Leggere per Crescere - PERIODICO DI FORMAZIONE E DI ......con la lettura ad alta voce 10 Le parole...

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Anno VIII N. 1 Primavera 2012 PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORI DELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE Sommario 2 IMPARARE A PARLARE CON IL “MAMMESE” 4 LA TELEVISIONE E LA SCOMPARSA DELL’INFANZIA 8 INIZIAZIONE ALLA LETTURA PRIMA DELLE ELEMENTARI 11 Infanzie con bisogni speciali LA COMPRENSIONE DEI BAMBINI DISATTENTI E IPERATTIVI 22 IL CUORE BATTE ANCORA? 26 COSA LEGGERE AD ALTA VOCE AI BAMBINI? 10 BUONI SUGGERIMENTI+1 30 I 5 LIBRI MIGLIORI Illustrazione da: Riina & Sami Kaarla, La festa di Mumin, Edizioni Gallucci. 2 Di quale autorità hanno bisogno i bambini? 4 Per entrare nel mondo, meglio i genitori che i coetanei 8 Alt all’analfabetismo con la lettura ad alta voce 10 Le parole nello sviluppo mentale del bambino 14 I bambini a rischio 22 Come giocare con i bambini 26 L’umorismo fa crescere meglio 28 Libri in vetrina 30 I primi 10 Anni del Progetto “Leggere per Crescere” SOMMARIO DEL NUMERO

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Anno VIII N. 1 Primavera 2012

PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORI DELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE

Sommario2 IMPARARE

A PARLARE CON IL “MAMMESE”4 LA TELEVISIONE E LA SCOMPARSA DELL’INFANZIA8 INIZIAZIONE ALLA LETTURA PRIMA DELLE ELEMENTARI11 Infanzie con bisogni speciali

LA COMPRENSIONE DEI BAMBINI DISATTENTI E IPERATTIVI22 IL CUORE BATTE ANCORA?26 COSA LEGGERE AD ALTA VOCE AI BAMBINI?

10 BUONI SUGGERIMENTI+130 I 5 LIBRI MIGLIORI

Illustrazione da: Riina & Sam

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2 Di quale autorità hanno bisognoi bambini?

4 Per entrare nel mondo, meglio i genitori che i coetanei

8 Alt all’analfabetismo con la lettura ad alta voce

10 Le parole nello sviluppo mentale del bambino14 I bambini a rischio22 Come giocare con i bambini26 L’umorismo fa crescere meglio28 Libri in vetrina30 I primi 10 Anni del Progetto

“Leggere per Crescere”

SOMMARIO DEL NUMERO

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IMEDICI, I PEDIATRI e in partico-lare gli psicologi dell’infanzia edell’adolescenza sono sempre piùsollecitati da genitori che, stando

alle loro parole, ‘non ce la fanno più’.La relativa novità consiste nel fatto chequeste richieste riguardano ragazzisempre più giovani: non è più un casoeccezionale che dei genitori chiedanoun consulto per bambini di 2-3 anni per-ché corrono dappertutto, si arrampica-no sui mobili, hanno crisi di rabbia perqualsiasi cosa, quando si dice loro di no,ma persino, a volte, quando si dice lo-ro di sì! Rifiutano di mangiare seduti atavola, pretendono questo o quell’ali-mento, fanno continuamente capricci,decidono il programma televisivo o im-pongono la videocassetta che hanno giàvisto cento volte; quando escono, neinegozi è un crescendo di richieste im-periose e il minimo rifiuto provoca unacollera clamorosa, che obbliga gli adul-ti a battere in ritirata con un senso dicolpa e di vergogna”.1Esperienze non dissimili di rifiuto del-

l’autorità, intesa come richiesta di ob-bedienza alle regole di comportamen-ti “educati”, sono riscontrabili anchenell’ambiente scolastico. Fin dall’asilonido vi sono soggetti che sono la di-sperazione delle educatrici e poi, nel-la scuola dell’infanzia, delle insegnan-ti: sempre disattenti, non partecipanoe disturbano le attività degli altri bam-bini, sciupano i materiali messi a lorodisposizione, sono aggressivi verso i lo-ro compagni, resistenti ai tentativi del-le educatrici e delle insegnanti di argi-nare il loro disordine.

Le radici della ribellioneRicercare le ragioni per cui, in una de-terminata famiglia, si viene a sviluppa-re l’avversione all’autorità dei genitoriè impresa complessa. Accanto a bam-bini ribelli perché allevati nel disamore,nel disordine educativo, nel disagio, ilvenir meno dell’accettazione dell’auto-rità è riscontrabile anche in bambini cre-sciuti e coccolati in famiglie ordinate e

Molti pensano che i bambini nutrano sponta-neamente un particolare rispetto per l’autorità,l’ammirino, vi si sottopongano volentieri, vi fac-ciano affidamento. Se le cose stanno così, ci sipuò chiedere come mai, oltre ai bambini chesembrano rispettare, desiderare, far conto sul-l’autorità degli adulti, soprattutto genitori ededucatori, se ne contino così tanti altri che in-vece la rifiutano, vi si oppongono, coltivando una

forte ribellione nei suoi confrontie una profonda ostilità verso lepersone che la vogliono imporre? Probabilmente la ragione va ri-cercata nel fatto che gli adultimolto spesso praticano preva-lentemente un’autorità di tipo co-ercitivo, quella che compromettealla radice l’instaurarsi di rela-zioni confidenti fra adulti e bam-bini e i cui effetti negativi pos-sono riverberarsi oltre l’infanziae l’adolescenza per raggiungerel’età adulta, in cui i comporta-menti autoritari subiti vengonoreiterati a danno dei nuovi nati,che a loro volta crescono favo-rendo entro se stessi i germi del-la ribellione non solo control’autoritarismo, ma anche controogni altra forma di autorità.

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benestanti, in condizioni sociali in cuisempre meno viene coltivata, come in-vece negli anni Sessanta del secolo scor-so, la critica all’autorità intesa come op-pressione e fonte di disagio psichico,ostacolante la libera espressione dellepotenzialità dell’individuo. (Oggi tut-tavia è verificabile il crescere della ten-denza a invocare un ritorno all’autori-tà anche se in termini del tutto diversirispetto al passato, quando l’autoritàderivava dal semplice fatto che i geni-tori erano “autori” dei figli e come ta-li naturalmente titolari di ogni diritto dirispetto e di obbedienza da parte loro.)Ai giorni nostri, genitori ed educatori,per ottenere un ritorno al rispetto del-l’autorità, devono ricercare e praticaremodalità del tutto nuove per vederse-la riconosciuta. A partire da una con-siderazione fondamentale: “Come ilfiume nel suo corso ha bisogno di unletto di argini accoglienti per scorrerepacificamente, l’infanzia ha bisogno diun solco, di una traccia, e di argini peressere normalmente contenuta, senzaostacoli al suo fluire. In assenza di que-sto solco e di questi argini, l’infanziapuò effettivamente dispiegarsi in ma-niera anarchica, se non addirittura vio-lenta; al contrario se troppo rinchiusada muri costrittivi, l’ondata può diven-tare esplosiva o turbolenta”.2

La costruzione di autorità accettabili Un buon suggerimento per costruirevalidi argini al solco dell’infanzia, nel-l’ambito di un’accettabile e produtti-va autorità educativa, può essere trat-

to dal pensiero di uno psicologo ame-ricano, Thomas Gordon (1918-2002),il quale propone quattro tipi di auto-rità, tre dei quali, se opportunamentecoltivati e proposti dai genitori e da-gli educatori, possono costituire unabuona base per ottenere dai figli e da-gli allievi una ragionevole osservanzadella disciplina e del rispetto.3

Un primo tipo di autorità deriva dal ri-conoscimento da parte del bambinoche l’adulto che lo sta educando pos-siede le capacità e le qualità per pro-porre il proprio volere, capacità e qua-lità che devono essere quotidianamen-te dimostrate dall’adulto con l’esempio.Non si può pretendere da un bambinodi stare a tavola con un minimo di com-postezza, se i genitori per primi non lofanno; non gli si può imporre di lavar-si i denti regolarmente e bene dopoogni pasto, se egli non può constata-re che questa importate misura igieni-ca viene osservata anche dai genitori.

Un secondo tipo di autorità può esse-re accettato favorendo nel bambino laconsapevolezza del ruolo-guida equindi dell’autorità che un adulto pos-siede in ragione della sua attività pro-fessionale: il pediatra che lo visitaquando è malato, il vigile urbano chedirige il traffico, l’idraulico chiamatoper riparare un guasto allo scaldaba-gno, l’educatrice che lo accoglie ecc.

Un terzo tipo di autorità, particolar-mente importante nei rapporti con ibambini e i ragazzi, è quello derivabiledalla contrattazione che può essere con-dotta su comportamenti che l’adultodeve poter guidare senza che risultinoimposti, rispettando in misura adegua-ta i ragionevoli desideri o necessità delbambino o del ragazzo. È questo un ti-po di autorità importante e sottile per-ché comporta l’accettazione di regolee di impegni reciproci che sostanzial-mente opererà lungo tutta l’esistenza.Tipico esempio di questo tipo di auto-

TUTTI INCOLPANO I GENITORI dei problemi dei giovani e di quelli che i giova-ni sembrano causare alla società. Gli esperti, alla luce delle statistiche allarmanti

sul numero sempre crescente di bambini e giovani che presentano disturbi emotivigravi, entrano nel giro della droga o si suicidano, si lamentano: “È tutta colpa deigenitori”. E quando i bambini vanno male a scuola o diventano degli emarginati ir-recuperabili, insegnanti e funzionari scolastici sentenziano che “la colpa è dei geni-tori”. Ma chi aiuta i genitori? Quanto impegno viene profuso nell’assisterli perchédiventino più efficaci nell'educare i figli? E come un genitore può scoprire i suoi er-rori e conoscere le possibilità alternative? Il contributo di questo libro, ormai un clas-sico utilizzato in 37 Paesi del mondo e tradotto in 18 lingue, sta proprio nel dare ri-sposte concrete alle domande che i genitori pongono. Una ben sperimentata propo-sta di metodo affinché, attraverso le pratiche educative del rispetto, dell’ascolto e del-la collaborazione nella soluzione dei conflitti e dei problemi, anche quello della fa-miglia diventi un creativo spazio di democrazia. (dal sito libreriauniversitaria.it)

GENITORI EFFICACI

Illustrazione da:Thomas Gordon,Genitori efficaci. Educare figli responsabili.La Meridiana, 1997.

(Segue a pagina 31)

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I coetanei nello sviluppo della socializzazione

MOLTI GENITORI ed edu-catori ritengono che ibambini in età prescolareabbiano bisogno di pas-

sare molto tempo con i propri coetaneiper sviluppare nel migliore dei modi lacapacità di far parte della comunità diappartenenza, acquisendone i modellicomportamentali, di pensare, di senti-re. Di fatto, è ben verificabile quanto siacruciale per ogni bambino poter con-dividere una parte del proprio tempocon altri bambini, con i quali condivideregiochi ed esperienze di vita. I bambiniche sono messi nelle condizioni di po-ter stabilire relazioni stabili con i propricoetanei generalmente presentano me-no problemi nei rapporti sociali e unamigliore disponibilità a districarvisi. Benvenga dunque la frequentazione degliasili e delle scuole dell’infanzia e ognioccasione promossa dai genitori affin-ché i bambini possano incontrarsi spes-so e giocare insieme; ma, al fine di fa-vorire lo sviluppo dei processi di socia-lizzazione, tutto questo non basta. An-

zi, vi sono ricerche che hanno dimo-strato che una eccessiva frequentazio-ne fra coetanei può ostacolare tali pro-cessi, confermando l’importanza delrapporto con i genitori. Il fatto è che lefunzioni psicologiche più elevate – in-cluso il pensiero, l’apprendimento e lacapacità di risolvere problemi – com-paiono nel bambino come frutto di in-terazioni con il mondo degli adulti, chegià le possiedono, e non dei coetanei,essi stessi impegnati a svilupparle.

I “plus” dei genitori

Se il rapporto del bambino con gliadulti, i genitori in particolare, è im-portante nello sviluppo della socializ-zazione cognitiva, una rilevanza for-se superiore può essere attribuita aquella che viene definita socializza-zione emotiva. In questa, il ruolo deigenitori non può essere sostituito daquello, del tutto diverso, dei coetanei.Infatti, gli adulti in generale, e i ge-nitori in particolare, possono contare

Le interazioni sociali for-

mano il contesto primario

nel quale il bambino viene

avviato alle modalità di

pensiero più mature pre-

senti in ogni società e la

funzione cognitiva può

quindi crescere soltanto

sotto la guida di adulti de-

siderosi di sostenere, diri-

gere e organizzare le atti-

vità del bambino in modo

tale che egli possa parte-

cipare in forme sempre più

articolate fino a funzionare

in modo indipendente.”1

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su risorse che arricchiscono i rappor-ti adulti-bambini e di cui i coetaneinon dispongono:

■ essi possono comprendere le causee gli effetti dei sentimenti e delleemozioni provati dai loro bambini;

■ possono mettersi nei panni dei lorobambini e vedere le cose anche dalloro punto di vista;

■ nel valutare le manifestazioni socia-li dei loro bambini, possono tenerconto del livello di sviluppo cui so-no giunti;

■ possono dare voce e portare alla lu-ce le emozioni e i sentimenti mani-festati dai loro bambini;

■ possono controllare le proprie emo-zioni nei rapporti con i propribambini;

■ possono infine valutare le conse-guenze che gli atti sociali possono pro-durre sul lungo periodo nei loro figli.

Non è quindi sorprendente che la fun-zione dei genitori, nello sviluppo deiprocessi di socializzazione cognitivi edemotivi nei bambini, specialmente inetà prescolare, sia indispensabile, purriconoscendo l’importanza dell’intera-zione fra coetanei.

La comprensione attraverso le paroleMeno scontate sono le modalità chegli adulti possono praticare per favo-rire lo sviluppo delle capacità delbambino di entrare nel mondo e di vi-verci in fruttuoso equilibrio con le suediverse realtà.Innanzi tutto, posto che emozioni esentimenti vengono per primi nell’esi-stenza di ogni essere umano, ben pri-ma della razionalità, si impone il pro-

blema di mettere in atto misure e in-segnamenti idonei a sviluppare nelbambino prima di tutto la capacità dicomprenderli e poi, per quanto possi-bile, di gestirli, in particolare perquanto riguarda, per esempio, i sen-timenti aggressivi, in modo conformealle usanze della comunità di appar-tenenza. Infatti, mentre nel fondo del-l’animo umano emozioni e sentimen-ti sono sostanzialmente identici a pre-scindere dall’appartenenza a una fa-miglia o a un’altra, a un popolo o a unaltro, le loro manifestazioni esterioripossono essere molto diverse, e di-versamente socialmente tollerate, a se-conda che un bambino sia allevato inun contesto sociale o in un altro, co-me può accadere in un Paese come ilnostro, per così dire, piuttosto disin-volto quanto a comportamenti inpubblico consentiti ai bambini, o co-me in Giappone, dove la discrezionee i formalismi sociali orientati alla ri-servatezza sono ancora dominanti.La modalità per conseguire un buonrisultato di armonizzazione sociale èquello di stabilire un dialogo continuo

con il proprio bambino, badando be-ne a mantenerlo su di un piano di equi-librio, impegnandosi a fargli com-prendere il senso delle sue emozioni edei suoi sentimenti, ma anche dei pro-pri, con esemplificazioni molto sempliciderivate dalle rispettive esperienzequotidiane. Il bambino, per esempio,comprenderà meglio le proprie tri-stezze e le proprie frustrazioni per es-sere stato lasciato dai genitori obbligatiad andare a lavorare, se il genitore di-mostrerà con parole e gesti adeguatila propria tristezza e la propria fru-strazione quando, rientrando a casadopo il lavoro, viene ignorato dai pro-pri familiari invece di venire accolto ericambiato nella propria esigenza di ri-cevere attenzione e manifestazioni diaffetto.I rapporti verbali fra genitori e figli pic-coli, condotti con parole affettuose, inquanto sostengono nel bambino la si-curezza di essere benvoluto e com-preso nei suoi stati emotivi, concorro-no anche a sviluppare in lui la com-prensione dei sentimenti intimi degli al-tri, passaggio assai importante per

Illustrazioni da:

AA.VV.,

In viaggio, Sulle ali

delle farfalle

Concorso interna-

zionale per la fiaba

illustrata, Edizioni

Pavees, Comune

di Bordano, 2005.

Illustratrice

MARTINA

TROISE, Napoli.

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giungere a interpretarli e a maturarecosì le proprie capacità di vivere so-cialmente. Naturalmente, per raffor-zare nel bambino la sensazione che cisi occupa di lui, gli argomenti di con-versazione devono essere prevalente-mente centrati sulle esperienze quoti-diane e gli interessi del piccolo. In talmodo, non solo si perviene a conosce-re e a valutare meglio pensieri, senti-menti ed emozioni del piccolo inter-locutore, ma si dimostra anche checi si interessa veramente di lui edella sua vita sociale, nella qua-le è importante riconoscere glieventuali problemi che egli puòavere nei rapporti con i coetaneie contribuire a porvi rimedio.

Necessario il riconoscimento del bambino come personaIl presupposto di un efficace rapportocolloquiale fra un adulto e un bambi-no è costituito dal riconoscimento diquest’ultimo come persona. Il bambinodi oggi (un oggi che ormai copre diversidecenni) è ben diverso da quello rap-presentato nell’Ottocento, secondo unmodello che ha sostanzialmente resistitofino agli anni Sessanta del Novecento:un soggetto prevalentemente passivo alquale si dovevano impartire lezioniistruttive e moraleggianti, al fine di far-ne un essere ripettoso delle regole del-

Illustrazione da:

Joëlle Jolivet, Schizzo in città,

Il Castoro, 2011.

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la società di appartenenza, premessaper ottenere un adulto disposto ad ade-guarsi alla mentalità, alle opinioni, aimodi di vita prevalenti (o imposti) nel-la società in cui avrebbe condotto la suaesistenza. A quel modello è subentra-ta una figura ben diversa: il bambino aigiorni nostri deve essere considerato, findai primi anni di vita, un soggetto atti-vo, competente, capace di proprieemozioni e sentimenti complessi, dotatodi una sua propria logica e di un pro-prio inconscio. Il mondo degli adulti che,a vari titoli professionali (pediatri, edu-catori ecc.), ha a che fare con i bambi-ni, è ben consapevole di questa realtàinfantile. Invece, questa consapevolez-za molto spesso sfugge agli adulti co-muni e alle famiglie. Infatti permane,magari sotto traccia, soprattutto a livellogenitoriale, una percezione del bambi-no non dissimile da quella diffusa nellontano passato.

Sulla base di queste considerazioni, sipuò dire che ogni azione educativa de-ve innanzitutto tenere conto che un bi-sogno primario di ogni bambino è quel-lo di essere considerato e preso sul se-rio, rispettato sin dall’inizio per quelloche egli è in ogni momento della suacrescita, nei suoi sentimenti, nelle suesensazioni e nelle sue manifestazioni, finda quando è lattante. Il diritto di ognibambino, di ogni essere umano, è quel-lo di poter realmente vivere i propri sen-timenti e i propri pensieri. L’azione edu-cativa verso un bambino prende dun-que l’avvio dal rispetto della sua per-sona: egli non deve essere consideratoun giocattolo, manipolabile e indottri-nabile come l’adulto vorrebbe senza do-verne rispondere a nessuno.Questo principio non è esclusiva con-quista della cultura occidentale, né ditempi recenti. In alcune culture dell’A-frica nera si attribuiscono al bambinoorigini sovrannaturali: egli viene dalmondo degli antenati e attraverso la sua

persona uno spirito o un antenato ri-torna nei mondo dei vivi. Affinché ilbambino possa umanizzarsi e lasciaredefinitivamente il mondo da cui pro-viene – un universo estremamente ar-monioso e meraviglioso – bisognerà chegli esseri umani lo seducano, lo con-vincano, gli dimostrino che la vita sul-la Terra è qualcosa che vale la pena divivere, altrimenti il bambino deciderà diritornare nel mondo dell’aldilà e que-sto vorrà dire che gli umani che lo han-no accolto nel mondo non si sarannocomportati verso di lui come avrebbe-ro dovuto, non avranno mostrato neisuoi confronti il rispetto dovuto a un an-tenato tornato sulla Terra. E per com-portarsi bene, da parte dei genitori, cru-ciali sono i primi due anni di vita. Infatti,in due anni, il bambino impara a cam-minare e soprattutto a parlare: sino ache non si è in possesso del linguaggioin quelle culture non si può essere de-finiti compiutamente umani.

L’educazione errata che conduce al falso IoQuando il bambino viene costretto arinunciare a essere se stesso e, per es-sere accettato, si adegua ai desideri, al-le attese, ai progetti, alle ambizioni deipropri genitori, finisce spesso per pagareun prezzo elevato in termini di svilup-po della propria personalità. Infatti, nel-l’adattarsi alle richieste genitoriali e am-bientali, il bambino finisce per dar luo-go a un falso Io, “un Io inautentico per-ché costruito sulle aspettative di altrepersone per cui accanto a un Io au-tentico cresce un falso Io che riflette ciòche gli altri vogliono e si aspettano.Questo falso lo, docile e conciliante, ob-bliga l’individuo a vivere come una ri-sposta ad altri”.2 È un errore educativopertanto, quello di collocare il bambi-no in un mondo di esperienze in cui egliè preteso, da parte dei genitori, vincentein tutto ciò che intraprende; egli inve-

ce ha bisogno di sbagliare, di affronta-re il fatto di non essere sempre il mi-gliore, di fare proprio il concetto che laperfezione e il successo sono traguar-di legittimi, ma non assolutamente ne-cessari: vivere se stessi nella norma condignità e autenticità di pensieri e di sen-timenti, questo è l’obiettivo che meri-ta di essere raggiunto nella propria esi-stenza quotidiana.

Nello sviluppo dei processi di socializ-zazione un ruolo rilevante è ovviamen-te ricoperto dal gioco con i coetanei, incui si pongono le basi dei rapporti so-ciali; ma anche quello con i genitori èimportante, purché l’adulto non pre-tenda di giocare i giochi che interessa-no a se stesso. Infatti, i genitori posso-no contribuire allo sviluppo dei proces-si di socializzazione dei loro bambini inetà prescolare tanto più quanto più siadattano a giocare gli stessi giochi chei loro piccoli praticano con i coetanei.È stato infatti dimostrato che i bambi-ni diventano più socialmente compe-tenti quanto più i loro genitori hannogiocato con loro come se fossero dei co-etanei. Oltre a questo, la cosa più im-portante è che sia il piccolo a condurrei giochi prescelti, rinunciando gli adul-ti ad assecondare la spontanea pro-pensione a intervenire per indirizzare,commentare, criticare. Infine, unaraccomandazione va sottolineata: i ge-nitori devono lasciare che i bambinidisbrighino da soli gli eventuali conflit-ti che possono insorgere fra loro. Sem-mai, è utile intervenire per far com-prendere i sentimenti e le ragioni deglialtri, favorendo la consapevolezza chebisogna tener conto che esiste una real-tà al di fuori di se stessi. ■

1. Schaffer H.R., Lo sviluppo sociale, Raf-faello Cortina Editore, 1988. 2. Galimberti U., Manuale di Psicologia,UTET, 2006.

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NEL SUO CELEBRE Manualeper leggere ad alta voce1 l’a-mericano Jim Trelease rac-conta che ogni pomeriggio

lavorativo un corriere si reca negli uffi-ci di New York della quinta maggiorecompagnia di assicurazione degli StatiUniti e ritira un sacco contenente le ri-chieste di spiegazioni e di reclami inviati

dalla clientela. Il sacco viene trasporta-to all’aereoporto della città e spedito aDublino, in Irlanda, dove la corrispon-denza così ricevuta viene esaminata.Perché una procedura così complicatae costosa? La risposta è semplice: per-ché la compagnia di assicurazione nontrova a New York un numero sufficientedi persone che sappiano leggere, mi-

nimamente valutare e rispondere in mo-do appropriato ai reclami pervenuti,mentre queste persone si trovano fa-cilmente in Irlanda, Paese in cui si par-la la stessa lingua degli Stati Uniti, do-ve evidentemente l’analfabetismo èmolto più diffuso di quanto non si pos-sa ritenere. In Italia certamente non esi-ste un’assicurazione che spedisca ognigiorno i reclami della propria clientelaal di fuori dei confini per insufficienzadi personale “letterato” (anche se, peraltre ragioni, non sono poche le azien-de che hanno i propri call center all’e-stero), ma di sicuro l’analfabetismo è an-che da noi un problema forse non mi-nore rispetto agli Stati Uniti d’America.

L’analfabetismo in Italia

Secondo il linguista Tullio De Mauro an-che in Italia l’analfabetismo è un pro-blema rilevante: il 29% degli italiani nonsarebbe in grado di padroneggiare lapropria lingua, mentre il 33% presen-terebbe quello che viene chiamato“analfabetismo di ritorno”, cioè sareb-be formato da soggetti che, dopo averimparato a leggere e a scrivere, sono ri-diventati analfabeti per scarsa o nulla de-dizione alla lettura negli anni successivia quelli della scuola. De Mauro aggiun-ge che un 71% della popolazione si tro-verebbe a non possedere un sufficien-te livello di comprensione di un testo di

L’UNESCO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’E-

ducazione, la Scienza e la Cultura) definisce l’analfa-

betismo come la condizione di “una persona che non sa

né leggere né scrivere, capendolo, un brano semplice

in rapporto con la sua vita giornaliera”.

Analfabeta è in tale accezione un termine semplice, ge-

nerico, non concernente il percorso scolare dell’analfa-

beta. Tuttavia, dividere il mondo in letterati e illettera-

ti semplifica eccessivamente la natura dell’alfabetizza-

zione. Oggi la definizione di analfabetismo è diventata

più complessa e si basa fondamentalmente sulla capa-

cità dell’individuo di decifrare l’ambiente e partecipare

alla vita della società in cui vive. Statisticamente si ten-

de a rilevare quell’insieme di abilità relative all’alfabe-

tismo che può essere applicato in modo funzionale in

attività tipiche della vita quotidiana, come per esempio,

leggere gli orari dell’autobus o usare un computer.

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media difficoltà cioè sarebbe sotto il li-vello minimo di capacità di lettura; men-tre un 5% sarebbe del tutto incapacedi capire lettere e cifre mentre un altro33%, pur sapendo leggere, riuscirebbea “decifrare” solo testi elementari, ri-sultando esposto a forte rischio di re-gressione verso l’analfabetismo.

Non vi è qui la possibilità di illustrare lemolte proposte avanzate in Italia e al-trove per limitare quanto più possibileun fenomeno che, tra l’altro, ha graviconseguenze non solo sullo sviluppo ci-vile ma anche economico di ogni Pae-se che ne sia afflitto. Il problema di fon-do dell’analfabetismo, o almeno uno deiproblemi, è che non è facile debellarlose non si diffonde ampiamente e pro-fondamente in ogni famiglia l’interes-se per la lettura e il piacere di praticar-la specialmente in presenza di bambi-ni piccoli.

La lettura ad alta vocefondamento dell’alfabetizzazioneLe domande che inevitabilmente ven-gono poste da quanti si sono convintidell’utilità della narrazione e della letturaad alta voce per lo sviluppo del bambi-no e la lotta all’analfabetismo, sono disolito due: quando è possibile e oppor-tuno cominciare e quando smettere.

In generale, alla prima domanda si ri-sponde: a circa sei mesi di vita del bam-bino. Le ragioni sono numerose: a seimesi il bambino dimostra già di ascol-tare la voce della mamma e di distin-guere i colori, mentre si accentua la suacapacità di riconoscere le differenze frale espressioni del viso della mamma odi chi lo accudisce (tristi, allegre ecc.) edi rispondere con proprie espressioniconformi. Inoltre, a cinque-sei mesi sipuò riconoscere nel bambino una cer-ta capacità di concentrarsi, di esaminaregli oggetti alla sua portata, di volgersiverso i suoni provenienti da fonti chenon vede, di attrarre l’attenzione muo-vendo le braccia e le gambe, di ricor-dare, sia pure per pochi minuti, gli og-getti che lo interessano. A sei mesi ilbambino comincia a imitare i suoni e apronunciare “ma-ma”, “pa-pa”.

Per queste condizioni favorenti, vi è ac-cordo nel considerare i sei mesi un’etàgiusta per cominciare a intrattenere ilbambino con narrazioni e letture ad al-ta voce. Nella realtà, si può iniziare an-che prima, fin dal primo giorno dopola nascita, quando la mamma pren-dendolo in braccio per la prima volta evezzeggiandolo con tenere parole d’a-more, lo abitua al suono rassicurantedella sua voce e alle espressioni cheesprimono quello che prova per lui. Insostanza, si potrebbe dire che, salvo il

convenzionale confine dei sei mesi, nonè mai troppo presto per cominciare, co-sì come è bene sottolineare che non èmai troppo tardi per farlo. Infatti, se èvero che l’impianto generale del cervellosi modella soprattutto nel primo annodi vita, è altrettanto vero che lo svilup-po maggiore si realizza prevalentementenei successivi tre anni e fino ai 7-10 eoltre, fino ai venti, per declinare gra-dualmente, come capacità plastica di ri-modellamento cerebrale, con l’avanza-re verso la maturità.

In queste considerazioni è implicita larisposta anche alla seconda domanda:quando non vale più la pena di conti-nuare?A parte la difficoltà di distogliere unbambino di 6-7 anni e oltre da altre at-trazioni (televisione, videogiochi, attivi-tà ludiche di gruppo extradomesticheecc.) vi sono documentate rilevazioniche sostengono l’opportunità di conti-nuare la pratica della narrazione e del-la lettura ad alta voce ancora per tuttoil periodo della scuola primaria, sia inambito domestico sia in quello scola-stico. Nel primo caso, uno dei risultaticonseguibili è quello di conservareun’unità familiare di natura affettiva eintellettuale; nel secondo, quello di mi-gliorare le prestazioni cognitive del bam-bino. In tutti e due i casi, quello di ali-mentare e sostenere stabilmente l’in-teresse e l’amore per la lettura. È chia-ro che, una volta imparato a leggere,la pratica/dovere della lettura ad alta vo-ce non è più riservata agli adulti versoi bambini, ma può essere vantaggiosa-mente estesa da questi ai grandi.La questione dei tempi più opportuniper la narrazione e la lettura ad alta vo-ce ai bambini, oltre al quando iniziaree quando smettere, comporta due or-dini di considerazioni: la capacità di at-tenzione dei bambini e la realisticadisponibilità degli adulti.I tempi di attenzione di un bambino so-no relativamente brevi, brevissimi, al disotto dei tre anni; inoltre, per disporsi

Illustrazione da:

Alessandro Riccioni e

Alicia Baladan,

Cielo Bambino,

Topipittori, 2011.

(Segue a pagina 31)

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L’IMPORTANZA del linguag-gio nello sviluppo dellecapacità di pensare di unbambino è principalmente

dovuta al fatto che il linguaggio non èsoltanto il mezzo mediante il quale gliesseri umani comunicano fra loro, maanche lo strumento attraverso il qualeessi elaborano, rappresentano simboli-camente ed esprimono la realtà pro-pria e quella del mondo che li circon-da. Come ebbe a scrivere il filosofo elinguista tedesco Karl Wilhelm vonHumboldt (1767 -1835): “Il linguag-gio è l’organo formativo del pensie-ro”. Secondo questa prospettiva, deli-

neata già dai grandi filosofi del Sei-Settecento – tra i quali spiccanoGiambattista Vico (1668-1744), Étien-ne Bonnot de Condillac (1715-80) eGottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) – il linguaggio crea un circuitocon la conoscenza contribuendo allaformazione delle idee e alla costruzio-ne della rappresentazione del mondo. In una ben nota ricerca americana èstato stimato che i bambini, seguitidall’età di 7-8 mesi, in quattro anniavevano in media ascoltato: 45 milio-ni di parole quelli appartenenti a fami-glie di professionisti; 26 milioni quellidi famiglie di lavoratori e 13 milioni

quelli di famiglie che vivevano di sussi-di. Esaminati a 9-10 anni, la capacitàdi parlare rifletteva ancora le differen-ze esperenziali dei primi anni di vita.Questo significa che le traiettorie dellosviluppo del linguaggio rimangono dif-ferenti negli anni a seconda delle espe-rienze godute nei primi anni di vitanelle diverse condizioni socioeconomi-che delle famiglie.Lo svantaggio linguistico eventual-mente presente nei primi anni di vita,prima ancora di accedere alla scuoladell’infanzia, si trascina anche nellascuola primaria e oltre, in quanto l’in-segnamento è sostanziato da parole e

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la comprensione di nuove parole ècondizionata dal vocabolario che unbambino già possiede.

Il linguaggio, oltre che promotorementale degli individui è anche “for-matore di società”: infatti, grazie allinguaggio, le società accumulano etrasmettono lungo le generazioniconoscenze culturali e tecniche chesono alla base della vita associata e delsuo sviluppo. Quando il linguaggio erasoltanto parlato, il sapere, depositatonella memoria dei singoli, veniva tra-smesso oralmente, ma divenne enor-memente più esteso ed in continuo

sviluppo con l’invenzione della scrittu-ra. Questo può anche significare che laricchezza o la povertà del linguaggiosegnano in modo rilevante il destinoindividuale di ogni persona e dellasocietà.

Le strategie per promuovere lo sviluppo del linguaggioRiconosciuta l’importanza del lin-guaggio nello sviluppo mentale e nellasocializzazione del bambino, si pone la

Uno dei principali compor-

tamenti capace di incidere

in modo rilevante nello

sviluppo del linguaggio e

quindi della mente è rap-

presentato dalla pratica si-

stematica della narrazione

e della lettura ad alta vo-

ce ai bambini nell’ambito

della famiglia (e natural-

mente degli asili nido e

delle scuole dell’infanzia),

soprattutto nei primi tre an-

ni di vita.

All’origine dei libri illustrati per bambini.

Riproduzione di una pagina del libro

The Alphabet of Old Friends

di Walter Crane (1845 - 1915),

considerato uno dei più influenti

creatori di libri illustrati per bambini.

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questione: che cosa possono fare gliadulti, in primo luogo i genitori, perfavorirne la comparsa e l’arricchimen-to nei primi anni di vita del piccolo loroaffidato? Un grande numero di ricerche hadimostrato che uno dei principali fat-tori di apprendimento linguistico neiprimi cruciali anni di vita è rappresen-tato soprattutto dal rapporto a due(fondamentalmente quello madre-bambino), in un coinvolgimento reci-proco in cui i due protagonisti, adultoe bambino, prestano un’attenzionecongiunta a qualche attività specifica(giocare, eseguire lavori domestici, rac-contare, leggere ad alta voce ecc.).Con il crescere dei bambini, lo scam-bio, da situazioni e oggetti concreti, si

evolve a comprendere forme simboli-che, specialmente verbali e il reciprococoinvolgimento diventa conversazio-ne. L’assunto di base è che, quando ilbambino ha l’opportunità di speri-mentare pienamente l’intimità di taliinterazioni dirette con un adulto,diviene possibile per il piccolo fare iprimi tentativi di comunicazione eriuscire a ottenere il necessario sup-porto e informazioni per ogni ulterio-re progresso. Questo significa che ilgrado di coinvolgimento dei bambininelle interazioni soprattutto con igenitori ha una influenza diretta eimportante sullo sviluppo della lorocompetenza linguistica. Naturalmentele interazioni possibili sono le piùdiverse, ma alcune risultano più van-

taggiose di altre per una miglioreacquisizione del linguaggio.L’adozione deliberata di uno stile diret-tivo-impositivo per insegnare a parlarea un bambino è risultata controprodu-cente; contrariamente a quello che sipotrebbe pensare, questo modo diagire interferisce con lo sviluppo dellinguaggio; meglio seguire il bambinonella sua spontaneità anche quandosbaglia: non scoraggiato da continuecorrezioni, egli sarà maggiormentemotivato a conversare con l’adulto chesi occupa di lui; la sua capacità diattenzione e di comunicazione puòessere favorita coinvolgendolo in atti-vità e relazioni che suscitino il suo inte-resse. Le modalità possono essere lepiù varie, come il richiamo versooggetti ed eventi accompagnati dal-l’indicazione con la mano o lo sguardoe la descrizione di oggetti di sempliceuso domestico oppure di giocattoli edel loro funzionamento. Una modalità particolarmente efficaceper stimolare l’attenzione dei bambinie arricchire il loro linguaggio consistenel raccontare e leggere loro ad altavoce, preferibilmente nella posizionefaccia-a-faccia. Mostrare e dare unnome agli oggetti, oppure descriverele illustrazioni e raccontarne la storiarappresentano una stretta relazionefra stimoli verbali e centro di attenzio-ne del bambino che favorisce la com-prensione della relazione tra parola eoggetto, tra parole e situazioni, arric-chendo soprattutto lo scambio diaffetti fra chi legge e chi ascolta.Le strategie per favorire lo sviluppodel linguaggio e della comunicazionepossono essere molto semplici, aven-do al centro i genitori e le personeche più si occupano del bambino:

LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO NEL BAMBINO

Già nella prima settimana di vita, generalmente il bambino distingue la voce dellamamma da quella di un’altra donna; quella del padre da quella di un altro uomo a duesettimane dalla nascita.

Nel 1° mese, il bambino emette vagiti e gridolini, mentre verso i 2-3 mesi comincianoi primi vocalizzi: prima vengono articolate la a e la e, successivamente le altre vocali. Leprime consonanti gutturali (gh, ch) compaiono verso i 4 mesi, con i primi balbettii-gor-goglii, mentre le prime consonanti labiali e dentali (p, b, d, t) compaiono a 6 mesi. Dopoi 9 mesi, il bambino tenta di imitare le parole che sente: le prime significanti (ma-ma,pa-pa) vengono pronunciate di solito intorno ai 12-13 mesi.

A 18 mesi il bambino ha in genere un vocabolario di circa 10-20 parole significanti,mentre può imitarne altre, dando avvio a una vera e propria esplosione del linguaggio.Subito dopo i 18 mesi il bambino comincia a formulare le prime frasi di tre parole, com-prendenti il verbo.

A 2 anni il bambino ha già un vocabolario di 200-400 parole.

A 3 anni il suo vocabolario arriva a 900 parole, usa il plurale, può ripetere tre numeri, usacorrettamente i pronomi io, tu ecc., è capace di formulare frasi costruite con articoli, con-giunzioni, avverbi in successione corretta.

A 5 anni il linguaggio sarà completo.

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■ nei primi mesi di vita è importanteparlare al bambino, anche quandoquesti non può rispondere verbal-mente, in particolare durante leattività quotidiane di accudimentoe durante il gioco;

■ rispondere con parole alle espres-sioni verbali del bambino come seavessero un significato anche perl’adulto;

■ ridurre al minimo i rumori di fondo,in modo che il bambino possaascoltare bene gli altri parlare;

■ chi si occupa del bambino dovreb-be semplificare il proprio linguag-gio quando gli parla; in particolare,dovrebbe impiegare frasi brevi,pronunciare con enfasi le parolepiù importanti, utilizzare la gestua-lità e introdurre delle pause affin-ché il bambino possa avere iltempo di pensare e di rispondere;

■ ogni giorno chi si occupa del bam-bino dovrebbe osservare a cosa piùsi interessa e parlare di quello chesta guardando o facendo in quelmomento;

■ parlare delle attività quotidiane,come riporre la spesa, preparare ipasti ecc. può essere utilmentesfruttato per favorire l’apprendi-mento linguistico;

■ chi si occupa del bambino dovreb-be dedicare ogni giorno un po’ ditempo alla lettura di un libro illu-strato, durante il quale è opportu-no descrivere le figure.

Le pubblicazioni consigliateDalla nascita ai cinque mesi circa, ilbambino viene efficacemente stimola-to con ninnenanne, filastrocche o altre

manifestazioni vocali, comprese lemolte parole vezzeggiative che ognimamma spende mentre lo accudisce.Dai sei mesi all’anno di età, posso-no essere utilizzate, e “raccontate”,pubblicazioni con immagini, di dimen-sioni tali da poter essere manipolatedal bambino e portate alla bocca. Daun anno a un anno e mezzo, il bambi-no va intrattenuto parlandogli inten-zionalmente, recitandogli ninnenan-ne, filastrocche, rime almeno per 10-15 minuti ogni giorno o quanto menotre volte alla settimana. Le pubblica-zioni consigliate in questa età sonoquelle con immagini di bambini impe-gnati nelle loro attività quotidiane(dormire, mangiare, giocare ecc.) edotate di brevi testi in rima e con sem-plici storie facilmente prevedibili.

Nel periodo compreso fra i 18 e i23 mesi di età, il bambino di solitodimostra piacere a essere intrattenutoraccontando o leggendo ad alta vocepiccole brevi storie, progressivamentearticolate, con un inizio e una fine,ripetute più e più volte per il piaceredel piccolo che apprezza e pretendesentirsele raccontare. Dai 2 ai 3 anni, èimportante assecondare le capacità ele preferenze che egli matura in que-sto periodo in quanto:

■ ha imparato a maneggiare lepagine di carta;

�■ ha imparato a sfogliare i libriavanti e indietro per trovare leimmagini preferite;

■ recita intere frasi e talvolta interestorie;

■ coordina i testi con le immagini; ■ protesta quando l’adulto cambiauna parola in una storia conosciuta;

�■ si “legge” i libri che gli sono fami-liari.

Dai 3 ai 4 anni, il piccolo dimostra dipreferire le pubblicazioni che raccon-tano storie riguardanti bambini che gliassomigliano e che vivono come lui,ma anche quelle dedicate a luoghi emodi di vivere diversi da quelli che glisono familiari, pubblicazioni con testisemplici che possono essere memoriz-zati, pubblicazioni che riguardano inumeri, l’alfabeto, le parole.

Dai 4 ai 5 anni, matura rapidamentela capacità di capire e di prestareattenzione, di cogliere il senso dellestorie che gli vengono raccontate percui si possono proporre libri che apro-no sul mondo, pur mantenendo saldoil legame con le sue esperienze quoti-diane; è spiccato il piacere di sentirestorie e in particolare fiabe in cui vi èuna sorta di viaggio iniziatico del pro-tagonista con prove da superare,sconfitta del cattivo, vittoria del buonoecc.; è notevole il senso del comico equindi apprezzati sono anche i raccon-ti buffi e divertenti.

Oltre i 5 anni, i genitori vanno incitatia continuare a contribuire allo sviluppodel linguaggio (e più in generale, aquello intellettivo) del loro bambino:continuando a leggere ad alta voceogni giorno, tenendo conto che a que-sta età può ascoltare storie lunghe;introducendo nuove parole in un con-testo significativo per i suoi interessi;conversando con lui, dandogli il tempodi rispondere a suo agio; evitando dicompletare le frasi sostituendosi a lui;incoraggiando l’uso di matite e di pen-narelli per disegnare e scrivere. ■

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L’EQUILIBRATO svi-luppo fisico e psicoaf-fettivo del bambino è

fortemente dipendente dallaqualità della famiglia in cuiviene allevato. Una famigliaeconomicamente stabile, siapure con un livello di redditobasso, ma sufficiente, unita ne-gli affetti, solida nel reciprocorispetto dei propri compo-nenti, costituisce uno spazioprotettivo ideale perché il bambino possa intraprenderecon molte garanzie di successo il proprio percorso di for-mazione dalla nascita alla età adulta. Vi sono famiglie povere e poverissime, spesso sradicatedal loro tradizionale contesto sociale (come per esem-pio le famiglie dei migranti); vi sono famiglie nelle qua-li disaccordi, litigi e perfino risse sono eventi quotidiani;vi sono nuclei familiari infranti da separazioni e divorzi;ma anche famiglie che mascherano, sotto un’apparentenormalità, elementi anormali o addirittura patologici: so-no, per esempio, le famiglie ossessivamente iperprotet-tive, oppure, all’opposto, famiglie nelle quali sembra nonmancare nulla, ma che in realtà vivono nell’assenza piùcompleta di affettività e nella sostanziale trascuratezza deibisogni emotivi e spirituali dei figli. Vi sono famiglie fru-strate che impongono ai loro figli sproporzionate pre-stazioni compensative; famiglie infine in cui esistono, ilpiù delle volte perfettamente simulate, tendenze sadicheche si esprimono in malvagie persecuzioni fisiche e/o psi-

chiche a carico dei bambini chene fanno parte.

Le radici del rischio. Nellepossibili deviazioni dal mo-dello della famiglia normale,emerge la possibilità del “bam-bino a rischio”. A rischio di es-sere malnutrito, affettivamen-te deprivato, maltrattato, abu-sato, o perfino sessualmenteviolentato. Il problema forse

più grave è che né la famiglia generatrice di rischio, né ibambini a rischio sono sempre facilmente riconoscibili equando lo sono, molto spesso, non vengono aiutate o col-pite le prime, e protetti i secondi. Meritano particolare attenzione, da parte di educatori, as-sistenti sociali, pediatri, forze dell’ordine, vicini, i bam-bini che vivono in famiglie le cui condizioni economi-che sono gravemente compromesse dalla povertà e dal-la disoccupazione; in famiglie dissestate per situazioni dialcolismo, tossicodipendenza, comportamenti delin-quenziali con intercorrenti pene reclusive. In queste fa-miglie, e anche in famiglie meno evidentemente com-promesse, ma frustrate e turbate, il bambino molto spes-so è malnutrito, o psicoaffettivamente abbandonato, noninfrequentemente bersaglio, in termini di maltrattamen-ti e di percosse, del cattivo umore di un genitore, senzala protezione dell’altro che frequentemente tollera prima,e compartecipa poi, alle male azioni del genitore violen-to. Tuttavia, se condizioni socioeconomiche familiari par-

I rischi che un bambino può incontrare nella sua

esistenza sono numerosi sia per la crescita e la

salute sia per lo sviluppo cognitivo e dell’affet-

tività. Le cause sono numerose e fra le più im-

portanti sono da considerare la non disponibili-

tà di sufficienti risorse ambientali e familiari, ma-

teriali e culturali, tali da permettergli di vivere

normalmente la propria infanzia e giovinezza.

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...mi afferrò per un orecchio con due dita di ferro...

Nell’accudimento dei bambini di oggi, è prudente tenere in considerazione i numerosi fattori di rischio che possono com-promettere il loro benessere: la povertà, la mancanza di un’abitazione adeguata, la monogenitorialità, le difficoltà lavo-

rative dei genitori, le separazioni e i divorzi, la condizione di migrante, la violenza fisica e psicologica all’interno e all’ester-no della famiglia. Fondamentale è saper riconoscere le manifestazioni di allarme che il comportamento del bambino a rischiosegnala a chi si occupa di lui, superando la tendenza a considerare trascurabili problemi che invece per il bambino possonocostituire grave disagio e impedimento a una crescita normale. La visione di un’infanzia senza problemi importanti è infattifuori della realtà. Lo aveva ben riconosciuto fin dall’Ottocento lo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870), fra i primi,se non il primo autore che dette una rappresentazione antiromantica dell’esistenza dei bambini alle prese con condizioni divita problematiche tutt’altro che scomparse nel mondo contemporaneo quali appunto la povertà, il lavoro minorile, la cri-minalità e, alla fine, con l’ipocrisia di una società che, pur vedendoli, non affronta i mali sociali che la inquinano.

I llustrazione di Gustavino da un’edizione italiana dell’opera di Charles Dickens, Davide Cooperfield, Genio 1947.

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ticolarmente disastrate possono mettere più facilmenteil bambino a rischio di maltrattamenti o di deprivazionirelativamente facili da identificare, di abusi di più sotti-le natura possono essere fatti bersaglio anche bambini ap-partenenti a famiglie, pur benestanti, ma portatrici di ri-levanti squilibri interni.È da considerare potenzialmente a rischio il bambinoche, con la conclamata pretesa di “fare il suo bene”, vie-ne sottoposto a pratiche educative eccessivamente ri-gorose, a castighi sproporzionati, come lunghi isolamentiin spazi chiusi e bui, a privazioni alimentari, all’esposi-zione a condizioni climatiche senza le necessarie pro-tezioni. Può essere a rischio anche il bambino che vie-ne continuamente rimproverato in modo sproporzionatoalle sue eventuali mancanze; atterrito con continue mi-nacce di punizioni gravi, anche se poi non messe in pra-tica, abbandonato in situazioni generatrici d’ansia. Può

infine essere considerato a rischio il bambino che, purnon appartenendo a famiglie economicamente svan-taggiate (senza dimora, nomadi, immigrati clandestini,ecc.) si presenta costantemente in cattive condizioni igie-niche, mal vestito, mal calzato, denutrito, triste nell’e-spressione del viso, insicuro nei comportamenti, intel-lettualmente inferiore ai bambini della stessa età, scar-so nel rendimento scolastico.

L’OMERTÀ SOCIALEI primi tre anni di vita è l’età più esposta al rischio di mal-trattamenti, ma anche i bambini dei primi anni dell’etàscolare sono frequentemente a rischio, mentre per alcu-ne forme di abuso, come quello sessuale, i rischi mag-giori vengono corsi intorno ai 10-12 anni, per accentuarsinell’adolescenza. Si calcola che non meno del 5-7 per mil-

INDICATORI SOCIALIDI RISCHIO

Segni minori

■ Istruzione della madre uguale o inferiore alla 5a

elementare ■ Età della madre uguale o inferiore ai 20 anni■ Alto indice di affollamento abitativo (più di una persona per vano)

Segni maggiori

■ Famiglia monoparentale ■ Genitore tossicodipendente■ Genitore alcolista ■ Genitore detenuto ■ Genitore con malattia cronica e invalidante

La presenza di due segni minori o di un segno mag-giore seleziona il bambino a rischio sociale.

Fonte Failla M., “Il bambino a rischio sociale”,

Medico e bambino, 7/1997.

CARATTERISTICHE DEI BAMBINI A RISCHIO SOCIALE

■ Accedono più difficilmente ai servizi di prevenzione

■ Risultano più fequentemente di basso peso alla nascita

■ Sono meno allattati al seno

■ Mostrano maggiori ritardi nell’esecuzione delle vaccinazioni

■ Accedono più frequentemente ai servizi ospedalieri di emergenza

■ Sono più spesso soggetti a incidenti

Fonte Failla M., “Il bambino a rischio sociale”,

Medico e bambino, 7/1997.

TABELLA 1 TABELLA 2

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le dei bambini sia esposto al rischio o fatto oggetto di mal-trattamenti e abusi in modo continuativo il che equivar-rebbe in Italia a circa 40.000 bambini. A fronte di questo vistoso fenomeno, “sulla società, nelristretto mondo dei ‘prossimi’ pesa in generale una gra-ve pecca comportamentale: cioè la scelta di assumere unatteggiamento di indifferenza di fronte a ogni notizia ovalido sospetto che vi sia, nel raggio delle loro conoscenze,un bambino vittima, applicando il concetto ‘non impic-ciarsi dei fatti altrui’. Come se sapere e non intervenire,per le opportune vie e attraverso le figure istituzionali piùefficaci, non fosse un atteggiamento complice”.1

Molto spesso circonda questo vasto fenomeno una ve-ra e propria cortina di omertà, sostenuta in gran partedalla oggettiva difficoltà a riconoscere il “bambino a ri-schio”, ma anche della egoistica tendenza a non occu-parsi dei problemi del prossimo per non incorrere in fa-stidi o per non essere disturbati nei propri equilibri in-dividuali e sociali.Se l’attenuante o la scusa per non intervenire, da partedi vicini, frequentatori della famiglia ecc., può essere at-tribuita alla difficoltà di riconoscere i segni del rischio edell’abuso, tale attenuante non può essere concessa aglioperatori che professionalmente si occupano dei bam-bini con frequenza e continuità, quali per esempio quel-li che operano nelle scuole e nell’ambito dei servizi so-ciali e sanitari. La responsabilità è grande perché il bam-bino maltrattato e/o abusato non solo è un bambino checorre il rischio di danni fisici e psichici immediati, ma an-che un bambino di cui viene compromessa la possibili-tà di svilupparsi in modo normale e quindi di diventareun adulto normale capace di dare il proprio contributo auna società normale.

IL DIFFICILE RICONOSCIMENTO DEL BAMBINO MALTRATTATO

I maltrattamenti che maggiormente giungono all’osser-vazione degli operatori sanitari e sociali comprendonoazioni non solo fisiche (percosse, ustioni, imposizione dicastighi che comportano posizioni obbligate, isolamen-ti prolungati in luoghi oscuri, privazione di cibo, abusi ses-

suali ecc.), ma anche psichiche, rappresentate soprattut-to da gravi negligenze affettive per cui il bambino trascorrela propria esistenza in un clima di abbandono, di conti-nui rimproveri e minacce, sostanzialmente rifiutato.Il riconoscimento di un bambino maltrattato è spessoun’impresa difficile. I responsabili dei maltrattamenti ten-dono naturalmente a nascondere il loro operato; spesso lomimetizzano dietro il pretesto di essere ricorsi a misure se-vere a fin di bene; ancora più frequentemente attribuisconole lesioni inferte a incidenti domestici, ostentando in pub-blico un rapporto premuroso con il bambino sofferente.Le vittime spesso non sono in grado di denunciare i mal-trattamenti e gli abusi subiti oppure propendono a na-sconderli, a non rivelarli. Tuttavia, alcuni segnali posso-no guidare a scoprire la verità: il bambino maltrattato oabusato il più delle volte appare profondamente triste enon comunicativo, non pulito, trascurato nei vestiti, fre-quentemente pallido e denutrito, insicuro e, talvolta, para-dossalmente attaccato al suo sopraffattore.Sono bambini particolarmente esposti al rischio di mal-trattamenti (vale la pena di ricordarlo) i nati nelle fami-glie socioeconomicamente molto disagiate (anche se mal-trattamenti vengono inflitti anche in famiglie abbienti eapparentemente equilibrate); i nati nell’ambito di unio-ni compromesse da un’elevata conflittualità; i bambinifrutto di gravidanze non desiderate o illegittimi; quelli ve-nuti al mondo con parti difficili e/o particolarmente do-lorosi; i bambini disabili.

LA RESPONSABILITÀ DEI FAMILIARI

Le caratteristiche dei bambini maggiormente a rischiodi maltrattamenti conducono a individuare i più fre-quenti responsabili: i familiari. Senza voler generaliz-zare, si può dire che molto spesso i maltrattamenti suiminori sono la conseguenza di profonde disfunzioni al-l’interno dei rapporti di coppia. Questo aspetto è assaiimportante: negli interventi contro i maltrattamenti egli abusi, perché siano efficaci e duraturi, è necessarioche le azioni diagnostiche e terapeutiche siano rivolteanche e soprattutto a comprendere e a risolvere gli squi-libri familiari che li favoriscono. Questi possono esse-re determinati da cause diverse.

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La nascita di un bambino di per se stessa comporta peri genitori una più o meno profonda crisi di adattamen-to che può disorganizzare rapporti e comportamenti in-trafamiliari favorendo vere e proprie esplosioni di ag-gressività. La tendenza, anche a livello di ricerca scien-tifica, è di collocare i genitori che maltrattano entro ca-tegorie semplificatrici: malati di mente, incolti, delinquentie così via. In realtà, il fenomeno dei maltrattamenti è as-sai complesso da interpretare in quanto è l’espressionedi vari fattori psicologici e ambientali stressanti che pos-sono convergere e creare un rapporto estremamente con-flittuale tra genitori e bambino. Per esempio, una madreadolescente, impreparata alla maternità, può percepire ilproprio bambino e i problemi relativi al suo accudimen-to come un peso insostenibile, generatore di un depres-sivo senso di inadeguatezza che può indurre a conside-rarlo una vera e propria minaccia, come se il bambino in-tenzionalmente volesse danneggiarla. Un elemento danon trascurare è il fatto che comunemente i genitori checommettono violenze sui loro figli sono stati essi stessimaltrattati o sono vissuti in condizioni di abbandono edi negligenza. Le primitive esperienze di maltrattamen-ti e di deprivazione sedimentano nel profondo della per-sonalità che le ha subite, favorendo una continuità in-tergenerazionale dei comportamenti aggressivi.

IL RISCHIO DELLA PERSONALITÀCOMPROMESSA

Il bambino oggi deve essere considerato, anche nei pri-mi anni di vita, un soggetto attivo, competente, capacedi emozioni e sentimenti complessi, dotato di una suapropria logica e di un proprio inconscio. Il diritto di ogni bambino è dunque quello di poter real-mente vivere i propri sentimenti e i propri pensieri, con-dizione importante per sviluppare una componente es-senziale della propria personalità: l’autostima. L’azioneeducativa verso un bambino deve prendere l’avvio dal ri-spetto della sua persona: egli non deve essere conside-rato un giocattolo, manipolabile e indottrinabile come l’a-dulto spesso vuole senza risponderne a nessuno.Tenuto conto di questo rischio, il compito degli educa-tori è quello di guidare il bambino, senza la pretesa di de-

terminarne il destino; è opportuno sfatare la convinzio-ne che lo possano fare e che pertanto ne siano totalmenteresponsabili e perciò tenuti a perseguire a tutti i costi que-sto obiettivo. La funzione dell’educatore deve pertantoessere intesa nel senso che il verbo educare ha nella suaorigine latina: exducere che vuol dire appunto guidare, con-durre, (ex) verso l’esterno. In proposito, secondo l’Acca-demia Americana di Pediatria (AAP): “I genitori, in real-tà, non possono determinare la riuscita dei loro bambi-ni. Inevitabilmente, i bambini affermano la loro autono-mia creandosi una propria nicchia separata dai loro ge-nitori. Nello stesso tempo, molti fattori esterni sia alla fa-miglia sia ai bambini possono influenzare il modo in cuiquesti ultimi si sviluppano. I genitori hanno la respon-sabilità di garantire a ogni bambino il senso di essere ama-to e accettato, di aiutarlo a superare gli obiettivi di ognifase del suo sviluppo, di far sì che egli cresca nel rispet-to delle regole e nell’accettazione delle responsabilità chela società impone. Questi sono impegni veramente rile-vanti. Alcuni genitori considerano di avere la responsa-bilità totale per il destino dei loro bambini. Questa con-vinzione comporta un pesante e irrealistico carico emo-tivo non solo per se stessi, ma anche per i loro figli. Se ibambini hanno dei problemi, spesso i genitori soffronoun senso di fallimento; nello stesso modo, i bambini sen-tono come compromessa la loro sorte se essi non ri-spondono alle aspettative dei genitori. In sostanza, i ge-nitori possono influenzare, ma non controllare la vita deiloro bambini”.2

L’obiettivo di ogni processo educativo del bambino, nelrispetto della sua personalità, è principalmente rivolto afargli comprendere che i suoi desideri non sono sovrani epertanto tali da dover essere sempre e immediatamentesoddisfatti. In altre parole, si può dire che lo sviluppo del-la personalità di un bambino e il suo adattamento socia-le sono favoriti da un contenimento dei suoi desideri, pas-sando attraverso una successione di situazioni frustranti.In tema di frustrazioni educative, è opportuno, perché nonsiano controproducenti, tener conto delle capacità delbambino di tollerarle sia in termini di intensità sia di fre-quenza. Vi sono bambini ai quali risulta insopportabileogni differimento o limitazione del soddisfacimento deipropri desideri e lo dimostrano con manifestazioni di rab-bia, di impazienza, ma spesso anche di infelicità, co-

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MALTRATTATI, TRASCURATI, VITTIME DI ABUSI. Sono centinaia di milioni i bambini nel mondo cheattraversano la vita senza alcuna protezione, vittime di sfruttamento e di discriminazioni in si-

tuazioni nascoste, spesso inesistenti per le statistiche ufficiali. Sono i bambini “invisibili”. Milioni di bam-bini che scompaiono o perché cadono vittime del traffico di esseri umani o sono costretti a lavorarecome servi, senza riconosciuta identità, altri, come i bambini di strada, visibili a tutti ma da tutti tra-scurati, senza protezione e assistenza. Oltre a subire abusi, queste migliaia di bambini il più delle vol-te sono esclusi dall’istruzione, dall’assistenza sanitaria e dagli altri servizi vitali per la loro crescita e illoro sviluppo. Invisibili nei dibattiti pubblici e nella legislazione, nelle statistiche e nelle notizie. Se nonsarà loro dedicata un’attenzione particolare rimarranno intrappolati e dimenticati in un’infanzia se-gnata da abbandono e abusi, con conseguenze devastanti a lungo termine non solo per i bambini maanche per lo sviluppo delle nazioni.Più di cinquanta milioni di bambini ogni anno, per illustrare le situazioni di maggior rischio di invisibilità,iniziano la vita senza un’identità. Ogni anno, infatti, il 55% di tutte le nascite nel mondo in via di svi-luppo, Cina esclusa, non viene registrato. I bambini che non vengono registrati alla nascita non com-paiono nelle statistiche ufficiali e non sono riconosciuti come membri delle loro società. A loro, privi diidentità ufficiale, non è garantito il diritto all’istruzione, all’assistenza sanitaria e l’accesso a servizi di ba-se che influiscono sulla loro infanzia e sul loro futuro. I bambini senza identità ufficiale non sono conta-ti e non contano: non esistono. Nella sola Asia meridionale, la regione con il numero più elevato di na-scite non registrate, sono 24 milioni i bambini privi di identità, mentre nell’Africa sub-sahariana sono 28milioni. Milioni di orfani, di bambini di strada e di bambini in stato di detenzione crescono senza la pri-ma linea di protezione: i genitori e la famiglia. Improvvisamente gravati di responsabilità e costretti a prov-vedere a se stessi, diventano meno visibili come bambini e non saranno trattati come tali dalle loro co-munità. Si stima che 143 milioni di bambini, uno su 13, nel mondo in via di sviluppo, abbia perso alme-no un genitore. Per i bambini molto poveri, anche la perdita di un solo genitore, specialmente la madre,può comportare ripercussioni di lunga durata sulla salute e sull’istruzione. Solo nel 2003 oltre 16 milio-ni di bambini nel mondo sono diventati orfani. Non solo, decine di milioni di bambini vivono in strada,sotto gli occhi di tutti, ma paradossalmente, sono i più invisibili, le loro difficoltà sono ignorate e i lorobisogni trascurati, spesso sono vittime di sfruttamento e di abuso. Oltre un milione di bambini, poi, vivein stato di detenzione e la stragrande maggioranza è in attesa di giudizio per reati minori. Molti sonoinoltre vittime di violenze fisiche e sessuali. Una vittima misconosciuta si aggira tuttavia anche nei Paesiapparentemente più sensibili verso la salvaguardia della salute e del benessere dei minori: è il bambinomaltrattato. Si calcola che maltrattamenti o gravi negligenze colpiscano 5-7 bambini ogni 1.000. Le etàpiù esposte al maltrattamento sono i primi tre anni di vita, ma anche successivamente il bambino ne èfrequentemente esposto. Si tratta certamente di un valore sottostimato perché non tutti i casi di mal-trattamento vengono riconosciuti e non si considera che il lavoro e lo sfruttamento minorile sono di fat-to forme di maltrattamento; inoltre è difficile penetrare nelle sacche di povertà e di degrado apportatedalle immigrazioni, dalla disoccupazione, dai conflitti dove i primi e i maggiormente colpiti sono appun-to i bambini, in ogni parte del mondo.

Fonte Unicef, Condizioni dell’infanzia nel mondo, Rapporto 2006.

L’INFANZIA A

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Le infanziecon bisogni

speciali

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UNO SGUARDO ALLA STORIA DELL’INFANZIA IN OCCIDENTE e nelle altre culture mostra come l’infanzia siastata raramente quell’età felice che molti adulti amano evocare, rimuovendone ansie e problemi. Ignora-

ti nei loro bisogni, i bambini hanno spesso pagato con la loro sofferenza l’inconsapevolezza degli adulti, la lo-ro crudeltà cosciente o inconscia, a volte mascherata da sistemi educativi perversi, comportamenti e iniziativedannose, falsamente finalizzate al loro bene. Se crescere è certamente un processo difficile, che richiede lapresenza di un ambiente sufficientemente buono, l’immaginario collettivo racconta le insidie e i pericoli che ilbambino deve affrontare nel suo sviluppo. I bambini e gli adolescenti sacrificati, che compaiono nei miti e nel-le fiabe, abbandonati, trascurati, costretti a intraprendere imprese faticose, non rivelano però soltanto le dif-ficoltà del processo di crescita: custodiscono nella memoria collettiva i segni evidenti dei tanti tradimenti chel’infanzia ha sempre subito nel corso dei secoli, da cui derivano disagi emotivi fino a vere e proprie psicopa-tologie che hanno una azione strutturante della futura vita di adulto. Ansie, timori, momenti depressivi sonosempre presenti nell’evoluzione normale, ma attraverso la validità delle relazioni familiari vengono contenute,controllate, trasformate.La rottura del legame tra i genitori e la conflittualità fa riemergere nel bambino, in modo patologico, ansiearcaiche, timori di abbandono, ansie persecutorie e depressive, per la mancanza di punti di riferimento chia-ri e rassicuranti.Tutto ciò lo costringe a cercare a qualsiasi prezzo la garanzia e la certezza di riferimenti affettivi stabili. Sono si-tuazioni emotivamente importanti che non sono specifiche delle separazioni, ma che si ritrovano anche in con-dizioni di non separazione, quando le relazioni familiari sono patologiche e patogene, tanto è vero che le situa-zioni cliniche che si osservano non sono dissimili da altri casi in cui non c’è separazione.L’elemento patologizzante non è la separazione in sé, ma è il tipo e la qualità di relazione che, sempre esistita nel-la storia di queste coppie, si sintetizza nel suo potenziale perverso e distruttivo a separazione avvenuta. Nellamaggior parte dei bambini osservati, le radici del loro disagio risalivano già al momento della gravidanza e al-le prime fasi di vita. Sono bambini fin da allora assenti nella mente dei genitori, come sono assenti anche nel-la loro realtà e nei loro bisogni evolutivi al momento della separazione. Per assenza si intende sia che non so-no presenti, sia che è presente nella loro mente un bambino diverso da quello reale. “Il considerare che la separazione conflittuale può predisporre i bambini a essere abusati è rilevata dal fattoche circa il 30% di coloro che hanno subito tale trattamento, osservati e trattati dal Servizio di Psichiatria del-l’Ospedale Bambin Gesù, sono figli di coppie in grave conflitto interno.Gli abusi rilevati sono costituiti da gravi trascuratezze o da eccessi di cura o ancora da maltrattamenti fisici epsicologici, soprattutto quando il bambino si propone al genitore abusante con caratteristiche dell’altro geni-tore per somiglianze fisiche, per i tratti di personalità ed anche per il sesso. Questo 30% di maltrattamenticonclamati e riconosciuti comporta lo spostamento dell’attenzione a quella popolazione sommersa di bambi-ni, notevolmente più numerosa, che non sono in specie abusati, ma soggiacciono a tale rischio. Ciò deriva dal-la possibilità che la situazione conflittuale attivi dei disturbi fisici e/o emotivi, che richiedono un trattamentopediatrico o psichiatrico, oppure predisponga il bambino a subire maltrattamenti o negligenze.”

Fonte Francesco Montecchi. Primario di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale del Bambin Gesù di Roma. Introduzione della relazionetenuta in occasione del convegno su “Disagio familiare. Separazione e affido dei minori”, Palazzo di Montecitorio, Roma 1996. Psycho-media TelematicReview.

BAMBINI A RISCHIONELLE

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munque sempre con l’ostinata pretesa dell’appagamen-to, opponendosi ad ogni tentativo di compromesso. Vi so-no invece bambini che tollerano la stessa dose di fru-strazione con relativa serenità e sono disposti ad accet-tare gratificazioni sostitutive. In ogni caso, è necessarioprestare molta attenzione nel praticare azioni educativea contenuto frustrante per non ostacolare o deviare lo svi-luppo del bambino: “Le frustrazioni e le proibizioni, fra l’al-tro spesso inevitabili, costituiscono un’utile esperienza, mase un ragazzino subisce decine di proibizioni al giorno, sesi sente dire di non fare questo e quello ogni volta che simuove, se è costantemente bersagliato da una pioggia di‘no’, allora delle due l’una: o si rassegna a subire tutto, arinunciare a tutto, a sottomettersi a tutto, e andrà incontroa una vita grama di gregario, di suddito, di servo oppu-re di padrone e di ‘caporale’; oppure deciderà che i di-vieti non hanno alcun valore e rappresentano soltanto unafastidiosa e molesta intrusione, in presenza della qualeè meglio far finta di niente e comportarsi da ciechi e sor-di”.3 Nell’uno e nell’altro caso, il risultato è una com-promissione dello sviluppo di una personalità ben equi-librata. Vi è un aspetto della violenza sui bambini che, oltre checrudele, può avere serie conseguenze nella formazionedella loro personalità. I maltrattamenti cui un bambinopuò essere sottoposto, in una certa misura possono es-sere superati senza gravi conseguenze se egli può reagi-re, se non gli viene impedito di difendersi, di esprimereil proprio dolore, la collera per l’ingiustizia subita. “Ma segli viene impedito di reagire a modo suo, perché i geni-tori non riescono a sopportare le sue reazioni (le urla, latristezza, la rabbia) e glielo vietano con occhiatacce o al-tre misure educative, allora il bambino imparerà a rima-nere muto. Il suo mutismo garantisce, certo, l’efficacia deiprincipi educativi, ma cela allo stesso tempo il focolaiodei pericoli che minacciano il suo futuro sviluppo. Se man-cano nel senso più lato reazioni adeguate alle offese, al-le mortificazioni e alle violenze subite, tali esperienze nonpotranno venire integrate nella personalità, i sentimenti ri-marranno repressi, il bisogno di esprimerli resterà insod-disfatto, senza speranza di essere mai appagato. È proprioquesta disperazione, di non riuscire mai a esprimere i trau-mi inconsci con sentimenti adeguati, che conduce la mag-gior parte delle persone ad una grave crisi psichica.”4

Le conseguenze di un’infanzia e di un’adolescenza vis-sute in un ambiente a rischio nella maggioranza dei ca-si produce, oltre che sofferenza immediata, anche adul-ti incapaci di gestire nella normalità le loro eventuali espe-rienze genitoriali: spesso convinti di agire per il bene deiloro bambini, infliggeranno loro le stesse pene da essistessi provate nei primi anni della loro vita. Anni duran-te i quali il loro sviluppo psicologico ed emotivo (talvol-ta anche fisico) è stato compromesso per il fatto che lavita violenta attraverso la quale sono passati ha limitatoin modo traumatico la loro possibilità di avere propri spa-zi per vivere in libertà e serenità i rapporti genitoriali suiquali, giorno per giorno, ogni bambino procede verso lamaturazione della propria personalità e della capacità dirapportarsi positivamente agli altri. La violenza li confi-na in un angolo psicologico buio in cui la loro mente, trop-po occupata a pensare e a difendersi mentalmente dal-la violenza cui sono esposti, non ha spiragli sufficienti permirare allo sviluppo armonico della propria personalità.

1. Ottolenghi A., “Il bambino maltrattato o abusato”, inBurgio G.R., Perinotto G., Ugazio A.G., Pediatria essenziale,Utet, 1997.2. American Academy of Pediatrics, Caring for your SchoolAge Child: Ages 5 to 12, Published on line: 6-07.3. Bernardi M., L’avventura di crescere, Fabbri Editori, 1995.4. Miller A., La persecuzione del bambino, Universale Bol-lati Boringhieri, 1987.

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PER GIOCARE INSIEME ai bam-bini in modo corretto, non visono naturalmente istruzionivalide per tutte le età e per

tutte le circostanze per regolare e ren-dere più efficace la partecipazione de-gli adulti. Tuttavia, dare qualche indi-cazione utile è certamente possibile eriassumibile in pochi punti:

■ innanzitutto, prima di proporsi co-me compagni di gioco, è bene os-servare attentamente dall’esternoquello che il bambino sta facendoo ha intenzione di fare da solo. Sol-tanto dopo si può intervenire per fa-cilitarlo, o condividere la realizza-zione delle sue intenzioni (se egli lovuole);

■ il tempo disponibile per giocare coni bambini è generalmente limitato espesso ci si rammarica di non farloabbastanza. Niente sensi di colpa ne-gli adulti: per il bambino è impor-tante sapere che può contare su unospazio, anche se piccolo, a lui dedi-cato: tale certezza crea nel piccolola sicurezza, di cui ha bisogno, di es-sere accettato e amato;

■ i bambini piccoli frequentementepresentano dei problemi nel passa-re dal gioco con qualcuno al giocoda soli e viceversa. Per questo è op-portuno abituarli a effettuare talepassaggio nelle due direzioni equesto lo si può fare sia promet-tendo (e mantenendo) l’impegno ditornare a giocare insieme in un tem-po determinato, sia programmandodei giochi che possono essere svi-luppati in solitario;

■ i bambini piccoli non hanno un pre-ciso senso del tempo. Per un bam-bino di due anni, cinque minuti diattesa possono essere percepiti co-me una eternità. Per questa ragio-ne è consigliabile interporre un in-tervallo di tempo di crescente enti-tà fra un gioco fatto insieme e il suc-cessivo, in modo da abituare il bam-bino a giocare da solo per periodia poco a poco sempre più lunghi;

■ infine, l’esperienza ludica del bam-bino deve essere arricchita, quandopossibile, da un’ampia frequenta-zione di altri bambini, continuandol’adulto a sostenere un ruolo parti-colarmente rilevante: quello di aiu-tare il bambino a giocare con altribambini, a confrontarsi con diffe-renti personaggi, a superare gli ine-vitabili conflitti.

Il gioco dei giochi: raccontare e leggere ad alta voce

Un’attività ludica (il gioco dei giochi) incui l’interazione fra bambino e adulto èdi grande rilevanza è la narrazione e la let-tura ad alta voce: i suggerimenti per ren-derla efficace sono pochi, ma essenziali.Innanzitutto, bisogna tener conto chei tempi di attenzione di un bambino so-no relativamente brevi, brevissimi al disotto dei tre anni; in secondo luogo cheè necessaria, da parte dei bambini, unadisponibilità non sempre facile da ot-tenere, specialmente nei più grandicel-li. In questi, infatti, maggiore può essereil contrasto fra altri interessi e l’ascolto.Di questi due elementi è opportuno te-nere conto, sia per non eccedere nelpretendere un tempo di attenzione

Partecipare ai giochi dei bambini, per gli adulti, rappre-senta un impegno non privo di alcune difficoltà, che han-no in gran parte origine da quella fondamentale di tro-vare un comune piano di relazioni in cui essi e i più pic-coli possano interagire in una reciproca accettazione del-le loro diversità. Non si può entrare nel mondo dei bam-bini senza essere consapevoli e tener conto che: “essisi trovano in un mondo in cui gli adulti sono più alti diloro, ignoranti di fronte a coloro che già sanno, incapa-ci di esprimersi compiutamente di fronte ad adulti chelo sanno fare meglio di loro”.1

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che il bambino non è in grado di da-re sia per creare situazioni ambientali didistensione che favoriscano la disponi-bilità interiore all’ascolto.Premesso questo, le modalità secondocui condividere il gioco della narrazio-ne e della lettura condivisa possono es-sere così sintetizzate:

■ cercare di capire se il bambino è ve-ramente interessato alla lettura in at-to, altrimenti modificare il modo dileggere, vivacizzare il tono, cambiareil libro o il racconto, rimandare il mo-mento, assecondare i suoi desideri;

■ non utilizzare la lettura o il raccon-to solo per acquietare il bambino;

sfruttare invece i momenti in cui lasua mente è più attenta e disponi-bile ad ascoltare;

■ comunicare non solo con la voce maanche con gli sguardi e i gesti;

■ indicare le figure e la loro sequen-za, sollecitando il bambino a parte-cipare con la sua fantasia ad arric-chire quanto gli viene raccontato.

Come per gli oggetti (i giocattoli) pergiocare insieme, la scelta dei materia-li editoriali più adatti può essere gui-data secondo alcuni criteri base chetengano conto, dell’età, del sesso, deigusti e delle preferenze del bambi-no/ragazzo:

■ sotto l’anno di vita, il materiale del“libro” deve essere resistente, me-glio se plastificato, da maneggiarefacilmente e da mettere in bocca,colorato, con grandi immagini;

■ nel secondo anno, il libro o raccon-to più adatto deve essere struttura-to con brevi storie che riproduconole azioni più semplici della vita quo-tidiana: cose colorate di tutti i gior-ni, animali, piante e oggetti che han-no il dono della parola;

■ dopo il secondo anno, le storie pos-sono diventare più articolate, le pa-role via via aumentare di numero ecomplessità, le immagini rimpiccio-lirsi; il materiale dei libri, dapprimacartonato, può assumere la sua de-finitiva forma cartacea;

■ negli anni a seguire, i soggetti dei rac-conti devono riguardare sempre piùl’ambiente, il nucleo familiare, il ciclovitale fino a introdurre in modo gra-duale e con linguaggio appropriatol’importanza dei valori sociali;

■ nella preadolescenza e nell’adole-scenza, è importante tener conto,più che rispetto alle età preceden-ti, degli interessi dei ragazzi, del lo-ro livello di sviluppo e dei problemiche devono affrontare. Da questopunto di vista i racconti e le letturesuggeribili dovrebbero essere im-perniati su personaggi credibili e si-tuazioni che offrano speranze rea-listiche. Senza togliere il sapore del-l’avventura e dell’azione, la sceltadelle letture dovrebbe essere orien-tata a fornire informazioni sui pro-blemi della vita interessanti per i sog-getti di questa età quali l’amicizia,l’amore, le aspirazioni ecc. ■

A prescindere dai giochi e dalle lettu-re, quello che è veramente importanteè conferire vera autenticità al piacere distare insieme.

1. Mead M., Wolfenstein M., Il mondodel bambino, Edizioni di Comunità,1963, Milano.

Illustrazione da:

Delphine Chedru,

Il Cavaliere

Coraggio.

Un libro gioco

dove l’eroe sei tu!,

Franco Cosimo

Panini, 2011.

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In genere si pensa che il gioco sia un’attività

futile e superflua, un “passatempo”. Tanto

che si suol dire: “È soltanto un gioco” per

minimizzare un’esperienza, per negare che

sia rilevante. In realtà non vi è nulla di più

serio del gioco. Soprattutto per i bambini.

Il bambino sano che cresce bene, quando

non dorme, gioca. Per lui giocare significa

vivere. Ogni occasione è buona, ogni ogget-

to si presta, anzi costituisce una vera e pro-

pria provocazione a giocare.

È un errore pensare che per giocare ci

vogliano i giocattoli. Anzi, se sono troppi e

troppo sofisticati, possono essere d’intralcio.

Molti bambini non ne hanno mai visto uno

eppure non per questo rinunciano a gioca-

re. Più importante delle cose, degli oggetti

specifici, è la situazione che si deve creare

perché il bambino si abbandoni al piacere

del gioco. Solo quando si sente sicuro il pic-

colo si lascia andare alla conoscenza delle

cose e all’esplorazione del mondo circostan-

te. Un mondo all’inizio piccolo piccolo come

la culla, poi via via sempre più vasto e arti-

colato.

Nei primi mesi il suo piacere nasce dai mes-

saggi gradevoli che gli invia il corpo che

guarda, tocca, ascolta, gusta. Anche le pro-

prie membra, a quell’età, sono cose tra le

cose, per cui il neonato può trastullarsi con i

NEI PRIMI GIOCHI L’ESPLORAZIONE DEL MONDO

SILVIA VEGETTI FINZIPsicologa e docente di Psicologia dinamica,

Università degli Studi di Pavia

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suoi piedini come se fossero giocattoli. Tutto

può servire a divertirlo, purché non sia peri-

coloso per la sua incolumità. Per conoscere,

il neonato usa soprattutto la bocca che,

attraverso il cibo, diviene ben presto capace

di distinguere il buono dal cattivo.

Man mano che il cerchio dell’esplorazione si

allarga, cresce contemporaneamente anche

la sua capacità di pensare dato che, nel

primo anno di vita, l’intelligenza è prevalen-

temente motoria. E quando, per esempio,

butta via il cucchiaio e lo rivuole per sca-

gliarlo ancora una volta lontano, non sta

solo indispettendoci, ma cercando di dimo-

strare a se stesso che può agire attivamente

modificando la realtà.

Frapporre troppi ostacoli alla sua esplorazio-

ne, tempestarlo di divieti e di interdizioni,

alla fine inibisce la curiosità e l’attività.

Spesso il bambino troppo buono è un bambi-

no passivizzato che, per evitare guai, non

desidera nulla e non chiede niente. Anche

fare un dramma per il disordine della came-

retta è inutile perché, quando gioca, il bam-

bino vive in un mondo immaginario, in un

castello incantato, in cui si sente libero di

fare e disfare e non ha tempo per riordinare.

Fatelo voi, raccogliendo tutto in un comodo

cestone.

Vi sono mamme che proibiscono i giochi con

la terra, l’acqua e l’erba per paura che il

bambino si sporchi, si bagni, si ammali. Ma,

a contatto con la natura, il piccolo si calma

e si rinvigorisce e basta un grembiulone di

plastica e un paio di buone calosce per met-

terlo al riparo da eventuali malanni.

Nel gioco infantile l’adulto può essere un

complice o uno spettatore. Tra i primi giochi

condivisi vi è quello del cucù. Ci si nasconde

e poi all’improvviso si riappare, magari sbu-

cando da un semplice foglio di carta.

Successivamente lo sparire-ricomparire

diventa motorio e il bambino ci cercherà là

dove ha visto che ci siamo nascosti.

L’importante è non forzare i tempi, seguire i

suoi ritmi senza sovraccaricarlo di troppe

emozioni. A un certo punto sarà lui stesso a

sfidarci e allora dovremo far finta di cercar-

lo, pur sapendo bene dov’è. Questo gioco

richiede, da parte nostra, delicatezza e tene-

rezza perché, con questi rituali, il piccolo sta

cercando di dominare la paura del nulla, il

terrore di essere abbandonato o di non esser-

ci più. L’entusiasmo con cui ogni volta cele-

bra la riscoperta reciproca rivela che sta

acquisendo il senso della continuità, di se

stesso e del mondo. Per noi è scontato, ma

per i più piccoli rappresenta invece una con-

quista.

Fonte www.leggerepercrescere.it

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NEL BAMBINO PICCOLO ilsenso dell’umorismo è deltutto particolare in quanto,essendo ancora nella inca-

pacità di simbolizzare, la partecipazionea situazioni umoristiche non è a livel-lo di reale comprensione. Quando unamamma, nell’accudire il proprio piccolodi pochi mesi, si lascia andare aespressioni del viso o a suoni buffi edivertiti, si può osservare che il bam-bino sorride; quando la mamma rideil bambino di solito risponde ridendo,non perché capisca i suoi comporta-

menti scherzosi, ma semplicementeperché entra in sintonia con lo statoemotivo materno, condividendolo.Nelle fasi successive dello sviluppo, daidue ai cinque anni, il senso dell’umo-rismo assume connotazioni che, ingran parte, ancora lo differenziano daquello degli adulti. In questi la risata,che esprime il riconoscimento del la-to ridicolo di una situazione o di unapersona, è consapevole e intenziona-le, mentre i bambini possono rideresemplicemente a imitazione degli adul-ti, anche per ragioni o fatti che noncomprendono.

Nei bambini di questa età il senso del-l’umorismo viene stimolato da cose eaccadimenti incongrui che non pos-sono essere accettati come veri, pos-sibili, logici, abituali: una persona cheindossa delle scarpe come se fosseroguanti, l’illustrazione di un pesce congli occhiali e così via.

L’amoreper le trasgressioniUna ragione per cui i bambini ama-no e si divertono con le rime e le fila-strocche senza senso è che esse si dis-costano dal linguaggio comune, tra-sgredendone le regole. Contravvenireai comportamenti normali è fonte didivertimento, come comunemente av-viene, per esempio, all’ora del bagno;oppure quando si ricorre a parole chegli adulti considerano inaccettabili e di

cui di solito i piccoli, pur divertendosiun mondo a ripeterle, non conosconoappieno il significato.Ma attenzione: quando qualche cosaè troppo fuori dal comune, cessa di es-sere fonte di divertimento, di piacere,per diventare facilmente nel bambinocausa di timore. Questa è la ragioneper cui molti bambini non amano af-fatto il circo: un pagliaccio eccessiva-mente truccato e con gli abiti rappez-zati può impaurire invece di divertireperché, per la sua lontananza dalle

Un importante ingrediente per contribuire a gestire positivamente lo svi-luppo della personalità di un bambino è rappresentato dall’umorismo. Ilsenso dell’umorismo comincia a presentarsi assai precocemente: già in-torno al terzo o al quarto mese di vita. Nello sviluppo del senso dell’u-morismo, tuttavia, il passaggio fondamentale si verifica intorno ai 15 me-si, quando il bambino acquisisce la capacità di immaginare e di fingere,per esempio, che una cosa stia per un’altra. In questa fase, il piccolo co-mincia ad apprezzare gli scherzi di chi gli sta vicino, a tentare di imitarli.

Illustrazione da:

André Francois,

Chi è il più buffo?

Babalibri, 2011.

meglio

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esperienze normali del bambino, puòessere visto come un mostro invece checome una persona giocosamente tra-vestita. Questo significa che il confinefra ciò che può divertire e ciò che puòimpaurire è talvolta mal definibile. Unpapà che per gioco finge di cadere puòsulle prime divertire il suo piccolo, mase lo scherzo dura troppo questi puònon capire più quanto è finzione equanto è realtà, per cui dal riso si puòpassare rapidamente al pianto. Natu-ralmente può accadere anche il con-trario: quando il bambino vede cade-re il padre può prima spaventarsi e poi,afferrato che si tratta di una finzioneper divertirlo, ridere.

Il bambino può trovare motivi stimolantiil suo senso dell’umorismo niente affattocondivisibili dagli adulti. Il divertimentosuscitato da cartoni animati violenti odalla vista di persone in condizioni pre-carie (cadute, disabilità ecc.) è espe-rienza abbastanza comune, ma non de-ve essere interpretata come un’espres-sione di “malvagità”, bensì come ne-cessità di scaricare, con il riso, il timo-re, da parte del piccolo, di incorrere ne-gli stessi o simili pericoli o condizioni.

Al tempo della scuola primaria, verso i7 anni, il senso dell’umorismo cambianegli oggetti, nei contenuti e nelle mo-dalità, in quanto stanno crescendo le ca-pacità logiche, la comprensione del tem-po, le possibilità del linguaggio e dei gio-chi di parole. Oltre le soglie dell’età pre-scolare, è possibile ridere di battute im-possibili due anni prima del tipo: “Co-me si può far volare il tempo?”, “But-tando l’orologio fuori dalla finestra”.

Quanto fa bene ridere

Un ben sviluppato senso dell’umorismooffre al bambino numerosi benefici sulpiano intellettuale, sociale ed emotivo.

I benefici intellettuali. Sul piano in-tellettuale si può mettere in rilievo il fat-

to che il bambino ama giocare con leparole, prima attratto dal loro suono,poi dal loro significato. E poiché il lin-guaggio è il mezzo mediante il qualela mente procede alla rappresentazio-ne del mondo e di sé, fantasie, scher-zi e doppi sensi mentre arricchiscono ilvocabolario del bambino ne estendo-no la capacità di pensarsi e di pensareil mondo. “L’umorismo promuove an-che la capacità creativa dei bambini. In-fatti, vi è una stretta relazione fra il mo-do di pensare in termini umoristici e al-tre forme di pensiero creativo. I bam-bini che investono più tempo a cerca-re nelle parole nuovi ‘non sensi’ svi-luppano un’abilità generalizzata dipensare in modo innovativo anche le si-tuazioni e i problemi che incontrano nel-la quotidianità della loro vita.”

I benefici emotivi. L’intelligenza emo-tiva, che consiste nella capacità di ge-stire le emozioni proprie e degli altri inmodo da non esserne dominati, puòtrovare nel senso dell’umorismo un im-portante fattore di equilibrio. Le paureche spesso insorgono nei bambini ver-so i cinque anni, quando cominciano avenir meno le fantasie di invincibilità ea emergere la consapevolezza di esse-re piccoli e indifesi, possono essere ri-dimensionate o fugate da una risata li-beratoria. Ecco perché può accadere, eaccade spesso, che un bambino vedaun aspetto buffo e rida di situazioni incui di umoristico non c’è proprio nulla,come la caduta per strada di una per-sona anziana. La risata stempera il ti-more e l’ansia di essere esposto ad unpericolo, a una minaccia. Il superamentodi timori e ansie è in gran parte affida-to allo sviluppo del senso di sicurezza,a sua volta alimentato da quella stimadi sé che un valido senso dell’umorismopuò contribuire a far crescere.

Spesso si tende a considerare il possessodel senso dell’umorismo come un do-no di natura: c’è chi lo ha e chi non loha. In realtà così non è: il senso dell’u-

morismo è una qualità che si impara eche quindi può essere insegnata, te-nendo tuttavia conto del fatto che l’u-morismo è una risorsa molto raffinatadella mente: richiede infatti una ela-borazione mentale di cui il bambino ge-neralmente diviene capace, proceden-do per gradi, alle soglie della scuola pri-maria e oltre. Ma, fin dal primo annodi vita, il bambino possiede e sviluppagli ingredienti fondamentali dell’umo-rismo: il senso del comico, la capacitàdi percepire l’incongruenza di una si-tuazione rispetto alla normalità, il gu-sto del paradosso. Fin dal secondo se-mestre di vita “il bambino è felice se daquello che fa viene fuori un risultato biz-zarro e imprevedibile. Inventa operazionistrampalate, si caccia in situazioni chesembrano senza via d’uscita, e si diverteun mondo a vedere i genitori che ac-corrono per risolvere i problemi da luicreati con la sua ‘follia’. Se qualcuno loinsegue con aria bonariamente minac-ciosa, fugge precipitosamente lancian-do strilli di gioia. Se gli si fa il gioco delcucù nascondendosi dietro un fazzo-letto e ricomparendo d’improvviso, sismascella per le risate. Se qualche suaazione fa ridere gli altri, la ripete all’in-finito. Adora l’assurdo”.

La stimolazione delsenso dell’umorismoLa stimolazione del senso dell’umori-smo nel bambino può prendere l’avviodedicando del tempo a giocare con luigiorno per giorno lungo tutto il percorsodella sua crescita. Il gioco condiviso fa-vorisce la formazione delle strutturementali che il piccolo impegna nel por-tare avanti le attività che lo divertono,a livello delle sue capacità che via via sivanno sviluppando.Nel condividere il gioco, è importanteintrodurre di tanto in tanto motivi perridere, così come è importante corri-spondere ai tentativi che il bambinomette in atto per far ridere l’adulto chegioca con lui. Più si sostiene il bambi-

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Libri in vetrinaA cura di WALTER FOCHESATO

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CONDIVISIONE DEL GIOCO

JOELLE JOLIVETSchizzo in cittàIl CastoroPagg. 20, Euro 18Albo in gran formato con robuste pa-gine e tante linguelle da sollevare. Il com-pito è quello di seguire, passo dopo pas-so, dal mattino a tarda sera, il lavoro diSchizzo, il camioncino delle consegne.Il bambino dovrà anche scoprire tutti glioggetti che devono essere recapitati algiusto destinatario. Con suggestive ta-vole a colori che ricostruiscono, con sem-plice efficacia, i diversi ambienti urbani,dal centro alla periferia.

TARO GOMIGiochi di cartaRizzoli, 2011Pagg. 58, Euro 22,50Taro Gomi, giapponese, è ben noto an-che in Italia per i suoi bellissimi volumiediti da Corraini (la serie degli “Scara-bocchi”), pensati per favorire in modocreativo l’approccio al disegnare e al co-lorare. Ques’ultimo è invece un solidovolume con le pagine in cartoncino dop-pio. Tante “forme da staccare, giocat-toli da costruire, marionette, cornici etante altre cose!”

DELPHINE CHEDRUIl cavaliere coraggioFranco Cosimo Panini, 2011Pagg. 42, Euro 14,50Torna il libro game, un genere ormai de-sueto ma sempre di grande efficacianarrativa, soprattutto perché richiedel’intervento costante del lettore nelloscegliere via via le decisioni da prende-re. Preziose immagini in gran formato,un continuo “saltabeccare” da una pa-gina all’altra, piccoli quesiti a cui ri-spondere: perfetto per favorire l’incon-tro fra il bambino e l’adulto.

L’UMORISMO

ANDRÉ FRANCOISChi è il più buffo?Babalibri, 2011Pagg. 32, Euro 12Pubblicato in anni lontani ritorna unmagnifico albo di uno dei grandi mae-stri dell’illustrazione, del disegno umo-ristico e del graphic design del ‘900.Due strani personaggi si sfidano senzasosta per stabilire chi è il più buffo, chisa compiere le imprese più stravagan-ti. Con un finale poetico e inaspettatoaperto a tante, possibili letture.

JAMES FLORAIl giorno in cui la mucca starnutìOrecchio Acerbo, 2011Pagg. 42, Euro 16Artista geniale, inquieto e polivalenteFlora pubblicò nel 1957 questo alboche, negli Stati Uniti, divenne ben pre-sto una sorta di classico. Che cosa ac-cade se una vecchia mucca, grazie al-la sbadataggine del ragazzino che do-vrebbe accudirla, prende il raffreddoree comincia a starnutire? Una irresistibilee rischiosa catena di eventi, in un alboa dir poco esilarante e coinvolgente.

SHEL SILVERSTEINChi vuole un rinoceronte a prezzo speciale?Orecchio Acerbo, 2011Pagg. 64, Euro 18Un campionario surreale e divertentema al tempo stesso tenero e ironico diquel che può fare, in casa, un rinoce-ronte (l’attaccapanni, il grattaschiena,lo stappa lattine, la guardia del corpo,l’inarrivabile compagno di giochi e tan-to altro ancora). Un segno arguto e ner-voso per un albo costantemente “dal-la parte dei bambini”.

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LE PAROLE

RIINA e SAMI KAARLALa festa di MuminGallucci, 2011Pagg. 28, Euro 10Tornano gli amatissimi ippopotami an-tropomorfizzati creati dall’illustratrice epittrice finlandese Tove Jansson. Insie-me a Mumin fa un picnic, ecco duepiccoli ed eleganti cartonati, con alet-te da sollevare, per scoprire la quoti-dianità e il lieve umorismo del prota-gonista impegnato con i suoi insepa-rabili amici a preparare un memorabi-le compleanno o un lauto banchetto al-l’aperto.

FRAN ALONSOFotografie di MANUEL G. VICENTEIo e il ragnoKalandraka, 2011Pagg. 44, Euro 14La scoperta del corpo umano e delle suevarie parti affidata ad un racconto do-ve un breve testo ricco di pacata lirici-tà si accompagna a bellissime foto a co-lori e ad una grafica accattivante. Conun costante parallelismo con i diversifrutti: per cui, ad esempio, l’alluce è ton-do come un kiwi e la schiena è liscia co-me la buccia di un’anguria.

ALESSANDRO RICCIONI Illustrazioni di ALICIA BALADANCielo bambinoTopittori, 2011Pagg. 26, Euro 14Filastrocche di piacevolissima fattura siaccompagnano a raffinate tavole di me-tafisica e fervida bellezza. Dall’alba al-la notte i vari momenti della giornatae i diversi elementi atmosferici: il solee il buio, le nuvole e la luna, il tramontoe l’arcobaleno.

LO SVILUPPO DELLA SOCIALIZ-ZAZIONE

SARA CARLINILa zebra Giulia innamorataPrìncipi & Principi, 2011Pagg. 32, Euro 14Un segno colto e felicemente materico,all’insegna del colore e della sorpresa.Un storiella minima per parlare digrandi sentimenti, una sorta di primo,piccolo manuale d’amore. Per la zebraGiulia, nell’attesa che arrivi lui, tutto ègrigio, si sente sola,ha la testa fra le nu-vole, sfoglia la margherita, canticchiacanzoni sotto la doccia…

CLAUDE BOUJONLa sedia bluBabalibri, 2011Pagg. 36, Euro 11,50In pieno deserto Bruscolo e Botolo sco-prono una semplice sedia e così iniziail gioco, antico e straordinario, di tra-sformarla in qualche cosa d’altro: un na-scondiglio, una slitta, una barca in mez-zo ad un mare infestato di squali, unascrivania, un attrezzo per giocolieri edaltro ancora. Finché un dromedario stu-pido e prosaico si chiede cosa stianocombinando quei due…

GIUSI QUARENGHIIllustrazioni di ALESSANDRO SANNASi puòFranco Cosimo Panini, 2011Pagg. 36, Euro 11Un albo cartonato per i lettori più pic-coli. Accompagnato dalle magnifiche evivacissime tavole di Alessandro Sanna,uno dei nostri migliori illustratori, il te-sto tenero e soavemente antipedago-gico della Quarenghi. “Si può anche piz-zicare un’ortica/ ingoiare una formica/carezzare due lombrichi/ magiare la pel-le dei fichi/ Si può anche/ sbrodolarsi coni cachi/ non avere schifo dei bruchi/ epensare/ che non è uno spreco/ passa-re la sera/ a guardare un geco…”

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NEL CONTESTO del Programma diimpegno sociale di Glaxo-SmithKline (GSK) denominato

“Salute & Società”, il Progetto “Leggereper Crescere” venne impostato nel2001, con la finalità di diffondere lapratica del raccontare e del leggere adalta voce presso le famiglie con bam-bini in età prescolare, pratica ancoralargamente disattesa in ogni parte delnostro Paese, a ogni livello socioeco-nomico e culturale. Infatti, inun’indagine condotta nel 2000 dall’U-niversità di Verona e da GSK è risulta-to che più della metà delle famiglie del-la Provincia di Verona non narrava e nonleggeva affatto ai propri piccoli e l’altrametà, nella maggioranza dei casi, lofaceva in modo insufficiente in terminidi tempo dedicato. Inoltre è emerso inmodo sorprendente che questo ac-cadeva per il 70% in famiglie con gen-itori trentenni e relativamente accul-turati. Dai dati raccolti, e da quelli ot-tenuti da ricerche simili effettuate sia inItalia sia all’estero, è stato possibile raf-forzare il convincimento non tanto del-l’opportunità quanto della necessità diun Progetto come “Leggere perCrescere”.Il razionale sottostante al Progetto“Leggere per Crescere” è basato su undato di fatto intuitivo, tanto riscontra-bile nella comune esperienza quantoampiamente documentato da numerosistudi scientifici: la narrazione e la letturaad alta voce ai e con i bambini nei pri-mi cinque anni di vita favoriscono losviluppo del linguaggio, arricchiscono lamemoria, stimolano la fantasia, pro-muovono le capacità cognitive, rendonopiù intensi e stretti i rapporti affettivi frachi legge e chi ascolta; infine, e non ècertamente il risultato meno importante,accrescono le capacità genitoriali equelle professionali di quanti si occu-pano dell’educazione, della salute e delbenessere dei bambini.Il Progetto “Leggere per Crescere” veni-va inizialmente finalizzato a diffonderela pratica del raccontare e del leggere

ad alta voce presso le famiglie con bam-bini in età prescolare residenti nellaProvincia di Verona, circa 40.000. Se ilProgetto avesse avuto successo inquesta area geografica, sarebbe poi sta-to sviluppato gradualmente anche in al-tre parti d’Italia.

Tuttavia, mentre GlaxoSmithKline real-izzava il Progetto “Leggere perCrescere” nella Provincia di Verona, sene cominciò subito la diffusione, primanelle Province vicine di Padova, Vicen-za, Rovigo, per restare nel Veneto; e poiin Liguria, in Lombardia e in Puglia, an-ticipando in modo accelerato il pianodi sviluppo del Progetto, reso ancora piùimpegnativo dal fatto di aver nel con-tempo ottenuto, fra gli altri, il patrociniodel Ministero dell’Istruzione, dell’Uni-versità e della Ricerca (MIUR) e quindidi venir riconosciuto come progetto divalore nazionale. Inoltre, fin dall’inizio dello sviluppo delProgetto “Leggere per Crescere”emersero e si imposero altre esigenze,rispetto alla sensibilizzazione dellefamiglie alla pratica quotidiana dellanarrazione e della lettura ad alta voce.In particolare, si presentò con pressanteevidenza la domanda di soddisfarebisogni particolari di bambini malati, dibambini appartenenti a famiglie mi-granti, di bambini disabili. Domandache non è rimasta inevasa, per cui ilProgetto venne ben presto diversifica-to lungo tre principali direttive: il bam-bino in ospedale, il bambino disabile, ilbambino di lingua e cultura diverse. Dalla somma delle esperienze maturatenel corso degli anni, si è pervenuti allaconclusione secondo cui la promozionedella narrazione e della lettura ad altavoce in età prescolare non è solo utile,ma necessaria, di interesse nazionale,livello questo che richiede l’impegnocongiunto di un’ampia rete di capacitàdecisionali istituzionali e la concorde col-laborazione di quanti lavorano permigliorare le condizioni di sviluppo psi-coaffettivo, intellettuale e morale di

quelli che saranno il futuro del Paese. Lo sviluppo del Progetto “Leggere perCrescere”, basato sulla formazione e suun coordinato coinvolgimento di ungran numero di operatori che profes-sionalmente si occupano di bambini inetà prescolare (pediatri, educatrici di asilinido, insegnanti di scuole dell’infanzia,ai quali si sono uniti bibliotecari comu-nali e farmacisti per la loro possibilità diinformare l’opinione pubblica su largascala), al di là degli obiettivi di naturaquantitativa raggiunti, ha contribuito aottenere risultati qualitativi particolar-mente significativi:

■ aver costruito un’intesa e una solidarietà operativa fra centinaia diprofessionisti che, pur avendo in co-mune il soggetto delle proprie at-tività (il bambino in età prescolare),normalmente non si incontrano perpromuoverne insieme la crescitamentale e relazionale;

■ aver favorito una condivisione deiproblemi, soprattutto organizzativi,e delle possibili soluzioni legate alraccontare e al leggere ad alta vocecon i bambini piccoli sia nella pra-tica familiare sia in quella delle strut-ture istituzionali (asili nido, scuoledell’infanzia, ospedali ecc.);

■ aver impostato sul territorio unarete di interlocutori dai quali sonopoi dipesi la diffusione e il soste-gno nel tempo del messaggio con-tenuto nel Progetto “Leggere perCrescere”;

■ aver fatto conoscere l’utilità di unacollaborazione seria e di lungo pe-riodo fra Pubblico e Privato ad unavasta platea di operatori e di famigliesui quali si fondano le attese di unasocietà civile e più solidale.

Questi risultati qualitativi derivano dadieci anni di lavoro che, nelle intenzionidi GSK, dovrebbero costituire le solidebasi per il proseguimento delle atti-vità anche nel prossimo decennio. ■

LO SVILUPPO IN ITALIA

I primi 1O anni del progetto “Leggere per Crescere”

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DI QUALE AUTORITÀ HANNO BISOGNO I BAMBINI?

(Continua da pagina 3)

rità identificabile, nel rispetto delle re-gole e dei patti, è rappresentato dal-l’accordo che prima o poi ogni genito-re deve accettare: “Hai il permesso distare con i tuoi amici fino alle ore… equindi hai l’obbligo di rientrare entroquell’ora”.

Un quarto tipo di autorità, dagli effettiquasi sempre negativi, è quello coerci-tivo-impositivo: “Tu devi fare o non fa-re questo perché lo voglio io che sonotuo padre, tua madre, il tuo insegnan-te”. Questo tipo di autorità il più dellevolte si conclude con un fallimento edu-cativo in quanto può venire subita, manon rispettata, così come non lo saràchi la esercita.

Ragionevolmente si può concludereche l’autorità, nell’educazione deibambini e dei ragazzi, è un ingredientenecessario purché scelta fra le moda-lità che comprendono il rispetto dellapersonalità, le esigenze e i desideri deipiccoli e dei giovani, andando oltre lafrequente tendenza degli adulti apreoccuparsi troppo di se stessi e del-

la pretesa di essere quelli che hannosempre l’ultima parola. ■

1. Marcelli D., Il bambino sovrano. Un nuovo ca-po in famiglia?, Raffaello Cortina Editore, 2004. 2. Ibidem.3. Gordon T., Genitori efficaci. Educare figli re-sponsabili, La Meridiana, 2007.

ALT ALL’ANALFABETISMO CON LA LETTURA AD ALTA VOCE

(Continua da pagina 9)

ad ascoltare, è necessaria, da parte deibambini, una disponibilità non semprefacile da ottenere, specialmente da par-te dei più grandicelli, nei quali maggiorepuò essere il contrasto fra interessi e at-tività diversi dall’ascolto, specialmentenell’ambito di stili di vita caratterizzatida stimolazioni di eccessiva intensità,quali troppe o prolungate attività fisi-che o una sproporzionata fruizione del-la televisione e dei videogiochi.Di questi due fattori è opportuno tenereconto sia per non eccedere nel preten-dere un tempo di attenzione che il bam-bino non è in grado di dare, sia per crea-re situazioni ambientali di distensioneche favoriscono la disponibilità interio-re all’ascolto.

Infine, è opportuno tener conto del fat-to che il radicamento dell’interesse edell’amore per la lettura, e quindi la pos-

14 Regioni: Veneto, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Liguria, Toscana,

Emilia Romagna, Lazio, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Sicilia, Calabria

71 Ospedali

11.000 Operatori (educatrici, insegnanti, pediatri, bibliotecari, volontari)

600.000 Famiglie raggiunte

76 Patrocini, di cui 4 nazionali e 5 regionali

521 Enti collaboranti (ASL, Associazioni, Comuni, Scuole, Biblioteche)

3682 Farmacie

sibilità di combattere sia l’analfabetismo“di andata” sia quello “di ritorno”, èlegato anche alla quantità delle lettu-re offerte all’interesse del bambino: èstato infatti stimato che sono non me-no di tremila le letture o i racconti (an-che ripetuti più volte) di cui un bam-bino ha bisogno prima di imparare aleggere in modo permanente.2 ■

1. Trelease J., The Read-Aloud Handbook, Pen-

guin, 2006.

2. Fox M., Reading Magic, Harcourt, 2001.

L’UMORISMO FA CRESCERE MEGLIO

(Continua da pagina 27)

no in queste direzioni, più si consolidanole basi dalle quali negli anni successiviemergerà il senso dell’umorismo. Na-turalmente, la maturazione delle capa-cità umoristiche è tanto maggiorequanto più l’ambiente è caratterizzatoda un clima sereno e giocoso. Nella so-stanza, per quanto riguarda il senso del-l’umorismo in rapporto alle emozioni ealla loro gestione, è importante chel’ambiente offra al bambino un modellopositivo che richiede da parte degli adul-ti un intenzionale impegno a colmareil deficit esistente fra i molti sorrisi e ri-sate quotidiane dei bambini e i pochidegli adulti, per lo più spesi fuori dal-l’ambiente in cui il bambino vive. ■

Lo sviluppo del Progetto “Leggere per Crescere”2001-2010

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Tutti possono ricevere gratuitamente la rivista di

Leggere per Crescere

GlaxoSmithKline (GSK) è una multinazionale farmaceutica, basata sulla ricerca, nata nel dicembre 2000 dalla fusione di Glaxo Wellcome e SmithKline Bee-cham. In Italia GSK è presente dal 1932 e ha sede principale a Verona dove si trova uno dei due stabilimenti produttivi del Gruppo, dedicato alla produzio-ne mondiale di antibiotici sterili, mentre il sito di San Polo di Torrile (PR) si occupa dello sviluppo di nuovi prodotti in forma sterile e della produzione di vac-cini e di liquidi e liofilizzati sterili a livello mondiale. A Baranzate (MI) sono infine concentrate le attività relative ai prodotti da banco e di largo consumo.Nell’ambito delle proprie iniziative a favore della comunità, GSK sviluppa in Italia dal 2001 interventi a favore dei bambini e degli anziani con il programmadi responsabilità sociale “Salute & Società”.

Periodico del Progetto “Leggere per Crescere” - Registrazione del Tribunale di Verona n. 1602 del 17/6/2004 - Direttore responsabile Romolo Saccomani

© GlaxoSmithKline 2012 - www.leggerepercrescere.it - e-mail: [email protected]

■ Progetto editoriale e testi Garamond SAS, Milano ■ Grafica TypeDesign, Milano ■ Redazione Luciana Bozzotti ■ Stampa Cortella S.p.A., Verona Questa pubblicazione è stampata in 25.000 copie.

Si dichiara la disponibilità a regolare eventuali spettanze, per le fonti utilizzate, agli aventi diritto che non sia stato possibile contattare nel corso della lavorazione di questo volume.

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