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Lectio divina
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Amos 8, 4-7 1 Tim 2,1-8 Lc 16, 1-13
Dopo aver annunciato la misericordia di Dio (cap. 15) ora l’Evangelista inserisce una
convincente raccomandazione a usare misericordia (16) (Bonaventura, Commento al
Vangelo di Luca.)
La prima lettura ci mostra la quarta visione del libro di Amos. Con questo profeta si apre
una nuova era del profetismo: il libro scritto. Il messaggio è così incisivo che viene da
tramandarlo. Era anche un messaggio nuovo. Non basta più il riformismo dei profeti
precedenti: tutto il sistema è putrido, Israele è un muro piombato, incapace di stare in
piedi, è un cesto di fichi maturi, maturato per la fine, un albero da abbattere del quale resta
solo un ceppo. Questo in fondo è il messaggio: il tempo della fine è maturato e invece di
avere un canestro di frutta matura appare tutto il marcio. Perciò terribile risuona la parola
di JHWH nei precedenti quadri. Per tre delitti e per quattro non perdonerò (Letteralmente:
Non ritornerò). Una serie di sette “non ritornerò” culmina con l’ottavo, rivolto a Israele,
cui seguono i guai, tutti sul tema della giustizia e poi le visioni.
La situazione è questa: alcuni ricchi calpestano i poveri e scacciano gli umili, non
rispettano neppure la festa e aspettano solo che si possa lavorare per vendere a prezzo
maggiorato e con bilance false prodotti scadenti, approfittando della miseria dei bisognosi
che devono accontentarsi delle loro offerte. Contraffacendo perciò pesi e misure
Al contrario nel Vangelo troviamo un amministratore che si fa generoso con beni non suoi,
e viene lodato per la sua sapienza e astuzia (cioè arte di vivere). In effetti, la sua arte
consiste nell’approfittare a proprio beneficio della ricchezza di Dio e per farla fruttare,
sempre a proprio vantaggio, sempre contraffacendo le misure, ma questa volta a
vantaggio dei creditori, falsificando la bilancia ma in modo da farsi amici, sia pure con una
ricchezza non propria. Questi è lodato per la sua astuzia sapiente. Sono i peccati della
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logica di Dio: dare uguale anche agli ultimi arrivati, in barba a quelli che hanno sgobbato
dall’inizio, falsificare le bilance in favore dei debitori. Non per niente il Padre nostro ci fa
chiedere: perdona come noi perdoniamo… se perdoniamo con bilance false che
restringono la misura del dono per il prossimo e la allargano a dismisura per me…Come
per la parabola della peccatrice: il perdono è il dono perfetto, anche lì si tratta i due
debitori e Dio condona a entrambi; è una magnanimità che sempre spiazza il nostro
calcolo.
Ed è proprio la parola del condono che ci apre all’intelligenza del messaggio di questa
parabola/exemplum: il capitolo precedente è stato definito della Misericordia. Anche questo
è in un certo senso la conseguenza del primo: La Misericordia del Padre va imitata dai
discepoli di Cristo.
Il messaggio della fede nascosto in questa liturgia è che la situazione di squilibrio e
d’ingiustizia il Padre l’ha risolta addossandola tutta sulle spalle del Figlio che così è
divenuto unico mediatore per tutti gli uomini: per i poveri per i quali è venuto, per i ricchi
ai quali indica la via dello spogliamento e della povertà; ricco di divinità ha assunto
l’umanità perché i ricchi del mondo non disdegnassero di rivestire la povertà che è la
condizione comune. Come dice la seconda lettura egli è il Salvatore di tutti, ricchi poveri, è
mediatore per tutti, vuole che si preghi per tutti. Il Figlio è il perdono di Dio per l’umanità.
Da questo primo messaggio dottrinale sgorga chiara l’indicazione morale. Si tratta di
comportarsi come Dio cioè di assumere la logica della sua prodigalità, del suo calcolo così
diverso dal nostro avaro calcolo. Ci viene detto di non servire due padroni, cioè di portare
a fondo la rinuncia battesimale. Se pensiamo alla serietà della situazione descritta da
Amos il messaggio dottrinale ci dice che ogni azione ha il peso del nostro destino eterno, e
come sappiamo di desiderare la benedizione così non dobbiamo aver paura di guardare in
faccia la possibilità della dannazione. Questo è ciò che è in gioco dentro ogni scelta: è
maturata la fine per il mio popolo: non gli perdonerò più, diceva poco prima Amos. Ma
Voglio che tutti gli uomini si salvino…dice Paolo, si tratta allora di lasciarsi immergere nella
volontà di salvezza di Dio. L’amministratore è lodato perché contando sulla indulgenza
del Padrone si è guadagnato amici per il futuro, dice Ambrogio. Uno è Dio, Uno il
mediatore. Di Lui sono fatto banditore, apostolo e maestro. Della sua misericordia che
ricevo sono amministratore o avaro o prodigo e siccome tutti gli uomini sono chiamati alla
salvezza il primo compito per chi amministra questa grande dispensa di grazia è pregare
per tutti, per i poveri e per i ricchi, per quelli che sono al potere perché su di loro il
giudizio è severo. E per i poveri perché di loro Dio si prende cura, Dio li visita.(Am 3,2).
Ancora una volta la posta in gioco è grande: nel tempo si tratta di avere il cuore e l’anima
aperti all’esito eterno di ogni nostra azione pensiero, progetto perché lì si gioca la salvezza
non solo nostra ma di tutti gli uomini.
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Origene
DDaallll’’OOmmeelliiaa 1133 ssuullllaa GGeenneessii
Una volta che ti sei avvicinato alla croce di Cristo e alla grazia del battesimo, la tua
condanna è stata inchiodata alla croce ed è stata cancellata nella fonte del battesimo
…l’immagine di Dio rimane sempre in te , anche se tu vi sovrapponi l’immagine del
terrestre. Questa pittura sei tu stesso a dipingerla per te: quando ti offusca la libidine, vi
hai posto sopra un colore terrestre; se ardi per l’avidità, ve ne hai mescolato un altro; se
poi l’ira ti rende sanguinario, è un terzo colore che aggiungi. Un’altra tinta ve l’aggiunge la
superbia, un’altra l’empietà; e così, con tutte queste specie di malvagità, una per una, come
mettendo assieme diversi colori ti dipingi da te stesso l’immagine del terrestre, che Dio
non ha creato dentro di te. Perciò dobbiamo supplicare colui che dice per mezzo del
profeta: Ecco, io cancello le tue iniquità come una nube, i tuoi peccati come la caligine. E quando
avrà distrutto in te tutti questi colori che provengono dalle tinte della malvagità, allora
risplenderà in te l’immagine che è stata creata da Dio. Osserva perciò come le Scritture
divine propongano espressioni e figure mediante le quali l’anima può essere istruita
affinché acquisti conoscenza di sé e si purifichi. Vuoi vedere ancora un altro aspetto di
questo modo figurato di parlare? C’è una lettera che scrive Dio, una lettera che scriviamo
noi. Noi scriviamo la lettera del peccato. Ascolta l’Apostolo che dice: Cancellando il
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documento scritto della nostra condanna, che stava contro di noi, lo ha tolto di mezzo affiggendolo
alla sua croce . Questo decreto di condanna era la cambiale dei nostri peccati. Infatti ognuno
di noi diventa debitore a causa dei peccati che commette e firma la cambiale del suo
peccato. Per questo anche nel tribunale del giudizio di Dio, di cui Daniele descrive la
seduta, egli dice che i libri furono aperti, per certo i libri in cui erano registrati i peccati
degli uomini. Questi debiti ce li siamo registrati da noi a causa dei peccati in cui siamo
incorsi. La stessa scena ci presenta il vangelo quando parla dell’intendente disonesto, che
dice a ogni debitore: Prendi la tua ricevuta e scrivici ottanta, con quel che segue. Vedi perciò
che a ognuno viene detto: Prendi la tua ricevuta. E dunque evidente che la lettera del
peccato è nostra, mentre la lettera della giustificazione la scrive Dio. Così infatti dice
l’Apostolo: Voi siete la lettera scritta non con l’inchiostro ma con lo spirito del Dio vivente, non su
tavole di pietra ma su tavole di carne, sul cuore. Hai perciò dentro di te la lettera di Dio, la
lettera dello Spirito Santo. Se però cadi nel peccato, scrivi contro di te il documento del
peccato. Ma considera: una volta che ti sei avvicinato alla croce di Cristo e alla grazia del
battesimo, la tua condanna è stata inchiodata alla croce ed è stata cancellata nella fonte del
battesimo. Non tornare perciò a scrivere ciò che è stato cancellato, non reintegrare ciò che è
stato distrutto, conserva in te soltanto la lettera di Dio, resti dentro di te soltanto la
scrittura dello Spirito Santo.
Ma torniamo a Isacco e scaviamo con lui pozzi d’acqua viva: anche se i filistei si
oppongono e muovono contese, perseveriamo tuttavia con lui a scavare i pozzi, affinché
anche a noi si dica: Bevi l’acqua dai tuoi otri e dai tuoi pozzi; scaviamo fino a che le acque del
pozzo trabocchino nelle nostre piazze, in modo che non solo la scienza delle Scritture basti
a noi, ma siamo anche in grado di insegnare agli altri, affinché bevano gli uomini e bevano
pure gli animali . Ascoltino i dotti, ascoltino i semplici, perché il dottore della Chiesa è
debitore sia ai sapienti sia agli ignoranti, e deve dar da bere sia agli uomini sia agli
animali, secondo quanto dice il profeta: Signore, tu salverai gli uomini e i giumenti, dato che
ci illumina e purifica i nostri cuori il Signore stesso, Gesù Cristo nostro Salvatore, al quale
è gloria e dominio nei secoli dei secoli . Amen.
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San Pietro Crisologo
DDaall SSeerrmmoonnee 112255
L’amministratore disonesto
1. Il sale è un condimento salubre di tutti i cibi, se non viene meno la misura;
altrimenti, senza la moderazione, va perduto esso stesso e rovina ciò che ha salato.
L’eccesso, infatti, rende amaro ciò che la moderazione poteva rendere saporito. Così il
modo di sentire, che è in noi, se osserva la misura, conferisce sapore, produce
discernimento, genera prudenza, allarga il cuore, accresce l’ingegno, dà maturità a ciò che
si deve dire, rende elegante ciò che si deve ascoltare, diventa gradito a se stesso, diviene,
per chi ne gode, la pienezza perfetta del piacere. E sarà veramente dolce come il miele quel
modo di sentire che con la bocca non pronuncerà nulla di amaro.
2. Abbiamo premesso queste considerazioni affinché nei sentimenti evangelici si trovi
per noi la misura che modera il nostro modo di sentire, in quanto non ne violi il cibo
vitale, il pasto divino, il sapore celeste, ma ce li custodisca con awedutissima sobrietà
secondo il detto dell’Apostolo: Non valutarsi più di quanto è giusto, ma valutarsi nella giusta
misura. Ma ormai ascoltiamo che cosa ha detto il Signore.
C’era un uomo ricco . E chi era quest’uomo se non Cristo?
3. C’era uri uomo ricco. E chi era quest’uomo se non Cristo? Chi è ricco se non Colui che
nella nostra povertà possedeva tutte le ricchezze del creato? C’era un uomo ricco. Diceva
spesso questo ai Giudei, perché comprendessero che in lui sussisteva la ricca divinità, pur
nell’umana povertà. Era, era ricco, era ricco nella sua maestà Colui che agli occhi dei
Giudei era povero. E come non poteva essere ricco Colui cui servivano gli angeli,
ubbidivano le virtù, erano sottomessi gli elementi e al comando del quale quel che non
esisteva era creato e alla cui chiamata veniva?
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Quale amministratore se non l’uomo?
4. C’era un uomo ricco e aveva un amministratore. Quale amministratore se non l’uomo,
cui era stato affidato tutto il possesso del mondo perché ne avesse cura? C’era un uomo ricco
che aveva un amministratore, e questi fu accusato davanti a lui. Come se non l’avesse saputo in
precedenza, come se non l’avesse previsto Colui cui sono note le cose nascoste, ai cui occhi
sono scoperte anche le cose che sono celate. E questi fu accusato davanti a lui. Dunque egli
credette alle dicerie, apprese dalle voci che venivano riferite? Niente affatto. Cominciò
invece a indagare ciò che sapeva e nascondeva per compassione, quando fu la terra ad
accusare - La voce del sangue di tuo fratello grida dalla terra. Grida la terra, grida il cielo, si
affliggevano gli angeli, quando ormai parlavano tutte le voci del mondo.
5. E questi fu accusato davanti a lui di aver dissipato la sua sostanza. Abbiamo letto in
precedenza che il figlio più giovane di questo uomo aveva sperperato i suoi averi ora si
riferisce che l’amministratore aveva dissipato i suoi beni. Come Cristo Dio e Cristo uomo
sono la medesima persona, così il padre di famiglia e il Padre; allo stesso modo è chiaro
che il figlio e l’amministratore sono lo stesso individuo. Qui c’è varietà di situazioni, c’è un
cambiamento di nome, ma non c’è diversità di persone.
6. E fu accusato davanti a lui di aver dissipato le sue sostanze, e lochiamò. Lo chiamò
mediante il Vangelo. E gli disse. E che cosa non fa mediante il Vangelo, col quale
rimprovera i cattivi costumi, rivela le cose nascoste, manifesta la coscienza, punisce le
colpe, elenca i mali e minaccia il castigo a chi persiste in essi, quantunque prometta il
perdono a chi si è pentito? E lo chiamò e gli disse: «Cose questo che sento di te?». Gli
rinfaccia ciò che conosce come un sentito dire, perché non vuole affrettare la sentenza
contro il colpevole, e convoca presso di sé il reo convinto, come se fosse un accusato,
perché desidera vivamente prevenire in tal modo il giudizio col perdono. Che cose questo
che sento di te?
Rendi conto della tua amministrazione
7. Rendi conto della tua amministrazione; ormai non potrai più fare l’amministratore.
Perché a parole così misericordiose aggiunge una decisione così severa? Perché lo si
rimuove dall’amministrazione prima di conoscere il rendiconto? Rendi conto; ormai non
potrai più fare l’amministratore. Come uomo chiede ora il rendiconto; come Dio denuncia
ciò che è imminente e ciò che deve avvenire. Rendi conto; ormai non potrai più fare
l’amministratore. Chiede il rendiconto, non per esigerlo immediatamente, ma per
concedere tempo. Chiede perché gli sia chiesto; chiede qui, per non chiedere là; chiede nel
mondo, per non chiedere in giudizio; chiede subito, perché il tempo delle pene non
escluda il tempo della riparazione. Rendi conto della tua amministrazione; ormai non
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potrai più fare l’amministratore. Perché? Perché è venuta la fine della vita, il tempo della
morte; già t’incalza l’azione giudiziaria del cielo; già il giudizio ti chiama; affrettati,
dunque, per non perdere il tempo della riparazione, visto che hai perduto quello
dell’azione.
8. Rendi conto. Ciò equivale a dire: aggiusta il conto, aggiusta i tuoi interessi, dato che
non sei in grado di restituire ciò che è mio; li aggiusterai, se ormai cessi di sperperare. Io
mi sono assunto i debiti precedenti, quando ho assunto te; ho pagato io, quando ho assolto
te. Io, nel tuo interesse, ti sono stato vicino come un legale da ascoltare; io, giudice, mi
sono sottoposto al giudizio, sono divenuto imputato del mio imputato, libero da pena ho
accettato le pene, non mi sono sottratto alla sentenza da parte dei condannati; io,
distruttore della morte, ho accettato la morte; io, demolitore degli inferi, sono penetrato
negli inferi, non solo per sottrarti con questi mezzi alla tua pena, ma anche per sollevarti
alla mia dignità. Orsù, dunque, la perpetuità del mio dono ti includa, mentre il tempo
della tua amministrazione ti ha escluso. Ma esaminiamo ormai che cosa abbia risposto
l’amministratore.
9. Disse, dice, dentro di sé: «Che farò?». Che farò adesso? Quando la morte toglie
all’uomo il tempo di agire, allora egli desidera sempre compiere il bene. Dice: Disse dentro
di sé. Cerca, dice, dentro di sé un consiglio costui che ormai fuori di sé non aveva alcun
mezzo con cui aiutarsi. Disse dentro di sé. Punge il suo cuore, stimola la sua mente,
tormenta tutte le viscere per estorcere da sé il pentimento da poter offrire a suo vantaggio.
10. Non ho la forza per zappare. Non gli erano venute meno le forze, ma i tempi per la
fatica. Non ho la forza per zappare, ho vergogna a mendicare. Teme la vergogna del futuro
giudizio, nel quale ormai non è tempo di chiedere, ma di castighi, e dove l’imputato
arrossirà di più per la sua coscienza che per l’incendio della Geenna. Ho vergogna a
mendicare. E chi non arrossisce di mendicare fra i celesti? Sventurato colui che la durata del
tempo ebbe ricco e che l’eternità possederà mendico; il Tartaro terrà nudo quello che il
cielo avrebbe potuto accogliere e ospitare ricco!
La presente parabola mira al popolo
11. La presente parabola mira al popolo: sarebbe un bene per noi, davvero sarebbe un
bene, se applicassimo questi avvenimenti a noi che dobbiamo in terra sentirci
amministratori, non considerarci padroni; essere convinti che abbiamo assunto il servizio
di una delega temporanea, non che abbiamo trovato un diritto perpetuo di proprietà; stare
attenti che la notizia del patrimonio malversato non ci preceda presso il padre di famiglia,
secondo il detto dell’Apostolo: Di alcuni i peccati si manifestano prima del giudizio, di altri
dopo. Non giunge al termine stabilito della vita colui che perde il tempo della propria
amministrazione e sul quale si è sparsa la voce che ha sperperato i beni affidatigli. Di qui
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ha origine la morte immatura, di qui la morte prima del giorno stabilito, di qui l’amara
chiamata, di qui la più acerba presentazione di se stessi, come il profeta lamenta con
queste parole: Gli uomini malvagi e fraudolenti non giungeranno alla metà dei loro giorni. E
volesse il cielo che quando la tristezza ci ricorda la chiamata, quando una malattia ci
esclude senza pietà dall’amministrazione, quando la violenza del dolore ci costringe a
restituire in fretta il nostro incarico, imitassimo il modo di agire e di pensare di questo
amministratore, ci volgessimo alla riflessione sulla nostra anima, alla compunzione del
cuore, al pentimento dell’animo, all’aiuto della misericordia, alla difesa della pietà, alla
chiamata della confessione di fede! Certamente chiederemmo le ricevute dei debiti con il
padrone e le pagheremmo, se non interamente, almeno a metà per ottenere ii perdono,
come fece questo amministratore, affinché noi - che in quanto dissipatori dei beni affidatici
siamo chiamati amministratori disonesti - otteniamo alla fine con un pio inganno la lode
dello stesso giudice. E lodò, dice, l’amministratore disonesto.
Beato Angelico
San Lorenzo distribuisce l’elemosina
Lectio divina
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Agostino
DDaall DDiissccoorrssoo 111133
SULLE PAROLE DEL VANGELO DI LC 16, 9: “FATEVI DEGLI AMICI CON LA RICCHEZZA INGIUSTA”
ECC.
Chi sono gli amici che riceveranno in cielo i loro benefattori.
1. 1. Dobbiamo rivolgere a voi gli ammonimenti che vengono fatti a noi stessi. Il passo del
Vangelo letto poc’anzi ci esorta a farci degli amici con la ricchezza ingiusta, affinché
anch’essi accolgano nelle tende eterne coloro che se li fanno amici. Chi sono coloro che
avranno le tende eterne, se non i fedeli servi di Dio? E chi sono coloro che saranno accolti
dai santi nelle tende eterne, se non coloro che rivolgono ogni cura alle loro necessità e con
gioia somministrano loro ciò di cui hanno bisogno? Ricordiamoci dunque che nel giudizio
universale il Signore, a quelli che staranno alla sua destra, dirà: Avevo fame e mi avete dato
da mangiare 1, e tutto il resto che sapete. E poiché gli chiederanno quando mai gli resero
mali servigi, egli risponderà: Quando li avete fatti a uno dei miei fratelli più piccoli, li avete fatti
a me 2. Questi fratelli più piccoli sono coloro che li accoglieranno nelle tende eterne. Così
dice a quelli che stanno alla sua destra, perché hanno praticato le opere di carità; così dice
a quelli di sinistra, perché non le hanno volute praticare. Ma quelli di destra che le hanno
praticate, che cosa hanno ricevuto, o meglio che cosa riceveranno? Venite - dice - benedetti
dal Padre mio, a prender possesso del regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Poiché
io avevo fame e voi mi avete dato da mangiare. Quando avete fatto ciò a uno dei miei fratelli più
piccoli, lo avete fatto a me 3. Chi sono dunque i fratelli più piccoli di Cristo? Sono coloro che
1 Mt 25, 35. 2 Mt 25, 40. 3 Mt 25, 34-35. 40.
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hanno abbandonato ogni loro proprietà e lo hanno seguito e hanno distribuito ai poveri
tutto ciò che avevano, per servire Dio liberi senza legami terreni e sollevare in alto le spalle
munite, per così dire, di ali, liberate dai pesi mondani. Questi sono i più piccoli. Perché i
più piccoli? Perché sono umili, perché non sono altezzosi, perché non sono superbi. Pesa
questi che sono i più piccoli e riscontrerai un grave peso.
La ricchezza che puzza d’ingiustizia.
2. 2. Ma che significa la frase: essere amici mediante la “mammona ingiusta”. Che cosa è la
“mammona ingiusta”? Innanzi tutto che significa “Mammona”? Questo infatti non è un
vocabolo latino: è un termine ebraico, affine a quello della lingua punica. In realtà queste
due lingue sono unite tra loro da una certa parentela di significato. Ciò che i punici dicono
“mammona” in latino si dice “guadagno”. Ciò che gli ebrei chiamano “mammona” in
latino si dice “ricchezza”. Per dire dunque tutto in latino, ecco che cosa dice nostro Signore
Gesù Cristo: Fatevi degli amici con la ricchezza ingiusta 4. Alcuni, intendendo ciò a sproposito,
rubano la roba altrui e ne danno un po’ ai poveri e credono di mettere in pratica il precetto
che ci è stato dato. Poiché dicono: “Rubare i beni altrui è ricchezza ingiusta; darne
qualcosa in elemosina, soprattutto ai servi di Dio bisognosi, è farsi degli amici con la
ricchezza male acquistata”. Questo modo d’intendere dev’essere corretto o meglio
dev’essere cancellato assolutamente dalle tavole del vostro cuore. Non voglio che
l’intendiate a questo modo. Dovete fare elemosine col ricavato delle vostre giuste fatiche;
dovete dare prendendo dai beni che possedete con giustizia. Voi infatti non potrete
corrompere Cristo, vostro giudice, in modo che non vi giudichi con i poveri, ai quali voi
rubate. Supponiamo che tu, più forte e più potente, derubassi uno ch’è debole e questo si
recasse con te da un giudice - un uomo qualunque su questa terra avente un certo qual
potere di giudicare - e volesse dibattere la causa con te; supponiamo che tu donassi parte
della rapina e della spoliazione subita da quel poveretto al giudice perché pronunciasse
una sentenza a tuo favore; quel giudice piacerebbe forse anche a te? Naturalmente egli ha
pronunciato un giudizio a tuo favore, eppure è tanta la forza della giustizia che non lo
approveresti neppure tu. Non ti rappresentare così Dio, non collocare nel tempio del tuo
cuore una tale falsa immagine di Dio. Il tuo Dio non è tale, quale non devi essere
nemmeno tu. Anche se tu non giudicassi ingiustamente ma giustamente, migliore di te è il
tuo Dio; non è inferiore: è più giusto, è la sorgente della giustizia. Tutto il bene che hai
fatto, lo hai preso da lui e tutto il bene che hai proferito con la parola, lo hai attinto da lui.
Lodi il recipiente perché contiene un po’ d’acqua e oltraggi la sorgente? Non dovete fare
elemosine con il ricavato da denaro dato a interessi eccessivi e dall’usura. Lo dico ai fedeli,
a coloro cui distribuiamo il corpo di Cristo. Abbiate paura, correggetevi, perché poi io non
4 Lc 16, 9.
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vi dica: “Sei tu che fai il male, sei proprio tu”. Credo inoltre che, se lo farò, non dovrete
irritarvi con me, ma con voi, perché possiate correggervi. A questo si riferisce ciò ch’è
detto nel salmo: Adiratevi ma non peccate 5. Desidero che andiate in collera ma al fine di non
peccare. Ma al fine di non peccare, con chi dovete adirarvi se non con voi stessi? Che cos’è
infatti uno che si pente, se non uno che si adira con se stesso? Per ricevere il perdono, egli
esige da se stesso il castigo, e giustamente dice a Dio: Distogli il tuo sguardo dai miei peccati,
poiché io riconosco il mio peccato 6. Se tu lo riconosci, ti perdona anche lui. Voi che vi
comportavate così, non fatelo più; non è lecito.
Si deve imitare Zaccheo.
3. 3. Ma poniamo il caso che abbiate agito male, che possediate denaro guadagnato con
l’usura e ne abbiate riempito la borsa e abbiate così accumulato ricchezze: ciò che
possedete deriva dal peccato non aggiungete più altri peccati, ma fatevi degli amici con le
ricchezze male acquistate. Forse che Zaccheo aveva ricchezze guadagnate bene? Leggete e
vedete 7. Era un capo dei pubblicani cioè colui al quale venivano pagate le tasse pubbliche:
con quelle s’era procurato la ricchezza. Aveva oppresso molta gente, aveva rubato a molti
individui, aveva accumulato molte sostanze. Il Cristo entrò nella sua casa e venne la
salvezza su di essa; poiché così disse lo stesso Signore: Oggi la salvezza è entrata in questa
casa 8. Considerate dunque la stessa salvezza. Innanzi tutto Zaccheo desiderava vedere il
Signore, poiché era piccolo di statura; ma poiché glielo impediva la folla, s’arrampicò su
un albero di sicomoro e lo vide mentre passava. Gesù volse lo sguardo verso di lui e disse:
Zaccheo, scendi, perché devo fermarmi a casa tua 9. Tu sei come appeso, ma io non ti terrò in
sospeso, cioè non ti farò aspettare. Volevi vedermi mentre passavo, oggi invece mi troverai
abitante in casa tua. Il Signore entrò in casa di lui che, pieno di gioia, disse: La metà dei miei
beni la do ai poveri 10. Ecco come corre chi ha fretta di farsi degli amici con le ricchezze male
acquistate. Inoltre per non rimanere colpevole per altre cause disse: Se ho rubato a qualcuno,
gli renderò quattro volte quanto gli ho preso 11. Inflisse a se stesso una condanna per non
cadere nella dannazione. Voi dunque, che possedete ricchezze che vi siete procurati col
male, fate con esse del bene. Voi, che non avete ricchezze frutto di peccato, non
acquistatele col peccato. Sii buono tu che fai il bene con il frutto del male e, quando avrai
compiuto qual cosa di buono con il frutto del male, non rimanere malvagio tu stesso. I tuoi
soldi si cambiano in bene e tu rimarrai malvagio?.
5 Sal 4, 5. 6 Sal 50, 11, 5. 7 Cf. Lc 19, 2. 8 Lc 19, 9. 9 Lc 19, 5. 10 Lc 19, 8. 11 Lc 19, 8.
12
Perché la ricchezza è chiamata “ mammona “.
4. 4. Esiste per verità anche un altro senso del termine e non lo passerò sotto silenzio.
“Mammona ingiusta” sono tutte le ricchezze mondane, da qualsiasi fonte provengano. In
qualunque modo infatti vengano accumulate, sono mammona ingiusta, sono cioè
ricchezze ingiuste. Che vuol dire: “Sono ricchezze ingiuste”? È il denaro che l’ingiustizia
chiama ricchezza. Se infatti cerchi le vere ricchezze queste sono diverse. Tali ricchezze
possedeva in abbondanza Giobbe, pur essendo spogliato d’ogni bene, quando ne aveva
pieno il cuore proteso verso Dio e offriva le sue lodi a Dio come gemme preziosissime pur
avendo perduto tutti i suoi beni 12. Da quale scrigno le tirava fuori, se non aveva più nulla?
Ecco le vere ricchezze. Quanto alle altre ricchezze è l’ingiustizia a chiamarle così. Se tu hai
ricchezze terrene, non le biasimo; ti è venuta un’eredità, tuo padre era ricco e ha lasciato a
te i suoi beni. Se te le sei procacciate onestamente, se hai la casa piena del provento delle
tue giuste fatiche, non ti biasimo. Tuttavia anche così non chiamarle ricchezze; poiché, se
le chiamerai ricchezze, vuol dire che le ami e, se le amerai, perirai con esse. Mandale in
rovina per non andare tu stesso in rovina; donale per acquistarle, spargile come seme per
poterle mietere. Non devi chiamarle ricchezze, perché non sono vere: sono piene di
povertà e sempre soggette a rovesci. Che razza di ricchezza è quella a causa della quale hai
paura dei briganti, a causa della quale temi che un tuo servo ti uccida e te la rubi e fugga?
Se fosse vera ricchezza, ti darebbe sicurezza.
Quale ricchezza è vera, quale falsa.
5. 5. È dunque vera la ricchezza che, quando l’avremo, non potremo perderla. E perché per
caso a causa di essa tu non debba temere i ladri, sarà lì dove nessuno potrà rubarla.
Ascolta il tuo Signore: Accumulate le vostre ricchezze nel cielo dove i ladri non possono andare a
rubarle 13. Saranno vere ricchezze quando le avrai trasferite lassù. Fino a quando sono sulla
terra, non sono vere ricchezze. Ma le chiama ricchezze il mondo e l’ingiustizia. Dio le
chiama “mammona” d’ingiustizia, proprio perché l’ingiustizia la chiama ricchezze.
Ascolta il salmo: Signore, salvami dai figli stranieri, la cui bocca ha proferito vanità e la loro
destra è destra d’iniquità. I loro figli sono come piante novelle, rigogliose nella loro giovinezza; le
loro figlie agghindate e adorne a somiglianza del tempio; le loro dispense son piene, abbondanti di
questo e di quello; i loro buoi grassi, le loro pecore feconde moltiplicano i loro parti. Non c’è apertura
né uscita nelle loro siepi, né clamore nelle loro piazze 14. Hai visto quale felicità descrive il
salmo, ma ascolta di che si tratta, quali figli d’iniquità ci mette davanti agli occhi. Coloro la
cui bocca ha proferito vanità, e la destra dei quali è destra d’iniquità. Quanti individui ci mette
12 Cf. Gb 1, 21. 13 Mt 6, 20. 14 Sal 143, 11-14.
13
sotto gli occhi il salmo e parla della loro felicità soltanto sulla terra! Ma che cosa
soggiunge? Proclamarono felice il popolo, che ha questi beni 15. Ma chi sono quelli che lo
proclamarono? I figli altrui, gli stranieri, non appartenenti alla discendenza d’Abramo:
proprio essi proclamarono beato il popolo che ha tali beni. Chi sono coloro che lo hanno detto?
Coloro la cui bocca ha proferito la vanità. È quindi vano proclamare beati coloro che hanno
quei beni. Tuttavia però è proclamato da coloro, la cui bocca ha proferito la vanità. Da essi
sono chiamate ricchezze queste che si chiamano mammona ingiusta.
Le vere ricchezze.
5. 6. Tu invece che dici? Poiché i figli altrui, la cui bocca ha proferito la vanità, hanno detto
essere beato il popolo che ha questi beni, tu che cosa dici? Se queste ricchezze sono false,
dammi quelle vere. Se biasimi queste ricchezze, mostrami quelle che lodi. Se m’imponi di
disprezzare queste, mostrami che cosa dovrei preferire. Te lo dirà lo stesso salmo. Proprio
esso che ci ha detto: Proclamarono beato il popolo che ha questi beni, ci dà la risposta, come se
ad esso, cioè a quel salmo, avessimo detto: “Tu ci hai tolto le ricchezze, ma non ci hai dato
nient’altro; ecco, se disprezzeremo queste ricchezze, come vivremo? Come saremo felici?
Poiché coloro che hanno parlato così riceveranno la felicità da loro stessi. Hanno infatti
proclamato felici gli uomini che posseggono le ricchezze. Ma tu che dici?”.
6. 6. Il salmo, come se gli fosse stata rivolta una simile domanda, risponde e dice: “Essi
dicono che i ricchi sono felici, io invece dico: Beato il popolo che ha come suo Dio il Signore 16“.
Hai sentito quali sono le vere ricchezze, cerca di farti degli amici con la mammona ingiusta
e sarai popolo beato il cui Dio è il Signore. Alle volte passiamo per la strada e vediamo dei
poderi assai ameni e fertili e diciamo: “Di chi è quel podere?”. Ci si risponde: “È di quel
tale”, e noi diciamo: “Beato lui!”; diciamo una vanità. “Beato colui al quale appartiene
quella casa, quel podere, quel bestiame, quel servo, quella famiglia”. Togli via la vanità, se
vuoi sentire la verità. Beato è colui il cui Dio è il Signore. Poiché non è beato colui al quale
appartiene il fondo, ma colui che possiede Dio. Tu però, al fine di dimostrare con la
maggiore evidenza possibile che la felicità consiste nei beni della terra, affermi che ti ha
reso beato il tuo podere. Perché? Perché tu vivi grazie ad esso. Infatti, quando elogi come
una gran cosa il tuo podere, tu dici così: “È esso che mi dà da mangiare; è grazie ad esso
che io vivo”. Ma considera bene in virtù di che cosa tu vivi. Colui grazie al quale tu vivi è
quello al quale tu dici: Presso di te è la sorgente della vita 17. Beato il popolo il cui Dio è il
Signore. O Signore mio Dio, o Signore Dio nostro, rendici felici di te affinché arriviamo fino
a te. Non vogliamo esser beati in virtù dell’oro o dell’argento o di poderi; non vogliamo
esser felici per questi beni terreni pieni di vanità e transitori della vita caduca. La nostra
15 Sal 143, 15. 16 Mt 6, 20. 17 Sal 35, 10.
14
bocca non proferisca la vanità. Facci trovare la felicità in te, perché non ti perderemo.
Quando possederemo te, non solo non ti perderemo ma non periremo neppure noi. Facci
trovare la felicità in te, poiché: Beato è il popolo il cui Dio è il Signore. Dio non si adirerà
neppure se lo chiameremo: “nostro podere”; poiché leggiamo che il Signore è la parte della
mia eredità 18. È una cosa sublime, fratelli miei; non solo siamo sua eredità, ma egli è la
nostra eredità, poiché noi coltiviamo lui ed egli coltiva noi. Non è offesa alcuna per lui il
fatto che ci coltiva. Poiché se noi lo coltiviamo come nostro Dio, egli ci coltiva come suo
campo. E perché sappiate ch’egli ci coltiva, ascoltate Colui ch’egli ci ha inviato: Io sono -
dice - la vite e voi siete i tralci. Il Padre mio è l’agricoltore 19. Egli dunque ci coltiva. Ma solo se
renderemo frutto egli ci preparerà il granaio. Se invece sotto la direzione d’un così grande
coltivatore vorremo essere sterili e, invece di frumento, produrremo spine, non voglio dire
che cosa seguirà, ma terminiamo con la gioia interiore. Rivolti al Signore, ecc.
18 Sal 15, 5. 19 Gv 15, 1.
Lectio divina
15
Agostino
DDiissccoorrssoo 335599//AA
DISCORSO TENUTO A TUNEBA SULLA PAZIENZA LA PARABOLA EVANGELICA
DELL’AMMINISTRATORE INFEDELE.
L’ancora della speranza.
1. Finché siamo in questo mondo, se cerchiamo di rivolgere in alto il nostro cuore, non
subiremo danno per il fatto che il nostro cammino è quaggiù. Noi infatti camminiamo in
basso finché siamo nella nostra carne. Ma se poniamo in alto la nostra speranza è come se
avessimo bene assicurata l’àncora 1. Comunque il resistere alle correnti di questo mondo,
che trascinano, non proviene da capacità nostra ma in virtù di Colui in cui abbiamo fissato
l’àncora, la nostra speranza. Chi ci ha portato a sperare non c’ingannerà, ci darà la
sostanza di ciò che speriamo. Infatti - come dice l’Apostolo - se ciò che si spera è visto non è
più speranza. Quello che uno vede, non c’è bisogno che lo speri. Se invece noi abbiamo speranza di
qualcosa che non vediamo, allora non cessiamo di attenderla con perseveranza 2….
… Se sei straniero sei in terra altrui. E se sei in terra altrui quando il Signore lo comanda
devi partire. Ed è inevitabile che il Signore a un certo punto ti comandi di partire. E non ti
fissa il tempo della permanenza. Non ha preso infatti un impegno scritto con te. Dal
momento che la tua permanenza è gratuita, essa scade al suo comando. Anche queste sono
cose che si devono sopportare e per cui è necessaria la pazienza.
1 Cf. Eb 6, 19. 2 Rm 8, 24-25.
16
Il fattore scaltro e il tempo futuro.
9. Capiva ciò il servo [della parabola] a cui il padrone stava per comandare di uscire
dall’amministrazione. Egli pensò al futuro e disse fra sé: Il mio padrone mi toglie
l’amministrazione. Che cosa farò? A zappare non sono valido, mendicare mi vergogno. Di là lo
respinge la fatica, di qua la vergogna, ma a lui che era perplesso non mancò una
decisione: Ho trovato - disse fra sé - quello che devo fare. Chiamò i debitori del suo padrone,
presentò [loro] le ricevute: Tu, dimmi, qual è il tuo debito? E quello: Cento barili d’olio. Siedi,
presto, scrivi: cinquanta, prendi la tua ricevuta. Poi disse ad un altro: Tu quanto devi? Rispose:
Cento misure di grano. Siedi, presto, scrivi ottanta. Prendi la tua ricevuta . Diceva tra sé:
“ Quando il padrone mi avrà allontanato dall’amministrazione, essi mi accoglieranno
presso di loro e il bisogno non mi costringerà né a zappare né a mendicare 3“.
10. Perché mai il Signore Gesù Cristo raccontò questa parabola? Non certo perché gli
piacesse il servo ingannatore: egli frodava il suo padrone e disponeva di beni non suoi. Per
di più fece un furto sottile: portò danno al suo padrone, per assicurarsi, dopo
l’amministrazione, un rifugio di tranquillità e di sicurezza. Perché il Signore ci pose
davanti agli occhi questo esempio? Non perché il servo frodò, ma perché pensò al futuro;
perché il cristiano che non ha accortezza si vergogni, dal momento che il progetto
ingegnoso è lodato anche nell’ingannatore. Infatti il brano così si conclude: I figli di questo
mondo sono più scaltri dei figli della luce. Compiono frodi per provvedere al loro futuro. A
quale vita pensò di provvedere quel fattore? A quella a cui sarebbe giunto, dopo aver
lasciato la condizione precedente per ordine del suo padrone. Egli provvedeva a una vita
che deve finire e tu non vuoi provvedere a quella eterna? Dunque non amate la frode, ma,
dice: Procuratevi amici con la iniqua mammona, procuratevi amici 4.
Le elemosine. La verifica del proprio compito.
11. ” Mammona ” è il termine ebraico per indicare “ ricchezza ”, e anche qui, in punico, il
lucro è detto mamon. Che cosa dobbiamo fare allora? Che cosa ha comandato il
Signore? Procuratevi amici con l’iniqua mammona, perché, quando verrete a mancare vi accolgano
nelle dimore eterne 5. E` facile dedurne che bisogna fare elemosine, elargire ai bisognosi,
perché in essi è Cristo che riceve. L’ha detto lui: Ogni volta che avete fatto [queste cose] a uno
solo dei miei fratelli più piccoli, le avete fatte a me 6. E dice anche, altrove: Chiunque avrà dato
anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno dei miei discepoli, in quanto mio discepolo, in verità vi
3 Lc 16, 3-7. 4 Lc 16, 8. 9. 5 Lc 16, 9. 6 Mt 25, 40.
17
dico, non perderà la sua ricompensa 7. Abbiamo capito che bisogna fare elemosina senza stare
lì molto a scegliere a chi farla, perché non si può arrivare a un giudizio delle coscienze. Se
la fai a tutti giungerai anche a quei pochi che la meritano. Tu, pensiamo, vuoi praticare
l’ospitalità e prepari la casa per i forestieri. Ebbene, sia ammesso anche chi non ne è degno
perché non sia escluso chi ne è degno. Tu non puoi essere giudice ed esaminatore delle
coscienze. D’altra parte, anche se tu potessi discriminare: “ Costui è cattivo, costui non è
buono ”, io aggiungerei: “ Potrebbe perfino essere un tuo nemico ”. Se il tuo nemico ha fame
dagli da mangiare 8. Se bisogna fare del bene anche al nemico, quanto più a uno sconosciuto
che, anche se cattivo, non arriva tuttavia ad essere nemico. Noi comprendiamo queste
cose, cioè sappiamo che chi agisce così si procura gli amici che accoglieranno nelle dimore
eterne, quando si sarà esonerati da questa “ amministrazione ”. Siamo tutti come dei
fattori infatti e ci è stato affidato qualcosa da fare in questa vita: di questo dobbiamo
rendere conto al grande padre di famiglia. E colui a cui è stato affidato di più dovrà
rendere un conto maggiore. La prima lettura che è stata fatta è di spavento a tutti, e specie
a coloro che hanno preminenza sui popoli, siano i ricchi o siano i re, siano principi, siano
giudici, siano anche vescovi o prelati nelle chiese. Ciascuno renderà conto della sua
amministrazione al Padre di famiglia. L’amministrazione che si compie qui è temporanea,
la ricompensa che ti dà l’economo è eterna. Se noi condurremo questa amministrazione
così da renderne conto in modo soddisfacente, possiamo essere sicuri che a incarichi
minori faranno seguito incarichi maggiori. Al servo che gli diede un buon resoconto della
ricchezza che aveva ricevuto da distribuire, il padrone disse: Ora presiederai a cinque fondi 9.
Se ci saremo comportati bene saremo chiamati a incarichi maggiori. Ma poiché è difficile,
in una vasta amministrazione, essere esenti da svariate mancanze, così non bisogna
cessare di fare elemosine, in modo che al momento del rendiconto, non ci troviamo
davanti a un giudice severo ma a un padre misericordioso. Se infatti comincerà a
esaminare una per una le cose, molte ne troverebbe da condannare. Bisogna su questa
terra essere di aiuto ai miseri perché avvenga in noi quello che è stato scritto: Beati i
misericordiosi, poiché di essi Dio avrà misericordia 10. E in un altro luogo: Ci sarà un giudizio
senza misericordia per chi non ha avuto misericordia 11.
La elemosina Dio misura nel cuore.
12. Procuratevi dunque amici 12. Ciascuno faccia secondo la sua possibilità. Nessuno dica:
“ Sono povero ”. Nessuno dica: “ Facciano i ricchi ”. Chi possiede di più dia di più con le
7 Mt 10, 42. 8 Rm 12, 20. 9 Lc 19, 19. 10 Mt 5, 7. 11 Gc 2, 13. 12 Lc 16, 9.
18
sue maggiori sostanze. Ma anche i poveri hanno qualcosa da dare. Zaccheo era ricco 13,
Pietro era povero 14. L’uno acquistò il regno dei cieli con metà delle sue ricchezze. L’altro
lo acquistò ugualmente con una rete da pescatore e una piccola barca. Non c’è
incompatibilità tra i due acquisti: se uno acquistò, l’altro non si trattenne dall’acquistare.
Non è così venale il regno di Dio che si possa verificare il caso che può comprarlo il primo
ma non ne resta per il secondo. Ecco, i nostri padri lo acquistarono e hanno lasciato a noi la
possibilità di acquistarlo. Forse che acquistiamo una cosa diversa? No, si tratta della stessa
cosa. Sempre la si acquista: è offerta in acquisto sino alla fine dei secoli. Non puoi temere
di essere escluso perché aumenta di prezzo. Non può avvenire che tu debba dire: “ Il tale
può fare l’acquisto, ha la somma necessaria: tanto quanto io non ho ”. Ebbene colui che ti
propone l’acquisto risponde così: “ Porta quello che hai. Ti è sufficiente per fare l’acquisto
anche tu ”. Ti ho detto che anche a Pietro fu sufficiente la sola piccola barca che aveva. E fu
sufficiente a quella vedova buttare tra le offerte al tempio due denari 15. Mise due soli
denari e acquistò tutto. Molto aveva messo chi non aveva assegnato nulla a se stessa. E
riguardo a ciò che ho detto prima, che cosa c’è di meno di un bicchiere d’acqua fresca?
Ebbene il regno dei cieli può avere anche quel prezzo. Chi non ha barca e reti, chi non ha le
ricchezze di Zaccheo, chi non ha neppure i due soldi che aveva la vedova, ha almeno un
bicchiere d’acqua fresca 16. Credo che è stato aggiunto “ fresca ” perché non ti preoccupasse la
legna per il riscaldamento. Ma forse al momento non trovi neppure un bicchiere di acqua
fresca da porgere a chi ha sete. Non lo trovi, ma partecipi al disagio dell’assetato. Dio vede
quello che sta nell’intimo, la volontà del tuo cuore, non la possibilità di dare, nelle tue
mani. In questo caso hai acquistato anche tu, va’ tranquillo. Questo possesso si chiama
pace. Pace in terra agli uomini di buona volontà 17.
Ricchezza iniqua.
13. Ma ritorniamo, fratelli, a ciò che avevamo accennato prima. Che cosa significa:
“ Mammona d’iniquità ”? Qual è l’ammonimento che il Signore ci ha voluto dare?
Dobbiamo forse arrivare alla frode per avere ricchezza onde fare elemosina? Molti lo
fanno ma non agiscono bene. Rubano molto e dànno qualcosa, credendo di aver rimesse le
proprie colpe, come se così avessero corrotto il giudice. E` lieto colui a cui tu dai ma
piange colui a cui togli. Dio ha il suo ascolto a pari distanza [tra i due]. Presso di lui non c’è
parzialità 18. E ascolta più quello che si lamenta contro di te che quello che ti ringrazia.
Nessuno dunque, per il fatto che il Signore ha nominato le ingiuste ricchezze, giunga alla
13 Cf. Lc 19, 1-10. 14 Cf. Gv 1, 43. 15 Cf. Lc 21, 4. 16 Cf. Mt 10, 42. 17 Lc 2, 14. 18 Cf. Gv 1, 43.
19
persuasione che per fare elemosina si debba ricorrere a frodi, rapine, spogliazioni o altre
cose illecite. E allora perché ha detto: Fatevi degli amici con l’iniqua mammona 19? Non per
altro, credo, fratelli, se non perché “ l’iniqua mammona ” è semplicemente l’oro, la
ricchezza. Diciamolo in latino: “ ricchezze ”, in modo che possiate capire. Ci sono
ricchezze vere e ricchezze false. L’iniquità denomina ricchezze le ricchezze false, perché le
vere ricchezze si trovano solo presso Dio. Le vere ricchezze le hanno gli angeli che non
hanno bisogno di nessuno. Noi quelle ricchezze che figuriamo di avere, le cerchiamo come
sostegno alla nostra infermità. Se noi fossimo sani, cioè vivessimo nella immortalità che
poi avremo, non cercheremmo queste ricchezze. Queste false ricchezze l’iniquità le chiama
semplicemente ricchezze. Perciò è detto: “ Procuratevi amici con le inique ricchezze ”, non
intendendosi ricchezze adunate con iniquità, ma ricchezze che l’iniquità chiama
semplicemente ricchezze, pur non essendo vere ricchezze.
Ricchezza vera.
14. Udite in che modo dall’iniquità sono chiamate ricchezze queste che non sono vere
ricchezze. In un Salmo, a un certo punto, un uomo, che geme e vorrebbe essere liberato da
alcuni figli di gente straniera, dice al Signore: Salvami dalla mano di gente straniera, la cui
bocca parla vanità, la cui destra giura il falso. Non parlano che di frodi e alle frodi si
preparano coloro di cui è detto: La loro destra giura il falso. Ma ne chiama o ne definisce
qualcuno frodatore? Niente affatto. Prosegue invece così: I loro figli sono come una
piantagione nuova ben cresciuta, le loro figlie belle, ornate come un tempio. I loro granai sono pieni,
traboccano di frutti di ogni specie, i loro buoi sono ben pasciuti, le greggi feconde si moltiplicano
nelle loro campagne. Nessuna breccia, nessun clamore di guerra nelle loro piazze. Qui è descritta
una grande felicità temporale. Dov’è l’iniquità? Dov’è la vanità? Ascolta quel che
segue: Beato è detto il popolo che possiede questi beni. Ecco, abbiamo individuato l’iniquità: sta
nel fatto di chiamare beato un popolo che abbonda di questi beni. Non videro altra felicità,
non cercarono l’altra felicità, quella vera. Esaurirono tutta la loro capacità di desiderio
nella felicità terrena. Non vollero sollevare il cuore al di sopra. Colui invece che soffre a
causa loro e da loro vorrebbe essere liberato, che cosa dice? Dopo aver parlato dell’iniqua
gente straniera dice: Beato, dissero, il popolo che possiede tali beni, come se gli si domandasse:
“ Ma tu veramente chi devi considerare beato?”. Beato il popolo il cui Dio è il Signore 20. Ecco
le vere ricchezze. Le altre sono ricchezze d’iniquità. Chi dunque possiede quelle ricchezze
inique, si procuri amici prima di uscire da questa amministrazione. Se con esse si sarà
procurato degli amici, le avrà usate bene. Non ha forse ricchezze? Ma egli ha anche altre
ricchezze, quelle vere. Egli considera ricchezza il suo Dio. Ma chi è della terra, calpesta la
terra. E finisce per amare quelle ricchezze. Disse il Signore a un tal ricco che amava molto i
19 Lc 16, 9. 20 Sal 143, 11-15.
20
suoi possedimenti: “ Ami ciò che possiedi? Ebbene trasferiscili dove io ti prescrivo. Non
voglio che tu subisca perdite ”. Come è possibile ciò? Accumulatevi tesori nel cielo, dove ladri
non scassinano né tignola consuma 21. Amando le tue ricchezze le perderai. Trasferiscile dove
non le puoi perdere. Riponile lì dove arriverai anche tu.
La ricchezza e gli amici.
15. Dunque è stato detto: Procuratevi amici con le inique ricchezze, perché essi vi accolgano nelle
dimore eterne 22. Sia spiegato così questo pensiero. Supponi che quella ricchezza
iniquaprovenga da frodi. Se l’è procurata tuo padre con l’usura. Ti ha fatto ricco. Tu certo
non approverai l’usura di tuo padre, non vuoi essere erede dell’iniquità, ma sei erede del
denaro dell’iniquità. Non imiterai tuo padre praticando l’usura. Ma in casa c’è quella
grande ricchezza. Procurati dunque amici con l’ingiusta ricchezza, non in quanto ora tu
compia frodi e dal ricavato di esse elargisca, ma perché tu dia quello che già si trova, per la
frode, ammassato. Se tuo padre sapeva rubare, tu sappi donare.
16. A che cosa si allude quando si parla del cinquanta per cento, dell’ottanta per cento? Il
cinquanta per cento è la metà, e ciò fece Zaccheo: Dò la metà dei miei beni ai poveri 23.
L’ottanta per cento corrisponde a due decime. Infatti dare venti su cento in modo che
rimanga ottanta è dare due decime. Essi usavano dare una decima. Ma il Signore disse nel
Vangelo: Se la vostra giustizia non supererà quella dei farisei e degli scribi, non entrerete nel regno
dei cieli 24. Se dunque la giustizia dei farisei e degli scribi consisteva nel dare una decima,
come può essere superiore la tua se non dài almeno due decime? Superare significa dare
di più.
17. Tu ti procuri dunque degli amici, porti avanti la tua speranza, coltivi il desiderio, tolleri
con pazienza la condizione presente, prospera o avversa, perché cosa da tollerare qui è
anche la felicità, per chi cerca la felicità che sorpassa quella terrena. La si tollera infatti
perché, fino a quando siamo in cammino, va considerato tra i mali tutto ciò che ci trattiene
dal nostro Dio. Sostiene anzi maggior lotta l’animo che combatte contro la felicità, per non
lasciarsene corrompere, che contro la sfortuna per non lasciarsene abbattere. A prezzo di
questa pazienza, finito il mondo o finita la nostra vita, mèta non lontana, al cui termine si
va ciascuno avvicinando, saremo tranquilli nelle dimore eterne, poiché ci siamo fatti degli
amici con “ le ricchezze inique ”.
21 Lc 12, 23; Mt 6, 20. 22 Lc 16, 19. 23 Lc 19, 8. 24 Mt 5, 20.
Lectio divina
21
San Bonaventura
CCoommmmeennttoo aall vvaannggeelloo ddii SSaann LLuuccaa,, XXVVII,, 99--1100
9. Vers. 6) Quello rispose: Cento cadi di olio, con fedele riconoscimento del debito.
Ciascuno, infatti, deve riconoscere con esattezza il proprio debito, perché non si debba dire
di lui, quanto è riportato in Apocalisse capitolo terzo: «Tu dici: sono ricco, mi sono
arricchito e non ho bisogno di nulla; non sai, invece, di essere un infelice, un miserabile, un
povero, un cieco e un nudo». Il cado, poi, è una misura che contiene tre urne; perciò,
afferma li Glossa: «Cado in greco, anfora in latino, è un recipiente che contiene tre urne»
(7). In questo caso, inoltre, viene segnalata l’enormità del debito che ghiaccia il debitore,
poiché, come si dice in Proverbi capitolo ventiduesimo, «chi riceve molto è schiavo
dell’usuraio». - Gli disse: Prendi la tua ricevuta,siediti subito e scrivi cinquanta, per
generoso condono. E, infatti, toglie un grave peso chi prende su di sé metà del carico; ed in
questo si adempie la legge della carità, secondo il passo della Lettera ai Galati ultimo
capitolo: Portate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo».
10. (Vers. 7) Elargisce anche secondo misura, poiché tiene conto dell’ammontare
complessivo del debito; per questo aggiunge: Poi disse ad un altro: Tu quanto devi? Egli
chiede la misura del debito, per poter distribuire misuratamente, poiché, come si dice in
Ecclesiastico capitolo quarantaduesimo, dove ci sono molte mani, fa’ uso delle chiavi e
tutte le cose che darai, contale e pesale, e metti per iscritto quel che dai e quel che ricevi». -
Rispose: Cento cori di grano. Il debitore riferisce una grande quantità, per ottenere un
generoso condono. «Il coro, come dice la Glossa, equivale a trenta moggi» (J), sicché è una
misura più grande del cado. Poiché, quando i doni sono più grandi, deve essere più
piccolo il loro numero, in modo da conservare la donna proporzione, aggiunge: Prendi la
tua ricevuta e scrivi ottanta; la Glossa: «Gli condona la quinta parte» (9).
Benché sembri condonare di meno secondo la proporzione aritmetica, poiché a costui
condona solo la quinta parte, mentre al precedente aveva condonato la metà, tuttavia,
22
secondo la proporzione geometrica, gli condona di più, poiché venti cori di grano sono
una quantità maggiore di cinquanta cadi di olio. Qui, dunque, si dimostra che codesto
amministratore ha operato con generosità, poiché non solo ha condonato molto e a molte
persone, ma anche con moderazione, secondo il passo di Tobia capitolo quarto: «Sii
misericordioso, nella misura in cui ti sarà possibile. Se avrai molto, dona con larghezza; se,
invece, possiederai poco, studiati di donare volentieri anche del poco». Inoltre, in questi
condoni di cinquanta (di venti parti, viene chiaramente rappresentata la piena remissione,
che è frutto di una generosissima misericordia. Infatti, il periodo di cinquant’anni, che
deriva da quello di sette anni moltiplicato per se stesso con l’aggiunta di un’unità, designa
la remissione secondo le sette forme della misericordia. In occasione della sua
designazione, durante il giubileo, avveniva la piena remissione, secondo il passo di
Levitico capitolo venticinquesimo: «Santificherai l’anno cinquantesimo, e annunzierai la
remissione a tutti gli abitanti del tuo paese. Esso, infatti, è l’anno del giubileo», «perché
l’anno cinquantesimo è l’anno del giubileo». Inoltre, codesto numero, aggiunti venti,
diventa settantesimo e rappresenta la piena remissione. In prefigurazione di questo fatto,
il popolo del Signore, dopo essere stato condotto in schiavitù, fu liberato dopo
settant’anni, come si dice in Geremia capitolo ventinovesimo: «Quando sarete per
compiere settant’anni in Babilonia, io vi visiterò e susciterò su di voi la mia parola di bontà
e vi ricondurrò in codesto luogo» ecc.
11. (Vers. 8) Settimo. Quanto alla lodevole discrezionalità nell’attuare k previdenza, si
aggiunge: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con
scaltrezza; la Glossa: «Lo loda, benché colpevole, non per la frode, ma per l’astuzia» (10).
Sicché, per quanto l’amministratore sia spregevole sotto molti aspetti, tuttavia, il suo modo
di provvedere, può essere usato come esempio per gli onesti. Così anche il serpente,
detestabile quando inietta il veleno, è degno di essere imitato dagli uomini migliori, per la
prudenza con cui custodisce la propria testa; per questo, in Matteo capitolo decimo, si
dice: «Siate prudenti come i serpenti, e semplici come le colombe»; così, codesto
amministratore è detestabile perché ha commesso una frode, e perciò si parla di
amministratore disonesto, è da lodare, invece, perché con scaltrezza trovò un rimedio
contro il proprio danno. - E poiché qualcuno si sarebbe potuto meravigliare che il Signore
avesse utilizzato un tale amministratore come esempio di scaltrezza, l’Evangelista
risponde ad una tale perplessità aggiungendo: I figli di questo mondo, verso i loro pari/
sono più scaltri dei figli della luce. Non dice che sono soltanto più scaltri, ma aggiunge che
sono più scaltri nelle cose che riguardano la generazione carnali, così come il gufo e il
gatto vedono nella notte con più nitidezza dell’uomo, non per leggere una lettera, ma per
catturare i topi.
12. Si tratta, in verità, della scaltrezza dello spirito che, nei figli della luce, è superiore a
quella della carne, propria degli uomini carnali, come dice il passo della prima Lettera ai
23
Romani capitolo ottavo: «La prudenza della carne è la morte, mentre quella dello spirito è
vita e pace». Tuttavia, codesta prudenza mondana ha in sé qualcosa che sollecita ed
ammaestra la prudenza divina: così, l’impegno dell’uomo nel cercare di accumulare
denaro, viene utilizzato come esempio per l’uomo che cerca la sapienza; Proverbi capitolo
secondo: «Se invocherai la sapienza e piegherai il tuo cuore alla prudenza, se la cercherai
come si scava alla ricerca di denaro e di tesori, la troverai; allora comprenderai il timore
del Signore e troverai la scienza di Dio». Di conseguenza, poiché nessun vizio distrugge
del tutto le radici della natura, accade che ogni vizioso conservi in sé qualcosa che può
spingere al bene: dalla considerazione di un lascivo, l’uomo può essere sollecitato amore,
dalla considerazione di un avaro, può essere sollecitato all’impegno, dalla consi-derazione
di un superbo alla magnanimità. - Sicché, dall’esempio di questa parabola noi veniamo
istruiti non solo sotto l’aspetto particolare, ma anche sotto quello universale, affinché da
ogni cosa sappiamo trarre un insegnamento, che ci spinga ed orienti verso il bene. Come,
infatti, i santi, pur essendo straordinaria la loro bontà, hanno bisogno che essa venga
testimoniata e tale testimonianza la ricevono dalle persone che sono all’esterno, così tutti i
vizi hanno qualche aspetto in comune con la virtù e la pietà. La virtù è approvata da tutti
all’unanimità, mentre l’empio è da tutti condannato.
Lectio divina
24
Joseph Ratzinger
RREENNDDEERREE PPRREESSEENNTTEE IILL DDIIAACCOONNOO GGEESSÙÙ CCRRIISSTTOO NNEELL
TTEEMMPPOO DDEELLLLAA CCHHIIEESSAA!!
Műnchen, settembre 1977
Lettura: Am 8,4-7; Seconda Lettura: 1 Tm 2,1-8; Vangelo: 1-13
Fratelli e sorelle, cari candidati all’ordinazione!
Le letture di questa XXV domenica dell’Anno e il Vangelo che abbiamo appena ascoltato si
accordano in modo sorprendente con il servizio diaconale per il quale voi, cari amici, in
questo momento e sin da questo momento volete dare la vostra disponibilità.
Ecco che in primo luogo ci chiama la voce entusiasmante e potente del profeta Amos, che i
Padri della Chiesa chiamano “tromba “, una specie di squillo del giudizio che vuole
destarci dal sonno del nostro egoismo, della nostra avidità, della nostra sete di potere. Con
una veemenza inconsueta persino persino per l’Antico Testamento, Amos ha scosso la
coscienza dei ricchi e dei possidenti, li ha sollecitati a prendere coscienza del fatto che un
giorno avrebbero dovuto rendere conto a Dio. Egli era profondamente pervaso dalla
coscienza che tutta quella terra era stata consegnata al popolo d’Israele, che nessuno
poteva averla unicamente per sé, ma che invece il possesso era dato a tutti per un uso
scambievole. E così questa Lettura si collega con la parabola dell’amministratore disonesto
nella quale il Signore vuole renderci consapevoli del fatto che noi tutti siamo solo
amministratori; unico proprietario è Dio. E quello che possediamo è dato a noi tutti
unicamente perché possiamo servircene a beneficio l’uno dell’altro. Il Vangelo ripropone a
noi tutti la domanda se siamo degni dei grandi doni della verità e della vicinanza di Dio
quando non sappiamo amministrare in modo giusto i doni piccoli, vale a dire le cose di
questo mondo.
E tuttavia è nelle parole dell’orazione colletta che ambedue le letture diventano chiare: « O
Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la
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legge...». La vera legge di Dio, che deve governare e purificare il mondo, è l’amore. Essere
cristiani non significa essere legati a tutta una serie di precetti che alla fine nessuno può
più calcolare; essere cristiani significa invece entrare dentro quest’unica cosa, entrare
dentro all’amore che proviene da Dio e che Lui ci ha affidato, e viverlo nella vita
quotidiana, nella molteplicità delle sue esigenze e delle sue forme.
Dietro a tutto questo si riconosce la figura del vero amministratore, dell’amministratore di
Dio veramente fedele, e cioè Gesù Cristo che si è dato per tutti noi. Lui, il Figlio, è
diventato il nostro diacono. Questo è un aspetto centrale del mistero di Gesù Cristo: che il
Signore di noi tutti è diacono, il servitore che sta in mezzo a noi e ci serve, e in questo
modo ci svela il mistero dell’amore di Dio. La grandezza del ministero diaconale che voi
adesso assumerete consiste nel fatto che esso conferisce il mandato di rendere presente il
diacono Gesù Cristo nel tempo della Chiesa. Rendere presente il diacono Gesù Cristo
significa rappresentare e realizzare nella Chiesa il mandato del suo amore. Per questo a
voi è richiesto innanzitutto di continuare a trasmettere i segni dell’amore di Gesù Cristo.
La sollecitudine per i malati e per i sofferenti. Andare loro incontro e dar loro quello che
nessuna medicina e nessuna tecnica può dare: la vicinanza della compassione e della
condivisione, la forza della comprensione, che insegna loro a credere ali a- more di Dio
anche nel dolore; la disponibilità all’aiuto di chi nella compassione fa sì che anche il dolore
abbia un senso e sia degno di essere vissuto. E a voi è richiesto di aver cura e di occuparvi
dei poveri; e anche di accompagnare gli uomini nell’ultimo tratto di strada di questa vita,
come manifestazione del nostro profondo rispetto per il mistero del corpo dell’uomo e
della vita dell’uomo, che è destinata all’immortalità, e come aspetto dell’amore verso
coloro che, nella morte, hanno perduto una parte di sé.
Essere diacono significa rendere presente nella Chiesa, a partire dal Sacramento, il mistero
della diaconia di Gesù Cristo, il suo amore.
Da questo grande contesto, che la Prima Lettura e il Vangelo hanno posto in rilievo
davanti a noi, apparentemente resta fuori il brano tratto dalla Prima lettera a Timoteo. Al
suo centro sta una splendida frase, nella quale emerge tutta la grandezza dell’immagine
cristiana di Dio e dell’uomo: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla
conoscenza della verità ». Dio ama tutti. Non ha figli e figliastri, ma ha cura di tutti, perché
tutti sono sue creature. Perciò la sua salvezza e il suo amore sono per chiunque abbia volto
d’uomo.
Ma proprio per questo la verità del vangelo deve essere annunciata in tutto il mondo.
Perché questo ci dice il testo che abbiamo letto: la salvezza dell’uomo è la verità. Questo è
evidente anche dal punto di vista puramente umano; infatti, se vivo nella menzogna, vivo
contro la realtà, vivo contro me stesso, contro quello che sono veramente. E se vivo contro
la realtà, contro ciò che è più mio, faccio del male a me stesso, sono un essere dilaniato e
distrutto; vuol dire che sono tagliato fuori dalla salvezza.
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Ma potremmo dire altrettanto giustamente: la salvezza è l’amore. Infatti, la disgrazia
dell’uomo è il non essere amato, 1 essere dimenticato, la solitudine che distrugge la sua
vita, che non gli permette di giungere a quel tesoro che si schiude nello stare insieme, nel
mistero dell’amore.
La verità è salvezza, l’amore è salvezza. Non c’è contraddizione, le due cose vanno
insieme perché l’unico Dio è la verità e l’amore. Per questo il profeta ha mosso la sua
critica sociale non a partire da una qualsivoglia ideologia, a partire dall’invidia di chi non
è riuscito a ottenere abbastanza, a partire dal risentimento, ma a partire dalla verità di Dio
che svela l’amore. E il cuore della sua critica è l’accusa agli uomini di avere dimenticato il
giorno sacro del riposo del Signore, il giorno della libertà che egli ha donato a tutti gli
uomini, di non aver voluto riconoscere il ritmo della vita che egli ci ha donato e di averlo
sostituito con il ritmo opposto dell’egoismo, dell’avidità e dell’autoaffermazione.
L’amore di Gesù Cristo non può essere reso presente senza la parola della fede. Le due
cose sono legate l’una all’altra. Tutti i servizi d’amore dei quali prima si parlava - visitare i
malati, prendersi cura dei poveri, consolare gli afflitti, accompagnare gli uomini
nell’ultimo tratto della loro esistenza - tutti questi servizi d’amore non potrebbero esserci
senza la Parola che dà senso e fa diventare certezza l’amore. La verità senza l’amore non
sarebbe verità, ma anche l’amore senza la verità diviene accanita e da ultimo brutale
ideologia, e non può salvare.
Proprio perché voi incarnate il diacono Gesù Cristo, l’amore del Signore che si fa servo,
proprio per questo a voi è richiesto anche il servizio della Parola. Come il servizio
dell’amore diffonde il vangelo, così nel servizio della Parola deve trasparire qualcosa
dell’amore di Gesù Cristo: a scuola, dal pulpito, nella formazione degli adulti, o dovunque
esso sia esercitato.
Tutto il servizio della Parola alla fin fine deve restare ancorato a questa frase: “Dio ama
tutti e vuole che tutti siano salvati”. Questo significa essere diacono: poter rendere
presente nella vita della Chiesa il diacono Gesù Cristo. Noi tutti in questo momento
preghiamo per voi, perché egli benedica il cammino che voi vi siete detti pronti a
percorrere, e perché quel cammino divenga una benedizione per tutta la Santa Chiesa di
Dio. E preghiamo perché si avveri in voi e in noi tutti quello che oggi è detto nella
preghiera finale: «Concedi, Signore, che in noi diventi verità quello che abbiamo ricevuto
nel Sacramento e che professiamo nella fede ».
Lectio divina
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Benedetto XVI
AANNGGEELLUUSS
23.09.2007
Cari fratelli e sorelle!
Questa mattina ho reso visita alla diocesi di Velletri della quale sono stato Cardinale
titolare per diversi anni. È stato un incontro familiare, che mi ha permesso di rivivere
momenti del passato ricchi di esperienze spirituali e pastorali. Nel corso della solenne
Celebrazione eucaristica, commentando i testi liturgici, ho avuto modo di soffermarmi a
riflettere sul retto uso dei beni terreni, un tema che in queste domeniche l’evangelista
Luca, in vari modi, ha riproposto alla nostra attenzione. Raccontando la parabola di un
amministratore disonesto ma assai scaltro, Cristo insegna ai suoi discepoli quale è il modo
migliore di utilizzare il denaro e le ricchezze materiali, e cioè condividerli con i poveri
procurandosi così la loro amicizia, in vista del Regno dei cieli. “Procuratevi amici con la
disonesta ricchezza – dice Gesù – perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle
dimore eterne” (Lc 16,9). Il denaro non è “disonesto” in se stesso, ma più di ogni altra cosa
può chiudere l’uomo in un cieco egoismo. Si tratta dunque di operare una sorta di
“conversione” dei beni economici: invece di usarli solo per interesse proprio, occorre
pensare anche alle necessità dei poveri, imitando Cristo stesso, il quale – scrive san Paolo –
“da ricco che era si fece povero per arricchire noi con la sua povertà” (2 Cor 8,9). Sembra
un paradosso: Cristo non ci ha arricchiti con la sua ricchezza, ma con la sua povertà, cioè
con il suo amore che lo ha spinto a darsi totalmente a noi.
Qui potrebbe aprirsi un vasto e complesso campo di riflessione sul tema della ricchezza e
della povertà, anche su scala mondiale, in cui si confrontano due logiche economiche: la
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logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, che non sono in
contraddizione l’una con l’altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato. La dottrina
sociale cattolica ha sempre sostenuto che l’equa distribuzione dei beni è prioritaria. Il
profitto è naturalmente legittimo e, nella giusta misura, necessario allo sviluppo
economico. Giovanni Paolo II così scrisse nell’Enciclica Centesimus annus: “la moderna
economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si
esprime in campo economico come in tanti altri campi” (n. 32). Tuttavia, egli aggiunse, il
capitalismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica
(cfr ivi, 35). L’emergenza della fame e quella ecologica stanno a denunciare, con crescente
evidenza, che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e
poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della
condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno
sviluppo equo e sostenibile.
Maria Santissima, che nel Magnificat proclama: il Signore “ha ricolmato di beni gli
affamati, / ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,53), aiuti i cristiani ad usare con
saggezza evangelica, cioè con generosa solidarietà, i beni terreni, ed ispiri ai governanti e
agli economisti strategie lungimiranti che favoriscano l’autentico progresso di tutti i
popoli.
Lectio divina
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S. Giovanni Paolo II
DDaallllaa RReeddeemmppttoorr HHoommiinniiss nn.. 1111
L’economia divina ha unito la salvezza e la grazia con la croce
Occorre, quindi, che noi tutti - quanti siamo seguaci di Cristo - ci incontriamo e ci uniamo
intorno a Lui stesso. Questa unione, nei diversi settori della vita, della tradizione, delle
strutture e discipline delle singole Chiese o Comunità ecclesiali, non può attuarsi senza un
valido lavoro, che tenda alla reciproca conoscenza ed alla rimozione degli ostacoli sulla
strada di una perfetta unità. Tuttavia, possiamo e dobbiamo già fin d’ora raggiungere e
manifestare al mondo la nostra unità: nell’annunciare il mistero di Cristo, nel rivelare la
dimensione divina e insieme umana della Redenzione, nel lottare con instancabile
perseveranza per la dignità che ogni uomo ha raggiunto e può raggiungere continuamente
in Cristo. È questa la dignità della grazia dell’adozione divina ed insieme la dignità della
verità interiore dell’umanità, la quale - se nella coscienza comune del mondo
contemporaneo ha raggiunto un rilievo così fondamentale - ancora di più risulta per noi
alla luce di quella realtà che è Lui: Gesù Cristo.
Gesù Cristo è stabile principio e centro permanente della missione, che Dio stesso ha
affidata all’uomo. A questa missione dobbiamo partecipare tutti, in essa dobbiamo
concentrare tutte le nostre forze, essendo più che mai necessaria all’umanità del nostro
tempo. E se tale missione sembra incontrare nella nostra epoca opposizioni più grandi che
in qualunque altro tempo, tale circostanza dimostra pure che essa è nella nostra epoca
ancor più necessaria e - nonostante le opposizioni - è più attesa che mai. Qui tocchiamo
indirettamente quel mistero dell’economia divina, che ha unito la salvezza e la grazia con
la croce. Non invano Cristo disse che «il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne
impadroniscono» (Mt 11,12); ed inoltre che «i figli di questo mondo (...) sono più scaltri dei
figli della luce»(Lc 16,8). Accettiamo volentieri questo rimprovero, per essere come quei
«violenti di Dio» che abbiamo tante volte visto nella storia della Chiesa e che scorgiamo
ancor oggi, per unirci consapevolmente nella grande missione, e cioè: rivelare Cristo al
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mondo, aiutare ciascun uomo perché ritrovi se stesso in Lui, aiutare le generazioni
contemporanee dei nostri fratelli e sorelle, popoli, nazioni, stati, umanità, paesi non ancora
sviluppati e paesi dell’opulenza, tutti insomma, a conoscere le «imperscrutabili ricchezze
di Cristo»(Ef 3,8), perché queste sono per ogni uomo e costituiscono il bene di ciascuno.