre en considération les particularités et les besoins spécifiques du sport. Au contraire, l’application des règles de concurrence [...] passe forcément par la reconnaissance et la prise en considération de ces spécificités et de ces besoins”.

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riguardanti lo sport, al contrario di quanto avveniva nelle sentenze Walrave e Donà,

esprime molte considerazioni che rilevano partitamente del caso di specie, senza

lasciare, come era avvenuto in precedenza, un grande margine di manovra al giudice

nazionale per la risoluzione dei fatti a quibus. La Corte, quasi venti anni dopo le sue

precedenti pronunce vuole essere certa che questa volta, ed una volta per tutte 244[244],

il caso sarà regolato per filo e per segno in accordo con i principi da essa posti: essa è

consapevole delle immani difficoltà incontrate da Bosman nella sua avventura

giudiziaria e per questo motivo non può certamente lasciarsi sfuggire un’occasione

che potrebbe non ripresentarsi 245[245]. Oltre a questa ragione, l’attitudine della Corte è

sicuramente sintomatica del nuovo atteggiamento della Comunità verso lo sport, che,

vista la enorme importanza acquisita nel corso degli anni, non è più la questione

marginale implicita nelle sentenze datanti di un periodo in cui l’enorme potenziale di

questo non era ancora esploso.

Se questo era l’atteggiamento della Corte, si può dire che in generale il mondo

dello sport abbia vissuto questa sentenza con profondo disagio 246[246], considerandola

come catastrofica per le sorti del calcio europeo, che non solo era stato vilipeso nella

sua specificità ed appariva destinato ad un irrimediabile sn aturamento della sua

244[244] Chissà quanti “Bosman” sono stati dissuasi dal ricorrere innanzi alla giurisdizione nazionale per paura di incorrere in sanzioni o anche per timore di ingaggiarsi in un processo senza fine. Invero, “il est en effet clair que, face à l’UEFA, un juge ou une autre autorité nationale d’un Etat membre quelconque, armé du seul droit national, aurait perdu la partie, vu les moyens d e rétorsion au pouvoir de l’organisation sportive internationale. Mais un droit supranational, à la dimension de la Communauté actuelle, articulé avec les droit nationaux et bénéficiant de la coopération des juges nationaux, a pu l’emporter”. In tali termi ni P. DEMARET, “Quelques observations sur la signification de l’arrêt Bosman”, op. cit.. 245[245] Al di fuori del contesto particolare che fu quello dell’affare Bosman, senza la tenacia e la perseveranza di Bosman e dei suoi avvocati, senza l’accogliment o fatto alle domande di Bosman dai tribunali di Liegi, la Corte di Giustizia non avrebbe avuto l’occasione di pronunciarsi sulla legalità delle clausole di nazionalità e delle indennità di trasferimento. 246[246] Vedi M. COCCIA e C. NIZZO, “Il dopo Bosman e il modello sportivo europeo ”, in Rivista di diritto sportivo, 1998, p. 335

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componente più vera e genuina, quella campanilisticamente protesa all’affermazione

dell’identità nazionale 247[247] ma che era anche stato privato di quelle regole

necessarie al suo funzionamento (e finanziamento) che miravano alla realiz zazione di

un certo equilibrio tecnico - sportivo 248[248]. Lo scenario apocalittico immaginato

prevedeva in ultimo, nella nuova prospettiva plutocratica cui la Corte avrebbe

inopinatamente dato corso, il predominio continentale di pochissime e ricchissime

squadre che avrebbero detenuto un vero e proprio “monopolio dei talenti” 249[249].

Certamente alcuni casi di figura esprimevano delle preoccupazioni legittime, ma si

vede bene come le considerazioni sviluppate andassero spesso assai oltre quanto ci si

poteva realisticamente aspettare dagli effetti indotti dalla sentenza Bosman sul mondo

del calcio professionistico 250[250]. Vero è che il calcio e lo sport in generale presentano

una peculiarità assoluta, in ragione del rapporto di interdipendenza economica (e non

di concorrenza) tra società che partecipano alle medesime manifestazioni e che

proprio da questa partecipazione collettiva traggono i mezzi per la loro 247[247] Cfr. l’opinione di A. MANZELLA, “L’Europa e lo sport: un difficile dialogo dopo Bosman?” cit.. 248[248] In particolare si riteneva, riproponendo gli argomenti già avanzati i n occasione del dibattimento nella causa Bosman, che in assenza dell’obbligo di pagare una indennità alla società di provenienza e di quello di non schierare più di tre non nazionali, le società più forti avrebbero potuto accaparrarsi i migliori giocatori in circolazione, alterando in questo modo in maniera sensibile l’equilibrio competitivo dei campionati; che i vivai sarebbero usciti danneggiati dalla nuova situazione, perché le squadre, in mancanza dell’incentivo rappresentato dalla percezione dell’inden nità di trasferimento, sarebbero state scoraggiate nella formazione dei giovani; che si sarebbe presto verificata una invasione di stranieri nei campionati più ricchi ed appetibili, come quelli spagnolo, italiano ed inglese ed un depauperamento di quelli minori del resto del continente. Vedi sul punto, G. AIGNER, “Un an après”, in UEFA FLASH, n. 68, Dicembre 1996, p.1. Tuttavia, le conseguenze della sentenza Bosman non sembrano poi così nefaste, se solo si consideri che se anche un piccolo club non potrà pi ù ricevere una indennità di formazione all’atto della cessione di un suo calciatore, tuttavia parallelamente non dovrà sostenere alcun onere finanziario nell’acquisto di nuovi giocatori. Inoltre, la tesi secondo cui vi sarebbe stata la tanto temuta invasio ne di stranieri sembra poi essere di poco momento, dato che le società non hanno nessun obbligo di ingaggiare più stranieri (comunitari) di quanti già non ne dispongano, o di preferirli rispetto ai nazionali. 249[249] Espressione questa di A. MANZELLA. Per una analisi delle conseguenze economiche della sentenza in esame si rimanda a F. ROMANI e U. MOSETTI, “Il diritto nel pallone, spunti per una analisi economica della sentenza Bosman”, in Rivista di diritto sportivo, 1996, p. 436, e a S KÉSENNE, “L’affaire Bosman et l’ économie du sport proféssionnel par équipe , in Revue du marché unique, 1996, n.1, p. 86 ss. 250[250] Si deve comunque sottolineare che, da un altro angolo di visuale alla sentenza Bosman andava ascritto il merito di aver finalmente “mis fin à u n marché”. In tali termini, R. BLANPAIN, riportato in F. VANDAMME, “La Communauté européenne et le sportif professionnel” , in Revue du marché commun et de l’Union européenne, n.398, 1996, p.353.

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sopravvivenza. Ma è anche vero che “la Corte sembra aver preso atto delle turbative

che la sua pronuncia po trebbe arrecare al mondo del calcio e, soprattutto pare aver

riconosciuto la legittimità di una serie di misure che, con minore sacrificio della

libera circolazione dei lavoratori, tale equilibrio siano tese a ripristinare 251[251]”. In

effetti da quello che si è detto nel corso della nostra trattazione, quello che la Corte ha

rigettato in toto è stato solo il mezzo, ritenuto non adeguato 252[252], con il quale le

istanze sportive del calcio perseguivano la realizzazione di esigenze specifiche al

settore, e non le esigenze stesse, alcune delle quali sono state ritenute invece

pienamente legittime 253[253].

Per quanto riguarda partitamente gli effetti della sentenza Bosman, si deve a

questo punto ricordare ancora una volta che essa, non concernendo che le regole de l

Trattato in materia di libera circolazione delle persone, non è applicabile a delle

situazioni che presentino un carattere puramente interno, e quindi in linea di principio

non potrebbe agire contro quelle norme, emanate all’interno di uno qualsiasi degl i

Stati membri, che prevedano un trattamento più restrittivo o più svantaggioso per i

cittadini di questo stesso Stato rispetto a quelli di un altro Stato membro della

Comunità. Questa pronuncia non impedisce così che delle indennità di trasferimento

siano previste e dovute nel caso del passaggio di un cittadino nazionale da una

251[251] Così TIZZANO e DE VITA, “ Qualche considerazione sul caso Bosman”,op. cit.. 252[252]L’inadeguatezza del sistema discendeva dalla circostanza di comportare restrizioni eccessive per la libera circolazione degli sportivi. 253[253] Cfr. sul punto, WEATHERILL, “The Helsinki report on sport”, op. cit., “With refere nce to transfer system, the Court was willing to allow the football industry to present two justification in law for unusual practises that might not be tolerated in others sectors [..]. This leaves space in which to respect the autonomy of arrangements de vised by sporting organisations provided they are designed to realise these objectives. However, applying the orthodox requirement of the community trade law that both the ends pursued and the means employed by a restrictive measure must be justified, the Court refused to accept that this transfer system could be defended ”. Vedi anche I. B. GHICA, “La déclaration de Nice sur la spécificité du sport. Une nouvelle étape dans la mise en place d’une politique européenne du sport?”, in Revue du marché commun et de l’Union européenne, n.447, 2001, p. 237.

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squadra ad un’altra situata nello stesso Stato membro. Le due fattispecie non sono

infatti altro che delle “discriminazioni alla rovescia 254[254]” che non interessano il

diritto comunitario e che non sono da esso sanzionabili: questa circostanza farebbe sì

che in fatto la sentenza Bosman non inciderebbe sulla situazione giuridica della gran

parte degli sportivi comunitari, quelli che esercitano la loro attività nello Stato di

origine e non influirebbe su quanto avviene in caso di trasferimenti “nazionali”.

Tuttavia, non costituisce affatto una situazione interna quella di un cittadino di uno

Stato membro che, all’interno di un altro Stato membro desideri cambiare club o

pretenda di essere schierato in campo senza alcuna distinzione rispetto ai cittadini

nazionali255[255]: in questo caso gli può valersi del diritto alla libera circolazione

concessogli dal Trattato, e può farlo tutte le volte che desideri, poiché il diritto alla

libera circolazione non si esaurisce con il primo impiego del lavoratore nello Stato

membro di accoglienza 256[256]. E’ quindi erroneo pretendere che la sentenza Bosman

non abbia avuto nessun effetto sulle regole nazionali di trasferimento, ossia sulle

regole di trasferimento all’interno dello Stato membro 257[257]. Al contrario, queste

regole sono ugualmente colpite, al pari di quanto avviene nel caso dei trasferimenti 254[254] Per una definizione di discriminazioni alla rovescia vedi il capitolo I. 255[255] Vedi sul punto il caso del giocatore di pallamano Mats Ake Olsson, di nazionalità svedese, ingaggiato dal club Cantabria di Santander. Al giocatore, quarto straniero in un club che ne contava già tre, limite massimo ammesso dal regolamento, era stata negata la concessione della licenza da parte della Federazione, e quindi era stata preclusa l’attività lavorativa. Olsson aveva presentato un ricorso contro tale decisione di diniego, ma la federazione spagnola di palla a mano opponeva al giocatore che lo sport in questione non era considerato dalla legislazione spagnola come professionistico. Il tribunale, respingendo esclusioni d i carattere generale sulla base di qualificazioni precostituite dalle federazioni sportive, aveva invece ritenuto che, alla luce dell’attività che Olsson svolgeva e della retribuzione che percepiva, e tenendo inoltre conto delle condizioni alle quali un in dividuo era considerato lavoratore ai sensi della legislazione spagnola, fosse configurabile lo status di professionista. Pertanto, in ossequio alla giurisprudenza Bosman della Corte di Giustizia delle Comunità europee, la Corte spagnola decideva di accogl iere la richiesta del giocatore a non essere discriminato e ingiungeva alla federazione di pallamano di mettere fine al comportamento discriminatorio. Per maggiori dettagli, vedi S. BASTIANON, “Dal calcio alla pallamano: la giurisprudenza Bosman nella pron uncia di un giudice nazionale” , Rivista di diritto sportivo, 1997, p.864 ss. 256[256] Su questo punto cfr. M. THILL, “L’arrêt “Bosman” et ses implications …” op. cit.. 257[257] Ibidem. Vedi anche J.C.SECHE, “Quand les juges tirent au but: l’arrêt Bosman du 15 décembre 1995” , in Cahiers de droit européen, 1996, p.355.

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infra- comunitari, quando si applicano ad un cittadino di un altro Stato membro che

desideri essere trasfe rito da un club ad un altro all’interno dello Stato in questione.

Parimenti, il diritto alla libera circolazione è chiamato in causa anche quando una

federazione sportiva di uno Stato membro si oppone, sulla base delle sue regole

relative ai trasferimenti o di quelle di una associazione di cui essa fa parte, al ritorno

di un cittadino di un altro Stato membro in un club di questo Stato membro 258[258].

Come si vede, la sentenza in oggetto ha posto tutta una serie di problemi giuridici

e pratici assai rilevanti 259[259], che le federazioni sportive davano mostra di non voler

risolvere attraverso l’adeguamento delle loro regole al diritto comunitario, preferendo

bensì seguire altre strade, chiedendo una modifica dei Trattati ed invocando una

azione dei rispettivi governi in tale senso.

In effetti, è stato solo grazie alla già ricordata azione della Commissione, decisa

ad assicurare l’applicazione della sentenza, e al confronto che ne è seguito tra il

mondo dello sport e tale istituzione, che parte dei problemi sopra esposti hanno

trovato una loro soluzione. In effetti, non era più possibile ignorare i principi della

libera circolazione delle persone, come era stato fatto in precedenza a seguito delle

sentenze Walrave e Donà: il problema andava risolto nell’immediato, sotto minaccia

di gravi e pesanti sanzioni.

Invero, FIFA e UEFA, accettando in fine la via del compromesso , hanno messo

mano ai loro regolamenti. Un definitivo accordo nel settore è stato finalmente

258[258] A questo proposito cfr. la giurisprudenza generale della Corte in materia di libera circolazione delle persone, ed in particolare la sentenza 7 Marzo 1991, causa 10/90, Masgio, Racc. p. I - 1119 259[259] Vedi sul punto, AUNEAU G., “Le mouvement sportif européen à l’épreuve du droit communautaire” , in Revue trimestrelle de droit européen, 1996, p. 101 ss.

Eliminato: Masgio,

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raggiunto il 5 Marzo 2001, qua ndo, con uno scambio di lettere 260[260] tra il

Commissario alla concorrenza Monti ed il segretario della FIFA Blatter, il primo

comunicava al secondo che a seguito della modifica della parte del regolamento

concernente il sistema dei trasferimenti, la procedura di infrazione iniziata contro

FIFA e UEFA sarebbe stata ritirata 261[261].

260[260] Cfr. il testo delle due missive al sito http://www.fifa.com 261[261] Monti afferma espressamente “your undertakings contains sufficient elements for me to be able to confirm that I no longer have the intention to propose that the Commission adopts a negative decision in the procedure that is opened against FIFA as regard the international transfer rules, subject to compliance with art.6 of regulation 2842/98”.

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2.5.3 Le nuove norme sulle indennità di trasferimento

Il nuovo regolamento FIFA mette in atto un sistema dettagliato per il

pagamento delle indenn ità di formazione, che quindi non sono completamente

sparite. Tale sistema intende instaurare un meccanismo di solidarietà tra i club,

accordando una indennità finanziaria ai club che hanno investito nella formazione del

giovane calciatore ed allo stesso t empo mira a che non siano richieste delle somme

troppo ingenti che potrebbero costituire un ostacolo alla libera circolazione dei

calciatori.

Generalmente una indennità di formazione è dovuta se un calciatore, che non ha

ancora raggiunto l’età di 23 anni :

a) firma il suo primo contratto di non amatore con un club altro rispetto al club che

ha curato la sua formazione;

b) è trasferito in qualità di non amatore da un club ad un altro da cui è tesserato con

il medesimo s tatus.

Tuttavia l’indennità di trasferiment o non è affatto dovuta nel caso in cui:

a) un calciatore è trasferito da un club non amatore ad un club amatore, a meno che

il giocatore non riacquisti ancora una volta entro i 3 anni lo status di amatore e

non abbia ancora compiuto i 23 anni 262[262];

262[262] Art. 5.3, paragrafo 1 del regolamento di applicazione. Vedi al sito http://www.fifa.com

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b) all’interno dell’UE/SEE, un calciatore è trasferito da un club di categoria più

elevata a un club di categoria 4 263[263].

c) se un club con il quale il calciatore ha firmato il suo primo contratto da non

amatore, mette fine unilateralmente al contratto, tale club non a vrà diritto ad

alcun indennizzo. Tuttavia, le squadre che hanno precedentemente curato la

formazione del giocatore, visto che non sono responsabili della rottura

ingiustificata del contratto, riceveranno la parte di indennità di formazione loro

dovuta.

d) In caso di più trasferimenti successivi che hanno luogo prima che il calciatore

abbia compiuto 23 anni, alcuna indennità di formazione sarà dovuta al club che

ha rescisso unilateralmente il contratto senza giusta causa. I precedenti club

formatori beneficeran no comunque del “principio della cascata 264[264]”.

Nessuna indennità di formazione può essere richiesta o versata se un calciatore

con più di 23 anni cambia club alla scadenza del contratto, e ciò, indipendentemente

dalla sua nazionalità. Naturalmente nel caso in cui il calciatore decidesse di cambiare

casacca nel periodo di vigenza del contratto, nella impedirebbe alla società di

appartenenza di pretendere il pagamento di una indennità: in questo caso infatti non si

263[263] Per quanto concerne l’applicazione di tali principi, per stabilire quanto costi loro oggettivamente oggettiva la formazione del calciatore, i club sono classificati in una delle seguenti categorie: categoria 1) comprende tutti i club di prima divisione delle associazioni nazionali che investono una cifra simile nella formazione dei giocatori; categoria 2) comprende tutti i club di seconda divisione delle associazioni nazionali della cat. 1, tutti i club di prima divisione di tutti gli altri Paesi ove esiste il calcio a livello professionistico; categoria 3) include tutti i club di terza divisione delle associazioni nazionali della cat. 1, tutti i club di seconda divisione di tutti gli altri Paesi di c ui sopra; categoria 4) include a) tutti i club di quarta divisione e delle divisioni inferiori delle associazioni nazionali sub cat.1; b) tutti i club di terza divisione e di divisione inferiore di tutti gli altri Paesi ove esiste il calcio a livell o professionistico; c) tutti i club dei Paesi ove il calcio non è che amatoriale. 264[264] L’indennità di formazione dovrà essere ripartita pro quota tra tutti i club che hanno curato la formazione del giovane calciatore in base all’effettivo contributo dato .

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è in presenza di una indennità di trasf erimento vera e propria, ma solamente di una

normale penale per rottura anticipata e non consensuale dell’impegno contrattuale. In

ogni caso comunque, la rottura unilaterale del contratto è scoraggiata nei primi tre (o

nei primi due se il giocatore ha supe rato l’età di 28 anni) anni di contratto. I

trasferimenti possono avvenire solo due volte l’anno e, per un calciatore, solo una

volta per stagione 265[265]. Delle sanzioni sono all’uopo previste nel caso in cui il

calciatore o il club decidessero, senza una g iusta causa, o senza una motivazione di

carattere sportivo, di mettere fine unilateralmente all’impegno contratto.

Si noti inoltre che la nuova regolamentazione si applica solamente ai trasferimenti

internazionali, anche se le associazioni nazionali sono tenute a conformarsi ai principi

enunciati dal regolamento in esame.

265[265] Art. 3 del regolamento FIFA.

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2.6 Verso il riconoscimento della specificità sportiva

Durante il corso della trattazione del caso Bosman, si è detto che sebbene la

sentenza fosse stata emessa nel quadro di una controversia specifica riguardante un

calciatore, tuttavia, affermando dei principi di portata generale valevoli erga

omnes266[266] essa può essere invocata non solo in relazione al calcio, ma anche a tutti

gli sport che si praticano a livello professionistico 267[267], dato che non sussistono

ragioni particolari per differenziare tali sport in relazione al calcio 268[268].

In particolare, clausole di nazionalità ed indennità di trasferimento erano

riproposte in termini assai simili in altri sport collettivi: anche in relazione a questi

sport la sentenza in oggetto avrebbe potuto applicarsi senza troppe difficoltà.

Quid iuris riguardo agli sport non collettivi? La questione si poneva in tutta la sua

attualità ed urgenza riguardo alla possibilità che il diritto alla libera circolazione

riconosciuto in quella sentenza fosse esteso tanto agli sportivi praticanti una

disciplina sportiva a carattere individuale e non salariato, ossia a dei veri e propri

prestatori di servizi a i sensi dell’art. 59 (49), quanto alle persone fisiche e giuridiche

beneficiarie del diritto di stabilimento 269[269].

266[266] Le decisioni della Corte di Giustizia ex art.234 (già art.177), sono delle sentenze di interpretazione del diritto comunitario e rivestono un carattere generale: i principi enunciati non sono limitati al mero caso di specie e non possono essere messi in discussione in quanto tali. L’interpretazione del diritto comunitario che ne risulta può essere modificata solo dalla Corte mediante un r evirement giurisprudenziale o dal legislatore comunitario. 267[267] Rectius, in relazione a tutte le attività sportive che presentino il carattere della economicità. 268[268] Cfr. sul punto, J. D. HOCHLEITNER e A. M. SANCHEZ , “Le conseguenze della sentenza Bosman per lo sport spagnolo ed europeo” , in Rivista di diritto sportivo, 1 996 n.3, p. 469. 269[269] A giudizio di A. M. SANCHEZ e di J. D. HOCHLEITNER , ”Le conseguenze giuridiche della sentenza Bosman per lo sport spagnolo ed europeo” , op. cit. , dovrà realizzarsi anche l’estensione della giurisprudenza Bosman al diritto di stabilimento di cui all’art.52 (attuale 43), ogni qual volta ci troveremo di fronte ad una attività economica nel senso dell’art.2 CE. D’altra parte occorrerebbe poi chiedersi se in virtù dell’art.52 (ora 43) un club di uno Stato membro non abbia diritto a part ecipare alle competizioni organizzate in un altro Stato membro, dato che la Corte ha espressamente stabilito che non sussiste un legame inerente tra un dato club e il Paese in cui è stabilito.

Eliminato: ¶

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Il 16 febbraio 1996 il Tribunal de première instance di Namur sollevò innanzi alla

Corte di Giustizia, dietro ricorso presentato dalla judo ka belga Christelle Deliège, una

questione pregiudiziale relativa alla interpretazione degli artt.59 e 66 del Trattato (

attuali 49 e 55 CE), così come degli artt.85 e 86 (ora 81 e 82), con riguardo ad un

regolamento che impone ad uno sportivo professionis ta l’obbligo di essere

autorizzato tramite selezione dalla sua federazione nazionale per poter prendere parte

ad una competizione internazionale. Dai prodromi di tale causa si può immaginare

quanto grande fosse l’inquietudine mostrata dalle istanze sportiv e nell’attesa di

questa sentenza della Corte: invero, essa avrebbe potuto avere per gli sport

individuali delle conseguenze molto rilevanti, pari a quelle che per lo sport di squadra

aveva avuto il caso Bosman. Sotto accusa erano questa volta, come anticip ato, le

regole di selezione e le quote nazionali degli atleti per la partecipazione agli eventi

sportivi che le normative di una federazione internazionale imponevano alle

federazioni associate. Nonostante le inquietudini della vigilia, le regole sportive

saranno fatte salve dall’atteggiamento della Corte di Lussemburgo che questa volta

deciderà di limitare la propria azione (e la applicazione del diritto comunitario) nella

materia.

Prima di analizzare in dettaglio i problemi di diritto comunitario che al la luce

della libera circolazione degli sportivi suscita questo nuovo caso, saranno presentati

in breve i fatti che diedero origine alla causa a qua.

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2.7 Causa Deliège 270[270] contro Ligue belge de judo ASBL e altri 271[271] (cause

riunite C-51/96 e C-191/97) -

La signora Deliège, judoka professionista di nazionalità belga, praticava con

successo questa disciplina ad altissimo livello, essendo stata, tra le altre cose,

campionessa nazionale del Belgio e campionessa mondiale nella categoria juniores.

Il judo, sport di lotta individuale praticato in determinate categorie di peso 272[272],

è organizzato su scala mondiale secondo lo schema seguente. Ad una federazione

internazionale sono associate le varie federazioni continentali c he raggruppano nel

loro seno le associazioni nazionali (e queste a loro volta i club). La federazione belga,

la Ligue belge de judo (LBJ), risulta a sua volta suddivisa in due sotto - federazioni

regionali, una per la zona fiamminga (Vlaamse judofederatie V JF), e l’altra per quella

francofona (Ligue francophone de judo et disciplines associées). Secondo il

regolamento della Federazione europea di judo (UEJ) del 1994, il compito di

selezionare gli atleti per la partecipazione ai vari tornei internazionali spe tta alle sole

federazioni nazionali. Proprio a questo proposito la signora Deliège sosteneva che

sin dal 1992 i responsabili delle federazioni belga e francofona l’avessero

ingiustamente ostacolata 273[273] nella svolgimento della sua carriera, non

270[270] Sentenza 11 Aprile 2000, cause riunite C -51/96 e C-191/97, sul sito http://curia.eu.int/ 271[271] Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL e Union européenne de judo 272[272] Tradizionalmente gli atleti sono suddivisi in relazione al loro sesso e a 7 categorie di peso. 273[273] Ai sensi delle norme del regolamento della UEJ gli atleti devono essere necessariamente tesserati presso un club che a sua volta è membro della federazion e nazionale. Solo il club di appartenenza può rilasciare agli atleti affiliati la licenza necessaria per partecipare alle competizioni. Il titolare della licenza è tenuto a sottoporsi a tutti gli obblighi impostigli dalla lega in base al suo statuto.

Eliminato: http://curia.eu.int/

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selezionandola in particolare per i Giochi olimpici di Barcellona e di Atlanta 274[274]

nonché per una serie di altri importanti tornei 275[275]. La misura aveva raggiunto il

colmo quando per la partecipazione al torneo di Parigi la LBJ le aveva preferito altre

due276[276] atlete, che secondo la ricorrente avevano ottenuto nel corso della stagione

dei risultati meno brillanti dei suoi 277[277] (e conseguentemente non avrebbero dovuto

essere scelte). La Deliège stimava che la sua attività di judoka dovesse essere

considerata una attività economica, e che conseguentemente il diritto comunitario

dovesse offrirle protezione contro questa coartazione ingiustificata della sua libertà

fondamentale di fornire servizi remunerati all’interno della Comunità. Sentendosi

quindi ingiustament e danneggiata nell’esercizio della sua professione, la

ricorrente278[278] aveva deciso (tramite un provvedimento d’urgenza) di mettere in

causa rispetto agli artt.59, 60, 66, 85 e 86 del Trattato (attuali 49, 50, 55 81 e 82) la

limitazione (a suo dire illeci ta), del numero di atleti che potevano essere selezionati

per federazione nazionale in occasione dei tornei, nonché la regola secondo cui solo

le federazioni nazionali potessero autorizzare gli atleti a prendere parte ai tornei

274[274] Conformemente ai criteri di selezione stabiliti dalla federazione internazionale di judo (FIJ), erano qualificati di diritto per questo evento i primi otto atleti classificati negli ultimi campionati del mondo, più un numero di judoka per ogni continente, da determinare sulla base dei risultati individuali nel periodo pre - olimpico. Sarebbero stati presi in considerazione in particolare i tre migliori risultati ottenuti nei tornei di categoria A, sicché impedendo alla signora Deliège di partecipare a que sti importanti incontri le veniva di fatto resa impossibile allo stesso tempo la partecipazione ai Giochi olimpici. 275[275] I tornei appunto di categoria A. 276[276] Se nessun atleta veniva selezionato in una categoria di peso se ne possono iscrivere due u n un’altra, senza però eccedere il limite di sette uomini e di sette donne. 277[277] La LFJ obiettava che la mancata selezione della Deliège era avvenuta per ragioni sia disciplinari (la Deliège era spesso in contrasto con gli allenatori delle federazioni) che sportive ( il Belgio poteva contare nella categoria di peso inferiore ai 52 kg di almeno quattro atlete di altissimo livello). 278[278] Nel corso di questo primo procedimento sommario innanzi al Tribunal de première instance de Namur la ricorrente aveva anche espressamente richiesto che fosse ingiunto alla LFJ e alla LBJ di permetterle di partecipare al torneo di Parigi così come ad ogni torneo individuale al quale avesse voluto partecipare e che venisse sollevata una questione pregiudiziale innanzi all a Corte di Giustizia. Il giudice nazionale respinge la prima parte della domanda, ma vieta alle federazioni di ostacolare la ricorrente nella sua partecipazione alle competizioni.

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individuali di categoria A ( queste norme derivavano dal regolamento dell’UEJ 279[279]).

Il giudice nazionale, giudicando ammissibili le argomentazioni sostenute dalla

ricorrente anche in assenza di una procedura sul fondo della questione (che però si

poteva ragionevolmente presumere la ricorrente avrebbe intentato), decideva con

ordinanza di dar corso alla sua domanda di ottenere una pronuncia pregiudiziale dalla

Corte del Lussemburgo mirante a stabilire:

“Se un regolamento che impone ad uno sportivo professionista, semi -

professionista o candidato a divenire tale, di essere in possesso di una autorizzazione

o di un provvedimento di selezione della propria federazione nazionale per poter

concorrere in una competizione internazionale e che prevede contingenti nazionali di

partecipazione, sia contrario o meno al Trattato di Roma ed in particolare agli

artt.59 - 66 280[280], nonché agli artt.85 e 86 281[281]” (causa C-51/96, procedimento

sommario) 282[282].

Successivamente, la stessa Deliège aveva anche intentato una azione di merito nei

confronti della LFJ, della LBJ e del signor Pacquée, presidente della LBJ, sempre

dinanzi al Tribunal, mirante ad ottenere, tra le altre cose, l’accertamento

dell’illegittimità del sistema di selezione dei judoka per i tornei internazionali posto

in essere dai regolamenti delle due federazioni. A dire della ricorrente queste ultime

279[279] Successivamente questa federazione veniva chiamata a comparire in gi udizio come terzo a cui la causa è comune e come garante. Inoltre veniva chiesto al giudice dell’urgenza di ingiungere a tutti gli organizzatori di tornei di accettare l’iscrizione della ricorrente anche se sprovvista dell’autorizzazione a gareggiare rilas ciata dalla sua federazione nazionale. 280[280] Attuali artt.50 e 55 281[281] Attuali artt.81 e 82 282[282] Secondo M. CASTELLANETA, “Le discipline sportive nell’ordinamento dell’Unione europea” , in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2001, p. 219, la questione presenterebbe un elemento di “novità” rispetto alle altre poste in precedenza, “perché comporta una valutazione dello svolgimento di attività individuali ritenute generalmente amatoriali e quindi escluse da quelle economiche, val utazione da non effettuare in modo complessivo, ma facendo riferimento alle singole prestazioni”.

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avrebbero avuto grazie ad esso un potere tale da “ostacolare il diritto dei judoka alla

libera prestazione dei servizi nonché la loro libertà professionale 283[283]” (causa C-

191/97). Teme ndo la possibilità che la Corte di Lussemburgo rigettasse la questione

pregiudiziale sollevata dal giudice dell’urgenza 284[284], il Tribunal, ritenendo

comunque utile per la soluzione del caso che si svolgeva innanzi ad esso un parere

della Corte, operava an ch’esso un rinvio alla Corte. Il quesito posto era il seguente:

“Se il fatto di imporre ad un atleta professionista, semiprofessionista o candidato ad

una attività professionale o semiprofessionale di essere in possesso di una

autorizzazione della sua fed erazione per poter partecipare ad una competizione

internazionale che non oppone delle squadre nazionali è contrario o meno al

Trattato di Roma ed in particolare agli artt.59, 85 e 86 di questo 285[285]”.

Una delle obiezioni sollevate dalle convenute nella p rima causa riguardava

l’ammissibilità della questione: esse ritenevano che, essendo il judo per sua natura

uno sport dilettantistico, esercitato quindi a livello amatoriale e non dietro

remunerazione 286[286], la Corte di Giustizia non avrebbe potuto pronunci arsi sul caso

di specie, per sua evidente incompetenza rationae materiae . Inoltre, riferendosi

283[283] La ricorrente chiedeva inoltre la proposizione di una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia e il versamento a suo beneficio da parte della LFJ e della LBJ di 30 milioni di franchi belgi a titolo di risarcimento danni. 284[284] Questo perché il giudice a quo aveva finito per rispondere esso stesso alle questioni di cui chiedeva l’interpretazione alla Corte, svuotando così di ogni effetto utile l a pronuncia dell’istanza comunitaria. 285[285] Sulle ordinanze Deliège cfr. N. PARISIS e M. FERNANDEZ SALAS , “Le sportif individuel au regard de l’arrêt Bosman: les ordonnances Deliège” , in Revue du marché unique européen, 1996, n. 1 e la Rivista di diritto sportivo, 1996, p. 655 e ss. , con nota di BASTIANON, “Sport e diritto comunitario: la sfida continua. I casi Deliège e Lehtonen”. Cfr. inoltre BASTIANON S. , “Il judo di nuovo alla conquista della collina del Kirchberg” , in Rivista di diritto sportivo, 1997, p.869 ss. 286[286] La Deliège sosteneva al contrario di esercitare il judo a livello professionistico o quantomeno semi - professionistico. Il giudice nazionale avanzava l’argomento secondo cui, a seguito della recente evoluzione della pratica sportiva, la distinzione tra dilettanti e professionisti si sarebbe attenuata e che quindi sarebbe possibile considerare anche i dilettanti quali soggetti che svolgono una attività economica. Inoltre, la giurisdizione di rinvio metteva in luce il fatto che gli sporti vi di alto livello possono percepire, oltre ai sussidi o agli aiuti, redditi assai più cospicui in ragione della notorietà di cui essi godono, fornendo così delle attività di carattere economico.

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implicitamente alla compatibilità delle regole litigiose con il diritto comunitario della

concorrenza, esse avanzavano l’argomento secondo cui il giudice naziona le non

avrebbe definito in maniera sufficientemente chiara l’ambito di fatto e di diritto in cui

la questione si inseriva, circostanza inammissibile in un settore come quello della

concorrenza, caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse 287[287]. Una

obiezione simile circa la natura sommaria del rinvio operato veniva reiterata anche

nella seconda causa.

La Corte risponde alle obiezioni sulla ammissibilità della subiecta quaestio

rilevando che gli argomenti proposti riguardavano semmai il mer ito delle questioni

sollevate dal giudice nazionale e non la loro ricevibilità (punto 28). Fatte queste

premesse, essa accetta di pronunciarsi sulle questioni relative alla libera prestazione

dei servizi, che del resto hanno una formulazione simile nelle d ue cause; per

converso, non ci sarebbero per il collegio giudicante i presupposti per stabilire quale

fosse il pregiudizio apportato agli scambi dalle regole di selezione contestate (punti

37 e 38).

Ciò premesso, la Corte ripropone in questa sede il prin cipio, cui più volte si è

fatto cenno nel corso del presente lavoro, secondo cui l’esercizio dello sport riguarda

l’ambito di applicazione del diritto comunitario nella misura in cui costituisca una

attività economica ai sensi dell’art.2 del Trattato 288[288] (attuale art.2): ciò non ha

come si vede nulla di rivoluzionario, dato che questa formula è rimasta invariata sin

287[287] Il principio era stato affermato nella sentenza 26 Gennaio 1993, cause riunite da C -320/90 a C-322/90 Telemarsicabruzzo e a ., Raccolta pag. I -393 288[288] Così anche il punto 4 della sentenza Walrave e il punto 73 della sentenza Bosman.

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dalla sentenza Walrave . La Corte riconosce però anche che le attività sportive 289[289],

ed è questo un elemento di novità affermatosi solo con la sentenza Bosman (punto

106), hanno acquisito una rilevanza sociale considerevole nella Comunità, così come

sottolineato dalla dichiarazione sullo sport 290[290] annessa al Trattato di Amsterdam.

In alcune circostanze il diritto comunitario non influisce s ulla organizzazione

sportiva, e questo è sicuramente il caso degli incontri tra rappresentative nazionali

che conservano un interesse esclusivamente sportivo e rimangono pertanto al di fuori

delle regole del Trattato. Ciononostante, come spesso sottolineat o dalla Corte, questa

restrizione della portata del Trattato deve rimanere limitata al suo oggetto proprio e

non può in alcun modo essere estesa fino ad escludere una intera attività dalla sua

sfera di applicazione (punto 43). Richiamati questi principi la suprema istanza

giudiziaria comunitaria differenzia la presente situazione dagli incontri tra squadre

nazionali. Nel caso di specie, infatti, le regole di selezione applicate non fanno che

riservare, per federazione nazionale, la partecipazione a taluni incontri internazionali

di alto livello agli atleti affiliati a queste ultime, indipendentemente dalla loro

cittadinanza. La circostanza che i risultati ottenuti dagli atleti nelle suddette

competizioni saranno poi presi in considerazione per determinare quali nazioni

potranno inviare i loro atleti ai Giochi Olimpici, ad esempio, non può giustificare

l’equiparazione delle due fattispecie. Invero, le regole in causa non si ricollegano

289[289] Il fatto che la Corte metta in risalto la grande importanza sociale dello sport a livello amatoriale e dica allo stesso tempo che lo sport interessa il diritto comunitario solo come attività economica potrebbe essere sintomatico della convinzione della Cor te che sia necessario mantenere distinti i due ambiti. 290[290]Si tratta della dichiarazione n.29, il cui testo recita:“ La conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare l’identità e nel ravvici nare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell’Unione europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardano lo sport. In quest’ottica, un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico”.

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nemmeno ad eventi tra selezioni composte dai soli nazionali dello Stato di origine

della federazione, come le Olimpiadi o le Coppe del mondo, ma si limitano a

riservare la partecipazione a questi eventi ad un certo numero di atleti affiliati alla

federazione in questione, senza alcun riguardo alla loro na zionalità291[291].

Più in dettaglio, la Corte conferma ancora una volta che le disposizioni sulla

libera circolazione delle persone non si applicano solamente a delle norme che

traggono la loro vigenza nell’ordinamento statale, ma stendono i loro effetti an che

alle situazioni simili al caso di specie, in cui misure di diversa natura (privata) sono

dirette a disciplinare in maniera collettiva il lavoro subordinato (punti 47 e 48).

La Corte precisa in seguito che la semplice circostanza che una associazione o

una federazione qualifichino unilateralmente 292[292] come amatori gli atleti iscritti, non

può portare da sola ad escludere che questi ultimi esercitino una attività

economica293[293] ai sensi dell’art.2 CE: ciò dovrà essere piuttosto verificato caso per

caso294[294] (punti 46 e 49). Si dovrà quindi appurare nello specifico se una attività

291[291] La Corte nota inoltre che, una volta selezionati, gli atleti competono per proprio conto, e conclude che gli incontri in parola non costituiscono affatto degli incontri tra squadre nazio nali. La Corte si discosta su questo punto dall’analisi del suo avvocato generale Cosmas. Per quest’ultimo, infatti, i tornei internazionali costituirebbero degli incontri tra squadre nazionali di puro interesse sportivo ad di fuori del Trattato; questa co nclusione viene da egli raggiunta basandosi sul fatto che sono le federazioni nazionali a selezionare gli atleti e che i punti conquistati in questi tornei sono utili al piazzamento della federazione nazionale. La Corte però obietta che gli atleti non devo no necessariamente essere cittadini dello Stato che rappresentano, è sufficiente che abbiano una licenza. 292[292]Vedi sul punto P. DE CATERINI , “Le società sportive nella prospettiva del mercato unico europeo ”, op. cit.. Secondo tale autore, “bisogna guard arsi bene dal cadere nell’errore di credere che alcune determinate attività possano essere considerate volontarie per loro natura o per definizione legale[...]: è ovvio invece che il carattere, volontario o professionale, dell’attività o della singola pres tazione dipenderà dalla natura del rapporto giuridico sottostante, e quindi dall’esistenza, dalla modalità e dalla misura dell’eventuale corrispettivo”. 293[293] A giudizio della Corte (punto 54), se l’avvenimento sportivo non ha solo una importanza puramen te sportiva, nel senso che non costituisce semplicemente il terreno di confronto fra gli atleti, ma presenta un interesse economico proprio, bisogna allora riconoscere che la dimensione economica del fatto sportivo è talmente significativa che questo costituisce una attività economica nel senso dell’art.2. 294[294] La Corte non ha ritenuto di dover escludere, sic et simpliciter , sulla base dei soli regolamenti federali, un intero settore dall’assoggettamento alle regole del Trattato solo perché le federazion i considerano come attività dilettantistica una pratica sportiva.

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come quella svolta dalla signora Deliège possa costituire una attività economica 295[295]

e nella specie, una prestazione di servizi remunerata 296[296].

La signora Deliège non è legata alla sua federazione da nessun contratto di

lavoro, ma ha però ricevuto dei compensi per la sua attività: a questo riguardo la

Corte fa espresso riferimento a dei sussidi assegnati alla ricorrente dalla sua

federazione o dal governo belga in virtù dei risultati sportivi precedentemente ottenuti

nonché ad alcuni contratti di sponsorizzazione da ella stipulati in passato. Se l’attività

della ricorrente, che come si è visto ha ricevuto una qualche forma di contropartita,

debba essere considerata provvi sta di elementi di economicità e se sia assimilabile in

particolare ad una prestazione di servizi ex art. 59 (ora 49) o se si debba invece

propendere per il suo carattere amatoriale, questo sarà stabilito dal giudice nazionale.

La Corte si limita in questa fase a fornire a quest’ultimo alcuni criteri interpretativi:

- in ordine alla nozione di attività economica e di prestazione di servizi ex

artt.2 e 59 (attuali 2 e 49), si deve considerare che queste due norme, definendo la

portata di una delle libertà fondamentali del Trattato non possono essere interpretate 295[295] Anche se generalmente uno sport può presentare un carattere amatoriale, secondo l’Avvocato Generale Cosmas si sarebbe dovuto vedere se l’attività sportiva esercitata presentava la d imensione economica necessaria per essere coperta dal Trattato, a nulla valendo le dichiarazioni delle federazioni sportive. In sostanza, per l’Avvocato Generale non si poteva escludere che, considerata sotto l’angolo del diritto comunitario, la pratica di detta disciplina non potesse essere qualificata in certi casi di attività economica. Cosmas, conclusioni, punto 26. Pertanto, secondo M. CASTELLANETA, “Le discipline sportive…” , op. cit., all’interno di una attività sportiva è possibile individuare una componente economica distinta dall’aspetto sportivo: è proprio tale componente che determina la assoggettabilità dell’attività in oggetto alle regole del Trattato. 296[296] Mentre nelle sentenze Donà e Bosman la Corte ha agevolmente stabilito che gli sportivi in causa esercitavano una attività economica, la questione era molto meno evidente nel caso in esame: nell’ affaire Deliège, come in Walrave la situazione fattuale riveste un carattere ambiguo e di difficile interpretazione Questa circostanza ha portato la Corte e l’avvocato generale ad risolvere il problema attraverso due impostazioni completamente diverse. Mentre per Cosmas il comportamento individuale dello sportivo è considerato irrilevante al fine di determinare la dimensione economica di una attività sportiva, dovendosi esaminare il fatto sportivo in sé, sotto la sua forma oggettiva, per vedere se presenta un interesse economico, la Corte ha invece preferito basarsi sulla situazione particolare dell’attrice, piuttosto che considerare il quadro generale in cui l’attività della Deliège si svolgeva. Per la Corte, se l’attività sportiva di una persona può configurarsi come un lavoro subordinato o come una prestazione di servizi, allora essa costituisce una attività economica ai sensi del trattato e non vi è alcuna necessità di esaminare il contesto sportivo, il quale peraltro potrebbe ancora presentare caratteri prettamente amatoriali. Cfr. sul punto, DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe, op. cit., p. 129.

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restrittivamente 297[297] (punto 52). Sicuramente una prestazione di lavoro subordinato

o una prestazione di servizi retribuita sono attività economiche ai sensi del concet to

assai largo che di questo concetto dà il Trattato.

- le attività sportive, ed in particolare la partecipazione di un atleta di alto

livello ad una competizione internazionale sono per loro natura tali da comportare la

prestazione di servizi diversi, di stinti “ma strettamente connessi, che possono

rientrare nell’ambito di applicazione dell’art.59, anche se taluni di questi servizi non

sono pagati da coloro che ne fruiscono 298[298]”(punto 56).

Supponendo però dice la Corte, che le attività della ricorrent e possano essere

considerate effettivamente come una prestazione di servizi, si dovrà analizzare la

compatibilità delle norme di selezione delle cause principali con le regole del

Trattato nel settore, per stabilire se effettivamente possa parlarsi di una restrizione

della libertà ex art. 59 (punto 60).

A differenza di quanto affermato nella sentenza Bosman, la Corte ritiene che le

norme controverse non determinino le condizioni di accesso degli sportivi

professionisti al mercato del lavoro e che non conte ngano altresì alcuna clausola di

nazionalità che abbia l’effetto di circoscrivere il numero di cittadini dei diversi Stati 297[297] Sentenza 23 Marzo 1982, caus a 53/81, Levin, cit.. La Corte richiama questa sentenza anche per ricordare che le attività economiche in questione devono essere reali ed effettive e non talmente ridotte da potersi configurare come puramente marginali ed accessorie. 298[298] L’ampia interpretazione che secondo la Corte deve essere data alle norme del Trattato (punto 52), porta addirittura il collegio giudicante a non richiedere nemmeno che vi sia una relazione diretta tra la prestazione di servizi e la sua remunerazione perché l’attività di cui trattasi possa essere ricompresa nelle previsioni dell’art. 59 (ora 49). La Corte traduce il suo pensiero in questo esempio: con la loro partecipazione ad una competizione gli atleti hanno la possibilità di esercitare la loro attività agonistica, m a allo stesso tempo permettono al suo organizzatore di dare luogo ad uno spettacolo al quale il pubblico assiste, che le emittenti televisive o radiofoniche trasmettono e che interessano gli sponsor (prestazioni distinte). Oltre a ciò, gli stessi atleti fo rniscono ai loro sponsor una pubblicità che trova il suo fondamento nella attività sportiva. Chi paghi quale prestazione non importa nelle relazioni multilaterali che si instaurano tra sportivi, spettatori, sponsor ed organizzatori: è sufficiente che l’atl eta riceva una qualche forma di guadagno perché si abbia una attività economica ed una libera prestazione di servizi remunerata. Cfr. su questo punto, M. THILL, “La reconnaissance de la spécificité du sport en droit communautaire” , in Europe, Giugno 2000, p. 4. Eliminato: p. 4

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membri che possono prendere parte ad una competizione (punto 61). Benché infatti le

regole di selezione abbiano inevitabilmente l’eff etto di limitare il numero dei

partecipanti ad un torneo, circostanza questa che ha indotto la signora Deliège a

sentirsi discriminata a causa della sua mancata selezione, questa limitazione appare

inerente all’organizzazione di un evento sportivo internaz ionale di alto livello, il

quale necessariamente299[299] deve comportare certe regole di selezione che non

costituiscono una restrizione alla libera circolazione vietata dall’art. 59 (attuale

49)300[300].

Per realizzare un torneo internazionale è infatti comu nque necessario basarsi su

un gran numero di considerazioni, estranee alla situazione personale di un qualsiasi

atleta. Se il sistema di scelta degli atleti adottato può comportare in concreto delle

conseguenze più sfavorevoli per alcuni atleti rispetto ad altri da ciò non si può

dedurre che esso sia restrittivo della libera prestazione di servizi (punto 66).

La Corte conclude il suo ragionamento con delle affermazioni che fanno tirare un

sospiro di sollievo alle federazioni sportive: non solo essa stabili sce che “spetta

naturalmente agli organizzatori dei tornei ed alle federazioni sportive emanare le

norme appropriate ed effettuare la selezione in forza di esse (punto 67), ma riconosce

anche il ruolo importantissimo svolto nell’organizzazione delle divers e discipline

299[299] Le regole di selezione in causa sono quindi considerate dalla Corte come una conditio sine qua non per l’organizzazione dei tornei. 300[300] Punto 64 della sentenza.

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dalle federazioni sportive, le sole ad avere le conoscenze e l’esperienza necessarie per

disciplinare i vari sport (punto 68) 301[301].

Pertanto, se le regole di selezione derivano da necessità sportive legate

all’organizzazione di competizioni internazionali, non si determina una restrizione

vietata dall’art.59 (ora 49) CE.

Data la delicatezza della questione “it was almost written in the stars that the

Court of Justice was not going to rule upon the lawfulness of the selection rules in

relation to the competition rules 302[302]”. Tuttavia, sembrava quasi scontato che le

regole di selezione sarebbero state condannate dalla Corte in quanto discriminatorie,

o quanto meno lesive per esercizio dell’attività sportiva della Deliège, perché

prevedendo delle quote per federazione nazionale facevano sì che delle atlete meno

forti, ma appartenenti ad altre federazioni nazionali potessero essere selezionate al

suo posto303[303]. La situazione equivaleva a quella di un professionista, ad esempio un

architetto, scartato da un impiego a vantaggio di altri professionisti, senza alcun

riguardo alla loro qualifica, ma solo perché questi ultimi erano cittadini di un altro

301[301] Cfr. sul punto, le conclusioni dell’Avvocato Generale Cosmas, secondo cui “le droit d’auto -reglémentation reconnu au sport […] est une valeur protégée par le droit communautaire. Il assure aux institutions sportives le pouvoir de promouvoir une discipline de la façon qu’elles jugent la plus conforme à leurs objectifs, pourvu que leurs choix n’entraînent pas de discrimination ou ne masquent pas la poursuite d’intérêts économiques. Par voie de conséquence logique, nous croyons que toute décisions des institutions sportives ayant pour objec tif ou pour objet exclusif de promouvoir la dimension sociale du sport, au delà de toute intention d’ordre économique, est en principe justifiée, même lorsqu’elle entraîne une restriction aux libertés communautaires. C’est la nécessité de garantir le droit d’auto- réglementation qui s’impose ” . (Punto 87 delle conclusioni ). 302[302] S. VAN DEN BOGAERT , “The Court of justice on the Tatami: Ippon, Waza -Ari or Koka?”, in European Law Review, Ottobre 2000, p554. Secondo tale Autore, se la Corte aveva preferito evitare di inoltrarsi in un territorio così delicato come quello della concorrenza nel caso Bosman (ufficialmente in virtù del principio dell’economia dei mezzi), a maggior ragione avrebbe tenuto un atteggiamento di cautela simile nel caso di specie, poiché qui si mettevano in causa delle pratiche sportive ancora più “sensibili” ed “inerenti” allo sport di quanto non lo fossero quelle calcistiche. E’ singolare che in questa pronuncia, così come er a avvenuto nel caso Bosman, l’avvocato generale avesse deciso di pronunciarsi sulla compatibilità delle regole sportive rispetto alle norme sulla concorrenza. 303[303] In tal senso anche THILL, “La reconnaissance de la spécificité du sport en droit communau taire”, op.cit..

Eliminato: meme lorqu’elle entraine

Eliminato: nécéssité

Eliminato: da’uto-réglementation

Eliminato: (punto

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Stato membro. La Corte ritiene però che il dato che viene qui in rilievo non sia tanto

quello della nazionalità, quanto piuttosto quello della affiliazione alla federazione

nazionale. Se è vero che i due dati molto spesso finiscono nella pratica per

coincidere, ciò non toglie che a livello teorico i due concetti siano separabili.

La parte centrale del ragionamento della Corte è certamente quella mirante a

stabilire se le regole restringono o meno la libertà di prestare servizi all’interno della

Comunità. Per quanto concerne la portata dell’art. 59 (attuale 49) CE, una

giurisprudenza oramai consolidata 304[304] stabilisce che questa disposizione impone

non solo il divieto di ogni discriminazione contro il prestatore in ragione della sua

nazionalità, ma anche l’eliminazione di ogni restrizione 305[305] alla attività

transfrontaliera di questo, anche se derivant e da una norma che si applica senza

distinzione rispetto alla nazionalità del suo destinatario. Nonostante l’accezione assai

ampia di discriminazione o di ostacolo alla libera prestazione di servizi remunerati,

secondo la Corte le regole di selezione non c ondizionerebbero l’accesso di uno

sportivo al mercato del lavoro.

Questa conclusione potrebbe tuttavia essere contestata: sembra ovvio che

limitando il numero di atleti che potranno partecipare a dei tornei di categoria A e

conferendo alle federazioni nazi onali la competenza esclusiva della loro selezione le

norme della federazione europea di judo interessano direttamente e in maniera

sostanziale l’accesso della ricorrente al mercato del lavoro degli altri Stati membri, e

costituiscono per ciò stesso una ba rriera alla libera prestazione di servizi. E’ difficile 304[304] Sentenza 25 Luglio 1991, causa C - 76/90, Sager, Racc. 1991, p. I-4221 305[305] Sono pertanto vietatele normative che impediscono o che anche solo ostacolino o scoraggino un cittadino di uno Stato membro dal recarsi in un altro Stato d ella Comunità per esercitare sul suo territorio una attività economica.

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spiegare le ragioni per cui la Corte abbia deciso di risolvere la questione in tal senso.

Forse questa volta il suo atteggiamento è stato influenzato in maniera troppo pesante

dall’intento di salvagua rdare l’organizzazione dello sport in Europa, che aveva già

colpito in maniera pesante con la sentenza Bosman. Forse la Corte ha voluto

differenziare306[306] il caso che qui ci occupa dalla sua ultima pronuncia reputando che

le regole di trasferimento costit uissero un ostacolo assoluto per quei giocatori il cui

contratto fosse scaduto, nell’accesso al mercato del lavoro degli altri Stati membri

mentre le regole di selezione ai tornei non avrebbero lo stesso effetto su ogni

atleta307[307], anche perché le norme di selezione contestate prevedevano che l’atleta

fosse autorizzato dalla sua federazione nazionale solo per gli incontri di categoria A e

non per tutti i tornei. Si concorda comunque con il parere della Corte secondo cui le

regole di selezione operano una restrizione di minore intensità, e sono d’altronde

molto più necessarie per l’organizzazione delle competizioni sportive di quanto non

lo fossero le norme sui trasferimenti. Ma come si spiega il pregiudizio arrecato agli

atleti dalle quote imposte? E’ fors e nell’interesse degli spettatori e dello spettacolo

sportivo in generale che degli atleti meno qualificati vengano preferiti ad altri più

prestanti, che sono esclusi dalla partecipazione ad un incontro o ad un torneo perché

la federazione nazionale cui so no affiliati ha molti atleti di spicco nella stessa

306[306] Se le regole fossero state giudicate discriminatorie o anche solo di ostacolo alla svolgimento dell’attività professionale dell’atleta esse non avrebbero potuto sfuggire all’int erdizione di discriminazione che a condizione di essere obiettivamente giustificate dalle ragioni previste ex art. 56 CE (attuale 46) o da esigenze imperative di interesse generale, come visto in Bosman. Ma la Corte differenzia la situazione della Deliège da quella di Bosman ed in più stabilisce che le regole sono necessarie e quindi non c’è bisogno di giustificazione. 307[307] Così anche S. VAN DEN BOGAERT , “The Court of justice on the Tatami: Ippon, Waza -Ari or Koka”, op. cit..

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disciplina o categoria? La risposta non può che essere affermativa 308[308]: lo sport ha le

sue regole ed i suoi principi e se, per i più vari motivi, degli atleti molto forti risultino

esclusi da certe competizioni internazionali, mentre altri di livello inferiore possono

accedervi, tale circostanza deve essere accettata come un male minore: le

competizioni internazionali sono tali perché per definizione permettono la

partecipazione di atleti di diversa prov enienza, in maggior numero possibile.

Quale che sia la ragione che l’ha indotta a fare salve le regole di selezione,

questa volta la Corte evita di ripetere l’analisi sulla compatibilità delle norme litigiose

rispetto al diritto comunitario a cui ci avev a abituato in Bosman affermando che

queste non sono discriminatorie. Tuttavia non risulta chiaro se le regole non sono

discriminatorie :

1) perché sono necessarie, e ciò equivarrebbe a trasformare la vecchia procedura in

due tempi :

a) se c’è una restrizione

b) allora si deve controllare se può essere giustificata

308[308] Secondo BASTIANON, “Il diritto comunitario e la libera circolazione degli atleti alla luce di alcuni recenti sviluppi della giurisprudenza” , in Il diritto dell’Unione europea, 1998, p.901, occorre rilevare a tale proposito, che accanto a competizioni di base, in cui tutti i tesserati possono accedere, esistono altre competizioni, di livello più elevato, a cui solo i migliori possono accedere, a seguito di un processo di selezione. Può così accadere che dalle competizioni internazionali, cui possono partecipare solo un certo n umero di atleti per ogni continente, restino esclusi atleti che sono stati eliminati a livello nazionale, ma che avrebbero potuto rivelarsi più forti di altri provenienti da altri Paesi. Ebbene, “tale meccanismo, per quanto singolare, costituisce la regola nello sport, in quanto consente non solo di mantenere una più ampia rappresentatività di tutte le zone geografiche, e dunque, di incentivare la pratica sportiva ovunque allo stesso modo, ma anche di evitare la assurda ed impossibile incombenza di far gare ggiare tutti contro tutti”. Per tale autore “non appare superfluo ricordare che il movimento sportivo si è strutturato sin dalle sue origini in comitati organizzativi nazionali che hanno tutti, nessuno escluso, la possibilità di partecipare alle competizio ni internazionali organizzate dal CIO e dalle federazioni internazionali. Ciò consente il vero internazionalismo dello sport, dove anche atleti provenienti dai Paesi più poveri o emarginati possono aspirare alla ribalta internazionale. Se non ci fossero contingenti nazionali per la partecipazione alle competizioni internazionali, molto semplicemente non esisterebbero i Giochi olimpici, e quindi lo sport internazionale”.

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in un ragionamento onnicomprensivo in cui ci può essere solo una restrizione se non

se ne può fornire una giustificazione 309[309];

2) perché non sono discriminatorie in se stesse, ogni procedimento di selezione

comportando una discriminazione, ed allora ciò comporterebbe l’introduzione

nel diritto comunitario di una sorta di rule of reason di derivazione statunitense

anche nell’ordinamento comunitario.

In ogni caso, affinché la selezione non sia disc riminatoria, è pacifico che i criteri

di scelta debbano rispondere al requisito dell’equità, devono insomma valere per tutti

i gli atleti e devono fondarsi su un gran numero di considerazioni obiettive: non v’è

dubbio che in questo caso la normativa possie da tali caratteristiche.

Invero, è assai singolare che la Corte non si sia curata di ribadire, in ossequio alla

sua giurisprudenza costante, che la libera prestazione dei servizi è una delle libertà

fondamentali previste dal Trattato e richiede che, qualo ra la sua portata dovesse

essere ristretta, il pregiudizio arrecato ai beneficiari del diritto debba essere minimo.

Il collegio giudicante, forse per eccessiva cautela, ha accettato tout court le regole

sportive, senza premurarsi di vedere se un altro sist ema di selezione avrebbe potuto

arrecare un pregiudizio minore agli atleti non selezionati.

Ancora su questa linea giurisprudenziale molto più attenta alle esigenze ed alle

ragioni proprie dello sport si attesta la successiva sentenza resa dalla Corte so lo

309[309] Cfr. sul punto S. VAN DEN BOGAERT , “The Court of justice on the Tatami: Ippon, Wa za-Ari or Koka?” , op. cit..

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alcuni giorni dopo 310[310]. In questo caso, un giocatore di pallacanestro aveva deciso di

contestare le regole sportive che impediscono alle società partecipanti ad un

determinato campionato di schierare in campo atleti, di qualsiasi nazionalità, tesserat i

dopo una certa data.

310[310] A detta di M.THILL, “La reconnaissance de la spécificité … ” , op. cit. , dette sentenze “sans remettre en cause l’arrêt Bosman lui-même, pourraient conforter ceux qui n’ont cessé d ’en souligner les méfaits et réclament l e retour au statu quo ante ”.

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2.8 Causa Lehtonen contro Fédération Royale Belge des Sociétés de Basket -

ball311[311] ( causa C-176/96)312[312].

Jyri Lethonen, giocatore di pallacanestro di nazionalità finlandese, era stato

ingaggiato da una società belga, la Ca stors Canada Dry Namur - Braine ASBL

(Castors Braine), per partecipare alla fase finale 313[313] del campionato belga nella

stagione 1995/1996, ed aveva a tal fine concluso con la società un regolare contratto

il 6 Aprile 1996 314[314].

Tuttavia, dato che ai se nsi del regolamento FIBA 315[315], non era permesso ai

club, in seguito ad una certa data limite 316[316] fissata in relazione alla zona geografica

di appartenenza di questi ultimi, di includere nella formazione da mandare in campo

dei giocatori che avessero g ià militato in un altro Stato appartenente alla medesima

zona durante la stagione in corso, e che il trasferimento in oggetto aveva avuto luogo

solo dopo tale termine ultimo, fissato per il 28 Febbraio, la federazione belga di

311[311] Nel prosieguo FRBSB. 312[312] Sentenza 13 Aprile 2000. Per testo della sentenza della Corte nonché le conclusioni dell’Avvocato Generale Albert, cfr. il sito internet http://curia.eu.int/ 313[313] In Belgio, il campionato maschile di pallacanestro di prima divisione si svolge in due distinte fasi: alla prima partecipano tutte le squadre iscritte al campionato, mentre accedono alla seconda solamente 1) i club che hanno ottenuto i migliori risultati nella fase precedente, e che disputeranno gli incontri denominati “ play- off. ”, per l’assegnazione del titolo nazionale; 2) i peggiori qualificati, in lotta per non retrocedere nella serie inferiore (match detti “ play- out”). 314[314] Il contratto era s tato registrato il 30 Marzo 1996 presso la federazione belga, in seguito al rilascio del certificato internazionale di svincolo emesso dalla federazione d’origine. 315[315] La FIBA è la federazione internazionale di pallacanestro. Il suo regolamento si appli ca integralmente a tutte le federazioni nazionali. 316[316] L’art. 3, lett. c) del detto regolamento prevede, in via generale, che, scaduto il termine fissato per la zona interessata, come definita dalla FIBA, non è consentito alle società, per i campionati nazionali, includere nella loro squadra giocatori che abbiano già giocato in un altro Paese della stessa zona durante la stessa stagione. Per la zona europea, il termine ultimo per la registrazione dei giocatori stranieri è fissato al 28 Febbraio. Dopo ta le data, è ancora possibile il trasferimento di giocatori provenienti da altre zone. I trasferimenti dei giocatori di pallacanestro tra club del Belgio erano possibili solo prima dell’inizio della stagione, ossia tra il 15 Aprile e il 15 Maggio 1995; i gi ocatori dei Paesi terzi potevano essere trasferiti fino al 31 Marzo 1996.

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pallacanestro informava la so cietà, che se la FIBA, non avesse accettato il

trasferimento, rilasciando la licenza all’uopo prevista, il club avrebbe potuto essere

multato, e sarebbe inoltre incorso in ulteriori sanzioni nel caso in cui avesse deciso di

valersi ugualmente dei servigi del Lehtonen.

Nonostante questo avvertimento, la società decise di schierare ugualmente il

giocatore, ma la vittoria che aveva conseguito sul campo le fu commutata in una

sconfitta per forfait, a causa dell’irregolarità nella composizione della sua

formazione. Alla Castors Braine fu ancora comminata una sanzione analoga in

occasione del successivo incontro, questa volta perché il nominativo del giocatore

figurava sul foglio di gara dell’arbitro.

Nell’impossibilità di dare attuazione al contratto, Lehtone n e la Castors Braine

decisero di citare la FRBSB innanzi al Tribunal de première instance di

Bruxelles317[317]. Quest’ultimo, con ordinanza del 23 Aprile 1993, chiedeva alla Corte

di Lussemburgo di stabilire:

“Se siano compatibili con il Trattato di Roma (e specialmente con gli art.6, 48,

85 e 86318[318] le disposizioni regolamentari di una federazione sportiva che vietano

ad una società di schierare in campo per la prima volta un giocatore in una

competizione se esso è st ato ingaggiato dopo una certa data, qualora si tratti di un

giocatore professionista cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea,

317[317] Le parte attrice chiedeva che fosse ingiunto alla FRBSB di annullare la sanzione di forfait e che fosse inoltre vietato di prendere contro la squadra un qualsiasi provvedimen to che potesse impedire di far giocare Lehtonen. A seguito di una transazione le parti hanno convenuto di chiedere congiuntamente un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e di congelare la situazione fino a che la Corte non si fosse pronunciata. 318[318] Attuali artt.12, 39, 81 e 82.

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nonostante le ragioni di carattere sportivo invocate dalle federazioni per giustificare

le dette disposizioni, vale a di re la necessità di non falsare le competizioni”.

Dichiarata l’inammissibilità della parte della questione sottopostale relativa alla

compatibilità delle regole sportive al diritto della concorrenza 319[319], si trattava per la

Corte di stabilire “se gli artt.6 e 48 del Trattato ostino all’applicazione di norme

emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una società di

pallacanestro di schierare in campo, in occasione di partite di campionato nazionale,

giocatori provenienti da altri S tati membri qualora il trasferimento sia avvenuto

dopo una certa data”.

Prima di passare all’analisi approfondita del caso di specie, la Corte ribadisce

ancora una volta i principi cardine che possono rinvenirsi nella sua giurisprudenza in

materia sportiva:

1) tenuto conto degli obiettivi della Comunità, l’esercizio dello sport rileva del

diritto comunitario nella misura in cui possa configurarsi come una attività

economica sensi dell’art.2 del Trattato 320[320];

2) le norme del Trattato in materia di libera circolazione non ostano a normative o

prassi escludano i calciatori (giocatori) stranieri da determinati incontri per motivi

non economici, attinenti al carattere e all’ambito specifici di tali partite e che

319[319] Ancora una volta la Corte evita di pronunciarsi sulla compatibilità delle regole sportive con il diritto della concorrenza. Nel caso di specie essa afferma di non essere stata sufficientemente edotta dal giudice di rinvio per poter fornire indicazioni circa la definizione del mercato o dei mercati di cui trattavasi nella causa principale, e che del resto non avrebbe potuto pronunciarsi utilmente in ordine all’esistenza e all’importanza degli scambi tra Stati memb ri o in ordine possibilità che tali scambi fossero pregiudicati dalle norme relative al trasferimento. 320[320] E’ quindi indispensabile, ai fini dell’inquadramento dell’attività, distinguere tra le prestazioni sportive che possono essere considerate come ec onomiche e quelle che non presentano tale carattere. In tal senso, cfr. M. CASTELLANETA, “Le discipline sportive…” , op. cit..

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quindi hanno natura prettamente sportiva, come è ad esempio, nel caso di incontri

tra le rappresentative nazionali di diversi Paesi;

3) tale eccezione deve rimanere propria al suo oggetto specifico e non può valere

per escludere da tale sfera una intera attività sportiva 321[321].

4) le disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle persone e di

libera prestazione dei servizi non disciplinano solo gli atti delle autorità

pubbliche, ma si estendono anche alle normative di altra natura dirette a

disciplinare col lettivamente il lavoro subordinato e le prestazioni di servizi.

Per quanto riguarda più specificamente le norme del diritto comunitario chiamate

in causa dal ricorrente, la Corte afferma l’impossibilità di una azione in giudizio

basata sul solo mezzo dell’ art. 6 (attuale 12) del Trattato, poiché tale norma, che

sancisce il principio generale del divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità,

tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto

comunitario per le quali il T rattato non stabilisce norme specifiche di non

discriminazione (punto 37). Invero, in subiecta materia la norma specifica esiste, ed è

quella dell’art. 48 (ora 39) CE: occorre quindi verificare se un giocatore di

pallacanestro quale Lehtonen possa esercita re una attività economica ai sensi dell’art.

2 (attuale 2) del Trattato e se in particolare egli possa essere considerato alla stregua

di un lavoratore salariato ai sensi dell’art. 48 (attuale 39) 322[322] .

321[321] Sentenza Donà, punto 14 e 15; Sentenza Bosman, punti 76 e 127 322[322] Naturalmente sarà il giudice di rinvio a verificare, in concreto, se in relazione al caso di specie possa configurarsi la fattispecie contemplata dell’art.48 (attuale 39) del Trattato. Invero, alla Corte spetta però il compito di fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi utili per formu lare il suo giudizio.

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Per quanto concerne le nozioni di attività economic a e di lavoratore, ai sensi

rispettivamente degli artt.2 e 48 del Trattato, conformemente ad una consolidata

giurisprudenza della Corte è pacifico che esse non possono essere interpretate in

maniera restrittiva (punto 42). Invero, la nozione di lavoratore ha portata comunitaria

e deve essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro

sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate.

Nel caso in esame, non sussistono particolari dubbi sul fatto che Lehtonen sia un

lavoratore. Invero, sia l’ordinanza di rinvio, che definisce lo definisce “giocatore

professionista di pallacanestro”, sia la circostanza che egli abbia risposto ad una

offerta effettiva di lavoro lo confermano.

Ammesso che Lehtonen deve essere qualificato come un lavoratore ai sensi

dell’art. 48 (ora 39) del Trattato, occorre accertare se le norme relative ai termini di

trasferimento costituiscono un ostacolo vietato alla sua libera circolazione 323[323]. Se è

vero che ai giocatori provenie nti da una società di pallacanestro affiliata alla

federazione belga si applicano termini di trasferimento più rigorosi, è invero pacifico

che tali norme siano comunque idonee a limitare la libera circolazione dei giocatori

che vogliono svolgere la loro at tività in un altro Stato membro, “poiché impediscono

alle società belghe di schierare in campo, nelle partite di campionato, giocatori di

323[323] Le norme non sono infatti discriminatorie in ragione della nazionalità. Invero, gli sportivi comunitari ed in generale europei sono avvantaggiati rispetto ai nazionali, per i quali i termini di trasferimento sono anche più res trittivi. Alla medesima conclusione giunge l’Avvocato generale. Comunque, dato che la questione non riguardava affatto il trasferimento di giocatori all’interno della lega belga non era necessario soffermarsi oltre sul problema. Così la Corte prosegue il suo ragionamento affermando che comunque le regole, benché non discriminatorie, costituivano un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Secondo DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , op. cit., p. 574, in questa maniera la Corte avreb be “évité de rechercher une discrimination qui aurait été relativement épineuse à démontrer et qui aurait présenté le ri sque de ne pas couvrir toutes les situations appréhendées par les règles sur les délais de transfert. Le souci d’éviter que de tel les réglementations puissent échapper à l’application du droit communautaire apparaît ainsi de nouveau clairement”.

Eliminato: “evité

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pallacanestro provenienti da altri Stati membri, qualora essi siano stati ingaggiati

dopo una certa data 324[324]. Dette norme costituiscono un ostacolo alla libera

circolazione dei lavoratori”. (punto 49).

Sebbene il limite temporale contestato non riguardi l’ingaggio dei giocatori, che

non è limitato, ma solamente la possibilità per le società cui i giocatori sono legati, di

farli scendere in campo nelle partite ufficiali, ciò non toglie che comunque le norme

controverse arrechino un pregiudizio ai giocatori. “Poiché la partecipazione a tali

incontri costituisce l’oggetto essenziale dell’attività di un calciatore professio nista, è

evidente che una norma che limiti detta partecipazione incide anche sulle possibilità

di ingaggio del giocatore interessato 325[325]”.

Stabilita l’esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, la Corte

prosegue la sua analisi giu ridica cercando di vedere se le norme contestate possano

comunque essere giustificate alla luce di interessi imperativi di carattere

generale326[326]. A detta delle federazioni e dei governi intervenuti nel procedimento le

norme sarebbero giustificate da mo tivi non economici, attinenti unicamente allo

sport in sé e per sé e quindi estranei al diritto comunitario. La Corte, continuando

sulla linea di tendenza inaugurata nella sentenza Deliège, è pronta anche in questo

caso a riconoscere, sebbene in maniera no n del tutto piena, il fondamento delle regole

poste in essere dalle federazioni sportive per regolare la disciplina cui sono preposte.

324[324] Sebbene il periodo sia forse concepito in maniera un po’ macchinosa da parte della Corte questa frase deve intendersi: poiché le squ adre non possono utilizzare giocatori provenienti da altri Paesi europei dopo una certa data, tale circostanza si risolve in una limitazione delle possibilità di ingaggio dei giocatori stessi, dato che le società, durante il periodo in cui i trasferimenti non sono ammessi, non andranno in cerca di altri giocatori. 325[325] Punto 50. Cfr. anche la sentenza Bosman, punto 120. 326[326] Questo procedimento era stato seguito dalla Corte nell’ affaire Bosman. Al contrario, nella sentenza sulla causa Deliège, la Corte aveva ritenuto di dover agire in tal senso.

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Essa afferma esplicitamente infatti che “[..] si deve riconoscere che la fissazione di

termini per i trasferimenti dei gi ocatori può rispondere all’obiettivo di assicurare la

regolarità delle competizioni sportive 327[327]. In effetti, trasferimenti tardivi potrebbero

modificare sensibilmente il valore sportivo dell’una o dell’altra squadra nel corso del

campionato, rimettendo così in discussione la comparabilità dei risultati tra le diverse

squadre impegnate in tale campionato e, di conseguenza, il regolare svolgimento

campionato nel suo insieme 328[328]”. (Punto 54 della sentenza).

Invero, il rischio di una simile rimessa in dis cussione delle forze in campo era

particolarmente evidente nel caso di una competizione sportiva come il campionato

belga, che si svolge in due fasi 329[329]. In effetti, le squadre ammesse a partecipare ai

play- off o chiamate a disputare le partite per i play- out “potrebbero approfittare di

trasferimenti tardivi per rafforzare i propri effettivi in vista della fase finale del

327[327] Per BASTIANON, “Il diritto comunitario e la libera circolazione degli atleti alla luce di alcuni recenti sviluppi della giurisprudenza” , op. cit., “l’assurdità di ritenere incompatibili con il diritto comunitario siffatti limiti emerge con carica dirompente se solo si riflette su cosa potrebbe accadere se questi limiti temporali non esistessero: nel basket, invero, le squadre impegnate nei c. d. play -off sarebbero legittimate ad ingaggiare i migliori g iocatori, nazionali e/o stranieri, appartenenti a squadre escluse dalla fase finale del campionato (e per i quali, pertanto, la stagione è terminata anticipatamente) al fine di schierare una sorta di dream team in grado di assicurare una più elevata probab ilità di successo”. 328[328] La FRBSB avanzava ugualmente l’argomento secondo cui i termini di trasferimento fossero necessari per garantire un certa “etica sportiva”. Essa faceva valere che, in analogia alle competizioni individuali, la vittoria nelle competizioni per squadra dovesse riflettere le prestazioni delle partecipanti durante l’intero svolgimento della manifestazione sportiva. Per questa ragione, modificare la competizione delle squadre in corso di stagione poteva rivelarsi nocivo per lo sport. L a Corte non si pronuncia su tale argomento, ma per l’Avvocato Generale, avendo riguardo alla natura collettiva della squadra, ed alla natura composta della prestazione, doveva considerarsi che tale obiettivo non poteva realizzarsi che parzialmente. Tuttavi a, egli riteneva che comunque il diritto comunitario dovesse riconoscere la legittimità delle regole organizzative poste dalle federazioni sportive, avendo a mente che “le sport se distingue de la plupart des autres domaines d’application des libertés fond amentales, par le fait que, en principe, il ne saurait exister sans règles constitutives “ (punto 68). Tradizionalmente infatti, gli sportivi organizzavano essi stessi la loro disciplina senza attendere che lo Stato intervenisse con proprie regole: tale au toregolamentazione era in principio accettabile e trovava la sua giustificazione nella libertà di associazione, “principe de droit communautaire que l’on retrouve également sous la même forme à l’article 11 de la Convention européenne des droits de l’homm e”. Pertanto, la necessità di regole in materia sportiva “ constitue en soi un objectif digne de protection en principe reconnu par le droit communautaire[ .. ]. Cfr. conclusioni dell’Avvocato generale Albert, punto 69, all’indirizzo http://curia.eu.int/ 329[329] Secondo l’ Avvocato Generale, al contrario, la possibilità di rinnovare la “rosa” dei giocatori era in principio un fattore pro- concorrenziale, poiché le squadre più deboli avrebbero avuto la possibilità di colmare il divario che le separava da quelle più forti. Tale possibilità appariva in effetti come la condizione necessaria affinché le compagini inizialmente più deboli potessero riportare la vittoria in incontri che le opponevano a delle squadre più forti, favorendo i n tal modo l’incertezza del risultato. Cfr. Albert, conclusioni sul caso Lehtonen, cit..

Eliminato:

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campionato, o persino in occasione di un unico incontro decisivo”. Sebbene la Corte

abbia riconosciuto l’importanza delle regole spor tive contestate, tuttavia essa ritiene

che le misure adottate dalle federazioni per garantire il regolare svolgimento delle

competizioni configurino una disciplina “eccedente” quanto necessario per

conseguire lo scopo perseguito (punto 58). Particolare per plessità suscita in

particolare il fatto che da quanto emerge nella causa a qua i giocatori extra - europei

sono trasferibili sino al 31 marzo. In effetti, nessuna spiegazione era stata fornita

circa i soverchi rischi che per il regolare svolgimento delle c ompetizioni avrebbe

comportato il trasferimento, tra il 28 Febbraio e il 31 Marzo di un giocatore

proveniente da una federazione appartenente alla zona europea rispetto al

trasferimento, durante lo stesso periodo, di un giocatore proveniente da una

federazione non appartenente a detta zona 330[330].

Spetta tuttavia al giudice nazionale “verificare in che misura ragioni obiettive,

attinenti unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la

situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona

europea e quella dei giocatori provenienti da una federazione non appartenente a

detta zona, giustifichi una simile disparità di trattamento”.

In sintesi, l’art.48 (ora 39) osta all’applicazione di norme emanate in uno Stato

membro da associazioni sportive che vietino ad una società di pallacanestro di

330[330] Secondo l’Avvocato Generale, “il n’existe pas de méthode plus douce pour atteindre dans l’exacte mesure souhaitée l’objectif recherché par le règlement - en l’occurrence, la traduction dans les faits du parallélisme théorique entre le sport individuels et le sports co llectifs-. Ce qui importe, par conséquent, c’est le caractère proportionné de la règle constitutive par rapport à l’atteinte qui est portée à la liberté fondamentale”(punto 70). Analizzando la normativa controversa Albert arriva alla conclusione che si tra tti nel caso di specie di una “ restriction ostensible à l’accès de l’emploi puisque cet accès est barré aux sportifs en provenance des autres Etats membres, à certaines époques”(punto 71).

Eliminato: r

Eliminato: l’acces

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schierare in campo dei giocatori provenienti da altri Stati membri, trasferiti dopo una

certa data, qualora tale data sia precedente a quella che si applica ai trasferimenti di

giocatori provenienti da Paesi extra - europei, “a meno che ragioni obiettive, attinenti

unicamente allo sport in sé e per sé o relative alle differenze esistenti tra la situazione

dei giocatori proven ienti da una federazione appartenente alla zona europea e quella

dei giocatori provenienti da una federazione che non appartiene alla detta zona, non

giustifichino una simile disparità di trattamento 331[331]” (punto 60).

Il caso Lethtonen conferma pienamente quella nuova linea di tendenza, quel

revirement giurisprudenziale cui si accennava supra, e che ha portato la Corte a

riconoscere sempre più la validità delle regole emanate in un settore atipico, quello

dello sport, cui le regole dell’integrazione so vranazionale e del mercato non possono

essere trasposte sic et simpliciter 332[332]. Invero, le conclusioni della Corte vanno,

anche in questa caso, in massima parte verso il riconoscimento delle ragioni delle

federazioni sportive 333[333], le cui regole sono riconosciute necessarie per lo

331[331]Per l’Avvocato Generale le regole controverse “ peuvent être justifiées par des raisons intéressant le sport, relevant de l’intérêt général, et sont par conséquent, compatibles avec l’article 48 [..] à la condition que cette date soit fixée [..]de telle sorte que les compétition sportive ne soient pas faussées et [..] a condition que ce délai ne soit pas plus bref que celui qui est applicable aux sportifs professionnels ayant joué auparavant dans les Pays tiers.(punto 115) 332[332] Cfr. sulla causa Lehtonen, il parere espresso da S. BASTIANON, “Il diritto comunitario e…”, op. cit., prima che la Corte rendesse la sentenza nel caso in oggetto. Secondo tale autore, “ancor più che nella vicenda Deliège le questioni sottoposte ali giudici di Lussemburgo sembrano dettate più da una furia iconoclasta che, sulla scia dell’entusiasmo suscitato dalla sentenza Bosman, vorrebbe eliminare d’emblée ogni normativa federale che possa, anche solo apparentemente, porsi in contrasto con il principio della libertà di associazione degli sportivi, che non da una attenta valutazione degli opposti, ma pur sempre legittimi, interessi dello sport e del diritto”. Ad esempio, se fosse stata dichiarata l’inammissibilità delle regole in esame rispetto al diritto comunitario, la vittoria in esame nel campionato non sarebbe più dipesa dal la squadra, intesa come l’insieme dei giocatori e dell’allenatore, “bensì dalla società che, in virtù della propria forza economica, è anche all’ultimo momento in grado di accaparrarsi i migliori giocatori sul mercato”. 333[333] Secondo M. THILL, “La reconnaissance de la … ” , op. cit., la Corte “fait état d’un certain nombre de considération qui laissent indubitablement entrevoir une large compréhension pour les préoccupations, liées au sport, qui ont présidé à l’introduction des règles soumises à son appré ciation” .

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svolgimento della disciplina che organizzano ed in principio degne di protezione alla

luce del diritto comunitario. Così, si ammette che i termini di trasferimento, sono

delle regole riguardanti unicamente lo sport 334[334], che, benché in principio

sottoponibili all’esame di compatibilità con il diritto comunitario, non sono contrari

alle prescrizioni imperative di cui all’art. 48 (39 attuale) del Trattato 335[335].

334[334] Nel caso in esame, i limiti temporali di cui si discute non sono diretti a tutelare interessi economici, ma solo esigenze di natura meramente sportiva. In tal senso, S. BASTIANON, “Il diritto comunitario e…”, op. cit.. 335[335] Non è che quando i trasferimenti sono scaglionati che la loro proporzionalità è messa in dubbio.

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CAPITOLO III

La libera circolazione degli sportivi non comunitari

Premessa

Nel precedente capitolo, si è cercato di illustrare i principi generali propri alla

libera circolazione degli sportivi, cittadini di uno degli Stati membri, all’interno della

Comunità, e si è visto come, soprattutto grazie all’azione della Corte di giustizia, si

sia arrivati al riconoscimento del principio secondo cui “lorsqu’ils souhaitent se

rendre dans un autre Etat membre, pour y exercer un métier, les sportifs

professionnels sont, au même titre que les autres pr ofessionnels, protégés par les

dispositions du Traité relatives à la libre circulation des personnes 336[336]”. Dette

disposizioni hanno come obiettivo sia quello di impedire che delle misure (quale che

sia la loro natura 337[337]) poste in essere nel territorio dello Stato di accoglienza

restringano la possibilità dei lavoratori, e conseguentemente degli sportivi in quanto

lavoratori (subordinati o autonomi), di accedere liberamente al mercato del lavoro, sia

di fare in modo che questi soggetti siano trattati al la stregua dei nazionali per quanto

riguarda le condizioni di impiego, l’impiego ed il licenziamento.

Tuttavia, insieme agli sportivi comunitari, tantissimi altri atleti, cittadini di un

Paese terzo, ossia non membro, militano nei vari campionati sportivi nazionali a tutti

i livelli, o gareggiano individualmente all’interno della Comunità, e come i primi, in

un modo o nell’altro, potrebbero essere ostacolati nell’esercizio della loro attività 336[336] Vedi sul punto, J. P. DUBEY , La libre circulation des sportifs en Europe, cit.. 337[337] Cfr. sul punto la sentenza Walrave, cit., cap. II

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professionale, indipendente o subordinata. Invero, in base a qua nto esposto nel primo

capitolo dovrebbe concludersi che, mentre ai nazionali di uno Stato membro sarebbe

comunque riconosciuta la possibilità di poter agire innanzi al giudice nazionale per

invocare le norme del Trattato contro una eventuale lesione dei lo ro diritti di libera

circolazione, una tale eventualità non sarebbe prospettabile per i non comunitari, non

essendo la normativa sulla libera circolazione delle persone applicabile a questi

soggetti338[338], in quanto cittadini339[339] di un Paese terzo 340[340].

Tale affermazione deve però essere temperata, dato che nonostante quanto

precede vi sono tre casi in cui dei diritti di movimento sono concessi o si estendono

anche ai cittadini extracomunitari 341[341]:

1) in via indiretta e a determinate condizioni, il co ngiunto342[342] e i figli minori di

21 anni (se a carico) di un cittadino comunitario che eserciti sul territorio di uno

338[338] Secondo H. RANNOU, “La citoyenneté européenne et l’immigration” , in Revue des affaires européennes, 2000, p.38, lo straniero non comunitario sarebbe stato una “vittima” della nascita del progressivo affermarsi dell’idea di cittadinanza europea e della conseguente reazione protezionistica degli Stati, “que, en quelque sorte, échaudés par la politisation progressive des droits initialement économiques des travailleurs communautairs, n’ont pas souhaité céder leur souveraineté en ce qui concerne l’étranger tiers”. 339[339] Sebbene lo scopo enunciato dalle norme di principio del Trattato sia quello di realizzare un mercato unico di ampiezza comunitaria, da realizzarsi attraverso la migliore allocazione possibile dei vari fattori di produzione “nell’insieme della Comunit à”(art.2 CE) e “fra gli Stati membri” (art.3c), si è visto che le norme più specifiche sulla libera circolazione delle persone contenute nel titolo III del Trattato si riferiscono ai soli soggetti in possesso dello status civitatis di uno Stato membro del l’Unione. Giova ricordare che in seguito al Trattato di Amsterdam, il domicilio o la residenza hanno attenuato l’importanza del criterio della cittadinanza, lasciando spazio a “criteri oggettivi e fattuali che individuano il collegamento stretto e più inte nso attraverso la localizzazione o l’insediamento della persona, il luogo ove esercita un’attività o comunque il centro dei suoi interessi”. In tali termini, B. NASCIMBENE , “L’Unione europea e i diritti dei cittadini Paesi terzi” , in Il Trattato di Amsterd am, estratto dalla rivista Il diritto dell’Unione europea, autori vari, Milano, 1999. 340[340] Invero, benché non beneficino dei diritti del cittadino comunitario, anche ai soggetti non comunitari si rivolgono i diritti fondamentali degli individui e x. Art. 6 del Trattato sull’Unione europea (consolidato). Per NASCIMBENE, “L’Unione europea e i diritti dei cittadini Paesi terzi” , cit., è comunque plausibile prevedere che la contrapposizione tra comunitario- cittadino di un Paese terzo andrà attenuandos i nel futuro, anche grazie alla comunitarizzazione progressiva della libertà di circolazione dello straniero terzo. A titolo esemplificativo, si noti che tale processo concerne i visti, l’asilo, l’attraversamento delle frontiere interne ed esterne, l’immig razione, la disciplina delle situazioni di emergenza determinate da flussi migratori, materie inserite nel titolo IV del Trattato CE. 341[341] Cfr. sul punto, L. NYSSEN e X. DENOEL , “La situation des ressortissants des Pays tiers à la suite de l’arrêt Bosman”, in Revue du marché unique européen, 1996 n.1, p. 119 ss.

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Stato membro una attività salariata o a carattere indipendente, hanno, come è noto,

il diritto di accedere ad una qualsiasi attività salariata sull’insieme del territorio di

tale stesso Stato membro secondo quanto previsto dall’art. 11 del regolamento

1612/68 CEE;

2) grazie alle norme sulla concorrenza, dato che sotto l’ottica del diritto comunitario

antitrust la nazionalità delle persone lese da comportamenti anticoncorrenziali

delle imprese “importe peu”343[343];

3) in forza delle disposizioni contenute in accordi conclusi dalla Comunità con

Stati terzi, sempre che tali norme prevedano simili diritti.

342[342] Cfr. sulla nozione di coniuge, cap. I. 343[343] Così L. NYSSEN e X. DENOEL, “La situation des ressortissants des Pays tiers à la suite de l’arrêt Bosman” , cit..

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3.1 Il regolamento 1612/68

Per quanto riguarda il primo profilo, si ricorderà in base a quanto detto nel primo

capitolo, che la protezione offerta al non comunitario non è che parziale. E’ bensì

vero che la norma in commento si applica al cittadino terzo quale che sia la

nazionalità di quest’ultimo (a differenza di quello che si dirà per quanto concerne la

fattispecie contemplata al punto 3 344[344]), ma allo stesso tempo le condizioni di

applicazione previste sono assai restrittive 345[345]. Innanzitutto il cittadino dello Stato

terzo deve essere il congiunto o il figlio di un cittadino comunitario che abbia

esercitato il suo diritto alla libera circolazione in qualità di lavoratore in uno Stato

membro della comunità diverso da quello di provenienza 346[346]. Inoltre, la libertà di

movimento non concerne che lo Stato membro in cui il cittadino comunitario eserciti

legalmente la sua professione, e non è dunque un diritto di movimento a carattere

generale sull’insieme della Comunità.

344[344] Un ulteriore vantaggio di tale predisposizione normativa rispetto alla terza è che in questo caso l’effetto diretto della norma è pacifico e non deve invece essere provato. 345[345] Cfr. sul punto, L. NYSSEN e X. DENOEL, “La situation des ressortissants des Pays tiers à la sui te de l’arrêt Bosman”, op. cit.. 346[346] Vedi sul punto C. RODIER, “Situation des membre de famille n’ayant pas eux mêmes la nationalité d’un Etat membre”, in Trente ans de libre circulation des travailleurs , Parigi, 1998, p. 160 ss .

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3.2 Le regole di concorrenza 347[347]

Come anticipato, la nazional ità delle persone che sono danneggiate da un

comportamento anticoncorrenziale delle imprese non è affatto determinante. Invero,

il dato che rileva sotto questo profilo è quello della territorialità: è sufficiente che gli

scambi intracomunitari siano falsat i a causa di un atto o di un fatto giuridico

restrittivo, ai sensi dell’art. 81 CE, o abusivo, ex. art.82 CE, da parte delle imprese

che operano sul mercato rilevante, affinché vi sia violazione del diritto comunitario.

Inoltre, la eventuale declaratoria d i incompatibilità con il diritto comunitario della

norma o prassi contestata, oltre a spiegare i propri effetti rationae personae rispetto a

tutti i soggetti lesi, indipendentemente dalla loro nazionalità, interesserebbe rationae

loci ogni rapporto giuridi co localizzabile sul territorio della Comunità e quindi

verrebbe a ricomprendere non solo le fattispecie aventi carattere transfrontaliero

intracomunitario, ma altresì quelle nazionali 348[348].

347[347] Considerato il tema della trattazione tale particolare profilo sarà solamente accennato. 348[348] Sul punto, si rimanda a quanto detto a proposito della causa Bosman, citata. In particolare si vedano le conclusioni dell’Avvocato Generale Lenz illustrate a l capitolo II.

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3.3 Gli accordi conclusi dalla Comunità con Paesi terzi

Una terza possibilità in virtù della quale dei diritti sono conferiti a cittadini terzi

risiede nelle eventuali garanzie che accordi internazionali possono concedere a detti

soggetti, contemplando dei diritti dal contenuto simile a quelli previsti nel Trattat o

CE a vantaggio dei cittadini di uno Stato membro 349[349].

Il Trattato conferisce espressamente 350[350] alla Comunità sia il potere di stipulare

accordi tariffari e commerciali (nel quadro dell’art. 133 CE), sia quello di concludere

accordi di associazione ( o di cooperazione) con uno o più Stati terzi o con

Organizzazioni internazionali ( art. 310 CE). 351[351]

349[349] Come è noto, secondo una giurisprudenza oramai consolidata della Corte di giustizia, gli accordi internazionali conclusi dalla Comunità con i Paesi terzi “fanno parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario”. Cfr la sentenza 30 Aprile 1974, causa 181/73, Haegemann , Racc. p. 449. 350[350] Sul punto, cfr. U. DRAETTA, Principi di diritto delle Organizzazioni internazionali , Milano, 1998, p.129. Secondo l’Autore, a tali disposizioni statutarie deve essere attribuito un valore sol o nell’ambito dei rapporti tra Organizzazione internazionale e Stati membri. In altre parole, con il prevedere espressamente nello statuto che l’Organizzazione possa stipulare determinati accordi, gli Stati membri estendono all’area dei rapporti internazio nali (rispetto alla Organizzazione, l’aggiunta è nostra) la collaborazione che essi intendono instaurare con la costituzione dell’Organizzazione, accettando le limitazioni di sovranità che dall’esercizio di tale facoltà da parte dell’Organizzazione eventualmente derivino. Come è noto invero, tali previsioni non sono né necessarie né sufficienti perché le Organizzazioni internazionali possano stipulare accordi internazionali. 351[351] Per quanto concerne tale profilo, dopo una prima fase in cui si riteneva ch e in settori diversi da quelli previsti nel Trattato la Comunità non fosse competente, o dovesse altrimenti condividere con gli Stati membri la competenza a concludere accordi internazionali, al giorno d’oggi la dottrina è giunta ad ammettere che, in forza del principio del parallelismo delle competenze interne ed esterne posto dalla Corte di Lussemburgo, la Comunità possa intrattenere rapporti contrattuali autonomi con i Paesi terzi nell’insieme dei settori disciplinati dal Trattato. Inoltre, la Comunità h a non solo la capacità di stipulare tutti gli accordi finalizzati al raggiungimento di uno scopo del Trattato, ma è altresì abilitata ad agire anche nel caso in cui la competenza non le sia espressamente attribuita, potendo risultare dal complesso delle disposizioni del Trattato o da atti adottati dalle istituzioni. In ultimo, per esigenze di completezza si ricorda che, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, quando la Comunità ha adottato norme comuni sul piano interno, il potere d i contrarre obbligazioni con Stati terzi che incidano sugli stessi settori si accentra a livello comunitario. Per maggiori approfondimenti, vedi TESAURO, Diritto comunitario , op. cit..

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L’Unione europea ha firmato accordi con Stati terzi dislocati sui cinque continenti, ed

in particolare associazione e di cooperazione con una ventina d i Stati: dell’Europa

dell’est (Stati PECO 352[352]), del Magreb e dell’ex Unione sovietica.

Invero, mentre gli accordi del primo tipo non sono rilevanti ai fini della

presente trattazione, non prevedendo altro che un libero scambio di merci o una

forma di cooperazione tecnica o di aiuto allo sviluppo, solo i secondi saranno oggetto

di studio, dato che contengono delle disposizioni sulla libera circolazione delle

persone, sulla libertà di stabilimento o di prestazione di servizi 353[353]. Molto spesso

quest’ultima circostanza si produce allorché gli accordi costituiscono i prodromi di un

futuro allargamento 354[354], oppure in ragione dei legami privilegiati che possono

esistere tra uno Stato membro ed uno Stato terzo 355[355]. Le modalità di esercizio della

competenza in commento sono disciplinate dall’art. 300 CE (ex art. 228), norma che

regola la conclusione di accordi tra la Comunità ed uno o più Stati terzi o una

Organizzazione internazionale.

La procedura contemplata da tale disposizione prevede un certo numero d i

condizioni di applicazione quali l’avviso (che deve essere conforme se gli accordi

sono di associazione o se creano un quadro istituzionale specifico o hanno

352[352] Sono Stati PECO l’Ungheria, la Polonia, la Romania, la Bulgar ia, la Repubblica ceca e la Repubblica slovacca. 353[353] Cfr. sul punto, L. IDOT, “Libre circulation des travailleurs et accords de coopération ou d’association” , in Trente ans de libre circulation des travailleurs , Bonnechère (a cura di), Parigi, 1998. In genere tali accordi garantiscono solamente un trattamento non discriminatorio rispetto ai nazionali dello Stato membro di accoglienza in materia di remunerazione, condizioni di impiego e di licenziamento, e non un libero accesso al mercato del lavoro. Sul punto, cfr. L. NYSSEN e X. DENOEL, “La situation des ressortissants des Pays tiers à la suite de l’arrêt Bosman”, op. cit.. 354[354] Proprio nella prospettiva dell’allargamento sono stati conclusi gli accordi con sei Paesi dell’Europa centrale ed orientale Cfr. sul punto anche l’accordo sullo Spazio Economico Europeo, concepito inizialmente in quest’ottica, ed il cui dispositivo “est le plus complet puisque sont intégralement applicables les solutions communautaires”. In tali termini L. IDOT, “Libre circulation des travailleurs et accords de coopération ou d’association ”, op. cit.. 355[355] Generalmente gli obiettivi che questa seconda categoria di accordi mira a raggiungere sono più limitati rispetto alla prima. L’eccezione è costituita dal Trattato di associ azione CEE/Turchia.

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ripercussioni finanziarie notevoli per la Comunità) del Parlamento europeo, e il

placet 356[356]della Corte di Giustizia. L’accordo viene approvato dal Consiglio a

maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Tuttavia, se l’esercizio della

corrispondente competenza interna lo preveda o se si tratta di un accordo si

associazione è richiesta l’ unanimità.

Invero, anche qualora gli accordi in parola prevedano norme riguardanti la libera

circolazione dei lavoratori, affinché i cittadini di un Paese terzo con cui la Comunità

ha stipulato un accordo possano beneficiare dei detti diritti è comunque n ecessario

che le disposizioni pertinenti abbiano un effetto diretto (o che comunque un tale

effetto sia loro riconosciuto). Come è noto, secondo i criteri interpretativi resi oramai

celebri da una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, una norma del

Trattato è provvista di effetto diretto allorché, avuto riguardo ai suoi termini, essa

comporta un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato per la sua esecuzione o

nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto posteriore di interpretazione o di

attuazione357[357]. In aggiunta a tali requisiti, una norma contenuta in un accordo

concluso dalla Comunità con un Paese terzo 358[358] o con una Organizzazione

internazionale è provvista di un effetto diretto solo se così indica la natura

dell’accordo unitame nte al suo oggetto 359[359].

356[356] Tale parere favorevole della Corte è necessario per stabilire la compatibilità del costituendo accordo con l’ordine giuridico comunitario. Se la Corte si pronunciasse negativamente, allora l’accordo o il Trattato CE dovrebber o essere modificati. 357[357] Cfr. p.15, nota 51. 358[358] Già sin dalla sentenza 9 Febbraio 1982, causa 270/80, Polydor, Racc. p.329, la Corte di Giustizia aveva posto il principio secondo cui “ la similitude des termes entre les dispositions d’un accord et celles du Traité CEE ne constitue pas une raison suffisante pour transposer au système de l’accord la jurisprudence de la Cour en la matière”: riportato in L. NYSSEN e X. DENOEL, “La situation des ressortissants des Pays tiers à la suite de l’arrêt Bosman”, op. cit.. 359[359] Una chiara sintesi delle condizioni alle quali una norma di un accordo di associazione può vedersi riconoscere un effetto diretto ci è fornita dall’avvocato generale Darmon al punto 18 delle sue conclus ioni nella causa 12/86 Démirel

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Tutti gli accordi che contengono un capitolo sui lavoratori salariati pongono il

principio della non discriminazione nelle condizioni di lavoro, di remunerazione e di

licenziamento360[360]. Tale principio non ha comunque un ambito di applicazione

illimitata, poiché mentre negli accordi più datati esso interessava i lavoratori occupati

nello Stato membro, adesso è oramai riservato ai soli lavoratori legalmente impiegati

nello Stato membro di accoglienza 361[361], così che i lavoratori (e gli sportivi) che non

possiedano tale status sono non possono beneficiare della norma in commento 362[362].

Invero, per quanto concerne l’accesso all’impiego, le istituzioni comunitarie si

sono mostrate molto prudenti al riguardo, poiché quasi tutti gli a ccordi non dicono

nulla al riguardo; inserendo anzi il problema in parola nel contesto storico in cui detti

accordi sono stati stipulati, una spiegazione di tale circostanza potrà rinvenirsi nel

fatto che sovente gli Stati membri tendevano a mantenere una attitudine assai ostile

nei confronti dello straniero terzo 363[363]. Solo le relazioni con i PECO e con la

(sentenza 30 Settembre 1987, Racc. p. 3719). Secondo Darmon, “il résulte de votre jurisprudence que, pour reconnaître à un accord externe un effet direct, vous recherchez, comme pour l’application des normes communautaires strictu sensu, les caractéristiques de la disposition à appliquer. Mais, alors qu’en droit communautaire la volonté des parties contractantes d’attribuer par les Traités des droits subjectifs est maintenant considérée comme toujours acquise, l’applicabilité directe dépendant seulement du caractère précis et complet de la norme à appliquer, pareille intention ne peut être présumée pour l’application d’un accord international. Ainsi, en pareille matière, vous commencez par vérifier si “la nature” et “l’économie ” de l’accord font obstacle à l’invocabilité directe d’une de ses stipulations. Pour répondre ensuite à la question de savoir “si une telle stipulation est inconditionnelle et suffisamment précise pour produire un effet direct” vous considérez qu’il faut d ’abord l’analyser “à la lumière tant de l’objet et du but de cet accord que dans son contexte”. Citato in P. N. STANGOS, “ La jurisprudence récente de la Cour de justice des Communautés européenne concernant les travailleurs migrants ressortissants de pays tiers”, in Revue des affaires européennes, 2000, p. 107. Sul punto cfr. anche L. IDOT, “Libre circulation des travailleurs et accords de coopération ou d’association ”, op. cit.. 360[360] Tale norma, imponendo un obbligo di non facere , si presta particolarme nte bene ad un riconoscimento dell’effetto diretto, molto più difficile da rinvenire per le misure positive. Sul punto cfr. L. IDOT, “Libre circulation des travailleurs et accords de coopération ou d’association” , op. cit.. 361[361] Vedi sul punto L. IDOT, “Libre circulation des travailleurs…” , op. cit., L. NYSSEN e X. DENOEL, “La situation des ressortissants…” , cit., e P. N. STANGOS, “La jurisprudence récente de la Cour…” , op. cit.. 362[362] Vedi L. NYSSEN e X. DENOEL, “La situation des ressortissants des P ays tiers à la suite de l’arrêt Bosman” , op. cit.. 363[363] Secondo H. RANNOU, “La citoyenneté européenne et l’immigration” , in Revue des Affaires européennes, 2000, p.38, gli Stati membri avrebbero avuto la “croyance, établie par certains, en l’existence d’un lien entre l’ouverture des frontières, le développement de l’immigration clandestine, l’augmentation du chômage et le développement de la délinquence”. Per delle ragioni storiche è nelle relazioni con la Turchia che il diritto di accesso al mercato de l lavoro è

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Turchia fanno eccezione, ma il principio di base resta il medesimo: gli Stati membri

conservano la loro competenza circa la regolamentazione dell’ent rata sul loro

territorio dei cittadini degli Stati contrattanti nonché delle condizioni alle quali questi

ultimi eserciteranno il loro primo impiego 364[364].

Per quanto riguarda più specificamente l’oggetto del tema in esame, soprattutto

in seguito al rivolgimento causato nel mondo dello sport dalla sentenza Bosman,

numerosi tribunali nazionali hanno riconosciuto a degli sportivi professionisti

cittadini degli Stati terzi il diritto di beneficiare 365[365], in virtù degli accordi di

cooperazione o di preadesion e firmati dai rispettivi Paesi di provenienza con

l’Unione, di un trattamento non discriminatorio sulla base della nazionalità.

più sviluppato. L’accordo del 1963, il solo a fare riferimento all’art. 48 del Trattato è stato completato nel 1972 da un protocollo addizionale che prevede al suo art. 36 che la libera circolazione dei lavoratori sarà realizzata gradualmente tra il dodicesimo ed il ventiquattresimo anno dalla sua entrata in vigore. 364[364] Sul punto, vedi IDOT, NASCIMBENE e RANNOU, opere citate. 365[365] Cfr. sul punto l’opinione della Commissione resa a proposito del caso Bosman. Secondo la Commissione, “gli sportivi cittadini di questi Paesi terzi non possono invocare la sentenza Bosman. Tuttavia, i giocatori cittadini di un Paese con cui la Comunità ha concluso un accordo di associazione che vieta le discriminazioni fondate su motivi inerenti alla nazionalità r ispetto ai cittadini comunitari e che sono sotto contratto con uno degli Stati membri dell’Unione, non possono essere esclusi, in ragione della loro nazionalità, dalla squadra impegnata sul terreno di gioco”.

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3.3.1 Il caso Malaja

Un primo caso si è presentato nel febbraio 2000, quando la Corte amministrativa

d’appello di Nancy ha g iudicato illegale, per contrarietà all’art.37 366[366] dell’accordo

di associazione stipulato tra l’Unione europea e la Polonia 367[367], la decisione della

federazione francese di pallacanestro di vietare alla cestista polacca Lilia Malaja di

giocare nella squadra del Racing club di Strasburgo 368[368]. La sentenza applica il

regime di non discriminazione previsto dagli accordi di associazione e cooperazione a

vantaggio degli sportivi cittadini dell’Europa dell’Est 369[369] che

precedentemente 370[370] il Tribunale amministrativo di Strasburgo aveva ritenuto di

non dover prendere in considerazione nel caso di specie 371[371]. Deve comunque

366[366] Tale articolo stabilisce che “sotto riserva delle condizioni e modalità applicabili in ogni Stato membro, i lavoratori di nazionalità polacca, legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro, non devono costituire oggetto di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto concerne le condizioni di lavoro, di remunerazione o di licenziamento rispetto ai cittadini di tale Stato membro. La Corte di Strasburgo giudica che “ la possibilité, pour un sportif professionnel de jouer dans une équi pe déterminée, fait partie des conditions de travail et de rémuneration soumises au principe de non discrimination inscrit dans l’accord précité entre la CE et la Pologne”. Riportato in J.Y. CARLIER, “Les sportifs et le droit européen de la libre circulat ion”, in Sport et Union européenne , op. cit.., p. 65 ss.. 367[367] Tale accordo è stato stipulato a Bruxelles il 16 Dicembre 1991. 368[368] La federazione di pallacanestro francese si era rifiutata di far giocare Lilia Malaya a causa del fatto che il club in questione contava già tra le sua fila altre due giocatrici non comunitarie, tale numero essendo il limite massimo ammesso dall’art. 8 del regolamento femminile. 369[369] Tali accordi, concepiti secondo un modello unif orme, contengono tutti un titolo IV sulla circolazione dei lavoratori, sul diritto di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi. 370[370] In un primo momento la giocatrice polacca si era rivolta, in ottemperanza all’art. 19 della legge n° 84 -610 del 16 Luglio 1984 al Comité national olympique sportif français, che aveva reso un avviso favorevole alla ricorrente; in seguito, forte di questo parere aveva adito il giudice amministrativo. Sul punto, cfr. M. PAUTOT , “La liberté de circulation des sporti fs en Europe”, in Revue du Marché commun et de l’Union européenne, n. 445, 2001, p. 102 371[371] Il primo collegio giudicante aveva in sostanza accolto l’argomento, fatto valere dalla federazione francese, secondo cui la signora Malaja non fosse regolarment e impiegata in Francia, dato che il suo contratto con il club di Strasburgo non era stato omologato. Invero, ai sensi dell’art.337 del regolamento della federazione francese di pallacanestro, un contratto non omologato è inefficace. Al contrario, la Corte di Nancy ha rigettato tale argomento, affermando che “considérant que M.me Malaya, bénéficiait d’un contrat dont la validité[..] n’est pas contestée, et était titulaire d’un titre de séjour régulier, [elle] devait dès lors être dès lors regardée comme “lé galement employée” en France à la date de la décision attaquée; que, par la suite, la Fédération Française de Basket - Ball ne pouvait, sans méconnaître le principe de non –discrimination édicté par l’article 37 de l’accord précité, refuser d’autoriser la requérante à participer aux rencontres de la ligue féminine en tant que joueuse étrangère ressortissante de “l’Espace économique européen” au sens de l’art. 8 du règlement de la ligue féminine”. Riportato in PAUTOT, op. cit..

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ribadirsi che il caso Malaja non rappresenta una estensione parallela della

giurisprudenza Bosman ai cittadini degli Stati terzi, poiché non è affatto un diritto alla

libera circolazione, né al soggiorno, né all’accesso all’impiego che è riconosciuto alla

ricorrente372[372]. La Corte insiste sul fatto che l’interessata beneficia già di un diritto

di soggiorno ed è legalmente impiegata, prim a di considerare che le sue condizioni di

impiego non possono essere oggetto di discriminazione 373[373]ai sensi dell’art. 37

dell’accordo di associazione con la Polonia 374[374].

Tirando le somme, il principio di non discriminazione non permette ancora, allo

stato attuale del diritto comunitario, di rivendicare un diritto d’accesso al territorio

della Comunità europea, o un diritto di soggiorno o al lavoro in uno Stato membro.

Come già detto, se lo sportivo non beneficia già del diritto di soggiorno o di quello al

lavoro, non potrà valersi del principio di non discriminazione a causa della

nazionalità.

Contrariamente a quanto sostenu to dalla federazione francese, la Corte di Strasburgo ritiene che la mancata omologazione del contratto da parte della predetta federazione non possa impedire che “la personne bénéficiaire dudit contrat puisse être regardée comme légalement employée au sen s de l’art. 37 de l’accord susmentionné”. L’omologa non ha valore che nell’ordinamento sportivo, e non impedisce al contratto di spiegare i suoi pieni effetti nell’ordinamento statale. 372[372] Sull’affaire Malaja vedi anche AUNEAU G., “Les conditions de résolution d’un contentieux sportif national à la lumière de la jurisprudence communautaire: l’affaire Malaja ”, in Revue trimestrelle de droit européen, 2000, p.389 ss. 373[373]Per esigenze di completezza si segnala che la vicenda Malaja non è ancora giunta al suo epilogo, giacché la federazione francese ha presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di Nancy innanzi al Consiglio di Stato. 374[374] Come si è visto, il tenore di detto articolo è diverso rispetto alla previsione dell’art. 39 del Trattato CE , perché la norma in parola non enuncia, come la seconda, un principio di libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, ma solo un divieto di discriminazioni in ragione della nazionalità. Secondo BASTIANON, “Accordi di cooperazione e libe ra circolazione degli sportivi extracomunitari”, in Rivista di diritto sportivo, 2000, p.325, il problema della portata dell’art. 37 (che è identico in ogni accordo di associazione stipulato dalla Comunità con i Paesi PECO), ruota intorno al significato ch e si vuole attribuire all’espressione “i cittadini del Paese … non devono costituire oggetto di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto concerne le condizioni di lavoro, di remunerazione o di licenziamento rispetto ai cittadini di tale Stato membro”: se si sceglie di considerare tale prescrizione in una concezione limitativa, attinente alla sole modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, non tenendo in cale i presupposti che regolano l’ingresso dell’extracomunitario al territorio de llo Stato, nessun diritto di libera circolazione dovrà essere riconosciuto al non comunitario; se al contrario, si dovesse propendere per una interpretazione estensiva della norma in parola, allora si dovrà concludere che un volta entrato e impiegato legal mente nel territorio di uno Stato membro, tale soggetto “dovrà essere assimilato ad ogni effetto di legge al cittadino comunitario, beneficiando automaticamente anche del diritto alla libera circolazione”.

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In virtù di questo tipo di accordi un Tribunale spagnolo ha accordato lo status di

“comunitario” a Sherron Mills, cestista di origini statunitensi ma provvisto di

passaporto turco, mentre un calciatore russo ed uno ucraino, sono stati riconosciuti

idonei a partecipare ai campionati degli Stati membri in cui militavano alle stesse

condizioni dei nazionali 375[375]. Invero, deve ritenersi il fatto che queste sentenze

emanano da tribunali nazionali e che quindi non riguardano che i rispettivi Stati

membri, così che nel caso in cui uno sportivo comunitario si vedesse riconosciuto in

uno Stato membro il diritto di gareggiare alle stesse condizioni dei cittadini nazionali,

non godrebbe ipso facto di un diritto generalizzato alla libera circolazione sull’intero

territorio della Comunità. Tale soggetto, a seguito di un trasferimento da uno Stato

membro ad un altro, non potrebbe invocare il trattamento nazionale riconosciutogl i

nel primo per beneficiare dello stesso diritto nel secondo Stato membro, ma dovrebbe

esperire nuovamente tutte le azioni del caso 376[376]. Una possibile generalizzazione del

principio in commento su scala comunitaria sarebbe possibile solo se a pronunciars i

sulla situazione di uno sportivo, cittadino di uno Stato non membro ma con cui la

Comunità ha concluso un accordo di associazione, fosse la Corte di Giustizia delle

Comunità europee, ma una tale evenienza non si è ancora prodotta. Invero, una

sentenza favorevole al giocatore nell’ affaire C -264/98, Balog, avrebbe potuto avere

per i non cittadini comunitari effetti assai rilevanti. Tuttavia, a seguito della

transazione avvenuta tra le parti della controversia, la causa è stata cancellata dal 375[375] Sull’impossibilità dell’ultimo accord o in commento di poter conferire dei diritti ai cittadini ucraini vedi l’opinione espressa da L. NYSSEN e X. DENOEL, op. cit., secondo cui le disposizioni in causa “n’ont sans doute aucun effet direct”. 376[376] Emblematico è al riguardo il caso della Mala ja, che trasferitasi in Spagna, ed ostracizzata dalla federazione nazionale di tale Paese, nel Novembre 2000 si è vista riconoscere in via giudiziale il diritto di essere schierata come “comunitaria”.

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ruolo della Corte per sopravvenuta mancanza dell’oggetto lo stesso giorno in cui

l’avvocato generale si apprestava a rendere le sue conclusioni 377[377].

Invero, data la peculiarità del caso si ritiene comunque di dover presentare

succintamente la vicenda da cui era sort a la questione in oggetto.

377[377] Cfr. il comunicato stampa n° 11/2001 del 29 Mar zo 2001 della Corte di Giustizia.

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3.3.4. Il caso Balog

Tibor Balog è un calciatore di nazionalità ungherese militante sin dal 1993 nel

campionato belga di prima divisione. A seguito della scadenza del contratto, egli si

trovò in una situazione in sostanza molt o simile a quella che aveva originato la

controversia nel caso Bosman. Balog riteneva che la sua squadra di appartenenza, il

Royal Club di Charleroi non potesse esigere alcuna indennità di trasferimento per il

suo ingaggio da parte di un nuovo datore di la voro, e nell’impossibilità di trovare una

soluzione concordata della controversia sorta con la società di provenienza, aveva

adito il Tribunale di prima istanza di Charleroi. Quest’ultimo aveva deciso di porre

alla Corte di giustizia una questione pregiudi ziale mirante a stabilire se:

“è compatibile con l’art. 85 378[378] del Trattato di Roma e/o con l’art.53

dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, il fatto che un club di calcio stabilito

sul territorio di uno Stato membro dell’Unione europea pretenda di ottenere il

pagamento di una somma di trasferimento sulla base di regolamenti e circolari delle

federazioni nazionali ed internazionali in occasione dell’ingaggio di uno dei suoi

vecchi

378[378] Attuale art 81 CE

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impiegati, giocatore di calcio professionista di nazionalità non com unitaria giunto in

scadenza di contratto, da parte di un nuovo datore di lavoro, stabilito nello stesso

Stato membro, in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello SEE o in uno

Stato terzo?”

Malgrado il fatto che il caso non concernesse che la libera circolazione delle

persone, in particolare sotto l’aspetto della possibilità per un cittadino

extracomunitario di cambiare datore di lavoro, alla scadenza del contratto, senza

dover versare alcuna indennit à di trasferimento, in tale occasione la regola invocata

non era l’art. 48 (attuale 39) CE, o l’articolo pertinente sulla parità di trattamento

dell’accordo di associazione stipulato tra l’Ungheria e l’Unione europea, bensì l’art.

85 (attuale 81)379[379] CE . L’effetto che ne sarebbe derivato avrebbe potuto essere

epocale, potendo costituire la breccia per l’introduzione di un principio di parità di

trattamento generalizzato all’insieme del territorio degli Stati membri, per tutti i

cittadini di Stati terzi a lla Comunità e per tutti gli sport. Inoltre gli effetti della detta

pronuncia avrebbero interessato non solo i trasferimenti internazionali

intracomunitari, ma anche quelli interni ad uno Stato membro e quelli

379[379] Sicuramente Balog non poteva invocare l’art.48 (attuale 39) del Trattato, mentre avrebbe però potuto riferirsi all’accordo di associazione stipulato dall’Unione europea con l’Ungheria. Egl i preferiva tuttavia basare la sua richiesta sulle norme comunitarie della concorrenza, invece di riferirsi ad un articolo che non gli attribuiva un diritto di circolazione comparabile a quello dei cittadini comunitari. Sull’ affaire Balog, vedi COCCIA, “Il trasferimento dei calciatori e il diritto della concorrenza: quale mercato rilevante?” , in Rivista di diritto sportivo, 1998, p. 683; DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe, op. cit.

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internazionali verso e da Paesi terzi. Invero, a seguito del citato accordo intervenuto

tra FIFA, UEFA e Commissione si è bensì raggiunto un risultato positivo per i

cittadini non comunitari, ma limitatamente al solo settore del calcio.

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3.3.5 Il caso Kolpak

Al momento attuale risulta pendente inna nzi alla Corte di Lussemburgo la causa

C-438/00 Kolpak, portata all’attenzione della Corte a seguito di un rinvio

pregiudiziale ex art.234 CE (già art. 177) proposto dall’ Oberlandsgericht di Hamm

(Germania).

La controversia ha avuto origine dall’applicazi one al signor Kolpak di una norma

contenuta dall’art.15 del regolamento della federazione tedesca di pallamano, la

Deutscher Handballbund e. V. (nel prosieguo DHB), secondo cui:

1) vanno muniti della lettera “A”, dopo il numero di cartellino, i cartellini dei

giocatori :

a) non aventi la cittadinanza di uno Stato membro della Comunità;

b) non appartenenti ad uno Stato terzo associato all’Unione europea e i cui

cittadini siano equiparati sotto il profilo della libera circolazione ai sensi

dell’art. 48 (attuale 39), n.1 del Trattato CE;

2) nelle squadre delle leghe federali e delle leghe regionali possono essere

impiegati, negli incontri di campionato e in quelli di coppa rispettivamente, al

massimo due giocatori il cui cartellino sia contrassegnato dalla lettera “A”.

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Secondo il Kolpak, giocatore di pallamano di nazionalità slovacca, residente in

Germania e munito di un regolare permesso di soggiorno 380[380], tale disposizione

dovrebbe essere inapplicabile nei suoi confronti, in forza dell’accordo di associazione

tra la Comunità europea e la Repubblica slovacca. Egli ritiene che il divieto di

discriminazione nei confronti dei cittadini slovacchi risultante dal predetto accordo e

dal Trattato CE osti a che un qualsivoglia cartellino, munito di contrassegno

distintivo, lo classifichi come cittadino extracomunitario tout court, e gli impedisca

conseguentemente di essere impiegato, alle stesse condizioni di un cittadino tedesco,

nelle competizioni di campionato o di coppa.

Secondo la DHB, i cittadini slovacchi non sar ebbero assimilabili ai soggetti di cui

all’art.15, comma 1, lett. b) del regolamento federale, dato che tale disposizione di

riferisce ai soggetti “equiparati sotto il profilo della libera circolazione” ai sensi

dell’art.48, n.1 (attuale 39) del Trattato C E, e cioè a quei soggetti, cittadini di Stati

terzi, che già godono del diritto alla libera circolazione. Invero, la norma chiamata in

causa sembrerebbe dunque riferirsi ai soli cittadini degli Stati membri dello Spazio

economico europeo o degli Stati che dovessero essere attualmente associati con un

accordo che prevede già la piena libera circolazione 381[381]. Tuttavia, ad avviso del

Kolpak, a prescindere dalla sua libertà di circolazione all’interno dell’Unione

europea382[382], il suo diritto a ricevere un tr attamento “nazionale”, essendo egli

380[380] Cfr. su tale requisito, il caso Malaja, supra. 381[381] Il Tribunale di Hamm concorda con tale impostazione, affermando espressamente che ai sensi dell’art.15 del regolamento della DHB “all’attore non spetterebbe un diritto di ottenere un’autorizzazione a giocare senza limitazioni, senza l'aggiunta del co ntrassegno "A”, poiché tale piena equiparazione non è contenuta negli accordi di associazione con gli Stati dell’Europa orientale e del Mediterraneo, tra gli altri la Repubblica slovacca”. Cfr. le Osservazioni del Coni nella causa C-438/00-1 Maros Kolpak c . Deutscher Handballbund e V. 382[382] Secondo quanto detto nelle pagine precedenti dovrebbe concludersi che Kolpak non goda affatto di tale diritto.

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legalmente impiegato in Germania, discenderebbe direttamente dall’art.38

dell’accordo di associazione 383[383]. Con ordinanza del 15 Novembre 2000 è stata

sottoposta alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

“Se sia in contrasto con l’art. 38 n.1 dell’Accordo europeo 384[384] che istituisce

una associazione tra la CE e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica

slovacca, dall’altra - atto finale- il fatto che una federazione sportiva applichi ad uno

sportivo professionista in possesso della cittadinanza slovacca, una norma, da essa

emanata, in base alla quale le singole società, negli incontri di campionato ed in

quelli di coppa, possono impiegare solo un limitato numero di giocatori provenienti

da uno Stato terzo non facente parte della Comunità europea”.

383[383] Tale disposizione sancisce che “nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Sta to membro, il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità slovacca legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato”. Dal punto di vista del merito, la Corte di Giustizia dovrebbe quindi verificare se tale norma possa considerarsi provvista di effetto diretto, e se quindi Kolpak possa invocarla in giudizio (sull’ef fetto diretto di una norma di un accordo di associazione, cfr. supra. Secondo il documento del CONI, cit., il contenuto del sopra citato articolo non rispetterebbe affatto il requisito della chiarezza, né sarebbe d’altronde incondizionato, posto che l’appl icazione del principio di applicazione è assoggettato al rispetto delle “condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro”. Di conseguenza, non sarebbe così possibile equiparare “in tutto e per tutto i cittadini degli Stati associati a quelli del l’Unione europea, perché si finirebbe per snaturare il concetto stesso di cittadinanza europea. Se questo fosse stato l’intendimento dell’Unione europea, essa lo avrebbe esplicitato a chiare lettere negli accordi di associazione, tra cui quello con la Repu bblica slovacca, che, invece, sono stati stipulati con ben altri intenti e scopi [..]”. Invero, ammesso pure che tale norma sia direttamente applicabile, l’esito del procedimento in questione dipende dalla scelta della Corte di privilegiare le ragioni del lo Stato a regolare “le condizioni e le modalità di impiego” o quelle del giocatore a non subire alcuna discriminazione, una volta impiegato. 384[384] Secondo il documento del CONI sul caso in esame, citato, bisogna considerare il fatto che, ai fini della libera circolazione dei lavoratori, le norme sportive sono state vagliate dalla Corte nei casi sottoposti alla sua attenzione esattamente alla stregua di norme emanate dagli Stati membri, e pertanto sono state giudicate illegittime se in contrasto con norme imperative del diritto comunitario. Se tuttavia fosse una fonte di diritto comunitario, quale è certamente l’accordo di associazione alla luce della giurisprudenza della Corte in tema di accordi internazionali, a prevedere che negli ordinamenti degli S tati membri possano stabilirsi dei limiti alla sua applicazione, nell’ambito di tali ordinamenti dovrebbero certamente includersi anche le norme emanate dalle federazioni sportive. Ciò premesso, le norme sportive dovrebbero essere considerate “norme appli cabili in uno Stato membro” nel senso dell’art. 38 dell’Accordo di associazione, e quindi il principio di non discriminazione sarebbe subordinato alle “modalità e condizioni” della federazione sportiva in questione, circostanza che renderebbe le regole spo rtive perfettamente legittime.

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3.4 L’azione della Commissione europea

Coeva all’affaire Balog è la proposta di direttiva relativa ai cittadini di Paesi terzi

del commissario europeo Antonio Vitorino, responsabile per la Giustizia e gli Affa ri

interni385[385]. La proposta ravvicina le condizioni di riconoscimento dello status di

residente di lunga data, e riguarda sia i “ normali” migranti che i rifugiati riconosciuti

come tali386[386]. La proposta individua i diritti che lo status di residente di lunga data

conferisce sulla base del principio della parità di trattamento con i cittadini nazionali

per quanto riguarda, inter alia, l’accesso al lavoro subordinato e autonomo,

l’istruzione e la formazione professionale, la previdenza sociale e l’accesso ai beni e

ai servizi. Inoltre, i beneficiari dello status in commento godranno di una protezione

rafforzata contro l’espulsione. Possono accedere allo status di residenti di lunga data

sia i cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente ed ininterro ttamente sul

territorio di uno Stato membro da almeno cinque anni, che dispongano di un reddito

minimo e che non rappresentino un pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza

interna. Invero, il provvedimento in parola costituisce un ampliamento considere vole

dei diritti soggettivi e delle garanzie riservate ai cittadini degli Stati terzi 387[387].

385[385] Cfr. il comunicato stampa della Commissione dell’IP/01/357 all’indirizzo Internet http://europa.eu.int/comm/sport/key_files/circ/a_circ_en .html 386[386] Sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva i richiedenti di asilo, i beneficiari di una protezione temporanea, i fruitori di una protezione sussidiaria nonché le persone che soggiornino nella Comunità solo temporaneamente, come st agionali o distaccati. 387[387] Giova ricordare che attualmente i cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno possono circolare, per una durata massima di tre mesi, all’interno dello spazio Schenghen, ma non hanno il diritto di soggiornar e, per motivi di lavoro o studio, ad esempio, in un altro Stato membro. La proposta della Commissione è volta all’attuazione dell’art.63, n. 4 del Trattato, che prevede che il Consiglio adotti delle misure che definiscono con quali diritti e a quali condizioni i non comunitari che soggiornano legalmente sul territorio di uno Stato membro possono soggiornare in altri

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Risulta di chiara intelligenza infatti che la possibilità di acquisire lo status di

residente da lunga data in uno Stato membro, e di poter soggiornare, a condizio ni

armonizzate, in uno Stato membro della Comunità diverso da quello che ha

riconosciuto lo status in questione, rappresenta un miglioramento non indifferente

nelle condizioni di vita di questi soggetti.

Stati della Comunità. Durante il soggiorno in un altro Stato membro, i residenti di lunga data beneficiano di tutti i diritti che sono loro riconosciuti nello Stato membro in cui beneficiano del detto status, ad eccezione del diritto all’assistenza sociale. Dopo cinque anni di soggiorno regolare nel secondo Stato membro, i residenti di lunga data possono ottenere anche qui tale status, a patto però di rinunciare a quello che possiedono nel primo.

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CONCLUSIONI

Il ruolo della Corte di giustizia nell’integrazione delle lacune dell’ordinamento

comunitario in materia di libera circolazione degli sportivi

Nel presente studio si è cercato di illustrare la disciplina comunitaria in materia di

libera circolazione degli sportiv i. Accertata la mancanza nel Trattato Roma ed in

quello di Maastricht di un qualsiasi riferimento al settore sportivo 388[388], si è visto

come tale lacuna legislativa nella materia sia stata colmata in via pretoria dalla

giurisprudenza innovativa della Corte di Giustizia delle Comunità europee che,

attraverso una applicazione estensiva 389[389] delle norme del Trattato390[390], è giunta a

sottoporre al rispetto del diritto comunitario l’attività sportiva avente carattere

economico, o meglio, in quanto avente carat tere economico. Parimenti, la Corte ha

riconosciuto che anche lo sportivo, qualora eserciti la propria attività dietro

remunerazione, possa essere considerato un lavoratore come gli altri e possa

388[388] Una dichiarazione sullo sport è stata inserita nell’Atto finale del Trattato di Amsterdam. 389[389] Sulla funzione integrativa del diritto della giurisprudenza della Corte di Giustizia vedi P. MENGOZZI, “L’integrazione delle lacune del diritto comunitario” , in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da FRANCESCO GALGANO , vol. XV, p. 257. Secondo tale autore, l’integrazione delle lacune del diritto acquista u na sua rilevante specifica identità distinta dal dato meramente interpretativo “ogniqualvolta che - appunto in correlazione al peculiare fenomeno di non autosufficienza proprio di detto ordinamento - si sia in presenza di un problema per la cui soluzione ci si debba riferire a valori - usualmente definiti “principi” - diversi da quelli consacrati dalla pura logica giuridica e reperibili al di là di quella soglia che è costituita dall’insieme delle norme sancite dal Trattato e dagli atti normativi derivati. Seco ndo Mengozzi, l’applicazione del diritto riposerebbe così solo in parte su una mera interpretazione, mentre per la restante parte “necessariamente postula nel senso più pieno del termine, una sua integrazione. Sul punto, vedi anche DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , op. cit., p. 154. 390[390] Vedi sul punto WEATHERILL, “The Helsinki report on sport”, op. cit.. Per tale autore il caso Bosman sarebbe emblematico in proposito, poiché “illustrates how readily Community law spreads into areas app arently out of its bounds. Although the Community may lack explicit competence in a sector (this is true of sport), or else enjoy only limited competence in a sector (consider, for example, culture and education), nonetheless the encroachment of its rules, expecially the economic freedoms at stake in Bosman, may greatly influence conduct in the sector” .

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conseguentemente godere in quanto tale della protezione off erta a tale soggetto dal

diritto comunitario.

Da quanto precede è di chiara intelligenza quanto sia fondamentale il ruolo della

Corte di Giustizia e della sua giurisprudenza nel sistema del diritto comunitario.

Invero, se l’azione di integrazione del diri tto da parte dei giudici comunitari è

sicuramente di rilievo “in relazione alle lacune dell’ordinamento comunitario alla cui

integrazione siano indirizzati a procedere secondo delle linee interpretative ben

definite391[391]” (vedi ad esempio l’art. 288 CE), si è visto come nel settore dello sport,

settore in cui la Comunità europea non ha competenze attribuite, detta integrazione

sia stata affatto determinante, ed abbia portato alla creazione della disciplina

comunitaria in materia di sport. In effetti, se da un lato “le dynamisme dont elle 392[392]

fait preuve permet de pallier la rigidité du droit primaire due à la lourdeur de la

procédure de révision et à l’inertie du droit dérivé résultant de la carence du Conseil

en tant que législateur ”, la Corte ha d’altro canto l’importantissima funzione di

“combler les lacunes du droit communautaire, d’en étendre la portée et d’en

promouvoir le développement continu. En d’autres termes, la Cour de Justice à le

pouvoir de créer du droit communautaire 393[393]”

Attraverso l’analisi della giurisprudenza della Corte è stato così possibile

ricostruire il regime attuale della libera circolazione degli sportivi nella Comunità

391[391] Così MENGOZZI, “L’integrazione delle lacune del diritto comunitario ”, op. cit.. 392[392] Il riferimento è alla Corte. 393[393] In tali termini DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , cit..

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europea. Invero, per quanto riguarda gli sportivi comunitari, si sono desunti i

seguenti principi cardine:

1. lo sport rientra nell’ambito di applicazione materiale del Trattato qualora sia

configurabile come una attività economica;

2. se esercita la sua attività dietro remunerazione 394[394], lo sportivo è un

lavoratore ai sensi dell’art.39 o u n prestatore di servizi ex art.49 del Trattato;

3. le regole sportive sono in principio sottoposte al rispetto delle norme

comunitarie in materia di libera circolazione delle persone, ed in special modo al

principio di non discriminazione in base alla naziona lità, a meno che motivi

prettamente sportivi non autorizzino il mantenimento di prassi discriminatorie;

4. conseguentemente, l’esclusione di cittadini comunitari da determinati incontri

non è in ogni caso contraria al diritto comunitario;

5. tale deroga, non contenuta nel Trattato, ma creata dalla Corte di

Giustizia395[395], costituendo una restrizione ad una libertà fondamentale del Trattato

deve essere mantenuta entro il suo obiettivo proprio e non può essere estesa sino ad

escludere una intera attività dalla vi genza del Trattato.

Per quanto concerne invece gli sportivi non comunitari, allo stato attuale del

diritto comunitario non può affatto parlarsi di una libera circolazione paragonabile a

quello dei cittadini comunitari. Semplicemente, tali soggetti:

394[394] Sotto questo profilo si deve mettere in luce che, sebbene quasi tutte le pronunce della Corte riguardassero sportivi “professionisti”, definiti tali anche dalle rispettive federazioni di appartenenz a, nel caso Deliège si è ammessa la possibilità che anche le attività per così dire “dilettantistiche”, se provviste del carattere della economicità, possono essere sottoposte al vaglio del diritto comunitario. 395[395] Sul fondamento giuridico di tale ec cezione, vedi DUBEY, La libre circulation des sportifs en Europe , op. cit., p. 436

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1. nel caso in cui siano cittadini di un Paese con cui la Comunità ha

concluso un accordo di associazione, godono del diritto della parità di

trattamento nelle condizioni di lavoro rispetto ai nazionali di un

determinato Stato membro della Comunità, sempre però che siano

legalmente impiegati in detto Stato.

2. se membri della famiglia di un cittadino comunitario che abbia esercitato

il suo diritto alla libera circolazione in un altro Stato membro della

Comunità, godono in detto Stato, della possibilità di svolgere una a ttività

salariata o autonoma retribuita, e quindi anche sportiva non amatoriale,

ai sensi del Regolamento 1612/68.

In fine, per quanto attiene ai rapporti tra sport e diritto comunitario, si è messo in

luce come, in seguito alla sentenza Bosman, soprattutto nelle ultime pronunce della

Corte, possa rinvenirsi una marcata sensibilità verso le esigenze e le caratteristiche

dello sport: sebbene esso non sia in principio escluso dall’applicazione delle norme

del Trattato, tuttavia le sue caratteristiche peculi ari, la sua specificità devono essere

prese in considerazione. Proprio la sentenza Bosman è stata il punto di partenza del

rinnovato dialogo 396[396], contrariamente alla communis opinio che ritiene detta

sentenza distruttiva del mondo della sport. Invero, diritto comunitario e sport non

potranno più ignorarsi in futuro 397[397], e se la Comunità ha accettato di riconoscere

396[396] In tal senso anche WEATHERILL, “The Helsinki report on sport”, op. cit.: “despite the relative absence of jurisprudential novelty, Bosman helped to change the climate. Law and sport came closer together”. 397[397] Sulla iniziale indifferenza tra Comunità europea e mondo dello sport vedi P. DE CATERINI, “ Le società sportive…”, op. cit..

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una sua specialità al mondo dello sport, quest’ultimo dovrà rassegnarsi al fatto che,

soprattutto in seguito all’enorme rilevanza economica che le attività sportive hanno

acquisito negli ultimi tempi, non può più pretendere di porsi al riparo dalla regole

comunitarie in virtù del suo preteso carattere essenzialmente volontario ed

amatoriale398[398].

Sebbene la Corte sia riuscita in passato a garantire comunque l’applicazione del

diritto comunitario al settore sportivo, è sicuramente auspicabile un intervento del

legislatore comunitario che faccia chiarezza nella materia. L’integrazione europea ha

tutto da guadagnare da una applicazione proporzionale e sensata del diritto

comunitario alle attività sportive.

398[398] Vedi sul punto, A. GIARDINI, “Diritto comunitario e libera circolazione dei calciatori”, cit..

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INDICE DELLE SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CITATE

Sentenza 5 Febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos , Racc. p.3

Sentenza 19 Marzo 1964, causa 75/63, Unger, Racc. p.351

Sentenza 12 febbraio 1974, causa 152/73, Sotgiou, Racc. p.152

Sentenza 30 Aprile 1974, causa 181/73, Haegemann , Racc. p. 449

Sentenza 21 Giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. p. 652.

Sentenza 3 Dicembre 1974, causa 33/74, Van Binsbergen , Racc. p. 1299.

Sentenza 4 Dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn , Racc. p.1337

Sentenza 12 Dicembre 1974, causa 36/74, Walrave , Racc. 1974, p.1405

Sentenza 30 Settembre 1975, causa 32/75, Cristini, Racc. p. 1085

Sentenza 28 Ottobre 1975, causa 36/75, Rutili, Racc. p.1219

Sentenza 8 Aprile 1976, causa 48/75 Royer, Racc. 1976, p.497

Sentenza 7 Luglio 1976, causa 118/75, Watson, Racc. 1976

Sentenza 14 Luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. p. 1333

Sentenza 16 Dicembre 1976, causa 63/76, Inzirillo, Racc. p. 2057

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Sentenza 28 Aprile 1977, causa 71/76, Thieffry, Racc. p. 765

Sentenza 14 Luglio 1977, causa 8/77, Sagulo, Racc. p. 1495

Sentenza 27 Ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau , Racc. p. 2000

Sentenza 20 Febbraio 1979, causa C -120/78, Rewe, Racc. 1979, p. 649

Sentenza 28 Marzo 1979, causa 175/78, Regina, Racc.1979, p.1129

Sentenza 11 Marzo 1980, causa 104/79, Foglia/Novello , Racc. p. 745

Sentenza 16 Dicembre 1981, causa 244/80, Foglia/Novello II , Racc. p. 3045

Sentenza 9 Febbraio 1982, causa 270/80, Polydor, Racc. p.329

Sentenza 23 Marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. p. 1035,

Sentenza 18 Maggio 1982, cause riunite 115 e 116/81, Adoui e Cornuaille, Racc.

p.1665

Sentenza 31 Gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 16/83, Luisi, Racc. 1984, p.377

Sentenza 12 Luglio 1984, causa 237/83, Prodest, Racc. p.3153

Sentenza 13 Febbraio 1985, causa 267/83, Diatta, Racc. p. 567

Sentenza 17 Aprile 1986, cau sa 59/85, Reed. Racc. p. 1283.

Sentenza 3 Giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. p. 1741

Sentenza 3 Luglio 1986, causa 66/85, Lawrie- Blum , Racc. p.2121

Sentenza 15 Ottobre 1987, causa 222/86, Heylens, Racc. 1987, p. 4097

Sentenza 30 Settembre 1987 caus a 12/86, Démirel, Racc. p. 3719

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Sentenza 27 Settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail , Racc. p. 5483

Sentenza 5 Ottobre 1988, causa 196/87, Steymann, Racc. p. 6159

Sentenza 26 Febbraio 1991, causa C -292/89, Antonissen, Racc. p.745

Sentenza 7 marzo 1991, causa C-10/90, Masgio, Racc. p. I-1119

Sentenza 25 Luglio 1991, causa C - 288/89, Gouda, Racc. pag. I-4007

Sentenza 25 Luglio 1991, causa C - 76/90, Sager, Racc. 1991, p. I-4221

Sentenze 26 Febbraio 1992, causa C -3/90, Bernini, Racc. p I-1071

Sentenza 20 Maggio 1992, causa C-106/91, Ramrath, Racc. 1992, p. I-3351

Sentenza 26 Gennaio 1993, cause riunite da C -320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo

e a., Racc. pag. I -393

Sentenza 31 Marzo 1993, causa C -19/92, Kraus, Racc. 1993, p. I-1663

Sentenza 24 Novembre 199 3, cause riunite C -267/91 e 268/91, Keck e Mithouard ,

Racc. p.I-6097

Sentenza 23 Febbraio 1994, causa C - 419/92, Scholz, Racc. p.I-505

Sentenza 15 Dicembre 1995, causa C -415/93, Bosman, Racc. p. I- 492

Sentenza 5 Giugno 1997, cause riunite C -64 e C-65/97, Uecker e Jacquet , Racc.1998,

p.I-3171

Sentenza 11 Aprile 2000, cause riunite C -51/96 e C-191/97, Deliège,

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Sentenza 13 Aprile 2000, causa C -176/96, Lehtonen, http://www.curia.eu.int