L’Ecologia Integrale_1 - Un Paradigma Concettuale
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4/10/2015 L’ecologia integrale/1 Un paradigma concettuale
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L’ecologia integrale/1 - Un paradigma concettuale
a un punto di vista concettuale, papa Francesco assume il termine “ecologia” nonnel significato generico e spesso superficiale di una qualche preoccupazione“verde”, ma in quello ben più profondo di approccio a tutti i sistemi complessi la cuicomprensione richiede di mettere in primo piano la relazione delle singole parti tra
loro e con il tutto. Il riferimento è all’immagine di ecosistema.
L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemiambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione,ecc.) con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica in sensostretto, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasportipubblici. Ancora di più, l’attenzione ai legami e alle relazioni consente di utilizzare l’ecologiaintegrale anche per leggere il rapporto con il proprio corpo (n. 155), o le dinamiche sociali eistituzionali a tutti i livelli: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzionidi una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana [...].In tal senso, l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiungeprogressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia,fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione» (142).
La potenza del paradigma dell’ecologia integrale appare nella sua capacità di analisi, equindi di rintracciare una radice comune a fenomeni che, presi separatamente, nonpossono essere davvero compresi: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale eun’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socioambientale. Le direttrici per lasoluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire ladignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (n. 139). In altreparole, «non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventasempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussionisull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (n. 49).
Il frutto di questa potenza analitica è produrre integrazione anche tra i livelli su cui sigiocano le risposte operative: «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie dirisposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale,all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardodiverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e unaspiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigmatecnocratico» (n. 111).
Questa impostazione permette di integrare e comprendere appienola portata anche dellepiccole azioni quotidiane di attenzione all’ambiente che papa Francesco ci propone:«evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare irifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altriesseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra variepersone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via» (n. 211). Quando partono damotivazioni profonde, questi gesti non sono “ascetici doveri verdi”, ma atti d’amore cheesprimono la nostra dignità.
L’ecologia integrale si rivela altrettanto potente come strumento di analisi delle resistenzeche si oppongono a un’autentica cura della casa comune,. È il caso della logica scientificae tecnologica: la sua applicazione – riconosce a più riprese l’enciclica – ha prodotto risultatistraordinari di miglioramento della vita umana, ma quando viene assuntacome «paradigmaomogeneo e unidimensionale» (n. 106) genera un «riduzionismo che colpisce la vita umanae la società in tutte le loro dimensioni» (n. 107), di cui il degrado ambientale è solo unadelle conseguenze. Ciò che il paradigma tecnocratico perde di vista è proprio lacomplessità dei legami e delle interazioni, che sono invece al centro di uno sguardoecosistemico; ad esempio, «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di esserel’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplicirelazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri»(n. 21).
La seconda resistenza che l’enciclica evidenzia è l’eccesso di antropocentrismo del mondocontemporaneo, che «continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ognitentativo di rafforzare i legami sociali» (n. 116). Solo lo sguardo dell’ecologia integralesfugge alla «schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica che non
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riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valoreall’essere umano» (n. 118); in entrambi i casi, svanisce la responsabilità umana, cheappare invece evidente quando si considera il posto che l’essere umanooccupa nella tramadelle relazioni ecosistemiche.
Infine, l’ecologia integrale smaschera i limiti di iniziative ecologiste troppo settoriali eparcellizzate, che rinunciano ad assumere un’ottica sistemica e «possono finire rinchiusenella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problemaambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, enascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale» (n. 111). Pur con le miglioriintenzioni, il rischio è alimentare una «ecologia superficiale» (n. 59) che finisce per lasciarsicatturare «all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia» (n. 194). Invece, «Unastrategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non bastainserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logicasoggiacente alla cultura attuale» (n. 197).
Giacomo Costa SJ e Paolo Foglizzo
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