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Dario Salvatori

Il Salvatori 2015Il Dizionario della Canzone

Volume DueM - Z

© 2014 Edizioni Clichy - Firenze

Edizioni ClichyVia Pietrapiana, 32

50121 - Firenzewww.edizioniclichy.it

Isbn: 978-88-6799-155-6

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Il Salvatori 2015Il Dizionario della Canzone

Volume DueM - Z

Edizioni Clichy

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M&F Germania, 2012. Autore: Urlaub. Inter-preti: Die Ärzte Alla soglia dei venti anni di carriera, Die Ärzte, una delle più popolari band punk rock di Germania, sfodera un altro album di enorme successo, auch. Il singolo di lancio è di nuovo un brano che parla dei rapporti fra uomo e donna, un pop rock con sonorità inconsuete, che sconfinano nell’elettronica, ma estremamente orecchiabile. Primo posto per l’album, ma anche per il brano, sia in Germania, che in Svizzera e Austria, e lunga permanenza in vetta.M’abituerò Italia, 2011. Autore: Ligabue. In-terprete: Ligabue Il tipico pezzo di rabbia disillusa alla Ligabue, con quel graffio roco che smorza tutte le pieghe di una probabile malin-conia «m’abituerò a non trovarti / m’abituerò a voltarmi e non ci sarai / m’abituerò a non pen-sarti... quasi mai / quasi mai... quasi mai». Viene lanciata come inedito registrato in studio tratto dal live Campovolo 2.011, ma in realtà esisteva molto tempo prima ed era destinata addirittura all’album Sopravvissuti e sopravviventi, uscito nel 1993. Diventa subito Disco d’Oro nell’edizione digitale.Ma Bkhaf Libano, 2009. Autore: Assaf. Inter-prete: Carole Samaha Nuova stella dell’ara-bic pop, Carole Samaha è da qualche tempo sulla cresta dell’onda grazie alla sua enorme sensualità e alla sua vocalità particolarissima attorno alla quale il suo team autoriale le costruisce le can-zoni. Questa in particolare è il primo singolo di Hdoudi Sama, album multilingue (arabo e dialetti libanese, egiziano e del golfo) e si issa in vetta in patria ed in Egitto, facendole vincere per la seconda volta il premio come miglior album ai Murex d’Or, gli oscar nazionali.Ma che aspettate a batterci le mani Italia, 1958. Autori: Fo, Carpi. Interprete: Dario Fo Una delle prime canzoni incise da Dario Fo, che la propose per la prima volta nel 1959 nella farsa Comica finale, ma poi la rilanciò quasi vent’anni dopo, nel 1977, come sigla della tra-smissione tv Il teatro di Dario Fo (e fu in questa

occasione che il brano ebbe finalmente successo). La musica, allegra e coinvolgente, è di Fiorenzo Carpi, il testo - animato da un retrogusto socio-politico neanche troppo celato - di Fo: «ma che aspettate a batterci le mani / a metter le bandiere sul balcone / sono arrivati i re dei ciarlatani / i veri guitti sopra il carrozzone».Ma che bella città Italia, 1974. Autore: Bennato. Interprete: Edoardo Bennato «Sul giornale c’è scritto / puoi fidarti di me / il peggio-re di tutti / si è scoperto chi è / ci ha le ore con-tate / ma che bella città». La città, naturalmente, è Napoli, e non avrebbe potuto essere altrimenti nelle intenzioni dell’architetto Edoardo Bennato, che fin dall’inizio della sua carriera ha avuto un occhio di riguardo (attivo tutt’oggi) sulla metro-poli che gli ha dato i natali. Canzone d’impronta ancora sostanzialmente generalista, Ma che bella città faceva parte dell’album I buoni e i cattivi, nel quale Bennato poneva per la prima volta nero su bianco alcuni tra i punti di riflessione centrali del-la sua poetica, primo fra tutti la sopraffazione del-la classe politica nei confronti del popolo, e più in generale dei furbi (cioè «i cattivi») contro i deboli (ovvero «i buoni»). Accompagnamento country, con un ruolo di preminenza ad armonica, kazoo e tamburello.Ma che bella giornata Italia, 1968. Autori: Lamberti, Cappelletti. Interprete: Ugolino «M’infilo nel letto e dico a me stesso che forse domani non sarò lo stesso: il sonno che arriva mi porta conforto, m’illude che son vivo ed invece son morto». È la conclusione con cui Ugolino (al secolo Guido Lamberti), apostolo del rock demenziale, chiosa la riflessione sulla giornata che, come tutte le altre, l’ha visto chino al proprio lavoro sempre più uguale, sempre più ripetitivo. Brano assai politico, arriva, non a caso, nel 1968, anche se al primo ascolto viene scambiato per una filastrocca. Apre la carriera di Ugolino alla RCA, e, con l’eccezione di un 45 giri, la sua storia discografica, destinata a protrarsi per una decina d’anni.

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Ma che bella giornata di sole Italia, 1988. Autore: Venditti. Interprete: Antonello Venditti La «giornata di sole» è il 25 apri-le del 1945, giorno in cui la Liberazione consentì a moltissimi soldati l’atteso ritorno alle proprie case: tra loro c’era anche il padre di Venditti, che sarebbe nato solamente quattro anni dopo, ma la cui commozione traspare palpabilissima dell’intenso racconto di questa canzone del 1988. La prospettiva è quella del futuro, il futuro di speranza che attendeva migliaia di famiglie, e il desiderio di rinascita e di bellezza dopo l’orrore a cui si è assistito: «E mio padre vivrà / solo il sogno di questa terra / perché quello che ha è an-cora guerra / e mia madre amerà / questo sogno di prigioniero / perché quello che avrà è il mondo intero». Un assolo di chitarra elettrica di mirabile suggestione contrappunta sul finale il tappeto di tastiere che fa da sostegno a tutto il pezzo. Il bra-no fa parte dell’album In questo mondo di ladri.Ma che bello questo amore Italia, 1987. Autori: Ramazzotti, Cogliati, Cassano. Inter-prete: Eros Ramazzotti Ritmo allegro e divertente, testo un po’ giovanilistico, per rac-contare la felicità dell’esplosione di un nuovo amore: «ma che bello questo amore che ti prende / che gasa se ce l’hai / che a casa più non vai / che senza non ci stai / questa carica interiore che si accende / se solo penso che / stanotte stai con me». Un Eros Ramazzotti ancora relativamente alle prime armi ne dà un’interpretazione molto vivida, di realistica tenerezza. Tratta dall’album In certi momenti, fece la propria parte nell’estate del 1988. L’antologico Eros del 1997 ne contiene una riedizione. La versione spagnola si intitola Fan-tastico amor.Ma che domenica! Italia, 1969. Autori: Pallavicini, Mescoli. Interprete: Fiammetta Doveva essere il disco di lancio della dicianno-venne Fiammetta (cognome: Tombolato) che, nonostante l’età giovanissima, già da qualche anno stava giostrando i suoi talenti tra varie case discografiche. Il brano è certo uno dei più conosciuti della sua produzione, ma, nonostan-te la partecipazione al Disco per l’Estate, riuscì a spingerla assai poco lontano. Si rifarà con una buona carriera radiofonica. Fiammetta è anche l’interprete della sigla del cartone animato Carlet-to il principe dei mostri.Ma che freddo fa Italia, 1969. Autori: Migliacci, Mattone. Interpreti: Nada e Rokes «Mi sento una farfalla che sui fiori non

vola più / che non vola più, che non vola più / Mi son bruciata al fuoco del tuo grande amore che si è spento già / ma che freddo fa / ma che freddo fa / tu ragazzo m’hai delusa / hai rubato dal mio viso quel sorriso che non tornerà». È il brano con cui divenne famosa l’appena quindicenne Nada Ma-lanima, la cui figura esile, assieme alla provenien-za e alla giovanissima età, ispirò il soprannome di «pulcino del Gabbro». Gestualità aggraziata e lineamenti delicati, in realtà la soave ragazza, scoperta l’anno prima da Franco Migliacci, era di tutt’altra pasta e la sua interpretazione già matura e vigorosa - con quel modo tutto suo di pronun-ciare le parole quasi fosse un’americana - fecero in fretta a dimostrarlo. Vestita come una hippie conquistò il pubblico fin dalla prima apparizione sul palco del Festival di Sanremo, a cui partecipa-va in coppia coi Rokes: arrivò solamente quinta, ma si fece le beffe dei colleghi vincitori vendendo molto più di tutti loro messi insieme e portando fino al secondo posto della hit parade il suo 45 gi-ri, che sul lato B proponeva Una rondine bianca. Il brano ebbe successo anche all’estero (specie in Spagna) e col tempo è dedicato un classico, tale da meritare una fitta schiera di cover: tra le molte si distinguono quelle di Mina, di Renzo Arbore e della New Pathetic Orchestra, degli Avion Travel e, in tempi recenti, di Giusy Ferreri. Inconsisten-te, invece, il riscontro della versione dei Rokes.Ma che idea Italia, 1988. Autore: Madonia. Interpreti: Denovo Già famosissimi in Si-cilia, nonché protagonisti del Sanremo Rock 1987 (manifestazione parallela rispetto al Festival ufficiale), i Denovo approdarono finalmente sul palco dell’Ariston nel 1988, esordiendo diret-tamente nella categoria Big. Alla ricerca di una consacrazione nazionale che imponesse la loro fresca linea debitrice in tutto e per tutto dei Be-atles, lanciarono Ma che idea, capofila dell’album Così fan tutti. I tempi però erano purtroppo per loro ancora prematuri e il contesto non dei più comprensivi, e così il pezzo non riuscì a piazzarsi oltre la penultima posizione.Ma che musica maestro Italia, 1971. Au-tori: Pisano, Silvestri, Paolini. Interprete: Raf-faella Carrà Allegra marcetta, destinata a diventare famosissima perché sigla dell’edizione del 1970 di Canzonissima e prima incisione in as-soluto di Raffaella Carrà, che appunto conduceva il programma assieme a Corrado. Come debut-to canoro la bionda showgirl, che per la prima volta portava in campo l’acconciatura bionda e

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soprattutto l’ombelico scoperto, non avrebbe po-tuto desiderare meglio, visto che il brano schizzò come un missile fino alla terza posizione della classifica, restando in Top 10 per diverse setti-mane. Fu l’avvio di un percorso di cantante non particolarmente impegnativo, né sul piano tecni-co, tantomeno su quello artistico, ma quantomai redditizio, visto che fu quasi sempre legato a si-tuazioni televisive che da allora e per moltissimi anni avrebbero fatto della Carrà una regina del piccolo schermo. Nel 1997 è stata reinterpreta-ta da Claudio Baglioni per il programma Anima mia e il relativo disco Anime in gioco.Ma che ne sai... (se non hai fatto il pia-nobar) Italia, 1995. Autore: Mattone. Interpreti: Trio Melody Divertessement in chiave swing per raccontare storie di localini e di musi-cisti poco meno che spiantati: «Verso una cert’ora / entra una pantera / sta con lui / ma guarda me / che sto appiccicato al mio microfono / e dedico canzoni / ... / ma che ne sai / ma che ne sai se non hai fatto il pianobar». Lungi dalle tentazioni di outsider con cui questa canzone venne presentata al Festival di Sanremo del 1995, l’impressione fu che l’esperimento avesse soprattutto la funzione di far giocare, ancora prima che il pubblico, i tre interpreti: parallelamente ebbe il merito di portare all’Ariston Gigi Proietti, che mai prima di allora aveva partecipato alla gara e che vi debuttò con l’e-suberanza di un ragazzino. Spassose anche le prove di Peppino Di Capri e di Stefano Palatresi, che completavano quello che per l’occasione si chia-mò Trio Melody. Meno divertenti le giurie, che lo bloccarono al tredicesimo posto della graduatoria.Ma chérie Serbia, 2009. Autori: Gojkovic, Ko-sovac. Interpreti: The Beat Shakers feat. Alberto Eurodance con testo d’amore in lingua francese e ritornello in serbo che passa completa-mente inosservata nel momento in cui il duo di dj serbi la dà alle stampe. L’anno dopo, con un nuovo arrangiamento, più latino e con influenze pop e testo in inglese diventa un successo planetario, ma l’operazione è griffata da Dj Antoine, uno dei più popolari di dj svizzeri, che invita The Beat Shakers a cantare il ritornello (esattamente come nell’orgi-nale). La voce delle strofe, che nell’originale è di Al-berto, nella versione made in Svizzera è dell’elvetica Angel. Il brano, tormentone riempipista dell’estate in mezza Europa, tocca la top 5 un po’ dovunque.Ma chi se ne importa Italia, 1970. Autori: Migliacci, Mattone. Interprete: Gianni Morandi «Ma chi se ne importa se adesso il mio

cuore si spezza / un giorno d’amore per me vale più di cent’anni / sembrava un capriccio e invece per lei sto morendo / peccato che al mondo si vive una volta soltanto». A giudicare dalla verve, sembrerebbe quasi si trovarsi di fronte il Gianni Morandi «cattivo» parodizzato da Fiorello, e in-vece è il cantante di sempre, evidentemente alle prese con una scottatura sentimentale di quelle che bruciano sul serio. Il brano vinse Canzonis-sima e raggiunse il primo posto della classifica, ma fu una sorta di canto del cigno per la prima parte della carriera di Morandi, che - vittima di una crisi ormai epocale - per lunghissimo tempo non avrebbe più colto la vetta dell’hit parade. La troviamo anche nel film Faccia da schiaffi di Ar-mando Crispino.Ma com’è rossa la ciliegia Italia, 1990. Autori: Mango, Mogol. Interprete: Mango Non che sia la canzone più famosa dell’album Sirtaki (che dà a Mango un successo da 400 mila copie), eppure lui decide di portarla ugualmente in gara al Festivalbar del 1990. Canzone di una certa introspezione, ma comunque solare e colo-rata. Mango firma insieme a Mogol.Ma come fanno i marinai Italia, 1978. Au-tori: De Gregori, Dalla. Interpreti: Lucio Dalla, Francesco De Gregori «Ma come fan-no i marinai a baciarsi tra di loro / e a rimanere veri uomini, però?». Se lo chiedono Lucio Dalla e Francesco De Gregori nella canzone che nell’e-state del 1978 segnò l’atto di inizio della fortuna-tissima collaborazione destinata a evolversi l’anno successivo nello storico tour «Banana Republic». Dopo i fatti del Palalido di Milano (dove era stato pesantemente contestato durante un con-certo), per quasi due anni De Gregori si era ben guardato dal calcare qualsivoglia scena musicale pubblica: Dalla ne incoraggiò il rientro e insieme i due si esibirono in uno storico concerto allo Sta-dio Olimpico di Roma, dove la goliardica, ma in fondo meditativa, Ma come fanno i marinai venne proposta per la priva volta dinanzi al grande pub-blico. Arrivò fino al sesto posto in classifica, ma le conseguenze furono ben superiori, probabilmen-te più per il senso di intesa e di affiatamento che scaturiva dalla resa del motivo, che per il pezzo in sé, che, per quanto disinvolto e baldanzoso, era poco più che uno scherzo: «Intorno al mondo senza amore / come un pacco postale / senza nes-suno che gli chieda come va / col cuore appresso a una donna / una donna senza cuore / chissà se ci pensano ancora / chissà». Nessuno dei due ar-

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tisti ne ha mai realizzata una versione solista, ma il brano è stato recuperato da Pino Calvi e la sua orchestra.Ma dai Italia, 2003. Autori: Lavezzi, Costanzo. Interprete: Andrea Cardillo Scritta da Ma-rio Lavezzi e da Maurizio Costanzo, quest’allegra canzoncina rappresentò il primo e unico succes-so di Andrea Cardillo, fuoriuscito di una delle primissime edizioni di Amici, o meglio, come si chiamava allora, Saranno famosi. Concepita qua-si come uno scioglilingua, Ma dai comparve sul mercato un paio d’anni tardi grazie alla scuderia Sugar, che si prese Cardillo sotto l’ala e per un po’ lo coltivò. Disco d’oro per l’omonimo EP e inserimento in alcune compilation furono i mag-giori risultati conseguiti in ambito discografico, a cui si aggiunse una programmazione radiofo-nica massiccia e prolungata per diversi mesi. La vocalist che compare accanto a Cardillo è Valeria Monetti.Ma il cielo è sempre più blu Italia, 1975. Autore: Gaetano. Interprete: Rino Gaetano Al limite della desolazione per il mancato successo del suo primo album Ingresso libero, nel 1975 Rino Gaetano riuscì nel miracolo di tra-sformare il rischio di un fallimento definitivo in un successo: a permetterlo fu Ma il cielo è sempre più blu, la cui ispirazione colse il cantautore a un passo dal suo ritiro, permettendogli così di farsi conoscere finalmente al grande pubblico. Conce-pita come un lungo elenco di situazioni drop out (come in realtà era allora anche quella stessa di Gaetano), la canzone faceva leva su un ritornello risolutorio, in cui tutte le difficoltà annotate in precedenza sembravano trovare uno scioglimento in fondo allegro e pieno di speranza: «chi vive in baracca, chi suda il salario / chi ama l’amore e i sogni di gloria / chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria / chi mangia una volta / ... / chi va sotto un treno / ... / ma il cielo è sempre più blu / ma il cielo è sempre più blu». Pubblicata in 45 giri, vendette all’incirca 100 mila copie. Nel 2004 ha dato il titolo a una trasmissione di Giorgio Pana-riello. Una cover recente di Giusy Ferreri ha re-stituito al brano - pur tra qualche polemica - una buona rotazione radiofonica.Ma la notte Italia, 1985. Autori: Arbore, Mat-tone. Interpreti: Renzo Arbore e La New Pathetic Elastic Orchestra Sigla della trasmis-sione cult Quelli della notte, che Renzo Arbore condusse in maniera epica nella primavera del 1985, andando in onda in seconda serata, ma

riuscendo ugualmente a raccogliere consensi da capogiro. Altrettanto bene andarono questa co-me le altre canzoni del programma, che furono tutte pubblicate all’interno di un album (con lo stesso titolo del programma) che non solamente finì al terzo posto in classifica, ma che fu anche l’undicesimo più venduto dell’anno. Attraverso un testo divertente e un po’ surreale, Arbore an-ticipava il filone delle canzoni ironiche che tanta fortuna avrebbe avuto, fin dal Festival di Sanre-mo successivo, nel suo repertorio. Un ritornello immediatamente memorizzabile ebbe inoltre il merito di amplificare la fama del brano ben oltre il pur vasto pubblico che assisteva alla trasmissio-ne: «ma la notte, ma la notte, ma la notte no» divenne un gioco invitante anche per i bambini, che inevitabilmente poco potevano saperne sia di Neruda che di Picasso, tirati scherzosamente in ballo dallo showman pugliese. Della New Pathe-tic Elastic Orchestra, che accompagnava il pezzo, facevano parte, tra gli altri, Silvia Annichiarico, Antonio e Marcello e Gegé Telesforo.Ma l’amore no Italia, 1942. Autori: Galdieri, Bracchi. Interprete: Alida Valli Alida Valli la cantò nel film Stasera niente di nuovo di Mario Mattioli, ma questa canzone dall’aria so-gnante e composta fece assai presto a sciogliersi dal vincolo cinematografico e diventare uno dei maggiori successi del suo periodo (probabilmente la canzone più trasmessa dall’EIAR nel periodo bellico). La musica era di Alfredo Bracchi, già autore di molte hit dell’epoca, mentre il testo era di Michele Galdieri, a cui la musica italiana già doveva la celeberrima Quel motivetto che mi piace tanto. Passata negli anni attraverso non solo moltissime versioni, ma anche diversi riutilizzi cinematografici (uno è quello che Ambrogio Lo Giudice ne fa nel suo film d’esordio Prima dammi un bacio del 2003), fu in effetti un po’ il simbolo di quegli anni bui in cui l’unica cosa che sembrava veramente resistere e dare speranza erano i sentimenti privati, tant’è che - per radio - accompagnò anche lo sbarco degli Alleati: «Ma l’amore no / l’amore mio non può / disperdersi nel vento con le rose / Tanto è forte che non ce-derà / non sfiorirà / Io lo veglierò / io lo difenderò / da tutte quelle insidie velenose / che vorrebbero strapparlo al cuor / povero amor!». Lina Termi-ni la incise nel 1943 con l’orchestra del maestro Angelini, mentre Iva Zanicchi la portò in gara a Canzonissima addittura nel 1965. Tra le molte-plici interpretazioni si distingue quella di Ornella

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Vanoni, risalente al 1986. Nel ’75 ha dato il titolo a un libro di Francesco Savio dedicato al cinema del ventennio fascista.Ma le gambe Italia, 1938. Autori: Bracchi, D’anzi. Interpreti: Enzo Aita con il Trio Lescano Uno dei motivetti più famosi del periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale. A scriverlo furono Giovanni D’Anzi e Alfredo Bracchi, che sfruttarono il filone più swingante in voga all’epoca per comporre una canzoncina un po’ ammiccante e inevitabilmente disimpegnata: «Saran belli gli occhi neri / saran belli gli occhi blu / ma le gambe / ma le gambe / a me piacciono di più». L’interpretazione ori-ginaria, risalente al 1938, è di Enzo Aita con il Trio Lescano: sul lato B del ’78 giri c’era Segui il ritmo. Nato in Sicilia, ad Acireale, trentacinque anni prima, Aita mise da parte con Ma le gambe il suo unico successo nel repertorio leggero: subito dopo la guerra trovò nuove soddisfazioni nell’o-peretta, di cui divenne inteprete popolarissimo. Ma le gambe è stata successivamente ricantata da Pippo Franco.Ma mi Italia, 1959. Autori: Strehler, Carpi. In-terpreti: Ornella Vanoni, Milva, Enzo Jannacci «Ma mi, ma mi, ma mi / quaranta dì, quaranta nott / A San Vittur a ciapaa i bott / dormì de can, pien de malann! / Ma mi, ma mi, ma mi / quaranta dì, quaranta nott / sbat-tuu de su / sbattuu de giò / mi son de quei che parlen no!». Storia di un carcerato della prigione milanese di San Vittore: il commissario lo convo-ca per proporgli uno scambio tra la libertà e una spiata che metterebbe nei guai alcuni suoi amici, lui cordialmente rifiuta e ne paga tutte le conse-guenze. Il brano venne scritto alla fine degli anni Cinquanta da Fiorenzo Carpi e Giorgio Strehler, che, così come fece per altri brani nati più o meno nello stesso periodo e nelle stesse circostanze, fece credere di averlo riadattato da un originario canto popolare milanese (ed è per questo che nei crediti è per lungo tempo comparso anche l’Anonimo). A interpretarlo e portarlo al successo fu Ornel-la Vanoni, che, ancora «cantante della mala» (e legata sentimentalmente a Strehler), lo incise nel 1959 all’interno di due diversi 45 giri e ne fece un punto di riferimento anche del suo successivo repertorio. Successive e importanti versioni sono venute da Enzo Jannacci a Milva.Ma non ho più la mia città Italia, 1993. Autori: Malavasi, Milani, Trovato. Interprete: Ge-rardina Trovato «Venne il giorno che le

dissi: / tu Catania non mi basti / dei miei sogni che ne hai fatti / me li hai chiusi in un cassetto / e sognavo di partire / di trovarmi in un bel posto / per potere riaprire / quel cassetto ormai nascosto / chiuso con delle catene / pieno ormai di ragnatele». Seduta a gambe incrociate su una cassa e con la sua chitarra tra le braccia, Gerardina Trovato fece il suo esordio dal palco del Festival di Sanremo del 1993 infiammando la scena di sapori mediterranei e di richiami fortissimi all’attualità (il testo citava, tra i richiami autobiografici, una frase di Paolo Bor-sellino: «chi non ha paura di morire, muore una volta sola»): arrivò seconda classificata alle spalle di Laura Pausini, ma in compenso ebbe dalla sua par-te i favori della critica, che subito la incoronò co-me nuova realtà del più interessante cantautorato femminile. Per la cantante catanese si aprì una fase particolarmente favorevole, coronata anche dal buon successo commerciale dell’album Gerardina Trovato, che arrivò fino al sedicesimo posto della classifica e vendette quasi duecentomila copie. Lanciata dalla Sugar di Caterina Caselli, la Trovato (già corista di Bobby Solo) aveva conosciuto i suoi discografici solamente due mesi prima la parteci-pazione al Festival, dopo aver spedito loro una cas-setta con le sue canzoni: «Questa, però» dichiarò la cantante alla Repubblica «mi è particolarmente cara. L’ho scritta di slancio dopo l’uccisione di Pao-lo Borsellino. Tra le tante cose che lui ha detto, c’è anche lo stato d’animo che ho cercato di esprimere nella canzone».Ma philosophie Francia, 2004. Autori: Bent, Diam’s. Interprete: Amel Bent Lanciata da un talent show, Amel Bent oggi alterna l’attività di ottima cantante pop e r’n’b a quella di attrice. Il suo maggior successo è questo brano estremamente radiofonico che ha sfondato nelle chart europee: disco di diaman-te in Francia, ha ottenuto riscontro in Belgio, Svizzera, in Ucraina e Russia. A fine anno è terzo nella chart europea.Ma piano (per non svegliarmi) Italia, 1967. Autore: Meccia. Interpreti: Nico Fiden-co, Cher Durante la lettura di questo libro, certamente il lettore attento si sarà ben presto reso conto che il Gianni Meccia autore è stato probabilmente molto più importante del Meccia cantante, nonostante l’artista asserisca da sempre che la parola «cantautore» fu coniata proprio a suo modello e circostanza. E, in effetti, le sue can-zoni, anche quelle concepite per altri interpreti, si discostano sempre dalla faciloneria o del preco-

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struito a tavolino. Ne è l’ennesima prova questa eccellente Ma piano (per non svegliarmi) presen-tata al Festival di Sanremo 1967 da Nico Fidenco e da una Cher non ancora in odore di Santità, anzi, molto più diabolica di quanto poi in effetti dimostrò di essere nel tempo. Fidenco interpretò con grande maestria il brano, Cher, bellissima sul palco dell’Ariston, invece dimenticò le parole, spesso sostituite - durante la sua performance - da inconcepibili singulti. La canzone subì l’elimina-zione diretta in prima serata, sia per colpa della prova scadente della bella meticcia pellerossa, sia perché... troppo interessante per un Festival. Il testo di Meccia (anche lui la incise più tardi) era comunque interessante, molto fiabesco e sottile «... Tu che mi amavi non mi parli più e mi fai piangere per niente. Lo sai che voglio ancora be-ne a te e soffro per la prima volta. Una canzone non dimentico, tu la cantavi piano piano. Le tue parole mi baciavano ma piano, piano, per non svegliarmi...». La storia, invero, non finisce qui. I Nomadi, nel loro primo meraviglioso album Per quando noi non ci saremo, ne incisero un’altra versione, con la voce tormentata e tesa di Augusto che cantava «...Di notte, mentre tutti dormono, ho fatto un sogno molto strano. Ho visto strade piene d’ombre che si tenevano per mano. Ho vi-sto assieme mille giovani, con le ragazze e le chi-tarre. Canzoni splendide cantavano, ma piano, piano, per non svegliarmi...». Di ben altro tenore e totalmente coniugato con il «Credo Beat». Sul-lo stesso disco dei Nomadi, il testo è attribuito a Gianni Meccia il quale, interpellato anni fa da Claudio Scarpa, non era neanche a conoscenza della versione diversa, né sapeva che i Nomadi l’avessero mai incisa. Resta il mistero di quest’a-nonimo paroliere... Nonontante, ascoltando per intero la canzone in questa variante, il tutto «puz-za» di Guccini lontano un miglio...Ma quale amore Italia, 1973. Autori: Evan-gelisti, Venditti. Interprete: Mia Martini «Una donna è stanca di sentirsi dire / “tu la tua vita ed io la mia” / Ma per la notte vado bene / poi l’indomani “buongiorno” e via! / Ma quale amore! non fare la scena / Ma quale amore! ma credi sia scema». Musica di Antonello Venditti, testo di Franca Evangelisti per una canzone che finisce nell’album Il giorno dopo di Mia Martini, cesellandone l’immagine di donna poco dispo-sta ad accettare la superficialità degli uomini. Il rapporto tra i sessi sarà una delle chiavi centrali della produzione della cantante, talvolta con esiti

anche drammatici, ma sempre e comunque sin-ceri, in un’identificazione di arte e vita tra le più profonde del nostro panorama. Altissimo il talen-to d’interprete, qui rivelato nella sua complessità.Ma quale amore Italia, 1990. Autori: De Angelis, Laurex, Lopez. Interprete: Riccardo Fo-gli Un Riccardo Fogli abbastanza dram-matico, sempre arroccato a riflessioni di ordine sentimentale, ma decisamente più intenso rispet-to all’esperimento subito precedente (quello cioè del Festival di Sanremo 1989, Non finisce così). Forse pecca di presenzialismo, ed è quello che gli impedisce di piazzare meglio la sua canzone, che termina la corsa nel gran mucchio delle quarte escluse dal podio. In classifica arriva fino alla quindicesima posizione. Nella versione straniera prevista dal regolamento diventa Speak to me of love, interpretata da Sarah Jane Morris.Ma quale musica leggera Italia, 2012. Autore: Bennato. Interprete: Loredana Berté Nulla da eccepire sul piano tecnico e arti-stico, solamente ci si chiede se sia il caso di cal-care così la mano vittimista con un’artista dal percorso così già tanto complicato come Lore-dana Berté. Il pezzo lo scrive Edoardo Bennato (che suona anche l’armonica), la produzione è di Mario Lavezzi («ma quale musica leggera / questa è una musica che pesa / c’è chi la sente e s’innamora / c’è chi la vive e si avvelena»). C’è anche un videoclip, dove il ruolo della Berté piccola è interpretato dalla figlia del cantautore napoletano, Gaia.Ma quando arrivano le ragazze? Italia, 2005. Autore: Ortolani. Interprete: Riz Ortolani Uno dei più importanti film recenti di Pupi Avati, interamente ambientato nel mondo della musica e più in particolare della musica jazz, con temi composti ad hoc da Riz Ortolani. Musiche perlopiù eseguite da fiati, che accanto all’allegria di certe situazioni, lasciano anche spa-zio a momenti più malinconici, con il sassofono che allunga le note come ad approfondire tutto lo struggimento dei personaggi della storia, alle prese con le speranze, ma anche certi drammi, della giovinezza. Vince il David di Donatello, appunto, per la migliore colonna sonora. Tra gli interpreti del film c’è anche Johnny Dorelli. Ma quando dici amore Italia, 2004. Autori: Cheope, Cellamare. Interprete: Ron «Ma quando dici amore / tu ci credi o no? / o è solo un’abitudine / per rimandare un po’ / quell’im-mensa paura di non amarsi più». La versione origi-

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nale è stata pubblicata ne Le voci del mondo, album di Ron del 2004, ma il cantautore di Dorno volle recuperarlo un anno dopo per reinterpretarlo con Elisa per l’album destinato a portare lo stesso nome e finalizzato alla raccolta di fondi a favore dell’Ai-sla. Tenero ed ecumenico al tempo stesso.Ma se ghe pensu Italia, XIX sec. Autori: Cappello, Margutti. Interpreti: vari È la canzone simbolo degli emigranti genovesi, che, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, la realtà del porto spinse a migliaia verso nuove vite oltreoceano. Inizialmente fu dif-fusa come Se ghe pensu, per giungere solo più tar-di al titolo con cui è conosciuta attualmente: ma anche la forma complessiva dovette subire diverse rielaborazioni, passando da una stesura primige-nia di origine popolare (e databile agli ultimi de-cenni del XIX secolo) alla versione definitiva mes-sa a punto da Mario Cappello e Attilio Margutti nel 1925. Scritta in dialetto genovese strettissimo, descriveva l’ascesa sociale dell’emigrato, al quale però l’entusiasmo del figlio non bastava a cancel-lare la nostalgia profonda per la città di origine: «e sensa tante cöse o l’è partîo / e a Zena o g’ha formòu o sêu nîo» («e senza tante cose è partito e a Genova ha fatto rinascere il suo nido»). Tra le molte interpretazioni si distinguono quelle di Na-talino Otto e di Mina. Recentemente Antonella Ruggiero l’ha recuperata per Genova la superba.Ma se tu vorrai Italia, 1962. Autore: Reverbe-ri. Interprete: Michele Una delle primissi-me canzoni di Michele, se non altro la sua prima incisione, peraltro distribuita solamente nei 45 giri: come conseguenza, non riesce a imporsi sul mercato in alcun modo, ma persuade la RCA a fare incidere al giovane un altro disco, Se mi vuoi lasciare, che invece gli darà la popolarità. Scrive Gianfranco Reverberi.Ma ti sei chiesto mai Italia, 1992. Autori: Vernola, M. Reitano, F. Reitano, D. Reitano. Interprete: Mino Reitano Una delle più riuscite canzoni recenti di Mino Reitano, animata da uno spirito introspettivo a cui il cantante dette in ampia misura anima e cuore. Presentata al Fe-stival di Sanremo del 1992, fu tuttavia scarsamen-te considerata e scontò così l’accesso alla finale, con grandissima delusione da parte di Reitano, che evidentemente aveva creduto di poterla spin-gere per confermare la buona fase aperta da Italia quattro anni prima. Il refrain: «Ma ti sei chiesto mai / se tu davvero lo puoi fare / se un giorno tro-verai / la forza almeno di provare / l’amore certo

può andare via / se finisce ma tu lascia che sia / perché è più bello sai / sentirsi male poi / che non provarci mai».Ma vie Francia, 1964. Autori: Barriere, Migiani. Interprete: Alain Barriere Ecco una di quelle composizioni baciate dalla fortuna, non certo per caso ma per meriti assoluti. Un succes-so d’oltralpe per una canzone dal piglio triste che assolutamente doveva per forza di cose entrare nel cuore degli ascoltatori. L’interpretazione del bréto-ne Alain Barriere è convincente al massimo e, in madre patria, ogni sua canzone diventava un suc-cesso. Barriere godette anche momenti di grande popolarità in Italia, soprattutto proprio per questa sua composizione che, con testo italiano firmato dal binomio Paoli - Bardotti, divenne Vivrò e fu un successo intramontabile a cavallo del 1964 ed il 1965. I ragazzi poi, che organizzavano festicciole in casa, quando si accorsero che la canzone superava i 4 minuti di durata, non si facevano certo mancare un sì prezioso esemplare. In un periodo nel quale i brani avevano generalmente la durata dai due ai tre minuti, avere la possibilità di stringere nel ballo la propria «bella» per oltre 4 minuti era un’occasione assolutamente imperdibile!Ma.... cos’è questa crisi Italia, 1933. Au-tore: De Angelis. Interprete: Rodolfo De Angelis Inutile stare a lagnarsi e dare la colpa a tutto quanto il mondo se poi nel proprio orticello non siamo in grado di muovere un solo dito. Dal più grande al più piccolo: «Tutte quante le nazioni si lamentano così / conferenze, riunioni, ma si resta sempre lì / ah, la crisi! / Ma cos’è questa crisi? / Ri-nunziate all’opinione / della parte del leone e chissà / che la crisi finirà». Leggero e spiritoso, Rodolfo De Angelis compose e interpretò questa canzone nel 1933, ovvero un paio d’anni dopo essere ritor-nato su quelle scene abbandonate all’avvento del fascismo. Pittore, giornalista, cantante, commedio-grafo, il multiforme De Angelis, al secolo Rodolfo Tonino (nato a Napoli nel 1893) aveva fondato nel 1921 quel Teatro della Sorpresa che era stato tra i primi territori atti a mettere a frutto la sua vocazione dadaista e futurista: anche dopo la lunga pausa, però, non si dimenticò di queste sue antiche ispirazioni e non rinunciò a portarle all’interno delle sue canzoni, ricche di onomatopee e di parole tanto anomale quanto felici sul piano sonoro. A lui si deve anche l’iniziativa che negli anni a venire avrebbe portato alla costituzione della Discoteca di Stato. Morì a Milano nel 1965. C’è una versione del 2006 dei Folkabbestia.

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Maak me gek Olanda, 2007. Autori: Tel, Coove. Interprete: Gerard Joling A decenni di distanza dal suo esordio, Gerard Joling è an-cora sulla cresta dell’onda. Ormai decisamente orientato sulla lingua olandese, sul nederlan-dstalig (un genere di pop tipico dell’Olanda, che mescola sonorità vicine al liscio, al pop attuale e a quello anni ’80), trova di nuovo la vetta delle classifiche con questo brano tipicamente orange nel sound che dà anche il titolo all’album.Macaco Italia, 1984. Autore: Conte. Inter-prete: Paolo Conte Ennesimo tocco di esotismo nella produzione di Paolo Conte, che si richiama ancora una volta alla metafora della scimmia per indicare non la droga, come tradi-zionalmente è stato fatto dagli anni Cinquanta in poi, bensì l’uomo in procinto di fare una conqui-sta amorosa («lei gli fa: Macaco / e tutto il resto è da scimpanzé»). Da Paolo Conte del 1984, che rifulge di una magica e trascinante allegria.Macarena Spagna, 1993. Autori: Rafael Ruiz Perdigones, Antonio Romero Monge. Interprete: Los del Río Qualcuno ravvisa forti somi-glianze con una canzone lanciata da Ella Fitzge-rald nel 1939, Tain’t What You Do (It’s The Way That You Do It) spesso usata dalla comunità dei ballerini di Lindy Hop, uno stile di ballo swing, come base per una coreografia di gruppo, lo Shim Sham. Fatto sta che non si può escludere la com-ponente coreografica dagli elementi che hanno decretato il successo di Macarena. Incisa per la prima volta nel 1993, esplode a livello mondiale nella versione dance associata alla notissima core-ografia nell’incisione firmata dagli italiani Roberto Boribello e Paolo Franchetto, in arte Los Locos.Madame Italia, 1976. Autori: Pintucci, Re-natozero, Evangelisti. Interprete: Renato Zero Due album alle spalle, Renato Zero ap-prodò per la prima in classifica nel 1976 col sin-golo Madame, che, pubblicata in 45 giri, anticipò l’LP Trapezio. Sul piano dei numeri il riscontro del pezzo, almeno inizialmente, non fu niente di eccezionale, ma non allo stesso modo andarono le cose per il coloratissimo «personaggio» Zero, che dalla vivacità e dall’originalità del brano ricavò un aumento ben consistente della propria popola-rità. La trasgressività incipiente e i primi fulgori della dance si incontrarono infatti nella storia curiosa di una donna bellissima che si innamora di un uomo che è tutto il contrario e al quale col tempo finisce per assomigliare. La chiave «zeria-na» però è tutta nel ritornello: «Se l’amore è cieco

va / e non guarda dove va / rassomiglia un poco a me / madame / madame / ma l’amore come va / zoppicando qua e là / ma tu insisti che mi vuoi / madame». Sul lato B del singolo c’è Un uomo da bruciare. In una versione dal vivo Renato Zero interpreta Madame con Alexia.Madame Belgio, 1981. Autore: Barzotti. Inter-prete: Claude Barzotti Figlio di italiani emi-grati in Belgio negli anni ’50, Francesco “Claude” Barzotti è ancora oggi riconosciuto come uno dei maggiori esponenti del pop e della varieté francai-se non francesi. L’esordio è di quelli straordinari, con questo brano da lui composto, estremamente orecchiabile e avvolgente, che dà anche il titolo al primo album: vende 400mila copie e sfonda nelle classifiche francesi e belghe contribuendo a lanciarlo nel mainstream.Madame Sitrì Italia, 2009. Autore: Rondelli. Interprete: Bobo Rondelli Da almeno due decenni in molti, tutti coloro che lo hanno incrociato sulla loro strada, aspettano che Bobo Rondelli raggiunga il successo che il suo talento immenso meriterebbe. Ma forse non accadrà mai. Come il suo concittadino (e riferimento princi-pale), il livornese Piero Ciampi, anche Rondelli vuole rimanere nel suo bar, con i suoi amici, e pagarsi con i soldi dei dischi e dei concerti una vita appena un po’ più dignitosa degli abitanti di Shangai, il quartiere operaio di Livorno dov’è nato. Ma con Per amore mio, l’album del 2009 arrivato dopo la collaborazione (poi abortita) con Stefano Bollani e quella (abortita anch’essa) con Filippo Gatti, Bobo Rondelli raggiunge forse per la prima volta una completa e autonoma maturità artistica, compositiva e interpretativa. Di questo album più che notevole, ma pressoché ignorato dal grande pubblico, Madame Sitrì è il pezzo di punta. Richiami ovvi alla Livorno di Ciampi, ma anche a Umberto Bindi e a Buscaglione. È stata, diciamo, uno dei migliori «alti» della para-bola continuamente ondeggiante tra alti e bassi di questo genio per ora non abbastanza riconosciuto della canzone italiana.Made in Heaven Gran Bretagna, 1985. Auto-re: Mercury. Interpreti: Freddy Mercury, Queen C’è un non so che di inquietante nel fatto che il più venduto album della storia dei Queen sia Made in Heaven, realizzato dalla band britan-nica quattro anni dopo la morte del frontman Freddie Mercury, utilizzando tracce vocali da lui incise nell’ultimo periodo della sua vita, peral-tro proprio allo scopo di lasciare al suo gruppo

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qualcosa su cui esso potesse continuare a lavorare dopo la sua dipartita. Il pezzo eponimo, del resto, era già stato inciso da Mercury parecchio tempo prima, nel 1985, all’interno del suo primo album solista, Mr. Bad Guy: i Queen superstiti ne trasse-ro la traccia vocale e ci risuonarono sopra a mo-do loro, facendo di questa canzone il singolo di punta dell’album a cui - molto significativamente - avrebbero dato lo stesso nome. Non mancò chi ebbe da ridire sulla liceità morale dell’operazione, che il pubblico, tuttavia, mostrò, e non poco, di apprezzare. Made in Heaven, in ogni caso, fu l’ul-timo album di inediti realizzato dai Queen.Mademoiselle chante les bleus Francia, 1988. Autori: Barbelivien, Mehdi. Interprete: Pa-tricia Kaas Blues annaffiato nel pop, è il singolo di lancio di Mademoiselle chante, primo album di Patricia Kaas, interprete raffinata che verrà alla luce come una delle maggiori protago-niste della chanson francese non solo in patria ma anche in tutto il mondo francofono e germano-fono. Scritto da Didier Barbelivien, uno dei mag-giori autori francesi contemporanei, nonostante il sound particolare, il brano trova grande riscontro in patria, lanciando l’artista.Madison fra gli angeli Italia, 1962. Auto-ri: Donaggio, Corso. Interprete: Pino Donaggio Tipica canzone-spot per un ballo che si andava affermando: «è il nuovo ballo / è il nuovo ballo / è il nuovo ballo che ti voglio insegnar / Questo è il madison, madison, madison», e così via proseguendo con l’invito in pista alla pupa da conquistare. Canta Pino Donaggio in un mo-mento scanzonato della sua carriera, che però fa arrivare il 45 giri fino al nono posto in classifica: il merito, però, è soprattutto di Vestito di sacco, il lato A del singolo.Madonna de lu Carmene Italia, 1975. Autore: De Simone. Interprete: Lina Sastri Dallo spettacolo teatrale Masaniello di Elvio Por-ta e Armando Pugliese per raccontare una delle feste più amate dai napoletani e insieme una delle figure religiose che maggiormente catturano la loro venerazione. Così dalla celebre edizione del 1647, cioè dalla rivolta di Masaniello, in un lega-me strettissimo tra povertà e religiosità popolare. La riporta alla luce Lina Sastri alla metà degli anni Settanta.Madonna delle rose Italia, 1952. Autori: Fiorelli, Ruccione. Interprete: Oscar Carboni «Dico al cuore: prega e spera / chi t’amava tornerà / ed il cuore questa sera prega chi m’ascol-

terà / Madonna delle rose, riportami il sorriso / di quella che cantava in questa casa!». Non era inusuale, almeno fino agli anni ’60, imbattersi in canzoni come queste, in cui l’innamorato, onde risolvere i suoi guai, ricorreva all’appello alle po-tenze celesti. Scritta da Mario Ruccione e Peppi-no Fiorelli, arriva quarta al Festival di Sanremo del 1952 grazie a Oscar Carboni, che la porta an-che tra i brani più venduti dell’anno. A pochi me-si dopo risale l’interpretazione di Claudio Villa.Madonna di Venere Italia, 1987. Autore: Castelnuovo. Interprete: Mario Castelnuovo L’ultima - almeno fino a oggi - partecipa-zione di Mario Castelnuovo al Festival di Sanre-mo, habitat che non doveva essere propriamente quello suo naturale e nel quale dava l’impressione di stare come un pesce fuor d’acqua. Finì infatti per classificarsi terz’ultimo, cioè ventiduesimo, ma la cosa ebbe nonostante tutto l’aspetto di un’occasione sprecata: dotato di una vena parti-colarmente felice, Castelnuovo sembrava infatti in grado di poter aprire una via alternativa nel cantautorato italiano, e probabilmente lo fece, seppure lontano all’attenzione del grande pubbli-co, che forse trovava troppo complessa la storia di questo miracolo di inizio secolo (un bambino, creduto morto per la febbre spagnola, si risveglia-va all’improvviso sentendo le campane della chie-sa, appunto di Madonna di Venere). Pubblicata nell’album Venere, con gli arrangiamenti dell’ex Stadio Fabio Liberatori.Madre dolcissima Italia, 1989. Autore: For-naciari. Interprete: Zucchero «Ti amo xché ne ho bisogno / non xché ho bisogno di te / io vago nel vento / vado però». Uno dei brani «se-ri» di Oro, incenso & birra, contraltare riflessivo delle più scatenate Overdose (d’amore) o Diavolo in me. Il tema, tuttavia, è sempre lo stesso, l’uo-mo solo dopo che la sua donna lo ha lasciato e che contempla attorno a sé la dissoluzione della sua vita, della sua quotidianità («niente di nuovo / tranne l’affitto per me», ovvero un tetto sotto il quale vivere e da prendere a pigione), e forse anche quella del mondo intero vista la selva di cattive notizie tramandate dai telegiornali. Qua-le appello per uscirne? «Mama salvami l’anima»: poiché del resto a Zucchero la commistione di sacro e profano è sempre piaciuta, e non poco. Il vocalizzo finale è di Lisa Hunt, la vocalist prefe-rita di Zucchero, che più tardi ne avrebbe offerta una versione propria nello spettacolo per i venti-cinque anni di Woodstock (in «Woodstock ’94»).

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Quanto a Zucchero, dopo averla lanciata sul mer-cato estero col titolo di Mama, ne ha inciso una versione in duetto con Johnny Halliday nel suo Greatest Hits del 1997 (versione francese).Madre hay una sola Argentina, 1930. Au-tori: de la Vega, Bardi. Interpreti: vari Si racconta che uno dei migliori interpreti del tango Madre hay una sola, Carlos Gardel, telefonasse tutti i giorni alla madre dagli Stati Uniti, esortan-do anche i suoi più cari amici a farle compagnia e parlare con lei. Si legge, in una sua lettera del 1934: «Voglio lavorare per me, per sistemare la mia mammina e per godere del lavoro di trent’an-ni con quattro vecchi amici». L’immagine mater-na rappresentava, nell’Argentina degli anni ’20 e ’30, la concretizzazione del concetto di amore puro e assoluto: la madre, infatti, era la custode di un amore che non avrebbe mai subito tradimenti o abbandoni, fedele al fianco del suo amato, per sempre. «Pagando antiguas locuras y ahogando mi triste queja / Volvi a buscar en la vieja aquel-las hondas ternuras / Que abandonadas deje, y al verme nada me dijo / Por mis torpezas pasadas... palabras dulcificadas / De amor por el hijo, tan solo escuche». (Pagando antiche follie e soffocan-do il mio triste lamento / sono tornato a cercare in mia madre quelle tenerezze profonde / che ave-vo abbandonato, e quando mi ha visto non mi ha detto nulla / dei miei errori passati / dolci parole / di amore per il figlio / solo questo ho sentito).Madre terra Italia, 2008. Autori: Marielli, Kaballà. Interpreti: Tazenda & Francesco Renga Dopo il duetto con Eros Ramazzotti, quello con Francesco Renga, sempre alla ricerca del canto perduto di una terra. Alla smorzata melodica delle strofe, si aggiunge qui un ritor-nello quasi interamente in italiano, mentre tutto il resto, comprese le parti interpretate da Renga, sono in dialetto sardo: «Madre terra, mama istel-la / vittima antica / di ogni guerra / bella mama addolorada / rispondi al grido / della follia». Si trova nell’omonimo album, il secondo pubblica-to dai Tazenda con la Radio Rama, l’etichetta di Ramazzotti, che mise a disposizione della band anche alcuni tra i propri collaboratori: il testo, infatti, è di Kaballà.Mãe preta (poi «Barco negro») Brasile-Portogallo 1954. Autori: Piratini, Caco Velho (Mourão Ferreira). Interpreti: vari Il brano Mãe Preta sancì l’inizio della carriera in-ternazionale di Amália Rodrigues. Accadde che nel 1954 una troupe francese si recò in Portogal-

lo per girare il film Gli amanti del Tago, e avendo bisogno di una cantante che interpretasse un «fado», si mise ad ascoltare le incisioni delle arti-ste più considerate dell’epoca. La scelta fu subito chiara: la Rodrigues incarnava perfettamente il modello di fadista di cui il film aveva bisogno. Dalla Francia la voce di Amália risuonò successi-vamente in tutto il mondo, e nonostante il film non fosse un grande successo c’era chi affermava di andarlo a vedere solo per l’interpretazione di Barco Negro. Questo titolo venne dato al brano Mãe Preta dopo l’apposizione di un nuovo testo da parte di David Mourão Ferreira, sulle note del brano originale, e divenne più conosciuto e famoso del primo. L’uscita del film fece sì che Barco Negro fosse cantato in tutta la Francia, e che Amália fosse presto invitata all’Olympia. A scrivere il pezzo originario furono due composi-tori brasiliani, Piratini e Caco Velho, e la sua pri-ma interpretazione si dovette a Maria da Con-ceição. Secondo la stessa Amália, Barco Negro fu un brano sempre molto difficile da cantare, sia per le escursioni melodiche che per l’interpreta-zione del grido «São loucas São loucas» (Sono pazze, sono pazze), da cui è caratterizzato: l’urlo della donna, protagonista del pezzo, inveisce contro le malelingue del paese, che affermano l’impossibilità di rivedere il suo amato, partito per sempre.Il maestro Italia, 1990. Autore: Conte. In-terprete: Paolo Conte Il maestro è una canzone che Paolo Conte ha scelto di inserire in Parole d’amore scritte a macchina, suo album del 1990 che arrivò fino al nono posto della classifica e fu in generale il numero trentasette più venduto dell’anno. Un pezzo di grande profondità, dove il maestro è un direttore d’orchestra che deve fare i conti tanto col proprio estro, tanto con la neces-sità di dare un indirizzo rigoroso ai musicisti che sta dirigendo «con la perfidia che scudiscia ogni viltà» (ma il discorso è anche molto metaforico di quanto l’arte debba al controllo rispetto al libero genio). Classico di Conte, anche se scarsamente riproposto in live o raccolte.Maestro della voce Italia, 1980. Autori: Di Cioccio, Mussida, Premoli, Djivas, Fabbri. Interpreti: Premiata Forneria Marconi Dedicata a Demetrio Stratos, che era scomparso meno di un anno prima suscitando grande com-mozione nel mondo musicale italiano. La PFM lo ricorda con una canzone destinata a far parte della produzione più alta del gruppo e in cui lo

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scenario di periferia fa da contraccolpo rispetto alla solitudine della voce narrante «di giorno e di notte io / per campare / parlo di stelle, di don-ne, di canzoni da imparare / in giro per Milano / sotto un cielo sempre nero / occhi chiari e un’e-spressione per guardare». La tessitura musicale è una delle pagine nobili del rock nostrano, con l’intro di basso a fare da indimenticabile apripista. Dall’album Suonare suonare.Il maestro di violino Italia, 1976. Autori: Modugno, Caruso, Baudo. Interprete: Domeni-co Modugno Intuiti i non trascurabili vantaggi che poteva comportare inoltrarsi lungo un sentiero strappalacrime, Domenico Modu-gno doppiò con Il maestro di violino l’operazione compiuta un anno prima con Piange... il tele-fono. Per protagonisti scelse, appunto, un inse-gnante di musica e la giovane allieva del quale l’uomo s’innamorava - ricambiato - nonostante «trent’anni di più». «L’amore più grande del mondo / nato troppo tardi ormai / per un uomo come me / innamorato di te». Musica di Pippo Caruso (e, senza che nessuno l’abbia saputo per anni, di Pippo Baudo) e testo di Domenico Mo-dugno, non replicò lo strepitoso successo della canzone precedente, ma arrivò comunque al ter-zo posto della classifica, offrendo il destro per un film omonimo (col regia di Giovanni Fago), nel quale Domenico Modugno vestiva i panni del personaggio principale e Rena Niehaus in quelli della ragazza.Mafia Italia, 1961. Autori: Modugno, Pazzaglia. Interprete: Domenico Modugno Titolo lapidario per una canzone scritta da Domenico Modugno appositamente per il cinema, visto che faceva da tema guida a Onorata società, girato da Riccardo Pazzaglia (che compone anche il testo del brano). Modugno partecipò alla pellicola an-che come interprete, calandosi nelle vesti di uno spietato capoclan, per di più zoppo. Cesellare la finzione non gli fu difficile: in quel periodo il «cantattore» era stava effettivamente curando i postumi di una frattura a un ginocchio.Magari Italia, 2003. Autori: Renatozero, We-sley. Interprete: Renato Zero Interminabile panegirico (dura quasi sei minuti) accompagnato esclusivamente da un filo di elettronica, Magari ha ottenuto una grande attenzione da parte del pubblico per quella capacità tutta peculiare di Renato Zero di incrociare amore e inquietudini esistenziali fino al patetismo: «Non mi spaventa niente / tranne competere con l’amore / ma que-

sta volta dovrà riuscirci / guardarti in faccia senza arrossire / magari / Se tu mi conoscessi / certo che non mi negheresti / due ali / che ho un gran disordine nell mente / e solo tu mi potrai guarire / rimani!». Presentata nel corso del programma Torno sabato condotto da Giorgio Panariello (a sua volta grande imitatore di Zero), fa parte del fortunatissimo album Cattura, che toccò il primo posto in classifica e fu il sesto più venduto dell’an-no. Le altre canzoni significative sono Come mi vorresti e A braccia aperte.Maggese Italia, 2005. Autore: Cremonini. In-terprete: Cesare Cremonini Il maggese è il periodo di tempo che bisogna far «riposare» al campo prima di seminarlo di nuovo. Dal linguag-gio dell’agricoltura il termine si trasferì nella can-zone italiana nel 2005, quando Cesare Cremonini ne fece il titolo del suo secondo album da solista e insieme di uno dei suoi pezzi più rappresentativi (ma già un «maggese» era comparso timidamente nel 1996 in Vorrei di Francesco Guccini). Eppure non c’era solo la novità della parola o l’indubbia attrazione del suo suono: «Cos’avrò se la notte mi dà nostalgia?» si chiedeva lamentoso Cremonini «se non ho fantasia / non posso scegliere!», e infi-ne concludeva, calcando la mano sulla metafora: «Ogni volta, ogni maggese che ritorna / a dar vita a un seme / sarà vita nuova anche per me». Il ter-reno è brit pop, la spinta è vivace, come sempre in Cremonini quando l’amor perduto vela insieme speranza e ironia.M’aggia cura’ Italia, 1940. Autori: Pisano, Cioffi. Interprete: Nino Taranto La cop-pia Cioffi-Pisano la scrisse quando le ombre della guerra incombevano ormai anche in Italia, Nino Taranto la lanciò, segnando col proprio successo la voglia del paese di lasciarsi andare a qualche sorriso prima della catastrofe. Tema: il mal di te-sta procurato dai guai in amore. Un classico di genere, interpretato anche da Peppe Barra e da Ginevra Di Marco.Maggie Italia, 2001. Autori: Zuppini, Mo-schetto, Di Franco. Interprete: Moses Avere tra le mani una voce atipica e straordinaria come quella di Sergio Moschetto, in arte Moses, e proporla al Festival di Sanremo con una canzone melodica e ad alto tasso di zucchero può sem-brare a molti uno spreco: eppure questa Maggie un suo quarto d’ora di gloria piuttosto meritato finì per averlo e in ogni caso riuscì comunque a mettere in evidenza il suo interprete aprendogli una strada che qualche anno dopo ne farà per di-

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verso tempo la voce fissa di Domenica In. Maggie è la ragazza a cui basta un solo passo per cedere all’amore: «oh Maggie non vedi / come esplode dentro me».Maggio senza rose Italia, 1956. Autori: De Crescenzo, Rendine. Interpreti: Giacomo Ron-dinella, Nunzio Gallo «Maggio senza rose... / core senza ammore... / Quante e quanta cosa / io te vulesse dì / Core senza core / vocca senza vocca...». Il binomio maggio-rose è uno dei più battuti dalla tradizione, ma questa canzone - scritta da Vincenzo De Crescenzo, già autore di Luna rossa - lo rivisita con una certa eleganza. Al Festival di Napoli del 1956 viene eliminata alla prima serata, ma riesce comunque a scavarsi un piccolo posto nel repertorio partenopeo dell’epo-ca. La ricanta anche Franco Ricci.Maggie May Gran Bretagna, 1971. Autori: Stewart, Quittenton. Interprete: Rod Stewart Un brano essenzialmente rustico ma in qualche modo stravagante, con Stewart che sem-bra soffrire con la sua voce strangolata, quasi un soffio, mentre narra il passaggio alla maggiore età di un ragazzo che si innamora di una donna più grande ma che alla fine viene respinto. Rod Ste-wart scrisse il brano insieme al chitarrista Martin Quittenton, autore dell’introduzione con la chi-tarra dodici corde. Sei minuti di durata, la trovata della celesta che accompagna gli ultimi versi, ma sopra ad ogni altra considerazione la stridente ma espressiva voce di Stewart.Maggio Italia, 1934. Autori: Bixio, Cheru-bini. Interprete: Memè Bianchi Primo successo della Bianchi, favorito dall’incorag-giamento della famosa coppia di autori. Voce vellutata e lunga attività radiofonica, anche se la cantante, grazie alla sua avvenenza, lavorò come soubrette nelle riviste della compagnia Schwarz. Maggio si’ tu Italia, 1913. Autore: E.A. Ma-rio. Inteprete: Elvira Donnarumma Mag-gio: mese per eccellenza di amori e di struggenti ricordi. Una delle prime canzoni a celebrarlo fu l’appassionata Maggio si’ tu, dal repertorio napo-letano classico di inizio anni Dieci del Novecen-to: «Hann’a canta’ ca pure ammore passa e nun more! / e chi ha vuluto bbene / se sente dint’ e vene / cchiu ardente ’a giuventù / maggio si’ tu». Lanciata da Elvira Donnarumma, venne traman-data a tempi più recenti dalle interpretazioni di Sergio Bruni, Roberto Murolo, Tullio Pane, Mir-na Doris e Angela Luce.

Maghetta Sally Italia, 1981. Autore: Tom-maso. Interpreti: Nadia Biondini con I Piccoli Cantori Di Milano Non tutti i cartoni animati possono vantare una sigla di coda distinta dalla si-gla di coda, non almeno in tempi recenti, quando molto minore al passato è la cura della confezione di questo genere di prodotti. Diversamente fu all’inizio degli anni Ottanta, come prova il carto-ne Sally la maga, di cui appunto questo brano è la sigla di chiusura. Una canzoncina divertente, con la musica e il testo si sposano per rivestire la storia di colore. Canta Nadia Biondini insieme al coro dei Piccoli Cantori di Milano.Magic moments USA, 1958. Autori: David, Bacharach. Interprete: Perry Como Pri-mo hit internazionale di Burt Bacharach, affida-to alla suadente voce di Perry Como. In Italia il brano divenne immediatamente popolare grazie al fatto di esser sigla del Perry Como Show, che da noi andò in onda addirittura doppiato. Testo italiano di Nisa e Calibri.Magica magica Emi Italia, 1986. Autori: Martelli, Valeri Manera. Interprete: Cristina D’Avena «Lo strano braccialetto / che in-dossa sempre May / è il dono di un folletto / che è sempre accanto a lei». Esordio delizioso di una sigla che distingue strofe di atmosfera molto fa-volistica a un ritornello più incalzante e deciso. C’è anche un bridge che per alcuni secondi spezza l’inciso, sospendendo l’atmosfera come in attesa che la protagonista compia una delle sue magie. Il cartone omonimo andò in onda per la prima volta durante l’estate del 1986. Contemporane-amente ne fu pubblicato il 45 giri, che sul lato B aveva la sigla di un altro cartone, Holly e Benji, due fuoriclasse, che nel tempo sarebbe diventato molto più popolare. Entrambi i temi erano stati scritti da Giordano Bruno Martelli col testo della Valeri Manera. Compare anche nella compilation Fivelandia 4.Magnolia Italia, 2003. Autori: Bruni, Salvi, Petricich, Li Causi, Barbacci. Interpreti: Negrita «Pioggia io sarò / per toglierti la sete / e sole salirò / per asciugarti bene / vento arriverò / per poterti accarezzare / ma se vuoi / se tu vuoi / tra fango e neve, fango e neve impazzirò». I Ne-grita avevano provato il colpaccio al Festival di Sanremo del 2003, ma la faccenda si era risolta quasi in flop. La situazione si risollevò tuttavia in estate, quando il gruppo tirò fuori dall’album Ehi! Negrita questa accattivante Magnolia, a cui ben poche radio seppero resistere. Fu un gran

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successo, anche se poco indicativo della linea rock del gruppo, qui ammorbita in chiave melodico-sudamericana. Intanto però le vendite crebbero, portando la band al traguardo del primo Disco d’Oro.Il mago della pioggia Italia, 1993. Autori: Vecchioni, Paoluzzi. Interprete: Roberto Vec-chioni Una delle più intense canzoni di Roberto Vecchioni, nonché una delle più amate dal suo personale «zoccolo duro» di fan, tant’è che non si capisce (al di là - forse - del conte-sto privato) per quale motivazione il suo autore non ne abbia fatto un singolo. Contraddistinta da un bel contrasto ritmico, melodico e timbrico tra strofe e refrain, trova tuttavia la sua ragione di forza nel testo, ispirato - appunto - dalla moglie Daria, allora in attesa dell’ultimogenito Edoardo: «io lo farò per te / perché ho soltanto te / quando qualcuno se ne andrà / se un tuo figlio soffrirà / dove quell’ombra tornerà / ... / guarda / batterò le mani e finirà il dolore / dove tu piangevi invente-rò un amore». Fa parte dell’album Blumùn, fino al quarto posto in classifica.Il mago Pancione etccì Italia, 1983. Auto-ri: Macchiarella, Carraresi. Interpreti: Andrea e Sabina Una sigla un po’ dimenticata, anche se il personaggio protagonista di questo cartone è ancora abbastanza popolare tra gli ex-bambini degli anni Ottanta (la serie è stata scarsamente riproposta in seguito). La canzone in ogni caso fa parte del filone dei pezzi allegri e divertenti, dove anche il caratteristico starnuto del mago Pancione diventa un elemento chiave per farne risaltare la vivacità. I due interpreti, Andrea e Sabina, sono due bambini.Il magone Italia, 1964. Autori: Icardi, Guar-nieri. Interprete: Mimì Berté La giovane appena sedicenne arrivata dalla Calabria insieme alla madre e alla sorella minore si chiamava Mimì Berté: Carlo Alberto Rossi credette in lei e l’aiutò a incidere i suoi primi 45 giri, il terzo dei quali aveva sul lato A Il magone «il magone non è un grosso mago... ma / il magone è quel nodo che ho qui / quando non ci sei». Primissimo successo della cantante che dopo qualche anno avrebbe assunto lo pseudonimo di Mia Martini.Mai come ieri Italia, 1998. Autore: Venuti. Interpreti: Mario Venuti e Carmen Consoli È stata la prima canzone importante della carriera solista di Mario Venuti, anche per merito di Car-men Consoli che lo affiancò nell’interpretazione. Il resto però lo fa tutto l’ex Denovo, che è l’autore

- testo e musica - di questa canzone molto legata al pop, ma anche contraddistinta da una preci-sa per quanto inquieta vena d’autore («non può essere mai come ieri / mai più la stessa storia», riflettono i due protagonisti descrivendo la loro storia). Diviene uno dei maggiori successi radio-fonici del 1998, ma l’omonimo disco non riesce a sfondare.Mai come voi Italia, 1994. Autori: Toffolo, Molteni, Masseroni. Interpreti: Tre Allegri Ra-gazzi Morti «Non saremo mai come voi / Non saremo mai come voi, siamo diversi / Puoi chiamarci se vuoi / Puoi chiamarci se vuoi ragazzi persi»: è il brano manifesto dei Tre Allegri Ragaz-zi Morti, chiaro avvertimento anche sulle inten-zioni della band di rendere nascosta la propria immagine attraverso il gioco delle maschere che ha finito per renderli famosi. Si tratta anche del primissimo pezzo del gruppo, pubblicato all’in-terno dell’EP d’esordio Mondo naif. A lanciarla definitivamente però l’album Mostri e normali, che arriva cinque anni dopo.Mai dire mai Italia, 1960. Autori: Salvi, Te-stoni. Interprete: Peppino di Capri Brano che risente sicuramente dell’atmosfera del night di quegli anni ma che improvvisamente diventa un tema swing (poteva essere altrimenti avendo come autore Giancarlo Testoni, allora direttore del mensile Musica Jazz?), forse non il genere più indicato per il cantante.Mai per amore Italia, 2011. Autori: Nanni-ni, Santacroce. Interprete: Gianna Nannini Dedicata al tema sempre delicato della violenza sulle donne, in particolare la violenza familiare, a cui sono dedicate le quattro parti del progetto ci-nematografico a cui il pezzo farà da sigla. Gianna Nannini la scrive assieme a Isabella Santacroce, affiancando la consueta formula melo-rock archi e chitarre a un testo pregevolmente implicito: «quasi mai / ho goduto tra le braccia dell’inferno che mi dai / quasi mai / quasi mai / il tuo silenzio uccide un cuore andato in cenere». Dall’edizione deluxe dell’album Io e te.Mai più come te Italia, 2003. Autore: Baglio-ni. Interprete: Claudio Baglioni «La sta-gione delle piogge arriva qua / alla stazione della mia malinconia / e scende il tiepido acquazzone di una lacrima / sull’ultima tua voce che ho in segreteria». Un Claudio Baglioni un po’ a metà tra l’appeal immediato dei suoi primi anni e l’in-timismo sofisticato imparato a coltivare nel tem-po grazie a un lavoro di perfezionamento sempre

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più esigente. Solo il refrain ne muta un po’ gli equilibri, consegnandola a quel pubblico da me-ga-concerto alla ricerca di una cantabilità fluida e corale. È uno dei singoli estratti dall’album Sono io l’uomo della storia accanto e anche una delle canzoni più famose dei dischi recenti di Baglioni.Mai più noi due Italia, 2005. Autore: Trane. In-terprete: Dolcenera Al di là dell’intrinseco valore di questa struggente ballata rock, è indubbio che il contesto del lancio di Mai più noi due abbia non poco fatto da veicolo (almeno emotivo) alla sua affermazione: Dolcenera lo interpretò infatti per la prima volta dagli studi del reality show Music Farm all’indomani del distacco da Francesco Bac-cini, eliminato dalla competizione per una bestem-mia in diretta. Il frangente alimentò nel pubblico l’impressione che il brano fosse stato scritto a due mani o che comunque avesse un valore dedicatario nei confronti del cantautore genovese, che invece Dolcenera aveva respinto dopo un vago flirt. Il testo, in effetti, era ambiguo al punto giusto, ri-flettendo tutti i canoni della canzone d’addio: «Io non lo so se è meglio amarti invano o non amarti per niente / io non lo so se non smetterai mai di mancarmi». La cantante finì col vincere la gara, rilanciando così la propria carriera dopo la battu-ta d’arresto conseguente l’esclusione dal Sanremo 2004, che invece le spettava di diritto. Il pezzo fu pubblicato in due versioni (di cui una acustica) nell’album Un mondo perfetto, che ebbe un discre-to riscontro commerciale.Mai più sola Italia, 1996. Autore: Mattone. Interpreti: Neri Per Caso Ammessi d’uf-ficio alla categoria Big dopo aver vinto l’anno prima la sezione Giovani, al Festival di Sanremo del 1996 i Neri per Caso cambiarono astuta-mente registro, rinunciando all’interpretazione a cappella per l’accompagnamento orchestrale su una chiave soul. La loro eccellenza tecnica non ne fu minimamente scossa, tantomeno l’atmosfera gentile che avevano portato dodici mesi prima sullo stesso palco: era chiaro però che la mossa era stata studiata per fare in qualche modo un passo avanti rispetto all’anno precedente, o comunque per mostrarsi capaci di muoversi anche in altre di-rezioni. Si classificarono quinti, ma fu soprattutto nelle vendite che il simpatico sestetto napoletano fece un sensibile passo indietro (il loro album Strumenti fu infatti solo il sessantanovesimo più venduto dell’anno, mentre Le ragazze era stato il quarto del ’95). Il testo: «ma se stasera ti senti sola / e ti inseguono i tuoi pensieri / chiudi la porta /

cacciali fuori / è la notte dei desideri / dove sei / io non posso aspettarti più / voglio amarti come vuoi tu / stasera / e non sarai più sola mai».Maida Vale Italia, 1975. Autori: Bartolini, Dearca. Interpreti: Stradaperta La canzone più famosa del gruppo degli Stradaperta, fino alla metà degli anni Ottanta band di accompagna-mento di Antonello Venditti durante i concerti. Il titolo fa riferimento al quartiere di Londra dove è ambientata la vicenda, un vecchio e un ragazzo che si incontrano nei pressi della stazione della metro. La troviamo già nel ’75 nell’album live collettivo Domenica musica, ma quattro anni dopo dà il titolo al loro primo LP.Main dans la main Francia 1980. Autori: Quilliard, Medeiros. Interprete: Elli et Jacno Breve ma intensa la carriera in duo di Elli et Jacno, duo electropop francese di inizio anni ‘80, che ha sfornato quattro album in altrettan-ti anni, ma il cui successo è soprattutto relativo ai primi due singoli, di cui questo è il primo, quello d’esordio. Successivamente il sodalizio, nato da una precedente comune esperienza in un gruppo punk (gli Stinky Toys) si scioglie. Elli Medeiros, nata in Uruguay e trapiantata in Francia all’età di dieci anni, intraprende una buona carriera solista e, parallelamente, quella da attrice (ancora di maggior successo), mentre Denis Jacno Quilliard oltre all’attività di can-tautore affianca quelle di produttore e autore per altri artisti.Malasierra Italia, 1953. Autore: Redi. In-terprete: Nilla Pizzi Brano inserito nel film di Duilio Coletti I sette dell’Orsa Maggiore, con Eleonora Rossi Drago, Tino Carraro e Pa-olo Panelli. Nella versione cinematografica l’in-terpretazione è di Lina Lancia, ma a portarla al successo fu Nilla Pizzi con la sua magistrale esecuzione. Un malato di cuore Italia, 1971. Autori: De André, Piovani, Bentivoglio. Interprete: Fabri-zio De André Per De André l’unico personaggio «positivo» di Non al denaro, non all’amore, né al cielo, visto che, come sottolinea anche nelle note di copertina, riesce a sconfig-gere l’invidia con l’amore. Muore mentre dà il suo primo bacio, però è una morte che al tempo stesso è un riscatto, visto che gli con-sente, grazie a quel gesto, di lasciarsi alle spalle una vita di limitazioni e privazioni. Scritta con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani, come tutte le altre del disco.

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Malepensiero Italia, 1957. Autori: Russo, Acampora. Interprete: Tullio Pane Sette anni dopo aver vinto una borsa di studio in-detta dalla Scala e due dopo aver vinto il Fe-stival di Sanremo con Buongiorno tristezza (in coppia con Claudio Villa), il cantante napole-tano interpreta con stile questa beguine poco conosciuta. Making your mind up Gran Bretagna, 1981. Autori: Hill, Danter. Interpreti: Bucks Fizz La canzone, un tempo dei primi anni ’80 con ancora molte influenze del decennio prece-dente, segna oltreché la vittoria britannica all’Eu-rovision Song Contest, un preciso spartiacque nella storia del concorso. Il progetto segna l’esor-dio del progetto Bucks Fizz: due ragazze e due ragazzi messi insieme appena due mesi prima, più per il loro aspetto fisico che per le loro vocali, cui viene dato il nome di un popolare cocktail. Ac-compagnano l’esibizione con un balletto di poche semplici mosse e un pudico «strip» dei ragazzi alle ragazze: sfilano loro le gonne lunghe, rivelandone sotto altre molto più corte. Vincono la selezio-ne britannica a sorpresa, battendo i leader delle chart del momento e poi per soli 4 punti portano a Londra il trofeo: da questo momento in poi le coreografie e i balletti, oltre al look assumeranno un ruolo sempre più importante nella storia del concorso. Il brano riscuote grande successo gua-dagnando la vetta in otto paesi, la top 5 in altri 5 e la top 10 in altri due. La loro carriera discografica proseguirà per un decennio, con riscontri sempre minori. A livello live, pur con alcuni cambi di formazione, sono tuttora attivissimi. Dal 2004 al 2007, in loro onore, la BBC intitolerà la selezione per l’Eurovision proprio come questo brano.Mal d’Africa Italia, 1983. Autore: Battiato. In-terprete: Franco Battiato «Dopo pranzo si andava a riposare / cullati dalle zanzariere e dai rumori di cucina / ... / sentivo parlare piano per non disturbare / ed era come un mal d’Africa, un mal d’Africa». I ricordi d’infanzia di Franco Bat-tiato, filtrati secondo un gusto per l’esotismo che nel contesto diventa efficace metafora dai risvol-ti emotivi. Molto affascinante (anche laddove il cantautore accosta italiano e inglese). La troviamo in Orizzonti perduti del 1983 e un paio d’anni dopo, incisa da Alice, in Gioielli rubati.Mala dama Repubblica Ceca, 2007. Autore: Kabat. Interprete: Kabat La prima parte-cipazione della Repubblica Ceca all’Eurovision Song Contest è marchiata dalla presenza di una

band molto popolare nel proscenio rock nazio-nale, i Kabat. La scommessa è fare innamorare il pubblico di una ballata rock cantata in ceco, per la prima volta presente sul palco europeo. Missio-ne fallita. Appena un punto in semifinale.La maladie d’amour Francia, 1973. Autori: Sardou, Dessca, Revaux. Interprete: Michel Sar-dou Su armonie che ricordano il canone di Pachlebel, esce una delle canzoni più impor-tanti del decennio francese, una delicata strug-gente chanson d’amore che mette in risalto anche le doti interpretative di Sardou, personaggio di spicco del settore. È la canzone che dà anche il ti-tolo all’album ed è anche il suo maggior successo in ambito radiofonico, in una carriera ultraqua-rantennale che prosegue ancora.Malafemmena Italia, 1951. Autore: De Cur-tis. Interpreti: Totò, Mario Abbate Musica e testo del principe Antonio De Curtis, per tutti il celeberrimo Totò, che la scrisse per mettere nero su bianco uno sfogo amoroso, senza probabilmente pensare che avrebbe fatto il giro del mondo. Innumerevoli sono le versioni di que-sta canzone immortale, che appunto per questo non cessa di annoverare seguaci che, anno dopo anno, decennio dopo decennio, continuano a reinterpretarla o a utilizzarla come punto di ri-ferimento (un disco di Gianna Nannini, neanche a dirlo, si chiama proprio Malafemmena, e non è neanche un disco di canzoni napoletane). E pensare che Totò non volle mai inciderla e anche per il lancio la affidò in appalto, per limitarsi a cantarla solamente in qualche sporadica occasio-ne. L’incaricato al battesimo, Mario Abbate, la fece debuttare durante il Festival di Piedigrotta, al teatro Augusteo di Napoli e subito la canzone ebbe un successo straordinario che si moltiplicò nella gran selva delle versioni, dall’immancabile Claudio Villa, a Teddy Reno, Renato Carosone, Roberto Murolo, Fred Bongusto, Luciano Tajo-li, Fausto Cigliano, Nunzio Gallo, Lina Sastri, e per l’estero Connie Francis. Più azzardate furono le versioni che qualche anno dopo vennero da Fausto Leali (che la riportò anche in classifica) e dai Cugini di Campagna, su esplicita richiesta di Liliana De Curtis, figlia di Totò. Renzo Arbore la incise assieme all’Orchestra Italiana nel primo e più fortunato dei loro dischi (Napoli punto e a capo), mentre Massimo Ranieri la consegnò a Nun è acqua, uscito nel 2003. Ha fatto parte anche dei repertori di Franco Simone e Franco Califano. All’epoca della sua apparizione Totò era

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un personaggio molto popolare: il che non po-teva impedire che si alimentassero fin da subito leggende su chi fosse la dedicataria di questa lenta e malinconica recriminazione disegnata su un filo di chitarra «Femmena, / Si tu peggio ’e na vipe-ra, / m’e ’ntussecata l’anema, / nun pozzo cchiù campà». Si pensò a Silvana Pampanini, con cui Totò si era trovato a lavorare, quando in realtà il suo obiettivo (forse) non era che la moglie, Dia-na Rogliani, che aveva deciso di mollarlo dopo vent’anni di matrimonio. Stessero più o meno così le cose, di «romanzi» ne nacquero comunque a posteriori e tutti destinati alla celluloide: Totò, Peppino e la malafemmina (1956) di Camillo Ma-strocinque e Malafemmena (1957) di Armando Fizzarotti.Malaga Italia, 1963. Autori: Mancini, Bongu-sto. Interprete: Fred Bongusto «Il mio amore è nato a Malaga, Malaga, Malaga / il mio cuore resta a Malaga, Malaga / In quella notte di grande fiesta io t’ho donato il mio cuor / tutto l’amor». Più arioso e meno sussurrato del solito, Fred Bongusto rafforzò con questa canzone il sen-so di fascino che una certa iconografia aveva nu-trito (e avrebbe continuato a farlo non ancora per molto) nei confronti della Spagna, terra «calien-te» per eccellenza e dunque terra di grandi amori. Intrepretazione tra il compiaciuto e il nostalgi-co, accompagnamento in cui il tono sostenuto dell’orchestra si alterna alle sonorità più limpide e argentine dei flauti e dei legni (non mancano, naturalmente, le nacchere). Arrivò al repertorio di Bongusto subito dopo Amore fermati, ma non seppe replicarne il successo commerciale.La malagueña Messico, 1947. Autori: Ramírez, Galindo. Interprete: Miguel Aceves Mejía Secondo alcuni attribuita a Nicandro Castillo, La Malagueña è un brano Huasteco o Huapango conosciuto anche coi ti-toli Malagueña e La Malagueña Salerosa. Narra la storia di un uomo respinto da una passionale donna spagnola (di Malaga, per la precisione, da cui il nome della canzone) a causa della propria indigenza. I mariachi che si cimentano col brano gareggiano nel sostenere più a lungo possibile la «e» contenuta nel titolo. Esiste un brano omo-nimo, Malagueña, sesto movimento della Suite Andalucia di Ernesto Lecuona. Nel 2003 il regi-sta Robert Rodriguez apre il suo film C’era una volta in Messico con Antonio Banderas che esegue il brano alla chitarra e l’anno seguente arrangia ed esegue con la sua band Chingon una travolgente

versione di Malagena che il suo amico Quentin Tarantino inserisce nella colonna sonora di Kill Bill vol. II.Malam Biru Indonesia, 2009. Autore: Son-doro. Interprete: Sandhy Sondoro Pop dal sound internazionale scritto e composto da San-dhy Sondoro, cantautore emergente indonesiano col quale l’artista si segnala come il primo del suo paese ad imporsi nel New Wave contest, festival internazionale che si svolge ogni anno nella città di Jurmala in Lettonia, facendogli guadagnare notorietà nazionale.Malamore Italia, 1977. Autori: Carella, Pa-nella. Interprete: Enzo Carella Secondo 45 giri di Enzo Carella, nonché suo primo successo radiofonico, anche per merito di un testo che fin dal suo titolo rivela una certa simpatia per il ca-lembour. E non potrebbe essere altrimenti, visto che l’autore è Pasquale Panella, che all’epoca forse mai avrebbe potuto immaginare di diventare il successore di Mogol nella storia battistiana, ma che già stava incosciamente coltivando le creden-ziali per l’impresa. Frattanto porta questa e altre canzoni a Vocazione, primo disco del cantante romano.Malamoreno’ Italia, 2010. Autore: Anastasi. Interprete: Arisa Promossa nella sezione Campioni dopo aver vinto quella delle Proposte l’anno precedente, Arisa rilanciò la sua persona-le formula con Malamoreno’, canzoncina in stile anni Quaranta che, oltre a rifarsi all’omonimo successo retrò, inneggiava, per l’appunto, alla so-lidità dei sentimenti contro il naturale passaggio delle cose e degli eventi. L’operazione era molto ben calibrata, almeno quanto lo era stata l’anno prima quella di Sincerità: ciononostante, o forse proprio per questo, il pubblico si fece trovare molto più addestrato rispetto all’anno prima e riservò solo una tiepida accoglienza a una canzo-ne che di nuovo e di diverso aveva in verità ben poco. Il pezzo si classificò comunque per la finale e ottenne anche un discreto successo di pubblico, arrivando fino al quinto posto della classifica e ri-sultando a fine 2010 il ventiduesimo singolo più venduto. Sul palco Arisa fu accompagnata dal trio en travesti delle Sorelle Marinetti, mentre in oc-casione della serata dei duetti ospitò al suo fianco la Lino Patruno Jazz Band.Malarazza Italia, 1976. Autori: Modugno, Loffredo. Interprete: Domenico Modugno È la rielaborazione di Lamento di un popolano al Cristo Crocifisso di Lionardo Vigo,

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studioso di tradizioni siciliane vissuto a fine Set-tecento. Domenico Modugno lo incontra ideal-mente in quella fase della sua carriera in cui il ri-trovato successo andava di pari passo a operazioni ineccepibili sul piano artistico. Questa, almeno, ha una nobiltà tutta diversa che affonda le radi-ci nell’amore impetuoso di Modugno per la sua terra. Dedicata ai cittadini di Bronte, colpiti da secolari vessazioni. La ricantano nel tempo Roy Paci e Aretuska, Teresa De Sio, Carmen Consoli e Peppe Voltarelli.Malatia Italia, 1954. Autore: Romeo. Inter-preti: Armando Romeo, Peppino di Capri Sebbene lanciata dal suo stesso autore Armando Romeo, è indubbio che la popolarità di Malatia si debba a Peppino di Capri, che recuperò il bra-no nel 1959, portandolo fino al ventesimo posto della classifica (ma con una permanenza tale da farne uno dei maggiori successi di quell’anno e di quello successivo). La malatia, naturalmente è la malattia d’amore «ca me passa sulo ’n braccio a te». Di Capri ebbe l’intuizione di associarvi un inciso in inglese e di velocizzarne leggermente il tempo, così da farne esplodere tutte le potenzia-lità già contenute nella versione - essa stessa da night club - di Romeo. Malatia è anche il lato B del 45 giri d’esordio di Mina.Malattia d’amore Italia, 1970. Autori: Al-bertelli, Fabrizio. Interprete: Donatello È il brano più famoso di Donatello, al secolo Giulia-no Illiani, che all’inizio degli anni Settanta visse un periodo di buona popolarità, spinta anche da numerose partecipazioni al Festival di San-remo. Malattia d’amore gli valse la vittoria della Gondola d’Argento alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia del 1971, oltre a un buon successo di vendite, quantificato fino al sesto posto della classifica. Romantica e melodica, grazie ai coretti sullo sfondo il brano anticipava una tendenza che dopo qualche anno sarebbe stata portata alla ribalta da gruppi come i Cugini di Campagna. Sloganistico il testo di Luigi Alber-telli: «Prende solamente il cuore / questa malattia, l’amore». La musica, invece, è di un giovanissimo Maurizio Fabrizio. Hanno lo stesso titolo una canzone e un album di Pupo del 1984.Mala vida Francia, 1988. Autore: Manu Chao. Interpreti: Mano Negra Fol-gorante primo singolo della Mano Negra di Manu Chao, un intreccio inestricabile di rock, ska, ritmi zigani e etnici che prenderà il nome di Patchanka (questo anche il titolo del pri-

mo album della band). Il successo del brano condurrà il gruppo al contratto con la Virgin Records e alla fama globale. Maldon Francia, 1990. Autori: Houllier, Ho-noré. Interprete: Zouk Machine Massime esponenti del genere zouk, la musica che mesco-la il pop ai suoni caldi tipica delle popolazioni creole, le Zouk Machine hanno avuto in questo brano che dà anche il titolo all’album il maggior successo. Sette settimane in vetta e oltre 700mila copie vendute (disco di diamante) è ancora oggi uno dei simboli di questo genere musicale non solo in Francia ma anche nel mondo. Entrò in classifica nella top 10 anche in Olanda.Il male oscuro Italia, 1969. Autore: Luttaz-zi. Interprete: Lelio Luttazzi Il titolo è lo stesso del romanzo di Giuseppe Berto (1964) dedicato alla depressione, parodiato fino alle estreme conseguenze visto che il tema, qui, sono le corna, appunto «il male oscuro / quello che fa picchiar la testa contro il muro», e via seguitan-do con divertenti rime in -uro. Molto spassosa, soprattutto se si pensa all’azzardo di dare una chiave di lettura così leggera a un punto di par-tenza che proprio leggero non era. Esce su un 45 giri pubblicato dalla Vedette.Male rzeczy Polonia, 2011. Autori: Pio-trowski, Grzeczak. Interprete: Sylvia Grzeczak Lanciata da un talent show, la pianista e compo-sitrice polacca è oggi una delle artiste emergenti migliori del panorama nazionale. Questa power ballad è il singolo di lancio del suo secondo al-bum, che raggiunge la vetta e due dischi di platino, portandola anche in cima alla classifica dell’airplay nazionale.Maledetta primavera Italia, 1981. Au-tori: Cassella, Savio. Interprete: Loretta Goggi Il massimo punto d’arrivo della carriera di Loretta Goggi come cantante, sia perché fu la terza canzone italiana più venduta dell’anno, sia perché trasformò in un secondo posto la sua prima e unica partecipazione (come interprete) al Festival di Sanremo. La canzone, scritta da Toto Savio e da Antonio Cassella era in ogni caso il tipico brano melodico d’amore ideato su misura per il cantante dalle buone capacità. Per il resto già alla critica dell’epoca non sfuggirono alcune ingenuità soprattutto del testo «che resta di un sogno erotico», che complice l’interpretazione un po’ enfatica della cantante, rischiavano di sor-tire un effetto quasi comico: almeno quanto lo fu quello suscitato dalle critiche di un gruppo di

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ecologisti, al quale non andava che la primavera fosse definita «maledetta». Evidentemente non la pensò così il milione di persone che acquistò il 45 giri: nessun’altra canzone interpretata dalla Goggi, tuttavia, sarebbe stata in seguito capace di replicare questi numeri e questi consensi.Maledettamericatiamo Italia, 1995. Au-tori: Fornili, Curreri, Roversi. Interpreti: Stadio Una delle sette canzoni del repertorio degli Stadio firmate dal poeta bolognese Roberto Roversi, già autore di Chiedi chi erano i Beatles e, negli anni Settanta, di tutti i testi di tre album di Lucio Dalla. Ad arricchire il brano, un inter-vento di Edoardo Bennato alla armonica e di Fio Zanotti alla fisarmonica, che in questo modo fissarono l’unica collaborazione con il poliedrico gruppo bolognese. La suggestiva introduzione al pianoforte, invece, è di Fabio Liberatori, che fir-mò così il proprio temporaneo ritorno nella band dopo dieci anni. Di chiara ispirazione country, il brano è un’aperta requisitoria nei confronti del mito americano, accusato di essersi «venduto» ai demoni del consumismo e del militarismo. «Nelle tue case di vetro ai più topi che uomini» è una chiara citazione del romanzo Uomini e topi di John Steinbeck. La canzone fa parte dell’album Di volpi, di vizi e virtù, pubblicato dagli Stadio nell’aprile del 1995.Maledette malelingue Italia, 1994. Autore: Graziani. Interprete: Ivan Graziani Set-tima classificata al Festival di Sanremo del 1994, contribuì notevolmente a rilanciare Ivan Grazia-ni, la cui carriera era in ribasso da quel tempo. Il brano inquadra con sagacia la stupidità della maldicenza: la storia è quella della piccola Federi-ca, la cui amicizia con un uomo più grande di lei viene interpretata in maniera maliziosa fino alle estreme conseguenze: «Metti la paglia sul fuoco e un incendio poi scoppierà / lui l’hanno cacciato, allontanato in un’altra città / E si dice che a lei suo padre le ha date di santa ragione / Adesso sta chiusa in casa e per un bel pezzo non uscirà / ... / Ma la gente non lo sa / Federica ha quindic’anni / anche se una donna è / così la gente vede il male / anche dove non ce n’è». Accompagnato da uno spassoso rock’n’roll, il brano rappresentò l’ultima canzone di una certa popolarità dell’indimentica-to cantautore teramano, che sarebbe scomparso solo tre anni dopo e allo stesso tempo aggiunse un altro volto alla nutrita galleria di ritratti femminili della sua produzione. Il successo radiofonico fu notevole, senza però particolari riscontri sul pia-

no commerciale: né il singolo, né l’album Male-dette malelingue entrarono in classifica.Maledetto ciao Italia, 2009. Autori: Nanni-ni, Santacroce. Interprete: Gianna Nannini È il pezzo più «africano» dell’album Gianna Dre-am - Solo i sogni sono veri del 2009: viene scelto per la promozione radiofonica del disco nell’esta-te, nonostante un appeal certo forte, ma meno espressivo rispetto a quello di altre canzoni del disco, che troveranno comunque modo di farsi strada da sole. Il «maledetto ciao» è quello rivolto a una persona che non c’è più: «nell’aria resterai / voglia di vivere». Scritta con Isabella Santacroce.Maledetto il giorno Italia, 2000. Auto-ri: Cipressi, Restuccia. Interprete: Syria «Maledetto il giorno in cui ho incontrato i tuoi occhi / maledetto il giorno in cui ho condiviso con te / maledetto il giorno in cui ho creduto / maledetto il giorno in cui ho sperato». Dall’al-bum Come una goccia d’acqua, uno dei più for-tunati di Syria, anche se i risultati commerciali non furono poi gran cosa. In ogni caso questo pezzo appare come singolo nell’estate del 2001 (anche nel corrispettivo Festivalbar), un anno dopo, cioè, l’uscita della prima versione dell’al-bum. La musica è di Marina Rei.Malena Argentina, 1942. Autori: Manzi, De Mare. Interpreti: vari Sembra che Homero Manzi ascoltò per caso la cantante Elena Tortelo-ro cantare in un locale di Porto Alegre, nel 1941: da qui, l’ispirazione fortissima che portò alla composizione del celeberrimo tango, scritto con la collaborazione di Lucio Demare nel 1942. Il brano ebbe un successo formidabile, con la con-seguente formulazione di numerose ipotesi circa l’identità della protagonista ispiratrice. Secondo molti, la vera Malena cantata nel tango era in re-altà Nelly Omar: in quel locale brasiliano, Manzi avrebbe quindi solo trovato lo spunto, lo stimolo, per omaggiare la sua futura compagna di vita, con la voce calda e inconfondibile. «Malena canta el tango como ninguna / y en cada verso pone su corazón / A yuyo del suburbio su voz perfuma / Malena tiene pena de bandoneón» (Malena canta il tango come nessuna / ed in ogni verso mette il suo cuore / Di erbacce di periferia la sua voce profuma / Malena ha pena del bandoneón).Malevaje Argentina, 1929. Autori: Discépolo, Filiberto. Interpreti: Orchestra Juan de Dios Fili-berto «Decí, por Dios, ¿qué me has dao / que estoy tan cambiao / no sé más quien soy? / El ma-levaje extrañao / me mira sin comprender... / Me