Leonardo e il fiore della vita

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Gabriella Santini Leonardo da Vinci i g e n i a l i

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I SBN 978-88-472-2196-3

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Dai 10 anni

Gabriella Santini

Gabriella Santini

Gabriella Santini

Fin da piccola lettrice appassionata e divoratrice di storie, ha sempre avuto per amica una instancabile fantasia. Crescendo, non è cambiata e così è diventata una scrittrice per ragazzi, a cui dedica romanzi, sceneggiature e articoli. Crede che i libri siano un ottimo materiale per costruire un mondo migliore.

Storie di talenti eccezionali per scoprire il genio che è in te

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Geni si Nasce o si Diventa?

A che ora è nato Leonardo

e in che giorno?

Aveva un ramarro in casa. Sai perché?

Che cos’è Ingegno

Scrittorio?

Ti va di scoprire com’era la casa dove è nato?

Che cosa ha a che fare Leonardo con il Fiore della Vita?

Attraverso un racconto denso di mistero, potrai conoscere uno dei più ingegnosi personaggi di tutti i tempi.

Leonardo da Vinci

Età: undici anni. Nome: Leonardo, detto Leo.Passioni: la bici, gli amici e… i misteri.

Prossimo obiettivo? Risolvere un enigma vecchio di cinquecento anni.

Compagni di avventure e di sventure: Lia e…nientemeno che Leonardo Da Vinci in persona.

Nemici: tanti e sconosciuti. Pericoli: insondabili.Finale: top secret.

Che aspetti? Leo e Lia hanno bisogno di alleati…Manchi soltanto tu!

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Leonardo e il Fiore della Vita

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Editor: Patrizia CeccarelliRedazione: Emanuele RaminiProgetto grafico: Simona Dell’OrtoIllustrazione di copertina: Paolo D’AltanUfficio stampa: Salvatore Passaretta

Fotografie: Riproduzione autorizzata dal Museo Leonardiano di Vinci

1a Edizione 2015Ristampa 5 4 3 2 1 2020 2019 2018 2017 2016

Tutti i diritti sono riservati © 2015

Raffaello Libri SrlVia dell’Industria, 21 - 60037 – Monte San Vito (AN)e–mail: [email protected] www.grupporaffaello.it

e–mail: [email protected]

Printed in Italy

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parzialedi questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

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Con lo sguardo fisso alle stelleCon lo sguardo fisso alle stelleCon lo sguardo fisso alle stelle...

Abbiamo scelto di scrivere “Leonardo Da Vinci” piuttosto che “Leonardo da Vinci”, non perché il nostro genio avesse bisogno di altre maiuscole, ma per evitare confusione di luoghi e personaggi durante la lettura.

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Con lo sguardo fisso alle stelleCon lo sguardo fisso alle stelleCon lo sguardo fisso alle stelle...

Con lo sguardo fisso alle stelle...

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”Non si volta chi a stella è fisso“

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Costellazioni misteriose, stelle a migliaia, pianeti rotolanti riempivano il display del mio tablet. E i miei occhi.

“Che meraviglia, la tecnologia!” ho pensato, stiracchiandomi come Tenebra, il mio gatto. “Una pacchia stellare”.

Ero già infilato a letto da un po’ ma ero sveglissimo. Coperta e lenzuola modellate a igloo nascondevano me e il mio tablet mentre una torcia ci illuminava. Il resto della camera era al buio: la serranda era abbassata, ogni fonte possibile di luce era stata soppressa. Avevo orchestrato la solita strategia notturna antisorpresa. Le misure di prudenza erano indispensabili, per-ché i miei genitori erano diventati più silenziosi di Tenebra; se mi avessero trovato ancora sveglio a quell’ora sarebbero stati guai. Avevo un unico alleato: il silenzio.

Ho teso le orecchie: in quel momento la casa era in stato di quiete. Dalla camera dei miei nemmeno un suono. Da quella di mia sorella maggiore giungeva soltanto il solito sibilo ritma-to. A detta di mamma e papà, Caterina russava da diciassette anni; dunque, dalla nascita. Peccato che quello fosse il suo unico difetto, almeno secondo i nostri genitori...

Pure l’ultimo arrivato sembrava sparito nel nulla. Non un lamento né un movimento nel lettino; sicuramente anche Lo-renzo, da me soprannominato il Magnifico, dormiva come una talpa in letargo.

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Con lo sguardo fisso alle stelle…

Nonostante non mi fossi affacciato alla finestra, sapevo che l’ennesima notte taciturna recitava da protagonista anche sul palcoscenico della mia città. Luna e lampioni la illuminavano, una grande quiete la dominava. Ne ero certo, poiché vivevo lì da undici anni. Un’eternità. E una noia.

Con un movimento rapido, ho sfiorato il display andato in stand-by e ho aperto il menu a tendina. Ho scelto l’impostazio-ne giusta e sono tornato ad ammirare la sfera celeste e le ottantotto costellazioni presenti. In quel momento un asteroi-de stava passando vicino all’orbita terrestre.

«Forte!» ho esclamato. Subito dopo ero già pentito ma era tardi. Avevo disubbidito alla regola base della mia strategia antisorpresa: il silenzio! A ogni costo.

Ho sperato che nessuno avesse sentito. Ho serrato le palpe-bre, odiando come sempre gli autogol.

Non ho respirato. Non ho nemmeno deglutito. Per qualche istante, non ho vissuto... Sono rimasto immobile, come un ca-maleonte vicino a un pericolo. Non è successo niente.

Dopo un po’, ancora tutto bene; perciò sono tornato a con-trollare la traiettoria dell’asteroide 2013 YL2.

Protetto dall’igloo del mio letto, dalla luce tenue della torcia e dal silenzio, mi sono sentito l’imperatore dell’universo.

Mi ha distolto soltanto l’arrivo di una Email: chi poteva resi-stere all’arrivo di nuovi messaggi? Erano persino più avvincenti degli asteroidi. A quell’ora, poi! La mia curiosità era centuplicata dalla notte.

Trattenendo il fiato, ho controllato il mittente:

[email protected]

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Sono sbalordito. Ricevere un’Email dal mio professore di tec-nica non era cosa che capitasse tutti i giorni.

Senza volerlo ho ripensato all’ultima verifica di tecnica an-data male. Cinque meno meno era la solita sconfitta. La mia consueta prova “senza infamia e senza lode”, tanto per citare la frase che la prof di italiano ripeteva all’infinito, aggiungen-do che era di Dante, pescata dal terzo Canto dell’Inferno. Ed era davvero un inferno sostenere verifiche, interrogazioni, voti, sconfitte...

Non l’avevo ancora confessato ai miei, perché sapevo che per colpa di quel voto mi avrebbero tolto il cellulare e dimezzato l’utilizzo di tablet e portatile. Nonostante fossi figlio di gente tosta, due professionisti intelligenti e impegnati, i miei geni sonnecchiavano. Continuavo a collezionare soltanto brutti voti. Cavoli...

Meglio non pensarci troppo, soprattutto ora. Ho letto l’oggetto, cauto: TS! Da decriptare SUBITO!TS? Che cosa significava? E poi, “decriptare”? Per me, quel verbo era già un invito irresistibile. In più “TS”

forse significava “Top Secret”... Stavo per aprire l’Email quan-do all’improvviso...

«LEONARDO!» ha esclamato papà, comparendo sulla porta. «Lo sapevo! Lo sentivo! Sei ancora sveglio!»

Impettito come un generale, a piedi nudi, papà era in pigia-ma color notte senza luna e aveva gli occhi lampeggianti.

Sono sobbalzato sul letto. La torcia è scivolata a terra. La cupola di coperte costruita con cura si è sfaldata. Il tablet si è chiuso, con un colpo secco. Ma tanto era tutto inutile: gli occhi di papà avevano già scansionato freddamente la scena registrando

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torcia, tablet, nascondiglio. Nella battaglia navale notturna ero appena stato colpito e affondato.

Per essere un adulto, papà se l’era appena cavata alla grande: era stato silenzioso come una pantera, furbo come una lontra, strategico come un ragno.

Dentro di me, il lampeggiante dello S.O.S. ha preso ad accen-dersi e a spegnersi.

“Ohi, ohi” ho pensato, “sono stato scoperto”.

«È quasi mezzanotte! Domattina hai scuola!» ha urlato papà. Poi, ha sillabato: «Ter-za-o-ra! Ve-ri-fi-ca-di-scien-ze-con-Car-lo-tta! Ricordi?»

“Come potrei dimenticarmene, pa’? Me lo ricordi sempre!” ho pensato, più giù di una bici sgonfia. “Per di più la tua Car-lotta è la mia professoressa! Diversi eoni fa, lei è stata tua compagna di università, ed è tua amica anche ora. Perciò da me si aspetta l’impossibile... E io ho studiato pochissimo. Mi sento un puffo che lotta con i giganti”.

Nonostante pensassi tutto questo, ho balbettato solo:«Sì, me lo ricordo. Ho pure studiato. Ehm... Ieri».«Quanto tempo? La solita mezz’ora?» ha esclamato lui, pie-

gando le spalle. «Prenderai l’ennesimo sei stentato e saremo tutti felici e soddisfatti. Come sempre».

Stavolta ho abbassato le spalle anch’io. Che prospettiva!Lui stava per blaterare qualcos’altro, allora ho appoggiato

l’indice sulle labbra e, stile spia, ho sussurrato:

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«Shhhh, se non abbasseremo la voce, presto arriverà mamma e si arrabbierà con entrambi, perché rischiamo di svegliare Lorenzo. Pensaci».

Papà ha riflettuto. Mi ha fissato, rabbuiato ma placato. Stava per riprendere la paternale a voce bassa, ma l’ho anticipato ancora:

«Lo so! Prima cosa: mi sono infilato vestito nel letto e mamma non lo sopporta. Seconda cosa: facevo finta di dormire. Terza cosa: stavo usando il tablet fuori orario».

Lui ha fatto tre cenni di sì con la testa. Poi ha detto piano:«Già. Le tue ultime infrazioni prima della mezzanotte...

Mettiti il pigiama, spegni il tablet. Dormi. Domattina hai la verifica».

Ho spento il tablet, molto demoralizzato. Ora la mia Email misteriosa avrebbe galleggiato nel nulla fino a domattina. Ho deciso all’istante di chiamarla “Oblìo.it”.

Mi sono alzato dal letto più lentamente di un bradipo. Ho raccolto la torcia. L’ho posata sulla scrivania. Stavo per spo-gliarmi quando...

«A proposito, Leo, che ci facevi col tablet? Giocavi, vero?»«No. Osservavo le stelle. E la sfera celeste».Guardandomi con aria enigmatica, mi ha preso per un brac-

cio, mi ha portato nel salone, ha aperto la porta vetrata. Siamo usciti sul terrazzo. Una ventata d’aria frizzante ci ha investito. Anche il cielo... Blu. Profondo. Punteggiato di nuvole e di astri. La sfera celeste dominava il nostro pianeta e appariva di una bellezza sovrumana.

Papà ha continuato a fissarmi severo. Senza parlare. Peccato che riuscissi a leggere i suoi pensieri. Peccato davvero...

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Ho abbassato la testa, già battuto. Anch’io senza parole.Nel buio si sono materializzati due occhi gialli fosforescenti.

Erano di Tenebra. Il pelo nero più del buio lo mimetizzava alla perfezione. Ci ha raggiunto, con aria trionfante, la coda ritta, i baffi superbi. Sapevo che il mio gatto adorava la notte. Forse anche le stelle? Ha attorcigliato la coda alle mie gambe, pro-tettivo. Perlomeno avevo un amico sincero.

«Guarda!» mi ha detto intanto papà. «Le vedi?»Con il naso all’insù, ho fatto cenno di sì. Come avrei potuto

non vedere tante stelle? Erano milioni. Lucenti. Belle. Miste-riose. Antiche.

Tenebra si è acciambellato vicino alle mie scarpe e ha fissato l’immensità con noi. Baffi all’insù. Orecchie al cielo. Naso ritto.

Papà ha sussurrato:«Non si volta chi a stella è fisso».“Diavolo, che frase” ho pensato, sconfitto. “Significa troppe

cose... Non è una frase sciocca”.«L’ha scritta Leonardo Da Vinci» ha aggiunto papà. «Un

grande. Il più grande di tutti. Che ne dici? Ti piace?»Ho annuito.«Capisci perché ti abbiamo chiamato Leonardo?» Avrei voluto sbuffare ma mi sono controllato.«Me l’avete detto milioni di volte. So il perché a memoria. So

che lui è IL genio, che tu lo adori e lo studi dedicandogli ogni minuto libero, da anni. So persino che mai nessuno potrà eguagliarlo».

A quel punto mi è scappato un sospiro fondo. Desolato.Incredibilmente papà non si è arrabbiato. Mi ha posato la

mano sulla spalla. Poi, ha mormorato:

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«Il tuo nome non deve essere un peso per te, ma un onore». «Lo so, papà. Lo è. Però, sai... »Ha sospirato pure lui. Poi ha aggiunto a voce bassa:«Dovresti studiare tutto ciò che riguarda Da Vinci. Dovresti

ispirarti un po’ a lui. Dovresti imparare tutto quello che ci ha lasciato. Invece, tu che fai? Guardi le stelle sul tablet quando le hai a portata di occhi, e di cuore».

Avevo capito che cosa intendeva, da subito. Anche perché ho letto molte cose sul vero Leonardo. Lui credeva nella natura, la osservava con attenzione maniacale, e da essa ricavava tutte le sue conoscenze. Lui guardava tutto senza sosta, dal vivo, e ripeteva spesso di tenere gli occhi aperti e di non smettere mai di osservare ogni cosa, dalla più insignificante alla più com-plessa.

Mi sono analizzato con la dose di severità che pensavo usas-sero i grandi: il confronto con la natura non reggeva. Altro che tablet! Altro che miseri nascondigli notturni!

«Forza, ora; andiamocene a dormire» ha terminato papà.Ho fatto cenno di sì. Anche Tenebra ha accennato un “sì” con

la coda. Abbiamo seguito papà dentro casa, chiudendo fuori le stelle.

�Tornato in camera, ho ubbidito a papà. Resistendo alla ten-

tazione di riaccendere il tablet, ho sollevato la serranda... Uno strappo di cielo si è impossessato della stanza mentre la faccia sorniona della luna la illuminava. Facciona butterata come sempre, ma bellissima.

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I suoi bitorzoli strani mi hanno fatto pensare a una vecchia befana brufolosa.

Mi sono ricordato di aver letto che Leonardo s’interessò anche di astronomia, scoprendo la “luce cinerea” della luna, e l’influenza del nostro satellite sulle maree. Maledetti geniacci! Sempre avanti agli altri, e sempre instancabili. Perché non eravamo tutti così? Era un’ingiustizia!

D’un tratto Tenebra si è acciambellato sul davanzale della finestra, schiacciando il naso contro il vetro. Con gli occhi fissi alla luna e alle stelle, ha preso a miagolare.

«Sei un pensatore!» ho esclamato stupito. «Come al solito, l’unico della famiglia a non usare la testa sono io! Che guaio!»

Lui ha strofinato una zampetta sul muso, apparentemente indifferente alle mie sofferenze. In effetti, il panorama cataliz-zava.

«Hai visto, Tenebra, che meraviglia? Stanotte l’universo è uno spettacolo! Meglio di un film. E se provassimo a disegnar-lo? Che ne dici? Basterebbe a catturarne la magia?»

Tenebra mi ha risposto con uno sbadiglio da leone stanco e ha nascosto la testa nella pelliccia lucida. Sembrava sdegnar-mi.

Gli ho risposto, un po’ offeso:«Sei uno snob! Sai, non occorre essere per forza grandi arti-

sti per disegnare la luna».Con una mossa a sorpresa, elegante e sciolta, il mio gatto è

sceso a terra e si è diretto verso il letto.«Ho capito, va! Anche tu preferisci dormire, come gli altri di

casa Guidi. Sarete tutti geniali, ma certo siete dei gran dormi-glioni!»

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Così ho soffocato la tentazione di disegnare la luna. Sapevo che Leonardo Da Vinci la osservò e la disegnò, comprendendo perciò che le macchie lunari scure corrispondevano a “isole e terraferma”, mentre quelle brillanti ai “mari”. Diavolo di un genio! Che rabbia!

Tenebra mi ha guardato di sottecchi ma con intensità, facen-domi sentire un verme.

«Per caso sei la mia coscienza?» gli ho chiesto a voce bassa. «Lo ammetto! Nonostante mi irriti un sacco la presenza supe-ringombrante di Leonardo Da Vinci, mi incuriosisce anche. Pochissimo, però».

Tenebra mi ha fissato severo. I gatti sanno sempre tutto. Come faranno?

Ho dovuto aggiungere:«Va be’, te lo confesso! Quando c’è di mezzo Da Vinci, man-

tengo un atteggiamento di fastidio davanti a tutti, in realtà, lo invidio da matti. Magari fossi come lui... »

Rassegnato, ho infilato il pigiama sbuffando, e me ne sono andato a letto anch’io. Quando ho tirato la coperta sul naso, Tenebra si è arrampicato sul letto, acciambellandosi vicino ai miei piedi. Per noi era ordinaria amministrazione. Fatto sta che invece mamma non voleva che il gatto dormisse sul mio letto. Perciò questa era la quarta infrazione della serata, anzi la prima del nuovo giorno, poiché era appena rintoccata la mezzanotte.

Ho ripensato a una frase di Leonardo che conoscevo a me-moria già da un po’ e che mi consolava sempre:

“La sapienza è figliola dell’esperienza”.

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Allora Leonardo credeva che soltanto con l’esperienza si po-tesse diventare sapienti e si evitasse di sbagliare. Avevo qualche speranza?

Mi sono girato e rigirato nel letto a lungo. Non riuscivo a dormire, e non era per l’Email Oblìo.it in sospeso, né per le infrazioni alle regole né per la verifica di scienze. Era tutta colpa di quel segreto che avevo appena condiviso con Tenebra e che custodivo da troppo tempo. Papà non era l’unico della famiglia strafissato con Leonardo Da Vinci. C’ero anch’io. Ero segretamente colpito dalle sue capacità; ma soprattutto dalla totale mancanza delle mie. Infatti, lui rimaneva LUI, mentre io ero, ehm, soltanto io: un undicenne scarso a scuola, malvi-sto dai superprof della sezione C e membro involontario di una famiglia di geni.

Nonostante le credenziali, non avevo possibilità né aspirazio-ni e nemmeno talenti nascosti. Ero appas sionato soltanto di misteri. E di bici, con cui andavo sempre a caccia di avventu-re. O meglio, di sventure.

Per di più quel segreto non era l’unico: ce n’era un altro, le-gato al primo come un ragno alla tela... Io-possede vo-un -rifugio- una-tana-un-buco. Soltanto mio.

A occhi chiusi, ho visualizzato la soffitta che nonno Sebastia-no mi aveva prestato mesi fa, dopo un patto segreto tra noi. Lui era l’unico in famiglia a parteggiare per me; perciò mi aveva prestato quella soffitta in via Artemisia Gentileschi. In poco tempo io l’avevo colonizzata, occupandola con libri, gior-nalini, oggetti e DVD. Molti di questi erano sul Da Vinci. Pazzesco, eh?

Dopo pochi mesi di dominio assoluto, la mia tana era già

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straripante. C’era addirittura un oggetto strampalato che avrebbe voluto assomigliare a uno dei progetti del genio. Il risultato era goffo e deludente. Anzi, schi-fo-so.

D’un tratto mi è sembrato che la chiave di ferro vecchiotta che nonno mi aveva dato si materializzasse tra le mie mani. “Scottava” come qualunque indizio che si rispetti in un giallo da risolvere.

Nonostante sapessi di avere nascosto la chiave dentro la cassa armonica della mia chitarra, ho aperto gli occhi e mi sono guardato i palmi brucianti delle mani. Erano vuoti.

Ho fissato di nuovo Tenebra: se ne stava accoccolato in fondo al letto, ma era sveglio.

«Ti ho detto che nonno Sebastiano mi ha dato le chiavi della sua soffitta?» gli ho sussurrato, con tono complice. «Ora è diventata la mia tana: è lì che mi rifugio a leggere e a speri-mentare. Ci vado anche... ehm, a sognare. Nonno me l’ha prestata spiegandomi che, per un ragazzino della mia età, una tana tutta per sé fa crescere».

Il mio gatto ha miagolato un “ah, sì? Che bravo!”«Be’, finalmente l’ho detto a qualcuno... Mi sento meglio, sai,

Tenebra? Più leggero. Tu mi capisci sempre, vero?»Un “meom” è stato il suo sì.«Ci pensi? Io, l’insignificante Leonardo Guidi che sogna di

assomigliare un pizzico a Leonardo Da Vinci! Non ti viene da ridere?»

Tenebra ha chiuso gli occhi e arricciato il naso. Sembrava riflettere. A occhi chiusi, si fondeva con l’oscurità della came-ra trapunta con i luccichii delle stelle. Forse quel buio a tratti scintillante era per lui un’altra fonte d’ispirazione?

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Con lo sguardo fisso alle stelle…

Chissà cosa avrebbe pensato il grande Leonardo di un ragaz-zino che credeva che un gatto ridesse, capisse o pensasse...

Fissando il mio gatto color buio mi sono addormentato.