Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto...

56
Giornate di Studio Aidlass – Napoli 16 e 17 giugno 2016 Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario Emilio Balletti I poteri del datore di lavoro tra legge e contratto SOMMARIO: 1. Tutela della persona del lavoratore e ragioni delle imprese: rigidità ed evoluzioni normative dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act. – 2. Le trasformazioni del diritto del lavoro quale fattore di sviluppo economico e dell'occupazione. – 3. Autorità datoriale e flessibilità della gestione della risorsa lavoro. La cd. flessibilità in entrata: contratto di lavoro "stabile" e moduli alternativi di impiego della manodopera. – 4. La flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro. Il degradare dei limiti al potere di licenziamento: dalla cd. stabilità "reale" ex art. 18 St. lav. al contratto di lavoro a tutele crescenti. – 5. La flessibilità interna al rapporto di lavoro. La revisione della normativa statutaria in tema di poteri del datore di lavoro nelle recenti riforme. – 6. Mansioni, jus variandi e inquadramenti alla luce del nuovo art. 2103 cod. civ. – 6.1. Lo jus variandi cd. orizzontale. – 6.2. I casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103 cod. civ. – 6.3. Gli accordi individuali di dequalificazione. – 6.4. La (residua) nullità dei patti contrari. – 7. I controlli a distanza alla luce del nuovo art. 4 St. lav. – 7.1. Limiti e vincoli procedurali al potere di controllo del datore di lavoro. – 7.2. I cd. strumenti di lavoro e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. – 7.3. L'adeguata informazione dei lavoratori in ordine alle attività di controllo e l'utilizzabilità dei dati raccolti. – 8. La ridefinizione dell'area di esercizio dei poteri datoriali: le tutele del prestatore nel contratto individuale di lavoro; il ruolo dell'autonomia collettiva. – 9. Norme aperte e clausole generali nella modulazione dei poteri del datore di lavoro. °°° 1. Tutela della persona del lavoratore e ragioni delle imprese: rigidità ed evoluzioni normative dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act. La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota, sottendendo la stessa relazione obbligatoria tra le parti del contratto, il rapporto di lavoro subordinato, nel senso che essa si sostanzia nella ricerca di un equilibrio fra i due termini, su cui vengono ad incidere in modo pervasivo le differenti temperie politiche, sociali ed economiche, ad opera dei diversi attori che ne determinano il dipanarsi: dal legislatore, all’autonomia collettiva, alle stesse parti del rapporto, nell’intrecciarsi tipico della nostra materia di un complesso sistema di fonti, ora ampiamente comprensivo di quelle comunitarie. È sulla scorta del dispiegarsi di simili variabili che tende a stabilirsi il punto di bilanciamento tra ragioni dell'impresa ed esigenze di tutela del lavoratore subordinato, e che sono andati pertanto definendosi i mutevoli assetti delle relazioni di potere

Transcript of Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto...

Page 1: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Giornate di Studio Aidlass – Napoli 16 e 17 giugno 2016

Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario

Emilio Balletti

I poteri del datore di lavoro tra legge e contratto

SOMMARIO: 1. Tutela della persona del lavoratore e ragioni delle imprese: rigidità ed evoluzioni normative dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act. – 2. Le trasformazioni del diritto del lavoro quale fattore di sviluppo economico e dell'occupazione. – 3. Autorità datoriale e flessibilità della gestione della risorsa lavoro. La cd. flessibilità in entrata: contratto di lavoro "stabile" e moduli alternativi di impiego della manodopera. – 4. La flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro. Il degradare dei limiti al potere di licenziamento: dalla cd. stabilità "reale" ex art. 18 St. lav. al contratto di lavoro a tutele crescenti. – 5. La flessibilità interna al rapporto di lavoro. La revisione della normativa statutaria in tema di poteri del datore di lavoro nelle recenti riforme. – 6. Mansioni, jus variandi e inquadramenti alla luce del nuovo art. 2103 cod. civ. – 6.1. Lo jus variandi cd. orizzontale. – 6.2. I casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103 cod. civ. – 6.3. Gli accordi individuali di dequalificazione. – 6.4. La (residua) nullità dei patti contrari. – 7. I controlli a distanza alla luce del nuovo art. 4 St. lav. – 7.1. Limiti e vincoli procedurali al potere di controllo del datore di lavoro. – 7.2. I cd. strumenti di lavoro e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. – 7.3. L'adeguata informazione dei lavoratori in ordine alle attività di controllo e l'utilizzabilità dei dati raccolti. – 8. La ridefinizione dell'area di esercizio dei poteri datoriali: le tutele del prestatore nel contratto individuale di lavoro; il ruolo dell'autonomia collettiva. – 9. Norme aperte e clausole generali nella modulazione dei poteri del datore di lavoro.

°°° 1. Tutela della persona del lavoratore e ragioni delle imprese: rigidità ed evoluzioni normative dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act. La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota, sottendendo la stessa relazione obbligatoria tra le parti del contratto, il rapporto di lavoro subordinato, nel senso che essa si sostanzia nella ricerca di un equilibrio fra i due termini, su cui vengono ad incidere in modo pervasivo le differenti temperie politiche, sociali ed economiche, ad opera dei diversi attori che ne determinano il dipanarsi: dal legislatore, all’autonomia collettiva, alle stesse parti del rapporto, nell’intrecciarsi tipico della nostra materia di un complesso sistema di fonti, ora ampiamente comprensivo di quelle comunitarie.

È sulla scorta del dispiegarsi di simili variabili che tende a stabilirsi il punto di bilanciamento tra ragioni dell'impresa ed esigenze di tutela del lavoratore subordinato, e che sono andati pertanto definendosi i mutevoli assetti delle relazioni di potere

Page 2: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

all'interno del rapporto di lavoro già nello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) e nei successivi svolgimenti della legislazione lavoristica fino alla recente riforma del Jobs Act.

E' infatti in riferimento alla realtà socio-economica dei suoi tempi che si è andato delineando il disegno del legislatore dello Statuto dei lavoratori come «un intervento

sull'organizzazione del lavoro nelle imprese per sottometterla all'esigenza di armonizzazione dei valori dell'efficienza produttiva, di cui è portatore il potere organizzativo dell'imprenditore, con i valori di cui è portatore il fattore lavoro» e con il fine di «ricondurre il potere organizzativo dell'imprenditore entro gli argini segnati dall'oggetto e dalla causa del contratto, e a tale scopo (definendo) i valori di dignità del

lavoratore che non possono essere coinvolti nel rapporto di subordinazione, o possono esserlo nella misura strettamente indispensabile e con adeguate garanzie» (L. Mengoni).

Caratteristica fondamentale dello Statuto dei lavoratori è stata notoriamente quella di riconoscere precipua effettività nell'ambito delle relazioni contrattuali di lavoro ai valori e interessi fondamentali della persona del lavoratore così come enunciati dalla Carta costituzionale: in ragione di una ridefinizione dei poteri datoriali calibrata su una tale esigenza di protezione della persona del lavoratore e, dunque, in senso essenzialmente limitativo dell'area del libero dispiegarsi dell’autorità del datore. Ciò, in ogni caso, in riferimento a determinati modelli socio-economici, di organizzazione del lavoro e ad una stessa ipotesi tipo di lavoratore subordinato: vale a dire, un lavoratore "stabile" e a tempo pieno, dipendente di un'impresa medio-grande di stampo cd. fordista, nonché in riferimento ad una situazione occupazionale volta al pieno impiego (art. 4 Cost.). Un'ipotesi tipo e un contesto socio-economico e produttivo che, però, come risaputo, non da oggi sono andati via via perdendo rilevanza rispetto a quanto considerato in sede di emanazione della disciplina statutaria. Così come sono parimenti andate mutando le relative valutazioni prefigurate in sede legislativa, in senso progressivamente crescente nel tempo, sebbene non senza inevitabili variazioni e diverse accentuazioni, sempre al cospetto delle succennate variabili politiche e socio-economiche. Fino alla riforma del Jobs Act, quando ad emergere è un sostanziale mutamento di scenario, non soltanto alla luce della portata innovativa direttamente rilevante delle modifiche normative apportate alla disciplina statutaria, ma anche proprio in virtù di un’essenzialmente rinnovata impostazione della dialettica “esercizio dei poteri datoriali/tutela dei diritti ed interessi della persona del lavoratore” rispetto ai termini secondo i quali essa è andata strutturandosi sulla base delle disposizioni dello Statuto dei lavoratori.

Oggetto di riconsiderazione sono infatti la portata e segnatamente alcune rigidità degli standard regolamentari risalenti allo Statuto dei lavoratori, mentre la ricomposizione delle ragioni delle imprese con le esigenze di tutela del lavoro subordinato viene ad essere ricercata anche in una prospettiva di affermato necessario sviluppo della domanda occupazionale, nonché quindi di una diffusa flessibilità

2

Page 3: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

dell'utilizzazione della forza lavoro cui è dato progressivo spazio in adesione alle istanze delle imprese. Il tutto quando la stessa idea di promozione del lavoro risulta comunque da aggiornare alla luce dell'ormai evidente accantonamento del prospettato iniziale orizzonte della piena occupazione ex art. 4 Cost. e del conseguente riposizionamento verso il più praticabile traguardo dell’occupabilità, in consonanza agli indirizzi delineati in ambito comunitario a partire dal Trattato di Maastricht, e quindi anche in forma più funzionale alla logica dell’integrazione sociale nell’Unione europea.

Le prime manifestazioni di rilevante cambiamento si sono registrate nel tempo, con ripercussioni immediate sull’equilibrio delle relazioni di potere all’interno del rapporto di lavoro, già sul piano della strutturazione dei contesti produttivi secondo fisionomie dinamiche sempre più divaricate e articolate rispetto alla dimensione essenzialmente statica assunta quale modello di riferimento dal legislatore statutario per l’edificazione dell’apparato normativo protettivo del lavoratore subordinato. Di carattere radicale sono infatti le trasformazioni del modo di produrre e dell’organizzazione del lavoro insinuatesi progressivamente negli anni nei tradizionali luoghi di lavoro, tali da mettere in discussione la tenuta dei consolidati moduli regolamentari giuslavoristici, e primo fra tutti lo Statuto dei lavoratori -valutato essere oggetto in tal senso di un vero e proprio “lavoro demolitorio”-, non soltanto sul versante delle correlate discipline, ma anche in riferimento alle loro medesime linee di ispirazione a connotazione garantistica in favore del lavoro subordinato.

Il graduale superamento della fabbrica fordista e dell’organizzazione tayloristica del lavoro –che ha costituito l’architrave su cui è stata concepita e si è retta la disciplina statutaria del lavoro subordinato e dei limiti ai poteri datoriali– in favore della terziarizzazione dell’economia e della scomposizione dell’attività d’impresa in una miriade di attività parcellizzate e collaterali al ciclo produttivo, importa una nuova fisionomia dell’impresa e della sua stessa organizzazione, con il crescente diffondersi di processi di mutamento ispirati a forme variamente articolate di decentramento produttivo. Mentre d'altro canto la disciplina statutaria stenta di per sé a tenere il passo a fronte delle radicali trasformazioni indotte dal sempre più frenetico incedere delle nuove tecnologie, dapprima quelle informatiche e poi anche quelle telematiche e digitali, in particolare in relazione a vicende, apparecchiature e situazioni in genere non considerate e nemmeno immaginabili dal legislatore nell'ormai lontano 1970 -spec., in sede di disciplina di mansioni, jus variandi, potere di controllo etc.- e che tuttavia permangono da riportare agli immutati precetti statutari, con tutte le intuibili inevitabili relative difficoltà e incertezze.

Quale fattore concorrente di cambiamento rileva, al contempo, l’azione della globalizzazione, dell'internazionalizzazione dei mercati e della variabilità della domanda, che induce l’emergere di situazioni di sempre più marcata delocalizzazione delle attività produttive, volte ad aumentare la competitività e a fronteggiare la concorrenza su scala globale, e che parimenti valgono a modificazione dell’assetto

3

Page 4: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

produttivo delle tradizionali fabbriche di dimensioni medio-grandi assunto a dato di riferimento dal legislatore dello Statuto dei lavoratori. Mentre è altresì da considerare l'effetto che in questo senso si determina anche sotto il profilo di una perdita di rilevanza degli ordinamenti nazionali in favore di una regolamentazione sovranazionale sempre più estesa e tuttavia dagli esiti di frequente incerti.

La progressiva diffusione di moduli di impiego del fattore lavoro variamente divergenti dal prototipo statutario del lavoratore subordinato "stabile" e ad orario pieno, oltre che a rilevare di per sé quale elemento di significativa novità, rappresenta una prima risposta all'esteso processo di cambiamento del contesto socio-economico e produttivo, funzionale a consentire una possibile riduzione della tradizionale rigidità della normativa giuslavoristica e una certa flessibilità nell'utilizzazione della manodopera. Flessibilità che in questo senso inizia infatti a trovare spazio in ordine alla fase iniziale di costituzione delle relazioni di lavoro, ma poi comunque finendo con l'incidere sia pure in parte sulla fattispecie della subordinazione ex art. 2094 cod. civ. e sui suoi tratti distintivi, con ricadute anche sulle modalità di esercizio dei poteri datoriali.

Le rilevanti innovazioni e corrispondenti trasformazioni registratesi sui diversi versanti economici, produttivi ed organizzativi vengono inevitabilmente ad influire sulla tenuta del tradizionale impianto normativo garantista a tutela del lavoro subordinato costruito su un'ipotesi di lavoratore (stabile, a tempo indeterminato e ad orario pieno) e di impresa (fordista, materializzata e di dimensioni medio-grandi) che trovano sempre meno corrispondenza nella realtà, anche con riferimento alle modalità di esercizio dei poteri datoriali e dei relativi moduli di loro articolazione.

Ove oggetto di valutazione è pertanto la compatibilità dell'apparato protettivo implementato con lo Statuto dei lavoratori in relazione alla nuova fisionomia dei sistemi e modelli organizzativi e produttivi, sempre più terziarizzati, smaterializzati e di dimensioni ridotte, anche in ordine al numero degli occupati. Ciò, peraltro, in riferimento alle medesime diffuse tipologie di impiego flessibile della manodopera, così come alla stessa recente revisione sensibilmente al ribasso della disciplina limitativa in materia di licenziamenti (cfr. art. 1, commi 37 ss., legge n. 92/2012 e d.lgs. n. 23/2015), che valgono evidentemente ad aumentare il divario rispetto alla richiamata ipotesi standard del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato "stabile" e ad orario pieno in riferimento alla quale si ripete essere andato strutturandosi il diritto del lavoro statutario.

Tanto più al cospetto delle rilevanti modifiche introdotte dalla recente riforma in tema di poteri datoriali, come si vedrà nel senso del riconoscimento di sensibili spazi di flessibilità rispetto alla tradizionale rigidità della normativa giuslavoristica anche proprio nella dimensione del contratto individuale di lavoro e con annessa facoltà di disposizione delle tutele per più versi da parte del singolo prestatore, nonché essendo in proposito allora da considerare la solo relativa "forza contrattuale" che appunto nella

4

Page 5: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

dimensione "individuale" può plausibilmente essere opposta rispetto ad un'erosione anche oggettivamente notevole della normativa protettiva da un lavoratore ormai il più delle volte "non stabile".

2. Le trasformazioni del diritto del lavoro quale fattore di sviluppo economico e

dell'occupazione.

Nello scenario sinteticamente richiamato, le ragioni dell’economia e dell’occupazione sono venute ad assumere non solo in Italia, ma a livello generale nell'Unione europea, un ruolo preponderante nella rivisitazione degli ordinamenti giuslavoristici, specie al cospetto della grave crisi economica che ha attanagliato i principali paesi industrializzati a partire dal 2008. Ciò in termini che per quanto concerne la nostra esperienza hanno impresso una decisa accelerazione ai percorsi di riforma già in essere, determinando una sempre più marcata inversione di tendenza rispetto a quanto edificato mediante lo Statuto dei lavoratori: in particolare, nel senso di una riduzione sotto diversi aspetti delle tutele del lavoratore, ma anche in virtù della riconsiderazione generale degli stessi moduli protettivi garantistici del diritto del lavoro statutario.

L’asseritamente necessaria obbedienza alle ragioni dell’economia e ai diktat della cd. troika (id est, Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) è così venuta a connotare fortemente l'evoluzione legislativa degli ultimi anni, inaugurando un’inedita stagione riformatrice e di profonde trasformazioni del nostro apparato normativo, in riferimento ad ormai risalenti rigidità del diritto del lavoro statutario da più parti valutate anacronistiche ed eccessivamente onerose per le imprese, nonché quale insuperabile ostacolo in prospettiva dell'auspicata ripresa economica e occupazionale.

Una prima linea d'intervento si manifesta, come anticipato, sul piano di una sempre più diffusa flessibilità in entrata nel rapporto di lavoro, secondo un indirizzo stratificatosi progressivamente nel tempo (cfr., per tutti, legge n. 196/1997 e d.lgs. n. 276/2003) e che comunque trova svolgimento anche nell'ambito delle recenti riforme (cfr. d.l. n. 34/2014, convertito nella legge n. 78/2014 sul lavoro a tempo determinato, nonché d.lgs. n. 81/2015 sui contratti di lavoro). Ma, proprio sotto la spinta della gravità della situazione economica degli ultimi anni, alla flessibilità inizia ad essere dato spazio anche in riferimento alla fase di uscita dal rapporto di lavoro, allentando per vari versi le rigidità della disciplina limitativa dei licenziamenti, tra l'altro, almeno in occasione della cd. riforma Fornero, anche sulla scorta di un prefigurato contestuale dosaggio tra flessibilità in entrata e flessibilità in uscita dalla relazione lavorativa (cfr. art. 1, legge n. 92/2012). Ciò sulla base dell'assunto -in realtà indimostrato, e difatti non condiviso da buona parte della dottrina economica- che l’aumento della flessibilità in uscita potesse avere un effetto benefico sulla quantomai difficile situazione occupazionale, nonché al contempo anche prefigurando una coeva revisione sostanziale dei trattamenti di

5

Page 6: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

protezione della mancanza di lavoro, e, quindi, in svolgimento della cd. flexicurity di matrice europea, in ossequio alla quale la maggiore flessibilità nel rapporto di lavoro va correlata con un incremento di tutela nel mercato del lavoro, tanto di natura occupazionale che di sostegno al reddito.

E' su tale assetto in evoluzione che irrompe la riforma del Jobs Act, con il suo ambizioso disegno di riformulazione di larga parte della disciplina lavoristica di portata così ampia da far presagire il «tramonto dello Statuto dei lavoratori».

Se, infatti, l'istanza di maggiore flessibilità aveva sino ad allora trovato risposta essenzialmente in relazione alla sola fase iniziale e poi altresì a quella finale del rapporto di lavoro, per effetto del Jobs Act ad essere realizzato è un vero e proprio mutamento di prospettiva anche in relazione all’ambito specifico dei poteri del datore di lavoro e delle loro modalità di esercizio “all’interno” del rapporto di lavoro. Con il cambiamento che è così per la prima volta prospettato in virtù di nuove e rafforzate declinazioni della flessibilità: appunto non più soltanto flessibilità in entrata e flessibilità in uscita, ma anche e soprattutto flessibilità organizzativa (cfr., spec., il nuovo art. 2103 c.c., come riscritto ex art. 3, d.lgs. n. 81/2015, nonché l'art. 4, legge n. 300/1970 nuova formula ex art. 23, d.lgs. n. 151/2015).

Ciò senz'altro nel senso di un rafforzamento sotto più aspetti dell'autorità datoriale e, dunque, di una corrispondente erosione delle tutele e delle rigidità della normativa statutaria. Ma in termini che sarebbe riduttivo valutare quale mero allentamento "quantitativo" dei vincoli imposti ai poteri datoriali o, per converso, di decremento degli standard di tutela del lavoro subordinato, in quanto ad essere prefigurato è, piuttosto, per quanto si vedrà più avanti, un riassetto sostanziale dei medesimi poteri datoriali secondo moduli anche "qualitativamente" inediti e peraltro implicanti ampia possibilità di incidenza da parte dell'autonomia contrattuale anche individuale e, quindi, pure in riferimento alla stessa tradizionale "inderogabilità" della norma giuslavoristica.

L’accento posto dalla recente riforma sulla flessibilità organizzativa e gestionale viene in ogni caso a determinare il mutamento sostanziale dei medesimi rapporti di forza tra le parti del rapporto di lavoro, a vantaggio evidente del datore di lavoro, al di là delle stesse novità normative prefigurate.

Scopo dichiarato della riforma è quello di «rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione» e di «riordinare

i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo» (art. 1, comma 7, legge delega n. 183/2014), ed è appunto in funzione di una tale finalità lato sensu occupazionale che è dato forte impulso alla flessibilità organizzativa nella dialettica del contratto di lavoro. Invero, si vuole rendere più attrattiva o comunque anche solo meno dissuasiva per le imprese l'assunzione di manodopera, sicché tra l'interesse dei datori di lavoro alla temporaneità o comunque ad una flessibilità delle relazioni contrattuali di lavoro e l'interesse dei prestatori alla stabilità del posto di lavoro è privilegiato il primo, in virtù della

6

Page 7: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

rimodulazione sensibilmente al ribasso della normativa protettiva, mentre, al contempo, anche sul versante dell'esplicazione dei poteri datoriali di gestione della manodopera è riformulata la disciplina in tema di mansioni, jus variandi e cd. controlli a distanza sempre in via regressiva delle tutele e delle rigidità delle disposizioni statutarie.

Il Jobs Act viene in questo modo a conferire cittadinanza ad un rapporto diretto tra ragioni dell’economia e normativa giuslavoristica, nonché, quindi, tra esigenze macroeconomiche di rilancio dell’occupazione e aspetti di micro-disciplina gestionale e organizzativa del rapporto di lavoro. E tanto sul presupposto -anche questo in verità da dimostrare- che la flessibilità organizzativa (associata ai richiamati interventi già collaudati, e all’uopo ridefiniti, sulla flessibilità in entrata e in uscita) possa determinare un incremento dell’occupazione, non solo perché varrebbe a migliorare la competitività internazionale delle nostre imprese, ma anche perché contribuirebbe a rendere più attrattivo per gli investitori stranieri il nostro sistema produttivo.

L'ipotesi che viene a emergere è cioè quella di un diritto del lavoro che si vorrebbe in grado di operare quale fattore propulsivo dell'auspicata ripresa economica e occupazionale. Secondo un'impostazione che aveva trovato espressione analoga nella recente riforma Fornero, infatti dichiaratamente ispirata all'obiettivo di realizzare «un

mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione» (art. 1, comma 1, legge n. 92/2012), sebbene in sede di detta riforma Fornero la “finalità macroeconomica” risultasse perseguita tramite l’adozione di un modello di flexicurity che non contemplava incursioni nelle modalità organizzative interne al rapporto di lavoro, viceversa puntando al solo riequilibrio tra flessibilità in entrata e in uscita dal medesimo rapporto di lavoro mediante l'adeguato supporto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive dell'occupazione. E con una medesima impostazione che era poi risultata tra l'altro ribadita anche adducendo a motivazione dell'emanazione del d.l. n. 34/2014, convertito in legge n. 78/2014 (“Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione …”), «la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni volte a

semplificare alcune tipologie contrattuali di lavoro, al fine di generare nuova occupazione, in particolare giovanile» e pure «la straordinaria necessità ed urgenza di

semplificare le modalità attraverso cui viene favorito l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro» (cfr. così preambolo d.l. n. 34/2014 cit.).

In relazione al peso crescente che le ragioni macroeconomiche di rilancio dell’occupazione sono andate assumendo in ordine agli sviluppi recenti della legislazione giuslavoristica si è parlato di “tirannia dei valori economici” e di subordinazione o comunque subalternità del diritto del lavoro ai dettami dell’economia: un diritto del lavoro che alla luce delle modifiche degli ultimi anni di matrice essenzialmente neoliberista si assume doversi interrogare sul suo stesso paradigma normativo.

7

Page 8: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Anticipate da articolati ed eterogenei processi di mutazione e trasformazione della normativa previgente, le recenti riforme vengono a realizzare una vera e propria metamorfosi del diritto del lavoro, con incidenza pregnante sulle dinamiche contrattuali e relazionali in genere tra le parti del rapporto di lavoro e sui corrispondenti ambiti di esercizio delle prerogative datoriali.

Ad essere messi in discussione sono gli assetti stratificatisi nel tempo nel solco della disciplina statutaria e segnatamente la loro impronta garantista, con revisione finanche di quella che era stata l'opzione riformatrice caratterizzante lo Statuto dei lavoratori di dare ingresso ai valori della Carta costituzionale nei luoghi di lavoro, in funzione di un ampliamento delle tutele del lavoro subordinato e comunque di una rimodulazione delle posizioni delle parti del contratto di lavoro in linea con i dettami della Costituzione. Ove sul piano dei poteri datoriali, ai sensi delle prescrizioni statutarie, l'effetto era stato quello della loro riconduzione nell'alveo della necessaria osservanza delle garanzie fondamentali di libertà e di dignità della persona del prestatore e, comunque, della loro astrizione a limiti ben più stringenti rispetto alle scarne disposizioni del codice civile ispirate alla parità formale delle parti del rapporto di lavoro e al coevo riconoscimento di una posizione di supremazia al datore di lavoro: in riferimento peraltro alla molteplicità delle declinazioni degli stessi poteri datoriali, nonché, dunque, dal potere direttivo propriamente detto, al potere organizzativo, in riferimento particolare allo jus variandi, al potere di controllo, al potere disciplinare e fino allo stesso potere di licenziamento. Con lo Statuto dei lavoratori che è così rilevato quale “epicentro del sistema di garanzie” poste a limitazione di un esercizio altrimenti incondizionato delle prerogative datoriali nonché a tutela del lavoratore contraente debole.

Ebbene, alla luce delle novità normative di cui alla riforma del Jobs Act viene per vari versi a risultare superato l'equilibrio tra le posizioni delle parti del rapporto di lavoro come determinatosi sulla base dei precetti statutari, in ragione della revisione di determinati vincoli già imposti dal legislatore del '70 all'esercizio dei poteri imprenditoriali e comunque di un ampliamento in generale della discrezionalità datoriale nella gestione del lavoro altrui, al punto che si è affermato importare il «restauro del potere unilaterale di comando» dell'imprenditore quale "capo dell’impresa" (art. 2086 c.c.) e comunque ove a intravedersi è la tendenza strisciante ad un ritorno all'impalcatura del codice civile. 3. Autorità datoriale e flessibilità della gestione della risorsa lavoro. La cd. flessibilità

in entrata: contratto di lavoro "stabile" e moduli alternativi di impiego della manodopera.

Lo Statuto dei lavoratori è venuto tra l'altro a completare, consolidandolo sul versante della stabilità reale (art. 18, legge n. 300/1970), il modello social-tipico di rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato e ad orario pieno, emerso dal riannodarsi di distinte trame legislative che avevano contraddistinto il decennio

8

Page 9: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

precedente, dal divieto di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro (art. 1, legge n. 1369/1960), all'indicazione tassativa delle ipotesi di ricorso al contratto a termine (legge n. 230/1962), nonché all'affermazione del principio di necessaria giustificazione del licenziamento (legge n. 604/1966).

Al cospetto dei rigidi vincoli statutari imposti ai poteri di gestione della forza lavoro -spec. in tema di mobilità interna ed esterna, controllo sull'attività lavorativa, potere disciplinare e potere di recesso- la diversificazione tipologica dei moduli di impiego della manodopera è individuata come la sola via percorribile nella direzione della da più parti domandata flessibilizzazione delle regole del lavoro. Ciò secondo un'impostazione che trova le sue prime significative espressioni già negli anni '80 in tema di contratto di formazione e lavoro, lavoro part time (cfr. rispettivamente, artt. 3 e 4, legge n. 863/1984) e ampliamento delle ipotesi di ricorso al lavoro a termine (art. 23, legge n. 56/1987). E tanto mentre si registrava nella pratica una crescente diffusione dell'utilizzazione delle collaborazioni autonome coordinate e continuative quale possibile pragmatica via di fuga dalle rigidità del lavoro subordinato.

E' sul versante dell'accesso al lavoro che è quindi dato riscontro all'istanza di flessibilità proveniente dal sistema produttivo, concedendo al datore di lavoro la possibilità di impiego della manodopera mediante moduli di collaborazione alternativi a quello social-tipico "stabile" di riferimento, così da ampliare gli spazi del suo potere di organizzazione, sia incidendo in senso modificativo sugli elementi essenziali del contratto (durata, tempi e causa), in modo tale da sottrarsi almeno in parte alla rigidità delle regole standard, sia, al contempo, alla luce del non contrastato rimarcato crescente ricorso al cd. lavoro parasubordinato.

La flessibilità in entrata nel rapporto di lavoro è quindi risultata ulteriormente alimentata alla luce dell'introduzione dell'istituto del lavoro temporaneo (sia pur nei limiti della perdurante vigenza del divieto di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro e fermo restando il controllo sociale del sindacato sulle causali di accesso al medesimo: cfr. artt. 1-11, legge n. 196/1997 e art. 64, legge n. 488/1999), come pure in virtù di una serie di successivi interventi in tema di lavoro part time e relative clausole elastiche e flessibili (d.lgs. n. 61/2000), oltreché ancora in materia di lavoro a termine (d.lgs. n. 368/2001). E ciò fino ad un generale riassetto dei moduli di impiego flessibile della manodopera alternativi all'ipotesi social-tipica del lavoro subordinato "stabile", a tempo indeterminato e ad orario pieno cui si accede con la cd. riforma Biagi (spec. d.lgs. n. 276/2003) nel solco delle indicazioni delineate dal cd. Libro Bianco del 2001: vale a dire, somministrazione di lavoro (nuova denominazione attribuita al lavoro temporaneo), lavoro intermittente, lavoro ripartito, lavoro part time, apprendistato (in relazione al versante dell'occupazione giovanile), contratto di inserimento, lavoro a progetto e occasionale, lavoro accessorio.

In questa fase il percorso legislativo inteso a favorire processi di flessibilità in entrata si arricchisce di motivazioni che attingono al trend economico e sospingono verso una

9

Page 10: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

moltiplicazione dei modelli fruibili che, pur investendo i distinti moduli di collaborazione interni all’area della subordinazione, significativamente consolida schemi che si collocano anche al di là di questa con esiti di deresponsabilizzazione dell’impresa verso il lavoro, fino a giungere alla dissociazione tra titolarità giuridica del rapporto ed effettiva utilizzazione della prestazione lavorativa, con ripartizione dei rispettivi poteri, alla stabilizzazione giuridica delle collaborazioni autonome, alla promozione di modelli organizzativi, dall’outsourcing agli appalti di servizi, fondati sul decentramento.

La delineata graduale disarticolazione del prototipo lavoro subordinato a tempo indeterminato e ad orario pieno in una varietà di fattispecie di impiego cd. flessibili, non solo di natura subordinata, viene in qualche misura a incidere sulle stesse caratteristiche dei poteri datoriali, in primo luogo nel potere direttivo, quantunque sia osservazione condivisibile che detto potere direttivo continui a costituire la ragion d’essere del rapporto di lavoro subordinato, nel senso che, al di là degli scostamenti imputabili all’adozione di un differente modello contrattuale, permane comunque valido criterio distintivo del lavoro subordinato.

Il crescente assortimento di contratti di lavoro subordinato flessibile, lavoro parasubordinato e autonomo legalizzati nel corso delle successive legislature degli ultimi anni, nel mettere in discussione la centralità del modello codicistico-statutario di riferimento del lavoro subordinato a tempo indeterminato e ad orario pieno, finisce col provocare variazioni in merito alla stessa titolarità ed esercizio dei poteri tradizionalmente attribuiti al datore nel contratto di lavoro, con conseguenti ricadute sull’assetto ed equilibrio delle posizioni contrattuali nei rapporti di lavoro.

In ordine alle rilevanti modificazioni che vanno in questo senso a interessare la posizione creditoria del datore è da convenire in merito al prefigurarsi di un potere negoziale del medesimo datore che va a collocarsi già a monte del contratto di lavoro anziché nella fase di concreta gestione del rapporto. Ove, infatti, ancor prima che si manifestino quelle che risultano essere le prerogative datoriali nell'ambito della relazione contrattuale, e dunque una volta instaurato il rapporto lavorativo, appare identificabile un autonomo potere del datore temporalmente antecedente alla costituzione del medesimo rapporto di lavoro, precipuamente con riguardo alla scelta del modello contrattuale, e cioè alla selezione del contratto di lavoro nell'ambito della gamma delle diverse tipologie disponibili. Non senza che, al contempo, una tale opportunità riservata al datore prima della stipulazione, appunto in merito alla scelta del modulo di impiego, determini poi una possibile variazione del potere datoriale anche nell'instauranda relazione contrattuale, in virtù delle diverse connotazioni dell'esercizio del potere direttivo che possono aversi proprio alla luce del modello contrattuale concretamene prescelto.

La complessiva operazione promozionale della flessibilità in entrata, sostanzialmente mirata a restituire significativi ambiti di discrezionalità al datore nell'organizzazione e

10

Page 11: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

nell'utilizzo della forza lavoro nell'impresa e fuori di essa, non sortisce, tuttavia, l'esito sperato, incontrando la resistenza di larghi settori della politica, del sindacato e soprattutto della magistratura, che ne ridimensiona la portata, in particolare sui fronti sensibili della liberalizzazione dei contratti a termine e della tenuta dei parametri di qualificazione dei contratti di lavoro a progetto.

Lo scontro si consuma appunto intorno al nodo cruciale dell'estensione del potere organizzativo del datore di lavoro, che si assume suscettibile di tradursi in precarizzazione del lavoro laddove lo si eserciti oltre i tradizionali limiti concettuali segnati dal rilievo prioritario da attribuirsi al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale modalità di costituzione del rapporto e dalla riaffermata centralità del dato oggettivo dell'eterodirezione in ordine alla sua qualificazione.

In particolare, sul fronte della liberalizzazione del contratto a termine, il medesimo scontro si gioca anche sul terreno legislativo, nel succedersi dei governi di centro-sinistra e di centro-destra, tra la riaffermazione della priorità del contratto a tempo indeterminato (art. 1, comma 39, legge n. 247/2007) e le incaute fughe in avanti (art. 21, comma 1, d.l. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008) dettate dall’esigenza di disinnescare un vasto contenzioso segnatamente in ordine alle conseguenze sanzionatorie della dichiarata nullità del contratto a termine. Fino alla prefigurata predeterminazione forfettaria del risarcimento del danno conseguente alla nullità della clausola appositiva del termine, da parte del cd. collegato lavoro (art. 32, legge n. 183/2010), che comunque continua a lasciare spazio al libero apprezzamento del giudice in ordine alla legittimità della clausola ed agli esiti di conversione del rapporto conseguenti alla nullità della stessa, difatti operando sul solo profilo della predeterminazione dei costi, piuttosto che su quello dei poteri del datore.

Sull'altro fronte dell'efficienza dei criteri legali di qualificazione dei contratti di lavoro a progetto, con la riforma Fornero (art. 1, commi 23-26, legge n. 92/2012) il legislatore si conforma agli orientamenti giurisprudenziali confermativi del rilievo qualificatorio dell'eterodirezione, rimettendo nuovamente al giudice la definizione delle linee di demarcazione tra subordinazione e autonomia, ed anzi inasprisce il costo contributivo delle co.co.pro., in chiara funzione dissuasiva dell'utilizzo della fattispecie.

Il quadro che ne risulta, tuttavia, si reputa non fornire ancora risposta esauriente alla domanda di flessibilità che ormai, non solo il mondo delle imprese, ma la stessa Unione Europea sollecita, al cospetto della profonda e prolungata crisi dei debiti sovrani, quale fattore determinante della competitività del sistema produttivo e della crescita economica.

Onde il medesimo Jobs Act, nella sua prima fase di intervento, con il d.l. n. 34/2014 (convertito nella legge n. 78/2014) viene ad incidere ulteriormente sulla flessibilità in entrata, generalizzando il cd. principio di "acausalità" del contratto di lavoro a termine e della somministrazione di lavoro (già affermato in relazione al solo primo contratto di lavoro e per una durata massima di dodici mesi ex d.l. n. 76/2013, conv. nella legge n.

11

Page 12: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

99/2013), così sostanzialmente liberalizzandone l'utilizzo, nell'arco della durata massima di trentasei mesi, in questo modo ampliando ancora la discrezionalità del potere organizzativo del datore sul versante della scelta del modello di impiego della manodopera.

Sta di fatto che la questione della flessibilità in entrata risulta oggi complessivamente da riconsiderare alla luce di una serie di successivi svolgimenti normativi, invero non sempre univocamente lineari, che sono venuti a completare il disegno di riforma del Jobs Act (cfr. spec. d.lgs. n. 81/2015 e d.lgs. n. 23/2015).

L'affermazione, ex art. 1, d. lgs. n. 81/2015, secondo la quale «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro» è esplicitata in svolgimento delle indicazioni europee in materia, nonché comunque in attuazione fedele delle prescrizioni del legislatore delegante in ordine alla necessaria promozione appunto del «contratto a tempo indeterminato come forma comune di

contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto di lavoro in termini di oneri diretti e indiretti» (così: art. 1, comma 7, lettera b), legge delega n. 183/2014) e dovrebbe in linea di principio valere ad attenuare la facoltà di scelta del datore di lavoro per un modulo di impiego flessibile. Ma la portata della prospettata opzione formale in favore del contratto di lavoro a tempo indeterminato è sminuita già in partenza dalla coeva sostanziale conferma, da parte del medesimo d.lgs. n. 81/2015, in sede di riordino dei modelli contrattuali (in attuazione delle prescrizioni della legge delega n. 183/2014: cfr. spec. art. 1, comma 7), sia dell'articolazione tipologica dei principali moduli di impiego flessibile (con la sola abrogazione del lavoro ripartito, dell’associazione in partecipazione e del contratto a progetto: cfr. artt. 52, 53 e 55, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 81 cit.), sia della stessa acausalità del lavoro a tempo determinato (art. 19, d.lgs. n. 81 cit.) già come visto liberalizzato ex d.l. n. 34/2014.

Al contempo, la medesima dichiarata preferenza del legislatore per il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato va comunque posta in relazione alla di poco precedente disposta riformulazione del medesimo contratto di lavoro a tempo indeterminato nella sua versione a cd. tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015. Vale a dire, una versione molto più appetibile per il datore di lavoro rispetto al vecchio contratto di lavoro munito di cd. stabilità reale ex art. 18 St. lav., anzitutto sul piano normativo (giacché incorpora un rinnovato statuto protettivo che rafforza sensibilmente il potere datoriale nella fase estintiva del rapporto di lavoro: v. infra), ma anche in ragione dei minori costi e degli stessi rilevanti incentivi previsti in relazione alla sua stipulazione rispetto ad un'eventuale assunzione a tempo determinato, sempre in coerenza alle su richiamate prescrizioni di cui all'art. 1, comma 7, lettera b), legge delega n. 183/2014 cit. (cfr., spec., il previsto sgravio triennale dei contributi per le assunzioni a tempo indeterminato ex art. 1, commi 118 e 119, legge n. 190/2014, confermato, seppure con importi e tempi ridotti, ex art. 1, commi 178 ss., legge n. 208/2015, nonché cfr. altresì il

12

Page 13: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

contributo addizionale per i contratti di lavoro a termine ex art. 2, comma 28, legge n. 92/2012).

L’introdotta maggiore flessibilità in uscita nel modello standard tende infatti a sminuire la contrapposizione tra contratto di lavoro a termine e contratto a tempo indeterminato, a vantaggio del secondo, nel momento in cui rispetto al passato questo è reso meno protettivo per il prestatore e meno oneroso per il datore di lavoro.

Tanto più se si considera che sempre il contratto di lavoro a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015 appare altresì destinato ad inglobare lo stesso confine tra subordinazione e autonomia, peraltro anche alla luce della prevista applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni che si assumono qualificarsi per lo svolgimento di prestazioni organizzate dal committente «anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro» (cfr. art. 2, d.lgs. n. 81/2015), e dunque fino a quando ad esse non sia viceversa da ascriversi natura autonoma. Ove subordinazione e autonomia tendono a porsi in un continuum dato dallo sconfinare dall’una all’altra area del potere datoriale di conformazione della prestazione relativamente alle modalità di tempo e di luogo, nonché quindi oltre lo stesso ambito dei modelli contrattuali atipici. 4. La flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro. Il degradare dei limiti al potere di

licenziamento: dalla cd. stabilità "reale" ex art. 18 St. lav. al contratto di lavoro a tutele crescenti.

Implicazioni con più evidenza riconducibili sul piano dei poteri datoriali riguardano il tema della flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro, dal momento che, mentre la flessibilità in entrata attiene ad una fase dove in linea di principio rileva uno spazio di estrinsecazione della volontà del lavoratore, non fosse altro per il necessario consenso all’assunzione con una determinata figura contrattuale “temporanea”, la scelta di rendere meno rigida la fase estintiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intervenendo sulle regole limitative del licenziamento, tocca direttamente i poteri datoriali, peraltro in riferimento ad un’area particolarmente significativa quale appunto quella rappresentata dal potere di licenziare.

Diversamente da quanto su constatato per la cd. flessibilità in entrata, l'apertura verso una flessibilità anche in uscita dal rapporto di lavoro si è registrata solo in epoca relativamente recente, in occasione della cd. riforma Fornero, sempre in corrispondenza alle su già richiamate ragioni dell'economia e relative istanze del mondo delle imprese nel senso di un'asseritamente necessaria attenuazione delle rigidità della disciplina giuslavoristica: a revisione della normativa di tutela in materia di licenziamenti, imperniata sulla cd. tutela "reale" ex art. 18 St. lav. e rimasta sino ad allora invariata nella valenza precettiva della disposizione statutaria, peraltro pure con alcune modifiche in senso incrementale della sua portata protettiva e relativa rigidità (cfr., spec., art. 1, legge n. 108/1990, nonché per i licenziamenti collettivi artt. 4-5 e 24, legge n. 223/1991 e norme collegate).

13

Page 14: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Alla flessibilità in uscita si accede, invero, non direttamente in forza di un allentamento dei vincoli imposti ex lege al potere di recesso datoriale, bensì per via mediata, in virtù della prevista regressione delle tutele in materia di licenziamento illegittimo. Permangono infatti formalmente invariate le causali giustificative del recesso e quindi l'area di esplicazione del potere datoriale di licenziamento (cfr. art. 2119 cod. civ., legge n. 604/1966, artt. 4, 5 e 24 legge n. 223/1991 e norme collegate), mentre risulta invece sensibilmente attenuato il regime sanzionatorio dell'esercizio illegittimo del medesimo potere datoriale. E la flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro viene appunto così a manifestarsi quale effetto indiretto di tale alleggerimento del regime sanzionatorio: secondo una linea d'intervento che, già messa in campo dalla riforma Fornero (cfr. art. 1, spec. comma 42, legge n. 92/2012), trova ulteriore svolgimento da parte del legislatore del Jobs Act, mediante il richiamato cd. contratto a tutele crescenti.

Contratto a tutele crescenti che è infatti introdotto dal d.lgs. n. 23/2015 in attuazione delle prescrizioni del legislatore delegante (spec. in merito alla «previsione, per le nuove

assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento»: così art. 1, comma 7, lettera c), legge n. 183/2014), con corrispondente marginalizzazione della cd. stabilità reale, specie per i nuovi assunti, ai soli determinati casi “limite” di illegittimità del licenziamento indicati segnatamente ex lege (cfr. artt. 2 e 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015, nonché già art. 1, comma 42, legge n. 92/2012).

Il prefigurato nuovo regime vale a riportare nelle mani del datore di lavoro il potere di recesso nella sua materiale effettività. Atteso l'operare dell'ormai pressoché generalizzato regime sanzionatorio solo risarcitorio e, quindi, meramente economico, peraltro anche relativamente blando nel quantum (id est, due mensilità dell'ultima retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio e nel limite massimo di ventiquattro mensilità: art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015), infatti, anche a fronte di un licenziamento illegittimo, il datore può il più delle volte comunque far valere l'effettività del suo recesso (anche se contra legem e sobbarcandosi il solo onere della sanzione economica) e, dunque, ottenere di fatto il risultato della risoluzione materiale della relazione contrattuale. Con buona pace di quella che senz'altro può essere definita la "prima" delle rigidità normative statutarie poste a tutela del lavoro subordinato: vale a dire, la cd. stabilità "reale" ai sensi del previgente art. 18 St. lav., la cui portata da regola generale -come riconosciuta dalla giurisprudenza- diviene oggi ormai meramente residuale, all'esito del successivo intervento prima da parte della legge n. 92/2012 e, poi, del d.lgs. n. 23/2015; con la natura del vincolo contrattuale che, già reale, è affievolita in

14

Page 15: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

meramente "obbligatoria", venendo così la possibilità di estinzione di detto vincolo contrattuale a rientrare tendenzialmente nella disponibilità delle parti e, spec., del datore di lavoro quale "parte forte" nella relazione obbligatoria.

Senza qui volersi addentrare in una disamina dei casi di residua operatività della cd. tutela reale ex art. 18 St. lav., è evidente il mutamento di prospettiva indotto da una tale riappropriazione da parte del datore della facoltà di decisione in merito all'esistenza, ovvero estinzione della relazione contrattuale, specificamente sul piano dei rapporti di forza all'interno della medesima relazione contrattuale, con ricadute sostanziali rispetto allo stesso esercizio dei poteri datoriali in generale.

La regressione in forma essenzialmente solo monetaria della tutela contro il licenziamento illegittimo, così come stabilita dal legislatore del Jobs Act, costituisce infatti per il datore di lavoro «un presidio essenziale della propria autorità», giacché «garantisce la compliance alle regole, sia disciplinari che economiche, dell’organizzazione, e quindi la sua efficienza, e, alla fine, la sua competitività». Per cui a realizzarsi è «un ripiego inesorabile della logica statutaria, che registra un recupero

dei valori dell’efficienza, della produttività e della competitività delle imprese rispetto all’istanza di riequilibrio di poteri nell’ambito dei rapporti individuali di lavoro e sui luoghi di lavoro (nelle imprese medio-grandi)».

Onde quella che è stata definita la «valorizzazione del potere aziendale attraverso il sostanziale ripristino della libertà di licenziare». Con l'autorità dell'impresa che risulta infatti sensibilmente rafforzata al di là del rinnovato regime normativo oggettivamente molto più soft dei licenziamenti, appunto in ordine all'area di esplicazione dei poteri datoriali. E ciò in quanto viene realisticamente a diminuire un'effettiva possibilità di resistenza al riguardo da parte del prestatore: un prestatore già debole nella fase di ingresso nel rapporto di lavoro, nella scelta del modulo contrattuale di impiego (e del relativo standard regolamentare), alla luce dell'ampia flessibilità cd. in entrata che si è visto essere andata stratificandosi nel tempo, e che si rivela parimenti debole rispetto alla fase estintiva della relazione contrattuale, giacché nella gran parte dei casi di fatto impossibilitato a potersi opporre alla determinazione del datore di estinzione della medesima relazione contrattuale (a parte la su richiamata mera sanzione economica).

E' infatti da convenire che la mancanza della disponibilità di una tutela reale in merito al rischio-eventualità della perdita del posto di lavoro venga ad indebolire notevolmente il prestatore in ogni sua manifestazione sul luogo di lavoro, nonché in generale nella possibilità di tutela effettiva dei suoi diritti ed interessi: così, ad esempio, al cospetto di un esercizio illegittimo dei poteri datoriali, di condizioni di lavoro insicure o lesive della sua dignità e comunque in ragione delle inevitabili remore da parte di un lavoratore "instabile" a far valere le sue ragioni e/o ad attivarsi sindacalmente. Ciò come del resto dimostrato già dalla stessa ben nota interpretazione consolidata in tema di sospensione della decorrenza della prescrizione in corso di rapporto per i diritti del lavoratore in

15

Page 16: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

mancanza dell'applicazione inter partes di un regime di stabilità reale ex art. 18, legge n. 300/1970 "vecchia formula".

Il tutto in termini che, come si vedrà più avanti, appaiono oggi da considerare con particolare attenzione in riferimento ai nuovi spazi di esplicazione che il legislatore del Jobs Act riconosce all'autonomia individuale nella determinazione dell'area di esercizio dei poteri datoriali in materia di mansioni, jus variandi e cd. controlli a distanza, peraltro anche in via segnatamente derogativa delle disposizioni in proposito (cfr., rispettivamente, art. 3, d.lgs. n. 81/2015 e art. 23, d.lgs. n. 151/2015).

5. La flessibilità interna al rapporto di lavoro. La revisione della normativa statutaria

in tema di poteri del datore di lavoro nelle recenti riforme.

Si è già detto dell'obiettivo economico e segnatamente di carattere occupazionale al cui perseguimento è rivolta la riforma.

E' infatti al dichiarato fine di «rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione» e di «riordinare i contratti

di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo» (art. 1, comma 7, legge n. 183/2014) che il Jobs Act viene a dare riscontro alle diffuse istanze da parte delle imprese e alle rimarcate ragioni politico-economiche anche sul piano internazionale nel senso di una necessaria revisione delle rigidità della normativa giuslavoristica.

Pur al cospetto delle consistenti dosi di flessibilità che si è visto essere state introdotte in relazione alle fasi iniziale e finale del rapporto di lavoro, continua a rilevarsi l'eccessiva onerosità e per certi versi anche l'anacronismo di una tale normativa che, a tutela dei diritti fondamentali della persona del prestatore esplicitati dallo Statuto dei lavoratori, è andata strutturandosi in chiave vincolistica e inderogabile rispetto all'esercizio dei poteri datoriali. Specie in considerazione dei su richiamati profondi mutamenti del contesto economico-produttivo ed occupazionale di riferimento, anche sulla scorta del sempre più incessante incedere delle innovazioni tecnologiche, secondo svolgimenti in larga parte nemmeno immaginabili e comunque non considerati dal legislatore del 1970. Ove, oltre alla valutazione di eccessiva gravosità e di non conformità agli interessi delle imprese delle rigidità della normativa in parola, si aggiunge anche il rilievo, a distanza di oltre quarant'anni dall'emanazione dello Statuto dei lavoratori, dell'oggettiva difficoltà di riconduzione esaustiva della profondamente mutata realtà delle relazioni di lavoro negli immutati argini della disciplina statutaria, con le conseguenti inevitabili forzature e le relative incertezze indotte da interpretazioni fatalmente non univoche della giurisprudenza e della stessa dottrina. Ed ove, pertanto, a parte l'alleggerimento delle rigidità e dei vincoli normativi, anche la pressante istanza da parte delle imprese di aggiornamento della disciplina legislativa e di una sua maggiore certezza.

16

Page 17: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Reputato che un intervento di allentamento della disciplina giuslavoristica circoscritto alle sole estremità iniziale e finale della relazione contrattuale non potesse valere nel senso della perseguita inversione in termini positivi del trend economico-occupazionale, è su queste basi che si determina l'assolutamente innovativo cambio di registro, da parte del legislatore del Jobs Act, dell’estensione dello spettro dell’intervento riformatore anche alla fase di gestione della manodopera nel corso dello svolgimento della relazione contrattuale.

La flessibilità viene così a varcare i confini del rapporto di lavoro per incidere sull’area di esercizio dei poteri datoriali, peraltro in riferimento allo snodo cruciale delle mansioni, e quindi (della determinazione e relative possibili modificazioni) dell’oggetto della prestazione e del corrispondente ambito dell’obbligazione del lavoratore, oltreché alla tematica dei controlli a distanza. In entrambi i casi con riscrittura in toto delle rispettive discipline e, comunque, con mutamento sostanziale delle previgenti disposizioni del legislatore statutario (cfr. art. 3, d.lgs. n. 81/2015 e art. 23, d.lgs. n. 151/2015): innegabilmente nel senso di un ampliamento della discrezionalità di esercizio delle prerogative datoriali e di relativa rimodulazione delle corrispondenti tutele in favore del prestatore di lavoro, ma senza che la vicenda possa riduttivamente ritenersi risolvere in una mera valutazione di incremento oppure riduzione dell’autorità datoriale e/o dell’apparato di protezione rilevante in favore del lavoratore.

Lungi da una variazione di semplice carattere come dire "quantitativo" dell’area di estensione dei poteri datoriali ovvero delle tutele del lavoratore, a rilevare è, piuttosto, come anticipato, la ridefinizione delle regole di effettiva esplicazione dei medesimi poteri datoriali secondo moduli ed in termini in parte inediti e comunque "qualitativamente" innovativi, peraltro anche in merito alla fondamentale caratteristica dell’inderogabilità e indisponibilità della norma giuslavoristica, in virtù degli ambiti di flessibilità rispetto all’ipotesi regolamentare ordinaria delle prerogative datoriali cui si prevede che il datore di lavoro possa accedere sia in via unilaterale sia previa la mediazione dell’autonomia contrattuale collettiva o anche individuale (cfr. ad es., rispettivamente, commi 2, 4 e 6 del nuovo art. 2103 c.c.).

Il tutto comunque nel quadro del disegno generale di riforma, nonché, in particolare, in corrispondenza alla sempre maggiore flessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro alimentate dal medesimo Jobs Act, e che si è constatato influire inevitabilmente sulle medesime posizioni soggettive “interne” al rapporto di lavoro e sui loro concreti svolgimenti: alla luce del cambiamento sostanziale di scenario di quelle che sono le dinamiche interpersonali tra datore di lavoro e prestatore generalmente considerate indotto dal rilevato superamento della stabilità del rapporto di lavoro “statutaria” conseguente alla rimarcata incrementata liberalizzazione delle tipologie e modalità d’impiego della manodopera, unita alla marginalizzazione della tutela reintegratoria ex art. 18, St. lav. a casi ormai solo residuali di illegittimità del recesso datoriale. Ciò, in particolare, sul piano delle relazioni di forza datore-prestatore di lavoro e dello stesso

17

Page 18: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

grado di effettività della disciplina giuslavoristica: essendo da convenire che la pretesa del lavoratore all’applicazione della disciplina giuslavoristica e comunque alla tutela giudiziaria dei suoi diritti tenda a degradare in via direttamente proporzionale alla minore stabilità della sua relazione contrattuale. Così come si è già ricordato essere stato valutato a suo tempo dalla Corte Costituzionale nel delimitare il possibile decorso della prescrizione dei crediti in costanza di rapporto di lavoro appunto in ragione dell’operatività della tutela reale ex art. 18 St. lav. E, d’altro canto, come confermato, in concreto, dal notorio sensibile decremento dei dati del contenzioso giudiziario registratosi al cospetto dell’erosione di detto regime di stabilità reale già nei termini stabiliti mediante le legge Fornero (cfr. art. 1, comma 42, legge n. 92/2012 e disposizioni collegate), oltreché, del resto, pure dalla subito rimarcata esigenza di riconsiderazione della stessa questione del decorso della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro a fronte del degradare di siffatto regime di stabilità già ai sensi della legge Fornero e tanto più, allora, valga qui solo segnalare, in riferimento al cd. contratto a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015.

Sta di fatto che, in funzione della finalità lato sensu occupazionale cui si è detto essere dichiaratamente orientato il disegno di riforma, in sede di Jobs Act l’evidenziato declinare degli standard di protezione del lavoro subordinato e il corrispondente tendenziale ampliamento della discrezionalità di esercizio delle prerogative datoriali risultano senz’altro messi in conto e, anzi, segnatamente perseguiti appunto per promuovere un incremento della domanda di manodopera.

Ma con una tale finalità lato sensu occupazionale che, in realtà, è da constatarsi come tenda a rilevare, nell’ipotesi, non già nell'interesse delle parti contrattuali e tanto meno in correlazione alla causa della fattispecie contratto di lavoro, bensì piuttosto in riferimento a finalità e interessi essenzialmente "terzi" rispetto al medesimo contratto di lavoro: vale a dire, come precisato dal legislatore delegante, nell'interesse di «coloro che sono in cerca di occupazione» e, in specie, per «rafforzare le opportunità (di costoro) di ingresso nel mondo del lavoro» (art. 1, comma 7, legge n. 183/2014). Il che, peraltro, in via innovativa anche rispetto alla stessa esperienza legislativa pure recente in materia occupazionale, che, infatti, anche quando incidente sulle posizioni soggettive inerenti al contatto di lavoro, è risultata pressoché costantemente calibrata pure in riferimento agli interessi delle parti del medesimo contratto di lavoro, e segnatamente del prestatore-parte debole. Così, ad esempio, il d.lgs. n. 276/2003 (cfr. art. 1, comma 1), che, enunciata la sua finalizzazione anche «ad aumentare i tassi di occupazione», assume comunque quale suo principio cardine quello del rispetto delle disposizioni di cui alle leggi n. 300/1970, n. 903/1977 e n. 125/1991, nonché la promozione della "qualità" e della "stabilità" del lavoro (evidentemente in primo luogo in favore degli occupati). E analogamente la stessa legge n. 92/2012, che parimenti afferma quale suo obiettivo la "qualità" dell'occupazione (cfr. art. 1, comma 1).

18

Page 19: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Ora, sino a che punto è accettabile che diritti fondamentali attinenti alla dignità e alla tutela della persona del lavoratore, quali quelli in tema di mansioni, jus variandi e controlli a distanza sui quali viene ad incidere la riforma (v. infra), possano risultare erosi in funzione del perseguimento (pure in via solo generica, eventuale e indeterminata) di interessi "terzi" rispetto al medesimo prestatore e, comunque, rispetto alla stessa relazione contrattuale di lavoro interindivinduale? La questione appare indubbiamente problematica, anche perché è in linea di principio da escludere l'eventualità di una funzionalizzazione del contratto di lavoro a interessi sia pure di carattere generale che siano "terzi" rispetto al sinallagma contrattuale, quale appunto l'interesse di soggetti disoccupati al reperimento di un'occupazione, così come parimenti un medesimo interesse generale all'incremento dei tassi di occupazione. Ciò alla luce del quadro dei valori costituzionali, nonché secondo quanto del resto significativamente acclarato in ordine alla notoriamente negata possibilità di una funzionalizzazione dell'attività economica privata al perseguimento di interessi pubblici.

In via di compensazione rispetto al degradare delle tutele “nel” rapporto di lavoro e alle stesse dosi di flessibilità in entrata e in uscita che il Jobs Act si è visto venire a prevedere, è in ogni caso prefigurato il riassetto delle provvidenze e trattamenti in genere disponibili per il prestatore “fuori” dalla relazione lavorativa e nel mercato del lavoro.

Con le politiche attive e passive per l’occupazione che, infatti, risultano parte integrante del disegno di riforma, in forma di ridefinizione complessiva dei trattamenti di tutela della mancanza di lavoro e dello stesso intervento statale nella materia occupazionale complessivamente considerata. Parte integrante in quanto l’opzione di fondo emergente dalla legge delega n. 183/2014 (cfr., spec., art. 1, commi 1-4 e 7) e confermata e sviluppata nei successivi decreti legislativi di sua attuazione (cfr., spec., dd.lgs. nn. 22, 23, 81, 148 e 151/2015) è quella di un’azione combinata, in virtù della quale alla ridefinizione delle politiche per l’occupazione si addiviene appunto a bilanciamento dell’incrementata flessibilità nella gestione della manodopera cui è dato ampiamente corso, non più soltanto con riguardo alle fasi “iniziale” e “finale” del rapporto di lavoro, ma anche a quella “interna” e, quindi, allo stesso svolgimento della relazione contrattuale. Ove l’ipotesi è cioè che una tale sensibilmente aumentata flessibilità in riferimento ai rapporti di lavoro e comunque la riderterminazione essenzialmente al ribasso degli standard di tutela nell’ambito del contratto di lavoro siano compensate da una maggiore sicurezza per il prestatore nel mercato del lavoro, nel solco dell’idea europea della cd. flexicurity (cfr. già Consiglio europeo di Barcellona del 15-16 marzo 2002, nonché, conf., relazione del 24 gennaio 2002 della Commissione europea in tema di incremento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro nell’Ue, e, in seguito, Libro Verde della Commissione europea del 22 novembre 2006). Il che, peraltro, come sopra rimarcato, secondo un’impostazione già delineata in sede di riforma Fornero, in virtù della ivi prefigurata ridefinizione delle provvidenze della

19

Page 20: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

mancanza di lavoro in una alla rimodulazione della disciplina in tema di tipologie contrattuali e di flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro (artt. 1-4, legge n. 92/2012).

Permane da stabilire fino a che punto il degradare delle tutele in merito a diritti fondamentali attinenti alla dignità e alla tutela della persona del lavoratore "interni" al contratto di lavoro possa trovare compensazione plausibile in un tale prospettato incremento delle tutele occupazionali "esterne" al contratto di lavoro, peraltro allo stato di là da venire e comunque tutto da dimostrare.

Così come permane più in generale da valutare se, e in che misura, quelli che sono i propositi (enunciati e non) alla base della riforma trovino poi reale attuazione e, in particolare, per quello che qui più interessa, quali ne siano gli svolgimenti e le concrete implicazioni sul piano dell'esercizio dei poteri datoriali. 6. Mansioni, jus variandi e inquadramenti alla luce del nuovo art. 2103 cod. civ.

Di carattere radicale è il cambiamento delineato in ordine alle prerogative datoriali in materia di mansioni, cd. jus variandi e, quindi, di determinazione dell'oggetto dell'obbligazione lavorativa alla luce della nuova versione dell'art. 2103 cod. civ. ex art. 3, d.lgs. n. 81/2015, nel senso di un sensibile ampliamento della gamma di mansioni assegnabili al prestatore in via orizzontale e, in alcuni casi, anche inferiore rispetto alle precedenti.

In virtù della sostituzione del precedente criterio statutario della "equivalenza" con quello della riconducibilità «allo stesso livello e categoria legale di inquadramento» (così comma 1, art. 2103 cod. civ. "nuova formula"), a mutare è, in realtà, lo stesso parametro di determinazione delle mansioni in quella che è la loro natura e il relativo peso-valore, nonché i termini di concreta comparazione reciproca delle medesime diverse mansioni. Ciò con effetto innovativo obiettivamente dirompente, rispetto al testo previgente e ai consolidati indirizzi interpretativi in materia, con prospettive di evoluzione in tema di inquadramento e gestione della manodopera che permangono tutte da verificare, probabilmente al di là delle stesse motivazioni e intendimenti alla base della riforma, che almeno per certi versi appaiono infatti anche sopravanzati dalla portata della versione rinnovata della norma codicistica.

Posta la risaputa generale considerazione del limite previgente della "equivalenza professionale" e, quindi, secondo l'interpretazione prevalente, della professionalità acquisita dal prestatore nello svolgimento della relazione lavorativa, in risposta all'istanza da parte delle imprese di alleggerimento dei vincoli della disciplina statutaria, il nuovo criterio è funzionale a sganciare lo jus variandi dalle rigidità indotte dalla professionalità ed anche dalle incertezze che almeno in alcune ipotesi poteva determinare, per riportarlo ad un parametro oggettivo indubbiamente più esteso, che esclude giudizi di valore, ma anche di apparente più agevole lettura, quale appunto lo «stesso livello e categoria legale di inquadramento». Ove risulta in proposito implicitamente presupposto il rinvio ai sistemi di inquadramento delle mansioni e delle

20

Page 21: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

qualifiche e anche di definizione delle stesse categorie legali che sono opera della contrattazione collettiva, con la determinazione della portata concreta del precetto legale così di fatto rimessa alle intese sindacali, fermo restando che non possa in teoria escludersi al riguardo un inquadramento stabilito con autonoma disciplina unilaterale aziendale, quale ad es. il cd. regolamento d'impresa. Mentre a cambiare è evidentemente anche il bene-interesse posto a limitazione della discrezionalità datoriale: non più la professionalità maturata dal prestatore in ragione del suo percorso lavorativo, ma invece il formale livello e la categoria di inquadramento da lui acquisiti.

E' evidente l'analogia con il sistema degli inquadramenti e della mobilità nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per il quale l'area di inquadramento è stabilita ex lege (art. 52, d.lgs. n. 165/2001 e modiff. succ.). Ma, al di là delle finora limitate ipotesi di inquadramento per aree professionali che si registrano in determinati settori del lavoro privato (come ad esempio nel caso del CCNL del credito), permane tutta da vagliare l'attitudine degli attuali sistemi di inquadramento di cui alla contrattazione collettiva a valere quale adeguato mezzo di integrazione della rinnovata disciplina legale, in quanto strutturati secondo logiche e moduli che, almeno allo stato, nella larga maggioranza dei casi non paiono calibrati in relazione all'attività in questo senso oggi richiesta all'autonomia sindacale. Pur al cospetto del ruolo cruciale che le va a conferire, infatti, il nuovo art. 2103 cod. civ. appare singolarmente formulato senza considerare l'esperienza sindacale al riguardo, in divergenza da quelli che ne sono i reali svolgimenti e, quindi, aprendo il campo -non è dato sapere quanto consapevolmente- ad una necessaria opera di robusta revisione degli odierni sistemi di inquadramento e comunque di loro aggiornamento alle rinnovate guidelines legislative.

Palese è, invero, la discrasia che tra l'altro si registra già in relazione al largamente invalso modello del cd. inquadramento unico in virtù dell'introdotto limite dell'invarianza della categoria legale ai sensi del comma 1 del nuovo art. 2103 cod. civ.: che, in riferimento ad una almeno teorica mobilità già prefigurabile segnatamente tra le categorie impiegatizia e operaia alla luce del regime previgente, pare porsi quale vincolo aggiuntivo alla discrezionalità datoriale, in controtendenza, sul punto, rispetto all'ampliamento delle prerogative del datore di lavoro cui viene viceversa ad accedere in via generale la riforma del Jobs Act in tema di jus variandi.

Ma l'aspetto di maggiore criticità è rappresentato dall'essere gli odierni sistemi di inquadramento notoriamente funzionali alla valutazione delle mansioni al fine essenziale della determinazione del corrispettivo trattamento retributivo a carico del datore, in ragione della classificazione delle medesime mansioni e delle relative qualifiche sulla base di quello che l'autonomia collettiva stima esserne il valore intrinseco, a prescindere dalla precipua loro identità professionale: sulla scorta di una scala variamente articolata di livelli di inquadramento a composizione professionalmente del tutto eterogenea, in quanto ciascuno ricomprendente mansioni e relative qualifiche dai connotati e contenuti professionali i più vari e disomogenei,

21

Page 22: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

fermo restando il solo trait d'union della riconduzione ad un comune corrispondente standard retributivo.

Mentre l'assunzione della classificazione delle mansioni in sede di inquadramenti quale indice della loro possibile variazione, da parte del comma 1 del nuovo art. 2103 cod. civ., ne importa invece il rilevare quale parametro di determinazione dei contenuti della prestazione individuabili concretamente mediante lo jus variandi e, quindi, una funzione essenzialmente non considerata in sede di costruzione degli attuali sistemi di inquadramento, salvo quelle esperienze negoziali che attraverso le aree contrattuali già hanno valorizzato l'inquadramento contrattuale in funzione delle mansioni esigibili.

6.1. Lo jus variandi cd. orizzontale.

Al cospetto dell'odierna classificazione di natura eminentemente "aprofessionale" di mansioni e qualifiche da parte dell'autonomia collettiva, la rimodulazione dello jus variandi sulla scorta del nuovo limite dello «stesso livello e categoria legale di inquadramento» induce il potenziale sensibile ampliamento dell'area del debito e dei contenuti dell'obbligazione a carico del prestatore di lavoro, in virtù della sua possibile assegnazione a mansioni anche affatto diverse e professionalmente eterogenee, con il solo predetto vincolo del loro rientrare nello stesso livello e categoria legale.

Benché obiettivamente in linea con il nuovo testo dell'art. 2103 cod. civ., una dilatazione in tale misura dello jus variandi tende tuttavia a rivelarsi irrealistica e, comunque, sotto più aspetti anche tecnicamente insoddisfacente, finendo peraltro per sopravanzare preterintenzionalmente la medesima istanza di incremento della flessibilità delle prerogative datoriali alla quale il legislatore ha inteso fornire riscontro.

Messa naturalmente da parte l'inverosimile ipotesi di lavoratori professionalmente onnivalenti, la questione appare anzitutto da valutare già sul piano della stessa possibilità, determinazione e/o determinabilità dell'oggetto del contratto, e segnatamente dell'oggetto dell'obbligazione a carico del prestatore ex art. 1346 cod. civ. (e norme collegate): che, infatti, è almeno in parte da reputarsi realisticamente impossibile e, prima ancora, non adeguatamente determinato se si assume che, posta la qualifica-mansioni di assunzione (o comunque le qualifiche-mansioni acquisite successivamente), si abbia un'indistinta estensione dell'area del debito a carico del lavoratore anche a tutte le altre qualifiche-mansioni rientranti nel medesimo livello e categoria legale di inquadramento. E ciò in quanto la variazione delle medesime qualifiche-mansioni è in questo senso disponibile da parte del datore di lavoro quale esplicazione del potere di conformazione della prestazione lavorativa alle sue esigenze-utilità, senza che a stretto rigore ne risulti nemmeno una modificazione dell'oggetto della medesima prestazione, giacché riportato all'intera gamma delle eterogenee qualifiche-mansioni rientranti nel livello e categoria legale di inquadramento di pertinenza del singolo lavoratore.

Quale fattore di bilanciamento al cospetto di un così esteso ampliamento delle prerogative datoriali rileva l'obbligo formativo affermato ex comma 3 del nuovo art.

22

Page 23: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

2103 cod. civ. in via generale, e dunque in riferimento alla mobilità sia orizzontale sia discendente sia anche ascendente. Obbligo formativo che, però, non pare poter valere a soluzione delle problematiche poste dalla rinnovata disciplina, stante la sua enunciazione meramente generica, tecnicamente imprecisa e tale da generare di per sé una serie di incertezze.

Emblematiche sono le riserve avanzate in ordine alla stessa individuazione nel datore di lavoro, e non invece nel prestatore, del soggetto in tal senso obbligato, con tutti i relativi interrogativi che ne conseguono, nel caso di "mancato adempimento" all'obbligo formativo, in punto di esigibilità o meno della prestazione lavorativa, oppure, viceversa, se si reputa obbligato il lavoratore, in merito alla possibile contestazione al medesimo dell'inadeguatezza della sua prestazione lavorativa (a parte la sanzionabilità in sé sempre del lavoratore per il venir meno ai suoi doveri di formazione). E tanto, oltre al pertinente rilievo per il quale relativamente al datore di lavoro sarebbe comunque più propriamente da parlarsi non già di un obbligo, ma piuttosto di un onere di formazione, evidenziandosi che -stante la precisata esclusione della nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni a fronte del mancato adempimento al predetto obbligo formativo ex comma 3, art. 2103 cod. civ.- l'individuazione del datore quale obbligato non sarebbe logicamente conciliabile con l'eventualità che «il soggetto inadempiente possa comunque vantare una pretesa alla prestazione».

Ove, tuttavia, già il dato letterale della norma appare espressivo dell'ascrizione del vincolo formativo in discorso a carico del datore: in particolare alla luce della prefigurata necessità di "accompagnamento" del «mutamento di mansioni ... dall'assolvimento dell'obbligo formativo»; affermato "accompagnamento" che, come tale, vale a segnato collegamento dell'operare di detto obbligo (rectius: onere) formativo proprio con l'atto di esercizio del potere datoriale. E con una simile constatazione che trova comunque conferma anche alla luce di un'interpretazione logico-sistematica e della ratio della rinnovata disciplina, in primo luogo in riferimento al coevo superamento del previgente limite dell'equivalenza professionale e al correlativo necessario valere del cennato vincolo formativo a carico del datore quale elemento di razionale contemperamento a tutela del prestatore rispetto ad un'esplicazione dello jus variandi assoggettata al suddetto solo limite formale dell'invarianza del livello e della categoria di inquadramento. Fermo restando che, in ordine alle attività formative poste in essere dal datore in relazione ad un "mutamento di mansioni", a risultare è in ogni caso anche un precipuo dovere di formazione per il prestatore interessato: già in forza degli obblighi generali del lavoratore subordinato di collaborazione, obbedienza e conformazione agli interessi e alle esigenze dell'impresa e, comunque, in ragione della stessa odierna prescrizione del cennato vincolo formativo a carico del datore di lavoro in tema di mutamento di mansioni ex comma 3 del nuovo art. 2103 cod. civ.; con relativo rilevare di eventuali mancanze del prestatore sul piano disciplinare e/o anche al

23

Page 24: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

fine dell'integrazione di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento per inidoneità alle mansioni di destinazione e coeva impossibilità di suo cd. repechage.

La precisata esclusione della nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni nel caso di inadempimento all'obbligo formativo ex comma 3 cit. vale a stemperamento evidente della portata di detto obbligo (a parte l'esorbitanza della qualificazione in forma di nullità dell'inosservanza di quello che già si è rimarcato essere in realtà piuttosto un onere o comunque una condizione-presupposto e/o modus cui conformare l'esercizio del potere datoriale).

Ma, posto il persistente operare del mutamento di mansioni, quali sono allora le conseguenze dell'inadempimento all'obbligo formativo? Sono prefigurabili rimedi quantomeno di carattere risarcitorio o di altra natura in relazione all'interesse del prestatore alla formazione o alla tutela della sua professionalità (che almeno in questo senso verrebbe a riemergere pur al cospetto del rimarcato odierno superamento del limite dell'equivalenza di cui alla normativa previgente ai sensi del nuovo art. 2103 cod. civ.)? E, comunque, in che misura è ragionevolmente pensabile a un’ordinaria prosecuzione del rapporto di lavoro con immutata adibizione del prestatore alle mansioni in riferimento alle quali il datore sia inadempiente all'obbligo formativo? Nell'ipotesi, poi, non avendo ricevuto la formazione da impartirgli ex adverso, il lavoratore permane comunque astretto all'effettiva esplicazione della sua prestazione, o, viceversa, almeno in situazioni particolari (ad es. quando per la mancata necessaria formazione potrebbe essere messa a repentaglio la sicurezza della sua persona o di altri oppure nel caso del rischio di gravi danni), può essere legittimato ad astenersene, costituendo in mora credendi il datore di lavoro e/o imputandogli la medesima mancata esecuzione della sua prestazione? Al contempo, sempre il lavoratore può essere chiamato a rispondere sul piano disciplinare di un inesatto adempimento all'obbligazione ascrivibile al deficit di formazione? E, ancora, il prestatore di lavoro è licenziabile per giustificato motivo oggettivo perché inidoneo alle mansioni in relazione alle quali non è stato formato e non sia altrimenti impiegabile?

Tutti interrogativi destinati a restare in larga parte aperti a fronte della rimarcata genericità del dettato normativo e comunque fino a quando non sia data una reale concretezza al (per ora solo enunciato) cennato obbligo formativo ex comma 3 del nuovo art. 2103 cod. civ. Ciò in primo luogo da parte della contrattazione collettiva, che anche in proposito appare chiaramente chiamata a dover provvedere alla sostanziale integrazione e specificazione della rinnovata disciplina legale, in particolare in punto di determinazione di contenuti, tempi, rispettivi diritti e doveri delle parti e modalità concrete di esplicazione dell'attività di formazione necessaria al cospetto dell'esercizio dello jus variandi.

Quale fattore di contenimento tangibile della discrezionalità datoriale in tema di mutamento orizzontale delle mansioni rileva, in ogni caso, la correlazione intercorrente

24

Page 25: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

tra jus variandi e area di esplicazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Largamente nota è infatti l'interpretazione consolidata secondo la quale l'integrazione di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento è riportata alla dimostrata impossibilità di cd. repechage in relazione allo spettro di esercizio dello jus variandi in via orizzontale e, quindi, ai sensi del previgente art. 2103 cod. civ., in riferimento a mansioni equivalenti, non senza peraltro l’affermata sua dilatazione, da parte di un recente nuovo indirizzo interpretativo che va rapidamente diffondendosi, anche in riferimento a mansioni inferiori.

Onde, a fronte dell’odierna riformulazione dell'ambito di possibile esplicazione dello jus variandi in via ordinaria (id est, cd. “orizzontale”) alla luce della sostituzione del previgente limite della "equivalenza" con quello dell'invarianza del livello e della categoria legale di inquadramento, ex comma 1 del nuovo art. 2103 cod. civ., a derivarne logicamente è l’estensione corrispondente anche dell'area del cd. repechage in riferimento alla generalità delle mansioni «riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte», con conseguente pari limitazione del potere di recesso datoriale.

Si tratta di un aspetto verosimilmente non considerato dal legislatore della riforma, e che infatti si manifesta in controtendenza rispetto alla linea di generale alleggerimento della normativa vincolistica in materia di esercizio dei poteri datoriali emergente dal Jobs Act, peraltro, come sopra constatato, anche in riferimento ai licenziamenti (sotto il profilo della ridefinizione sostanzialmente al ribasso del profilo sanzionatorio ex d.lgs. n. 23/2015).

Al di là della restrizione dell'ambito di esplicazione del potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a risultare è un effetto indiretto in forma di riequilibrio delle posizioni e interessi delle parti, anche in riferimento alle stesse dinamiche relazionali inerenti al rapporto di lavoro latamente intese.

Il tendenziale incremento degli standard di tutela del lavoratore che ne deriva in ordine al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, infatti, vale in qualche modo a compensazione, sia pure su di un piano diverso, del constatato decremento del grado di protezione del medesimo lavoratore in tema di jus variandi alla luce del nuovo art. 2103 cod. civ. Ma, soprattutto, il restringimento dell'area del giustificato motivo oggettivo di licenziamento che si prefigura in via inversamente proporzionale all'ampliamento dello jus variandi sulla scorta del solo limite "aprofessionale" dell'invarianza del livello e della categoria legale d'inquadramento fa sì che lo stesso datore di lavoro possa ragionevolmente risultare interessato ad una specificazione e, comunque, ad una determinazione più restrittiva del suo jus variandi. Ciò in termini che rendono indubbiamente molto più concreta l'eventualità di una regolamentazione per via convenzionale, in primis da parte della contrattazione collettiva, dello jus variandi orizzontale ad integrazione e specificazione dell'odierna rinnovata disciplina legale.

25

Page 26: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Al contempo, è al riguardo da considerare la possibile azione anche da parte della stessa autonomia contrattuale individuale, sempre nell'ambito del perimetro di esercizio dello jus variandi orizzontale ex comma 1, art. 2103 cod. civ., e ferma ovviamente la sua non derogabilità in peius, anche alla luce della confermata "nullità" (sia pure meno categorica: v. infra) di «ogni patto contrario» ex comma 9 dello stesso nuovo art. 2103.

All'autonomia contrattuale individuale è in linea di principio infatti consentito intervenire all'interno dell'area di esercizio del potere datoriale come determinata ex lege, a delimitazione e specificazione del medesimo potere datoriale. Onde la possibile regolamentazione per via contrattuale individuale dello jus variandi orizzontale negli ambiti definiti ex comma 1, art. 2103 cod. civ. e, quindi, in relazione alle «mansioni

riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte»: in particolare nel senso di un'auspicabile calibrazione del potere datoriale in riferimento alla professionalità e alle effettive competenze del singolo prestatore, a ragionevole contenimento di un'area del debito del medesimo prestatore estensibile, come visto, ai sensi del suddetto criterio "aprofessionale" ex comma 1, art. 2103 cit., a qualifiche-mansioni anche le più diverse e tra loro del tutto eterogenee e accomunate solo dal medesimo inquadramento.

Ma non senza che, all'atto pratico, l'effettiva possibilità di un simile intervento razionale della contrattazione individuale rischi di restare solo sulla carta, dovendosi realisticamente mettere in conto che la stessa contrattazione individuale -pur nell'ipotesi formalmente "migliorativa" o almeno "non peggiorativa" del comando legale (in quanto delimitativa o ad ogni modo solo specificativa della discrezionalità datoriale ex lege)- possa in concreto rivelarsi pregiudizievole per il lavoratore o comunque a unilaterale vantaggio del datore di lavoro. Come nel caso, ad esempio, di accettazione a priori da parte del lavoratore, appunto in sede di contrattazione individuale, della sua mobilità su tutte o parte della vasta gamma delle «mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento», comprese quelle esulanti dalla sua professionalità ed esperienza, e, al limite, anche con possibile coeva dichiarazione (di attendibilità invero quantomeno sospetta) da parte sempre del lavoratore di sua idoneità-competenza al loro espletamento. Ciò in forma che, oltre che a conferma e accettazione da parte del lavoratore della legittimità dell'esercizio dello jus variandi in riferimento all'intero arco o in ogni caso per un certo numero della generalità delle «mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento», potrebbe anche valere in via di possibile esonero del datore dallo stesso obbligo formativo, nonché pure quale garanzia ed assunzione di responsabilità da parte del lavoratore in merito al corretto adempimento della sua obbligazione e quindi del riconoscimento della sua stessa sanzionabilità disciplinare nel caso poi di successiva prestazione lavorativa inadeguata. Ove, stante la sua posizione di debolezza sostanziale rispetto al datore di lavoro (per più versi s'è visto pure incrementata alla luce del Jobs Act), può risultare inevitabilmente

26

Page 27: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

modesta la resistenza opponibile dal lavoratore all'imposizione di pattuizioni di tal genere in suo danno in sede di contratto individuale.

Ciò comunque fermo restando il rimarcato interesse del datore ad evitare un restringimento per questa via dell'area di esercizio del suo potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo: in termini che anche in ordine alla regolamentazione dello jus variandi orizzontale mediante contratto individuale potrebbe valere a bilanciamento delle posizioni delle parti e, quindi, quale elemento concreto di contrasto, sia pure sotto tale circoscritto profilo, rispetto all’evidenziato rischio di pattuizioni individuali in materia a tutto vantaggio del solo datore di lavoro.

6.2. I casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103 cod. civ.

Sempre in via radicalmente innovativa della disciplina statutaria rilevano le previste ipotesi di possibile adibizione a mansioni inferiori introdotte dalla riforma quale possibile deroga alla regola generale dell'invarianza in peius secondo la ridisegnata mobilità orizzontale ex comma 1 del nuovo art. 2103 cod. civ.

Tanto nelle ipotesi di cui al comma 2 che in quelle di cui al comma 4 di tale nuovo art. 2103 cod. civ., la possibilità di demansionamento è consentita al datore in via unilaterale, senza il necessario assenso da parte del lavoratore, come confermato anche dalla stabilita mera comunicazione per iscritto all'interessato del mutamento di mansioni ex comma 5, art. 2103. Ciò, quindi, quale diretta manifestazione dello jus variandi, che tuttavia -diversamente dalla mobilità orizzontale ex comma 1- è qui previsto avvenire mediante un atto di esercizio dell'autorità datoriale a struttura causale vincolata, giacché riportata alla ricorrenza delle prescritte condizioni-situazioni indicate, rispettivamente, dai medesimi commi 2 e 4 citt., e al contempo circoscritta nella sua portata, in ragione del previsto limite di adibizione a mansioni inferiori di un solo livello di inquadramento e rientranti nella stessa categoria legale.

Con corrispondente ampliamento dell'area del debito del lavoratore appunto anche in riferimento a tali mansioni inferiori alle quali il datore di lavoro è abilitato a poterlo assegnare, a modificazione dei contenuti ordinari della prestazione lavorativa ex comma 1, art. 2103 cit. Ma, in ogni caso, senza che a risultarne sia una modificazione stricto iure anche dell'oggetto dell'obbligazione lavorativa del contratto di lavoro.

I confini dell'oggetto dell'obbligazione lavorativa si è visto infatti essere riportati, ex comma 1 del nuovo art. 2103, alle mansioni riconducibili al livello di inquadramento e alla categoria legale delle mansioni di assunzione o di quelle superiori frutto degli eventuali avanzamenti maturati nel tempo. E una tale individuazione di quelle che sono le mansioni di ordinaria pertinenza del lavoratore ex comma 1, art. 2013 appare presupposta e confermata anche in sede di enunciazione delle cennate ipotesi di possibile demansionamento sub successivi commi 2 e 4 dello stesso art. 2103. Ciò nel difetto di una diversa previsione ex lege appunto nel senso di una modificazione dell'oggetto dell'obbligazione lavorativa, nonché con l'immutato operare della

27

Page 28: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

previgente regolamentazione contrattuale inter partes che è al contempo attestato dallo stesso previsto diritto del lavoratore, pur al cospetto della sua adibizione a mansioni inferiori, «alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento» ex comma 5, art. 2103 cit. Tanto più se si considera che sub commi 2 e 4 citt., in realtà, non è indicata alcuna mansione a qua "altra" rispetto alle mansioni di pertinenza del lavoratore ex comma 1, art. 2013 cod. civ.: a conferma della persistente valenza di tali mansioni quale dato-parametro di comparazione anche al cospetto delle ipotesi di demansionamento in parola.

In mancanza della prescrizione ex lege di limitazioni di carattere temporale, l'assegnazione a mansioni inferiori ex commi 2 o 4 del nuovo art. 2013 cod. civ. può essere stricto iure solo temporanea o anche definitiva.

Ciò, tuttavia, solo in teoria, essendo ragionevolmente esclusa l'eventualità che una tale assegnazione a mansioni inferiori possa nella realtà avvenire in via definitiva o anche solo per una durata prolungata, giacché oggettivamente antieconomica per il datore di lavoro, che, infatti, non ha in linea di massima alcuna convenienza ad utilizzare il prestatore in mansioni inferiori tuttavia continuando a riconoscergli, così come imposto ex commi 2 e 4 citt., il livello di inquadramento superiore e la relativa retribuzione (di fatto "superiore" a svantaggio di esso datore rispetto alla prestazione lavorativa di livello inferiore che viene a ricevere). Onde la destinazione naturale delle ipotesi di demansionamento ex commi 2 e 4 citt. al soddisfacimento di esigenze aziendali solo temporanee di adibizione del prestatore a mansioni inferiori. Anche perché, quando a rilevare in concreto sia, viceversa, il venir meno in via definitiva delle mansioni di pertinenza del lavoratore, con relativa impossibilità di suo cd. repechage (nei termini sopra constatati), il medesimo lavoratore è licenziabile per giustificato motivo oggettivo: sicché anche in questo senso ne risulta irragionevole l'antieconomico demansionamento sine die ex commi 2 e 4 citt. E mentre, al contempo, una ben più ampia possibilità di manovra viene invece a risultare disponibile, come si vedrà più avanti, per la contrattazione individuale, in sede di cd. accordi di dequalificazione, ex comma 6 del nuovo art. 2103 cod. civ., in tema di modifica in peius delle mansioni (e anche «della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione») in deroga alla disciplina generale, nonché agli stessi vincoli imposti ai demansionamenti ex commi 2 e 4.

Una volta disposto un demansionamento ex commi 2 e 4 del nuovo art. 2103, non appare in ogni caso consentita una successiva assegnazione anche a mansioni ulteriormente inferiori. A parte il previsto limite in sé di un demansionamento di un solo livello rispetto a quello d'inquadramento, ostativa è, in proposito, pur a fronte di un'adibizione a mansioni inferiori ex comma 2 o comma 4 citt., la constatata non modificazione né dell'oggetto dell'obbligazione lavorativa né del medesimo livello d'inquadramento del prestatore ai sensi del comma 1, art. 2103 cod. civ.: che, come tali,

28

Page 29: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

permangono quale termine di comparazione non derogabile mediante l'assegnazione a mansioni ulteriormente inferiori.

Le suddette ipotesi di demansionamento risultano comunque delineate in misura obiettivamente ampia, stante la formulazione dei commi 2 e 4, art. 2103 cit. generica e più estesa rispetto alle indicazioni del legislatore delegante (art. 1, comma 7, lettera e), legge delega n. 183/2014), nonché tale da essere valutata integrare un possibile vizio di eccesso di delega.

Non sono infatti forniti i "parametri oggettivi di individuazione" richiesti dalla legge delega, né altro elemento di determinazione in merito alla «modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore», e, al contempo, in ordine alle posizioni di interesse che sempre il legislatore prescrive essere da salvaguardare, almeno espressamente nulla è detto, ex comma 2 cit., in forma di contemperamento in relazione «alla tutela del posto di lavoro» (così lettera e), art. 1, comma 7 cit.) . Mentre una considerazione sia pure formale e/o economico-monetaria pare invece aversi in ordine «alla tutela ... della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche» (così ancora lettera e), art. 1, comma 7 cit.), alla luce della stabilita «conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento» ex comma 5, art. 2103 (ovviamente nei limiti in cui si ritenga che la conservazione del mero inquadramento formale, pur al cospetto del demansionamento, possa valere a preservare la professionalità).

Sicché, fermo il vincolo del decalage di un solo livello rispetto a quello di inquadramento e dell'invarianza della categoria legale, l'area di esercizio dello jus variandi in via decrescente viene a rivelarsi di problematica delimitazione, essendone in teoria sostenibile l'esplicabilità in relazione a pressoché qualsiasi modifica degli assetti aziendali, al limite fino al punto di ritenere che lo stesso demansionamento in sé possa valere ad integrare la richiesta modifica organizzativa. Soluzione, questa, tuttavia non condivisibile, giacché, anche per quanto si vedrà più avanti ad esclusione di un possibile esercizio ad libitum dello jus variandi senza una considerazione degli interessi del lavoratore al riguardo comunque da preservare e quindi dei cd. limiti interni rilevanti in generale a limitazione dei poteri datoriali, alla ricostruzione della portata delle succennate ipotesi di demansionamento sub commi 2 e 4 citt. appare comunque da doversi accedere tenendo presente la relazione di interdipendenza che si pone tra jus variandi, tutela del posto di lavoro e relativi limiti al potere di licenziamento. Ciò in conformità alla già richiamata interpretazione consolidata in tema di ammissibilità di un patto di demansionamento solo quale alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonché di cd. obbligo di repechage in relazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Così come s'è visto essere confermato, del resto, anche in sede di legge delega (cfr. ancora art. 1, comma 7, lettera e), legge n. 183 cit.: spec. nel senso del prescritto necessario contemperamento, in proposito, dello «interesse

dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela

29

Page 30: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche»): in termini che appare plausibile ritenere comunque rilevare, in riferimento alle cennate ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori ex commi 2 e 4, art. 2103, pure quale interpretazione necessaria del dato normativo che valga a evitarne l'altrimenti palese vizio di difformità rispetto alla delega. Con conseguente delimitazione di siffatte ipotesi di demansionamento a situazioni nelle quali la richiesta modifica organizzativa importi il venir meno della posizione lavorativa di pertinenza del singolo prestatore senza che ne sia possibile il repechage su mansioni del medesimo livello e categoria legale di inquadramento ex comma 1, art. 2103 (v. supra). Vale a dire, a parte il rilevare anche in proposito di un tale nuovo criterio di modulazione della mobilità orizzontale in luogo di quello precedente dell'equivalenza, nonché fermo restando quanto osservato in ordine al realistico operare delle ipotesi di demansionamento ex commi 2 e 4 citt. solo per situazioni temporanee, un esito in continuità sostanziale con la soluzione affermatasi prima della recente riforma. Ma con la differenza significativa che il datore di lavoro è oggi legittimato a procedere al demansionamento, ex commi 2 e 4 citt., in via unilaterale, senza dover acquisire o anche solo verificare il consenso del lavoratore.

Allo stesso modo non paiono individuabili dalla contrattazione collettiva, ex comma 4, art. 2103 cod. civ., "altre ipotesi" di demansionamento se non nei limiti di situazioni nelle quali sia messa in discussione la sussistenza delle mansioni di pertinenza del prestatore. Ciò almeno per quanto concerne casi di demansionamento in via definitiva, che, tuttavia, benché stricto iure consentiti, si ripete rivelarsi difficilmente realizzabili nella realtà in quanto non convenienti economicamente per le imprese.

Malgrado la formulazione letterale di un rinvio in apparenza privo di vincoli e sostanzialmente in bianco ai contratti collettivi ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015, l'effettivo spazio di agibilità dell'autonomia sindacale in proposito permane infatti determinato in forza della rimarcata relazione di interdipendenza con l'area del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, nonché comunque in termini che inducono essenzialmente ad escludere che ai sensi del comma 4 cit. siano individuabili ipotesi di demansionamento in via indiscriminatamente additiva rispetto a quelle rientranti nella previsione del comma 2, art. 2103 cod. civ.

Ferma restando una più ampia possibilità di esplicazione da parte della contrattazione collettiva che appare in ogni caso da riconoscere per quanto concerne l'individuazione di possibili ipotesi di demansionamento solo temporaneo. E mentre appare in generale ragionevole che l'attività della contrattazione collettiva si svolga, al riguardo, più che altro in forma di individuazione e, comunque, specificazione dei casi di "modifica degli assetti organizzativi aziendali" incidenti sulla posizione del lavoratore che ne consentono il demansionamento ai sensi del comma 2 cit.: vale a dire, in forma integrativa del comando legale e di esplicitazione ex ante delle condizioni di legittimità dello jus variandi in senso discendente, sia pure in termini che permangono comunque sindacabili dal giudice.

30

Page 31: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

Anche in relazione ai casi di possibile demansionamento ex commi 2 e 4 citt. rileva l'assoggettamento al previsto "obbligo formativo" di cui al comma 3, art. 2103 cod. civ. in forma in larga parte analoga a quanto già osservato in merito alla mobilità orizzontale, sia pure con gli intuibili necessari adattamenti e le peculiarità di un'attività di formazione da impartirsi a fronte dell'adibizione a mansioni di inquadramento inferiore. Con una tale attività di formazione al cospetto di un demansionamento che, anzi, rischia di rivelarsi una contraddizione in termini: almeno in riferimento a mansioni (inferiori) professionalmente omogenee, nonché al di là della possibile considerazione (atecnica) quale formazione delle nozioni e degli elementi di conoscenza di natura non prettamente professionale e/o di mero carattere pratico-operativo di cui è necessario che il lavoratore sia fatto parte in relazione alle nuove mansioni inferiori assegnategli. Ma ove, in realtà, appare allora da ritenere come proprio l'esplicitazione di un "obbligo formativo" al cospetto di un demansionamento, ex commi 2 e 4, art. 2103, valga a riprova del già constatato possibile svolgimento dello jus variandi anche in riferimento a mansioni professionalmente disomogenee, in ragione della sostituzione del vecchio criterio della "equivalenza" con quello "aprofessionale" dell'invarianza del livello e della categoria di inquadramento ex comma 1, art. 2103: giacché appunto proprio l'assegnazione a mansioni professionalmente disomogenee sia pure di inquadramento inferiore rispetto alle precedenti ben può rendere necessaria una precipua attività di formazione.

La «conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento», esclusi gli emolumenti legati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa, ex comma 5, art. 2103 rileva quale elemento di compensazione in favore del lavoratore demansionato e, al contempo, anche di restrizione dell'esercizio dello jus variandi in senso decrescente, nonché, quindi, in forma di un sia pure parziale riequilibrio delle rispettive posizioni delle parti al cospetto del previsto ampliamento delle prerogative datoriali.

A parte l'opinabilità in sé di una monetizzazione per questa via dell'interesse del lavoratore a non essere demansionato e alla tutela della sua professionalità, come pure di una corrispondente monetizzazione della medesima possibile esplicazione dello jus variandi al ribasso, a risultare è, tuttavia, in tal senso, l'alterazione della struttura funzionale del rapporto contrattuale. Ciò in ragione del su constatato ampliamento dell'area del debito del lavoratore (in considerazione delle mansioni anche inferiori rispetto a quelle oggetto dell'obbligazione lavorativa che egli è tenuto a svolgere, e sebbene detto oggetto dell'obbligazione lavorativa s'è visto stricto iure non variare), del coevo scollamento delle mansioni esplicate rispetto all'inquadramento formale del prestatore, nonché della modificazione sostanziale del legame di corrispettività e proporzionalità della prestazione lavorativa con la controprestazione retributiva.

E' evidente l'anomalia così insinuata nella relazione contrattuale in riferimento ai suoi svolgimenti successivi, in travisamento degli stessi principi cardine della

31

Page 32: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

corrispettività e proporzionalità della retribuzione ex art. 36 Cost., sia pure a singolare svantaggio del datore di lavoro (obbligato ad una prestazione retributiva di livello superiore rispetto alla prestazione lavorativa di profilo minore che effettivamente riceve). Un'anomalia che, come tale, non può sbrigativamente essere reputata da doversi accettare quale prezzo necessario per far fronte alla rilevata esigenza di compensazione del lavoratore per il demansionamento, ma che permane viceversa da verificare in riferimento alle motivazioni rilevanti alla base del demansionamento e alle relative conseguenze che si determinano sul piano dell'operatività e degli equilibri funzionali della relazione contrattuale.

Sul punto si tornerà più avanti. I casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2013 cod. civ. risultano comunque

introdotti in via aggiuntiva rispetto alle ipotesi di mobilità discendente già prefigurate ex lege (v.: art. 4, comma 11, legge n. 223/1991; art. 4, comma 4, legge n. 68/1999; art. 7, d.lgs. n. 151/2001; artt. 41-42, d.lgs. n. 81/2008) o di creazione da parte della giurisprudenza al cospetto del previgente regime. Con siffatte ipotesi di mobilità discendente che, emerse nel tempo in funzione della tutela di interessi valutati preminenti rispetto all'invariabilità in peius delle mansioni, quali il diritto alla salute e il diritto all'occupazione (cfr., rispettivamente, art. 32, comma 1 e art. 4, comma 1, Cost.), appaiono infatti sopravvivere alla riforma del Jobs Act: in mancanza di una loro abrogazione e/o di diversa previsione in una all'emanazione della nuova disciplina (cfr. art. 3 e 55, d.lgs. n. 81/2015), nonché in ogni caso giacché con questa compatibili, ferma tuttavia restando l'esigenza di una loro lettura in coordinamento con le riformulate guidelines della normativa ordinaria, e, quindi, in primo luogo, con il nuovo criterio di modulazione della mobilità orizzontale ex comma 1, art. 2103 cit. della riconducibilità delle mansioni «allo stesso livello e categoria legale di inquadramento».

Ciò, tuttavia, a parte quanto si dirà tra breve in merito all'odierna stipulabilità di accordi collettivi ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991 (v. infra, sub n. 6.4).

6.3. Gli accordi individuali di dequalificazione.

L'introdotta possibilità di stipulazione di «accordi individuali di modifica delle

mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione» ex comma 6 del nuovo art. 2103 cod. civ. importa un'ulteriore possibilità di deroga alla normativa ordinaria in materia, in senso più esteso, nonché su basi e in termini differenti rispetto ai casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103.

E' l'autonomia negoziale individuale che è abilitata al mutamento in peius delle mansioni, mediante un cd. accordo di dequalificazione, e, anzi, di ridefinizione dei contenuti della fattispecie contrattuale inter partes: in ragione della modificazione dello stesso oggetto dell'obbligazione lavorativa e dell'inquadramento del lavoratore, nonché della corrispondente obbligazione retributiva. Sebbene senza la produzione anche di un effetto stricto iure novativo in riferimento alla fattispecie contrattuale: stante il

32

Page 33: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

persistente operare inter partes dell'originaria relazione obbligatoria con le modifiche apportatele in virtù dell'accordo di dequalificazione.

Ciò, dunque, in diversità sostanziale rispetto ai casi di demansionamento ex commi 2 e 4 citt.: che, infatti, senza che intervenga una modificazione dell'oggetto dell'obbligazione, si è constatato importare il mero esercizio in peius dello jus variandi, quale possibile deroga appunto in peius in relazione ad un immutato oggetto dell'obbligazione lavorativa. Al di là della portata ben superiore della deroga alla regola ordinaria dell'invarianza in senso peggiorativo delle mansioni cui è possibile accedere sempre in virtù dell'accordo di dequalificazione ex comma 6, art. 2013 cit.: anche per più di un livello in meno, con coevo mutamento in peius della categoria e del livello di inquadramento formale, oltreché del relativo trattamento retributivo. Ove, ancora differentemente rispetto ai casi di demansionamento ex commi 2 e 4 citt., permane una relazione di proporzionalità tra la prestazione lavorativa e la corrispettiva prestazione retributiva, sebbene rimodulata al ribasso secondo il livello di inquadramento delle pattuite nuove mansioni inferiori, nonché senza che vi sia comunque spazio, peraltro, per l'eventualità di una modifica peggiorativa della retribuzione in misura ulteriore rispetto alle nuove mansioni e inquadramento (inferiori) giacché in contrasto con l'art. 36 Cost.

Mentre è al contempo esclusa l'ascrivibilità di una valenza transattiva al medesimo accordo di dequalificazione ex comma 6, art. 2103 cit., attesa la sua funzionalità regolativa degli svolgimenti (successivi) del rapporto contrattuale, senza un'attività propriamente dispositiva di diritti quesiti e/o attinenti a vicende pregresse del medesimo rapporto contrattuale.

La possibilità di azione in tal senso da parte dell'autonomia contrattuale individuale è prefigurata in senso così ampio da importare la degradazione della normativa in tema di mansioni e inquadramenti a materia essenzialmente disponibile per le parti individuali, sebbene con il vincolo "causale" dell'affermata delimitazione dell'accordo di dequalificazione ad un interesse qualificato del lavoratore e l'ulteriore vincolo "procedurale" della sua stipulazione nelle sedi protette richiamate nell'art. 2113 cod. civ. o avanti alle commissioni di certificazione nei termini precisati dallo stesso comma 6, art. 2103 cit. Vincoli, questi, evidentemente posti dal legislatore delegato a bilanciamento delle posizioni delle parti, a necessario supporto del lavoratore contraente debole e per contrastare possibili abusi in suo danno.

Permane comunque da stabilire in che misura ne risulti un condizionamento "reale" dell'accordo di dequalificazione all'effettiva ricorrenza di un suddetto interesse qualificato del lavoratore.

Trattandosi di un presupposto cui è riportata la possibilità di pattuizione, e la relativa deroga alla normativa di legge in materia di mansioni e inquadramenti, la sua mancanza inficia la validità dell'accordo di dequalificazione, con conseguente almeno teorica sua impugnabilità per uno dei vizi del consenso ex artt. 1427 segg. cod. civ., oppure più

33

Page 34: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

radicalmente perché in frode alla legge o per contrarietà a norma imperativa (cfr., rispettivamente, artt. 1344 e 1418 cod. civ. e norme collegate). Ferma restando, tuttavia, l'obiettiva difficoltà in sé di individuazione e relativo apprezzamento di quale sia in concreto un «interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione,

all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita» che possa valere a legittimare la stipulazione di un accordo di dequalificazione ex comma 6 art. 2103, anche perché ad entrare in gioco sono inevitabilmente in proposito almeno in parte valutazioni personali eminentemente soggettive del lavoratore, che in quanto tali tendono ad eludere la possibilità di una verifica oggettiva a posteriori.

Benché non espressamente richiesto, è da ritenere che il suddetto interesse qualificato del lavoratore vada esplicitato in sede di stipulazione dell'accordo di dequalificazione, senza che siano consentiti ripensamenti al lavoratore. Mentre, alla luce dei principi generali in tema di ripartizione delle incombenze probatorie nella sede giudiziale (art. 2697 cod. civ. e norme collegate), resta a carico del lavoratore l'onere della prova della da lui contestata idoneità del medesimo interesse così come emergente dall'accordo di dequalificazione a legittimare la pattuizione ex comma 6, art. 2103 cod. civ.

Un'effettiva possibilità di verifica della coerenza al cennato vincolo causale è prospettabile plausibilmente in ordine all'accordo di dequalificazione asseritamente concluso «nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione»: in sostanziale coerenza alla correlazione che si è constatato porsi tra le su esaminate ipotesi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103 cod. civ. e il cd. obbligo di repechage nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ciò, tuttavia, con una necessaria precisazione, segnatamente per quanto concerne la circostanza che, ai fini della legittimazione di un accordo di dequalificazione ex comma 6 cit., risulterebbe probabilmente eccessivo pretendere il necessario rilevare di un motivo oggettivo di licenziamento "attuale", ben potendo infatti valere, al riguardo, una possibilità di perdita del posto di lavoro anche solo "futura" e/o soltanto eventuale: che, in quanto tale, può determinare il lavoratore ad accettare il suo demansionamento, e il relativo abbassamento dell'inquadramento e del trattamento retributivo, quale "male minore" che valga a fargli conservare l'occupazione, e, quindi, quale interesse "qualificato" ai sensi del comma 6.

Per quanto concerne un interesse del lavoratore «all'acquisizione di una diversa professionalità» ne è invece ipotizzabile una ricorrenza in situazioni particolari, quali, ad esempio, il caso di obsolescenza della professionalità (e quindi anche qui in funzione della salvaguardia dell'occupazione sia pure nel medio-lungo periodo), o quando un diverso profilo professionale possa consentire in prospettiva un percorso di crescita personale più gratificante.

Mentre risultano inevitabilmente le più varie e comunque di carattere eminentemente personale e non predeterminabili le valutazioni che il lavoratore può fare per preservare

34

Page 35: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

un suo generico interesse «al miglioramento della condizioni di vita» (ad esempio, per poter disporre di più tempo libero, per alleggerire il proprio carico di responsabilità, per poter così ottenere un trasferimento etc.), e che, come tali, è allora maggiormente necessario che siano dedotte in sede di stipulazione dell'accordo di dequalificazione, al fine di consentire un'almeno potenziale verifica dell'interesse qualificato rilevante a supporto di detto accordo ex comma 6, art. 2103 cod. civ.

Il vincolo di necessaria stipulazione dell'accordo di dequalificazione nelle menzionate cd. sedi protette e la possibile assistenza tecnica per il lavoratore da parte di un rappresentante sindacale, di un legale o di un consulente del lavoro valgono a sostegno della genuinità e consapevolezza delle manifestazioni negoziali espresse dal medesimo lavoratore, nonché auspicabilmente pure ad assicurare una stessa migliore redazione del testo dell'accordo (in primo luogo per quanto concerne l'indicazione dell'interesse qualificato del lavoratore alla cui tutela detto accordo di dequalificazione è funzionale ex comma 6, art. 2103). Con conseguente restrizione tendenziale degli spazi di possibile impugnazione dello stesso accordo. Anche se poi è da mettere in conto l'eventualità dell'emersione anche al riguardo delle note questioni che sono state poste in tema di verifica dell'effettività ed idoneità dell'azione da parte del soggetto terzo e dello stesso soggetto eventualmente presente in assistenza al lavoratore al fine dell'impugnabilità degli accordi conciliativi "validi" ex comma 4, art. 2113 cod. civ., ferma la già rimarcata non ascrivibilità di valenza propriamente transattiva all'accordo di dequalificazione ex comma 6, art. 2103.

6.4. La (residua) nullità dei patti contrari.

Sensibilmente depotenziata è la nullità di ogni patto contrario alla normativa di legge in materia di mansioni, in quanto ribadita ex comma 9 del nuovo art. 2103 cod. civ. solo in via residuale, facendo espressamente salve le esaminate ipotesi di demansionamento e di accordo di dequalificazione di cui, rispettivamente, ai commi 2, 4 e 6 dello stesso art. 2103, e comunque alla luce delle molteplici possibilità di deroga in relazione alla suddetta normativa legale sulle mansioni che il legislatore della riforma si è visto riconoscere all'autonomia contrattuale sia collettiva sia individuale.

Per quanto concerne l'autonomia contrattuale individuale a rilevare è, come appena visto, il solo vincolo causale della necessaria ricorrenza di un interesse qualificato e quello formale-procedurale della necessaria stipulazione nelle sedi protette ex comma 6, art. 2013, ma senza che siano invece imposti particolari limiti di natura sostanziale, con conseguente larga discrezionalità di determinazione di termini e misura della deroga in peius mediante un cd. accordo di dequalificazione.

In merito all'autonomia contrattuale collettiva, per converso, è da constatare come ne sia confermato l'assoggettamento alla cennata disposizione generale della "nullità di ogni patto contrario", in conformità all'interpretazione consolidata che, al cospetto del previgente art. 2103 cod. civ., appunto riconosceva che «la nullità dei patti contrari al

35

Page 36: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

divieto di declassamento si applica anche alla contrattazione collettiva»: in ragione, in particolare, della asserita salvezza dei casi di demansionamento da parte dell'autonomia collettiva di cui al comma 4 cit. quali (sole) ipotesi di possibile deroga alla regola generale, che vale evidentemente a confermare la nullità, ex comma 9, art. 2103 cod. civ., di ogni accordo collettivo derogatorio alla normativa legale in materia di mansioni e inquadramenti "altro" rispetto a quelli conclusi ai sensi del citato comma 4. Ma ciò, in realtà, con conseguente restringimento sostanziale delle possibilità di azione della medesima autonomia collettiva in segnato riferimento alle ipotesi di contratto collettivo in deroga a tale normativa legale su mansioni e inquadramenti di cui al vecchio art. 2103 già prefigurate in tema di accordi collettivi conclusi in corso di procedura di mobilità ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991, come anche di cd. accordi di prossimità ex art. 8, commi 2, lett. b) e 2 bis, d.l. n. 138/2011.

Ora, pur in difetto di loro abrogazione esplicita, è stato osservato, in relazione ai cd. accordi di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138/2011, e però in termini che si pongono analogamente anche per gli accordi collettivi ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991, come essi possano essere reputati superati o comunque assorbiti «in base al tradizionale

criterio di successione delle leggi nel tempo, dato che la riforma del 2015 prevede espressamente e puntualmente spazi di modificazione della contrattazione, nuovi e diversi: per un verso ristretti (con i vincoli previsti dalla novella), per altro verso allargati (anche alla contrattazione nazionale)». Tuttavia, secondo una diversa lettura, si è invece opinata la persistenza di possibili spazi di stipulazione di cd. accordi di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138 cit. anche all'esito della novella e al di là dei vincoli di cui al comma 4, art. 2103 cod. civ. nuova formula. Mentre, sempre nel senso della persistente possibile stipulazione di siffatti cd. accordi di prossimità e degli stessi accordi collettivi ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991, potrebbe del resto valere la peculiarità delle vicende e degli interessi in gioco e delle finalità cui essi risultano essere protesi (con applicazione, in luogo del criterio della successione delle leggi nel tempo, di quello di cd. specialità), così come pure la medesima funzione (almeno in parte) gestionale esplicata dall'autonomia collettiva in relazione alla stipulazione di detti accordi, ex art. 4, comma 11, legge n. 223 e art. 8, d.l. n. 138 citt. (anche in relazione a situazioni-vicende determinate, come ad es. nel caso di procedure di mobilità), rispetto a quella più prettamente normativo-regolamentare invece espletata in sede di individuazione in via generale dei casi di demansionamento ex comma 4, art. 2103.

Sta di fatto che già la formulazione di tale comma 4, art. 2103 è tale da definire, in combinazione con il successivo comma 5, quelli che sono gli spazi di agibilità dell'autonomia collettiva in materia. A ciò si aggiunge la categoricità del comma 9, art. 2103 nel delimitare la possibilità di deroga alla generale "nullità dei patti contrari", per quanto concerne l'autonomia collettiva, alle sole ipotesi di cui sempre al comma 4 cit. Ove, in ragione di tanto, se anche non è tecnicamente da escludersi la persistente possibile stipulazione di accordi collettivi nel corso di una procedura di mobilità ex art.

36

Page 37: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

4, comma 11, legge n. 223/1991, così come di cd. accordi di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138/2011 è da convenire che tali accordi non possano che intervenire negli ambiti stabiliti ex commi 4, 5 e 9, art. 2103 cod. civ., nonché, in specie, nel rispetto dei su esaminati vincoli di un possibile demansionamento di un solo livello, con conservazione da parte del lavoratore del superiore livello di inquadramento di sua pertinenza e del trattamento retributivo relativo.

Onde appunto in questi termini un ridimensionamento sostanziale della possibilità di azione da parte dell'autonomia collettiva in relazione alla gestione in primo luogo di situazioni di esubero e/o aventi rilevanza lato sensu occupazionale, oltreché di ogni altra vicenda riportabile al comma 1, art. 8, d.l. n. 138/2011, specie al cospetto dell'amplissima facoltà di deroga in peius viceversa riconosciuta all'autonomia individuale. Con la possibilità di stipulazione dei suddetti accordi collettivi che, infatti, a fronte dei cennati vincoli, rischia in concreto di risultare solo teorica, e con conseguente ricaduta dell'intera materia direttamente in capo all'autonomia contrattuale individuale, senza un'effettiva preventiva mediazione sindacale, con tutte le facilmente intuibili possibili incongruenze del caso.

7. I controlli a distanza alla luce del nuovo art. 4 St. lav.

Anche in materia di controlli a distanza di portata notevole è il cambiamento operato dal legislatore con la riscrittura per intero, ex art. 23, d.lgs. n. 151/2015, dell'art. 4 St. lav., dando così risposta alla da più parti avanzata istanza di aggiornamento del testo originario di tale disposizione al cospetto delle radicali trasformazioni e mutamenti indotti dalle innovazioni tecnologiche manifestatesi nel tempo in ordine sia ai metodi, impianti e apparecchiature di produzione, sia agli strumenti e modalità di controllo dei lavoratori (spec., in primo luogo, mediante gli strumenti informatici), sia alle stesse potenziali prerogative di utilizzazione, archiviazione e trattamento dei dati ed elementi raccolti mediante i medesimi controlli. E ciò, dunque, al di là della stessa domanda generale da parte datoriale di alleggerimento dei vincoli statutari.

Si tratta, in buona sostanza, di dover individuare un adeguato punto di equilibrio tra le ragioni dell'impresa al controllo e le (contrapposte) esigenze di tutela della dignità e riservatezza della persona del lavoratore in relazione al profondamente mutato contesto di riferimento e in merito a vicende e situazioni in larga parte nemmeno immaginabili e comunque non considerate dal legislatore dello Statuto.

Come significativamente dimostrato, del resto, già dalla circostanza che l’obsolescenza tecnica dell’art. 4 St. lav. fosse infatti da tempo segnalata tanto dalla prospettiva dei lavoratori che da quella delle imprese: da un lato, a fronte del sensibile incremento delle potenzialità di controllo offerte dal progresso tecnologico, evidenziandosi la necessità di verifica dell'idoneità della normativa statutaria ad assicurare un'adeguata protezione della sfera personale dei lavoratori in un contesto radicalmente diverso da quello per il quale è stata pensata; dal versante opposto, invece,

37

Page 38: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

valutandosi l'applicazione della medesima disciplina alla nuova realtà tecnologica eccessivamente penalizzante per le imprese alla luce delle rigidità che ne potevano derivare sul piano dell'organizzazione produttiva, in primo luogo per i nuovi strumenti di lavoro aventi (anche) potenzialità di controllo. Anche perché a risultare erano numerose incertezze e opinioni diversificate in ordine alla precettività della versione originaria dell'art. 4 St. lav. in relazione alla mutata realtà. Al di là dell'innegabile capacità di tenuta comunque mostrata dallo stesso art. 4 St. lav., grazie alla struttura aperta della sua formulazione, nonché alla disponibilità della giurisprudenza a valutarne la possibile applicazione in riferimento a fattispecie e vicende nuove e non considerate dal legislatore dello Statuto, oppure, in determinate ipotesi, ad escluderne l'operatività, per asserite esigenze preminenti di tutela del patrimonio aziendale, come ad esempio nel caso dei discussi cd. "controlli difensivi" non riferiti all'attività lavorativa, ma finalizzati alla repressione di comportamenti illeciti del prestatore.

E' quindi anche a necessario chiarimento della portata applicativa delle originarie prescrizioni statutarie che -nell'ambito delle finalità generali di carattere occupazionale e di riordino dei «contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo» (cfr. art. 1, comma 7, primo periodo, legge n. 183/2014) alla base della manovra di riforma- il legislatore delegante è venuto a devolvere al governo la «revisione della disciplina dei controlli a distanza

sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore» (così: lettera f, comma 7, art. 1, cit.).

L'odierna versione dell'art. 4 St. lav. che ne risulta si rivela solo in parte confermativa delle guidelines tracciate dal legislatore dello Statuto, importando infatti la ridefinizione dell'intera disciplina in materia di controlli a distanza, anche qui essenzialmente nel senso di un ampliamento delle prerogative datoriali e pure con la rilevante novità della espressamente consentita utilizzazione dei dati lecitamente raccolti «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», sebbene con il contemperamento dei vincoli imposti in forma di dovere di preventiva informazione adeguata dei lavoratori, nonché della precisata necessaria osservanza in materia della disciplina generale sulla privacy.

7.1. Limiti e vincoli procedurali al potere di controllo del datore di lavoro.

Pur senza la riaffermazione esplicita del divieto di cui al comma 1 del previgente art. 4 St. lav., dal legislatore della riforma continua ad essere negato in generale l'utilizzo di impianti audiovisivi e altri strumenti con finalità di controllo diretto dell'attività dei lavoratori, ammettendosi infatti l'impiego di dette apparecchiature «esclusivamente» quando siano necessarie «per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale» e solo a fronte di previo accordo sindacale o, in mancanza, di autorizzazione dell'autorità amministrativa (così, comma 1, del nuovo art. 4, Stat. lav.). Vale a dire, soltanto al cospetto di specifiche esigenze

38

Page 39: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

giustificative qualificate "altre" rispetto al controllo dell'attività dei lavoratori, da accertarsi in via preventiva, appunto mediante accordo collettivo o autorizzazione amministrativa, assunti dal legislatore delegato quale presupposto di legittimazione di un siffatto possibile controllo.

A parte gli aggiornamenti e le possibilità di variazione introdotte in merito a soggetti e sedi, rispettivamente, di stipulazione dell'accordo collettivo e di esplicazione della procedura amministrativa di autorizzazione, è in proposito confermata nella sostanza l'originaria disciplina statutaria e, al contempo, la controversa interpretazione affermatasi in giurisprudenza in tema di cd. controlli "preterintenzionali". Ma con la rilevante novità dell'indicazione quale esigenza qualificata anche della «tutela del patrimonio aziendale» e, inoltre, della prevista utilizzabilità delle «informazioni raccolte ... a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro» (cfr., rispettivamente, commi 1 e 3, art. 4 cit.).

Tale riconoscimento del possibile utilizzo dei dati raccolti vale, in particolare, a superamento delle incertezze manifestatesi in passato in merito agli ambiti di esplicabilità dei cd. controlli a distanza mediante le attrezzature di cui al comma 2 del vecchio art. 4 St. lav. e di effettiva utilizzabilità delle relative informazioni raccolte. Infatti, secondo quanto osservato dalla dottrina prevalente, pure quando risultasse l'autorizzazione all'installazione delle suddette attrezzature, «dalla norma sarebbe stato

lecito desumere ... l'assoluta inutilizzabilità delle informazioni raccolte con le modalità a distanza» in quanto «l'art. 4 St. lav. ha ricostruito (l’interesse) del lavoratore a non

essere controllato a distanza nei termini di un diritto soggettivo che non si affievolisce alla presenza delle condizioni di cui al secondo comma». Mentre ad affermarsi da parte della giurisprudenza era, invece, la tendenza ad ammettere l'utilizzabilità delle informazioni raccolte in tal modo per la repressione di condotte illecite extracontrattuali, almeno in alcune pronunzie pure in mancanza di preventiva autorizzazione all'installazione, oltreché anche con una certa apertura in ordine al possibile accertamento per tale via dello stesso «esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro» con il rispetto delle «garanzie procedurali imposte dall'art. 4, secondo comma».

Ebbene, alla luce del combinato disposto dei commi 1 e 3 del nuovo art. 4 St. lav., non è più da dubitarsi dell'utilizzabilità delle informazioni raccolte mediante i controlli a distanza cd. preterintenzionali per la repressione di illeciti extracontrattuali, ma anche per la sanzionabilità di comportamenti inadempienti agli obblighi del contratto di lavoro. Ciò in ragione della generalità della previsione con la quale si stabilisce l'utilizzabilità di dette informazioni, ex comma 3 cit., e che è tale, anzi, da far sì che risulti prospettabile un'estensione dei controlli a distanza anche al di là dell'accertamento di comportamenti illeciti (extracontrattuali o contrattuali che siano), nonché segnatamente in chiave di possibile valutazione, misurazione od anche monitoraggio continuo loro tramite delle prestazioni lavorative. Ipotesi, questa, la cui

39

Page 40: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

praticabilità valga qui solo segnalare, quale spunto di riflessione, come possibilità di sviluppo dei sistemi di organizzazione del lavoro secondo le potenzialità offerte dal progresso tecnologico: i cui termini di concreta attuazione permangono tuttavia da valutare, in primo luogo in ordine agli stessi cd. "strumenti di lavoro" ex comma 2, art. 4 St. lav. (su cui v. infra), in una prospettiva di comunque necessario contemperamento, secondo i dettami del legislatore delegante, delle ragioni dell'impresa con le imprescindibili esigenze di «tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore» (così: lettera f), comma 7, art. 1, legge n. 183/2014 cit.). Ad ogni modo con tutti i limiti del caso per ciò che concerne la ragionevole esclusione di moduli di lavoro e/o di relative forme di controllo implicanti il rischio di uno sfruttamento eccessivamente esasperato della persona del lavoratore, così come di sistemi di valutazione inaccettabilmente troppo invasivi della sua sfera personale.

L'inclusione della «tutela del patrimonio aziendale» tra le esigenze qualificate che si assumono giustificare i controlli a distanza, d'altro canto, rileva a legittimazione ex se dei cd. controlli difensivi (del patrimonio aziendale), ma, al contempo, a loro riconduzione alle previsioni del comma 1 del nuovo art. 4 St. lav., in specie per quanto riguarda il necessario previo accordo sindacale o, in alternativa, l'autorizzazione amministrativa al riguardo ex comma 1 cit. Ciò quando secondo la giurisprudenza prevalente i medesimi cd. controlli difensivi erano invece da ritenersi non assoggettati a tali vincoli procedurali di cui al comma 2, art. 4 St. lav. "vecchia formula". Sicché a risultare è, in proposito, all'esito della riforma, una restrizione dell'area di esercizio del potere di controllo: in singolare controtendenza, sul punto, rispetto al generale ampliamento della discrezionalità di esercizio delle prerogative datoriali verso il quale viceversa propende diffusamente il legislatore.

L'assoggettamento dei cd. controlli difensivi ai vincoli procedurali ex comma 1 del nuovo art. 4 St. lav. è tuttavia valutato, secondo un'opinione, non sempre conciliabile con le «insopprimibili esigenze defensionali dell'impresa» che possono manifestarsi al cospetto di condotte illecite di particolare gravità che attentino «all'integrità del patrimonio o delle persone», nonché quindi teorizzando, anche sulla scorta della «nozione civilistica di legittima difesa nei rapporti privati», la possibile deroga ai suddetti vincoli ex comma 1 cit. a fronte della «necessità eccezionale, non dilazionabile

nel tempo e non realizzabile altrimenti, di fronteggiare comportamenti del lavoratore che sono qualificabili come illecito in quanto ... "atti di aggressione contro l'altrui diritto"», così come in ragione della «necessità di scongiurare il rischio concreto di comportamenti del lavoratore di rilevanza penale ... (e) a fronte del concreto sospetto di un comportamento illecito, per il tempo a ciò strettamente necessario». Ma, in realtà, senza che tali osservazioni valgano a superare il diverso dato letterale della norma, dovendosi anche considerare che a rilevare non è, in proposito, lo specifico comportamento-fatto illecito da parte del singolo prestatore sia pure di gravità abnorme nella sua attualità o anche nel rischio immediato di suo accadimento, bensì piuttosto

40

Page 41: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

l'ipotesi in sé del possibile verificarsi nel futuro di condotte illecite da parte dei lavoratori o anche di terzi. Ciò in termini che, come tali, risultano prevedibili ex ante e, quindi, conciliabili in linea di principio con l'assolvimento ai vincoli procedurali ex comma 1 cit.: in quanto è appunto già al cospetto della mera eventualità del rischio di possibili comportamenti illeciti lesivi del patrimonio aziendale che il datore di lavoro è legittimato a predisporre i cd. controlli difensivi del caso e, quindi, a poter assolvere per tempo, e comunque senza particolari problemi in ordine ad un'adeguata tutela del patrimonio aziendale, alle prescrizioni del comma 1.

7.2. I cd. strumenti di lavoro e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle

presenze.

L'esclusione dell'applicazione delle prescrizioni del comma 1 per i cd. strumenti di lavoro, ex comma 2, art. 4 St. lav. rileva anzitutto quale superamento della mancata considerazione ad hoc da parte dello Statuto dei lavoratori di tali strumenti quale mezzo di possibile controllo a distanza dei lavoratori e del conseguente riferimento dell'originaria disposizione alla generalità degli strumenti di controllo latamente intesi.

Al cospetto del sempre più incessante procedere delle innovazioni tecnologiche, dell'uso comune di strumenti di lavoro aventi elevate potenzialità di rilevazione e registrazione anche oltremodo minuziose e dettagliate dei comportamenti dei lavoratori (quali, ad esempio, computer, telefonini e smartphone, tablet, cronotachigrafi, telepass, cd. gps, nonché software e applicativi i più vari), a risultare era, infatti, uno "spiazzamento" della medesima disposizione statutaria. Fermo restando che, in mancanza di un'esclusione ex lege, siffatti strumenti di lavoro erano stricto iure da ritenere comunque rientranti nello spettro applicativo delle originarie prescrizioni. E ciò a prescindere dal fatto che a tanto non sia conseguita una corrispondente effettività nella pratica delle medesime prescrizioni statutarie in relazione agli strumenti di lavoro, al punto che si è giunti ad affermare che «per un quarto di secolo in Italia si sono utilizzati

pacificamente, quasi sempre, senza alcun accordo sindacale preventivo, i cellulari aziendali, i pc collegati alla rete aziendale, poi il gps sulle auto aziendali».

Ai sensi del comma 2 del nuovo art. 4 St. lav., la strumentalità rispetto alla prestazione lavorativa, così come la medesima «registrazione degli accessi e delle presenze» sono assunte già ex se, direttamente dal legislatore, quali esigenze qualificate che valgono a legittimazione del controllo a distanza a priori, senza necessità di una valutazione sindacale o amministrativa.

Per gli strumenti di lavoro condizione dell'esenzione dai vincoli di cui al comma 1 cit. è, in specie, l'essere lo strumento realmente funzionale all'esplicazione della prestazione lavorativa, nonché la sua assegnazione da parte del datore al cui si unisca anche l'utilizzazione effettiva del medesimo strumento da parte del lavoratore nello svolgimento della sua prestazione: in termini da valutarsi in riferimento alla concreta fattispecie lavorativa, sulla scorta della ricorrenza della cennata relazione di funzionalità

41

Page 42: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

dello strumento con l'espletamento della prestazione nella sua oggettività. E, pertanto, con le previsioni ex comma 1 cit. che permangono per converso operanti in ordine a strumenti che, pur essendo nella disponibilità del prestatore, non risultino direttamente funzionali all'adempimento dell'obbligazione lavorativa, ma (solo) ad un interesse organizzativo-produttivo di altra natura e comunque non coincidente con l'espletamento della prestazione lavorativa.

E' esclusa in proposito una necessaria "materialità" degli strumenti, risultando determinante la rimarcata correlazione di diretta funzionalità all'esplicazione della prestazione lavorativa. Il che se, da un lato, importa che possano rientrare nell'ambito del comma 2 cit. anche software e applicativi immateriali in genere, dall'altro lato, fa sì che elemento di discrimine sia rappresentato dalla ricorrenza di un effettivo rapporto di "necessità" dello strumento -hardware o software che sia- rispetto all'esplicazione della prestazione lavorativa, anche solo al fine del suo miglioramento o di un incremento di produttività. Mentre non può viceversa valere una connessione meramente occasionale e solo collaterale con la medesima prestazione lavorativa: come nell'ipotesi dell'acquisizione di dati non strettamente funzionali all'esplicazione della prestazione. Con ogni valutazione che permane pertanto da farsi, non già sull'hardware e/o sullo strumento materiale in sé, ma piuttosto sui suoi contenuti (spec., software e programmi in genere, da apprezzarsi «autonomamente dai loro contenitori»), nonché sull'effettiva loro utilizzazione da parte del lavoratore nell'esplicazione della sua prestazione. E, peraltro, sempre in tal senso, anche con possibile articolazione del giudizio, e relative valutazioni diversificate, in riferimento a software incorporati in uno stesso computer, giacché la funzionalità dell'hardware o di sue applicazioni all'esplicazione della prestazione lavorativa non può valere quale esimente dai vincoli di cui al comma 1, art. 4 cit. anche per software non aventi analoga caratteristica funzionale: come nel caso, ad esempio, di un'applicazione che, pur installata sul computer utilizzato ordinariamente dal lavoratore per rendere la sua prestazione, assolva solo ad una mera finalità di controllo fine a se stessa, e che, come tale, resta assoggettata ai cennati vincoli ex comma 1 cit.

Di più immediata individuazione risultano gli «strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze» di cui sempre al comma 2, art. 4 St. lav.: infatti identificabili nei sistemi di accertamento di ingresso ed uscita dall'azienda ad inizio e fine giornata lavorativa, nonché anche in corso di giornata per le uscite e reingressi cd. intermedi; e con l'esigenza qualificata assunta dal legislatore ad esenzione dai vincoli ex comma 1, art. 4 cit. che risulta essere nel caso quella di consentire il controllo del rispetto dell'orario di lavoro.

Senza che in proposito appaia condivisibile l'ipotizzata estensione dell'esenzione ex comma 2, art. 4 St. lav. in parola anche agli strumenti di registrazione di accessi e presenze in determinati luoghi o ambienti all'interno dell'area aziendale, nonché quindi degli «spostamenti del lavoratore effettuati all'interno dell'orario di lavoro» e pure

42

Page 43: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

degli «accessi digitali alle reti informatiche», così come la più moderata proposta di disapplicazione parziale del comma 1, art. 4 cit., in riferimento ai controlli sui movimenti e accessi "interni" all'area aziendale, solo per quanto concerne l'esenzione dall'iter di autorizzazione sindacale-amministrativo, ma al contempo assumendo viceversa la necessità della ricorrenza delle esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro o di tutela del patrimonio aziendale al fine della legittimità di siffatti controlli.

Il dato letterale della norma appare infatti obiettivamente riferirsi ad "accessi" e "presenze", e non anche agli spostamenti del lavoratore all'interno del perimetro aziendale e durante l'orario di lavoro. E, al contempo, appare evidente che, lungi dal risultare circoscritto alla verifica della sola osservanza dell'orario di lavoro (e quindi all'esigenza qualificata rilevante ex lege a fondamento dell'esenzione in discorso), il controllo di tali spostamenti del lavoratore in sede aziendale, e durante il suo orario di lavoro, venga ad esplicarsi nell'ambito delle coordinate logistico-temporali di determinazione dell'obbligazione lavorativa, pertanto sconfinando nel controllo del corretto adempimento da parte del prestatore, in quanto tale non riconducibile all'esenzione del comma 2, art. 4, ma viceversa assoggettato ai vincoli di cui al comma 1 dello stesso art. 4.

Sta di fatto che la prefigurata esenzione da ogni verifica sindacale o amministrativa per gli strumenti indicati sub comma 2 del nuovo art. 4 St. lav. rischia di rivelarsi indebitamente penalizzante per le imprescindibili esigenze di «tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore» richiamate dal medesimo legislatore delegante (art. 1, comma 7, lettera f), legge n. 183/2014), malgrado le misure di contemperamento imposte in forma di adeguata informazione del lavoratore e di dovere di conformazione alla normativa generale in tema di privacy ex comma 3, art. 4 St. lav. (su cui v. infra). Ciò anche in considerazione dell'inevitabile deficit di effettività che dette misure di contemperamento rischiano di scontare in quanto operanti nella dimensione interindividuale datore di lavoro-singolo prestatore di lavoro. E, pertanto, alla luce della oggi più frequente oggettiva posizione di debolezza contrattuale del lavoratore (che si è visto conseguire al progressivo degradare delle tutele giuslavoristiche in entrata, in uscita e, quindi, anche all’interno del rapporto di lavoro), nonché comunque della scarsa competenza e consapevolezza che lo stesso lavoratore in generale può avere in merito agli installandi nuovi strumenti di controllo e alle loro potenzialità di intrusione nella sua sfera personale.

Ne consegue il tendenziale sbilanciamento a unilaterale vantaggio del datore di lavoro dell'esenzione di cui al comma 2, art. 4 St. lav., peraltro in forma in linea di massima anche irragionevole, non essendo individuabili motivazioni pregnanti del prospettato affrancamento a priori da ogni verifica sindacale o amministrativa.

Specie se si consideri come la problematica risulti essenzialmente da focalizzare, in particolare per quanto riguarda i cd. strumenti di lavoro, in riferimento alla sola fase-

43

Page 44: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

momento dell'introduzione ex novo dello strumento in azienda a modifica dell'organizzazione produttiva, restando viceversa escluse le successive assegnazioni nel tempo del medesimo strumento ai singoli lavoratori. Con la necessità di verifica una tantum delle eventuali potenzialità di un controllo lesivo della sfera personale dei lavoratori che viene infatti a manifestarsi al cospetto della prefigurata adozione dello strumento in parola a modifica dell'assetto organizzativo preesistente; e con una tale modifica dell'organizzazione produttiva che è infatti per sua natura programmata in ampio anticipo nei tempi e modalità di attuazione, senza che siano in linea di principio prefigurabili particolari ragioni di urgenza o necessità nel senso della cennata esenzione da una verifica di coerenza del nuovo strumento con la «tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore». Onde appunto l'esigenza di una verifica dell'idoneità del nuovo strumento in via generale, una volta per tutte, all'atto della sua (prima) introduzione in azienda, senza che il datore di lavoro sia ovviamente poi tenuto a dover reiterare un'ulteriore verifica in sede di concreta assegnazione ai singoli lavoratori, fermi restando i doveri di informazione ex comma 3, art. 4 St. Lav. Anche perché, a ragionare diversamente, dovrebbe per coerenza assurdamente concludersi che, ad esempio, in relazione ad una telecamera installata in un determinato ambiente aziendale e debitamente autorizzata ex comma 1, art. 4, per ogni nuovo lavoratore che entri in detto ambiente aziendale sarebbe da reiterarsi l'esplicazione dell'iter sindacale o amministrativo.

Ebbene, così delimitati i termini della questione, si deve convenire in ordine all'esigenza di una riconsiderazione dell'esenzione a priori da ogni verifica sindacale o amministrativa quale delineata dalla riforma per gli strumenti indicati nel comma 2, art. 4 St. lav., ferma restando la sola possibilità di tutela per via giudiziaria di eventuali lesioni della sfera personale del lavoratore, comunque in sé obiettivamente problematica già sul piano della ripartizione dei rispettivi oneri di allegazione e probatori.

Ove, peraltro, sia pure de iure condendo, potrebbe anche pensarsi all'attivazione, nel caso, della procedura di verifica sindacale o amministrativa ex comma 1, art. 4 St. lav., non in generale, ma quanto meno su istanza del lavoratore o delle rappresentanze sindacali: quando in particolare si reputi in concreto che le potenzialità di controllo dell'introdotto nuovo strumento vengano indebitamente ad incidere in via eccessiva sulla dignità e la riservatezza della persona del medesimo lavoratore. E tanto, al contempo, atteso l'interesse del datore a non restare assoggettato sine die all'eventualità di doversi sottoporre all'iter di autorizzazione, pure con la possibile limitazione della richiesta di attivazione della procedura entro un termine di decadenza in riferimento all'introduzione del nuovo strumento in azienda e/o al momento del manifestarsi del controllo indebitamente invasivo della sfera personale del lavoratore.

Con la verifica sindacale o amministrativa delle potenzialità di controllo del cd. strumento di lavoro che risulterebbe così solo eventuale e, comunque, non particolarmente gravosa sul piano dell'esercizio dei poteri datoriali, nonché quindi

44

Page 45: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

tendenzialmente più idonea, rispetto all'odierna esimente a priori e senza possibilità di alcuna verifica ex comma 2, art. 4, a valere quale adeguato punto di equilibrio tra le ragioni dell'impresa e gli interessi della persona del lavoratore. Interessi che, invero, giova ricordare, sono ineludibilmente da salvaguardare rispetto ai controlli a distanza, a prescindere dallo strumento mediante il quale sono effettuati e, dunque, senz'altro anche in ordine ai medesimi strumenti di cui al comma 2 cit.

7.3. L'adeguata informazione dei lavoratori in ordine alle attività di controllo e

l'utilizzabilità dei dati raccolti.

Fuori discussione è, poi, l'importanza al fine della «tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore» dei doveri di informazione del lavoratore e di necessaria conformazione alla normativa generale in tema di privacy imposti dal comma 3, art. 4 St. lav.: in particolare, quale fattore di necessario bilanciamento, a presidio dei fondamentali interessi della persona del lavoratore, a fronte del sensibile ampliamento delle prerogative datoriali prospettato in materia di cd. controlli a distanza dal legislatore. Tanto più al cospetto della su già considerata coeva previsione, da parte dello stesso comma 3, di utilizzabilità «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro» delle «informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2», che vale a fornire portata di per sé ben più pregnante alla corrispondente posizione di potere del datore di lavoro.

A prescindere in questa sede da una disamina della valenza dei cennati doveri ex comma 3 cit., si è però già evidenziato come la loro concreta effettività rischi di rivelarsi solo relativa, alla luce della posizione di debolezza contrattuale del lavoratore, e comunque tale da non assicurare adeguata protezione ai fondamentali interessi della sua persona.

Senza che in ogni caso la prefigurazione dei doveri in parola a carico del datore di lavoro sia considerabile quale una sorta di contropartita a fronte dell'affrancamento del potere datoriale dai vincoli di verifica sindacale e amministrativa in riferimento agli strumenti di cui al comma 2, art. 4. Sostanzialmente disomogenee e in alcun modo comparabili rispetto alla preventiva verifica sindacale e amministrativa, ex comma 1, art. 4, sono, infatti, la tutela e comunque la gestione delle sue posizioni e interessi personali cui può realisticamente accedere il singolo prestatore nella dimensione contrattuale individuale del rapporto di lavoro.

Con gli stessi doveri a carico del datore, e corrispondenti diritti spettanti al lavoratore, ex comma 3, art. 4 St. lav. che è fortemente da dubitare che possano valere, da soli, ad assicurare le fondamentali esigenze di «tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore» che il medesimo legislatore delegante (art. 1, comma 7, legge n. 183/2014), ha enunciato quale principio guida della riforma del Jobs Act in materia di controlli a distanza.

45

Page 46: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

8. La ridefinizione dell'area di esercizio dei poteri datoriali: le tutele del prestatore nel contratto individuale di lavoro; il ruolo dell'autonomia collettiva.

All'esito del processo di rinnovamento della normativa lavoristica portato a compimento con la riforma a risultare è un riposizionamento del punto di equilibrio tra standard di tutela del lavoro subordinato e ragioni delle imprese in senso più favorevole per queste ultime rispetto alla disciplina previgente.

La funzione più tradizionale del diritto del lavoro di fornire tutela ai valori personali dell'uomo che lavora viene infatti sopravanzata dall'impostazione «che tende a

contemperare gli interessi patrimoniali e professionali dei lavoratori con l'interesse all'efficienza e alla produttività delle imprese» e che ritiene che «il diritto del lavoro ... debba fornire risposte flessibili alle (abusate) sfide della flessibilità». Con il diritto del lavoro che infatti si osserva andare perdendo la sua caratteristica di essere a servizio dei diritti costituzionali della persona del lavoratore, come esplicitati dalla normativa statutaria, per tendere a ridimensionarsi in «pura e semplice tecnica di regolazione di un rapporto mercantile» con salvezza limitata di soli «alcuni principi fondamentali (ad esempio il divieto di discriminazione)», e sia pure con il prospettato miglioramento degli standard di protezione per il prestatore nel mercato del lavoro, secondo l'idea della cd. flexicurity, comunque da verificare, e che tuttavia, lungi dal valere a sopperirlo, presuppone appunto l'avvenuto degradare delle tutele all'interno del rapporto di lavoro.

Ciò con la peculiare novità dell'assunzione tra le poste in gioco anche di interessi fondamentali del lavoratore di profilo prettamente personale ai quali per la loro natura non è chiaramente attribuibile «un prezzo o ... un costo», né è possibile ritenere poter essere semplicisticamente oggetto di scambio o compensazioni di sorta, e che comunque si è constatato per più versi non essere probabilmente stati tenuti adeguatamente in conto dal legislatore in sede di previsto allentamento dei corrispondenti vincoli imposti ai poteri datoriali ai sensi delle disposizioni statutarie.

Non è chiaramente in discussione la scontata possibilità di rimodulazione al ribasso in sé delle tutele giuslavoristiche, sempre che, però, sia assicurata considerazione congrua ai succennati interessi fondamentali della persona del lavoratore coinvolti. Mentre si è constatato come proprio al riguardo la recente riforma determini perplessità, in particolare alla luce dell'efficacia solo relativa degli elementi di bilanciamento predisposti in favore del prestatore a fronte del sensibile ampliamento dell'area di esercizio dei poteri datoriali cui è dato corso.

Al di là delle singole nuove disposizioni introdotte, la riforma assume portata generale e di sistema. A parte l'ormai estesa flessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro, il pervasivo intervento del legislatore anche all'interno della relazione contrattuale di lavoro sul punto nevralgico dei poteri datoriali ha effetto dirompente, venendo infatti ad incidere sullo stesso oggetto dell'obbligazione lavorativa, ai sensi del nuovo art. 2103 cod. civ., sulle rispettive posizioni soggettive delle parti e, quindi, in generale, anche sulle dinamiche interpersonali e sui loro rapporti di forza. Con influenza

46

Page 47: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

in ordine alla medesima valenza dei tratti e indici caratteristici della subordinazione, peraltro anche a fronte dell'emersione del cd. contratto di lavoro a tutele crescenti quale nuova fattispecie di riferimento della materia: in particolare, pur nell'invarianza dei lineamenti definitori del lavoro subordinato ex art. 2094 cod. civ., al cospetto dei mutamenti sostanziali delineati in tema di potere direttivo e, quindi, in relazione al primo degli indici-elementi identificativi del medesimo lavoro subordinato, espressamente ribadito dal legislatore ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015. Non senza che, anzi, anche alla luce del rimarcato odierno notevole indebolimento generale della posizione del prestatore all'interno della relazione contrattuale, per il cd. contratto a tutele crescenti si prospetti già da ora il possibile uso strumentale, nella pratica, quale via di fuga dal diritto del lavoro statutario pure in relazione ai dipendenti vecchi assunti, sia in virtù della novazione o anche solo trasformazione del loro contratto di lavoro "stabile" appunto in un più conveniente (per il datore) contratto di lavoro a tutele crescenti, sia più drasticamente in forza della loro sostituzione con altri lavoratori assunti ex novo con contratto a tutele crescenti.

Reputata l'incompatibilità del previgente modello di tutela del lavoratore "stabile" con le esigenze di efficienza e di produttività delle imprese, anche in riferimento ai profondi mutamenti del contesto economico, occupazionale e tecnologico rispetto all'ormai lontano 1970, la riforma assume il diritto del lavoro e, per meglio dire, l'allentamento delle rigidità e vincoli da esso imposti alle imprese quale fattore di sviluppo economico e dell'occupazione: in una prospettiva "macro" di medio-lungo periodo e, dunque, anche in questo senso in revisione sostanziale rispetto all'impostazione prettamente "micro" secondo la quale è stata concepita ed è andata strutturandosi la normativa statutaria in riferimento alla relazione individuale datore di lavoro-prestatore o al più all'unità produttiva o comunque alla singola impresa.

Si è rilevata, tuttavia, la non adeguata considerazione per vari versi prestata ai diritti e interessi fondamentali della persona del lavoratore sulla quale si va in questo senso ad incidere, specie, peraltro, alla luce del dichiarato orientamento della riforma al perseguimento di un obiettivo generale di natura economico-occupazionale che si è rimarcato essere essenzialmente "terzo" rispetto al contratto di lavoro e segnatamente rispetto al singolo prestatore.

Come l'esperienza in tema di progressivo incremento della flessibilità sia in entrata sia in uscita dal rapporto di lavoro insegna, l'allentamento delle rigidità della normativa giuslavoristica in chiave occupazionale non rappresenta certo una novità, ma il fatto è che, nel caso della riforma del Jobs Act, l'interesse lato sensu occupazionale verso cui si protende, e per il cui possibile conseguimento risultano erosi i suddetti diritti e interessi del prestatore è, come detto, obiettivamente "estraneo" alla relazione contrattuale e in particolare al medesimo prestatore. Onde la diversità evidente delle nuove previsioni dell'odierna riforma rispetto alle disposizioni in tema di flessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro, viceversa funzionali o a promuovere una possibilità di impiego

47

Page 48: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

per chi non ha lavoro, oppure a preservare l'impiego a chi è occupato, nonché, quindi, nel primo caso, senza incidere sugli standard normativi di chi è già occupato, nel secondo, invece, almeno in linea potenziale (anche) nel medesimo interesse degli occupati alla continuità del loro impiego.

Ferma restando ogni riserva in merito all'effettiva prospettabilità di una compensazione o contemperamento con altre poste di scambio degli interessi fondamentali della persona del prestatore in tema di tutela della professionalità, dignità e riservatezza oggetto dell'intervento del Jobs Act, è così che viene a mancare una reale forma di valido contemperamento rispetto a detti interessi fondamentali: con l'allentamento dei vincoli statutari in tema di esercizio dei poteri datoriali che, almeno sotto determinati aspetti, tende a risolversi in una perdita secca e fine a se stessa in forma di regressione tout court degli standard di protezione del lavoro subordinato.

Si rivelano infatti obiettivamente evanescenti gli elementi di bilanciamento predisposti a tutela del lavoro subordinato dalla riforma a fronte di un tale degradare delle tutele originarie, specie alla luce degli ampi spazi di derogabilità e comunque di flessibilità della norma giuslavoristica che vengono prospettati nell'area individuale del contratto di lavoro, anche a scapito dell'azione delle stesse parti collettive, nonché in innovazione radicale dei tradizionali rapporti tra legge, contrattazione collettiva e autonomia individuale.

Così in materia di mansioni, jus variandi e inquadramenti, dove, oltre alla prevista possibilità di esercizio in peius dello jus variandi da parte del datore di lavoro nelle ipotesi di cui ai commi 2 e 4 del nuovo art. 2103 cod. civ., a risultare è il riconoscimento all'autonomia individuale di una possibilità di deroga pressoché illimitata alla normativa legale mediante accordi di dequalificazione ex comma 6, art. 2103. Fermo restando che, poi, attesa l'estrema ampiezza della nuova regolazione dello jus variandi sulla scorta del criterio "aprofessionale" dello «stesso livello e categoria legale di inquadramento», sempre nella dimensione del contratto individuale si è visto essere altresì concordabili specificazioni di detto criterio in relazione al singolo prestatore, come pure, sotto altro verso, in relazione al non definito "obbligo formativo" ex comma 3, art. 2103.

Laddove, per converso, la possibilità di deroga in peius alla normativa legale da parte dell'autonomia collettiva si è visto essere invece confinata negli angusti spazi stabiliti dal comma 4 del medesimo art. 2103, nonché così circoscritta a poter operare realisticamente in relazione a soli demansionamenti temporanei, sempre nei limiti del comma 4 cit., e in questo modo probabilmente esautorata -non è dato sapere quanto consapevolmente dal legislatore del Jobs Act- in ordine alla stessa possibile stipulazione in materia di accordi ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991 e di cd. contratti di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138/2011 (al di là della nota utilizzazione del tutto limitata di tali intese ad opera delle parti sociali). Ciò, peraltro, in contraddizione rispetto al ruolo cruciale viceversa demandato alla contrattazione collettiva, e segnatamente ai suoi

48

Page 49: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

sistemi di inquadramento, sempre da parte dal legislatore della riforma, al fine del completamento del comando legale in tema di jus variandi che si è visto derivare dalla prevista sostituzione del previgente limite dell'equivalenza professionale con l'appena richiamato nuovo criterio "aprofessionale" dello «stesso livello e categoria legale di inquadramento»; nuovo criterio in relazione al quale, come indicato, è comunque da auspicare un'opportuna delimitazione da parte della stessa autonomia collettiva. Mentre ancora in favore della contrattazione collettiva risultano altresì disponibili larghi spazi di specificazione della disciplina legale alla luce dell'oggettiva genericità della sua formulazione: come, ad esempio, in ordine al del tutto indefinito "obbligo formativo" enunciato solo astrattamente ex comma 3, art. 2103, e anche riguardo alle parimenti non definite "ragioni sostitutive" alla base dell'adibizione a mansioni superiori ex comma 7, art. 2013.

In tema di controlli a distanza è ancora più evidente la restrizione dell'ambito d'intervento dell'autonomia collettiva, in particolare in virtù della prevista esenzione dall'iter sindacale-amministrativo di autorizzazione per i cd. strumenti di lavoro e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, ex comma 2, art. 4 St. lav. Ciò con relativo notevole vantaggio in punto di alleggerimento dell'esercizio dei poteri datoriali, atteso viceversa l'assoggettamento di tali strumenti al suddetto iter di preventiva autorizzazione ai sensi del testo previgente dell'art. 4 St. lav.

Anche in proposito segnato rilievo è annesso invece all'autonomia individuale, sebbene non in possibile via derogativa o dispositiva rispetto alla normativa di legge, ma piuttosto quale vincolo procedurale a presidio degli interessi della persona del lavoratore esposti all'attività di controllo: alla luce del previsto condizionamento dell'utilizzabilità dei dati raccolti alla preventiva adeguata informazione del singolo lavoratore in merito alle «modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli» ex comma 3 del nuovo art. 4 St. lav. Con detto dovere di informazione che, a parte la comunque prescritta necessaria osservanza della normativa sulla privacy (cfr. ancora comma 3 cit.), relativamente agli strumenti di lavoro e di registrazione degli accessi e delle presenze, rileva in pratica quale unico limite all'esercizio del poteri datoriali, sempre a fronte della disposta esenzione dall'iter sindacale-amministrativo ex comma 1, art. 4.

Una tale valorizzazione della dimensione "micro" dell'autonomia individuale in relazione alla tematica dei poteri datoriali è singolarmente prefigurata al cospetto delle finalità generali a livello "macro" cui si è visto essere dichiaratamente protesa la manovra del Jobs Act.

A prescindere dalla conciliabilità di siffatte disomogenee direttrici di svolgimento dell'intervento riformatore, la considerazione prestata in proposito all'autonomia individuale dal legislatore si manifesta tuttavia in termini differenti rispetto alla valorizzazione sempre della prospettiva contrattuale individuale emergente a suo tempo dallo Statuto dei lavoratori quale argine rispetto all'esplicazione dei poteri datoriali e,

49

Page 50: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

quindi, a tutela del lavoratore contraente debole anche quale persona e non mero fattore di produzione. Con il riferimento all'autonomia individuale che, infatti, nell'ambito della recente riforma, non è posto in via incrementale dei vincoli all'esercizio dei poteri datoriali, essendo delineato, invece, o in via di possibile deroga in peius alla norma legale (spec., nel caso dei cd. accordi di dequalificazione), oppure in via di mera necessaria comunicazione di dati al singolo lavoratore, ma senza possibilità di interdizione all'esplicazione degli stessi poteri datoriali (come per il dovere d'informazione ex comma 3, art. 4 St. lav.), e peraltro, in entrambe le ipotesi, in sostituzione di fatto dell'azione dell'autonomia collettiva coevamente esautorata rispetto alla sua stessa possibilità d'intervento.

Perplessità innegabili suscita la così prospettata rimessione all'autonomia individuale dell'inderogabilità e comunque dell'operatività della normativa legale, tra l'altro in riferimento ai diritti fondamentali della persona del lavoratore (per loro natura indisponibili) rilevanti in tema di mansioni, jus variandi, inquadramenti e controlli a distanza. Per di più senza nemmeno la mediazione dell'azione sindacale e, pertanto, con conseguente riconduzione in toto dell'effettività delle tutele giuslavoristiche direttamente in capo all'autonomia individuale del singolo prestatore.

E' infatti quantomeno improbabile che il singolo prestatore, da solo, nella dimensione individuale della relazione contrattuale di lavoro, sia in grado di gestire adeguatamente i suoi interessi, perché il più delle volte inevitabilmente privo degli elementi conoscitivi del caso e delle competenze tecniche necessarie per la valutazione delle situazioni e delle incidenze rispetto alla sua posizione soggettiva, e soprattutto in considerazione della sua posizione di debolezza che si è constatato essere oggi notevolmente aumentata in ragione del degradare sotto molteplici aspetti dei suoi standard di tutela, in primo luogo in ordine al profilo in questo senso di per sé decisivo della (diffusamente ridotta) stabilità del vincolo contrattuale. Singolo prestatore che, invero, anzitutto per preservare il suo primario interesse all'occupazione, e comunque giacché non in condizione di contrastare nei fatti il potere contrattuale del datore, tende a risultare gioco forza costretto a dover accettare pattuizioni contrarie ai suoi interessi e comunque un'esplicazione indebita dei poteri datoriali senza una reale possibilità di contrasto, a parte il solo ricorso alla via giudiziaria, in ogni caso difficilmente esperibile ex post rispetto a suoi atti dispositivi dell'applicazione della normativa giuslavoristica, essenzialmente nei soli ristretti spazi consentiti dai rimedi privatistici dei cd. vizi della volontà.

Com'è evidente se si considerano le più svariate ipotesi di degradare incontrollato dei diritti e interessi del singolo prestatore che appunto possono manifestarsi al riguardo. Nel caso, ad esempio, anzitutto, del cd. accordo di dequalificazione, in relazione al quale si è constatato come, a fronte della praticamente illimitata possibilità di deroga alla normativa di legge, si rivelino realisticamente effimere le garanzie fornite a tutela degli interessi del lavoratore dal mero vincolo della stipulazione in cd. sede protetta, ex

50

Page 51: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

comma 6, art. 2103 cod. civ. Analogamente, in ordine agli accordi che potrebbero rilevare sempre in sede individuale a regolazione dello jus variandi, in riferimento all'ampio criterio "aprofessionale" dello «stesso livello e categoria legale di inquadramento» ex comma 1, art. 2103 cod. civ. (comunque in un ambito stricto iure disponibile per l'autonomia negoziale giacché non implicante una deroga in peius al comando legale). Ciò, in particolare, in forma di accettazione da parte del singolo prestatore dell'assegnazione a mansioni (pur di uguale inquadramento alle precedenti ma) estranee alle sue competenze professionali, anche con possibile dichiarazione di competenza del medesimo prestatore in riferimento alle nuove mansioni assegnategli: che potrebbe avrebbe la duplice valenza sia di esimente per il datore dall'obbligo formativo ex comma 3, art. 2103, sia di assunzione di responsabilità del prestatore in merito alla correttezza dei successivi adempimenti, con relativa sanzionabilità anche disciplinare dell'eventuale successiva prestazione lavorativa non adeguata; nonché, altresì, con le rilevanti implicazioni che si è visto manifestarsi, sotto ulteriore profilo, anche in riferimento all'area strettamente correlata del giustificato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3, legge n. 604/1966. Oppure si pensi ancora alla stessa "diversa volontà" che si prevede che il prestatore possa manifestare rispetto alla sua assegnazione definitiva a mansioni superiori all'esito del previsto periodo massimo di sei mesi continuativi (in luogo dei tre mesi sempre continuativi di cui al testo previgente della norma) di adibizione temporanea alle medesime mansioni ex comma 7, art 2103: con una manifestazione di volontà di tal genere da parte del lavoratore che, stante l'oggettiva "non convenienza" della rinunzia di fatto, in questo modo, alla maturanda promozione, ben potrebbe essere determinata dalla sua posizione di debolezza contrattuale.

E parimenti per quanto concerne la tematica dei controlli, in ordine alla quale non pare rivelarsi lontana dalla realtà l'eventualità che, sempre nella dimensione individuale della singola relazione contrattuale, pur in difetto di una sua "adeguata informazione" ex comma 3, art. 4 St. lav., il prestatore si veda costretto a sottoscrivere dichiarazioni di avvenuta sua adeguata informazione o anche di riconoscimento e/o accettazione dell'idoneità degli strumenti e apparecchiature in genere adibiti a funzioni di controllo e/o della stessa attività di controllo esplicata dal datore di lavoro.

Tutto ciò, vale ripetere, senza una reale garanzia a tutela dei diritti fondamentali della persona del lavoratore. Con le criticità della recente riforma che risultano efficacemente poste in rilievo dalla valutazione espressa da un autorevole giuslavorista da sempre sensibile rispetto all'esigenza dell'aggiornamento delle rigidità della nostra materia, in specie rilevando, in ordine alle riforme del Jobs Act, che «nella maggior parte di esse,

sembra prevalente un carattere alquanto regressivo. Questa valutazione non è suggerita dal fatto che siano state messe in discussione storiche rigidità; queste certamente da tempo necessitavano di essere corrette e riequilibrate, poiché sortivano effetti controproducenti. E’ frutto, invece, della considerazione che la strada scelta per

51

Page 52: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

metterle in discussione non fa evolvere il sistema protettivo, limitandosi ad un semplice percorso erosivo, di retromarcia; nella sostanza, di semplice smantellamento di tutele, con restituzione secca di margini di potere al datore di lavoro, che si cerca di alleggerire dai costi di una legislazione cresciuta a dismisura e pesantemente affidata agli incerti esiti della mediazione giudiziaria» e quindi aggiungendo che «ci si poteva

aspettare che la strada fosse un’altra; quella dell’esplicita valorizzazione della regolazione prodotta dall’autonomia collettiva, che dovremmo considerare lo strumento fisiologico e prevalente della regolazione lavoristica, naturalmente vocato a trovare un dinamico bilanciamento tra le spinte economiche ed organizzative e le esigenze di protezione dei lavoratori» (F. Liso).

Al netto in questa sede di ogni giudizio di merito in ordine alle soluzioni prefigurate dal legislatore del Jobs Act, e senza che debba qui ribadirsi la comunque necessaria esigenza di aggiornamento della previgente disciplina statutaria, a sorprendere è proprio, non soltanto la mancata valorizzazione, bensì, anzi, la constatata restrizione del ruolo dell'autonomia collettiva, pure a fronte, non soltanto dell'ampliamento in sé dell'area di esercizio dei poteri datoriali, ma anche della larga disponibilità della normativa legale che si va innovativamente a concedere all'autonomia individuale.

Onde il rischio del degradare indefinito degli standard di protezione del lavoro subordinato. Ciò in termini che, in primo luogo per quanto riguarda l'imprescindibile tutela dei diritti fondamentali della persona del prestatore, a parte lo scontato rilievo di non conformità alla legge delega n. 183/2014 (spec. art. 1, comma 7, lettere e) e f)) e anche la concorrente probabile violazione degli stessi principi costituzionali in materia, paiono imporre la necessità di una riconsiderazione delle esaminate nuove disposizioni in tema di poteri del datore di lavoro: appunto segnatamente in ordine alla prefigurata rimessione dell'effettività della normativa giuslavoristica nelle mani dell'autonomia individuale, nonché in quanto a dover essere comunque assicurata è un'azione di valido supporto di essa autonomia individuale da parte dell'autonomia collettiva e, quindi, l'insostituibile funzione di presidio e mediazione della stessa autonomia collettiva rispetto all'esercizio dei poteri datoriali e all'operare in sé del diritto del lavoro. 9. Norme aperte e clausole generali nella modulazione dei poteri del datore di lavoro.

Ai sensi degli artt. 2103 cod. civ. e 4 St. lav. nuova formula, a ridefinizione dei poteri datoriali rilevano anche una serie di previsioni cd. aperte a precetto generico o comunque non definito compiutamente nella sua portata in forma direttamente esplicita. Al cospetto di previsioni di tal fatta di carattere (solo) generale l'area di esercizio delle prerogative datoriali permane da determinare sempre in via di mediazione tra le ragioni dell'impresa e le contrapposte esigenze di tutela della persona del lavoratore, secondo le medesime prescrizioni della legge delega n. 183/2014: nel senso, infatti, del necessario contemperamento, in tema di mansioni, dello «interesse dell'impresa all'utile impiego

del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della

52

Page 53: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

professionalità e delle condizioni di vita» e, in ordine ai controlli a distanza, delle «esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore» (così, rispettivamente, lettere e) e f), art. 1, comma 7). Ciò in termini che è da ritenere trovino espressione, sia pure implicita, nelle nuove versioni dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 4 St. lav., anche perché, se si reputasse diversamente, dette rinnovate disposizioni sarebbero da valutarsi non conformi alle prescrizioni della legge delega. I suddetti interessi e valori anche di rango costituzionale si pongono a limitazione della discrezionalità dell'esercizio dei poteri del datore di lavoro, in ogni caso da modulare nella loro portata concreta in base ai canoni generali comportamentali di correttezza e buona fede ai quali va conformato lo svolgimento della relazione contrattuale in ogni sua fase. Ove per quanto concerne la problematica di tali clausole generali, esclusane in questa sede una possibile analisi de funditus, è da convenire che il notevole impulso impresso dal legislatore nel senso di una riconduzione alla sede contrattuale individuale dell'esercizio dei poteri datoriali (cfr. supra, sub n. 8) appaia rilevare ex se quale valorizzazione dell'operare delle regole civilistiche del contratto in riferimento alla relazione di lavoro e, quindi, delle stesse cd. clausole generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ. Il che, in ogni caso, a fronte delle nuove disposizioni di regolamentazione dei poteri datoriali, non già in via additiva di limiti o vincoli rispetto all'esplicazione di detti poteri, bensì piuttosto in chiave specificativa del precetto legale, in particolare in riferimento alle menzionate disposizioni cd. aperte di cui ai rinnovati artt. 2103 cod. civ. e 4 St. lav. Senza che in senso diverso possa valere, peraltro, quanto stabilito ex art. 30, comma 1, legge n. 183/2010 (cd. "collegato lavoro") a limitazione del controllo giudiziale in tema di clausole generali: a prescindere dalla controversa reale valenza di tale norma, giacché permane comunque escluso, nell'ipotesi, un «sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro» (così art. 30, comma 1 cit.), trattandosi solo di stabilire in che termini l'esercizio dei poteri datoriali non risulti contrario ai predetti interessi e valori anche di rilievo costituzionale. Ciò comunque assunte le cd. scelte organizzativo-produttive "a monte" quale elemento dato e non sindacabile nel merito, nonché quindi preso in considerazione solo sul piano del nesso causale degli atti di esercizio dei poteri datoriali "a valle" nei confronti dei singoli prestatori. Così, invero, in materia di mansioni, già per quanto concerne l'estesa dilatazione del medesimo jus variandi sulla scorta del nuovo criterio-limite "aprofessionale" dello «stesso livello e categoria legale di inquadramento» ex comma 1, art. 2103 cod. civ. e, quindi, la teorica mobilità del prestatore anche in relazione a mansioni-qualifiche tra loro del tutto disomogenee, almeno in virtù degli attuali sistemi di inquadramento, nonché in attesa del comunque auspicato loro aggiornamento. Con una delimitazione dello jus variandi che appare prefigurabile, secondo correttezza e buona fede, in ragione

53

Page 54: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

delle reali competenze ed esperienze professionali del singolo prestatore, in riferimento alla fattispecie concreta, peraltro con ricadute positive anche in ordine ad una plausibile determinazione dei contenuti dell'obbligo formativo ex comma 3, così come, sotto altro verso, in forma di corrispondente contenimento razionale del cd. obbligo di repechage in relazione al giustificato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3, legge n. 604/1966. L'obbligo formativo ex comma 3, art. 2103 è enunciato senza una specificazione esplicita della regola legale, pertanto rimessa in toto all'interprete. Il che a prescindere dalla stessa prevista persistente validità «dell'atto di assegnazione alle nuove mansioni» a fronte del mancato assolvimento del medesimo obbligo: attesi i molteplici profili problematici che restano aperti, nel caso, in ordine agli svolgimenti successivi della relazione contrattuale di lavoro (v. supra, sub n. 6.3). Al di là dello scontato auspicio di un intervento specificativo della norma da parte dell'autonomia collettiva anche in proposito. Fermo quanto appena rilevato nel senso della delimitazione di massima dell'obbligo formativo a mutamenti di mansioni non del tutto disomogenee tra loro, in simmetria alla corrispondente limitazione ragionevole in questo senso dello jus variandi, i contenuti effettivi di un siffatto obbligo a carico del datore, così come dei rispettivi doveri di formazione gravanti in generale in capo al lavoratore vanno determinati sempre secondo correttezza e buona fede. Anche perché i tempi e i costi necessari per la formazione di un prestatore di lavoro sono evidentemente i più diversi in relazione alla varietà di ipotesi di mutamento di mansioni che possono manifestarsi nella realtà. E tanto trattandosi di stabilire, in relazione all'esercizio del suo jus variandi, fino a che punto il datore di lavoro sia tenuto a farsi carico della formazione del prestatore inerente alle mansioni di destinazione anche in termini di giorni e risorse da dover impegnare al riguardo e altresì di giornate di mancata attività lavorativa economicamente sempre a suo carico. Questione, questa, di non agevole soluzione, ma che può trovare risposta anche alla luce dei canoni della correttezza e buona fede almeno in riferimento alle ipotesi limite di una formazione obiettivamente "minima", oppure, all'opposto, molto complessa perché il prestatore sia reso idoneo alle nuove mansioni di destinazione: in particolare, nel senso dell'astrizione del datore all'obbligo di formazione nel primo caso e, invece, della sua possibile esenzione dal medesimo obbligo quando per lui oggettivamente troppo oneroso (come nell'ipotesi, ad esempio, di una formazione relativa alle nuove mansioni destinata a protrarsi per diversi mesi e dai costi elevati). Non senza che sia anche da considerare al riguardo la quantomeno tendenziale contiguità che si delinea in proposito tra area di estensione dell'obbligo formativo ex comma 3 e area del giustificato motivo oggettivo di licenziamento (v. supra, sub n. 6.3). E', poi, chiaramente escluso che i demansionamenti ex comma 2, art. 2103 possano essere disposti in via arbitraria, in mancanza di una reale «modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore». Modifica la cui

54

Page 55: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

effettività è parimenti da valutare secondo correttezza e buona fede, anzitutto per ciò che concerne la reale ricorrenza di un mutamento organizzativo (anch'esso insindacabile nel merito) che si è già detto dover essere di portata più ampia rispetto al mero demansionamento del singolo prestatore, nonché la sua incidenza tangibile sulla sua posizione lavorativa, essenzialmente nel senso del venir meno della stessa (v. supra, sub n. 6.2). A parte che a dover sussistere è comunque, in proposito, una motivazione concreta in sé del medesimo demansionamento ex comma 2: alla luce della rimarcata sua oggettiva antieconomicità per il datore e, dunque, in considerazione dei "secondi fini" non del tutto lineari, e quindi contrari a correttezza e buona fede, cui potrebbe risultare proteso un demansionamento di tal fatta appunto privo di una reale motivazione. Un esercizio arbitrario dei poteri datoriali non appare allo stesso modo consentito in ordine alle "ragioni sostitutive" adducibili ad esclusione della definitività dell'assegnazione a mansioni superiori ex comma 7, art. 2103. Con dette ragioni che, infatti, anche secondo correttezza e buona fede, devono essere effettive e non meramente pretestuose, nel senso cioè del concreto rilevare di un'esigenza di sostituzione di "altro lavoratore in servizio" che si concreti in vincolo reale rispetto all'assegnazione definitiva alle mansioni superiori. Al di là della stessa mancata riaffermazione esplicita del «diritto alla conservazione del posto di lavoro» per il prestatore sostituito di cui al comma 1 dell'art. 2103 previgente: anzitutto nel difetto di una delega da parte della legge n. 183/2014 (cfr. lettera e), art. 1, comma 7) all'eliminazione di un siffatto vincolo, e della corrispondete necessaria interpretazione della novella in conformità alle prescrizioni di detta delega, nonché essendo comunque escluso che l'interesse del lavoratore all'adibizione definitiva a mansioni superiori (peraltro pure dopo il raddoppiato periodo di sei mesi continuativi, rispetto a quello di tre mesi ex art. 2103 vecchio testo) possa risultare sacrificato in carenza di una reale motivazione, o comunque essere in tal senso rimesso in toto alla discrezionalità del datore di lavoro. Analogamente un esercizio del potere datoriale di controllo secondo correttezza e buona fede vale ad escludere l'eventualità di controlli in via arbitraria, illimitata o ingiustificata, viceversa rilevando al riguardo un canone generale di svolgimento necessariamente razionale dei medesimi controlli, anzitutto nel senso di una loro reale necessità e proporzionalità in relazione ai beni e/o interessi aziendali da preservare, come pure in riferimento ai diritti e interessi della persona del lavoratore rispetto ai quali si viene in questo senso ad incidere. Ove permane in linea di principio esclusa una possibile attività di controllo fine a se stessa, o comunque ingiustificatamente invasiva della sfera personale del prestatore in mancanza di un'effettiva esigenza del medesimo controllo da parte del datore di lavoro. La «adeguata informazione» da fornirsi al lavoratore in ordine alle «modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli» ex comma 3, art. 4 St. lav. impone al

55

Page 56: Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro ... · La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dalla costante tensione tra autorità e soggezione che connota,

56

datore di lavoro un'informazione completa. Ciò, sempre alla luce dei canoni di correttezza e buona fede, nel senso di una condotta leale e trasparente di esso datore sotto ogni aspetto e, in particolare, della necessaria comunicazione al prestatore di tutto quanto rilevante in ordine alla fattispecie concreta riguardo le modalità di uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, i relativi dati sensibili acquisibili e le potenzialità di accesso in genere alla sua sfera personale. E tanto anche in ineludibile conformità alla normativa in materia di cui al cd. codice della privacy, ex d.lgs. n. 196/2003, la cui necessaria osservanza è affermata dal comma 3, art. 4 St. lav., e comunque perché, già da prima della novella, «il Garante ... ha correttamente tratto

dalla normativa una generale istanza di trasparenza nella gestione dei dati, e quindi ... di pubblicizzazione preventiva ai lavoratori delle modalità di trattamento dei dati». A correttezza e buona fede deve essere parimenti improntato l'operato del datore di lavoro in relazione all'utilizzazione, archiviazione e gestione in genere delle informazioni e dati raccolti mediante i controlli. Con ogni attività di tal genere che ancora una volta non può essere fine a se stessa o comunque ingiustificatamente e/o sproporzionatamente invasiva della sfera personale del lavoratore rispetto agli interessi aziendali in concreto da preservare. Tanto più, del resto, anche alla luce di una corrispondenza sostanziale ai canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale dei principi enunciati dal Garante a definizione delle prescrizioni in materia di cui al cd. codice della privacy, ex d.lgs. n. 196/2003: in particolare, nel senso della necessità, correttezza, trasparenza, pertinenza, completezza e non eccedenza delle attività esplicabili in tema di trattamento dati dei lavoratori (cfr. punto n. 2.3, deliberazione n. 13/2007 del Garante, nonché artt. 3 e 11, comma 1, lettere a), b) e d) del cd. codice della privacy). Delineati i canoni di determinazione del precetto legale in relazione alle disposizioni aperte di cui ai rinnovati artt. 2103 cod. civ. e 4 St. lav., la loro specificazione permane chiaramente rimessa all'interprete, chiamato a dare effettività alla regola legale in riferimento alla fattispecie concreta. Un tale esito può apparire sorprendente se si considera che una delle finalità della riforma, in linea di continuità rispetto ad altri interventi legislativi degli anni recenti (cfr., per tutti, il richiamato art. 30, legge n. 183/2010 e l'art. 1, comma 42, legge n. 92/2012), era, invece, quella di dare certezza alle norme lavoristiche e al contempo di limitare gli ambiti di estrinsecazione del sindacato giudiziale specie se discrezionale (cfr., ad es., art. 3, d.lgs. n. 23/2015 e comma 1 del nuovo art. 2103 cod. civ.). Vale a dire, l'esatto opposto rispetto agli ampi spazi di valutazione discrezionale che le esaminate nuove norme cd. aperte a precetto generico di regolamentazione dell'esercizio dei poteri datoriali vengono a concedere all'interprete. Onde un'ipotesi di eterogenesi dei fini singolarmente autoindotta dal medesimo legislatore della riforma. Ma questa è un'altra storia.