L'elettricità

171
L' ELETTRICITA' Corso teorico-pratico Parte 1ª Introduzione Questo corso ha un fine soprattutto pratico: non vi si tratteranno formule e teorie più o meno astratte, ma si discuterà nel modo piu' semplice possibile di fatti concreti, di immediata utilità, nell'intento di consentire a chiunque di impadronirsi di quelle poche nozioni di base, indispensabili per utilizzare l'energia elettrica con consapevolezza e con quindi con maggiori vantaggi, ed anche, diciamo la verità, con la soddisfazione di capirci qualcosa di piu'. Cominciamo quindi a parlare della corrente elettrica. Come dice la parola stessa, corrente e' qualcosa che scorre, che fluisce. La corrente elettrica e' in breve un flusso di cariche elettriche che ha luogo all'interno di alcuni materiali. Tali materiali, proprio perche' permettono alla corrente di attraversarli, vengono definiti conduttori. Altri materiali, attaverso i quali la corrente non riesce a passare, vengono definiti isolanti. I materiali conduttori che piu' ci interessano sono i metalli (ad esempio il rame, l'argento e l'alluminio, che vengono usati per costruire i cavi elettrici) ed i tessuti organici, vale a dire il nostro corpo (purtroppo anche noi siamo dei conduttori!). Tra i materiali isolanti ricordiamo il vetro, il marmo, la plastica, la gomma, il sughero, il legno e la carta (se sono ben asciutti). E' importante osservare che la corrente che scorre all'interno di un corpo, non e' qualcosa che viene dall'esterno: ogni corpo e' fatto di atomi, e sono proprio gli elettroni degli atomi che, per effetto di una forza applicata dall'esterno (chiamata forza elettromotrice o tensione o differenza di potenziale), cominciano a spostarsi da un atomo all'altro, dando origine al flusso di cariche chiamato corrente elettrica. La corrente elettrica puo' essere debolissima, come quella che, all'interno degli organismi viventi, trasmette gli impulsi nervosi; puo' essere abbastanza forte, come quella che accende la

description

Fondamenti - elettricità

Transcript of L'elettricità

Page 1: L'elettricità

L' ELETTRICITA'Corso teorico-praticoParte 1ª

Introduzione

Questo corso ha un fine soprattutto pratico: non vi si tratteranno formule e teorie più o meno astratte, ma si discuterà nel modo piu' semplice possibile di fatti concreti, di immediata utilità, nell'intento di consentire a chiunque di impadronirsi di quelle poche nozioni di base, indispensabili per utilizzare l'energia elettrica con consapevolezza e con quindi con maggiori vantaggi, ed anche, diciamo la verità, con la soddisfazione di capirci qualcosa di piu'.Cominciamo quindi a parlare della corrente elettrica.Come dice la parola stessa, corrente e' qualcosa che scorre, che fluisce. La corrente elettrica e' in breve un flusso di cariche elettriche che ha luogo all'interno di alcuni materiali. Tali materiali, proprio perche' permettono alla corrente di attraversarli, vengono definiti conduttori. Altri materiali, attaverso i quali la corrente non riesce a passare, vengono definiti isolanti.

I materiali conduttori che piu' ci interessano sono i metalli (ad esempio il rame, l'argento e l'alluminio, che vengono usati per costruire i cavi elettrici) ed i tessuti organici, vale a dire il nostro corpo (purtroppo anche noi siamo dei conduttori!).Tra i materiali isolanti ricordiamo il vetro, il marmo, la plastica, la gomma, il sughero, il legno e la carta (se sono ben asciutti).

E' importante osservare che la corrente che scorre all'interno di un corpo, non e' qualcosa che viene dall'esterno: ogni corpo e' fatto di atomi, e sono proprio gli elettroni degli atomi che, per effetto di una forza applicata dall'esterno (chiamata forza elettromotrice o tensione o differenza di potenziale), cominciano a spostarsi da un atomo all'altro, dando origine al flusso di cariche chiamato corrente elettrica.La corrente elettrica puo' essere debolissima, come quella che, all'interno degli organismi viventi, trasmette gli impulsi nervosi; puo' essere abbastanza forte, come quella che accende la lampadina della nostra stanza, e puo' essere fortissima, come quella che fonde i metalli in un altoforno o fa camminare un treno a 150 km all'ora.

Sappiamo bene che oggi senza la corrente elettrica si fermerebbe tutto, a cominciare dal computer dove stiamo leggendo queste parole. Dove troviamo la corrente in casa nostra? Naturalmente nelle prese, le comunissime prese di corrente. Occorre pero' fare una precisazione: nelle prese non c'e' la corrente, ma c'e' la tensione, ovvero quella forza che spinge gli elettroni a muoversi, dando origine alla corrente. Questa forza ha un valore ben preciso, che si indica con un numero, abbinato ad una unita' di misura: il volt; come

diciamo Elisa e' alta 168 centimetri, possiamo dire che la tensione disponibile nelle prese di casa nostra misura 220 volt.Osservando bene una presa, vedremo che in essa ci sono tre fori: lasciamo perdere per il momento il foro centrale, che ha solo una funzione di sicurezza, e parliamo dei due fori laterali. La forza elettromotrice, o tensione, di 220 volt, e' presente in realta' solo in uno dei fori. Per semplificare, possiamo immaginare che in uno dei fori sia presente la forza che serve a spingere le cariche elettriche e che l'altro serva solo per ricevere le cariche che hanno terminato il loro percorso utile e se ne vanno.La tensione presente sulla presa, non produce alcun effetto finche' niente vi viene inserito; nel momento

Page 2: L'elettricità

in cui vi inseriamo una spina, per esempio la spina di una lampada, non facciamo altro che creare un collegamento tra il foro che spinge e quello che risucchia: nel filo della lampada comincia a scorrere una corrente elettrica, che ha come effetto l'accensione della lampadina. In figura 1 e' stato evidenziato con un tratto continuo tutto il percorso seguito dalla corrente, supponendo che essa si sposti nel verso indicato dalle piccole frecce bianche. Si vede che la corrente esce dal foro della presa contrassegnato col numero 1, percorre il filo di collegamento ed arriva alla lampadina. Il punto di contatto tra il filo e la lampadina e' rappresentato in questo caso dalla parte filettata, o torso, indicata con T; il torso e' a sua volta collegato col filamento e cosi', come si vede in figura, la corrente prosegue il suo percorso, attraversando il filamento della lampada (che si accende) ed uscendo dall'altro punto di contatto, rappresentato dal bottone metallico situato sul fondo della lampadina, indicato con C. Da qui la corrente, percorrendo il filo di ritorno, arriva nuovamente alla presa, dove entra nel foro numero 2 e se ne va.E' bene adesso spendere qualche parola sulla lampadina: come mai alcune lampade fanno tanta luce ed altre ne fanno molto poca, pur essendo tutte ugualmente collegate alla stessa presa dove, abbiamo visto, ci sono 220 volt? La spiegazione risiede nella quantita' di corrente che passa nella lampadina. Quelle che fanno poca luce vengono attraversate da poca corrente; quelle che fanno molta luce vengono attraversate da una corrente piu' forte.

Abbiamo visto che la corrente scorre per effetto di una forza detta forza elettromotrice o tensione; c'e' pero' qualcosa che contrasta di più o di meno questa forza e tende a frenare lo scorrere degli elettroni: questa forza frenante, che dipende dalla natura del materiale attraversato, viene detta resistenza elettrica.

Maggiore e' questa resistenza e minore e' la corrente che riesce a passare (abbiamo visto che in certi materiali, detti isolanti, la corrente non passa per niente). Le lampadine che fanno piu' luce sono costruite in modo tale che il loro filamento, cioe' quel filo che si scalda e diventa incandescente, abbia una resistenza bassa e possa quindi far passare piu'corrente. Questo risultato si puo' ottenere in vari modi:1- si puo' usare un materiale che per sua natura abbia una minore resistenza elettrica e quindi presenti una maggior attitudine ad essere attraversato dalla corrente2- scelto un certo materiale, si puo' usare un filo piu' grosso: piu' e' grosso il filo, maggiore e' la corrente che riesce a passare3- si puo' fare in modo che la lunghezza del filo sia minore: piu' corto e' il filo, piu' corrente passa.

Riepilogando possiamo dire che:Un materiale puo' essere attraversato da corrente se e' conduttore.La corrente che passa in un materiale dipende da due fattori:1- dalla forza elettromotrice, o tensione, applicata2- dalla resistenza del materialeCon riferimento ad un conduttore di determinate dimensioni, se indichiamo con V la tensione applicata, con I la corrente che attraversa il conduttore e con R la sua resistenza, possiamo esprimere matematicamente la relazione che esiste fra le tre grandezze:

Aggiungiamo che la tensione si misura in Volt (lo abbiamo gia' visto), la corrente si misura in

Page 3: L'elettricità

Ampere e la resistenza si misura in Ohm.In pratica questo vuol dire che conoscendo il valore di due delle tre grandezze in gioco, e' possibile calcolare la terza. Se io ho un utilizzatore la cui resistenza R e' di 44 ohm e lo collego ad una tensione V di 220 volt, posso dire subito che nel mio utilizzatore passera' una corrente di 5 ampere, perche' 220 : 44 mi da' come risultato 5.Quando una lampada assorbe più corrente di un'altra e quindi fa piu' luce, si dice che e' di maggiore potenza: cerchiamo allora di definire esattamente che cos'è la potenza. E' intuitivo dire che la potenza dipende dalla corrente assorbita, ma non basta, perchè se io faccio funzionare la stessa lampada con una tensione più alta, ottengo una luce ancora più forte (e magari la lampada mi si brucia). Ciò significa che per parlare di potenza devo considerare non solo la corrente assorbita, ma anche la tensione a cui la lampada assorbe una certa corrente: questo porta a concludere che, dal punto di vista numerico, la potenza si calcola moltiplicando la tensione per la corrente.

Per chiarire meglio quanto affermato, consideriamo le due lampadine illustrate in figura 2: quella a sinistra è una lampadina per fari di automobili, ed è progettata per funzionare con la batteria da 12 volt; quella di destra è una comune lampada per l'illuminazione casalinga a 220 V. Pur essendo diverse nella forma e nella tensione di funzionamento, le due lampade sono progettate per assorbire la stessa potenza di 40 W; infatti, la prima, collegata alla batteria dell'auto, assorbe una corrente di 3,3 A mentre la seconda, collegata alla presa da 220 V, assorbe una corrente di 0,18 A. Calcoliamo la potenza nei due casi: per la lampada da auto abbiamo P = 12 x 3,3 = 39,6 watt; per la

lampada di tipo domestico abbiamo P = 220 x 0,18 = 39,6 watt. Come si vede, a parità di potenza, più bassa è la tensione di funzionamento, più alta è la corrente assorbita. Tutti i dispositivi che funzionano con la corrente elettrica, sono chiamati utilizzatori. La nostra casa e' piena di esempi di utilizzatori: frigorifero, lavatrice, asciugacapelli, televisione, stufette elettriche, tutti i dispositivi di illuminazione (piantane, lampadari, ecc.) e tanti altri. Se avete in casa il contatore, quella scatola nera con un disco che gira e che misura l'energia consumata, divertitevi a vedere come il disco gira con velocita' diverse a seconda degli utilizzatori che accendete; noterete che girera' piano quando attaccate per esempio un frullatore o un ventilatore, ma girera' molto piu' velocemente se attaccate alla corrente una stufetta o il forno elettrico. In pratica la velocita' di rotazione del disco dipende dalla corrente che in quel momento sta passando negli utilizzatori che voi avete collegato alla rete elettrica. Ogni utilizzatore e' caratterizzato da due dati: la tensione di funzionamento e la potenza che assorbe quando funziona a quella tensione. La tensione di funzionamento deve essere assolutamente rispettata, pena la distruzione dell'utilizzatore stesso; attualmente, come abbiamo gia' visto, la tensione nelle nostre case ha il valore unificato di 220 volt, e quindi e' poco probabile che un utilizzatore venga collegato ad una tensione errata. La potenza puo' variare, anche di molto, da un apparecchio all'altro; un televisore da 14 pollici assorbe circa 50 W, un trapano elettrico circa 450 W, un forno puo' assorbire piu' di 1500 W. Non e' possibile in genere far funzionare in casa utilizzatori di potenza superiore a circa 3000 W, altrimenti scatta la protezione di sovraccarico e si resta al buio. Naturalmente il discorso vale anche per piu' utilizzatori di potenza minore, ma fatti funzionare contemporaneamente: una lampada da 250 w, accesa mentre si usa un asciugacapelli da 1500 w, e mentre magari ci si scalda con una stufetta da 750 w, equivale

Figura 2

Page 4: L'elettricità

ad una potenza totale assorbita di 250+1500+750, e cioe' 2500 w.Una volta era comune trovare nelle case piu' di una tensione: non solo 220, ma anche 160 e 110 volt. Qualcuno si divertiva a prendere una lampada del tipo a 160 volt e la collegava a 220. La lampada faceva una bella luce vivida, molto piu' bianca e forte di quella normale, ma dopo poche ore era bella che bruciata! Questo succede perche', a causa della forza elettromotrice (o tensione) troppo elevata, nella lampada passa una corrente superiore a quella che il filamento puo' sopportare senza distruggersi. Se la stessa lampada fosse stata progettata per funzionare a 220 volt, il suo filamento sarebbe stato costruito con filo piu' sottile e sarebbe stato piu' lungo, in modo da opporre una maggiore resistenza alla corrente che cerca di passare sotto la spinta di una tensione piu' elevata. Questo ragionamento trova conferma nelle tre formule che abbiamo visto prima: una di esse ci dice che la corrente e' pari al valore della tensione diviso il valore della resistenza; e' chiaro quindi che se una lampadina deve funzionare ad una tensione piu' alta, deve essere maggiore anche la sua resistenza. Ma e' possibile calcolare quanto vale la resistenza di un filo? Certamente, e' possibile calcolare la resistenza di qualsiasi corpo o materiale, in base alle sue dimensioni ed alla sua composizione chimica e fisica.Tanto per gradire, anche la resistenza elettrica si calcola con una formula:

Forse non tutti conoscono quella lettera che sembra un nove allo specchio: si tratta di una lettera greca, e si chiama ro. Con questa strana lettera ro (ma si potrebbe usare qualsiasi altra lettera) si indica la resistivita', cioe' una caratteristica fisica che è specifica di ciascun materiale: il rame, per esempio,

ha una resistivita' minore del ferro e quindi e' piu' adatto a far passare la corrente. Il nichelcromo ha una resistivita' elevata, pari a circa 60 volte quella del rame, e cosi' risulta adatto per la costruzione di resistenze elettriche, cioe' apparecchiature che sono utili proprio perche' presentano una resistenza elevata.Come esempio, proviamo a calcolare la resistenza di un filo di nichelcromo avente una sezione di 0,2 mm quadrati e una lunghezza di 10 metri. Occorre conoscere quanto vale la resistivita' del nichelcromo; cercando in un apposito manuale si trova

resistivita' del nichelcromo = 0,9 ohm mmq/m

il che significa 0,9 ohm di resistenza per ogni metro di lunghezza, quando la sezione misura 1 millimetro quadrato.Moltiplico il valore della resistività (0,9) per la lunghezza del mio filo, che era 10 (metri) e poi divido per la sezione, che era 0,2 (millimetri quadrati)

: ottengo come risultato 45; siccome e' il valore di una resistenza, diremo 45

ohm. Tanto per dare soddisfazione a qualche matematico di passaggio,

possiamo analizzare la formula della resistenza dal punto di vista dimensionale (figura 3): si verifica facilmente che esprimendo la

resistività in ohm mmq/m, la lunghezza in m e la sezione in mmq, si ottiene il L' ELETTRICITÀ

Corso teorico-praticoParte 2ª

Nella parte 1ª abbiamo parlato di tensione, corrente e resistenza, facendo sempre riferimento alle

figura 3

Page 5: L'elettricità

prese di corrente che si trovano nelle nostre case: l'elettricità che vi arriva è prodotta in apposite centrali elettriche e viaggia attraverso linee lunghe anche centinaia di chilometri. Esistono comunque altre sorgenti di elettricità, ciascuna con caratteristiche proprie e, come vedremo, molto diverse l'una dall'altra.Tutti noi ci siamo serviti almeno qualche volta delle pile, le comuni pile dette anche, impropriamente, batterie; le abbiamo usate magari per far funzionare la radiolina o il walkman.

Quelle cilindriche, per esempio, esistono in vari formati (ministilo, stilo, mezzatorcia, torcia), ma forniscono tutte la stessa tensione: 1,5 volt. Che differenza c'è allora tra una pila e l'altra? La risposta più intuitiva è: la quantità di energia che essa contiene. Se ad una di queste pile colleghiamo una piccola lampadina da torcia elettrica, adatta a funzionare a 1,5 volt, la lampadina si accenderà nello stesso identico modo con ciascuna pila; vedremo, però, che con una pila grande la lampadina rimarrà accesa più a lungo. Tale durata, che è tanto maggiore quanto più grande è la pila, è determinata da quella che viene definita "capacità" della pila. La capacità è una grandezza che tiene conto sia della corrente erogata, sia del tempo per cui la pila riesce ad erogare tale corrente; per questo motivo, la

capacità si calcola moltiplicando la corrente per le ore, e si misura in Ah (cioè: amper-ora). Per fare un esempio, con la stessa pila possiamo far accendere per due ore una lampadina che assorbe una corrente di 0,5 A, oppure per quattro ore una lampadina che assorbe 0,25 A (cioè metà corrente della precedente); se calcoliamo la capacità, abbiamo nel primo caso: 0,5 x 2 = 1 Ah e nel secondo caso: 0,25 x 4 = 1 Ah. La capacità è in ogni caso di 1Ah.Occorre comunque precisare che, a parte ciò che si è detto sulla diversa capacità, le dimensioni della pila determinano anche la massima corrente che questa può fornire: proprio a causa delle diverse caratteristiche costruttive, una pila piccola non potrà mai fornire la corrente che è in grado di erogare una pila grande, nemmeno per un istante brevissimo.

Quanto si è detto fino ad ora, vale per quegli altri generatori di energia elettrica, come gli accumulatori o

le batterie che troviamo nelle nostre auto o nei telefonini cellulari. A differenza delle pile, questi sono

ricaricabili, sono cioè in grado di incamerare nuovamente l'energia che hanno fornito e possono

quindi essere usati per parecchio tempo. Una batteria per auto, come molti sapranno, ha una tensione

caratteristica di 12 volt, mentre la capacità può variare da circa 35 Ah a 70 od 80 Ah o più. Quella raffigurata

a lato ha una capacità di 60 Ah: può fornire, ad esempio, 1 A per 60 ore, oppure 5 A per 12 ore, o

ancora 10 A per 6 ore.Più alta è la capacità della batteria e più forte è la corrente che essa può fornire: in certi istanti, per

esempio all'avviamento del motore, la batteria eroga, sia pure per tempi brevissimi, una corrente detta di spunto che può arrivare ad alcune centinaia di ampere: è chiaro quindi che

una batteria di maggiore capacità facilita l'avviamento del motore anche in condizioni sfavorevoli.

Ma esiste una grande differenza fra la tensione di una batteria (o pila o accumulatore) e quella che noi troviamo nelle prese di casa nostra.

Quattro tipi di pile, tutte con la stessa tensione di 1,5V; da sinistra a destra: ministilo, stilo, mezza torcia, torcia.

Batteria da 12V per auto; questa nella foto ha una capacità di 60 Ah

Page 6: L'elettricità

Non parlo del diverso valore, e cioè dei 220 volt di casa o dei 12 volt della batteria dell'auto, ma di una proprietà caratteristica che comporta tutta una serie di vantaggi e svantaggi, che

cercheremo di analizzare per sommi capi. Tornando alla nostra pila, la comune pila a stilo per esempio, osserviamo che essa viene utilizzata tramite due contatti metallici, che si trovano

sulle due estremità opposte. Da un lato troviamo un bottoncino metallico largo pochi millimetri che sporge al centro di una superficie di plastica; in genere in sua corrispondenza è disegnato un "+". Dall'altra parte troviamo il fondo della pila, completamente in metallo, che

è quello che in genere viene a contatto con una molla, quando la pila viene inserita nell'apparecchiatura ove deve funzionare. I due punti di contatto che abbiamo visto vengono chiamati "poli". Per la precisione uno, quello dove c'è il bottoncino piccolo contrassegnato col

"+", viene detto polo positivo; l'altro, il fondo metallico della pila, è il polo negativo. La corrente

fornita da una pila (o da una batteria o accumulatore che dir si voglia) esce sempre dal

polo positivo, attraversa l'utilizzatore (per esempio la lampadina) e rientra dal polo negativo. Finchè la

pila è carica ed eroga corrente, questa fluisce sempre nella stessa direzione e con un valore praticamente costante: una corrente con tali

caratteristiche viene definita "corrente continua". Ben diversa è la corrente che usiamo in casa

prelevandola dalle prese, e che è detta corrente di rete. Tanto per farci un'idea del suo

comportamento, possiamo supporre che per un breve tempo la corrente esca da un foro della presa

e rientri in quell'altro (vedi figura: istante 1); subito dopo immaginiamo che la stessa corrente

cominci ad uscire dal foro in cui prima rientrava, per rientrare in quello da cui prima usciva (istante

2). Supponiamo poi che, dopo un altro breve intervallo di tempo, la situazione si inverta ancora, e così via all'infinito. Nel caso specifico

delle reti elettriche in Italia, la corrente cambia effettivamente direzione (o, meglio, "polarità") 50 volte al secondo; ciò vuol dire che nel breve intervallo di un cinquantesimo di

secondo, la corrente scorre in un verso per la prima metà (e quindi per un centesimo di secondo) e nel verso opposto per l'altra metà (l'altro centesimo di secondo). Ma non basta:

oltre a cambiare direzione, la corrente fluisce con un valore che non è costante,

ma varia da zero ad un massimo e poi di nuovo a

zero. Una corrente con tali caratteristiche viene definita "corrente

alternata", ed è quella che più usiamo nella vita di

tutti i giorni, senza renderci conto di come essa

sia "inquieta".Per chi ama i grafici ed ha

un pò di confidenza con essi, la corrente alternata si

Page 7: L'elettricità

può rappresentare come nella figura che segue.Proviamo ad analizzare il grafico; in orizzontale è rappresentato il tempo, con valori che vanno da 0 a 20 millisecondi, mentre sull'asse verticale, a sinistra, si trovano i valori di

tensione. Vediamo che, a partire dal tempo 0, il valore della tensione cresce e, a 5 millisecondi dall'inizio, raggiunge un valore massimo di 310 volt. La tensione comincia poi a scendere, ed

arriva a zero quando sono passati 10 millisecondi dall'inizio.Si vede poi che la tensione scende al di sotto del valore 0, per raggiungere nel punto più basso un valore di -310 volt. Cosa significa il meno davanti al numero? Niente di particolare; una

tensione di -310 volt è esattamente uguale ad una di 310 volt: l'unica differenza è che la corrente scorre in senso contrario. La tensione riprende poi a salire e, a 20 millisecondi

dall'inizio, torna a zero. Da questo momento ricomincia un altro ciclo, esattamente uguale a quello appena visto. Come abbiamo detto, questi cicli completi si ripetono 50 volte in un

secondo, e con la stessa successione di valori: per tale motivo, si dice che la corrente alternata ha una frequenza di 50 hertz, ed è una grandezza periodica; per essere più precisi, la tensione

di rete è una grandezza "sinusoidale", poiché i valori che assume nell'ambito di un ciclo corrispondono esattamente ai valori della funzione matematica chiamata "seno".

Ci sono ancora altre osservazioni da fare, ma credo di avervi annoiato a sufficienza. Non so quanti di voi saranno arrivati a leggere fin qua. Per chi ce l'ha fatta, appuntamento con la

Parte 3ª.valore della resistenza in ohm. L' ELETTRICITÀCorso teorico-pratico

Parte 3ª

Nella parte 2ª abbiamo detto che la corrente disponibile nalle prese delle nostre case è in realtà una corrente alternata, il cui valore varia in continuazione, passando da zero a un massimo e addirittura invertendo il senso di scorrimento. Siamo tutti abituati ad indicare la tensione di rete come "tensione a 220 V", ed in effetti tutti gli apparecchi nati per funzionare con la corrente di rete riportano come tensione di funzionamento il valore 220; perchè allora si usa attribuire questo valore ad una tensione che, in realtà (come si è visto nel grafico della lezione precedente) raggiunge valori massimi anche di 310 volt ?

La spiegazione è questa: il valore comunemente indicato di 220 V è il cosiddetto "valore efficace" (una specie di valore medio), e, come dice il nome, è il valore che esprime la reale efficacia di una tensione sinusoidale. Tale valore viene determinato in base all'effetto termico che una certa corrente è in grado di produrre: supponiamo per esempio di alimentare con la nostra tensione alternata una stufetta; essa produrrà una certa quantità di calore, raggiungendo una certa temperatura, di cui prenderemo nota. Stacchiamo poi la stessa stufetta dalla rete a corrente alternata ed alimentiamola con una tensione continua; misuriamo il calore prodotto dalla stufa mentre, poco alla volta, aumentiamo il valore della tensione continua. Nel momento in cui ci

accorgiamo che il calore prodotto è lo stesso che ottenevamo con la corrente alternata, abbiamo trovato quello che cercavamo: il valore che ha in quell'istante la tensione continua corrisponde esattamente al valore efficace della tensione alternata da cui siamo partiti.Anche quando si prova a leggere il valore della tensione alternata con un apposito strumento (detto tester o multimetro: figura 1), la lettura che esso ci fornisce è sempre 220 volt, ovvero il valore efficace.

Figura 1 - tester o multimetro

Figura 2 - Come funzionerebbe una lampada se la corrente alternata di rete avesse una frequenza troppo bassa

Page 8: L'elettricità

Ugualmente, se noi accendiamo una lampadina collegandola alla presa di 220 volt, la lampada fa la stessa luce che farebbe se funzionasse con una tensione continua di 220 volt. Questo succede perchè il filamento della lampadina, grazie alla sua inerzia termica, non può seguire le rapide variazioni dei valori di tensione, nè quando diventano zero, nè quando sono massimi, e quindi emette una luce media costante. Se la tensione di rete avesse una frequenza più bassa, per esempio inferiore ad 1 Hz, le nostre lampade si comporterebbero come quella di figura 2 (in effetti non sarebbe troppo confortevole!)La corrente alternata ha dei pregi e dei difetti. E' facile per esempio da una tensione alternata ottenerne una di valore completamente diverso, più alto o più basso, a seconda delle necessità di utilizzazione: basta fare uso di un trasformatore (figura 3), un dispositivo di costruzione abbastanza semplice e dal rendimento elevato.

Così se voglio servirmi di un motore che funziona a 48 volt, e voglio utilizzare la tensione di rete a 220 volt, mi basta procurarmi un trasformatore 220/48 V, e il problema è risolto. D'altra parte, la tensione (e quindi la corrente) alternata non è adatta, per esempio, a far funzionare apparecchiature audio. Se una tensione alternata arriva ad un altoparlante, questo comincia immediatamente a produrre un caratteristico rombo, ovvero un suono a bassa frequenza, continuo, che non permette di udire altro. Quindi per alimentare un registratore, uno stereo, o qualunque apparecchiatura musicale, devo prima trasformare la corrente di rete in una corrente continua, che avendo un flusso lineare e costante non produce rumore e permette il regolare funzionamento dei circuiti audio, così come di qualunque apparecchiatura elettronica.

Adesso facciamo un piccolo passo indietro: riguardo le prese di corrente, ad esempio, non abbiamo parlato della funzione del foro centrale. Nell'impianto elettrico, il foro centrale delle prese risulta, come si dice comunemente, collegato "a terra" o "a massa". In realtà l'espressione è abbastanza vicina al vero; non si sbaglia dicendo che c'è un filo (cioè un cavo elettrico unico o unipolare) che parte dal foro centrale di ogni presa e va a finire nel terreno, proprio la terra dei giardini, quella dove camminiamo e piantiamo i fiori. Non si tratta di un filo semplicemente infilato nel terreno come una pianta e magari concimato, ma di qualcosa di molto vicino; in realtà si allestisce quella che viene chiamata "presa di terra", facendo uno scavo che viene riempito di sostanze in grado di ridurre la resistività del terreno e quindi di favorire la dispersione dell'elettricità. Abitualmente in questo filo, che parte dal foro centrale della presa, e che è quasi sempre di colore giallo e verde, non passa alcuna corrente; infatti si è detto che la corrente che alimenta i nostri utilzzatori esce da un foro della presa e rientra in quell'altro. Questo è vero quando tutto funziona regolarmente; ma supponete che, per esempio, all'interno di un ferro da stiro, un filo che porta la corrente si spelli o si bruci, perdendo anche in un solo punto lo strato esterno che lo isola. Se il filo di rame viene a contatto con la carrozzeria del ferro da stiro, la tensione di 220 V della presa viene ad essere presente su tutte le parti metalliche del ferro. A questo punto la povera stiratrice che tocca il ferro, magari con le mani bagnate, offre senza saperlo una nuova strada al passaggio della corrente: la corrente, invece di rientrare nel secondo foro della presa dopo aver attraversato le resistenze del ferro da stiro, trova magari più semplice attraversare il corpo della povera donna per continuare il suo percorso attraverso il pavimento. Se questo succede, ed in quale misura, dipende da tanti fattori: per esempio dal tipo di scarpe indossate dalla vittima e dal tipo di pavimento; si tratta comunque di un rischio da evitare. Come? Usando un terzo filo che collega l'involucro metallico del ferro da stiro col foro centrale della presa di corrente. In questo modo, se per disgrazia la tensione di rete viene ad essere presente sulle parti metalliche del ferro da stiro, la corrente scieglie per scaricarsi la strada

Figura 3 - piccolo trasformatore per elettronica

Page 9: L'elettricità

più facile, ovvero quella di minore resistenza. Se l'impianto di terra a cui abbiamo collegato i fori centrali delle nostre prese è ben costruito, la sua resistenza sarà abbastanza bassa, per cui in presenza di dispersioni, una eventuale corrente sceglierà di scaricarsi attraverso di essa, e non più attraverso il corpo della povera casalinga che stira.Quindi, se vi capita di sostituire o riparare il cavo di alimentazione di qualche apparecchiatura, specialmente se questa può essere usata con mani umide, prestate la massima attenzione a collegare correttamente il cavo di terra; anzi collegatelo per primo. Nei cavi di uso comune ci sono tre conduttori: in genere uno è blu, uno marrone e uno giallo-verde. E' il filo giallo-verde che dovete collegare alle parti metalliche dell'apparecchio (in genere c'è un morsetto da avvitare) e al contatto centrale della spina.I CAVI CHE PARTONO DAI CONTATTI LATERALI DELLA SPINA NON DEVONO MAI ESSERE COLLEGATI ALLE PARTI METALLICHE DEGLI ELETTRODOMESTICI !

Nella figura viene illustrato il modo di collegare il cavo di alimentazione ad una lampada da tavolo: si utilizza un cavo (nella figura è di colore grigio) detto "tripolare", cioè che contiene al suo interno tre cavetti di diverso colore; per esempio: blu, marrone e giallo/verde. Quello giallo-verde deve essere collegato da una parte al contatto centrale della spina e, arrivato alla lampada, deve essere stretto sotto una vite, in modo da risultare a diretto contatto con le parti metalliche della lampada stessa (che nella figura sono colorate in viola). Gli altri due cavetti andranno collegati ai contatti laterali della spina, non importa da quale parte il blu e da quale il marrone, ed al portalampada, cioè a quel componente della nostra lampada da tavolo, dove avvitiamo la lampadina.

LE NOZIONI FORNITE IN QUESTE PAGINE HANNO UNO SCOPO PURAMENTE INFORMATIVO - NON SI CONSIGLIA, A CHI NON ABBIA LA NECESSARIA ESPERIENZA, DI EFFETTUARE RIPARAZIONI O MODIFICHE SU APPARECCHIATURE ELETTRICHE DESTINATE A FUNZIONARE CON LA TENSIONE DI RETE !

L' ELETTRICITÀCorso teorico-pratico

Parte 4ª

Nella lezione precedente abbiamo visto che i trasformatori consentono di trasformare il valore della tensione, purchè si tratti di una tensione alternata; cercheremo adesso di capire più da vicino, sia pure sommariamente, come è fatto e come funziona un trasformatore elettrico.

Page 10: L'elettricità

Fondamentalmente (figura 1) esso è costituito da un nucleo metallico, chiuso ad anello, la cui grandezza può variare

anche di molto, in funzione della potenza erogata. Intorno a questo nucleo si realizzano due avvolgimenti, con filo di rame smaltato, proprio avvolgendo il filo come si vede in figura: da una parte si realizza l'avvolgimento che sarà

collegato alla tensione più alta (quello di sinistra, con tante spire, che collegheremo per esempio a 220 volt); dall'altra parte si realizza l'avvolgimento con meno spire, quello che

fornirà una tensione più bassa (per esempio 12 V). Naturalmente non avvolgeremo il filo direttamente sul

ferro, perchè l'isolamento del filo stesso potrebbe deteriorarsi e quindi la tensione di rete sarebbe

pericolosamemnte presente sul ferro del trasformatore. I due avvolgimenti saranno eseguiti su appositi cartocci

isolanti; le estremità di ciascun avvolgimento verranno poi portate all'esterno, facendo capo eventualmente ad appositi terminali, in modo da poter essere

facilmente collegati. Se noi, stando ai valori citati come esempio, colleghiamo alla rete i due capi dell'avvolgimento a 220 V, dall'altra parte (ai capi dell'avvolgimento con poche spire)

troveremo una tensione di 12 V. Ma come fa la corrente a passare dal primo avvolgimento al secondo, se questi sono completamente isolati?

In effetti la corrente non passa, ma succede un'altra cosa, che cercherò di spiegare in modo molto semplificato. Noi abbiamo collegato alla rete (le famose prese di corrente di casa)

l'avvolgimento con molte spire: in questo avvolgimento quindi passa una corrente, che da un capo entra e dall'altro esce; passando nelle spire, la corrente produce un effetto: crea un

campo magnetico, cioè il nucleo di ferro del trasformatore diventa una specie di calamita. Infatti, se avvicinate al nucleo una lametta da barba, sentirete che la lametta vibra, per effetto del campo magnetico che vi si induce. Attenzione: a differenza della calamita che attrae a sè e

basta, il campo magnetico del trasformatore è un campo magnetico alternato, così come è alternata la corrente che lo crea, e le vibrazioni che avvertite nella lametta sono esattamente a

50 hertz, ovvero la frequenza della corrente di rete. È proprio questo campo magnetico continuamente variabile che, attraversando tutto il nucleo metallico del trasformatore, dà

origine ad una corrente indotta nell'altro avvolgimento, e ci permette di prelevare da quest'ultimo una tensione, anche se non esiste nessun collegamento elettrico. Occorre infatti

sottolineare questo aspetto fondamentale: il trasformatore, oltre a consentire di variare il valore della tensione, permette di ottenere in uscita un circuito completamente isolato da

quello principale, e quindi sicuro anche per chi dovesse accidentalmente venire a contatto con i fili ad esso collegati.

Attenzione: Talvolta, col nome di TRASFORMATORI, si trovano in commercio apparecchi che sono in realtà AUTOTRASFORMATORI.

I vari avvolgimenti di un autotrasformatore NON sono isolati fra loro: si tratta di un unico avvolgimento con varie prese, dove tutti i terminali risultano direttamente COLLEGATI

ALLA RETE - occorre quindi la massima attenzione nell'uso di tali apparecchi.

Per concludere, aggiungiamo che i due avvolgimenti del trasformatore, quello di entrata e quello di uscita, si chiamano rispettivamente primario e secondario. Ciascuno di essi è

composto da un numero di spire che naturalmente non è casuale: le spire sono esattamente proporzionali alle diverse tensioni, e dipendono inoltre dalla potenza del trasformatore. Il rapporto fra il numero di spire primarie ed il numero di spire secondarie è esattamente

uguale al rapporto fra le tensioni dei due avvolgimenti e viene definito "rapporto di

Figura 1 - Un trasformatore è composto da due avvolgimenti di filo conduttore intorno ad un nucleo magnetico

Page 11: L'elettricità

trasformazione"Ma i trasformatori sono importantissimi anche per un altro motivo: essi rendono possibile il trasporto dell'energia elettrica dai luoghi di produzione a quelli di utilizzazione. La quantità di energia che richiede la nostra società è inimmaginabile; centinaia e centinaia di megawatt

(1 megawatt = 1 milione di watt) viaggiano di continuo sulle linee elettriche che, effettivamente poco piacevoli,

attraversano le nostre campagne . Come sarebbe possibile far viaggiare tali enormi potenze? La corrente sarebbe così forte che per consentirne il passaggio occorrerebbero cavi

grossi come tronchi d'albero!Per fortuna (vedere parte 1ª) la potenza è uguale al

prodotto della corrente per la tensione; ciò significa che la potenza in gioco non cambia se la corrente diminuisce ma

nel frattempo aumenta proporzionalmente la tensione. Ecco allora che per trasportare l'energia elettrica a

distanza, senza usare cavi giganteschi, conviene aumentare notevolmente la tensione in modo da ottenere che la

corrente nella linea sia più bassa e quindi possa viaggiare su cavi di dimensioni accettabili. La tensione che si usa è effettivamente alta (varie decine di migliaia di volt) e la si avverte anche a

distanza; se siete in campagna e passate sotto uno di questi elettrodotti fermatevi e fate silenzio: sentirete il classico crepitio dell'alta tensione, come aria che frigge, e vi renderete conto di quale campo elettrico si generi intorno a tali linee! Grazie a trasformatori enormi

(ben più sofisticati del semplice esempio visto prima) la tensione viene elevata prima di essere instradata sulle linee per il trasporto. All'arrivo, un altro trasformatore realizza l'operazione

opposta: riabbassa la tensione, portandola ai valori adatti alle applicazioni comuni.Tutto questo non sarebbe possibile con la corrente continua, poichè essa non è in grado di

dare origine ad un campo magnetico variabile e quindi non permette di usare i trasformatori.

L' ELETTRICITÀCorso teorico-pratico

Parte 5ª

Carichi resistivi e carichi induttivi.

I vari utilizzatori che funzionano con la corrente elettrica possono differenziarsi, oltre che per la tensione e per la potenza richiesta, anche per il loro comportamento nei confronti della corrente stessa. Ci sono infatti utilizzatori, detti appunto carichi resistivi, che sono costituiti unicamente da una resistenza, cioè un filo realizzato con materiale di resistività elevata che, come abbiamo visto, viene percorso da corrente e si riscalda; utilizzatori di questo tipo sono, ad esempio, il forno di casa, la stufetta e le sempre presenti lampadine: in effetti delle lampadine a noi interesserebbe di più la luce, ma il calore, purtroppo, è sempre presente, e non è neppure poco.Ci sono però altri utilizzatori (anche fra i comuni elettrodomestici) che non sono delle resistenze; un ventilatore, per esempio, o un frullatore, fanno uso di un motore che è prevalentemente costituito da avvolgimenti (come i trasformatori), ed abbiamo visto che un avvolgimento produce campi magnetici. E' proprio l'effetto di questi campi magnetici che permette al motore di girare e produrre energia meccanica. In questi casi si parla di carichi induttivi. La principale caratteristica di un carico induttivo è quella di opporsi alle variazioni rapide della corrente: se si applica tensione a un induttore, la corrente non inizia a passare subito, ma dopo un certo tempo ed aumentando

Page 12: L'elettricità

gradualmente. Analogamente, nel momento in cui si toglie tensione, la corrente in un induttore non può cessare di colpo, ma tende ad estinguersi con ritardo. Questo è il motivo per cui, quando si stacca alimentazione ad un'apparecchiatura di tipo induttivo, si vede scoccare una scintilla fra i contatti dell'interruttore: è la corrente che stava circolando fino ad un attimo prima e che, non potendo cessare istantaneamente, cerca di continuare a scorrere attraversando anche lo spazio d'aria fra i contatti dell'interruttore aperto. La scintilla si verifica poichè l'interruzione improvvisa di un circuito induttivo determina anche la nascita di una sovratensione, cioè di una tensione più elevata di quella di normale funzionamento, che permette alla corrente di vincere anche la resistenza dell'aria.Mentre gli utilizzatori di tipo resistivo possono funzionare indifferentemente sia con una tensione alternata che con una continua, purchè dello stesso valore, gli utilizzatori di tipo induttivo devono assolutamente funzionare col tipo di tensione per cui sono stati progettati; e tale tensione deve avere non solo il giusto valore in volt, ma anche la giusta frequenza. Un trasformatore progettato ad esempio per funzionare con una tensione di 220V a 60Hz, può surriscaldarsi (ed anche andare incontro ad avaria) se viene fatto funzionare con una tensione di 220V ma a 50Hz.

Collegamenti in parallelo e in serie.

Volendo collegare alla rete diverse lampadine, è possibile collegarle come si vede nella prima delle figure a lato; in tal modo ognuna delle lampade risulta collegata a 220 volt ed assorbe la corrente che il suo filamento lascia passare. Un simile

collegamento si chiama collegamento in parallelo.Sarebbe poi possibile fare una cosa più originale: collegare le lampade non una di fianco all'altra, ma una in fila all'altra, in modo che l'uscita di una sia collegata all'entrata di quella che segue, così come si vede nella seconda figura. Cosa succede in questo caso? La corrente che esce dalla presa attraversa una dopo l'altra tutte le lampadine; si tratta dell'unica corrente che circola, essendo solo uno il circuito possibile.

Quanta corrente passa? La tensione di 220 volt della presa risulta applicata a tutta la fila di lampadine, quindi per far passare corrente deve vincere la resistenza non di una sola, ma di tutte le lampadine, una dopo l'altra; la resistenza che incontra è equivalente quindi alla somma di

Figura 1 - Collegamento in parallelo: la tensione è la stessa per tutti gli utilizzatori; ogni utilizzatore assorbe la sua corrente

Figura 2 - Collegamento in serie: tutti gli utilizzatori sono attraversati dalla stessa corrente; la tensione si ripartisce sui vari utilizzatori

Page 13: L'elettricità

tutte le resistenze. La tensione di 220 volt si suddividerà allora tra le varie lampadine, e su ogni lampadina sarà presente la tensione che occorre perchè la corrente in circuito possa superare la resistenza di quella lampadina. Se supponiamo di collegare in fila 10 lampadine identiche, troveremo che su ogni lampada sarà presente una tensione di 22 volt. Un simile collegamento si

chiama collegamento in serie. Esempio caratteristico di collegamento in serie sono le lampadine dell'albero di natale. Una serie è costituita da 10 o più lampadine colorate, tutte aventi le stesse caratteristiche elettriche. Se una di esse venisse collegata da sola alla rete a 220 volt, scoppierebbe immediatamente; insieme alle altre invece essa sopporta solo una piccola parte della tensione di rete e può funzionare senza bruciarsi.

Potenza ed energia.

Vorrei spendere qualche parola su due concetti che spesso sono oggetto di confusione: quelli di potenza e di energia. Per essere più chiaro, farò un esempio pratico: abbiamo un carico di materiali

che pesano 400 kg e che noi vogliamo portare su un solaio che si trova all'altezza di 20 metri. Supponiamo di sollevare questo peso con un paranco elettrico, e che il paranco, girando lentamente, impieghi 50 secondi per portare il carico a 20 metri. Se facciamo due conti, vediamo che il paranco

ha compiuto un lavoro pari a 8000 kgm (chilogrammetri). Per compiere questo lavoro ho consumato una certa quantità di energia elettrica. Supponiamo ora di rifare lo stesso lavoro, usando un paranco di potenza doppia; questo mi solleverà il peso in 25 secondi, ma avrà compiuto lo stesso

lavoro dell'altro e consumato la stessa quantità di energia: si tratta dell'energia che corrisponde a quel determinato lavoro, e non ha niente a che fare col tempo impiegato a compierlo. Il paranco

dotato di motore più potente è in grado di sollevare il peso più velocemente; rimane attaccato alla corrente per meno tempo ma in quel tempo assorbe una corrente più alta. Il paranco meno potente solleva il peso lentamente, e assorbe una corrente più bassa per un tempo più lungo: la quantità di

energia è la stessa. E infatti l'energia si misura in kwh (chilowattora), una unità di misura che corrisponde al prodotto di una potenza per un tempo!

L' ELETTRICITÀCorso teorico-pratico

INSERTO: PRESE E SPINE

Molto spesso si parla indifferentemente di "spine" o di "prese" senza rendersi conto della differenza sostanziale che invece esiste fra le une e le altre; occorre poi considerare che esistono non pochi tipi di prese e relative spine, per cui la confusione diventa anche maggiore. Cerchiamo allora di capire meglio le differenze tra un tipo e l'altro, in modo da usare possibilmente sempre l'accessorio più adatto alle varie esigenze che possono presentarsi quotidianamente nell'ambito della vita domestica.

La prima distinzione da fare è la seguente:Le prese sono quelle dotate di soli fori, da dove la corrente esce: parliamo quindi delle prese di corrente

Page 14: L'elettricità

che si trovano sulle pareti delle noste case.Le spine sono quelle dotate di perni metallici che possono essere infilati nei fori delle prese; pertanto, ogni apparecchiatura che deve funzionare con la corrente elettrica è dotata di un cavo che termina con una spina.

A questo punto osserviamo che è piuttosto ovvio che, dove la corrente è sempre presente, si usi un dispositivo dotato di fori; immaginate cosa succederebbe se la corente fosse presente su dei perni sporgenti come quelli delle spine: sarebbe sufficiente sfiorare per errore uno dei perni per restare folgorati da una scrica elettrica!Naturalmente, sui perni delle spine dei nostri elettrodomestici non c'è corrente, quindi non si corre pericolo a toccarli: solo quando essi vengono inseriti in una presa, la corrente vi entra ed attraverso il cavo arriva all'elettrodomestico.A tutti noi è capitato più volte di dover collegare alla corrente un'apparecchiatura e di non poterlo fare perchè la sua spina non entrava nella presa di cui disponevamo! Questo succede perchè, a seconda di dove l'apparecchiatura è costruita, il cavo viene dotato della spina in uso in quel certo paese; vediamo allora alcune di queste spine, perlomeno le più comuni.

Tutti conosciamo le spine di standard italiano (figura 1), con tre perni (o spinotti) allineati: i due laterali presentano il metallo in vista solo nelle estremità, mentre per il resto della lunghezza risultano coperti da un materiale plastico isolante (che nell'immagine è di colore rosso); lo spinotto centrale, il cui metallo è tutto scoperto, garantisce il collegamento della "terra" e quindi la sicurezza dell'utilizzatore (i due spinotti laterali sono parzialmente ricoperti con isolante per evitare che, mentre si infila la spina nella presa, le dita dell'utente possano venire a contatto di uno spinotto quando su questo è già presente la tensione di rete).

Figura 1 - Spine di standard italiano, da 10A e da 16ALe spine di destra, dette "a squadra", grazie al minor spessore ed al filo che esce di lato, sono da preferire nei casi in cui alla parete ove è inserita la spina debba essere addossato un mobile

Queste spine si trovano nelle versioni da 10 ampere e da 16 ampere: fra un tipo e l'altro cambia sia la distanza fra gli spinotti che lo stesso diametro degli spinotti. Una spina del tipo da 10 ampere può essere usata per utilizzatori la cui potenza non superi 1500 W; anche se viene proposta per potenze maggiori, in pratica è bene prevedere un certo margine di sicurezza, per evitare che, nei punti di contatto con la presa, la spina possa surriscaldarsi e fondere. Per potenze superiori ai 1500 W è bene quindi usare una spina da 16 A, che ha spinotti più grossi e quindi può meglio sopportare il passaggio di correnti più forti.

Un'altra spina utilizzata su molti apprecchi è quella di tipo tedesco/francese, detta anche "Shuko" (figura 2). Tale spina ha due spinotti che, pur essendo distanziati fra loro come quelli della spina italiana da 10 A, sono più grossi e quindi non entrano nelle prese di tipo italiano; il collegamento con la terra avviene tramite due linguette laterali.

Page 15: L'elettricità

Figura 2Spina "Shuko" (standard franco/tedesco)

Per tali motivi queste spine richiedono apposite prese a "pozzetto", dotate di contatti laterali per la terra; in alternativa, le spine tedesche possono essere collegate ad una normale presa italiana da 16 ampere, usando un adattatore come quello di figura 3.

Già che si parla di adattatori, è bene considerare che ne esistono tanti, ma che solo alcuni possono essere usati in condizioni di sicurezza. Tanto per fare un esempio, mentre può essere utile, e tollerabile, usare un adattatore che consente di collegare una spina da 10 A ad una presa più grossa, da 16 A (figura 3),

Figura 3 - Adattatori: quello a sinistra per collegare una spina tedesca ad una presa italiana da 16 A; quello a destra consente di collegare ad una presa da 16 A una spina italiana sia da 16 A che da 10 A

è assolutamente da evitare l'uso di adattatori da piccolo a grande, ovvero di quelli che consentono di collegare una spina grande ad una presa piccola, poichè la corrente elevata, passando nei contatti incerti della spina e dell'adattatore, può facilmente portare alla fusione delle varie parti, con pericolo di incendio.In considerazione delle tante spine che esistono, conviene disporre nelle nostre case di prese di vario tipo; si trovano poi in commercio delle prese multistandard, che si adattano a diversi tipi di spine.

Figura 4 - Prese a parete di vario tipo

Page 16: L'elettricità

In figura 4 si vede per esempio un allestimento di prese da parete, formato, a sinistra, da due prese adatte a spine italiane sia da 10 che da 16 ampere, e a destra da una presa a pozzetto per spine shuko franco-tedesche; è senz'altro consigliabile attrezzare bene le prese a parete, piuttosto che ricorrere ad una serie di adattatori, magari infilati uno nell'altro.

In figura 5 si vede come viene montato un normale cavo elettrico all'interno di una spina (l'immagine è solo dimostrativa: si sconsiglia la realizzazione pratica a chi non abbia un minimo di dimestichezza con tali operazioni)

Figura 5 - Montaggio del cavo all'interno di una spina

Un cavo elettrico contiene al suo interno tre conduttori: in genere uno è di colore azzurro, uno marrone ed uno giallo-verde. Il filo azzurro e quello marrone sono quelli che portano effettivamente

la corrente all'apparecchio utilizzatore, sia esso un frigorifero, un frullatore o altro. Il filo giallo-verde ha una funzione di sicurezza; è della massima importanza che venga collegato allo spinotto centrale della spina: in tal modo, qualunque dispersione di corrente presente sull'elettrodomestico

viene inviata alla presa di terra, tramite il contatto centrale della presa ove risulta collegata la spina.Sarebbe pericolosissimo collegare nella spina i tre conduttori in modo errato, poichè la tensione di 220V potrebbe risultare presente direttamente sulle parti metalliche del nostro elettrodomestico!

ELETTRONICA DI BASELETTRONICA DI BASEEELETTRONICA DI BASE

ELETTRONICA DI BASE

Un saldatore a stagno di circa 20 watt di potenza; vanno molto bene quelli cosiddetti a stilo, dalla punta sottile, adatta per saldare con precisione particolari molto piccoli. L'importante è che sia un saldatore per elettronica ottimamente isolato, considerando che eventuali dispersioni di corrente potrebbero risultare dannose per certi componenti particolarmente delicati.

Page 17: L'elettricità

Una matassina di filo di stagno, di quello che già contiene al suo interno la pasta disossidante necessaria alla pulizia delle parti da saldare; scegliete un filo sottile, di circa 0,8 mm di diametro

Una dotazione di attrezzi di uso comune, come forbici, cacciaviti, pinze, tronchesine ecc.

Uno strumento molto utile, anzi direi indispensabile, è un piccolo tester digitale; oggi si trovano buoni apparecchi a poche decine di migliaia di lire, tanto non serve uno strumento da laboratorio. Non vi consiglio uno strumento analogico (quelli con l'indice che si muove sulla scala graduata, per capirci) poichè, a parità di prezzo, quello digitale risulta più preciso, oltre ad essere di lettura più immediata.

I primi componenti di cui parleremo sono le resistenze. In elettronica se ne usano tantissimi tipi, ma la loro funzione rimane sempre quella di determinare una caduta di tensione, e quindi di ottenere nei vari rami di un circuito le giuste correnti. Nel paragrafo che segue cercherò di illustrare meglio questi concetti. E' bene specificare subito che i valori in ohm delle resistenze non sono quasi mai scritti con dei numeri: esiste un codice basato su fascette colorate, che inizialmente può risultare un pò ostico, ma che col tempo e con la pratica si impara a leggere a colpo d'occhio. Tanto per abituarci, cominciamo subito a vedere il significato dei vari colori:

Page 18: L'elettricità

Se osservate una resistenza, vedrete (da una estremità o dall'altra) una fascetta color oro; questo colore indica che la tolleranza rispetto al valore nominale è del 5 %. Se la fascetta è color argento significa che la tolleranza è del 10 % (valore meno preciso e resistenza di minore qualità). Disponete la resistenza in modo che la fascetta dorata sia alla vostra destra (come in figura). Cominciate poi a leggere le tre fascette, da sinistra verso destra. Il colore della prima indica la prima cifra del valore; il colore della seconda fascetta indica la seconda cifra; il colore della terza vi dice quanti zeri dovete aggiungere. Nel caso della resistenza raffigurata come esempio, abbiamo: rosso, viola, arancio. A tali colori corrispondono i numeri 2, 7 e 3. Il valore è quindi 27 seguito da 3 zeri, cioè: 27000 ohm

TAVOLA DEL CODICE A COLORI DELLE RESISTENZE

RESISTENZE E CADUTE DI TENSIONE

Consideriamo il circuito di figura 1: una pila da 4,5 volt alimenta quattro resistenze che risultano collegate in serie; in seguito alla tensione della pila, nel circuito circola una corrente (indicata con i).

Le resistenze, indicate come R1, R2, R3, R4, hanno i seguenti valori: R1 = 120 ohm; R2 = 22 ohm ; R3 = 39 ohm; R4 = 56 ohm (intanto approfittate per esercitarvi a leggere i colori). La tensione della pila, nel mantenere in circuito la corrente i, deve vincere una dopo l'altra tutte e quattro le resistenze che incontra, vale a dire una resistenza totale di 120+22+39+56 = 237 ohm. Quanta corrente circola? Basta dividere la tensione della pila per la somma delle resistenze:

i = 4,5 / 237 = 0,01899 ampere

Osserviamo che siccome le correnti in elettronica sono in genere piuttosto deboli, è più conveniente misurarle non in ampere, ma in milliampere; in questo modo il numero che

si ottiene è 1000 volte più grande e non contiene più tanti zeri: 0,01899 ampere sono uguali a 18,99 milliampere (si scrive abbreviato 18,99 mA). Diremo quindi che nel nostro circuito circola una corrente di 18,99 milliampere. E la tensione della pila che fine fa? Essa si ripartisce sulle varie resistenze, in modo proporzionale ai loro valori: in altre parole, ai capi di una resistenza di valore più alto troveremo una tensione di valore più alto. Cercando di spiegare con parole semplici quello che succede nel circuito, diremo quanto segue: la corrente che circola è una sola, ed è la stessa che attraversa uno dopo l'altro tutti i componenti del circuito; non potrebbe essere altrimenti, perchè non esistono altre strade alternative. Questa corrente circola a spese di una tensione, che deve esercitare uno sforzo ogni volta che la corrente incontra una resistenza. Più grande è la resistenza, maggiore è lo sforzo richiesto per far passare la corrente attraverso quella resistenza: ecco che allora la tensione totale di 4,5 volt si suddivide fra le varie resistenze, assumendo un valore più alto proprio ai capi di quelle resistenze che, essendo di maggior valore, richiedono più sforzo. La tensione presente ai capi di ogni resistenza rappresenta la caduta di tensione relativa a quella resistenza.

figura 1

Page 19: L'elettricità

Adesso analizziamo in pratica quello che succede nel nostro circuito, effettuando misure di tensione in due modi diversi.

figura 2

1) Misura della tensione nei vari punti del circuito.

In questo caso il puntale negativo del tester (quello di colore nero) sarà sempre collegato al polo negativo della pila (figura 2), perchè ogni misura di tensione va riferita al punto del circuito a potenziale zero (che in questo caso è il polo "-" della pila). Portiamo il puntale positivo (quello di colore rosso) sul punto t1 (cioè tra la R1 e la R2); leggendo la tensione troveremo 2,22 volt. Vuol dire che la tensione presente sulla pila, e cioè 4,5 volt, si è ridotta a 2,22; questo è l'effetto della caduta di tensione sulla prima resistenza (R1). Spostiamo adesso il puntale positivo sul punto t2: leggeremo una tensione di 1,8 volt: la tensione si è ancora ridotta, per effetto della seconda caduta di tensione ai capi della resistenza R2. Per finire, spostiamo il puntale sul punto t3: troveremo una tensione di 1,06

Page 20: L'elettricità

volt; questa tensione, che è quella residua dopo che la corrente ha attraversato le prime tre resistenze, è quella che permette alla corrente di compiere l'ultimo sforzo, ovvero di attraversare R4.

figura 3

2) Misura delle cadute di tensione sulle singole resistenze.

Possiamo poi toglierci la curiosità di controllare come la tensione si ripartisce sulle varie resistenze, misurandola ai capi di ognuna di esse. In questo caso collegheremo i puntali del tester ai terminali della resistenza che ci interessa, facendo caso al verso della corrente (come si vede in figura 3): dal lato dove la corrente entra nella resistenza, collegheremo il puntale positivo (in genere di colore rosso); dal lato dove la corrente esce dalla resistenza, collegheremo il puntale negativo (di colore nero). Misuriamo la tensione ai capi della resistenza R1; leggeremo 2,28 volt. Leggiamo poi la tensione ai capi di R2 (è la posizione che si vede nella figura); troveremo 0,4 volt. Ai capi di R3 leggeremo 0,74 volt ed ai capi di R4 leggeremo 1,06 volt. Se sommiamo tutti questi valori, otteniamo un'altra volta 4,5 volt, e cioè la tensione della pila.

Il circuito visto fin'ora può essere ridisegnato come si vede in figura 4. La linea orizzontale in basso, collegata al polo negativo della pila, rappresenta il potenziale zero, detto anche "massa", del circuito; la linea orizzontale superiore, collegata al polo positivo, rappresenta la tensione di alimentazione. Nel disegno sono riportate le tensioni presenti nei punti di unione fra le varie resistenze, misurate, come abbiamo visto prima, rispetto al potenziale zero. In questo caso appare più evidente come la tensione vada calando man mano che dal polo positivo ci si avvicina alla massa (o polo negativo). Un simile circuito formato da più resistenze collegate in cascata (o, come si dice, "in serie"), costituisce quello che viene denominato "partitore di tensione".

Ma in genere le tensioni nei vari punti di un circuito vengono indicate semplicemente col valore numerico vicino al punto in questione (figura 5), poichè è sottinteso che tutte le tensioni sono sempre riferite alla massa del circuito. Quindi anche voi, quando misurerete una tensione in un punto del circuito, dovete sempre collegare uno dei puntali del tester (il puntale negativo) alla massa, intendendosi col termine "massa" tutti i punti del circuito che hanno potenziale zero.

Page 21: L'elettricità

figura 4 figura 5

Se avete già un saldatore e ve la sentite di trafficare un pò, provate a realizzare davvero il circuito della figura (vi occorre anche una pila piatta da 4,5 volt). Divertitevi a misurare le tensioni nei vari punti e nei modi che abbiamo visto; non sarà tempo perso e vi renderete conto di tante cose che non si possono apprendere con la sola lettura.

BREVE GUIDA ALL'USO DEL TESTER

Un tester digitale sufficientemente preciso per uso hobbistico si può acquistare oramai con pochi spiccioli: considerata l'utilità dello strumento, è un vero peccato non procurarsene uno.Molti di voi hanno chiesto istruzioni su come si debba usare un tester; credo che suggerimenti importanti circa la misura di tensioni si possano già ricavare dalla pagina "resistenze e cadute di tensione",

figura 1 - un comune tester digitale

Page 22: L'elettricità

che consiglio senz'altro di rivedere; in questa sede aggiungerò alcuni consigli pratici su come debba essere utilizzato il tester nei vari tipi di misura.Le parti principali di un tester (figura 1) sono il display, dove appaiono i valori misurati, il selettore, di tipo rotante oppure a tastiera, che permette di scegliere la portata più adatta alla misura da effettuare, ed un paio di puntali, uno rosso (positivo) ed uno nero (negativo), che vanno inseriti nelle apposite boccole.Tutto ciò che viene descritto in queste pagine si riferisce al tester che appare nelle illustrazioni ma, a parte piccole differenze, i metodi restano validi anche per altri tipi di tester.

Il display

In genere il display è del tipo a cristalli liquidi; un display di 3 cifre e mezzo può essere considerato sufficientemente preciso per i nostri scopi. Occorre scegliere per ogni misura la giusta portata, come vedremo in seguito, allo scopo di sfruttare tutte le cifre disponibili per la lettura del valore misurato.

Il selettore della misura

La manopola che si trova al centro del tester (figura 2) permette di scegliere, di volta in volta, sia il tipo di grandezza che si vuol misurare, sia la portata massima, ovvero il massimo valore misurabile. Come si vede, la rotazione è suddivisa in vari settori.Partendo più o meno dalla posizione che hanno le ore 10 sull'orologio, troviamo le misure di resistenza, indicate dal caratteristico simbolo "Ω"; in funzione della resistenza che pensiamo di misurare, sceglieremo una delle portate indicate: 200 (ohm), 2k (2 kohm), 200k (200 kohm), 2M (2 megaohm), 20M (20 megaohm).

La scelta della giusta portata è importante per avere una misura precisa; supponiamo di voler misurare una resistenza di 250 ohm: se scegliamo come portata 2K, leggiamo sul display ".251" che significa 0,251 Kohm e, quindi, 251 ohm. Proviamo a scegliere la portata 20k: otteniamo come lettura "0.25", il che significa che abbiamo già perso la precisione corrispondente all'ultima cifra. Impostando come

figura 2 - il selettore della misura

Page 23: L'elettricità

portata 200k, otteniamo addirittura sul display il valore "00.2", che non ha quasi più significato!La prima posizione, contrassegnata dal simbolo della nota musicale, si usa per i controlli di continuità (per esempio per verificare se un cavo è interrotto): in caso di conduzione, il tester emette un segnale acustico.Saltando il breve settore verde (hFE), troviamo poi le misure di tensioni continue, con le portate 200m (200 millivolt), 20, 200 e 1000 V. Anche per

queste misure vale il principio di scegliere sempre la portata più vicina, ovvero immediatamente superiore, al valore che si intende misurare.<BR< ?V~?.Successivamente, sempre continuando in senso orario, s'incontrano le misure di corrente alternata (settore rosso), indicate da "A~" e quindi le misure di corrente continua (settore verde), indicate da "A--".Per ogni misura, occorre quindi posizionare la manopola all'interno del settore corrispondente, scegliendo la portata più vicina, come visto in precedenza.

Boccole per l'inserzione dei puntali

Nella parte bassa del tester, si trovano quattro boccole rosse, dove occorre inserire gli spinotti dei puntali; mentre il puntale nero va inserito sempre nella boccola contrassegnata con "COM", che sta per "comune", la posizione del puntale rosso cambia in funzione del tipo di misura. Per le misure di tensione e di resistenza (figura 3), il puntale rosso va inserito nella boccola contrassegnata "V/Ω".Per misure di corrente fino a 2 A, il puntale rosso va inserito nella

figura 3 - collegamento dei puntali per le misure di tensione e resistenza.

figura 4 - collegamento dei puntali per misure di corrente fino a 2 A.

figura 5 - collegamento dei puntali per misure di corrente fino a 10 A.

Page 24: L'elettricità

boccola 2A (figura 4). Notare che la manopola del selettore di misura deve trovarsi sul 2 del settore verde se si tratta di corrente continua, oppure sul 2 del settore rosso se si deve misurare corrente alternataPer misurare correnti fino a 10 A (figura 5), il puntale rosso va nella boccola "10A"; la manopola del selettore va posizionata sul 10 verde della corrente continua o sul 10 rosso della corrente alternata.

ISTRUZIONI PER L'EFFETTUAZIONE DELLE MISURE

Misure di tensione

Ci sono vari modi di misurare una tensione, soprattutto in considerazione del fatto che i valori di tensione non sono mai assoluti, ma hanno significato quando sono riferiti ad un certo potenziale.Il riferimento nelle nostre misure si ottiene portando in contatto il puntale nero (negativo) col punto del circuito rispetto al quale si vuole effettuare la misura. Volendo per esempio misurare la tensione rispetto a massa in vari punti di un circuito, occorre collegare il puntale nero al negativo dell'alimentazione del circuito, oppure alla carcassa metallica, se anche questa è a potenziale zero.Altre volte interessa misurare la tensione che risulta presente ai capi di un componente del circuito, per esempio di una resistenza; in questo caso i puntali del tester vanno collegati uno per lato sui terminali della resistenza: se appare un segno "-" davanti al valore indicato, vuol dire che abbiamo disposto i puntali al contrario, ovvero che la tensione è più alta dove noi abbiamo collegato il puntale nero; invertendo i puntali, il segno meno scomparirà e potremo conoscere l'esatto valore e segno della caduta di tensione sulla resistenza.Tenete presente che il terminale a potenziale più alto è sempre quello da cui la corrente entra!

Misure di corrente

Per misurare una corrente occorre che questa passi attraverso il tester; nell'esempio delle figure 6 e 7, un alimentatore (A) sta caricando una batteria (B): quanta corrente passa dall'alimentatore alla batteria? Per saperlo occorre staccare uno dei cavi (per esempio il rosso) e ricreare il collegamento usando il tester per unire l'alimentatore alla batteria.

Page 25: L'elettricità

E' importante in queste misure fare molta

attenzione a selezionare correttamente la portata,

e ad inserire i puntali nelle boccole corrette; in caso contrario si rischia

di danneggiare lo strumento di misura.Anche effettuando

misure di corrente, se il display indica un valore preceduto dal segno "-", vuol dire che la corrente sta entrando nel tester

dal puntale nero, invece che dal puntale rosso.

Misura di resistenze

Quando si vuole misurare il valore di una resistenza, occorre che

non ci siano altri componenti in parallelo

alla resistenza stessa; se non se ne può essere sicuri, è necessario scollegare la resistenza almeno da una parte, altrimenti si rischia di misurare

qualcosa che con la resistenza non ha niente a che fare.E' molto importante che il circuito non sia alimentato, e che i condensatori

eventualmente presenti siano stati scaricati, cortocircuitandoli.

La saldatura in elettronica

La saldatura a stagno è il metodo usato in elettronica per collegare fra loro i diversi componenti di un circuito; essa ha due funzioni:1) quella di realizzare la continuità elettrica;2) quella di fissare meccanicamente i pezzi.

figura 6 - quanta corrente sta passando dall'alimentatore alla batteria?

figura 7 - occorre interrompere il collegamento esistente e ripristinarlo facendo scorrere la corrente attraverso il tester.

Page 26: L'elettricità

Si tratta di una tecnica molto semplice, ma che va praticata con

cura se si vogliono evitare problemi che alla lunga diventano dei veri e propri rompicapo. Una saldatura mal fatta, o, come suol

dirsi, "fredda", può causare malfunzionamenti di cui risulta poi difficile scoprire la causa.

Supponiamo di voler saldare una resistenza sulla basetta

portacontatti che si vede in figura. Per prima cosa, allo scopo di avere le mani libere, infiliamo

negli appositi fori i terminali della resistenza, dopo averli un pò

piegati, in modo che rimangano da soli nella giusta posizione.

Prendiamo poi il filo di stagno, di quello che all'interno contiene la

pasta disossidante: la perfetta pulitura delle parti da saldare è fondamentale per una buona riuscita. Tenendo

il filo di stagno a contatto con le parti da saldare, accostiamo il saldatore in modo da fondere lo stagno: la pasta liquida colerà sulle parti e

contemporaneamente lo stagno andrà a depositarvisi, ricoprendole. A questo punto, non abbiate fretta di scappare: insistete qualche secondo in più, fino a

quando vedrete lo stagno perfettamente fuso e lucido. Non muovete assolutamente i pezzi mentre lo stagno si sta raffreddando, per non dare

origine a crepe che potrebbero in seguito determinare un falso contatto fra i pezzi saldati. Non sempre è possibile disporre i pezzi nella giusta posizione e

poi saldare; anzi, forse il più delle volte, è la stessa saldatura che tiene a posto i pezzi. Occorre allora imparare a tenere con due mani i pezzi da saldare, lo

stagno e il saldatore! Buon divertimento.

IL CODICE A COLORI DELLE RESISTENZE

Page 27: L'elettricità

Il diodo come raddrizzatore

Un componente elettronico dal comportamento molto particolare è il diodo. Abbiamo visto che applicando una certa tensione ad una resistenza, la corrente che la attraversa corrisponde al rapporto fra la tensione applicata ed il valore della resistenza stessa; questa legge non vale per il diodo.Dal punto di vista fisico-strutturale, il diodo (figura 1, in alto) è costituito da una giunzione "p-n", ovvero da un

Figura 1

Page 28: L'elettricità

semiconduttore contenente, adiacenti l'una all'altra, due regioni, drogate una con impurità di tipo "p" ed una con impurità di tipo "n".La regione P, essendo drogata con atomi in difetto di elettroni, tende a catturare elettroni: come si dice, presenta delle buche o lacune.La regione N, essendo drogata con atomi in eccesso di elettroni, tende a perdere gli elettroni in eccesso.Quando la giunzione PN è polarizzata inversamente (figura 1, al centro), ovvero al lato P risulta applicata una tensione negativa ed al lato N una positiva, sia le lacune della zona P che gli elettroni liberi della zona N vengono attirati dal campo elettrico applicato, per cui la zona centrale si svuota; in tale zona, che viene detta "zona di deplezione", si crea una barriera di potenziale che impedisce il passaggio della corrente; circola soltanto una debolissima corrente dovuta a cariche minoritarie, detta "corrente di drift. Tale corrente è dell'ordine di qualche µA per i diodi al germanio, e di qualche nA per i diodi al silicio.Quando la giunzione PN è polarizzata direttamente (figura 1, in basso), le lacune della zona P vengono sospinte verso la zona centrale della giunzione dalla polarità positiva applicata; analogamente, gli elettroni liberi della zona N vengono sospinti verso la zona centrale della giunzione dalla polarità negativa; se la tensione è sufficiente a vincere la barriera di potenziale esistente, le buche e gli elettroni si combinano fra loro, dando origine ad una corrente, detta corrente di diffusione, che può anche diventare molto intensa. La tensione necessaria per innescare il flusso di tale corrente è di 0,2 - 0,3 V nel caso di giunzioni al Germanio e di 0,5 V nel caso di giunzioni al Silicio.

Il diodo realizzato con una giunzione PN come appena descritto, viene rappresentato col simbolo che si vede in figura 2 al centro: il lato corrispondente alla zona P viene chiamato "anodo"; il lato corrispondente alla zona N viene chiamato "catodo". Sotto al simbolo è riportata l'immagine di un diodo reale: la fascia argentea indica il catodo; nell'uso normale del diodo, la corrente nel diodo fluisce dall'anodo verso il catodo

Nel suo impiego pratico, il comportamento del diodo è rappresentato nel grafico della figura 3.

Figura 2

Page 29: L'elettricità

La tensione applicata al diodo si legge sull'asse X (quello orizzonate), mentre sull'asse Y (quello verticale) si legge la corrente che lo attraversa.Con polarizzazione diretta, ovvero quando all'anodo è applicata una tensione positiva rispetto al catodo, si osserva che non passa corrente fino al valore di tensione VT, detto valore di soglia; se la tensione applicata al diodo viene aumentata oltre tale valore, si verifica il passaggio di una corrente tanto più alta quanto maggiore è la tensione applicata.

Se il diodo viene polarizzato inversamente, e cioè si applica all'anodo una tensione negativa rispetto al catodo, in pratica non passa corrente, se si esclude una debolissima corrente detta di "drift"; se però si supera un determinato valore di tensione, detto valore di "breakdown", la resistenza del diodo cede improvvisamente, ed ha luogo una conduzione senza limiti, detto "effetto valanga". Poichè normalmente un diodo non viene costruito per funzionare nella regione di break-down, occorre evitare che questo accada, pena la distruzione irreversibile del diodo, dovuta al brusco aumento della potenza dissipata.

Grazie alle caratteristiche fin qui descritte, il diodo risulta utilissimo nel funzionamento come "raddrizzatore"; inserendo per esempio un diodo in un circuito percorso da corrente alternata sinusoidale, si verifica che la corrente passa nel circuito solo quando ha la giusta polarità, mentre viene bloccata ogni volta che la polarità si inverte. In pratica, tutte le semionde negative della corrente alternata vengono eliminate, per cui, a valle del diodo, si ottiene una tensione costituita dalle sole semionde positive (tale tensione viene detta "pulsante"). Il passaggio dalla corrente alternata alla corrente continua viene descritto in modo dettagliato in altre pagine di questo sito.

I diodi raddrizzatori vengono prodotti per una vasta gamma di applicazioni; variando le tecniche di costruzione, la percentuale di drogaggio del chip e le sue dimensioni, si possono ottenere diodi in grado di sopportare una corrente

Figura 3

Page 30: L'elettricità

massima che varia da 1 A a decine e centinaia di ampere, adatti a tensioni di lavoro da qualche decina a varie centinaia di volt.Le principali grandezze ch ecaratterizzano un diodo sono:- Maximum reverse voltage: la massima tensione inversa che il diodo può sopportare, senza che si verifichi l'effetto valanga- Rated forward current: la massima corrente (valore medio) che può attraversare il diodo senza distruggerlo; dipende dalla grandezza del chip, e dalla sua capacità di trasmettere all'esterno il calore prodotto- Maximum forward voltage drop: è la massima caduta di tensione ai capi del diodo e dipende dalla corrente che lo attraversa (in senso diretto)- Maximum leakage current: è la corrente di dispersione che fluisce nel diodo quando viene collegato (polarizzato) in senso inverso (purchè la tensione applicata non sia abbastanza elevata da causare l'effetto valanga)- Maximum reverse recovery time: è il tempo che occorre al diodo per passare dallo stato oN allo stato OFF, e cioè dalla conduzione alla non conduzione; è in pratica la "switching speed", cioè la velocità di commutazione, e dipende dalle dimensioni e dalle caratteristiche del chip.

Figura 4

La tensione che cade ai capi del diodo quando questo conduce in senso diretto (maximum forward voltage drop), dipende dal valore della corrente che fluisce nel diodo: come si vede nel grafico a lato, tale caduta di tensione vale circa 0,6V nel momento in cui il diodo comincia a condurre (I=0,01A) e diventa, per esempio, di 0,9V quando la corrente che passa nel diodo è I=0,75A

Il diodo zener

Page 31: L'elettricità

Nella pagina "Il diodo come raddrizzatore" si è parlato del comportamento del diodo polarizzato inversamente; si è visto che, applicando al catodo una tensione positiva rispetto all'anodo, scorre soltanto una debolissima corrente, detta "corrente di drift", fino a quando la tensione applicata non raggiunge un valore tale da innescare "l'effetto valanga". Funzionando in tali condizioni, un diodo normale arriva presto alla distruzione per surriscaldamento.E' tuttavia possibile, drogando fortemente il semiconduttore, ottenere un effetto simile all'effetto valanga, ma diverso per due aspetti fondamentali:1- il fenomeno può ripetersi indefinitamente senza che il diodo si distrugga2- il fenomeno si produce anche a tensioni basse, dell'ordine di qualche voltTale fenomeno, per cui, a tensione praticamente costante, si verifica un brusco aumento della corrente inversa, viene denominato "effetto Zener"; poichè il processo dipende dall'intensità del campo elettrico applicato, è possibile, modificando lo spessore dello strato a cui viene applicata la tensione, ottenere diodi zener che manifestano l'effetto valanga a tensioni diverse, in un campo che va da circa 4 volt a diverse centinaia di volt.Grazie alle sue caratteristiche, il diodo zener viene ampiamente sfruttato per realizzare circuiti distabilizzazione della tensione.

Osserviamo come prima particolarità che, nell'uso normale, mentre un diodo raddrizzatore viene attraversato dalla corrente nel senso anodo-catodo, un diodo zener viene inserito in circuito col catodo

rivolto verso il positivo, così da essere attraversato da una corrente inversa nel senso catodo-anodo.In figura 1 è mostrata l'applicazione di entrambi i diodi:- Dr è un diodo raddrizzatore, che permette il passaggio della corrente diretta Idir, solo quando la tensione presente sul suo anodo è positiva; vengono così eliminate tutte le semionde negative contenute nella tensione alternata che arriva dal trasformatore- Dz è un diodo zener, che ha lo scopo di stabilizzare la tensione Vcc; quando la tensione in arrivo tende a salire, la corrente che passa nel diodo zener aumenta in proporzione: poichè la stessa corrente passa anche nella resistenza Rz, ai capi

Figura 1

Page 32: L'elettricità

di quest'ultima si determina una maggiore caduta di tensione, che compensa così l'aumento della tensione in ingresso.

In figura 2 viene evidenziato il funzionamento caratteristico del diodo zener: quando è sottoposto a tensione diretta, il suo funzionamento non si discosta da quello del diodo raddrizzatore; nel funzionamento con tensione inversa vediamo, invece, che l'effetto valanga si manifesta ad una tensione VZ molto bassa (nel caso specifico a 5,1 V). Questa tensione viene definita "tensione di zener" ed è caratteristica per quel tipo di diodo.

Il circuito di figura 1 costituisce il più semplice degli alimentatori stabilizzati; il suo impiego è limitato a carichi dall'assorbimento modesto, fino a qualche decina di mA. Il valore della resistenza Rz può essere determinato approssimativamente con la formula:( Vi - Vz ) : ( Ic + Iz )

dove Vi è la tensione d'ingresso, Vz è la tensione del diodo zener (e quindi la tensione di uscita), Ic è la massima corrente che si richiede in uscita.Iz è la corrente minima che deve passare nel diodo zener perchè questo possa svolgere la sua azione stabilizzatrice: il suo valore cambia da un tipo di diodo all'altro, ma si aggira intorno ai 5÷10 mA.

Un diodo zener è quindi caratterizzato in primo luogo dalla tensione a cui si verifica l'effetto valanga (tensione di zener); importante è poi la massima potenza che il diodo può dissipare senza distruggersi: i diodi di uso più comune sono adatti a potenze comprese fra 0,35 e 1 o 2 W.Vari esempi di applicazione del diodo zener si trovano in altre pagine di questo sito.

ALCUNI DIODI ZENER DI PRODUZIONE FAIRCHILDsono indicate nell'ordine: sigla - tensione di zener - potenza massima

MMBZ5221B 2.4V, 0.35WMMBZ5223B 2.7V, 0.35WMMBZ5226B 3.3V, 0.35WMMBZ5227B 3.6V, 0.35WMMBZ5228B 3.9V, 0.35WMMBZ5229B 4.3V, 0.35WMMBZ5230B 4.7V, 0.35WMMBZ5231B 5.1V, 0.35WMMBZ5232B 5.6V, 0.35WMMBZ5233B 6.0V, 0.35W

MMSZ4684 3.3V, 0.5W MMSZ4686 3.9V, 0.5W MMSZ4688 4.7V, 0.5WMMSZ4689 5.1V, 0.5W MMSZ4692 6.8V, 0.5W MMSZ4697 10V, 0.5W MMSZ4702 15V, 0.5W MMSZ4703 16V, 0.5W MMSZ4706 19V, 0.5W MMSZ5226B 3.3V, 0.5W

1N4728A 3.3V, 1W1N4729A 3.6V, 1W1N4730A 3.9V, 1W1N4731A 4.3V, 1W1N4732A 4.7V, 1W1N4733A 5.1V, 1W1N4734A 5.6V, 1W1N4735A 6.2V, 1W1N4736A 6.8V, 1W1N4737A 7.5V, 1W

BZX85C10 10V, 1.3WBZX85C11 11V, 1.3WBZX85C12 12V, 1.3WBZX85C13 13V, 1.3WBZX85C15 15V, 1.3WBZX85C16 16V, 1.3WBZX85C18 18V, 1.3WBZX85C20 20V, 1.3WBZX85C22 22V, 1.3WBZX85C24 24V, 1.3W

Figura 2

Page 33: L'elettricità

MMBZ5234B 6.2V, 0.35WMMBZ5235B 6.8V, 0.35WMMBZ5236B 7.5V, 0.35WMMBZ5237B 8.2V, 0.35WMMBZ5238B 8.7V, 0.35WMMBZ5239B 9.1V, 0.35WMMBZ5240B 10V, 0.35WMMBZ5241B 11V, 0.35WMMBZ5242B 12V, 0.35WMMBZ5243B 13V, 0.35WMMBZ5244B 14V, 0.35WMMBZ5245B 15V, 0.35WMMBZ5246B 16V, 0.35WMMBZ5247B 17V, 0.35WMMBZ5248B 18V, 0.35WMMBZ5249B 19V, 0.35WMMBZ5250B 20V, 0.35WMMBZ5251B 22V, 0.35WMMBZ5252B 24V, 0.35WMMBZ5253B 25V, 0.35WMMBZ5254B 27V, 0.35WMMBZ5255B 28V, 0.35WMMBZ5256B 30V, 0.35WMMBZ5257B 33V, 0.35W

MMSZ5227B 3.6V, 0.5WMMSZ5228B 3.9V, 0.5WMMSZ5229B 4.3V, 0.5WMMSZ5230B 4.7V, 0.5WMMSZ5231B 5.1V, 0.5WMMSZ5232B 5.6V, 0.5WMMSZ5233B 6.0V, 0.5WMMSZ5234B 6.2V, 0.5WMMSZ5235B 6.8V, 0.5WMMSZ5236B 7.5V, 0.5WMMSZ5237B 8.2V, 0.5WMMSZ5238B 8.7V, 0.5WMMSZ5239B 9.1V, 0.5WMMSZ5240B 10V, 0.5WMMSZ5241B 11V, 0.5WMMSZ5242B 12V, 0.5WMMSZ5243B 13V, 0.5WMMSZ5244B 14V, 0.5WMMSZ5245B 15V, 0.5WMMSZ5246B 16V, 0.5WMMSZ5247B 17V, 0.5WMMSZ5248B 18V, 0.5WMMSZ5249B 19V, 0.5WMMSZ5250B 20V, 0.5WMMSZ5251B 22V, 0.5WMMSZ5252B 24V, 0.5WMMSZ5253B 25V, 0.5WMMSZ5254B 27V, 0.5WMMSZ5255B 28V, 0.5WMMSZ5256B 30V, 0.5WMMSZ5257B 33V, 0.5W

1N4738A 8.2V, 1W1N4739A 9.1V, 1W1N4740A 10V, 1W1N4741A 11V, 1W1N4742A 12V, 1W1N4743A 13V, 1W1N4744A 15V, 1W1N4745A 16V, 1W1N4746A 18V, 1W1N4747A 20V, 1W1N4748A 22V, 1W1N4749A 24V, 1W1N4750A 27V, 1W1N4751A 30V, 1W1N4752A 33V, 1W

BZX85C27 27V, 1.3WBZX85C30 30V, 1.3WBZX85C33 33V, 1.3WBZX85C3V3 3.3V, 1.3WBZX85C3V6 3.6V, 1.3WBZX85C3V9 3.9V, 1.3WBZX85C4V3 4.3V, 1.3WBZX85C4V7 4.7V, 1.3WBZX85C5V1 5.1V, 1.3WBZX85C5V6 5.6V, 1.3WBZX85C6V2 6.2V, 1.3WBZX85C6V8 6.8V, 1.3WBZX85C7V5 7.5V, 1.3WBZX85C8V2 8.2V, 1.3WBZX85C9V1 9.1V, 1.3W

I DIODI LED

Il termine "LED" è un acronimo che sta per "Light Emitting Diode", ovvero "diodo che emette luce". I led sono costituiti da una giunzione P-N realizzata con arseniuro di gallio o con fosfuro di gallio, entrambi materiali in grado di

emettere radiazioni luminose quando siano attraversati da una corrente elettrica; il valore di tale corrente è compreso fra 10 e 30 mA.Il funzionamento del led si basa sul fenomeno detto "elettroluminescenza", dovuto alla emissione di fotoni (nella banda del visibile o dell'infrarosso) prodotti dalla ricombinazione degli elettroni e delle lacune allorchè la giunzione è polarizzata in senso diretto.

Diodo led

Page 34: L'elettricità

I led hanno un terminale positivo ed uno negativo, e per funzionare devono essere inseriti in circuito rispettando tale polarità; in genere il terminale positivo è quello più lungo, ma lo si può individuare con certezza osservando l'interno del led in controluce: come si vede in figura, l'elettrodo positivo è sottile, a forma di lancia, mentre il negativo ha l'aspetto di una bandierina.Quando si utilizza un led, è necessario disporre sempre una resistenza in serie ad esso, allo scopo di limitare la corrente che passa ed evitare che possa distruggersi; la caduta di tensione ai capi di un led può variare da 1,1 a 1,6 V, in funzione della lunghezza d'onda della radiazione emessa (a lunghezze d'onda minori corrisponde una caduta di tensione più alta).Diversamente dalle comuni lampadine, il cui filamento funziona a temperature elevatissime ed è caratterizzato da notevole inerzia termica, i led emettono luce fredda, e possono lampeggiare a frequenze molto alte, superiori al Mhz; se si considera anche che la luce emessa è direttamente proporzionale alla corrente che li attraversa, i led risultano particolarmente adatti alla trasmissione di segnali tramite modulazione dell'intensità luminosa. Uno dei tanti impieghi del led è ad esempio quello di iniettori di segnali nelle reti a fibre ottiche.I led più comuni emettono luce rossa, arancio, gialla o verde. In tempi relativamente recenti si è riusciti a produrre un led caratterizzato dall'emissione di luce blu chiara, utilizzando il Nitruro di Gallio (GaN); la disponibilità di un led a luce blu è molto importante poichè consente di ricreare, insieme alle radiazioni rossa e verde, una sorgente di luce bianca.

UN PO' DI FISICA

Quando, per effetto della tensione di polarizzazione diretta, gli elettroni e le lacune vengono guidati nella regione attiva compresa fra il materiale di tipo N e quello di tipo P, l'energia può essere convertita in fotoni, infrarossi oppure visibili. Questo implica che le coppie elettrone-lacuna passino a uno stato di maggiore stabilità, rilasciando un'energia dell'ordine di alcuni eV (elettroni volt) tramite emissione di un fotone: il rosso all'estremo dello spettro visibile, corrispondente a 700 nm, richiede, per l'emissione di un fotone, il rilascio di un quanto di energia pari a 1,77 eV; all'estremo opposto il violetto, avente lunghezza d'onda di 400 nm, richiede 3,1 eV.La caduta di tensione ai capi del led e la lunghezza d'onda della radiazione emessa sono correlati all'esistenza di un intero intervallo di livelli energetici proibiti, meglio noto come "Energy gap" e indicato con E g, nel quale l’elettrone o la lacuna non possono stare: i portatori vanno dunque ad occupare solo i livelli di energia permessi, i quali formano le cosiddette "bande energetiche". La "bandgap energy", o Eg, viene definita in base alla relazione: Eg = hc/λ = 1240 eV / λessendo h la costante di Plank (pari a 4,13 x 10-15 eV·s), c la velocità della luce (2,998 x 108 m/s) e λ la lunghezza d'onda in nm.

Di seguito sono riportate le caratteristiche principali dei materiali comunemente usati come emettitori di luce:

Materiale Formula Energy Gap Lunghezza d'onda

Fosfuro di Gallio GaP 2.24 eV 550 nm

Arseniuro di Alluminio AIAs 2.09 eV 590 nm

Arseniuro di Gallio GaAs 1.42 eV 870 nm

Fosfuro di Indio InP 1.33 eV 930 nm

Arseniuro di Alluminio-Gallio AIGaAs 1.42-1.61 eV 770-870 nm

Fosfuro-Arseniuro di Indio-Gallio InGaAsP 0.74-1.13 eV 1100-1670 nm

Come si calcola la resistenza in serie al led

Page 35: L'elettricità

Abbiamo già detto che in serie al led occorre inserire una resistenza per limitare il passaggio di corrente; il valore di tale resistenza può essere calcolato con la legge di Ohm:- indichiamo con Vs la tensione di alimentazione cui vogliamo collegare il nostro led- indichiamo con Vl la caduta di tensione presente ai

capi del led (per esempio di 1,4 V)- indichiamo con I il valore della corrente che vogliamo far passare nel ledPer calcolare il valore della resistenza basterà fare la differenza fra Vs e Vl e dividere il risultato per I (il cui valore può variare, come detto, da 20 a 40 mA)

Esempio (vedere figura): vogliamo far funzionare un led con una tensione di 12 V, limitando la corrente a 20 mA (e cioè a 0,02 A)R = (12 - 1,4) : 0,02 = 530 ohm (poichè tale valore non esiste in commercio, useremo il valore standard più vicino, ad esempio 470 oppure 560 ohm)

Un semplice circuito per controllare l'isolamento

Con un led e due transistor si può costruire un semplice circuito utile per verificare l'isolamento di parti elettriche o per controllare il buono stato dei condensatori di piccola capacità (vedere figura in basso). I transistor sono due NPN di piccola potenza (tipo BC547 o equivalenti); si nota che sulla base di TR1 arriva la corrente proveniente dall'emettitore di TR2: questo tipo di collegamento viene definito "configurazione Darlington" e permette di ottenere un elevato guadagno di corrente.

Page 36: L'elettricità

In breve, una debolissima corrente sulla base di TR2 è in grado di far accendere il Led che si trova sul collettore di TR1; se per esempio provate a toccare con una mano l'ingresso IN1 e con l'altra l'ingresso IN2, vedrete che il led si accende, e si accende tanto di più quanto più stringete i fili fra le dita. In effetti il led si accende grazie alla debolissima corrente proveniente dal polo positivo, che attraversa il vostro corpo (da una mano all'altra) ed arriva alla base di TR2 attraverso la resistenza RB2.Il condensatore C da 4700 pF serve ad inviare a massa eventuali disturbi che potrebbero essere captati dall'ingresso, a causa della sua alta impedenza.Allo stesso modo, se con i due fili di entrata IN1 e IN2 toccate qualunque altro materiale od oggetto, potrete verificare il grado di isolamento esistente: se il led rimane completamente spento, l'isolamento è totale.Analogamente è possibile verificare il buon funzionamento dei piccoli condensatori, di capacità fino a qualche migliaio di pF. Collegando il condensatore ai due fili di entrata, il led si accenderà per un breve istante, quindi si spegnerà, più o meno rapidamente a seconda della capacità del condensatore; se il led rimane acceso, anche debolmente, vuol dire che il condensatore è in dispersione. Tanto per avere un'idea, con condensatori di qualche migliaio di pF il led farà solo un breve lampo; con condensatori da 0,1 µF in su il led rimarrà acceso alcuni secondi, per spegnersi poi gradualmente.Potete far funzionare il circuito con una pila da 4,5 V; fate attenzione a collegare il led in modo che il terminale positivo corrisponda al positivo dell'alimentazione.

COMPONENTI DEL CIRCUITO E LORO FUNZIONI

COMPONENTE VALORE FUNZIONE

TR1 TRANS. NPN TIPO BC547 Pilota LED

TR2 TRANS. NPN TIPO BC547 amplificatore di corrente

RL Resistenza 100 Ohm limita la corrente nel LED

RB1 Resistenza 1kOhm limita la corrente di base di TR1

RB2 Resistenza 1MOhm limita la corrente di base di TR2

C Condensatore 4700 pF soppressione disturbi

COME COSTRUIRE UN ALIMENTATORE

Un alimentatore serve a far funzionare con l'energia elettrica di rete tutte quelle apparecchiature che non possono essere collegate direttamente alla presa a 220V, ma necessitano di una tensione diversa, in genere molto più bassa, simile a quella fornita dalle pile.Per fare in modo che la tensione alternata disponibile nelle prese di casa diventi uguale a quella di una pila, l'alimentatore utilizza diversi componenti, ciascuno con una specifica funzione: vedremo quali sono questi componenti, esaminando la realizzazione del più semplice degli alimentatori.

Chi desidera approfondire l'argomento può andare alla pagina "Dalla corrente alternata alla corrente continua"

Page 37: L'elettricità

IL TRASFORMATORE

Il trasformatore ha il compito di abbassare la tensione di rete; esso è composto in genere da due avvolgimenti distinti: uno, di entrata, detto primario, che viene collegato a 220V; uno di uscita, detto secondario, che fornisce una tensione più bassa di quella in entrata, adatta alle esigenze dell'utilizzatore, cioè dell'apparecchio che si vuole alimentare.A seconda dei tipi, il trasformatore può avere uno o due avvolgimenti secondari; vedremo come sfruttare nel modo migliore sia un tipo che l'altro.

IL RADDRIZZATORE

La tensione che esce dal trasformatore non può alimentare un apparecchio fatto per funzionare con delle pile; mentre le pile hanno infatti una tensione continua, la tensione che esce dal trasformatore è ancora una tensione alternata, il che vuol dire che cambia di polarità continuamente (per l'esattezza: 50 volte al secondo). Occorre allora "raddrizzare" tale tensione, per ottenere che all'utilizzatore arrivi un flusso di corrente diretto sempre nello stesso verso. Il compito di bloccare la corrente nei momenti in cui il flusso si inverte è affidato al diodo; si possono usare uno, due o quattro diodi, secondo vari circuti che presto vedremo.

IL CONDENSATORE DI LIVELLAMENTO

La tensione alternata che arriva dal trasformatore, resa monodirezionale tramite i diodi, non ha ancora un valore costante: il suo valore cambia continuamente, passando da zero a un valore massimo, e questo accade, come

Figura 1a - Trasformatore a secondario unico: la tensione di rete viene collegata ai fili 1 e 2; la tensione ridotta si ritrova ai capi del secondario (fili 3 e 4)

Figura 1b - Trasformatore a due secondari: la tensione di rete entra sui pin 1 e 2; la tensione ridotta si ritrova ai capi sia di un secondario (pin 3 e 4) che dell'altro (pin 5 e 6)

Figura 2 - Diodo: l'anello in colore chiaro indica il lato da cui la corrente esce (catodo)

Figura 3 - Per il livellamento si usa un condensatore di tipo elettrolitico, che

Page 38: L'elettricità

Osserviamo il grafico che segue: in alto vediamo la forma d'onda che ha la tensione di rete a 220V applicata all'entrata del trasformatoreAl centro vediamo la tensione che si ottiene in uscita dopo averla raddrizzata con un raddrizzatore a semionda, ovvero ad un solo diodoIn basso vediamo la tensione che si ottiene in uscita dopo averla raddrizzata con un raddrizzatore ad onda intera, come quelli che utilizzano 2 o 4 diodi.

Figura 4

TRE CIRCUITI PER UN ALIMENTATORE

Il circuito da usare dipende dal trasformatore di cui si dispone.Se il trasformatore ha un solo avvolgimento secondario (come quello di figura 1a) è possibile realizzare lo schema di figura 5, che usa un solo diodo, o quello di figura 6, che ne usa quattro.

Figura 1a - Trasformatore a secondario unico: la tensione di rete viene collegata ai fili 1 e 2; la tensione ridotta si ritrova ai capi del secondario (fili 3 e 4)

Figura 1b - Trasformatore a due secondari: la tensione di rete entra sui pin 1 e 2; la tensione ridotta si ritrova ai capi sia di un secondario (pin 3 e 4) che dell'altro (pin 5 e 6)

Figura 2 - Diodo: l'anello in colore chiaro indica il lato da cui la corrente esce (catodo)

Figura 3 - Per il livellamento si usa un condensatore di tipo elettrolitico, che

Page 39: L'elettricità

Figura 5 - con un solo diodo si raddrizza una sola semionda della corrente alternata

Il circuito di figura 5 è più semplice, ma siccome sfrutta una sola semionda della tensione alternata è più adatto per utilizzatori che assorbono poca corrente (non più di 50 mA).Quando occorre una corrente più forte è bene utilizzare lo schema con quattro diodi (figura 6), che sfrutta entrambe le semionde e quindi permette un migliore livellamento della tensione in uscita.

Figura 6 - con 4 diodi vengono raddrizzate entrambe le semionde

Se il trasformatore è dotato di un avvolgimento secondario doppio, cioè con presa centrale (come il trasformatore della figura 1b), è possibile raddrizzare entrambe le semionde della corrente alternata usando due soli diodi (circuito di figura 7). Nel caso della figura 1b, i diodi vanno collegati ai pin 3 e 6, mentre la presa centrale si ottiene collegando insieme i pin 4 e 5.

Figura 7 - se il trasformatore ha un doppio secondario bastano due diodi per raddrizzare entrambe le semionde

Page 40: L'elettricità

L'alimentatore descritto è molto semplice, per cui non dispone di un sistema di regolazione della tensione che arriva all'utilizzatore; per ottenere in uscita la tensione desiderata, l'unico modo è quello di usare un trasformatore il cui secondario dia una tensione ben precisa. Vediamo allora come va calcolata la tensione secondaria del trasformatore:

chiamiamo VU la tensione che deve arrivare all'utilizzatore

aggiungiamo 1 al valore di VU per tenere conto della caduta di tensione nei diodi raddrizzatori

dividiamo il valore ottenuto per 1,41 per passare dal valore massimo al valore efficace

moltiplichiamo il valore ottenuto per 1,1 per tenere conto della caduta di tensione nel trasformatore durante il funzionamento sotto carico

Con questi calcoli si ottiene VS e cioè il valore della tensione che deve avere il secondario del trasformatore; chi non ha voglia di fare conti, nella tabella a destra trova i valori già calcolati. Occorre tenere presente che i valori indicati sono approssimativi, anche perchè, a meno di non farlo avvolgere appositamente, difficilmente si riuscirà a trovare un trasformatore con le tensioni esatte.Il trasformatore deve poi essere adatto alla potenza richiesta: occorre moltiplicare la tensione di funzionamento dell'utilizzatore per la corrente che esso richiede; il valore ottenuto va maggiorato di circa il 20% se l'alimentatore deve funzionare saltuariamente, oppure del 40% nel caso di funzionamento prolungato o continuo.Esempio pratico: un apparecchio deve funzionare a 12 V ed assorbe una corrente di 1,5 A; la potenza del trasformatore è:

12 x 1,5 x 1,2 = 21,6 VA (per funzionamento saltuario)

12 x 1,5 x 1,4 = 25,2 VA (per funzionamento prolungato)

I diodi vanno scelti in base alla tensione ed alla corrente che li attraversa. Per la tensione non ci sono problemi, considerato che qualunque diodo raddrizzatore può funzionare tranquillamente fino a tensioni di almeno 50V. La corrente va calcolata in previsione del fatto che, al momento dell'accensione, i diodi sono attraversati dal forte picco di corrente che va a caricare il condensatore elettrolitico completamente scarico; per

tensione in uscitadall'alimentatore

trasformatoreda usare

4,5 220/4,5

6 220/5,5

9 220/8

12 220/10,5

15 220/12,5

18 220/15

24 220/20

Diodo Tensionedi lavoro

Correntemassima

1N4001 50 V 1 A

1N4002 100V 1 A

1N4003 200 V 1 A

1N5400 50 V 3 A

1N5401 100 V 3 A

1N5402 200 V 3 A

6A4 400 V 6 A

Page 41: L'elettricità

tale motivo è bene utilizzare diodi in grado di sopportare correnti maggiori di quelle richieste dall'utilizzatore, e ciò tanto più quanto maggiore è la capacità del condensatore di livellamento. In particolare, nel raddrizzatore a un solo diodo, occorre considerare che la corrente passa nel diodo stesso solo per metà del tempo di funzionamento, per cui il suo flusso risulta discontinuo, con picchi di valore doppio.La tabella a lato descrive i diodi raddrizzatori di uso più comune.

Il condensatore deve essere adatto alla tensione di uscita dell'alimentatore; in merito alla sua capacità, questa dipende sia dalla corrente richiesta dall'utilizzatore, sia dal circuito utilizzato: con un raddrizzatore ad una semionda, per esempio, occorre un condensatore di capacità doppia rispetto ad un raddrizzatore a due semionde.Il calcolo del condensatore è piuttosto complesso, e tiene anche conto della percentuale di ondulazione residua che si è disposti ad accettare in uscita; per tale motivo consiglio allora di procedere per via sperimentale, usando per esempio un valore di capacità iniziale di circa 1000 µF. In carti casi ci si accorge che tale valore è insufficiente: per esempio, usando l'alimentatore per far funzionare una radiolina, si avverte nell'altoparlante un certo ronzio; in tal caso è senz'altro possibile passare gradualmente a valori più alti, come 2200, 3300 o 4700 µF (si noterà che man mano il ronzio diminuisce).

Molte volte, gli apparecchi che funzionano a pile hanno una presa prevista appositamente per il collegamento ad un alimentatore da rete; si tratta quasi sempre di una presa coassiale, nelle cui vicinanze, sull'involucro dell'apparecchio, è contrassegnata la polarità dei fili da collegare (positivo sul contatto centrale, negativo sul contatto esterno - o viceversa). Per collegarci a tale presa, dobbiamo dotare il nostro alimentatore della spina corrispondente (figura 8), facendo attenzione a collegare nel modo corretto i fili positivo e negativo.

DALLA CORRENTE ALTERNATA ALLA CORRENTE CONTINUA

Nella sezione dedicata alla costruzione dell'alimentatore si è visto come sia possibile trasformare la corrente alternata di rete in corrente continua adatta ad alimentare apparecchiature a bassa tensione che in genere funzionano a

Figura 8 - per collegare i fili in modo corretto, fare sempre riferimento a quanto indicato sull'involucro dell'apparecchio.

Page 42: L'elettricità

pile. Qualcuno avrà notato che, volendo realizzare un alimentatore con 12 V di uscita, si è detto di procurarsi un trasformatore con secondario a 9 V;

la cosa può in effetti apparire strana, ma leggendo quanto segue dovrebbe risultare tutto più chiaro.Il problema fondamentale è quello di capire cosa si intende quando si dice che una tensione alternata ha un certo valore. Consideriamo, per esempio, la solita "tensione di rete" a 220 V che arriva nelle nostre case.In figura 1 vediamo la raffigurazione grafica di tale tensione:il valore cambia da un istante all'altro; facendo riferimento al tempo, indicato in basso in ms (millisecondi), si rileva che, partendo da un valore zero, la tensione sale e, dopo 5 ms, raggiunge un valore massimo (che supera 300 V). Poi la tensione torna a scendere, per ridiventare zero all'istante 10 ms; successivamente assume valori negativi, cioè al di sotto dello zero, fino al valore limite inferiore, di poco oltre i - 300 V. Poi torna ancora a salire ed arriva a zero, esattamente dopo che sono passati 20 ms dall'inizio.A questo punto diciamo che la tensione ha compiuto un ciclo completo, assumendo tutti i valori che doveva assumere; da ora in poi si

ripeteranno altri cicli tutti uguali a quello descritto. Come si è visto, un ciclo dura 20 ms: poichè un secondo è fatto di 1000 ms, nello spazio di un secondo si ripeteranno 1000:20 cicli, e cioè 50 cicli; per tale motivo si dice che la tensione di rete ha una frequenza di 50 Hz (hertz).Perchè una tensione come quella che abbiamo appena descritto viene detta "a 220 V"? Per il semplice motivo che ciò che interessa di una tensione alternata non è il suo valore massimo, ma la sua capacità di sviluppare energia; si è così convenuto di indicarne quello che viene definito "valore efficace", ovvero il valore che dovrebbe avere una tensione continua per produrre lo stesso effetto termico. Guardando la figura 2 si può comprendere meglio questo concetto: si tratta della stessa tensione di figura 1, ma che adesso è stata raddrizza; le semionde negative sono state ribaltate, e per tale motivo la tensione non scende più sotto lo zero. Nei punti più alti essa raggiunge un valore di circa 310 V, ma in altri scende a zero. Se con tale tensione alimentiamo per esempio una stufa, si produrrà un certo riscaldamento; con esperimenti pratici si rileva che per ottenere lo stesso riscaldamento utilizzando una tensione continua occorre utilizzare una tensione del valore di 220 V. Tale valore viene detto "valore efficace" della tensione

figura 1

figura 2

Page 43: L'elettricità

alternata che abbiamo descritto.Tornando adesso al trasformatore usato per l'alimentatore, quando diciamo che il suo secondario genera una tensione di 9 V, in realtà la tensione prodotta è quella che si vede in figura 3.

Figura 3

Tale tensione, dopo essere stata raddrizzata, assume l'aspetto che si vede in figura 4.

Figura 4

Con l'aggiunta di un condensatore, che si carica in corrispondenza dei valori più alti, si ottiene una tensione quasi continua, di valore medio prossimo a 12 V, come indica il tracciato evidenziato in azzurro nella figura 5.

Page 44: L'elettricità

Figura 5

Per concludere si può osservare come, passando dalla forma d'onda della figura 1 a quella della figura 2, non solo siano spariti i valori negativi, ma sia anche variata la frequenza: mentre prima un ciclo intero si svolgeva in 20 ms, nella figura 2 vediamo che le semionde si ripetono uguali a distanza di 10 ms una dall'altra. Questo significa che la frequenza della pulsazione è passata da 50 hz a 100 hz, e quindi è raddoppiata. I TRANSISTORI

Il transistor è alla base dell'elettronica dei nostri tempi. Anche se come componente singolo viene usato molto meno che in passato, è sempre opportuno ed utile conoscere le caratteristiche principali ed il funzionamento di questo minuscolo dispositivo a stato solido.

Un transistor può avere diversi aspetti, a seconda del fabbricante e del tipo di applicazioni per cui è previsto; in ogni caso, i terminali o punti di contatto che permettono di inserirlo in un circuito sono tre, e sono sempre gli stessi:

Page 45: L'elettricità

collettore, emettitore e base. I transistor di bassa potenza, il cui scopo è principalmente l'amplificazione dei segnali, hanno in genere l'aspetto di uno dei primi due a sinistra: da un piccolo corpo più o meno cilindrico, metallico o di materiale plastico, fuoriescono tre zampe, nella forma di fili o di linguette, che sono i tre elettrodi ci cui si parlava poco fa. La disposizione di questi elettrodi può variare da un tipo all'altro, e va quindi determinata disponendo delle informazioni tecniche relative (i famosi "data sheet"). Per certi transistori di vecchio tipo, sul corpo cilindrico era marcato un puntino colorato che indicava il collettore; in altri è presente sull'involucro metallico una minuscola linguetta, in corrispondenza della quale si trova l'emettitore.Una prima divisione nel mondo dei transistor riguarda la polarità degli elettrodi; senza scendere troppo nei particolari, almeno per il momento, sarà sufficiente sapere che esistono transistori NPN e transistori PNP. La differenza principale è che il funzionamento in circuito è invertito: mentre per un NPN il collettore deve essere collegato al polo positivo e l'emettitore al negativo, nel caso di un PNP le polarità sono di segno opposto. L'esistenza di queste due famiglie di transistori torna molto utile, perchè permette di realizzare circuitazioni particolari, sfruttando le diverse polarità.In base all'impiego, i transistori presentano altre caratteristiche, che possono variare anche molto da un tipo all'altro. Vediamo in breve le principali:

- Caratteristiche limite di funzionamento, superando le quali il transistor si distrugge:

Vce - è la massima tensione che può essere applicata fra il collettore e l'emettitoreVbe - è la massima tensione che può essere applicata fra la base e l'emettitore

Ic - è la massima corrente che può attraversare il circuito di collettore

Ib - è la massima corrente che può attraversare il circuito di base

- Frequenza di taglio:

È la frequenza oltre la quale la capacità di amplificazione del transistor discende rapidamente. Qualunque transistor può lavorare con segnali all'interno di una certa banda di frequenze. Se, per esempio, dobbiamo costruire un amplificatore audio, quello della frequenza di taglio non sarà certo un problema, visto che

Page 46: L'elettricità

qualunque transistor può funzionare ben al di là dei 20.000 hertz delle frequenze acustiche. Se invece si intende amplificare segnali ad alta frequenza (per esempio onde radio a modulazione di frequenza) occorre prestare molta attenzione a scegliere un transistor che presenti un buon guadagno a frequenze di 100 megahertz ed oltre. Lo stesso dicasi per realizzare ad esempio un generatore di funzioni, in grado di produrre una reale onda quadra: in questo caso è opportuno ricorrere a quei tipi definiti "transistori per commutazione", che sono caratterizzati da tempi di salita e discesa molto brevi e quindi si adattano alle tecniche impulsive.

- Guadagno:

definisce la capacità di amplificazione del transistor e viene indicato in db (decibel); per quelli che hanno qualche conoscenza di matematica, si può aggiungere che il decibel è il logaritmo di un rapporto: nel nostro caso, indicando con dIb una qualsiasi variazione della corrente di base e con dIc la corrispondente variazione della corrente di collettore, il guadagno risulta dalla formula: g = 20 log (dIc / dIb) Il guadagno è legato alla frequenza del segnale; rimane praticamente costante fino ad un certo valore, oltre il quale comincia a diminuire rapidamente: tale valore viene appunto definito frequenza di taglio.

Dopo queste considerazioni noiose, passiamo a qualcosa di più pratico e interessante: mettiamo in circuito il primo transistor. Dobbiamo naturalmente procurarcene uno, insieme ad un pò di altro materiale. Ecco allora una piccola lista della spesa da portare al nostro paziente (speriamo!) negoziante:- Un transistor NPN tipo BC107, BC108, BC208, 2N1711, BC237 o equivalenti

- Un diodo LED- Due resistenze da 1/2 watt, del valore rispettivamente di 220 ohm e 1,5 Kohm

Per alimentare il nostro circuito useremo l'alimentatore che abbiamo costruito seguendo le Usando le pile, risulta comodo servirsi di una coppia di

spinette maschio/femmina (come quelle di colore rosso in figura) per collegare e scollegare le pile dal circuito, mentre tutti gli altri fili rimangono permanentemente saldati, una volta per tutte

Page 47: L'elettricità

indicazioni delle lezioni precedenti; in sua mancanza, vanno bene anche due pile piatte collegate in serie, in modo da ottenere 9 volt (vedi riquadro a fianco).Cominciamo parlando del diodo LED; oltre ad essere un vero e proprio diodo, nel senso che si lascia attraversare dalla corrente solo in un verso, presenta la caratteristica di essere luminoso: quando viene collegato alla giusta tensione (di circa 1,5 volt) esso si accende come una minuscola lampadina, ed emette una luce il cui colore dipende dal tipo di diodo (può essere rossa, gialla, verde, ecc.). Essendo un diodo a tutti gli effetti, il LED va inserito in circuito nel verso giusto; se osservate un LED per trasparenza, noterete al suo interno che i due elettrodi sono diversi (come si vede in figura): il più piccolo dei due è quello che va collegato al polo positivo; l'altro va collegato al negativo.

Nel nostro caso, siccome vogliamo alimentare il LED con l'alimentatore a 12 volt, non possiamo collegarlo direttamente, perchè si brucerebbe. Come si vede in figura, inseriremo in serie al LED una resistenza, del valore di 220 ohm, per limitare la corrente che passa. Adesso possiamo attaccare il tutto all'alimentatore o alle pile: il diodo led deve accendersi. Raggiunto questo primo risultato, possiamo passare ad inserire il transistor. Dopo aver identificato con sicurezza i tre piedini (eventualmente chiedete al vostro fornitore) collegate l'emettitore al polo negativo o massa. Lasciate scollegata, per il momento, la base del transistor. Al collettore collegate la resistenza da 220 ohm, quella che proviene dal diodo LED, realizzando il circuito della figura qui a sinistra. Quando accendete l'alimentatore, il diodo led non deve accendersi; la corrente, infatti, non può passare, essendo presente il transistor che la blocca.Colleghiamo adesso in circuito anche la base del transistor, cioè il piedino che avevamo lasciato scollegato. Vi salderemo la resistenza da 1,5 kohm che a sua volta sarà collegata al polo positivo. Se adesso ridiamo corrente al circuito, vedremo che il diodo LED si accende. Cosa è cambiato nel transistor? Attraverso la resistenza R2, una debole corrente, indicata in

Page 48: L'elettricità

figura con ib, circola nel circuito di base; questa corrente innesca il passaggio di una corrente più forte nel circuito di collettore (indicata con ic) e così il LED si accende. Osserviamo quindi che con una corrente di pochi milliampere (la corrente che entra in base) possiamo comandare una corrente di alcune centinaia di milliampere nel circuito di collettore: è questo il principio del transistor, che risulta essere pertanto un "amplificatore di corrente".Non siate delusi; questa era solo una semplice applicazione dimostrativa, utile anche per prendere confidenza col montaggio dei componenti. Cercate quindi di ottenere il funzionamento descritto; se il LED non si accende, o si accende quando non dovrebbe, controllate bene: qualche componente è collegato male; provate e riprovate, prima di procedere con le prossime applicazioni. Comandare con la luce

Il circuito che analizzeremo questa volta costituisce un automatismo, sia pure nella sua forma più semplice, in grado di comandare un evento in funzione della luce ambiente. Tanto per fare qualche esempio, è possibile ottenere che una o più lampade si accendano quando la luce naturale si abbassa al di sotto di un certo livello, oppure azionare un segnale acustico, un motore o qualsiasi altro dispositivo elettrico, funzionante a qualsiasi tensione e qualunque sia la potenza da esso assorbita.

Le fotoresistenze

L'elemento che rileva la luminosità è in questo caso una fotoresistenza: si tratta di una resistenza particolare, il cui valore cambia sensibilmente in funzione della luce che la investe. A seconda del tipo, una fotoresistenza può misurare ad esempio circa 1 megaohm al buio e solo poche

decine di kilo-ohm in piena luce. Il modo di impiegare una fotoresistenza è semplice: come si vede nello schema a destra, la fotoresistenza, indicata con FTR, fa parte del circuito di base del transistor; finchè c'è luce sufficiente, il valore di

una fotoresistenza

Page 49: L'elettricità

FTR rimane basso, per cui la corrente proveniente dal polo positivo attraverso R1 ed RV passa nella fotoresistenza e ritorna a massa, senza interessare il transistor. Quando la luce diminuisce, il valore della fotoresistenza aumenta, fino al momento in cui la corrente poveniente da RV, trovando una via di minor resistenza, comincia a entrare nella base del transistor. Il transistor passa così in conduzione, cioè, come abbiamo visto nella lezione precedente, lascia passare corrente nel suo circuito di collettore. La bobina del relè viene quindi attraversata dalla corrente di collettore del transistor, ed il relè scatta, cioè chiude il contatto C. Quando la luce ambiente aumenta, la corrente di base ricomincia a passare nella FTR, la cui resistenza è tornata bassa; il transistor non conduce più ed il relè si diseccita, riaprendo il contatto C.

ANALIZZIAMO IN DETTAGLIO I SINGOLI COMPONENTI DEL CIRCUITO

La resistenza RV che si trova nel circuito di base del transistor, è una resistenza variabile, detta anche trimmer. Nella pratica può avere l'aspetto di uno dei tipi che si vedono nella figura a

sinistra; si tratta comunque di una resistenza il cui valore può essere regolato tra zero e il massimo (che è il valore indicato sulla resistenza stessa) facendo ruotare con un

Cos'e' e come funziona un relè

Un relè è sostanzialmente un interruttore, cioè un dispositivo in grado di aprire e chiudere un circuito. A differenza dell'interruttore però, il relè non viene azionato a mano, ma da un elettromagnete, costituito da una bobina di filo avvolto intorno ad un nucleo di materiale magnetico. Quando passa corrente nella bobina di filo, si crea un campo magnetico che attira l'ancoretta secondo la freccia rossa verticale; l'ancoretta ruota e spinge il contatto centrale C verso destra, secondo la freccia orizzontale. In questo modo, il collegamento tra il contatto centrale e quello di sinistra (nc) si apre, mentre si chiude il collegamento tra il contatto centrale e quello di destra (na). Il contatto di sinistra viene definito nc, cioè normalmente chiuso, perchè è tale quando il relè è a riposo. Allo stesso modo l'altro contatto, aperto quando il relè non è eccitato, viene definito na, cioè normalmente aperto.

due tipi di resistenze variabili

Page 50: L'elettricità

cacciavite un contatto strisciante che scorre su una superficie di materiale ad alta resistività. La resistenza variabile è stata inserita per poter regolare con precisione il punto d'intervento, ovvero determinare con che luminosità il relè si chiude e mette in funzione ciò che vi è collegato. Supponiamo che il vostro circuito si ecciti, cioè il relè si chiuda ed accenda le lampade, quando c'è ancora abbastanza luce; se volete che il circuito intervenga quando è più buio, ruotate la RV così da aumentarne il valore: in questo modo, affinchè la corrente che entra sulla base del transistor riesca a portarlo in conduzione, occorrerà che la FTR abbia un valore più alto, e cioè che sia più buio.La resistenza R1 serve per proteggere il transistor nel caso che si regoli la RV su valori troppo bassi: se non ci fosse R1, potrebbe entrare nella base del transistor una corrente troppo alta e distruggerlo.Il vantaggio del relè è che i due circuiti, cioè quello di comando e quello di utilizzazione, sono completamente separati, e possono quindi funzionare con tensioni diverse. L'importante è che il circuito di comando invii alla bobina la giusta corrente, e che il circuito di utilizzazione faccia uso di contatti in grado di sopportare la corrente richiesta dal carico collegato. Questo significa che se col relè voglio accendere e spegnere una lampadina da 100 watt a 220 volt, saranno sufficienti contatti per 1 ampere; se invece voglio comandare, supponiamo, una serie di 10 faretti, ciascuno con lampada da 500 watt, avrò bisogno di un relè ben più robusto, con contatti adeguati ad una corrente di circa 30 ampere. In effetti sarebbe possibile fare a meno di un relè, e comandare altri utilizzatori, come lampade, allarmi, ecc, usando soltanto componenti elettronici; l'uso del relè è tuttavia più semplice e permette la massima libertà di utilizzo, senza vincoli di

carico o di tensioni. Nell' immagine a fianco è evidenziato il modo di utilizzare questo circuito, ovvero come deve essere collegato un utilizzatore esterno perchè venga comandato dal relè. Nell'esempio si vede una normale lampadina di quelle che usiamo nelle nostre case collegandole alla rete a 220 V. Partendo dalla spina, un filo arriva direttamente alla lampada, mentre l'altro passa attraverso i contatti del relè, che è quindi

Page 51: L'elettricità

in grado di accendere e spegnere la lampadina. I due terminali sono indicati con na, perchè si tratta di un contatto normalmente aperto, cioè di un contatto che si chiude solo quando il relè si eccita.

La funzione del diodo D

Tutte le volte che ci troviamo ad avere a che fare con avvolgimenti di filo intorno a nuclei metallici, possiamo parlare di carichi induttivi. Senza scendere troppo nei dettagli, diciamo che ci sono importanti differenze tra gli effetti di un carico induttivo e quelli di una normale resistenza inseriti in circuito. Se noi applichiamo tensione ai capi di una resistenza, questa viene subito percorsa da corrente; quando stacchiamo tensione, la corrente cessa. Se invece applichiamo tensione a un carico induttivo, come la bobina di eccitazione del relè (o elettrocalamita), la corrente non circola immediatamente, ma dopo un certo intervallo di tempo. Successivamente, nel momento in cui tentiamo di staccare la tensione, la corrente tende a circolare ancora per qualche istante, per cui si creano extra correnti di apertura e tensioni di segno inverso. I transistori possono essere danneggiati da tensioni troppo elevate o di segno contrario a quello richiesto dalla loro polarità, e quindi occorre proteggerli dagli effetti pericolosi dei carichi induttivi. A questo provvede il diodo D, che risulta collegato in parallelo alla bobina del relè, col polo positivo rivolto verso il positivo della alimentazione. Normalmente nel diodo D non passa alcuna corrente, poichè esso è collegato in senso contrario rispetto all'alimentazione del circuito; quando però ai capi della bobina del relè tende a formarsi una tensione inversa, il diodo passa subito in conduzione e praticamente annulla la tensione pericolosa.

I componenti per questo circuito:

- Un relè la cui bobina funzioni a 9 volt in corrente continua, e che sia dotato di almeno un contatto normalmente aperto; i contatti dovranno essere adeguati alla

potenza dell'utilizzatore che volete collegarvi- FTR: fotoresistenza avente un valore di circa 1 Mohm al buio e di qualche Kohm

alla luce- RV: trimmer (resistenza variabile) da circa 47 Kohm

- R1: resistenza da 2,2 Kohm - Un transistor NPN tipo BC108 o equivalenti- D: diodo tipo 1N4001 o equivalenti

Condensatori e multivibratori

Page 52: L'elettricità

Argomento di questa lezione saranno i condensatori, di cui analizzeremo un uso pratico realizzando un circuito particolare, detto "multivibratore". Nelle precedenti lezioni abbiamo già confrontato il comportamento delle resistenze con quello dei carichi induttivi (gli avvolgimenti), concludendo che il comportamento di questi ultimi è piuttosto particolare e richiede appostiti accorgimenti. Allo stesso modo, i condensatori sono componenti elettronici dalle caratteristiche un pò speciali: per esempio il loro effetto si manifesta soltanto

quando una tensione tende a variare; con una tensione continua, cioè di segno e valore costanti, la presenza del condensatore passa completamente inosservata. Guardiamo la figura a fianco: si tratta di un condensatore C collegato ad una sorgente di alimentazione, attraverso una resistenza R. Se chiudiamo l'interruttore I, nel circuito inizia a passare una corrente, che nei primi istanti può essere anche molto elevata. Misuriamo la tensione ai capi del condensatore: vedremo che essa, dapprima molto bassa, crescerà lentamente fino a raggiungere quella dell'alimentatore. Cosa è successo in pratica? Il condensatore può essere paragonato ad un

recipiente vuoto: all'inizio, pur passando in circuito una forte corrente, esso risulta scarico (la tensione è quasi zero); man mano che si carica, la tensione presente ai suoi capi sale, così come salirebbe l'acqua in un recipiente, mentre la corrente in circuito diminuisce, fino a quando esso risulta completamente pieno. A questo punto in circuito non passa più alcuna corrente. Il tempo impiegato a caricarsi dipende da due fattori: innanzitutto dalla capacità del condensatore, che non è altro che la sua attitudine ad immagazzinare corrente (come la capacità di un contenitore: più è grande, più materiale contiene); in secondo luogo, dal valore della resistenza R: più grande è la resistenza, meno corrente passa e quindi più tempo impiega il condensatore a caricarsi.

Questo tempo di carica è di fondamentale importanza, ed è molto sfruttato in elettronica. Senza ricorrere ad astruse dimostrazioni teoriche, osserveremo solo che il prodotto R per C

Page 53: L'elettricità

costituisce quella che viene definita "costante di tempo"; moltiplicando il valore in ohm della resistenza per il valore in farad del condensatore si ottiene esattamente un tempo in secondi.

La capacità infatti si misura in farad; questa unità di misura risulta però troppo grande per gli usi dell'elettronica (come se un modellista costruisse modellini misurando i pezzi con una rotella metrica da 25 metri), ed allora si usano dei sottomultipli, molto più piccoli, che sono il microfarad (si scrive µF), ed il

picofarad (si scrive pF). Ma adesso passiamo ad una applicazione pratica; avremo occasione di conoscere meglio i condensatori nelle prossime lezioni.

Il circuito a fianco utilizza proprio la caratteristica dei condensatori di caricarsi attraverso una resistenza, impiegando un tempo ben determinato. Si tratta di un multivibratore, ovvero di un circuito per sua natura instabile, dove due transistori passano continuamente, alternandosi, dallo

stato di conduzione allo stato di interdizione (interdizione significa che il transistor non conduce corrente, cioè equivale ad un interruttore aperto). Come vedete il circuito è molto semplice, essendo formato solo da due transistori (vanno bene due transistori qualsiasi NPN, tipo BC108 o equivalenti), da quattro resistenze (i cui valori sono R1=680 ohm; R2=18 kilo-ohm; R3=56 kilo-ohm; R4=470 kilo-ohm) e da due condensatori (C0, cioè C zero, da 22 microfarad, e C1 da 1 microfarad).

Il circuito pilota un normale diodo LED che funge quindi da lampeggiatore

Supponiamo che inizialmente sia in conduzione TR1: questo vuol dire che il suo collettore è sceso a tensione zero; ma allora anche la base di TR2, collegata al collettore di TR1 tramite il condensatore C0, è necessariamente scesa a tensione zero. In effetti TR2 non conduce, ed il LED risulta spento. Un pò alla volta, tuttavia, il condensatore C0 si carica con la corrente che fluisce attraverso la resistenza R2, e così la tensione di base di TR2 comincia a salire: quando raggiunge un valore sufficiente, il transistor passa in conduzione; a questo punto il LED si accende, la tensione di collettore va a zero e, tramite il condensatore C1,

Page 54: L'elettricità

porta a zero anche la tensione di base di TR1, che passa in interdizione, cioè non conduce più. Ma anche questa condizione è solo momentanea, perchè il condensatore C1 inizia a caricarsi attraverso la R4; quando la tensione di base diventa abbastanza alta, il transistor passa in conduzione e torna a bloccare il transistor TR2 (e quindi a spegnere il LED). Il ciclo si ripete all'infinito, e per tale motivo il circuito viene definito multivibratore.

E' possibile intervenire a piacere sui tempi di conduzione dei due transistori; un modo è quello di usare condensatori di valore diverso. Ho chiamato C0 (C zero) il condensatore da 22 microfarad, perchè è quello che determina il tempo in cui il LED è spento: se volete che stia spento più a lungo, usate un condensatore di maggiore capacità, per esempio di 33 o 47 microfarad; in caso contrario, usatene uno di minore capacità (10 o 4,7 microfarad). C1 determina il tempo in cui il LED è acceso: con valori più alti, il LED sta acceso più a lungo, e viceversa.

Questo circuito è fatto per funzionare a 12 volt, quindi può essere adatto come lampeggiatore in auto, per esempio per simulare un antifurto; è comunque possibile farlo funzionare anche a tensioni diverse (addirittura con una pila da soli 1,5 volt), cambiando opportunamente i valori delle resistenze. Buon divertimento. I CONDENSATORI VISTI DA VICINO

I condensatori sono fra i componenti più utilizzati nei circuiti elettronici. In funzione della tecnologia costruttiva e degli impieghi specifici, i condensatori si presentano nelle forme più diverse, dai grossi contenitori cilindrici degli elettrolitici da 10.000 e più µF alle minuscole pastiglie dei condensatori ceramici o alla forma a goccia di quelli al tantalio.Nelle righe che seguono vengono descritte brevemente le caratteristiche elettriche di un condensatore, i tipi di uso più comune e qualche metodo pratico per verificarne l'efficienza.

CHE COS'E' UN CONDENSATORE

Il condensatore è un dispositivo in grado di immagazzinare energia elettrica. Possiamo vederlo praticamente con un semplice esperimento, per cui basta procurarsi una pila da 4,5 V, un condensatore elettrolitico da circa 1000 µF ed un led cui aggiungeremo in serie una resistenza da 100 ohm (figura 1).

Page 55: L'elettricità

un condensatore, una pila, un led con resistenza in serie

carichiamo il condensatore collegandolo alla pila

il condensatore carico farà accendere il led, che si spegnerà gradualmente, man mano che il condensatore si scarica

Figura 1

1- colleghiamo il condensatore alla pila, facendo attenzione alla polarità (il segno "+" del condensatore deve corrispondere al segno "+" della pila); dopo pochi secondi il condensatore si sarà caricato2- stacchiamo adesso il condensatore carico dalla pila e colleghiamolo al led, facendo attenzione alla giusta polarità dei terminali ed interponendo la resistenza da 100 Ω: per qualche istante il led si illuminerà, come se lo avessimo collegato alla pila, spegnendosi gradualmente man mano che il condensatore si scarica.

La resistenza serve per far scorrere la corrente più lentamente durante la scarica, altrimenti il led farebbe solo un rapido lampo di luce, rischiando anche di bruciarsi.Usando condensatori di maggiore capacità, il led rimarrà acceso più a lungo.

La quantità di energia che si accumula in un condensatore dipende dalla sua capacità e dalla tensione di lavoro: se indichiamo con Q la quantità di carica, con C la capacità e con V la tensione, vale la formula Q = C x VDal punto di vista fisico, un condensatore è costituito da due superfici metalliche (ovvero conduttrici), dette armature, separate da un isolante, che prende il nome di dielettrico; l'isolante può essere anche la semplice aria, il che equivale a dire che le due superfici metalliche si trovano una di fronte all'altra ma senza toccarsi. Quanto più sono estese le due superfici, tanto maggiore è la capacità; analogamente, la capacità è maggiore quanto più le due superfici sono vicine. La capacità dipende poi anche dall'isolante che si trova fra le due superfici: il valore più basso si ha quando c'è solo l'aria; se il dielettrico è costituito da altri materiali, la capacità aumenta in funzione del materiale, secondo una grandezza caratteristica di ciascun materiale, che

Page 56: L'elettricità

viene detta "costante dielettrica relativa".

Tale costante si indica col simbolo εr ed è stabilito per convenzione che il

suo valore per l'aria sia uguale a 1; se un condensatore le cui armature sono separate dall'aria ha una certa capacità, interponendo al posto dell'aria un dielettrico come la mica, la capacità del condensatore aumenta di circa 5 volte: si dice allora che la costante dielettrica relativa della mica ha valore 5.

Nella pratica i condensatori si realizzano avvolgendo insieme due sottili lamine metalliche, separate da un film plastico dello spessore di alcuni decimi di micron; quando si richiedono capacità molto elevate, invece del film plastico si usa come dielettrico uno strato di ossido, formato direttamente su una superficie metallica, ed un elettrolita come secondo elettrodo. Di seguito sono descritte brevemente le caratteristiche dei condensatori di uso più frequente.

CONDENSATORI ELETTROLITICI

Sono i più comuni. Il valore della capacità e della tensione di lavoro sono in genere stampigliati chiaramente sull'involucro; la precisione dei valori è approssimativa, essendo ammessa una tolleranza di circa ± 20%.

Nei condensatori elettrolitici il dielettrico è un sottilissimo strato di ossido, fatto formare direttamente sul metallo (l'alluminio) che fa da armatura e costituisce l'anodo; il tutto è immerso in un elettrolita che, essendo un sale disciolto, risulta conduttore. Il caratteristico involucro metallico di forma cilindrica che fa da contenitore, diventa, ai fini del collegamento elettrico, il terminale negativo ovvero il catodo. Proprio a causa della loro costituzione, i condensatori elettrolitici sono "polarizzati", il che vuol dire che devono necessariamente essere collegati ad una tensione continua, rispettando le polarità, positiva e negativa, indicate sull'involucro.

Collegando il condensatore al contrario, esso si distrugge rapidamente e rischia di esplodere. Anche l'applicazione di una tensione superiore a quella di lavoro può causare l'esplosione del condensatore.

Figura 2: condensatori elettrolitici

Page 57: L'elettricità

Come gli altri tipi di condensatori, gli elettrolitici possono essere di tipo radiale (fig.2: E.rad), con entrambi i terminali che escono dallo stesso lato, adatti ad un montaggio in verticale, oppure di tipo assiale (fig.2: E.ax), con un terminale per lato, adatti al montaggio orizzontale. Una banda laterale indica la polarità di almeno uno degli elettrodi.Gli elettrolitici sono condensatori di grande capacità, in grado di accumulare notevoli quantità di energia; per tale motivo trovano impiego principalmente negli alimentatori, per il livellamento della tensione e la riduzione del "ripple" (ovvero delle ondulazioni residue).

CONDENSATORI AL TANTALIO

Sono anch'essi dei condensatori polarizzati, ma in essi il dielettrico è costituito da pentossido di tantalio (fig.2: Tant.). Sono superiori ai precedenti come stabilità alla temperatura ed alle frequenze elevate; sono tuttavia più costosi e la loro capacità non raggiunge valori molto elevati. Come i precedenti, devono essere montati in circuito osservando la polarità indicata in prossimità dei terminali.

ALTRI TIPI DI CONDENSATORI

Tranne i condensatori elettrolitici e quelli al tantalio, tutti gli altri condensatori non sono polarizzati, per cui possono essere montati indifferentemente in circuito in un verso o nell'altro, e funzionare anche in assenza di una tensione continua di polarizzazione.

Esistono tanti tipi di condensatori, realizzati con tecnologie e dielettrici diversi. In figura 3 ne sono illustrati alcuni:a- radiale in poliestere (mylar)b- ceramico a discoc- assiale in polipropilened- in poliestere metallizzato

- I condensatori in poliestere vengono prodotti fino a capacità di qualche µF e per tensioni di lavoro fino a 1000 V; sono più adatti per l'impiego in bassa frequenza.- I condensatori in poliestere metallizzato sono di buona qualità e stabilità rispetto alla temperatura.- I condensatori in polipropilene consentono valori di capacità più precisi, con tolleranze di circa l' 1%; sono adatti ad un campo di frquenze fino a

figura 3: altri tipi di condensatori

Page 58: L'elettricità

100kHz.- I condensatori con dielettrico in policarbonato si trovano con valori di capacità fino a 10 µF e per tensioni di circa 400 V; presentano una capacità molto costante, per cui possono essere vantaggiosamente utilizzati nei circuiti oscillanti.- Sempre indicati per l'uso in circuiti oscillanti sono i condensatori in polistirolo, caratterizzati dal valore costante di capacità e reperibili per valori fino ad 1 µF- I condensatori ceramici sono utilizzati in genere per le alte frequenze. Possono essere del tipo ad elevata costante dielettrica, così da consentire di ottenere alte capacità con ingombro limitato, oppure del tipo a bassa costante dielettrica, caratterizzati dalla capacità stabile e da perdite molto basse; per tale motivo vengono impiegati nei circuiti oscillanti di precisione. In merito all'aspetto, possono presentarsi nella classica forma a disco, o nella vecchia forma di un tubetto con i terminali alle due estremità. I ceramici a disco sono molto usati in parallelo agli elettrolitici, per fugare a massa le alte frequenze.- I condensatori a mica argentata sono altamente stabili ed hanno un buon coefficiente di temperatura; sono utilizzati per applicazioni di precisione, nei circuiti risonanti, nei filtri di frequenze e negli oscillatori ad alta stabilità.

COME SI DETERMINA LA CAPACITA' DI UN CONDENSATORE(Quanto segue si riferisce ai condensatori non polarizzati, di capacità compresa fra pochi picofarad e qualche µF; non si applica pertanto ai condensatori elettrolitici classici nè a quelli al tantalio)

Capita abbastanza spesso di trovarsi fra le mani un condensatore di cui non si riesce a leggere il valore, o perchè i caratteri si sono cancellati (cosa che capita spesso), o perchè il valore è indicato con un codice che ci lascia piuttosto dubbiosi; se non vogliamo gettare il condensatore nel cestino, possiamo provare a determinarne noi la capacità. Il metodo più semplice è quello per confronto. Poichè in corrente continua i condensatori rappresentano solo un contatto aperto, per eseguire la misura che ci interessa ci serviremo di una corrente alternata. Occorre procurarsi un qualsiasi trasformatore, anche di piccola potenza, adatto ad essere collegato alla rete 220 V ca, e che dia in uscita una bassa tensione, compresa più o meno fra 8 e 24 V

ATTENZIONE: TUTTA LA PARTE ALTA TENSIONE, DALLA SPINA AL TRASFORMATORE, MORSETTI DI ENTRATA COMPRESI, DEVE ESSERE PERFETTAMENTE ISOLATA - NESSUN PUNTO A TENSIONE DI RETE DEVE RIMANERE SCOPERTO

Page 59: L'elettricità

Il circuito da realizzare è quello di figura 4: sull'uscita del trasformatore collegheremo il condensatore di cui non conosciamo la capacità, e che quindi chiameremo Cx, ed in serie ad esso un secondo condensatore, di cui conosciamo il valore, che useremo come riferimento, e che chiameremo Cr.

figura 4 - misura della tensione su Cr

Con un tester predisposto per la misura di tensioni alternate misureremo la tensione ai capi di Cr; successivamente, spostando il puntale rosso dall'altra parte (figura 5), misureremo la tensione ai capi di Cx.

figura 5 - misura della tensione su Cx

Se le due tensioni sono uguali, vuol dire che i condensatori sono uguali; in caso contrario, dovrete divertirvi a sostituire Cr con condensatori di altro valore, finchè le due tensioni risulteranno uguali.Dobbiamo ricordare a proposito che i condensatori si comportano con la corrente alternata un pò come le resistenze con la corrente continua; una corrente alternata che attraversa un condensatore, incontra maggiore difficoltà se la capacità del condensatore è piccola, e quindi si determina una maggiore caduta di tensione ai capi del condensatore. Nel fare le vostre misure, tenete presente questo aspetto; se trovate che la tensione ai capi di Cr è maggiore di quella su Cx, dovete provare ad usare un Cr di maggiore capacità.

Page 60: L'elettricità

Ricordate poi che nel caso dei condensatori non è quasi mai necessaria una grande precisione, per cui è sufficiente che troviate due tensioni abbastanza vicine per considerare terminata la misura.Tanto per fare l'esempio che si vede nelle figure, se trovate 11,9 su Cr e 12,3 su Cx potete ben dichiarare che i due condensatori sono uguali!

DUE PAROLE SUL CONTROLLO DEI CONDENSATORI ELETTROLITICI

Gli elettrolitici sono condensatori di elevata capacità e, per la loro tecnologia costruttiva, sono maggormente soggetti ad alterazioni delle caratteristiche elettriche. Quando si vuole utilizzare un elettrolitico che ha già lavorato in circuito per un certo tempo, o che comunque è piuttosto vecchio, è sempre bene procedere ad un controllo, sia pure veloce, del suo stato di salute.

Prima di procedere a qualsiasi controllo, ricordate sempre di scaricare il condensatore, specialmente se lo avete smontato da una apparecchiatura

utilizzata di recente. Il condensatore va scaricato collegando fra i due terminali una resistenza da 2 o più watt, del valore di qualche decina di ohm; non è opportuno mettere in corto i terminali servendosi di un oggetto metallico, poichè, a causa dell'elevato picco di corrente, la scarica istantanea con relativa scintilla potrebbe danneggiare il condensatore.Indicazioni abbastanza significative sullo stato di un condensatore elettrolitico si possono ottenere in modo semplice: basta collegare per pochi secondi il condensatore ad una tensione un pò più bassa di quella di lavoro (che risulta scritta sull'involucro), sempre facendo attenzione alla giusta polarità. Staccato il condensatore, si misura col tester la tensione sui terminali: tranne una breve discesa iniziale di pochi volt, il valore della tensione immagazzinata tende a conservarsi nel tempo. Per fare un esempio, se si applica al condensatore una tensione di 20 V, procedendo ad una misura dopo vari minuti si trova più o meno una tensione prossima a 18 o 17 V; dopo un'ora, tale tensione sarà scesa a circa 13 V. In teoria, nel caso di un condensatore ideale, la tensione dovrebbe mantenersi indefinitamente al valore applicato durante la carica; nel condensatore reale, tuttavia, la resistenza fra i due elettrodi non è infinita, per cui esiste sempre una corrente di fuga o di dispersione che lentamente determina la scarica del

figura 6 - come va scaricato un condensatore

Page 61: L'elettricità

condensatore: maggiore è questa corrente, più velocemente il condensatore si scarica. In ogni caso, se notiamo che il condensatore in prova si scarica dopo pochi secondi, o addirittura non trattiene alcuna carica, possiamo tranquillamente gettarlo senza alcun rimpianto.

CONDENSATORI IN PARALLELO ED IN SERIE

Se occorre una capacità più alta di quella che ci può offrire un solo condensatore, è possibile usare più condensatori collegati uno di fianco all'altro, e cioè in parallelo; in questo modo la capacità totale equivale alla somma delle singole capacità.Come si vede in figura 7,

affiancando due condensatori da 1µF si ottiene un capacità complessiva di 2µF; aggiungendone un altro da 0,47µF, la capacità totale arriva a 2,47µF.

Maggiormente complicato è invece calcolare la capacità di più condensatori in serie; nel caso più semplice, quando cioè si collegano in serie due condensatori uguali, la capacità risultante è uguale alla metà di quella di ciascun condensatore (figura 8).Quando i condensatori in serie hanno valori diversi, la capacità risultante (che è sempre più piccola della più bassa fre le capacità dei vari condensatori collegati) si calcola come l'inverso della somma degli inversi delle singole capacità.

Facciamo un esempio pratico: abbiamo tre condensatori con capacità di 100pF, 220pF e 470pF;

- l'inverso di 100 è 1:100 = 0,01- l'inverso di 220 è 1:220 = 0,00455- l'inverso di 470 è 1:470 = 0,00213

- la somma degli inversi è 0,01+0,0045+0,00213 = 0,01667- il risultato finale è l'inverso di tale somma, ovvero 1:0,01667 = 59,9768

Si vede quindi che collegando in serie tre condensatori da 100, 220 e 470 pF si ottiene un valore risultante di 59 pF, che è più piccolo del più piccolo fra i

tre condensatori collegati (che era 100 pF).

figura 7 - condensatori in parallelo

figura 8 - condensatori in serie

Page 62: L'elettricità

I circuiti integrati

L'avvento dei circuiti integrati ha senz'altro cambiato il modo di pensare, ovvero di progettare un circuito elettronico. Quando si lavora con componenti singoli, detti "discreti", ci si preoccupa di determinare per ognuno di essi le giuste condizioni di funzionamento, in termini di tensioni e correnti, e quindi di collegare un componente all'altro in modo da ottenere un corretto comportamento d'insieme. Con i circuiti integrati, invece, si ragiona a "blocchi", ovvero a funzioni logiche.Un circuito integrato contiene al suo interno un numero elevatissimo di componenti: principalmente transistor, ma anche resistenze, diodi ed altro.

Naturalmente non si tratta di transistori confezionati nel loro involucro e dotati di zampe di collegamento, come quelli visti nelle lezioni precedenti; occorre infatti pensare che il cuore di un transistor non è altro che una minuscola particella di silicio (o altro materiale semiconduttore) opportunamente trattato, e che realizzando i collegamenti con procedimenti studiati al microscopio è possibile ottenere su una piastrina di pochi

millimetri quadrati un circuito completo formato da migliaia di transistori.Non è pensabile cercare di capire come funziona un circuito integrato al suo interno, anche avendone uno schema dettagliato. La complessità di alcuni di essi è infatti notevole, tra l'altro per il motivo che certi componenti, facilmente disponibili nei circuiti tradizionali (ad esempio i condensatori), non possono essere realizzati in spazi così ridotti ed allora si ricorre a circuitazioni che sostituiscono determinate funzioni a spese di un notevole aumento del numero di componenti di altro tipo, più facilmente realizzabili con quelle tecnologie.Si faccia tuttavia attenzione a non abusare dei circuiti integrati: a volte è molto più semplice usare tre o quattro transistor, piuttosto che cercare l'integrato che svolga quella particolare funzione; inoltre, mentre lavorando con componenti discreti (cioè componenti sfusi, come quelli usati fino ad ora) si consegue una migliore comprensione, il circuito integrato si presenta come una magica scatola nera! Per concludere: usiamoli soltanto quando non se ne può fare a meno.

Gli amplificatori operazionali

Un amplificatore operazionale u741

Page 63: L'elettricità

Ma facciamo qualche esempio pratico: un circuito integrato molto diffuso è il cosiddetto "amplificatore operazionale". Fondamentalmente si tratta di un circuito caratterizzato da una grande sensibilità, ovvero da un elevato fattore di amplificazione. Uno dei suoi impieghi più caratteristici consiste nel confrontare due tensioni, applicate ai suoi ingressi, che sono due (uno detto invertente ed uno non invertente): in funzione di tali tensioni, l'uscita dell'amplificatore operazionale assume generalmente un valore limite, vale a dire zero o massimo.Vedremo in seguito questi componenti in maniera più dettagliata, esaminandone qualche applicazione pratica.

I regolatori di tensione

Atri circuiti integrati sono i regolatori di tensione. Una volta, per costruire un alimentatore stabilizzato, cioè in grado di fornire in uscita una tensione ben stabile, indipendentemente dalla corrente assorbita, era necessario mettere insieme diversi componenti, realizzando uno schema più o meno complesso; adesso, con un apposito circuito integrato che ha solo 3 piedini da collegare, chiunque può costruirsi con estrema facilità un ottimo alimentatore di elevate caratteristiche. Per cominciare faremo uso proprio di un integrato appartenente

alla famiglia dei regolatori di tensione, della serie L7800. Il suo aspetto è quello che si vede in figura: ci sono solo 3 piedini di collegamento, ovvero un ingresso, un'uscita ed il collegamento di massa, che in inglese viene chiamato "ground". Il suo impiego è piuttosto semplice, e noi lo useremo in abbinamento all'alimentatore descritto nelle parti 2 e 3 di questo corso. In funzione della tensione che vogliamo ottenere in uscita, dovremo comprare un diverso integrato, come si vede nella tabella. Naturalmente, se ci occorre in uscita una tensione superiore a 9 volt, non potremo utilizzare l'alimentatore così come descritto nelle parti 2 e 3, poichè in quel caso si prevedeva una tensione di uscita di circa 12 volt, ma senza stabilizzazione. Questi circuiti integrati sono in grado di regolare perfettamente la tensione, nel senso che la abbassano con precisione al valore richiesto, ma se la tensione

che ricevono in ingresso non è abbastanza alta, non possono certo funzionare. Occorre quindi utilizzare per il nostro alimentatore un trasformatore che dia sul secondario una tensione più alta, pari a circa una volta e mezzo quella di uscita. Ad esempio, per un' uscita di 12 volt, useremo l'integrato L 7812 con un trasformatore che fornisce da 15 a 18 volt; per un'uscita di 18 volt useremo l'integrato L 7818 con un trasformatore che fornisce da 24 a 27 volt, e così via. I circuiti integrati della serie L7800 sono in grado di erogare una corrente di 1 ampere; quindi per sfruttare in pieno le loro caratteristiche occorre che anche il trasformatore usato nell'alimentatore possa dare tale corrente senza surriscaldarsi. Tutti i dati necessari sono comunque riassunti nella tabella qui sotto.

tensione in uscita sigla del circuito integrato

tensione del trasformatore

potenza del trasformatore

Page 64: L'elettricità

5 volt L 7805 circa 7 volt circa 8 watt

7,5 volt L 7875 circa 10 volt circa 12 watt

9 volt L 7809 circa 13 volt circa 15 watt

12 volt L 7812 circa 15 volt circa 20 watt

15 volt L 7815 circa 18 volt circa 25 watt

18 volt L 7818 circa 24 volt circa 30 watt

24 volt L 7824 circa 30 volt circa 40 watt

Lo schema illustra il modo di impiegare il circuito

integrato, in unione all'alimentatore visto nelle

lezioni precedenti. In pratica l'uscita

dell'alimentatore arriva all'integrato, sul piedino di sinistra, mentre il piedino centrale è collegato alla massa del circuito. Sul

piedino di uscita (quello di destra) sarà disponibile la tensione di uscita, perfettamente stabile, e di valore corrispondente a quella nominale dell'integrato

(in figura è stato scelto, come esempio, un regolatore per 12 volt di uscita). Se intendete far funzionare il circuito alla massima potenza e per tempi lunghi è

consigliabile provvedere al raffreddamento del circuito integrato; esso è infatti dotato di un apposito foro che permette di fissarlo, tramite vite con dado, su una

piastrina metallica, di alluminio o di rame, atta a dissipare il calore. Fate attenzione che tale piastrina non vada a toccare i piedini dell'integrato stesso nè

altre parti del circuito, perchè potrebbe creare contatti accidentali e causare danni a qualche componente.

I transistor - seconda parte

In questa lezione cercheremo di capire cosa succede quando un transistor si trova a pilotare un carico di potenza non trascurabile.

Il transistor come amplificatore di segnale

Page 65: L'elettricità

Il transistor, impiegato come amplificatore di segnale, genera in uscita una tensione che riproduce, amplificata, quella in ingresso. Lo fa controllando la corrente che scorre nel collettore e nella resistenza ad esso collegata, che è in genere almeno di qualche migliaio di ohm. La corrente che passa è quindi comunque piccola e non crea problemi per quanto riguarda la potenza che il transistor può sopportare.

Il transistor nel controllo di potenza

Altra cosa è il transistor impiegato per pilotare un carico caratterizzato da una bassa resistenza, come potrebbe essere una lampadina di cui si vuole regolare la luminosità. Analizzeremo adesso alcuni casi e faremo due conti, per meglio capire come vanno le cose.

Consideriamo uno stadio come quello in figura, alimentato a 12 volt, dove un transistor comanda sul collettore una lampadina da 12 volt e della potenza di 6 watt.

Primo caso: la tensione sulla base del transistor è nulla o molto bassa, per cui il transistor non conduce e la tensione di alimentazione si trova quasi tutta ai suoi

capi (come indica il tester in figura). La lampada è spenta. La potenza dissipata dal transistor, ottenuta moltiplicando la tensione ai suoi capi per la corrente che lo attraversa è praticamente nulla, perchè in queste condizioni passa una corrente debolissima (milionesimi di ampere).

Secondo caso: la tensione sulla base del transistor è tale da portarlo in completa

Page 66: L'elettricità

conduzione. La lampada è completamente accesa e la tensione di alimentazione è presente quasi tutta ai suoi capi. La tensione ai capi del transistor è molto bassa, pari a circa 0,6 volt. La corrente che attraversa il transistor è quella che attraversa la lampada, e cioè 0,5 ampere. La potenza dissipata dal transistor è quindi 0,6 x 0,5 = 0,3 watt. Si tratta di una potenza piuttosto bassa, ma che è già al limite di quella che può essere sopportata da transistori come i BC107, BC108, BC109 e simili (la cui potenza massima è proprio di 0,3 w).

Terzo caso: la tensione sulla base ha un valore intermedio, per cui la lampada è accesa a metà. In questo caso la tensione di alimentazione si dividerà fra la lampada ed il transistor, in percentuali diverse da caso a caso. Supponiamo che dei 12 volt totali, siano presenti 7 volt sulla lampada e 5 volt sul transistor, e che passi una corrente di 0,25 ampere. La potenza dissipata dal transistor diventa 5 x 0,25 = 1,25 watt. Tale potenza richiederebbe già l'impiego di transistori relativamente robusti e adeguatamente raffreddati, quelli che vengono definiti "transistori di potenza". Bisogna pensare che stiamo parlando di pilotare una lampada di soli 6 W. Se al suo posto ce ne fosse stata una da 60 W, in analoghe condizioni il transistor si sarebbe trovato a dover dissipare una potenza di 12 w e oltre.

La tecnica ad impulsi

Come abbiamo visto analizzando i tre casi precedenti, controllare un carico di potenza regolando gradualmente la corrente che passa nella base e quindi nel

collettore del transistor, risulta poco consigliabile: c'è infatti un notevole spreco di potenza che porta tra l'altro a surriscaldare il transistor, col

rischio di distruggerlo. Una soluzione è quella del

funzionamento in regime impulsivo. Considerando che i casi in cui il transistor è meno

sollecitato si verificano quando la lampadina è tutta

accesa o tutta spenta, noi faremo lavorare il transistor

sempre in tali condizioni, senza mai riccorrere a

Page 67: L'elettricità

situazioni intermedie. Ma come si può allora fare in modo che la lampadina si accenda di più o di meno? Semplicemente accendendola e spegnendola

tantissime volte in sequenza, a intervalli così vicini che la luce sembri sempre accesa. Se i tempi in cui la lampada è spenta saranno più lunghi di quelli in cui è accesa, la luce media sarà più bassa, e così via. Nella figura vediamo un esempio del tipo di impulsi che devono arrivare sulla base del transistor per ottenere la

regolazione della luce: notiamo che gli impulsi si susseguono sempre con la stessa frequenza (cioè alla stessa distanza); quello che cambia è la lunghezza del periodo di tempo in cui ogni impulso si mantiene a livello alto (cui corrisponde la lampada

accesa). Vedremo in una prossima lezione come produrre tali impulsi.

Thyristors: il diodo SCR

I thyristors rappesentano una famiglia di semiconduttori piuttosto particolari, caratterizzati dal funzionamento tipo "switch" (ovvero "interruttore"), e formati dalla sovrapposizione di quattro strati p-n-p-n disposti a sandwich. I tiristori sono utilizzati nei circuiti di commutazione e controllo della potenza, sia con tensioni continue che con tensioni alternate. In questa sede parleremo dei componenti più comuni, ovvero il diodo SCR, il TRIAC, il DIAC ed il transistor unigiunzione (UJT).

IL DIODO SCR

Confrontando la composizione di un SCR col comune diodo visto nelle lezioni precedenti, si osserva che il diodo SCR è costituito da tre giunzioni (figura 1, parte sinistra):- una giunzione PN (indicata con g1)- una giunzione NP (g2)- una seconda giunzione PN (g3)Sempre in figura 1, a destra, vediamo la rappresentazione

figura 1

Page 68: L'elettricità

simbolica di un SCR, con un anodo, un catodo ed un elettrodo in più: il gate.Se colleghiamo all'anodo una tensione positiva rispetto al catodo, a differenza del diodo comune, il diodo SCR non lascia passare corrente; succede infatti che, mentre le giunzioni g1 e g3 sono polarizzate nel giusto verso, la giunzione g2 risulta polarizzata inversamente, e quindi blocca il passaggio della corrente. Se tuttavia si applica sull'elettrodo gate, che è collegato alla giunzione g2, una tensione positiva rispetto al catodo, tale da causare l'effetto valanga nella giunzione stessa, questa passa in conduzione e la corrente fluisce nel diodo.

Il funzionamento del diodo SCR può essere compreso immaginandolo come composto da due transistor collegati nel modo che si vede in figura 2.

Applicando all'anodo una tensione posistiva rispetto al catodo, non passa alcuna corrente, poichè sia il transistor PNP che quello NPN, mancando una tensione di base, risultano interdetti. Se tuttavia si applica al gate (e quindi alla base del transistor NPN) una tensione Vi, positiva rispetto al catodo, tale da provocare la conduzione del transistor, si innesca un processo che è autorigenerante. Il transistor NPN, infatti, cominciando a condurre, fa passare corrente nella base del PNP; questo a sua volta inizia a condurre, e la corrente che lo attraversa entra sulla base del transistor NPN,

mandandolo in conduzione ancora più spinta. A questo punto, non ha alcuna importanza se la tensione Vi sul gate è sempre presente o meno: innescata la conduzione, il diodo SCR continua a condurre in maniera autonoma, finchè non si toglie alimentazione al circuito.

Osserviamo due importanti differenze fra il transistor, anch'esso dotato di tre terminali, ed il diodo SCR:

1- la corrente che passa nel circuito di collettore di un transistor è proporzionale

figura 2

Page 69: L'elettricità

alla corrente di base; la corrente in un diodo SCR non può assumere valori intermedi: o passa o non passa

2- Se nel transistor rimuoviamo la tensione di base, il transistor non conduce più; il diodo SCR, una volta portato in conduzione, non è più comandabile dall'elettrodo di controllo: continua a condurre anche rimuovendo la tensione dal GATE.

figura 3 figura 4

La figura 3 mostra la caratteristica del diodo SCR. Nel quadrante destro in alto si vede che il diodo non conduce finchè non si raggiunge una tensione detta di "breakover"; superata tale tensione, la curva torna indietro e diventa quella di un normale diodo rettificatore. Lo stesso effetto, ovvero il passaggio alla conduzione, può essere raggiunto applicando al gate una piccola tensione positiva (siamo nella regione dello stato "ON", ovvero della conduzione diretta).IL è la "latching current" (corrente di scatto), ovvero la corrente necessaria per innescare la conduzione, mentre IH è la "holding current" (corrente di mantenimento), ovvero la minima corrente sufficiente a mantenere il diodo in conduzione; il grafico di figura 4 mostra,

Page 70: L'elettricità

per un determinato tipo di SCR, il valore di tali correnti in funzione della temperatura.Dal lato opposto è tracciata la caratteristica inversa, che risulta uguale a quella di un comune diodo raddrizzatore, con il passaggio di corrente dovuto all'effetto valanga che si produce quando si supera la massima tensione inversa.I principali valori che caratterizzano un diodo SCR sono:1- Peak forward and reverse breakdown voltages (tensione di picco di breakdown diretta e inversa)2- Maximum forward current (massima corrente diretta)3- Gate trigger voltage and current (tensione e corrente di gate)4- Minimum holding current, Ih (valore minimo della corrente di mantenimento)5- Power dissipation (potenza dissipabile)6- Maximum dV/dt (massima velocità di variazione della tensione in funzione del tempo) (quest'ultimo valore si riferisce ad un limite

caratteristico degli SCR: se la tensione applicata sale troppo rapidamente, il diodo SCR può andare in conduzione da solo; diventa quindi importante conoscere il massimo valore di dv/dt consentito affinchè non avvenga l'innesco spontaneo).

In figura 5 è rappresentato un SCR di potenza, prodotto dalla IR (International Rectifier): si tratta del diodo 10TTS08; è fornito in contenitore TO-220, e può lavorare con correnti fino a 6,5 A e tensioni fino ad 800 V.Le lettere indicano i tre elettrodi: K(catodo), A(anodo) e G(gate). Come si vede, l'aspetto non differisce da quello di un qualsiasi transistor di potenza.

Un semplice circuito per provare il funzionamento di un SCR è riportato in figura 6. Collegato il circuito all'alimentazione, non passa alcuna corrente; basta tuttavia premere anche per un attimo il pulsante P perchè il diodo SCR passi in conduzione, facendo accendere il Led. Una volta che il led è acceso, l'unico modo per interrompere il passaggio di corrente è quello di staccare l'alimentazione al circuito.

figura 5

figura 6

Page 71: L'elettricità

Nelle lezioni che seguono, dopo aver parlato degli altri tiristori, ne vedremo qualche applicazione pratica. Thyristors: IL TRIAC E IL DIAC

Il Triac è uno dei componenti di maggior interesse della famiglia dei thyristors; potendo controllare il passaggio della corrente in entrambi i sensi, esso rappresenta una delle soluzioni più efficienti ed economiche per il controllo della potenza assorbita dagli utilizzatori funzionanti con tensioni alternate.

IL TRIAC

Il triac può essere considerato come due diodi SCR collegati in antiparallelo, ovvero affiancati, ma con direzioni opposte (schema a) della figura 1). Gli anodi dei due SCR diventano i terminali principali del triac, ed assumono il nome di MT2 e MT1 (Main Terminal 1 e Main Terminal 2). I gate dei due SCR vengono collegati insieme, e diventano il gate del triacIn b) si vede la costruzione a blocchi di un triac, mentre in c) è riportato il suo simbolo schematico.

figura 1

Come si è detto, il TRIAC può essere attraversato dalla corrente in entrambi i sensi; occorre notare, inoltre, che il suo passagio allo stato "on", e cioè di conduzione, può avvenire applicando al gate una tensione sia positiva che negativa. Queste molteplici possibilità di funzionamento possono meglio essere illustrate facendo riferimento ad un grafico come quello di figura 2, detto "a quattro quadranti". Ciascun quadrante rappresenta una diversa condizione di

Page 72: L'elettricità

funzionamento del triac; le polarità e quindi le tensioni sono sempre riferite al terminale MT1.

1° quadrante: Il terminale MT2 è postivo rispetto al terminale MT1; la corrente che attraversa il triac scorre infatti dall'alto verso il basso. Il gate, a sua volta, è positivo rispetto ad MT1, ed infatti la corrente di gate risulta "entrante"2° quadrante: MT2 è sempre positivo rispetto ad MT1, mentre il gate è negativo; la corrente di gate è una corrente che "esce"3° quadrante: MT2 è negativo rispetto ad MT1, ed infatti la corrente attraversa il triac dal basso verso l'alto; la tensione applicata al

gate è negativa rispetto ad MT14° quadrante: MT2 è negativo rispetto ad MT1, mentre al gate viene applicata una tensione positiva.

La scelta di far lavorare il Triac in un quadrante piuttosto che un altro, ovvero di scegliere una tensione di gating positiva o negativa, modifica in modo più o meno importante le prestazioni del dispositivo. In seguito alla disposizione fisica degli strati di semiconduttore che compongono il triac, i valori della "latching current" (IL), della "holding current" (IH) e della "gate trigger current" (IGT), variano da un quadrante all'altro.Il funzionamento più utilizzato è quello corrispondente ai quadranti 1° e 3°, ovvero quando la tensione applicata al gate ha la stessa polarità di quella applicata al terminale MT2; in tali quadranti si ottiene un'ottima sensibilità di gate. Quando non sia possibile lavorare in detti quadranti, la migliore alternativa è quella di utilizzare la coppia di quadranti 2° e 3°.E' difficile per un triac lavorare nel 2° quadrante quando la corrente dei terminali principali è molto bassa.Il 4° quadrante presenta, fra tutti, la più bassa sensibilità di gate.

Per comodità e chiarezza, segue una tabella che riepiloga le principali grandezze caratteristiche dei thyristors, col nome inglese ed il corrispondente significato in italiano:

figura 2

Page 73: L'elettricità

BREAKOVER POINT punto della caratteristica tensione-corrente in cui la resistenza differenziale assume valore zero

OFF-State condizione del tiristor caratterizzata da alta resistenza differenziale e passaggio di corrente quasi nullo

ON-State condizione del tiristor caratterizzata da bassa resistenza differenziale e passaggio della corrente principale fra i "main terminals"

Critical Rate-of-Rise of Commutation Voltage of a Triac (Commutating dv/dt)

il minimo valore della velocità di salita della tensione principale, che provoca la commutazione del tiristore dallo stato OFF allo stato ON

Critical Rate-of-Rise of On-State Current (di/dt)

la massima velocità di crescita della corrente principale che il tiristor può sopportare senza deteriorarsi

IGT GATE TRIGGER CURRENT la minima corrente richiesta dal gate per far commutare il tiristor dallo stato OFF allo stato ON

VGT GATE TRIGGER VOLTAGE la tensione da applicare sul gate per ottenere la commutazione

IL LATCHING CURRENT

il valore minimo di corrente tra anodo e catodo richiesto per mantenere il tiristor in stato di conduzione, immediatamente dopo la commutazione da OFF a ON e la rimozione della tensione di gate

IH HOLDING CURRENT il valore minimo di corrente tra anodo e catodo richiesto per mantenere il tiristor nello stato di conduzione

La tabella che segue fornisce un esempio dei valori che assumono le correnti caratteristiche nei vari quadranti, per un triac da 4 A.

Come si vede, la corrente di gate risulta di soli 10 mA quando il triac viene fatto lavorare nelle condizioni corrispondenti al 1° quadrante, confermando

con tale valore la migliore sensibilità; la stessa corrente passa a 27 mA per il 4° quadrante, quello che presenta la minore sensibilità.

TIPICO TRIAC DA 4 A

1°quadrante 2°quadrante 3°quadrante 4°quadrante

IGT (mA) 10 16 25 27

IL (mA) 12 48 15 13

IH (mA) 10 10 11 11

Page 74: L'elettricità

Il valore elevato (48 mA) della "latching current" nel 2° quadrante, coincide con una certa difficoltà di innesco del triac.

IL DIAC

Il DIAC si ottiene diffondendo impurità di tipo N in entrambi i lati di un wafer di tipo P, in modo da ottenere un dispositivo a due terminali con carateristiche elettriche simmetriche. La struttura di un DIAC è simile a quella di un transistor NPN con base aperta. Si tratta di una struttura bidirezionale, che presenta un'alta impedenza (e quindi non lascia passare corrente) fino a quando la tensione applicata ai due terminali non supera un certo valore, detto "breakover voltage". Al di sopra di tale valore, il Diac entra in una zona a resistenza negativa, dove si manifesta l'effetto di conduzione a valanga.

figura 3 figura 4

Essendo un dispositivo bidirezionale, il diac costituisce un valido ed economico sistema di innesco per i triac nei circuiti a controllo di fase come i regolatori di luce, i sistemi di controllo di velocità dei motori, ecc. In effetti, questa è l'unica applicazione importante dei diac.Come si è accennato, il passaggio in conduzione del diac può avvenire

figura 5

Page 75: L'elettricità

soltanto superando la tensione di breakover; il diac infatti è dotato di due soli terminali, detti anodo 1 e anodo 2, e quindi non possiede un gate.L'innesco ottenuto applicando ai suoi terminali una tensione superiore a quella di breakover è utilmente praticabile solo con i diac; anche gli SCR ed i Triac potrebbero essere portati in conduzione in modo analogo, ma per questi ultimi il metodo è sconsigliabile, in quanto il ripetuto superamento della tensione di breakover potrebbe causare danni ai dispositivi stessi. I Diac utilizzati nei circuiti a controllo di fase sono sufficientemente protetti contro una eccessiva corrente al breakover, e quindi possono lavorare in sicurezza quando il condensatore che essi scaricano non è di capacità eccessiva.In figura 5 si vede la caratteristica statica del Diac, che appare simmetrica rispetto alle due polarità della tensione applicata ai terminali. Sia in un senso che nell'altro, la corrente che attravresa il diac è minima fino ad un certo valore di tensione, VB0; superato tale valore, la tensione ai capi del diac scende bruscamente ad un valore più basso, V0, detto "breakback voltage", mentre la corrente assume il valore massimo consentito dal circuito. La corrente IB0, corrispondente al breakover, viene detta appunto "breakover current".

Per un diac come quello che si vede in figura 6 (è il BR100 della Philips), le grandezze caratteristiche hanno i seguenti valori:

- Breakover voltage VB0: da 27 a 36 V- Output voltage V0: 7 V- Picco di corrente diretta ripetitivo: 2 AThyristors: Applicazioni pratiche

Gli SCR ed i triacs sono componenti ideali per il controllo della potenza col sistema "switching" (termine che in italiano si potrebbe tradurre come "accendi-spegni"), particolarmente per circuiti ad alta potenza come quelli che impiegano elementi riscaldanti (forni, stufe, ecc.). La potenza che arriva al carico può essere facilmente controllata da un segnale di modesta ampiezza, evitando di ricorrere a dispositivi elettromeccanici come ad esempio i relè.Un circuito oramai classico che utilizza i tiristors è il "lamp dimmer", ovvero regolatore di luce per lampade. Un triac particolarmente adatto a questa applicazione è il BT138 della Philips: in primo luogo, potendo controllare picchi di corrente fino a 90 A, esso è in grado di sopportare il notevole flusso di corrente che si produce all'accensione della lampada, quando questa è ancora fredda; il BT130 può inoltre sostenere transienti di tensione bidirezionali di valore elevato, mentre, grazie alla bassa impedenza termica della sua

figura 6

Page 76: L'elettricità

struttura, non ha particolari necessità di alette di dissipazione del calore. In figura 1 si vede lo schema del circuito nella sua configurazione più semplice; segue una breve e semplificata descrizione del suo funzionamento.

figura 1 figura 2

Poichè il circuito viene collegato alla corrente alternata di rete, ai capi del triac saranno presenti, alternandosi da un istante all'altro, la semionda positiva e quella negativa. Se noi facessimo arrivare sul gate degli impulsi prefettamente sincronizzati con l'inizio di ogni semionda, il triac sarebbe sempre in conduzione, ed in pratica la lampada si accenderebbe alla massima potenza. Questo caso è rappresentato nel grafico di figura 2: si vede che gli impulsi sul gate arrivano esattamente all'inizio di ogni semionda; ogni impulso innesca il triac, facendolo

condurre per tutta la durata della semionda che segue.

Supponiamo invece di inviare gli impulsi sul gate ritardati rispetto all'inizio delle semionde, ovvero "sfasati"; come si vede in figura 3, poichè il triac è bloccato, la corrente non potrà scorrere in corrispondenza di ogni semionda di tensione, ma solo dopo che l'arrivo di un impulso sul gate avrà

figura 3

Page 77: L'elettricità

innescato il triac. Poichè, come si vede, solo una parte della corrente attraversa il carico, e cioè la lampada, succede che il valore medio della corrente stessa risulta minore, e quindi alla lampada arriva meno potenza. Più gli impulsi sul gate saranno sfasati rispetto alle semionde della tensione applicata al triac, più sarà breve il tempo per cui passerà la corrente. Ad ottenere questo sfasamento, provvede il circuito visto in figura 1, ed esattamente le due resistenze R1+R2 insieme al condensatore C1. La resistenza R2 è regolabile: aumentando il suo valore, C1 impiega più tempo a caricarsi, e quindi gli impulsi sul gate giungono più in ritardo. Ogni impulso è infatti prodotto dalla carica accumulata da C1; quando la tensione ai capi del condensatore raggiunge la tensione di breakover del DIAC, questo va in conduzione e scarica sul gate del triac l'energia che si è accumulata in C1. Il triac passa a sua volta in conduzione, e vi resta per tutta la durata della semionda, cioè fino a che questa torna al valore zero.

Il circuito di figura 1 può essere migliorato con l'aggiunta di altri componenti, come si vede in figura 4. L'aggiunta di un secondo condensatore (C2) e di un'altra resistenza (R3) permette di ridurre sensibilmente l'effetto di isteresi che si manifesta in questi circuiti.

Un esempio di isteresi è il seguente: supponiamo di ruotare la manopola collegata alla resistenza variabile di controllo (R2), fino al punto in cui la lampada comincia ad accendersi; successivamente aumentiamo la potenza, ruotando ancora la manopola. Allorchè si torna indietro, per spegnere la lampada, notiamo

che questa non si spegne nel punto in cui si era accesa, ma in un punto successivo.

La resistenza R4 è utile per mantenere entro limiti sicuri l'ampiezza dell'impulso di trigger, così come la resistenza VDR (U 350V/1mA) protegge il Triac in caso di sovratensioni.

figura 4

Page 78: L'elettricità

Il condensatore C e l'induttanza L costituiscono una cella di filtro che ha lo scopo di ridurre i disturbi causati dal funzionamento del circuito e trasmessi agli altri utilizzatori collegati alla rete (televisori, impianti Hi-Fi, ecc.). I valori di tali componenti possono essere di 0,15 µF per il condensatore e 2,5 µH per l'induttanza.

Un modo diverso di ottenere l'innesco di un triac è quello di far giungere sul gate una tensione alternata di basso valore, in fase con quella applicata ai "main terminals" MT1 ed MT2. In figura 5 si vede un esempio di tale applicazione, che ripropone il circuito già visto nella lezione 5 sulle fotoresistenze, opportunamente modificato.

figura 5

Il circuito, che serviva a comandare l'accensione di un utilizzatore in funzione della luce ambiente, utilizzava a tale scopo un relè pilotato da un transistor. In questo caso, il relè viene eliminato, ed al suo posto si utilizza un triac, con le stesse funzioni di dispositivo "switching". Come si vede, il circuito del Triac, che comprende la lampada L (utilizzatore), è disegnato in viola, e costituisce un circuito a parte, derivato direttamente dalla tensione di rete a 220 V. La tensione alternata che arriva sul gate del triac viene prelevata da un secondo avvolgimento (S2) del trasformatore utilizzato per l'alimentazione di tutto il circuito; si tratta di un avvolgimento anch'esso a bassa tensione, in grado di fornire pochi volt e qualche centinaio di mA di corrente.

Page 79: L'elettricità

Questa bassa tensione di controllo arriva al gate attraverso la resistenza RG e la foto-resistenza FTG;

quando la FTG è illuminata, la sua resistenza diventa molto bassa e consente il passaggio di una corrente in grado di innescare il triac. Ad illuminare la fotoresistenza provvede il led inserito sul circuito di collettore del transistor che, nel vecchio circuito, comandava il relè. L'accoppiamento del led con la fotoresistenza FTG, che permette di abbinare il funzionamento di due circuiti,

senza collegarli dal punto di vista elettrico, si definisce "opto-isolato"; in pratica esiste un accoppiamento di tipo ottico, mentre si mantiene l'isolamento elettrico fra il circuito di comando e quello del Triac.Perchè l'accoppiamento funzioni, il led e la fotoresistenza, montati uno di fronte all'altro, devono essere racchiusi in un involucro che non consenta il passaggio della luce esterna (figura 6).I valori delle resistenze RG ed FTG cambiano in funzione della tensione del secondario S2 e delle caratteristiche del triac che si usa; orientativamente, per RG può essere adatto un valore di circa 4,7kΩ, mentre la fotoresistenza FTG deve avere un valore dell'ordine delle centinaia di kΩ al buio e di pochi kΩ alla luce.

Per ottenere la giusta fase della tensione di gate rispetto alla tensione principale applicata ai main terminals del triac, può essere necessario invertire il collegamento dei fili al secondario S2.In ogni caso, in commercio

esistono, già confezionati, dei foto-accoppiatori, come il tipo SFH615 (figura 7), costituito da un diodo GaAs quale emettitore di infrarossi e da un transistor planare al silicio, come rivelatore, il tutto incapsulato in un involucro plastico DIP-4, ed in grado di garantire un sicuro isolamento fino a una tensione di lavoro di 400 Vrms.

figura 6 - foto-accoppiatore

realizzato montando in un tubetto un led ed una fotoresistenza, sigillati per essere insensibili alla luce esterna

figura 7 - (fotoaccoppiatore SFH615)

Page 80: L'elettricità

ATTENZIONE: PERICOLO DI FOLGORAZIONE!

Coloro che intendono realizzare praticamente i circuiti qui descritti, devono porre in atto tutte le misure atte a garantire la personale incolumità; si ricorda infatti che, mentre i circuiti visti nelle lezioni precedenti erano alimentati a pile o a bassa tensione, i componenti come i Triac risultano

direttamente collegati alla tensione 220 V di rete, con pericolo di scariche elettriche anche mortali per l'operatore. Si raccomanda quindi di:- lavorare solo su piani di lavoro isolanti, come formica o legno- scollegare l'alimentazione ogni volta che si procede ad una modifica del circuito- lavorare stando seduti su pedane isolanti, facendo attenzione a non essere sudati e ad avere le mani ben asciutte- se possibile, effettuare le sperimentazioni interponendo un trasformatore 1:1 o "separatore di rete", in modo tale da essere in ogni caso elettricamente isolati dalla rete.

Thyristors: IL TRANSISTOR UJT

Il transistor unigliunzione, o "UJT", è un dispositivo switching piuttosto particolare: ha tre terminali, ma una sola giunzione PN. Esso non può amplificare i segnali; può tuttavia essere usato come componente attivo negli oscillatori. Il transistor UJT è costituito da una barra di silicio con contatti ad entrambi le estremità, denominati Base 1 (B1) e Base 2 (B2), ed inoltre da un elettrodo in alluminio collegato ad un punto lungo la barra; nel punto di contatto, l'alluminio crea una regione di tipo P, dando origine ad una giunzione PN. Tale elettrodo viene chiamato "emitter" (E).

Page 81: L'elettricità

figura 1

Normalmente la corrente fluisce da B2 a B1, determinando un gradiente di potenziale lungo la barra. Finchè la giunzione PN è polarizzata inversamente, scorre solo una minima corrente di fuga (IE0). Facendo salire la tensione applicata al terminale E, ad un certo punto la giunzione PN viene ad essere polarizzata in senso diretto, ed allora la corrente comincia a scorrere dall'emettitore nella barra di silicio. Si determina in tal modo un processo a valanga, che riduce drasticamente la resistenza fra E e B1; la corrente di emettitore cresce, mentre la sua tensione scende (in altre parole, la resistenza è diventata negativa).In figura 1 si vede la caratteristica Tensione/Corrente per l'emettitore.

figura 2

Un'applicazione caratteristica del transistor UJT è il "relaxation oscillator", ovvero l'oscillatore a rilassamento.Il circuito è mostrato in figura 2; funziona ugualmente bene con una tensione di alimentazione di 5 volt, o con tensioni più alte, purchè non si superino i valori limite del transitor impiegato. Il funzionamento è semplice: il condensatore C (da 0,1 μF) si carica attraverso la resistenza R (da 10kΩ); quando la tensione raggiunge il valore critico, l'emettitore dell'UJT va in conduzione e scarica il condensatore C. A questo punto C ricomincia a caricarsi ed il ciclo si ripete all'infinito.Con i valori indicati, la frequenza di oscillazione dovrebbe essere di circa 1 Khz. Dall'oscillatore possono essere prelevati tre segnali: impulsi negativi su B2, impulsi positivi su B1, ed un dente di sega sull'emettitore.La resistenza R1 ha il solo scopo di determinare una caduta di tensione quando viene attraversata dalla corrente dell'emettitore, generando degli impulsi positivi; se tali impulsi non sono necessari, la resistenza può essere omessa.La resistenza R2 serve a ridurre la sensibilità dell'oscillatore alla temperatura, ed ha un valore ottimale per ogni tipo di UJT; un valore comunemente usato è quello indicato, di 470 Ω.

Page 82: L'elettricità

2N2646

Un transistor UJT una volta molto comune era il 2N2646. Adesso non è tanto semplice procurarsene qualche esemplare. Nell'immagine a lato viene riportata la sua piedinatura. Altri UJT sono i transistor NTE6401 ed NTE6409; hanno la stessa piedinatura del 2N2646 (e cioè i piedini si corrispondono).

L'oscillatore di figura 2 può essere utilizzato, per esempio, per un'applicazione che si ricollega a quanto si è detto nella lezione n. 8; si era infatti parlato della possibilità di regolare la potenza assorbita da un carico, con una tecnica particolare, detta "tecnica ad impulsi". Quello che adesso vedremo nella sua realizzazione pratica, è un circuito detto "Pulse width modulator", e cioè modulatore della larghezza d'impulso.

Gli impulsi generati dal circuito si susseguono tutti alla stessa distanza l'uno dall'altro, e cioè con una frequenza fissa; varia però la loro larghezza, per cui si passa da impulsi stretti, simili a brevi guizzi, fino ad impulsi di larghezza tale da occupare in pratica tutto l'intervallo disponibile. Il circuito completo è illustrato in figura 3; esso può essere considerato come composto da tre blocchi distinti:- a sinistra l'oscillatore realizzato con un transistor UJT- al centro un amplificatore operazionale che confronta due tensioni

- a destra il controllo del carico o utilizzatore U, tramite un transistor di potenza TP.Cuore del circuito è l'amplificatore operazionale, che in questo corso non è ancora stato trattato. Per comprenderne la funzione in questo circuito, basta sapere che esso opera confrontando due tensioni: la prima, applicata sul piedino n. 2, è la tensione ricavata dal partitore R4+RV+R5, mentre la seconda è la tensione del segnale oscillante, prelevata dall'emettitore del transistor UJT, ed applicata sul piedino n. 3Utilizzato come si vede in questo circuito, l'amplificatore operazionale ha il seguente comportamento:- se la tensione sul piedino 3 è superiore a quella presente sul piedino 2, l'uscita (piedino 6) è a livello alto, ovvero ha una tensione quasi uguale a quella di alimentazione- se la tensione sul piedino 3 diventa anche di pochi mV inferiore a quella sul piedino 2, l'uscita passa a livello basso, ovvero la sua tensione va quasi a zero.Questa funzione dell'amplificatore operazionale permette di modificare la larghezza degli impulsi, regolando, tramite la resistenza variabile RV, la tensione applicata sul piedino 2, che viene detta "tensione di riferimento".

figura 3

Page 83: L'elettricità

figura 4

Come si vede in figura 4 A), quando la tensione di riferimento (regolata variando RV) è alta, solo in tratti molto brevi la tensione dell'oscillatore riesce a superare quella di riferimento, per cui la tensione in uscita dell'amplificatore operazionale andrà a livello alto solo per brevi istanti; man mano che la tensione di riferimento viene abbassata (B), si allarga il tratto in cui la tensione dell'oscillatore riesce a superare quella di riferimento, e quindi l'uscita dell'operazionale rimane a livello alto per tempi più lunghi. Ma poichè l'uscita dell'operazionale comanda il transistor TP, tutte le volte che essa è a livello alto, TP passa in conduzione, alimentando il carico collegato. Il risultato è che, variando l'ampiezza degli impulsi, il carico viene alimentato per tempi più lunghi e quindi il valore medio della potenza risulta maggiore.

Un circuito come quello appena descritto può utilmente comandare degli utilizzatori in corrente continua, come ad esempio un motore, regolandone la velocità senza dar luogo ad inutile dissipazione di potenza, similmente a quanto avviene usando il Triac nei circuiti a corrente alternata.Per chi volesse realizzare il circuito, aggiungiamo che la tensione di alimentazione +V può essere di circa 12V. Come amplificatore operazionale va bene un comunissimo LM741 (figura sotto: guardando dal lato piedini, in corrispondenza della linguetta metallica si trova il piedino 8; quello immediatamente dopo, in senso orario, è il piedino 1 e quindi seguono gli altri fino al 7).

LM741 LM741

(Piedinatura) 2N3055

(A destra: piedinatura vista dal lato inferiore)

Il transistor di potenza deve essere adeguato alle caratteristiche del carico che si desidera comandare: un 2N3055, ad esempio, è in grado di sopportare correnti fino a 15 A e tensioni fra collettore ed emettitore di circa 60 V, per una dissipazione di potenza complessiva superiore a 100 W.

Page 84: L'elettricità

Nel caso che l'utilizzatore richieda tensioni diverse da quella di 12V che alimenta il circuito, è necessario tenere separate le due alimentazioni, come si vede nell'esempio della figura sotto (dove si è ipotizzato un carico funzionante a 50V)

Il circuito di figura 3, con alimentazione separata per l'utilizzatore

IL PUT (Programmable Unijunction Transistor)

Il PUT, ovvero transistor unigiunzione programmabile, in effetti non è un transistor unigiunzione, ma un dispositivo a quattro strati PNPN che può essere fatto funzionare come un UJT (in effetti i PUT hanno sostituito gli UJT, che in pratica sono usciti di produzione). Gli elettrodi del PUT sono l'anodo (A), il catodo (K) ed il gate (G); il suo simbolo è quello che appare nel circuito di destra di figura 5.

figura 5

Come si vede nello schema a sinistra di figura 5, alla regione N situata in alto viene applicata una tensione Vs ottenuta tramite il partitore resistivo formato da R1 ed R2. Tale tensione

Page 85: L'elettricità

polarizza inversamente la giunzione PN intermedia, per cui non fluisce corrente dall'anodo al catodo. Se la tensione applicata all'anodo sale oltre il valore Vs, si determina, similmente a quanto visto per l'SCR, il breakdown della giunzione PNPN ed il passaggio della corrente fra l'anodo ed il catodo. Il PUT viene definito "programmabile" perchè consente di scegliere a piacere (tramite il partitore R1- R2) la tensione critica Vs.Nel circuito che si vede in figura 5 a destra, le oscillazioni si determinano quando il condensatore da 0,01 μF si carica attraverso la resistenza R (100kΩ) e si scarica attraverso il PUT. La resistenza R deve essere sufficientemente grande da limitare la corrente ad un valore inferiore ad Iv (vedere caratteristica al centro); in caso contrario, per IA> Iv, il transistor si trova a funzionare nella regione di stabilità, e quindi non si generano oscillazioni. ALIMENTATORI SWITCHING: LO STEP-DOWN

Per cominciare, ricordiamo che per alimentatore si intende un'apparecchiatura in grado di fornire ad un determinato circuito elettronico le giuste tensioni (e quindi le correnti) necessarie al suo corretto funzionamento.

In genere, il compito di un alimentatore è quello di trasformare una tensione di un certo tipo e valore in un'altra avente caratteristiche adeguate alla apparecchiatura da alimentare; il caso più comune è quello in cui si parte da una tensione alternata (quasi sempre i 220 V di rete) per arrivare ad una tensione continua di basso valore (ad esempio 12 V).Un circuito classico è quello di figura 1, che risulta composto dai soliti elementi: il trasformatore, il ponte di diodi, il condensatore di filtro e l'elemento di regolazione. In particolare, l'elemento di regolazione, che in genere è un circuito integrato di tipo serie, mantiene costante la tensione in uscita

comportandosi come una resistenza variabile: se la tensione in ingresso è troppo alta, oppure se il carico richiede poca corrente, il regolatore aumenta la sua resistenza; se la tensione in ingresso scende, oppure se il carico richiede più corrente, la resistenza del regolatore diminuisce. La regolazione della tensione in uscita è ottenuta quindi variando la caduta di tensione ai capi dell'elemento serie di regolazione; il sistema funziona perfettamente, ma ci sono casi in cui la dissipazione di potenza è notevole. Si pensi ad un alimentatore in grado di fornire 5 A in uscita, con una tensione regolabile da pochi volt fino a 25 V; se per esempio usiamo tale alimentatore per far funzionare un apparecchio che assorbe 5 A a 12 V,

figura 1 - schema classico di alimentatore stabilizzato

Page 86: L'elettricità

figura 2 - serie di impulsi (onda quadra)

tutta la differenza fra 25 V e 12 V sarà dissipata dall'integrato regolatore di tensione: facendo due conti, si trova che la potenza dissipata (e cioè sprecata) vale in tal caso 65W ! In altre parole, è più la potenza sprecata che quella utilizzata dal nostro apparecchio a 12 V. A parte l'inutile consumo di corrente, un simile alimentatore richiede un trasformatore notevolmente grosso e costoso, con relativi ingombro e peso.Esiste invece un altro modo di ottenere le tensioni desiderate, usando componenti piccoli e leggeri, di resa elevata, e sprecando pochissima potenza: stiamo parlando dei cosiddetti "Alimentatori switching".Il principio fondamentale su cui si basa il funzionamento di un alimentatore switching è detto PWM, dall'Inglese "Pulse Width Modulation", e cioè modulazione della larghezza dell'impulso.Molto brevemente, la tensione di alimentazione arriva nella forma di una serie di impulsi (figura 2), a frequenza costante, distanziati uno dall'altro da un tempo T. Chiameremo TON il tempo in cui l'impulso è alto, e cioè c'è tensione, e TOFF il tempo in cui l'impulso è zero e quindi non c'è tensione. Poichè gli impulsi sono a frequenza costante, anche l'intervallo di tempo T ha valore costante: la modulazione PWM consiste nel far variare il tempo TON; naturalmente, quando TON si allunga, TOFF diventa necessariamente più breve.

Page 87: L'elettricità

figura 3 - esempio di diversi valori del duty cycle

Il rapporto fra il tempo TON ed il tempo totale T è una grandezza caratteristica, che viene denominata "duty cycle" (si pronuncia più o meno diuti saicol).

In figura 3 si vedono tre casi in cui il duty cycle ha valori diversi:- nel caso 1 TON è quasi nullo: il duty cycle è pertanto prossimo a zero, e la tensione è presente solo per brevissimi istanti- nel caso 2 TON è uguale a TOFF: il duty cycle è pari al 50% e la tensione è presente per metà del tempo- nel caso 3 TON è quasi massimo: il duty cycle è molto vicino al 100%; la tensione è in pratica sempre presente

Facendo pervenire tali impulsi ad una rete LC, si ottiene una tensione di uscita VOUT il cui valore dipende dalla larghezza degli impulsi, ed è esattamente uguale al valore di picco moltiplicato per il duty cycle. In figura 4 sono mostrati tre diversi casi di impulsi modulati, caratterizzati rispettivamente da un duty cycle di 0,25 - 0,5 e 0,75. Supponendo che la tensione di picco Vp degli impulsi sia di 48 V, se si filtrano tali impulsi con una rete come quella a sinistra in figura, costituita da una induttanza L e da una capacità C, si ottiene in uscita una tensione uguale a Vp moltiplicato per il valore del duty cycle; nei casi indicati come esempio, si otterranno quindi tensioni di 12 V, 24 V e 36 V.Si comprende quindi come, modulando la larghezza dell'impulso, sia possibile ottenere qualsiasi tensione in uscita, e senza dissipare inutilmente parte della potenza. Naturalmente, affinchè la tensione in uscita sia esente da ondulazioni e disturbi, occorrerà dimensionare opportunamente i componenti del filtro, scegliendo inoltre una frequenza di clock il più elevata possibile.

Page 88: L'elettricità

figura 4 - tensione continua ottenuta da implulsi a larghezza variabile, filtrati da rete LC

Esistono diversi tipi di soluzioni per realizzare un alimentatore switching; il più comune è il buck regulator, detto anche step-down, che viene usato per convertire una tensione continua in un'altra tensione continua di valore più basso. Lo schema di principio di tale regolatore è riportato nella parte sinistra di figura 5: la tensione continua da regolare entra su +Vin e -Vin; un transistor che agisce come switch permette o meno il passaggio della corrente. Attraverso l'induttanza L la corrente arriva al carico (LOAD) ed al condensatore che agisce da filtro.

figura 5 - regolatore di tipo "Buck" e percorso delle correnti nelle fasi di "switch ON" e di "switch OFF"

A destra si vedono le due fasi che corrispondono allo stato oN e allo stato OFF dello switch:- quando lo switch è chiuso (ON), la corrente attraversa l'induttanza ed arriva sia al condensatore C,

Page 89: L'elettricità

caricandolo, che all'utilizzatore (LOAD); il diodo D risulta collegato in senso inverso, per cui è come se non ci fosse

figura 6 - corrente nell'induttanza L

- quando lo switch è aperto (OFF), poichè la corrente nell'induttanza non può interrompersi bruscamente, si crea ai capi di quest'ultima una tensione tale da continuare a mantenere la corrente che era in circolo; la corrente fluisce allora nel carico, insieme alla corrente che adesso viene ceduta dal condensatore, e, attraverso il diodo D, ritorna all'induttanza.

Il comando dello switch è affidato ad un apposito circuito (control) che verifica la tensione presente sul carico e, di conseguenza, modifica la durata dei tempi TON e TOFF.La corrente nell'induttanza (figura 6) ha quindi un andamento triangolare, con tendenza a salire nelle fasi di switch ON, e tendenza a scendere nelle fasi di switch OFF; dimensionando opportunamente l'induttanza, si cerca di contenere questa ondulazione ( o "ripple") entro il 20% o il 30% della corrente media.Grazie al metodo PWM, si ottiene inoltre il vantaggio di una maggiore elasticità nella scelta della tensione in entrata: ciò significa che, per ottenere ad esempio una tensione di uscita di 12 V, posso usare anche un trasformatore con secondario a 50 V; provvederà il circuito di controllo ad effettuare la giusta regolazione degli impulsi, senza problemi di potenza perduta e di eccessivo riscaldamento dei vari componenti.In altre pagine di questo sito vedremo la costruzione pratica di un alimentatore del tipo descritto. Esistono naturalmente diverse altre tipologie di alimentatori switching, ma la loro trattazione esula dagli scopi di questo semplice corso, concepito prevalentemente per chi si dedica all'elettronica come principiante, alla ricerca di semplici circuiti dal funzionamento immediato. APPLICAZIONI AUDIO

In elettronica si parla di applicazioni audio quando un circuito viene progettato allo scopo di elaborare un segnale caratteristico della banda di frequenze audio.

Page 90: L'elettricità

Ma forse è opportuno prima specificare che col termine segnale si intende una qualsiasi tensione elettrica che varia nel tempo, riproducendo l'andamento di un determinato fenomeno fisico.

Se, ad esempio, cantiamo davanti a un microfono, nella bobina di quest'ultimo nasce una tensione variabile che riproduce fedelmente, istante dopo istante, le variazioni della pressione determinata dalle onde sonore di chi canta; tale tensione è un segnale.Se suoniamo una chitarra elettrica, i pick-up magnetici che si trovano sotto le corde raccolgono le vibrazioni di queste ultime e le trasformano in una

tensione modulata che riproduce le stesse vibrazioni; anche questo è un segnale.Esistono molti altri esempi di segnali in elettronica (segnali radio, radar, video, ecc.) ma adesso a noi interessa parlare solo di quelli che sono collegati al suono, ai rumori, alla musica ed insomma a tutto quello che possiamo percepire col nostro udito. L'orecchio umano può rilevare, quando è perfettamente sano, frequenze comprese nella gamma 20 ÷ 20000 hertz, per cui è in tale banda di frequenze che operano i circuiti audio.Uno dei ciruiti elettronici audio più diffusi è l'amplificatore; come dice il nome, si tratta di un circuito il cui compito è quello di "amplificare", ovvero rendere più ampia, una tensione modulata, allo scopo di consentirne successive utilizzazioni. Pensiamo ad un concerto rock:

figura 2

la spaventosa potenza sonora prodotta dalle casse (si parla anche di migliaia di watt) non è altro che la riproduzione enormemente amplificata di vari

figura 1 - chitarra elettricai pickup magnetici raccolgono le vibrazioni delle corde e le trasformano in una tensione elettrica modulata

Page 91: L'elettricità

segnali, in origine di piccolissima ampiezza, provenienti da microfoni, chitarre, batterie, tastiere, ecc.; se si pensa che il segnale in uscita da una chitarra elettrica è dell'ordine di qualche mV (millivolt, cioè millesimi di volt), e che le tensioni che pilotano altoparlanti come quelli da stadio sono dell'ordine di svariate decine di volt, si comprende perchè sia necessario ricorrere agli amplificatori audio per far arrivare alle migliaia di persone di un concerto la musica suonata sul palco.L'impiego dell'elettronica nel campo musicale ed audio in genere è reso possibile da dispositivi chiamati trasduttori. Un trasduttore è qualcosa che trasforma un tipo di energia in un altro: per esempio, il microfono raccoglie le vibrazioni prodotte dalla voce, o meglio la pressione delle corrispondenti onde sonore, e le trasforma in una tensione elettrica. E' un trasduttore anche l'altoparlante, che, alimentato da un segnale elettrico di potenza adeguata, la trasforma in energia meccanica mettendo in vibrazione il suo cono; questo, a sua volta, trasmette all'aria quelle vibrazioni che il nostro orecchio percepisce come suono.L'elettronica, quindi, interviene tramite un "circuito amplificatore", elevando di migliaia di volte l'ampiezza di quella debolissima corrente prodotta dal microfono e portandola ad una potenza in grado di far muovere anche un grosso altoparlante del peso di decine di chili.Un amplificatore è composto da vari stadi in cascata, che cioè si susseguono uno dopo l'altro; i primi stadi, detti di preamplificazione, hanno il compito di elevare la tensione

figura 3 - equalizzatore RIAA per testina magnetica

del segnale in ingresso, in genere da pochi millivolt ad alcuni volt; gli stadi finali devono invece produrre potenza, richiamando dall'alimentatore forti correnti che vengono inviate all'uscita, dove sono collegati gli altoparlanti.Un preamplificatore non ha solo il compito di elevare la tensione del segnale in ingresso; spesso, infatti, tale segnale deve essere modificato nella sua composizione spettrale, perchè possa essere restituito fedelmente il suono originale. Ciò è particolarmente vero, ad esempio, quando si amplifica il segnale proveniente dalla testina magnetica di un giradischi (quando ancora

Page 92: L'elettricità

si usavano i bei dischi in vinile...): per esigenze tecniche, quando il segnale musicale viene inciso sul disco master, da cui poi si ricaveranno le copie, le varie frequenze sonore non vengono registrate con la loro ampiezza reale; poichè alle frequenze basse corrispondono vibrazioni più ampie, al punto che un solco potrebbe andare a toccare quello vicino, questa banda viene attenuata, tanto di più quanto più le frequenze sono basse. Nel momento in cui il disco viene riprodotto, se si vuole che ciò che si sente sia fedele al pezzo originale, occorre mettere in atto il processo inverso: tale operazione è proprio compito del preamplificatore, che in tal caso agisce come un "equalizzatore".L'equalizzazione di un segnale, cioè l'operazione di ripristinare il giusto livello delle varie frequenze che lo compongono, è un procedimento ben definito, che avviene in ogni caso rispettando i valori di quella che viene detta "curva di equalizzazione".

La curva di equalizzazione relativa alla testina magnetica che legge un disco in vinile è la curva RIAA, così come, per i segnali registrati su nastro magnetico, esiste la curva di equalizzazione NAB.La correzione dell'ampiezza del segnale alle varie frequenze viene realizzata con apposite reti di resistenze e condensatori, poste in serie al segnale o sul circuito di contro-reazione, come si vede nel circuito di figura 3, dove il preamplificatore è realizzato con un circuito integrato LM381 della National. Il segnale proveniente dalla testina entra sull'ingresso non invertente (piedino 1); sull'ingresso invertente risulta invece collegata una rete (i cui componenti sono in colore rosso) che riporta indietro parte del segnale in uscita, realizzando una reazione

figura 4 - amplificatore da 25W, realizzato con componenti discreti (sopra) e con un circuito integrato (sotto)

Page 93: L'elettricità

negativa o "controreazione", che ha lo scopo di ridurre l'amplificazione di determinate frequenze, a vantaggio di quelle che in fase di registrazione sono state attenuate.Sarebbe interessante trattare degli stadi di amplificazione a transistori, delle caratteristiche configurazioni in classe A, in classe B, ecc., ma non sarebbe molto utile, poichè la presenza in commercio di un'infinità di circuiti integrati belli e pronti, ed a prezzi irrisori, rende priva di senso la costruzione in proprio di un amplificatore utilizzando componenti discreti (e cioè singoli transistor, resistenze, condensatori, ecc.).In figura 4 è possibile confrontare gli schemi di due amplificatori di prestazioni più o meno equivalenti: quello in alto è realizzato con sette transistor, oltre a varie resistenze e condensatori, mentre quello in basso è realizzato con un circuito integrato, i cui piedini sono indicati dai numeri posti vicino al simbolo centrale a triangolo; è evidente la notevole differenza di complessità fra i due schemi, senza considerare che il primo, oltre a richiedere più tempo per il montaggio, risulta anche più costoso in termini di prezzo dei vari componenti.La costruzione in proprio con componenti discreti (ovvero sfusi) può quindi essere giustificata solo in casi molto particolari, come ad esempio quando un audiofilo raffinato, dotato anche di notevoli capacità progettuali, voglia sperimentare qualche particolare soluzione circuitale o avvalersi di componenti selezionati che egli ritiene in grado di garantire prestazioni particolarmente valide; quanto, poi, queste presunte differenze siano realmente percepibili durante il normale ascolto, è tutto da dimostrare.Vi sono anche accaniti sostenitori degli amplificatori a valvole, il cui suono, dicono, è di una purezza

non raggiungibile con circuiti a semiconduttori. A parte le considerazioni nostalgiche, è mio

parere che, chiacchierando amichevolmente tra appassionati, si può affermare qualunque cosa: qualcuno dirà "le valvole hanno un suono più

caldo", altri diranno che il suono delle valvole è "cristallino". Resta il fatto che le caratteristiche

di un amplificatore si dovrebbero valutare in base a parametri dal significato indiscutibile, quali la distorsione armonica, la risposta ai

transienti, la banda passante, il rumore di fondo, ecc.; le altre considerazioni sono solo

valutazioni emozionali, affidate alla sensibilità ed alle convinzioni personali.

Fatte queste premesse, forse anche un pò dispersive, vedremo in altre pagine di questo

figura 5 valvola: pentodo EL34

Page 94: L'elettricità

sito come costruire in pratica qualche semplice circuito che possa tornare utile nelle circostanze più comuni.

Nuovi progetti saranno aggiunti di volta in volta, anche in seguito ad eventuali richieste dei visitatori.

MINI-AMPLIFICATORE MULTIUSO

Coloro che vogliono realizzare un semplice amplificatore, ma assolutamente non intendono servirsi degli innumerevoli circuiti integrati disponibili sul mercato, troveranno in questa pagina la descrizione di un mini-amplificatore, realizzato con soli 3 transistor.

In effetti, quelli che non hanno eccessiva simpatia per i circuiti integrati, non hanno poi tutti i torti; l'amplificatore qui descritto, oltre a garantire un buon funzionamento, offre un'occasione unica: pur trattandosi di un circuito elementare, chi si dedicherà alla sua costruzione, non perderà il suo tempo, ma avrà l'occasione di conoscere da vicino e risolvere le problematiche che sono alla base di qualunque stadio amplificatore di potenza.Il mini amplificatore, il cui schema di principio è riportato in figura 1, è adatto a ricevere in ingresso un segnale di tipo "line", cioè un segnale di medio livello e che non richiede equalizzazione; per esempio, l'uscita di una piastra a cassette audio, di un walkman, di un lettore di CD, o ancora l'uscita della scheda audio del PC. All'uscita occorre collegare un buon altoparlante, montato in opportuna cassetta, della potenza di pochi watt e dell'impedenza di 2 o 4 ohm.

Per l'alimentazione va bene una tensione compresa fra 6 e 9 volt; non conviene usare tensioni più alte, poichè, per non complicare lo schema, non sono state previste protezioni in grado di prevenire un eccessivo assorbimento di corrente, e con esso la distruzione dei transistor.Come transistor finali (ovvero TR1 e TR2), si può usare una qualsiasi coppia di transistor complementari (cioè un NPN ed un PNP) di media potenza; come transistor pilota (TR3), va bene qualsiasi transistor NPN per piccoli segnali (BC547 e simili).

per una buona qualità acustica, occorre montare l'altoparlante in apposita cassetta

Page 95: L'elettricità

figura 1 - schema di principio

Come si vede nello schema di figura 1, i due transistor finali sono montati in serie rispetto alla tensione di alimentazione: la corrente, proveniente dal polo positivo dell'alimentazione, attraversa TR1, entrando dal collettore ed uscendo dall'emettitore, quindi attraversa TR2, entrando dall'emettitore ed uscendo dal collettore; questo è possibile perchè i due transistor sono di polarità opposta, e quindi lavorano con tensioni invertite uno rispetto all'altro. Teniamo presente che, quando il circuito lavora correttamente, la tensione nel punto centrale fra i due emettitori (punto C), è esattamente la metà della tensione di alimentazione. Da questo punto viene derivata, tramite R4, la corrente di base che arriva a TR3.La giusta polarizzazione dei due finali, ovvero la loro tensione di base, viene determinata dalla corrente di collettore di TR3, tramite la resistenza R3: se la corrente è maggiore, la tensione sul collettore di TR3 scende, e scende quindi la tensione di base dei finali (perchè le basi sono collegate al collettore di TR3). Come conseguenza, TR1 conduce di meno, mentre TR2 conduce di più; il comportamento dei due transistor determina quindi un abbassamento della tensione del punto centrale, dove risulta collegato l'altoparlante. Nel caso opposto, quando in TR3 passa meno corrente, la tensione del suo collettore sale, e con essa sale la tensione di base dei finali. Succede allora che TR1 conduce di più, mentre TR2 conduce di meno, per cui la tensione del punto centrale tende a salire. Questo modo di funzionare a "tira e molla", come se ciscuno dei due transistor finali tirasse alternativamente verso di se la tensione del punto centrale, viene detto in inglese "push-pull", ovvero "spingi

Page 96: L'elettricità

e tira".Naturalmente le variazioni di corrente in TR3 sono causate dal segnale applicato alla sua base (punto INP); quando la tensione del segnale aumenta, TR3 lascia passare più corrente; quando la tensione del segnale scende, TR3 lascia passare meno corrente. Come abbiamo visto, queste variazioni della corrente di collettore di TR3 fanno variare la tensione del punto centrale C; se noi colleghiamo al punto C un altoparlante, il suo cono si muoverà, riproducendo le variazioni della tensione in ingresso.Quanto si è detto fino ad ora, è valido in linea di principio, ma prima di arrivare ad un amplificatore perfettamente funzionante, ci sono ancora delle caratteristiche da valutare, che vedremo di seguito una ad una.

1 - LA TENSIONE SUL PUNTO CPoichè, come si è detto, la tensione del punto C varia in più e in meno riproducendo, amplificate, le variazioni del segnale, è necessario che, in assenza di segnale, la tensione di tale punto sia esattamente metà della tensione di alimentazione. Tale risultato si ottiene regolando la corrente di collettore di TR3; per tale motivo occorrerà sostituire la resistenza R4 con una resistenza regolabile, o "trimmer"

2 - LA DISTORSIONE DA CROSS-OVER

figura 2 - distorsione da cross-over

Perchè un transistor cominci a entrare nello stato di conduzione, occorre che la tensione fra base ed emettitore superi un determinato valore minimo, di circa 0,6 volt. Poichè le basi dei finali TR1 e TR2 sono fra loro collegate, la tensione rispetto ai relativi emettitori, in assenza di segnale, sarà uguale a zero; succede allora che, quando il segnale in ingresso comincia a variare, perchè tali variazioni siano riprodotte fedelmente occorre che la tensione

Page 97: L'elettricità

sulle basi dei finali superi il valore minimo di 0,6 V in più o in meno. In pratica, parte del segnale viene tagliato (figura 2), dando origine ad una distorsione che si avverte principalmente a bassi livelli sonori.Per eliminare tale problema, si fa in modo di applicare sulla base di ciascuno dei transistor finali una tensione minima, tale da portarlo già in stato di inizio conduzione. Ciò si può ottenere in vari modi; nel nostro caso, tra le basi sono stati inseriti due diodi, che vengono attraversati direttamente dalla corrente di collettore di TR3: poichè quando un diodo è percorso da corrente ai suoi capi è presente una caduta di tensione di circa 0,6 volt, i due diodi in serie manterranno fra le basi dei finali una differenza di potenziale di circa 1,4 volt, portandoli al giusto punto di conduzione. In tal modo, tuttavia, si determina l'afflusso di una corrente detta "di riposo", che fluisce costantemente nei due finali, indipendentemente dalla presenza del segnale; se tale corrente risulta eccessiva, o se non si sono prese precauzioni opportune, i transistor finali possono andare incontro a quella che viene definita "deriva termica".

3 - LA DERIVA TERMICAIl fenomeno della deriva termica ricorda un pò il gatto che si morde la coda. La corrente di riposo che fluisce costantemente nei transistor, ne causa un certo riscaldamento; i transistor, a loro volta, più si riscaldano e più tendono a far passare corrente. La corrente più forte provoca un maggior riscaldamento, e così via, fino alla distruzione dei transistor. Per contrastare questo fenomeno, si inseriscono in circuito componenti che, all'aumentare della temperatura, determinano la riduzione della corrente di base. Nel nostro caso, per non complicare il circuito, sono state inserite sugli emettitori di TR1

e TR2 due resistenze da 1 ohm; la loro presenza produce un moderato effetto di "controreazione": se la corrente aumenta, sale la tensione ai capi di dette resistenze e, di conseguenza, diminuisce la Vbe (differenza ditensione tra base ed emettitore).

Nella figura 3 vediamo lo schema finale, funzionante, dell'amplificatore. Il segnale viene applicato in ingresso, alla base di TR3, tramite il condensatore di accoppiamento C2; non è possibile collegare il segnale direttamente alla base, perchè il

figura 3 - lo schema finale

Page 98: L'elettricità

valore resistivo della sorgente del segnale stesso modificherebbe la polarizzazione di TR3. Supponendo di collegare il segnale usando un cavetto schermato, al condensatore va collegato il filo interno, mentre quello esterno (la calza) va collegato alla massa, ovvero al polo "meno" dell'alimentazione.L'altoparlante va collegato al punto centrale, tramite il condensatore C1; l'altro polo dell'altoparlante va collegato alla massa (polo negativo). Nel collegare i due condensatori, essendo questi due condensatori elettrolitici, occorre fare attenzione alla polarità (la posizione del polo positivo è indicata nello schema dal segno + ).

ELENCO DEI COMPONENTI:TR1/TR2: qualsiasi coppia di transistor complementari di media potenza (NPN/PNP): BC142/BC143 - BC441/BC461 - BCP54/BCP51 - BCX54/BCX51 - BD135/BD136 - TIP29/TIP30 - ZTX651/ZTX751 o equivalenti (scegliete quelli che trovate al miglior prezzo)TR3: transistor NPN per piccoli segnali, tipo BC547 o equivalentiR1 ed R2: due resistenze da 1 ohm, 1/2 wattR3: resistenza da 1 Kohm, 1/4 wattR4: resistenza variabile (trimmer) da 100 KohmR5: resistenza da 22 Kohm, 1/4 wattD1 e D2: due diodi tipo 1N4001 o similiC1: condensatore elettrolitico da circa 1000 µF, 25 Volt (*)C2: condensatore elettrolitico da circa 10 µF, 25 Volt (*)

(*) Il valore dei condensatori C1 e C2 non è critico; tuttavia, più la capacità è elevata, meglio passano le frequenze basse del segnale.

MESSA A PUNTO DELL'AMPLIFICATORE:Prima di dare tensione, portare la resistenza R4 su una posizione centrale. Dare alimentazione (non più di 9 volt); usando un buon tester digitale, leggere la tensione sul punto centrale C, e regolare R4 fino ad ottenere un valore esattamente metà

della tensione di alimentazione. Esempio:alimentando l'amplificatore a 6 volt, si regolerà R4 fino a leggere sul punto C

involucro piedini visti da sotto

figura 4 - esempio di transistor adatti come finali complementari: BCX51 (pnp) e BCX54 (npn)

Page 99: L'elettricità

una tensione di 3 volt.Durante il funzionamento dell'amplificatore, provate a toccare i transistor finali; se sentite che sono troppo caldi, quasi da non poterci tenere il dito, occorre applicare su di essi un apposito dissipatore di calore (basta anche un'aletta di rame o di alluminio).Per ottenere un ascolto soddisfacente, occorre che l'altoparlante sia di buona qualità, e che sia montato in una adatta cassetta acustica.

figura 5 - dissipatori di calore per transistor

figura 6 - transistor con dissipatore di calore

figura 7 - collegamento di un potenziometro in ingresso per la regolazione del volume

potenziometro ad albero rotante

L'amplificatore qui descritto non è provvisto di controllo di volume, perchè si presume che il segnale venga regolato dall'apparecchio che vi viene collegato; in genere un riproduttore di cassette o di CD, o un PC, sono già dotati di controllo di volume. In ogni caso, volendo aggiungerne uno, è sufficiente collegare in ingresso un potenziometro, che può essere sia ad albero rotante, sia a slitta (a scorrimento lineare); occorre usare un potenziometro da 47 kohm, di tipo logaritmico, collegato come si vede in figura 7.

Page 100: L'elettricità

figura 8 - amplificatore con alimentazione duale

Più che altro per completezza di informazione (come mi ha cortesemente suggerito un visitatore del sito da Lyon), notiamo che è possibile eliminare il

condensatore di uscita C1, ricorrendo ad una alimentazione di tipo "duale"; si tratta, in altre parole, di fornire all'amplificatore due tensioni distinte,

ciascuna uguale a metà di quella totale.La cosa può essere realizzata facilmente collegando due pile come si vede

nello schema di figura 8, oppure utilizzando un apposito alimentatore dotato di tre uscite: +4,5 V ; zero ; -4,5 V

In questo modo, in assenza di segnale, l'altoparlante risulta collegato da entrambi i terminali ad una tensione pari a metà di quella di alimentazione, e

quindi non viene attraversato da corrente continua anche in assenza del condensatore di uscita.

Spero di poter trattare, tra non molto tempo, la costruzione di un amplificatore in grado di fornire prestazioni di più alto livello, di maggiore

potenza e fedeltà di riproduzione.

GLI AMPLIFICATORI OPERAZIONALI

L'amplificatore operazionale come circuito integrato è uno dei circuiti lineari maggiormente usati. Grazie alla produzione in larghissima scala, il suo prezzo è sceso a livelli talmente bassi da renderne conveniente l'uso in quasi tutte le possibili aree applicative.L'amplificatore operazionale è un amplificatore in continua: ciò significa che esiste una continuità elettrica fra ingresso e uscita; il nome di "operazionale" è dovuto all'uso per cui era nato tale amplificatore, e cioè il funzionamento all'interno di elaboratori analogici per l'esecuzione di operazioni matematiche.Nella sua forma più semplice (figura 1), un amplificatore operazionale è composto essenzialmente da uno stadio d'ingresso, da un secondo stadio amplificatore differenziale e da uno stadio di uscita in classe AB, del tipo "emitter follower".

Page 101: L'elettricità

figura 1 - schema di base di un amplificatore operazionale

Un amplificatore operazionale ideale dovrebbe avere, in particolare, amplificazione e resistenza d'ingresso elevatissime (praticamente infinite) e resistenza di uscita bassissima (uguale a zero); gli amplificatori operazionali reali si avvicinano in parte a tali caratteristiche, per cui hanno una resistenza d'ingresso molto grande, una resistenza di uscita molto piccola ed una amplificazione, ovvero un guadagno in tensione, moto alto ma pur sempre limitato. A titolo di esempio, uno dei più usati, il µA741, ha un guadagno di 200000, una resistenza d'ingresso di 2 Mohm ed una resistenza di uscita di 75 ohm. La corrente che un amplificatore operazionale può fornire in uscita in genere non supera i 25 mA.Senza approfondirne ulteriormente il funzionamento, passiamo adesso a considerare l'aspetto esterno di un amplificatore operazionale, vale a dire la forma in cui esso si presenta pronto all'uso. Uno degli amplificatori operazionali più conosciuti, come già detto, è il 741, disponibile abitualmente in contenitore metallico tondo oppure in contenitore plastico DIL; la sua sigla cambia a seconda dei costruttori, diventando LM741, oppure µA741, o altro ancora.

Page 102: L'elettricità

figura 2 - l'amplificatore LM741 nelle vesioni in contenitore metallico tondo ed in contenitore plastico Dual In Line

Per l'identificazione dei vari piedini si fa riferimento agli schemi della figura 2, dove i piedini sono raffigurati visti da sopra; nel caso del tipo tondo, il numero 8 corrisponde alla tacca presente sull'involucro metallico.Per tener fede all'indirizzo soprattutto pratico di questo corso, non ci dilungheremo sulle equazioni caratteristiche e sulle problematiche progettuali degli amplificatori operazionali, ma li tratteremo come un'unità funzionale, dotata di ingressi e uscite, con determinate caratteristiche.

figura 3 - circuito test

In figura 3 vediamo il nostro amplificatore operazionale, per esempio un LM741, inserito in un circuito che consente di sperimentarne il funzionamento. Osserviamo che l'operazionale ha due ingressi, contrassegnati con un "-" (piedino 2) e con un "+" (piedino 3); ci sono poi un'uscita, indicata con OUT (piedino 6), e due terminali per l'alimentazione dell'integrato (piedini 7 e 4). Perchè gli ingressi sono due? Perchè l'almplificatore operazionale è prima di tutto un amplificatore "differenziale"; ciò vuol dire che il segnale presente in uscita non dipende solo da uno o dall'altro degli ingressi, ma da tutti e due, ed esattamente dalla differenza che esiste fra il segnale applicato su un ingresso ed il segnale applicato sull'altro. E' proprio qui che si evidenzia la principale caratteristica di un simile circuito: è sufficiente che fra i due ingressi vi sia

Page 103: L'elettricità

una differenza di tensione anche di pochi µV, perchè l'uscita cambi completamente il suo stato, passando per esempio da zero al massimo valore della tensione di alimentazione.Supponiamo di alimentare il circuito con 10 V, e che le due resistenze R1 ed R2 abbiano lo stesso valore: la tensione di alimentazione sarà allora presente per metà ai capi di R1 e per metà ai capi di R2; in altre parole, al centro, e quindi sul piedino 3 dell'integrato, ci saranno esattamente 5 V. Il piedino 2 è collegato invece ad RV1, che è una resistenza variabile: possiamo quindi far variare a piacere la tensione che risulta applicata sul piedino 2 dell'amplificatore operazionale.

figura 4 figura 5

Spostiamo il cursore di RV1 in modo da portarlo verso il positivo (figura 4), applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro superiore a 5V, e quindi leggiamo, con un tester, la tensione presente in uscita: troveremo un valore molto vicino allo zero.Spostiamo adesso il cursore di RV1 in modo da portarlo in basso (figura 5), verso la tensione zero, applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro inferiore a 5V, e quindi leggiamo la tensione in uscita: troveremo un valore molto vicino alla tensione di alimentazione (che è 10 V).Quello che abbiamo appena constatato ci permette di formulare la regola basilare del funzionamento del nostro amplificatore operazionale: quando la tensione sul piedino "-" è maggiore della tensione sul piedino "+" l'uscita è a livello basso (cioè prossimo a zero); quando la tensione sul piedino "-" è minore della tensione sul piedino "+" l'uscita è a livello alto (cioè prossimo alla tensione di alimentazione).Ma, come già si è detto, non occorre che la tensione sul piedino 2 vari di alcuni volt: sono sufficienti pochi milionesimi di volt per provocare la "commutazione" dell'uscita. Se vi divertite ad osservare la tensione indicata dal tester mentre ruotate RV1, vedrete che ad un certo istante, di colpo, la tensione in uscita passa da zero al massimo, o viceversa; potete tornare indietro, spostare il cursore di RV1 quanto volete, ma non riuscirete mai a trovare una posizione tale che permetta di avere in uscita un valore

Page 104: L'elettricità

intermedio, vicino alla metà della tensione di alimentazione.Poichè, come si è visto, quando l'ingresso "-" è a tensione più alta, l'uscita è a livello basso, si dice che tale ingresso è "invertente".Se invece avessimo collegato a tensione fissa il piedino 2, variando la tensione del piedino 3, avremmo riscontrato le stesse variazioni della tensione di uscita, ma con verso corrispondente alla tensione applicata sull'ingresso "+"; per tale motivo, l'ingresso "+" viene chiamato "ingresso non invertente".

Usato come amplificatore, l'operazionale presenta la caratteristica di amplificare qualsiasi segnale applicato in ingresso: sia un normale segnale variabile, caratterizzato da determinate frequenze, sia una tensione con fluttuazioni lentissime o, addirittura, di valore costante. Parlando in termini di frequenza, si dice quindi che l'amplificatore operazionale lavora con frequenze da zero (corrente continua) fino ad un valore massimo, determinato dalle caratteristiche specifiche dell'amplificatore stesso. A questo proposito, è opportuno accennare brevemente ad un parametro caratteristico degli amplificatori operazionali: si tratta del prodotto guadagno x larghezza di banda, che per ogni amplificatore operazionale ha un preciso valore, fisso ed immutabile. Tale parametro ci dice, in pratica, che se noi utilizziamo l'amplificatore in modo da ottenere una maggior amplificazione, perdiamo proporzionalmente in larghezza di banda, e cioè possiamo amplificare segnali in un campo di frequenze più limitato. Il µA741, per esempio, ha una larghezza di banda di 1Mhz quando il guadagno è uguale a 1; se viene usato in modo da amplificare 100 volte, la larghezza di banda si riduce di 100 volte, e passa quindi a 10Khz. Il guadagno più alto è utilizzabile quando l'amplificatore lavora con frequenze bassissime o con tensioni continue: in tali casi il guadagno può essere uguale o superiore a 100.000.Ma come si determina l'amplificazione di un operazionale? L'amplificatore operazionale, come amplificatore in continua, può essere utilizzato in diverse configurazioni, di cui adesso vedremo le più comuni.

Amplificatore invertente: lo schema è quello di figura 6. La tensione Vi viene applicata all'ingresso invertente attraverso la resistenza R1; Vu è la tensione amplificata che si ritrova in uscita. La resistenza R2 riporta all'entrata parte del segnale in uscita, realizzando in tal modo quella che viene detta "controreazione"; senza R2, l'operazionale non potrebbe funzionare come amplificatore lineare, poichè la sua uscita commuterebbe con estrema rapidità fra un valore minimo (prossimo a zero) ed un

figura 6 - amplificatore invertente

Page 105: L'elettricità

valore massimo (prossimo alla tensione di alimentazione). L'amplificazione del circuito di figura 6 dipende dalle due resistenze R1 ed R2, secondo la formulaAv = R2 / R1 (ciò significa che se R2 è di valore più basso, si ha più controreazione e quindi il guadagno è minore).Vediamo un esempio pratico:R1 = 100 Kohm (cioè 100.000 ohm)R2 = 1 Mohm (cioè 1.000.000 di ohm)Vi= 1mVL'amplificazione Vu/Vi sarà: Av=1.000.000:100.000=10Poichè l'amplificazione è 10, con 1 mV in entrata avremo in uscita 10 mVOsserviamo che il segnale in uscita è invertito, ovvero è di segno opposto a quello in entrata; se Vi aumenta, Vu diminuisce, e viceversa.

Amplificatore non invertente: nello schema di figura 7 vediamo che il segnale d'ingresso viene applicato all'ingresso contrassegnato col "+", ovvero a quello non invertente. In questo caso, infatti, il segnale in uscita ha lo stesso segno di quello in entrata.In questo caso, l'amplificazione è data dalla formula:Av = (R1 + R2) / R1Anche per l'amplificatore non invertente, come si vede dallo schema, la resistenza R2 determina una certa quantità di reazione negativa (o controreazione), che diminuisce il guadagno dell'amplificatore ma gli consente di lavorare linearmente.

figura 7 - amplificatore non invertente

Buffer a guadagno unitario: il circuito di figura 8 mostra l'utilizzo dell'operazionale come "buffer". Col termine "buffer" si intende un circuito che svolge una funzione di separazione o di adattamento; nel caso specifico, il circuito presenta la più alta impedenza d'ingresso ottenibile con gli

Page 106: L'elettricità

figura 8 - buffer a guadagno unitario

amplificatori operazionali. Per ottenere tale risultato, si applica il massimo valore possibile di controreazione, collegando direttamente l'uscita con l'ingresso invertente. Per tale motivo, il guadagno di questo circuito è uguale a 1, il che vuol dire che il circuito non amplifica (essendo il segnale di uscita uguale a quello di entrata); in altre parole, non si ottiene un guadagno di tensione, ma un guadagno di impedenza.

USO DEGLI AMPLIFICATORI OPERAZIONALI

Come già si è detto nella pagina ad essi dedicata, gli amplificatori operazionali possono essere utilizzati in moltissime circostanze diverse. Quelle che vengono descritte di seguito a titolo di esempio, sono quindi soltanto alcune delle applicazioni possibili, scelte tra quelle di più semplice realizzazione.

Negli esempi che vedremo, faremo uso di un operazionale tipo µA741; i piedini, per il tipo in involucro metallico tondo, sono disposti come indicato in figura 1 (in corrispondenza della linguetta metallica si trova il piedino 8, poi, in senso orario, l'1, il 2, il 3 ecc.)

Oscillatore a onda quadra: con l'amplificatore operazionale è facile realizzare un multivibratore che produce in uscita un'onda quadra perfettamente simmetrica.

figura 1 - amplificatore operazionale µA741; piedini visti da sotto

Page 107: L'elettricità

figura 2 - multivibratore

Uno dei vantaggi di tale oscillatore è, per esempio, che si possono ottenere basse frequenze di oscillazione senza ricorrere a capacità di valore troppo elavato: il circuito illustrato in figura 2, con i valori indicati, oscilla a circa 100 hz. Lavorando con gli amplificatori operazionali, come del resto con qualsiasi circuito integrato, occorre ricordare che vanno sempre collegati anche i due piedini di alimentazione; in questo caso, trattandosi del µA741, i piedini sono il 7, che va al positivo, e il 4, che va al negativo.

Semplice termostato: Con gli operazionali si può fare di tutto, ma le applicazioni più interessanti sono forse quelle che sfruttano la loro capacità di amplificare enormemente la differenza di tensione presente sugli ingressi. Diventa in tal modo semplice realizzare un circuito che, sensibile anche alle più piccole variazioni rilevate da un sensore, piloti di conseguenza un relè o qualsiasi altro utilizzatore.

figura 3 - un semplice termostato

Page 108: L'elettricità

Supponiamo di voler realizzare un termostato, usando come sensore di temperatura una resistenza NTC(NTC deriva dall'inglese Negative Temperature Coefficient, ovvero resistenze a coefficiente di temperatura negativo; tali resistenze sono particolarmente sensibili alle variazioni di temperatura, ma, contrariamente alle resistenze comuni, con l'aumentare della temperatura il loro valore diminuisce).Il circuito potrebbe essere simile a quello di figura 6. La resistenza NTC forma con la resistenza R1 un partitore di tensione, il cui punto centrale è collegato al piedino 3 dell'operazionale. Le due resistenze, cioè la NTC e la R1, devono avere più o meno lo stesso valore: per esempio 4,7 kohm. Il piedino 2 dell'operazionale è collegato ad una resistenza variabile, RV, del valore di circa 10 kohm, che permette di regolare il punto d'intervento, cioè di stabilire a quale temperatura deve scattare il relè. Naturelmente il relè scatta (e chiude i contatti esterni C1-C2) quando il transistor TR1 va in conduzione; perchè TR1 vada in conduzione, l'uscita dell'amplificatore operazionale (piedino 6) deve passare a livello alto, facendo così giungere, attraverso R2, una tensione adeguata sulla base di TR1. Come funziona il circuito? Prima di tutto occorre regolare RV per portare la tensione sul piedino 2 ad un valore più alto di quella presente sul piedino 3; in tal modo il relè sarà a riposo. Se la temperatura scende, la NTC aumenta il suo valore, per cui sale anche la tensione ai suoi capi; quando tale tensione arriva a superare la tensione sul piedino 2, l'uscita dell'operazionale commuta a livello alto, e fa scattare il relè.

figura 4 - come ottenere una migliore regolazione del punto di intervento

Naturalmente, se con RV regoliamo più in alto il valore della tensione sul piedino 2, sarà necessaria una temperatura più bassa pechè la tensione ai capi della resistenza NTC sia in grado di far commutare l'operazionale; in questo modo otterremo che il termostato intervenga con una temperatura più bassa. Desiderando il risultato opposto, basta regolare la RV in senso contrario.Il circuito può essere alimentato a 12 V; di conseguenza, il relè dovrà avere una bobina adatta a tale tensione. Il transistor TR1 può essere un qualsiasi transistor NPN di media potenza (BC142 - BC441 - BCP54 - BCX54 - BD135 ecc.). La resistenza R2 è da 27 kohm. Il diodo D1 (tipo 1N4001 o equivalenti) serve a proteggere il circuito dalle sovratensioni causate dalla bobina del relè.

Page 109: L'elettricità

Se la regolazione di RV risulta troppo brusca, si può modificare il circuito come in figura 7: invece della sola resistenza di regolazione, si usa una RV da 4,7 kohm e si montano, ai suoi lati, due resistenza fisse, RA ed RB, sempre dello stesso valore di 4,7 kohm; così facendo, si otterrà una regolazione più dolce e graduale.Naturalmente, per un funzionamento efficace, la resistenza NTC deve essere collocata nel posto giusto, usando dei fili di lunghezza opportuna. Supponendo di aver montato il nostro circuito in una scatola, se si desidera regolare la temperatura ambiente, la NTC deve essere montata vicino ad una grigliatura, in modo che possa essere investita dall'aria dell'ambiente. Se invece si vuole regolare la temperatura di una superficie, la NTC deve essere montata a contatto della superficie stessa.I contatti del relè serviranno per comandare il dispositivo che deve generare calore; per esempio, faranno accendere e spegnere una resistenza elettrica da stufa, oppure metteranno in moto l'impianto di riscaldamento domestico.Dopo un pò di tentativi, si riuscirà a regolare il circuito correttamente; volendo, si potrà montare sull'asse della resistenza variabile una scala graduata che indica direttamente la temperatura in gradi.

Strumento di misura: sempre sfruttando le caratteristiche differenziali degli amplificatori operazionali, e quindi la loro capacità di confrontare due tensioni in ingresso, è possibile realizzare un circuito in grado di misurare tensioni, correnti o resistenze. Nel circuito di figura 5, la tensione che si vuol misurare viene applicata al piedino 2, attraverso il partitore formato dalle resistenze R8, R9, R7; tale tensione viene confrontata con quella che risulta applicata al piedino 3, prelevata tramite il potenziometro R5.

Page 110: L'elettricità

figura 5 - strumento di misura

Per poter usare un simile circuito occorre prima procedere ad una apposita taratura, servendosi per esempio di un altro tester. Sull'albero del potenziometro va applicata una manopola dotata di indice, che ruoterà sopra la scala che noi tracceremo. Applichiamo la prima tensione (per esempio 2 V); ruotiamo il potenziometro R5 fino al punto di commutazione, ovvero il punto in cui il led che era acceso si spegne e l'altro si accende.

figura 6 - la scala gaduata tracciata tramite taratura

Trovato tale punto, tracceremo un segno in corrispondenza dell'indice della manopola, e ci scriveremo 2. Procederemo poi con tensioni successive, per esempio 4, 6, 8, 10 e 12 V, ed ogni volta, trovato il punto di commutazione, vi

Page 111: L'elettricità

tracceremo un segno con scritto vicino il valore corrispondente. Finita la taratura, il nostro strumento sarà in grado di funzionare da solo. Applicgeremo in ingresso la tensione da misurare e ruoteremo il

potenziometro: trovato il punto di commutazione, leggeremo il valore corrispondente.

I tre diodi D1, D2 e D3, servono a determinare una tensione stabilizzata, che risulta presente ai capi del potenziometro R5; per limitare la deriva termica ed

ottenere quindi una tensione più stabile, occorre usare due diodi al silicio tipo 1N4154 per D1 e D2, e un diodo al germanio, tipo AA143, per D3.Le resistenze in ingresso, R9 ed R7, sono collegate in parallelo per

determinare, con il loro valore, la giusta caduta di tensione necessaria per il partitore di ingresso; sarebbe stato possibile utilizzare una resistenza unica

da 294 Kohm, ma il suo valore sarebbe risultato di difficile reperibilità.

INTRODUZIONE ALL'ELETTRONICA DIGITALE

Credo si possa affermare che l'elettronica digitale è elettronica solo in parte; in effetti, le tecniche caratteristiche dell'elettronica lineare (tensioni, resistenze, caratteristiche di un transistor, ecc.) passano in secondo piano, per cedere il posto ad un modo di ragionare basato sulla logica. Non si lavora più con singoli componenti che richiedono di essere correttamente inseriti in un circuito, ma su blocchi già di per se completi, ognuno in grado di svolgere una determinata funzione. Tutte queste unità funzionali possono essere collegate l'una all'altra in schemi complessi quanto si vuole, unicamente seguendo un ragionamento logico, senza doversi preoccupare degli aspetti elettrici veri e propri.

figura 1 - integrato MM74C08 contenente 4 porte AND

Tanto per parlare di cose concrete, diremo che l'elettronica digitale utilizza, tra le varie unità funzionali, degli elementi chiamati "porte logiche"; esistono porte di vario tipo, tutte caratterizzate dall'avere uno o più ingressi ed uscite. Queste "porte logiche", che noi troviamo all'interno di circuiti integrati, devono solo essere alimentate con la giusta tensione: per esempio, 5 V. Sul terminale di uscita di una porta, noi potremo trovare solo due valori di tensione: un valore è lo zero (che viene anche detto "livello basso" o "low"); l'altro

Page 112: L'elettricità

valore è la tensione di alimentazione (in tal caso si parla di livello alto o "high").Tutti i possibili valori intermedi di tensione non esistono in elettronica digitale, o comunque non hanno significato.Il circuito integrato di figura 1 è un MM74C08, con 14 piedini "dual in line"; esso contiene al suo interno quattro porte di tipo "AND", ciascuna dotata di due ingressi e di una uscita. Consideriamo una di queste porte, per esempio quella i cui ingressi fanno capo ai piedini 1 e 2; tutto quello che noi possiamo fare, è di applicare a ciascuno di questi piedini un livello logico, ovvero una tensione uguale a zero (livello basso o "low") oppure una tensione uguale a quella di alimentazione (livello alto o "high"); in funzione dei livelli che applicheremo in entrata, l'uscita (piedino 3) assumerà a sua volta uno stato logico alto o basso.Naturalmente, perchè tutto funzioni regolarmente, dovremo alimentare il nostro circuito integrato, collegando il piedino 7 (marcato GND ovvero "ground") a zero ed il piedino 14 alla tensione di alimentazione.Il comportamento di una porta logica, così come di qualsiasi altro integrato di questo tipo, viene indicato in un'apposita tabella, chiamata "tavola della verità". Per esempio, per una porta AND come quella appena vista, la tavola della verità è la seguente:

Tavola della verità di una porta AND

significati:0 = livello basso1 = livello alto

ingresso 1 ingresso 2 uscita

0 0 0

1 0 0

0 1 0

1 1 1

La tabella ci dice che se i due ingressi sono a tensione zero, l'uscita è a zero; altrettanto succede se applichiamo una tensione "high" su uno degli ingressi. Se invece colleghiamo a livello alto entrambi gli ingressi, l'uscita passa a livello alto (cioè alla tensione di alimentazione).

Page 113: L'elettricità

figura 2 - circuito di prova per integrato MM74C08

Vista così, in effetti, una porta può non apparire molto utile; bisogna tuttavia considerare che una rete logica si compone di molte porte, di questo tipo o diverse, collegate in cascata oppure affiancate. Vedremo presto come sia possibile utilizzare praticamente dei componenti logici, in applicazioni semplici ma significative.In figura 2 viene fornito un esempio pratico del funzionamento delle porte AND; come si vede, il circuito integrato MM74C08 è alimentato a 4 volt (sul piedino 14) mentre il piedino 7 è collegato al negativo. All'uscita di ogni porta è collegato un led, che serve a mostrarne il livello: se il led è acceso, vuol dire che l'uscita è a livello alto. Osserviamo una ad una le singole porte:1- gli ingressi della porta 1 (piedini 1 e 2) sono collegati a zero, per cui l'uscita è a zero2- un ingresso della porta 2 (piedino 4) è collegato al positivo, mentre l'altro (piedino 5) è a zero; come si vede, l'uscita è a zero3- un ingresso della porta 3 (piedino 10) è collegato al positivo, mentre l'altro (piedino 9) è a zero; l'uscita è a zero4- gli ingressi della porta 4 (piedini 12 e 13) sono entrambi collegati al positivo; finalmente il led si accende perchè l'uscita è a livello alto.

Tenete presente che questo circuito costituisce soltanto un esempio di come si utilizza in pratica un integrato logico; in realtà non sarebbe possibile accendere un led collegandolo direttamente ad una porta logica, poichè l'uscita non ha la potenza sufficiente, ovvero non è in grado di erogare la corrente richiesta.

Page 114: L'elettricità

In simili casi, è necessario interporre un "buffer", ovvero uno stadio intermedio, che agisca come interfaccia; per esempio, un semplice transistor, collegato come si vede in figura 3.

Si è detto che l'elettronica digitale utilizza solo due livelli logici:- un livello prossimo al valore della tensione di alimentazione, detto livello alto oppure 1 logico;- un livello di valore prossimo a zero, detto livello basso, oppure

zero logico.I due valori che può assumere l'uscita di un circuito digitale rappresentano la quantità minima di informazione, detta anche "dato binario" o "bit".Ma come si può, allora, in elettronica digitale, rappresentare le diverse grandezze, usando come unici valori l'uno e lo zero? La risposta è semplice: utilizzando non uno, ma diversi circuiti affiancati. Se chiamiamo D1 l'uscita di un circuito digitale, avremo due possibilità: D1 = 0 oppure D1 = 1. Consideriamo poi un secondo circuito, la cui uscita sarà D2; avremo altre due possibilità: D2 = 0 oppure D2 = 1. Scrivendo uno di seguito all'altro il valore delle due uscite D1 e D2 (tabella di figura 4), noteremo che le combinazioni possibili sono quattro: 00 - 10 - 01 - 11 .Aggiungiamo poi un terzo circuito, la cui uscita rappresenterà il dato D3, e scriviamo le combinazioni possibili nella tabella di figura 5. Vediamo che adesso si possono formare fino ad otto diverse sequenze di cifre: al 4o rigo, per esempio, abbiamo la sequenza "110", mentre al penultimo abbiamo "011".

Queste sequenze di cifre possono avere in realtà un loro preciso valore, nell'ambito di un sistema di calcolo adeguato. Senza scendere nei particolari, diremo che si tratta di cifre "binarie", formate cioè da soli "uno" e "zero".

figura 3

valore di D1 valore di D2

0 0

1 0

0 1

1 1

figura 4

Page 115: L'elettricità

Similmente al sistema decimale, che usiamo nella nostra vita di tutti i giorni, il sistema binario permette di esprimere qualsiasi valore, purchè si usi un numero sufficiente di cifre. Tanto per fare qualche esempio, diremo che il numero 10 equivale, in binario, alla sequenza "110"; il numero 20 diventa "10100", il 50 diventa "110010", e così via.Per concludere, osserviamo quindi che:- con due sole cifre o circuiti binari, si possono esprimere quattro valori, da zero a 3- con tre cifre (o circuiti binari) si possono esprimere otto valori, da zero a 7- con quattro cifre si possono esprimere valori da 0 a 15, ecc.

Si conclude pertanto che, per ogni cifra che si aggiunge, il massimo valore esprimibile raddoppia; disponendo in parallelo 8 circuiti, e quindi con 8 cifre, si possono esprimere ad esempio 256 valori diversi, mentre con 16 cifre si arriva ad esprimere 65536 valori.Nel linguaggio dei calcolatori si usano frequentemente i termini bit e byte:- il termine bit, che abbiamo già incontrato, esprime la singola cifra, uno o zero, e costituisce l'unità elementare di informazione- il termine byte individua una quantità più complessa di informazione, composta da un insieme di otto cifre, che a volte viene anche definito come "word" (ovvero "parola").

In altre pagine di prossima pubblicazione approfondiremo il significato di queste affermazioni e parleremo delle tecniche di campionamento e digitalizzazione. LA VISUALIZZAZIONE DEI NUMERI

Affinchè sia possibile venire a conoscenza dei valori numerici che originano dalle elaborazioni dei vari circuiti digitali, occorre che tali valori siano fisicamente mostrati, in modo da risultare chiaramente leggibili al nostro occhio. Uno dei dispositivi più utilizzati a tale scopo è il "display a sette segmenti".

Il nome deriva dal fatto che le varie cifre, dallo zero al nove, vengono composte "accendendo" dei segmenti luminosi, che non sono altro che dei normali led aventi una forma allungata.Il display a sette segmenti è

Figura 1: Display a sette segmenti e visualizzazione delle cifre numeriche

valore di D1 valore di D2 valore di D3

0 0 0

1 0 0

0 1 0

1 1 0

0 0 1

1 0 1

0 1 1

1 1 1

figura 5

Page 116: L'elettricità

dotato sul lato posteriore di una serie di piedini che permettono di far arrivare tensione ai vari segmenti, così da poterli accendere nella combinazione che si desidera. Uno dei piedini è comune a tutti i sette segmenti, in quanto risulta collegato ad una delle due loro estremità. Quando vengono messe in comune le estremità che devono essere collegate al polo negativo, si dice che il display è del tipo a catodo comune; se invece sono messe in comune le estremità da collegare al polo positivo, si dice che il display è ad anodo comune.

Figura 2

Collegamenti in un display a catodo comune: come si vede, ogni segmento è identificato tramite una

lettera da a a g;con un display di questo tipo, occorre collegare a massa il piedino CC (catodo comune) e far pervenire una tensione positiva ai piedini corrispondenti ai segmenti da accendere.

Vediamo adesso come si possa procedere nella realtà per far apparire i numeri sul nostro display. La cosa più semplice, volendo realizzare un comando manuale, sarebbe quella di inserire tanti interruttori per accendere e spegnere a piacere i vari segmenti. Certo non sarebbe un sistema comodo da usare: per far apparire la cifra 1, ad esempio, dovremmo chiudere gli interruttori b e c; per la cifra due dovremmo chiudere gli interruttori a - b - g - e - d e così via. Si tratta insomma di operazioni lente e noiose.Si potrebbe allora pensare di usare 10 interruttori, uno per ogni cifra, collegando ad ogni interruttore tutti i segmenti che rappresentano una certa cifra. L'idea è realizzabile, ma richiede un elevato numero di diodi, da interporre fra gli interruttori ed i segmenti; se infatti non si usassero i diodi, i segmenti risulterebbero collegati l'uno all'altro, e si accenderebbero tutti insieme.Anche se un simile circuito è senz'altro fattibile, ci si rende presto conto della elevata quantità di collegamenti da realizzare: nella figura 3 sono stati rappresentati, come esempio, i collegamenti necessari per le sole cifre 1 - 2 e 3, e già si fa fatica a seguirli; figurarsi il lavoro occorrente per collegare tutte le 10 cifre!

Page 117: L'elettricità

Figura 3 - Accensione dei segmenti tramite l'uso di un interruttore per ogni cifra (sono raffigurati come esempio i collegamenti per le sole cifre 1, 2 e 3)

Per fortuna vengono in nostro aiuto i soliti circuiti integrati tutto fare; genericamente parlando, tali circuiti vengono detti "display drivers" e cioè "circuiti per pilotare display". Tutti questi integrati hanno piedini di uscita che si collegano ai segmenti del display, e ne comandano l'accensione in funzione del numero da rappresentare. Ciò che cambia è il modo in cui questi integrati accettano in ingresso il dato da rappresentare: uno dei più comuni è il cosiddetto formato "BCD", che significa "Binary Coded Decimal" (ovvero "valore decimale codificato in binario"). Nel sistema BCD ogni cifra viaggia, per così dire, su quattro fili, che trasportano ciascuno un valore binario, ovvero un livello di tensione H o L (alto o basso, e cioè 1 o zero). Nella tabella che segue vediamo le combinazioni di valori che corrispondono ad ogni cifra:

cifra D1 D2 D3 D4

0 L L L L

1 H L L L

2 L H L L

3 H H L L

4 L L H L

5 H L H L

6 L H H L

7 H H H L

8 L L L H

9 H L L H

Page 118: L'elettricità

Sull'integrato sono presenti quattro piedini proprio per ricevere i quattro fili che portano l'informazione BCD; in genere sono indicati come A0, A1, A2, A3 oppure D0, D1, D2, D3 o ancora, semplicemente, A, B, C, D.I circuiti integrati di questo tipo, che ricevono in ingresso un codice BCD e comandano di conseguenza i sette segmenti del display collegati sui piedini di uscita, vengono detti "BCD to 7segment decoder-driver", che è come dire che tali integrati decodificano il codice BCD in ingresso e lo trasformano in una combinazione adatta a pilotare i vari segmenti del display.Ci sono circuiti integrati adatti a pilotare display a catodo comune ed altri che possono pilotare display ad anodo comune; il circuito 4511 che vediamo in figura 4 è del primo tipo.

Figura 4

Integrato 4511 (Decodificatore binario - pilota di display a sette segmenti)

Per rendersi bene conto del funzionamento di questi circuiti è utile costruire lo schema che si vede nella figura 5; per la sua realizzazione è sufficiente procurarsi il seguente materiale:- un integrato 4511- un display a sette segmenti del tipo a catodo comune- 7 resistenze da 680 ohm, 1/4 di watt- 4 commutatori a levetta o a slittaPer l'alimentazione va bene una tensione compresa fra 6 e 10 volt.

Page 119: L'elettricità

Figura 5 - Circuito sperimentale per lo studio del codice BCD: i commutatori da C1 a C4 sono raffigurati nella posizione corrispondente all'accensione della cifra 5

Come si vede dallo schema, le quattro entrate A, B, C, D sono collegate ai commutatori C1, C2, C3, C4: spostando la levetta di ciascun commutatore, ogni entrata può essere commutata a livello alto H oppure a livello basso L.Le uscite che comandano i sette segmenti, corispondenti alle lettere da a a g, sono collegate ai piedini del display, interponendo sette resistenze (da R1 a R7) da 680 ohm: attraverso tali resistenze arriva la corrente ai segmenti del display che di volta in volta devono accendersi; il ritorno a massa avviene tramite il piedino CC (catodo comune) che è infatti collegato al negativo dell'alimentazione. Il valore delle sette resistenze non è vincolante: con valori più alti, per esempio 820 ohm, i segmenti del display saranno meno luminosi, mentre con valori più bassi (470 ohm) si accenderanno in modo più brillante; se si eccede usando valori troppo bassi, si rischia di bruciare qualche segmento. Naturalmente, in funzione del tipo di display che si utilizza, occorre conoscerne la piedinatura, e cioè l'esatta corrispondenza dei piedini con i vari segmenti.I piedini 3, 4 e 5 dell'integrato 4511 hanno funzioni che in questo caso non ci interessano; per il corretto funzionamento, è necessario collegare i piedini 3 e 4 al positivo ed il piedino 5 al negativo dell'alimentazione.

Il circuito così realizzato consente anche di esercitarsi col sistema binario, e può avere pertanto una funzione "didattica": volendo, per esempio, far accendere sul display il numero "7", occorrerà spostare in posizione "H" le

Page 120: L'elettricità

levette dei commutatori C1, C2 e C3 (come risulta dalla tabella vista in precedenza). Si può osservare che ad ogni commutatore corrisponde un certo valore o "peso" che contribuisce alla formazione del valore finale: il commutatore C1 vale 1, il C2 vale 2, il C3 vale 4 ed il C4 vale 8. Come si vede, in accordo col sistema di numerazione binario, ogni valore non è altro che una potenza del numero 2 (C1 equivale a 2 elevato a zero, C2 equivale a 2 elevato alla prima potenza, C3 equivale a 2 alla seconda e C4 equivale a 2 alla terza); il valore sette si ottiene pertanto come somma di 1 + 2 + 4.

Nell'uso reale di tali circuiti, i valori

binari (che noi abbiamo simulato

muovendo le levette dei quattro

commutatori) provengono da

altri circuiti come risultato di conteggi ed

elaborazioni diverse.Un esempio classico è rappresentato dai "contatori", che, come dice il nome,

sono circuiti in grado di contare (o totalizzare) il numero di impulsi in ingresso, e di fornire il valore di questo totale in forma di codice BCD,

presente su quattro piedini di uscita. Per visualizzare il numero corrispondente, è sufficiente collegare i quattro piedini di uscita del contatore

con i quattro piedini di entrata di un integrato pilota di display come il 4511, che abbiamo visto nell'esempio precedente.

In figura 6 si vede l'esempio di uno di questi contatori: si tratta dell'integrato MM74HC393 che contiene due contatori binari indipendenti; ciascun

contatore totalizza gli impulsi che arrivano sull'ingreso di "clock" (piedini 1 o 13) e fornisce il totale sulle uscite da Qa a Qd. I piedini 2 e 12 servono per

effettuare il "clear", ovvero per azzerare il conteggio e riportare a zero tutte le uscite.

DUE PAROLE SULLA "DIGITALIZZAZIONE"

Già da tempo, nel nostro parlare di tutti i giorni, è entrata con prepotenza la parola "digitale": macchina fotografica digitale, telecamera digitale, TV digitale; ma esattamente, che cos'è questa digitalizzazione del mondo che ci circonda?Premettiamo che il concetto di "digitalizzazione" non è necessariamente legato all'elettronica o all'informatica, ma può essere applicato ogni volta che si ha a che fare con la rappresentazione o con la misura di quantità o di

Figura 6 - Circuito integrato MM74HC393, contenente due contatori binari a 4 bit; ogni contatore ha il suo ingresso di clock (CK1 e CK2), il suo CLEAR (CLR) e le sue uscite (Qa, Qb, Qc, Qd)

Page 121: L'elettricità

grandezze.Le grandezze fisiche che caratterizzano tutti i fenomeni intorno a noi variano nell'ambito di un campo di valori continuo; possono in altre parole assumere qualsiasi valore, anche valori tra loro così vicini da non poterne misurare la differenza con gli strumenti di cui disponiamo.

Un comune termometro a mercurio fornisce il valore della temperatura grazie alla posizione raggiunta dal mercurio lungo una scala graduata; man mano che la temperatura aumenta, il mercurio sale proporzionalmente lungo la scala. Una misurazione di questo tipo viene definita "analogica", ed è

caratterizzata da una serie infinita di valori possibili: sta alla capacità di chi legge riuscire ad apprezzare con precisione la posizione raggiunta dal mercurio lungo la scala.Altre apparecchiature che misurano in modo analogico sono per esempio la bilancia a molla, dove saliamo per conoscere il nostro peso, oppure i vecchi tester dove lo spostamento della lancetta, al di sopra di una scala graduata, è proporzionale alla tensione o alla corrente misurata.Ma esiste un altro modo di rappresentare le grandezze: esso consiste nel confrontare la grandezza che si vuol misurare con una serie di valori campione, per stabilire quali e quanti di tali campioni approssimano più da vicino il valore della grandezza incognita.

Un esempio banale di questa tecnica di misurazione può essere fornito dalla classica bilancia con pesi: su di un piatto si appoggia la quantità da pesare, sull'altro piatto si dispongono i vari pesi, da quelli grandi a quelli più piccoli, che occorrono per raggiungere l'equilibrio fra i due piatti; la somma di tali pesi darà il valore del peso cercato.Questo metodo di misura viene detto "digitale", dalla parola inglese "digit" che significa "dito" o "cifra". Ciò che occorre osservare è la differenza fondamentale fra questo metodo e quelli analogici visti in precedenza:- se si misura una grandezza in modo analogico, il risultato può assumere uno qualsiasi degli infiniti valori possibili; anche valori talmente vicini da non essere distinguibili

- misurando una grandezza con la tecnica digitale, il risultato è rappresentato tramite riferimento ad un numero limitato di simboli di valore prestabilito e può pertanto essere soltanto uno dei valori ottenibili dalla combinazione dei valori utilizzati.Osserviamo che, nell'esempio della bilancia con pesi, la pesata risulta tanto più accurata quanto maggiore è

La persona che sale sulla bilancia provoca la rotazione dell'indice, la cui posizione permette di leggere il peso sul quadrante: è un caso classico di misura "analogica"

Bilancia con pesi, come esempio di misurazione digitale

Page 122: L'elettricità

la disponibiltà di pesi di basso valore: disponendo anche di piccoli pesi da 1 grammo o ancora meno, sarà infatti possibile equilibrare con maggior precisione la grandezza da misurare.I valori indicati facendo riferimento ad una serie limitata di valori, fra loro liberamenti combinabili, vengono detti "discreti", e sono caratterizzati dal fatto che essi costituiscono un insieme, anche grande, ma comunque finito, di valori.Questi concetti sono importanti perchè ricorrono pari pari nella digitalizzazione applicata in campo elettronico. Misurare una tensione con tecnica digitale significa confrontare tale tensione con una serie di tensioni di riferimento, e decidere quali di queste tensioni campione occorre sommare per eguagliare la tensione incognita.Poichè il funzionamento dei circuiti elettronici di conteggio è basato sulla tecnica binaria (ovvero utilizza un sistema numerico a base 2) i valori di tensione che si usano come riferimento corrispondono alle potenze di 2; tanto per fare un esempio, i valori di riferimento potrebbero essere rappresentati dalle seguenti tensioni (espresse in millivolt):16 - 32 - 64 - 128 - 256 - 512 - 1024 - 2048Supponiamo che il nostro tester digitale usi questi valori di riferimento e che si voglia misurare una tensione Vx il cui valore sia di 1,433 volt (equivalenti a 1433 millivolt). Il circuito logico del tester procederà al confronto della tensione incognita (Vx) col valore più alto tra quelli di cui dispone:- il valore più alto è 2048; poichè tale valore è maggiore di Vx, esso viene scartato- viene poi considerato il valore 1024; esso è minore di Vx e quindi vi è compreso, per cui viene inserito tra i valori che faranno parte della somma finale- viene quindi analizzato il terzo valore, 512: se si aggiunge questo valore al precedente, si ottiene 1536, e quindi si supera il valore di Vx; per tale motivo, il valore 512 viene scartato- il valore 256 viene invece inserito nella somma, poichè con esso si arriva a 1280 (sempre inferiore a Vx)- per lo stesso motivo anche il valore 128 viene inserito nella somma, arrivando a un totale di 1408- il valore 64 viene scartato, perchè sommato ai precedenti darebbe un totale superiore a Vx- anche il valore 32 viene scartato- l'ultimo valore, 16, viene inserito nella sommaSommando a questo punto tutti i valori che non sono stati scartati, si ottiene 1424 (1,424 V), contro un valore reale della tensione Vx che era di 1433 millivolt. L'errore commesso nel passare dal valore reale a quello digitale viene chiamato errore di quantizzazione, e dipende, come vedremo, dal numero dei valori di riferimento utilizzati.

Page 123: L'elettricità

Schematizzazione del metodo di misura: la grandezza da misurare viene approssimata sommando i valori 1024, 256, 128 e 16

L'esempio appena descritto si basa, come si è detto, su 8 valori di riferimento, dal più piccolo, di 16 mV, al più grande, di 2048 mV: si può anche dire che tale misura utilizza 8 bit.A ogni bit è associato uno dei valori di riferimento:- il bit associato al valore 2048 viene detto "bit più significativo" o, in inglese, MSB (most significant bit);- il bit associato al valore 16 viene detto "bit meno significativo" o LSB (least significant bit).Analogamente a quanto avviene per la bilancia, usando uno scarso numero di bit (e quindi di valori di riferimento), vengono a mancare i pesi più piccoli, per cui la misura risulta meno accurata, ovvero è caratterizzata da una minore risoluzione. Risulta quindi evidente che per ottenere una maggiore precisione occorre utilizzare un maggior numero di bit.Per concludere, osserviamo che nella tecnica di misura utilizzata si possono individuare due grandezze:- la prima è il valore massimo misurabile, che corrisponde alla somma di tutti i valori di riferimento- la seconda è il valore più piccolo che siamo in grado di distinguere, e che corrisponde al valore del bit di peso minore

Page 124: L'elettricità

Nel caso illustrato:- il valore massimo è dato da 16 + 32 + 64 + 128 + 256 + 512 + 1024 +2048; vale quindi 4080- il valore più piccolo è quello associato al bit meno significativo, e quindi 16

Il rapporto che intercorre tra il valore massimo

rappresentabile ed il valore più piccolo che si riesce a distinguere esprime quella che viene detta "dinamica

della conversione" e si misura in dB (decibel); la

dinamica dipende unicamente dal numero di

bit utilizzati nella conversione, e non dai

valori associati ai singoli bit. Usando 8 bit, come nell'esempio visto, si

ottiene una dinamica di circa 48 dB.

Se consideriamo un'applicazione pratica come, per esempio, la

riproduzione musicale, gli audiofili diranno subito,

con ragione, che una dinamica di 48 db è insufficiente per una

riproduzione di qualità: succede infatti che il

rumore (e cioè la quantità di segnale non

sufficientemente differenziata) risulta troppo elevato; è per tale motivo

che la digitalizzazione della musica registrata sui

CD si basa su 16 bit, raggiungendo una dinamica superiore a 96 dB.

Quanto è stato detto fino ad ora descrive solo un aspetto del passaggio dai fenomeni naturali alla loro rappresentazione digitale; occorre infatti

considerare che molte grandezze variano nel tempo e richiedono quindi una misurazione frequente del loro valore. Se pensiamo ai colori di un'immagine, questi avranno un loro valore che rimane stabile nel tempo; non altrettanto si

può dire per la musica, rappresentata da un continuo susseguirsi di onde

MA COSA SONO QUESTI DECIBEL?

Di pari passo con lo sviluppo della tecnologia, l'uomo ha avvertito la necessità di misurare tutto ciò con cui aveva a che fare; per tale scopo, sono state definite nel tempo varie unità di misura, alcune usate solo in campi specialistici, altre conosciute ed usate comunemente. I numeri che si ottengono come risultato delle misure hanno sempre un significato dimensionale: quando parliamo di 5 metri, per esempio, si dice che il numero 5 ha le dimensioni di una lunghezza; se un'auto si muove alla velocità di 50 km/ora, si dice che il numero 50 ha le dimensioni di una lunghezza divisa per un tempo. Ma ci sono casi in cui un numero non esprime alcuna dimensione, nè una lunghezza, nè un peso, nè un tempo: si parla in tal caso di numeri puri, anche detti "adimensionali". I decibel appartengono a questa categoria; il numero di decibel non indica una grandezza, ma solo il rapporto che esiste fra due grandezze omogenee.Facciamo un esempio concreto, riferendoci al circuito di un amplificatore: supponiamo di applicare in entrata un segnale di 25 mV; misuriamo poi il corrispondente segnale in uscita e supponiamo di trovare che esso sia di 12,54 V (ovvero 12540 mV). Per valutare quanto amplifica il circuito in esame, possiamo fare il rapporto fra la tensione in uscita Vout= 12,54 V e quella applicata in entrata Vin= 100 mV.Il numero così ottenuto non ha dimensioni, ma esprime solo un rapporto fra due tensioni: tale valore si misura in decibel (si scrive dB), e si ottiene con la formula matematica:20 x log (Vout / Vin) dove log sta per "logaritmo"Nel caso dell'esempio il calcolo è il seguente:- calcoliamo il rapporto fra Vout e Vin: 12540/25 = 501,6- il logaritmo di 501,6 è 2,7- moltiplichiamo tale valore per 20: 2,7 x 20 = 54Diremo allora che il nostro circuito ha un'amplificazione di 54 dB

Page 125: L'elettricità

sonore sempre variabili. Si conclude allora che la digitalizzazione delle grandezze variabili nel tempo richiede una successione di operazioni di

misura, da effettuarsi tanto più frequentemente quanto più velocemente varia la grandezza; si arriva così alla tecnica del "campionamento", un altro

argomento piuttosto complesso, che magari potremo analizzare in altre pagine di questo sito.

Page 126: L'elettricità
Page 127: L'elettricità