LE TECNICHE INVESTIGATIVE ED I PROTOCOLLI DI...

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1 CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA NONA COMMISSIONE – TIROCINIO E FORMAZIONE PROFESSIONALE INCONTRO DI STUDIO COD. 3356 --------------------------------- Roma, 25 - 27 MARZO 2009 LE TECNICHE INVESTIGATIVE ED I PROTOCOLLI DI INDAGINE IN MATERIA AMBIENTALE ED I RAPPORTI CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA. RELATORE dott. Antonio Ardituro Sost. Proc. presso il Tribunale di Napoli Direzione Distrettuale Antimafia

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA NONA COMMISSIONE – TIROCINIO E FORMAZIONE PROFESSIONALE

INCONTRO DI STUDIO COD. 3356 ---------------------------------

Roma, 25 - 27 MARZO 2009

LE TECNICHE INVESTIGATIVE ED I PROTOCOLLI DI INDAGINE IN MATERIA AMBIENTALE ED I RAPPORTI CON LA CRIMINALITA’

ORGANIZZATA.

RELATORE

dott. Antonio Ardituro Sost. Proc. presso il Tribunale di Napoli

Direzione Distrettuale Antimafia

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LE TECNICHE INVESTIGATIVE ED I PROTOCOLLI DI INDAGINE IN MATERIA AMBIENTALE ED I RAPPORTI CON LA CRIMINALITA’

ORGANIZZATA.

Sommario: 1. A’ munnezza è oro. - 2. La Criminalità organizzata e lo smaltimento dei rifiuti: alcune fonti aperte. - 2.1. La relazione del Procuratore nazionale antimafia. - 2.2 La relazione della Commissione Parlamentare Antimafia. - 2.3 La relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. - 2.4 Il rapporto ecomafia di Legambiente – 3. La criminalità organizzata ed il traffico illegale di rifiuti. . - 3.1 Il traffico organizzato di rifiuti – art. 260 D.legs. 152/60 – Il concorso con i reati associativi e con la fattispecie di disastro ex art. 434 c.p. - 4. La criminalità organizzata ed il ciclo legale dei rifiuti. – 5. La legislazione dell’emergenza in Campania e l’istituzione della Procura regionale. Alcune considerazioni in tema di coordinamento investigativo. Il ruolo della D.N.A. e della banca dati Sidda-Sidna – Il traffico organizzato di rifiuti come reato di criminalità organizzata.- 6. Conclusioni - Un catalogo di strumenti investigativi.

§ 1 - A munnezza è oro.

- “Dotto’, a’ munnezza è oro!” – Con questa colorita espressione, un collaboratore di giustizia, riferendosi a fatti di fine anni ’80, con un sorriso beffardo, iniziava la sua narrazione ai magistrati napoletani sulle potenzialità economiche dell’affare rifiuti per la criminalità organizzata. Quella affermazione, all’epoca considerata folcloristica e suggestiva, si è rivelata, con il trascorrere degli anni ed il susseguirsi delle indagini, particolarmente veritiera e capace di dipingere con poche parole un quadro di inquietante commistione fra criminalità organizzata, imprenditoria, politica, malaffare. Indagini complesse nel settore sono state compiute dalla Direzioni Distrettuali Antimafia del meridione, ma il “caso napoletano” o meglio campano, appare quello maggiormente in grado di rappresentare un paradigma per affrontare le diverse angolazioni del tema proposto. Infatti è in Campania che si è assistito, prima e più che in altri luoghi, all’occupazione da parte delle organizzazioni criminali mafioso-camorristiche di interi settori dell’economia, sia nella gestione del ciclo legale dei rifiuti, sia nello smaltimento illecito dei rifiuti speciali e pericolosi. Deve infatti premettersi che le organizzazioni criminali nella consapevolezza, acquisita molto prima di quanto abbiano fatto le istituzioni legali dello Stato, che la “munenzza è oro”, hanno investito sia nel ciclo legale che in quello illegale dello smaltimento dei rifiuti, attraverso accordi corruttivi con pezzi delle istituzioni e dell’imprenditoria nazionale, ed acquisendo nel tempo professionalità in tutti i settori di smaltimento dei rifiuti: solidi urbani, speciali, tossici e pericolosi. Si è accertato che la camorra ha investito in ogni settore del traffico di rifiuti, presentandosi pronta a fronteggiare ogni esigenza del mercato, legale ed illegale:

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• La raccolta, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti industriali, dei rifiuti speciali e dei rifiuti tossici e nocivi;

• la gestione illegale di discariche abusive per lo smaltimento di rifiuti di diverso genere, compreso quelli solidi urbani;

• il controllo del sistema degli appalti pubblici per la raccolta dei rifiuti, per la costruzione delle discariche, e degli impianti speciali di smaltimento;

• la predisposizione delle imprese “mafiose” necessarie a risolvere le situazioni di emergenza, per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento;

• l’offerta delle professionalità utili per la bonifica di zone devastate dalle discariche abusive;

• l’attività illegale di estrazione di materiale da cave o specchi di acqua e la successiva riutilizzazione di tali zone con lo sversamento illegale di rifiuti, così facendo sistema con l’altro grande affare legato al ciclo del calcestruzzo.

Di converso miopia politica e affarismo clientelare hanno caratterizzato l’arretramento degli enti territoriali di fronte al problema smaltimento, con la creazione di una voragine coperta dalla diretta partecipazione della camorra a tali attività economiche. Dunque, deve innanzitutto sfatarsi la diffusa convinzione che quando nel settore dei rifiuti si parla di ingerenze e di interessi della criminalità organizzata, si sta trattando esclusivamente degli sversamenti illeciti in discariche non autorizzate. La mafia e la camorra con i rifiuti hanno sempre da guadagnare e, se sono certamente in grado di garantire gli sversamenti illeciti, con costi evidentemente concorrenziali rispetto alle procedure legali (in particolare per rifiuti speciali e pericolosi), esse hanno anche acquisito, per mezzo di imprese-mafiose professionalità e disponibilità di mezzi, per infiltrare il ciclo legale dei rifiuti. Nel settore degli sversamenti illeciti sono stati monitorati i trasporti di tonnellate di rifiuti speciali e tossici provenienti per lo più dalle imprese industriali del Centro Nord e destinati ad improvvisate discariche della provincia di Napoli e di Caserta. Il territorio cambiava, vecchie cave venivano riempite, e nuove collinette spuntavano, colme di rifiuti e di fusti coperti da terreno ed erbacce1. Con conseguenti falde acquifere contaminate e prodotti della terra avvelenati. In un sistema in cui tutti ricavano un guadagno: l’imprenditore industriale perché riesce a smaltire a prezzi dimezzati, con tanto di documentazione certificante lo smaltimento, l’imprenditore del trasporto perché si garantisce inimmaginabili volumi d’affari, il camorrista perché ricava una fonte irripetibile di guadagno costante (i rifiuti non finiscono

1 Con conseguente demitizzazione del tradizionale codice d’onore propalato per decenni dalla stessa criminalità organizzata, che si è costantemente vantata del consenso fondato sulla teoria della “difesa del propria gente e del proprio territorio”. Le indagini hanno dimostrato in maniera univoca che il clan dei casalesi, per es., formalmente legato alla sua purezza mafiosa, non ha esitato a farsi artefice, mosso da intenti esclusivamente di speculazione e profitto economico, di uno dei più gravi disastri ambientali del nostro Paese, avvelenando i terreni dell’agro aversano, riversando rifuti tossici e pericolosi di provenienza industriale, smaltendo fanghi tossici capaci di inquinare le falde acquifere di una terra fertilissima e fonte di prodotti di altissima qualità come la mozzarella di bufala o il pomodoro sammarzano.

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mai), lontana dagli ordinari controlli delle forze dell’ordine, generalmente impegnate a reprimere i reati “violenti” del clan (estorsioni e fatti di sangue)2. Nel settore del ciclo legale dei rifiuti, la criminalità organizzata ha infiltrato le procedure di aggiudicazione degli appalti, con imprese ad essa collegate o del tutto controllate dai clan3. Come si vedrà, nel tempo il sistema dell’ infiltrazione mafiosa nel ciclo dei rifiuti, si è avvalso di diverse modalità operative, tutte finalizzate a medesimo obiettivo, ma sempre più raffinate. Dallo schema classico dell’impresa amica “imposta” nelle procedure di aggiudicazione o, preferibilmente, nell’affidamento dei subappalti, si è passati alla tecnica del “tavolino” a tre gambe (il politico o funzionario sua espressione, l’imprenditore, il camorrista) quale luogo parallelo e prevalente di determinazione delle scelte dell’ente pubblico; fino a giungere all’impresa mafiosa che oggi appare in grado, grazie alle notevoli disponibilità economiche ed al know-how acquisito di gareggiare e vincere le gare in tutta autonomia, da oligopolista del settore che non teme il confronto con gli altri competitori economici ed imprenditoriali. L’ impresa mafiosa, ormai di terza generazione, ha allontanato completamente da sé, il legame visibile con la sua provenienza criminale ed opera sul mercato forte della sua autonoma capacità imprenditoriale. Intendiamoci: l’emergenza e la crisi sono sempre benvenute, in qualsiasi settore di intervento, per la criminalità organizzata, poiché esse sono sintomo di disorganizzazione, di mancanza di regole, di provvedimenti straordinari da adottare, di necessità imprenditoriali da assolvere in poco tempo, tutte condizioni in cui chi esercita il controllo del territorio e dispone di immense liquidità economiche e finanziarie, riesce a presentarsi come “l’unica soluzione al problema”, di fronte alle incapacità politiche, agli appetiti della burocrazia, ed alle necessità delle imprese produttive. La crisi poi, come puntualmente avvenuto in Campania, richiama interventi emergenziali dal punto di vista istituzionale ed economico: di qui il Commissariato per l’emergenza rifiuti ed un fiume di denaro di volta in volta, per quindici anni, riversato nella disponibilità di funzionari a volte corrotti e spesso incapaci4. Soldi da impiegare nei consorzi, 2 In altre parole, se l’ingresso della camorra nel settore dei rifiuti è determinato dalla ricerca di profitti illeciti, l’incontro con l’impresa avviene perché quell’offerta incontra una corrispondente domanda di servizi illegali, tali da ridurre i costi e, quindi, massimizzare i profitti. L’impresa chiede un servizio alla camorra e la camorra offre tale servizio: essa si fa carico della domanda delle imprese italiane di scaricare sulla collettività e sulle generazioni future il peso economico di una corretta gestione del ciclo dei rifiuti. 3 Nell’ambito di indagini condotte dalle Direzioni Distrettuali Antimafia, si è puntualmente constatato, per esempio che nella documentazione contabile di noti esponenti mafiosi, sequestrata nell’ambito di attività di diversa natura, si rinvenivano documenti da cui emergeva l’incidenza della tangente tratta dal servizio di raccolta degli rsu. Si rilevava da singole investigazioni poi, con significativa regolarità, l’assunzione sistematica di familiari di esponenti di clan camorristici nelle società affidatarie dei servizi; noli, da parte degli enti pubblici, di veicoli di proprietà di persone legate ad affiliati; l’acquisizione della gestione di siti – uso discarica o stoccaggio provvisorio – nella titolarità di persone vicine ai clan. Si accertava la sorprendente identità soggettiva – nel tempo - degli intermediari operanti sul mercato dei rifiuti, già arrestati o indagati, per le relazioni con le organizzazioni mafiose. Si tratta di un quadro talmente pregno di concordanti evidenze indiziarie da poter essere agevolmente sostenuta la tesi che vede nel controllo del ciclo gestionale dei rifiuti uno degli scopi tipici del programma delle organizzazioni mafiose, evidentemente per la sua particolare redditività. 4 Appartiene ormai al notorio giudiziario (e non solo) la critica situazione del ciclo gestorio dei rifiuti in Campania che ha provocato uno stato di emergenza ultra-decennale, a partire dal 1994, data in cui avvenne la

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nel nolo dei mezzi, nella costruzione delle discariche, tutti settori nei quali la concorrenza fra gli imprenditori interessati è stata spiazzata dall’intervento criminale delle imprese della camorra. Recentemente poi, l’emergenza ha ispirato interventi normativi speciali ed eccezionali, di discutibile compatibilità costituzionale, quali quelli del d.l. 90 del 2008 (conv. in l. 123/08) che

nomina del primo Commissario di Governo. Le cause principali alla base della cronica situazione emergenziale sono state individuate da specifiche indagini, evincendosi una assoluta carenza di pianificazione, incapacità – nella migliore delle ipotesi – nell’individuazione di attrezzate discariche, inadeguatezza degli impianti di trattamento dei rifiuti nei sette impianti di produzione di C.D.R. (combustibile derivato dai rifiuti), nei ritardi nella realizzazione dei termovalorizzatori, nelle ostruzioni da parte della popolazioni di alcuni territori e da parte anche della camorra, nei livelli inaccettabili di raccolta differenziata. Dal 1994 ad oggi, l’emergenzialità ha costituito comunque la norma e ne è seguito, quale risultato, la stagnazione dei rifiuti per le strade od in improvvisati siti di stoccaggio provvisorio trasformati, di fatto, in discariche abusive, il tutto con il coinvolgimento degli operatori istituzionali che si ponevano di fatto contra legem. Ne è scaturita una progressiva divergenza tra gli scopi commissariali e la correttezza e legalità dell’azione amministrativa, evincendosi la percezione soggettiva degli amministratori – errata ma ineludibile, essendo condizionata dalla tempistica di intervento e dall’assenza di programmazione – dell’impossibilità di coniugare la tutela delle matrici ambientali e la soluzione delle specifiche singole questioni. Nessun dubbio che in tale situazione risultava naturale l’inserimento dei professionisti, “broker” del settore, di rado estranei agli interessi mafiosi . La percezione dei rischi igienico-sanitari da parte delle popolazioni locali, seppur tardiva e collegata ai soli fenomeni più eclatatanti (ossia la mancata raccolta del rifiuto dal “cassonetto”) alimentava progressivamente il disagio sociale, comprendendosi l’intolleranza della situazione. Tale disagio era tale da trasmodare talora – deve ritenersi per ignoranza – nel rogo dei cumuli di rifiuti, con amplificazione del pericolo sanitario, atteso il rischio di emissioni di diossina. L'emergenza dei rifiuti a Napoli e nella sua regione inizia convenzionalmente l’11 febbraio del 1994, con l'istituzione del primo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 del giorno successivo. Il Governo prendeva così atto dell’emergenza ambientale venutasi a creare nelle settimane precedenti in numerosi centri campani, a causa della saturazione di alcune discariche. Si individuava, per questa ragione, nel Prefetto di Napoli, l’organo di Governo in grado di sostituirsi a livello territoriale a tutti gli altri enti territoriali coinvolti a vario titolo e preposto quindi a gestire i poteri commissariali straordinari. Tra il 1994 ed il 1996 la gestione dell’emergenza rifiuti passò attraverso l’ampliamento della capacità di versamento grazie alla requisizione di diverse discariche private in tutta la regione, poi date in gestione all'Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente. Nel marzo 1996 il Governo interveniva nuovamente nella gestione commissariale del Prefetto individuando la figura commissariale nella persona del Presidente della Regione: al Prefetto rimaneva la gestione del servizio di raccolta, al Presidente della Regionale veniva affidato il compito di redazione del Piano Regionale e per gli interventi urgenti in tema di smaltimento. Nel giugno 1997 era pubblicato il Piano Regionale per lo smaltimento dei rifiuti che prevedeva la realizzazione di due termovalorizzatori e sette impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti. Nel luglio 1998 un’apposita commissione parlamentare constata la permanenza della situazione emergenziale, giudicava insufficienti gli impianti realizzati o individuati e poco collaborative le amministrazioni locali. Nel dicembre 2000, secondo il Prefetto di Napoli, le discariche esistenti sarebbero risultate ormai tutte saturate, il che – unitamente alla mancata individuazione degli impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti – riproduceva la situazione preesistente. All’inizio del 2001 si registrava una nuova pesante crisi risolta solo attraverso la riapertura provvisoria delle discariche di Serre e Castelvolturno e l’invio di circa mille tonnellate al giorno di rifiuti verso altre regioni, quali la Toscana, l'Umbria e l'Emilia Romagna, nonché all'estero, in Germania. Nei due anni successivi entravano in funzione gli impianti di produzione di combustibile derivato a Caivano, Avellino e Santa Maria Capua Vetere (alla fine del 2001), in seguito a Giugliano, a Casalduni e a Tufino (nel 2002), infine a Battipaglia nel 2003. Gli impianti risulteranno peraltro colpevolmente inefficienti. I sette impianti che avrebbero dovuto produrre il combustibile da rifiuto producevano dunque milioni di eco balle, insuscettibili di “termovalorizzazione”, rimanendo giacenti in siti di stoccaggio provvisorio trasformati in discariche spesso abusive. Anche la frazione umida prodotta dagli impianti non risultava nelle specifiche, dovendo dunque essere ugualmente trattata quel rifiuto. In tale contesto si inseriva – come tradizione - la criminalità organizzata, unica in grado di mediare tra le collettività locali e le istituzioni, così garantendosi cospicui profitti a fronte dell’utilizzo di società o terreni riferibili ad esponenti del gruppo. L’emergenza aveva il suo punto più alto a partire dai primi giorni del 2008, quando dal Commissariato si manifestava la volontà di riaprire la mega discarica di Pianura. Sono noti a tutti i disordini e le devastazioni che ne scaturirono e che sono state monitorate anche dal punto di vista investigativo e giudiziario.

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ha istituito la Procura regionale in materia di rifiuti e quello del D.l. 6 novembre 2008, conv. in l. 210/2008 che ha introdotto nuove fattispecie sanzionatorie vigenti solo nei territori in cui vige lo stato di emergenza. Questo dunque il quadro di riferimento della nostra riflessione sul tema in trattazione. Con l’ulteriore precisazione che l’attività di indagine ha scontato per lungo tempo l’assenza di specifici strumenti normativi di contrasto. E’ mancato infatti fino al 2001 un delitto che sanzionasse le condotte principali; l’inquadramento del caso giudiziario nel delitto associativo si presentava particolarmente difficile anche perché i possibili reati-fine di natura ambientale avevano natura di contravvenzioni, residuando solo le ipotesi, assai difficili da provare, di falso e corruzione. Le capacità tecniche più adeguate si rinvenivano nelle sezioni specializzate delle Procure Circondariali che, di converso, erano però ostacolate dalla cronica mancanza di mezzi, da sempre riservati alla Procure presso il Tribunale, ed essendo in nuce minata ogni possibilità di coordinamento sul territorio nazionale. Le competenze alle indagini preliminari nelle Procure presso il Tribunale erano frammentata fra le sezioni assegnatarie dei delitti contro la pubblica amministrazione, ovvero suddivise – a pioggia – tra le diverse sezioni; ed anche quando l’indagine sorgeva direttamente in capo alla D.D.A., per effetto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, essa era condotta da magistrati per un verso privi delle competenze specialistiche per altro orientati generalmente a sottovalutare l’importanza dell’indagine stessa, a fronte di notizie di reato o delazioni collaborative in altri settori criminali. Infine scarse sono sempre state le risorse di polizia giudiziaria nel settore dei rifiuti, ed assai ridotte quelle specialistiche, quali i servizi del Noe dei carabinieri. E’ a partire dall’unificazione degli Uffici di Procura – gennaio 2000 – che è stato più facile coniugare la professionalità dei magistrati addetti alla DDA e dunque in possesso, anche per la consultazione della Banca dati, di conoscenze sull’attività delle imprese mafiose ben oltre i territori di influenza dei singoli clan, con la specializzazione dei magistrati esperti in materia ambientale, con conseguente aumento della capacità di risposta al complesso fenomeno. E grazie all’entrata in vigore del primo delitto ambientale, sanzionante il traffico illecito di rifiuti in forma organizzata, che ha costituito il punto di riferimento normativo per imbastire indagini che avessero fin dall’inizio l’obiettivo di investigare i rapporti fra criminalità organizzata e violazione della normativa ambientale e sui rifiuti, si è assistito ad una vera svolta normativa e nel contrasto investigativo5.

5 Si tratta dell’art. 53/bis del D.Lgs n. 22/97, che è stato introdotto dalla legge 23.03.2001, n. 93 e che oggi è riproposto nell’art. 260 D.lgs. 152/06).

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§ 2 - Criminalità organizzata e smaltimento dei rifiuti: alcune fonti aperte.

Appare utile un primo approfondimento del tema attraverso la consultazione delle cd. fonti aperte, vale a dire gli studi e le istruttorie che organismi istituzionali e scientifici hanno compiuto nel settore. Si tratta di relazioni aperte, cioè pubbliche e consultabili, di cui è utile riportare alcuni stralci. § - 2.1. La relazione del Procuratore nazionale antimafia sulle attività dell’anno 2008. … omissis … La notoria situazione di grave emergenza determinatasi nella regione campana in corrispondenza di una eclatante crisi di funzionalità del ciclo di attività amministrative ed economiche complessivamente finalizzate allo smaltimento dei rifiuti è alla base dell’intervento legislativo di cui al d.l. 23 maggio 2008, n. 92, recante, fra l’altro, significative modificazioni del regime della competenza territoriale per i reati collegati alla gestione dei rifiuti, ma anche, attraverso il richiamo della funzione di coordinamento della Direzione nazionale antimafia, diretta previsione delle infiltrazioni della criminalità organizzata in un settore al quale si riferiscono, anche nel periodo in considerazione, numerose ed importanti iniziative giudiziarie specificamente riferite al contesto territoriale casertano, che il complesso delle acquisizioni investigative (recentemente integrate e rafforzate dall’apporto collaborativo di soggetti a lungo inquadrati in contesti decisionali essenziali alla comprensione della coagulazione degli interessi speculativi facenti capo a gruppi prettamente mafiosi e a soggetti d’impresa dotati di rilevante capacità di influenza delle funzioni pubbliche di controllo) rivela essere il principale teatro dei traffici illeciti in questo settore, largamente permeato dalla presenza di imprese direttamente collegate alle organizzazioni camorristiche ivi operanti, in grado di procurarsi la disponibilità, essenzialmente nell’agro aversano e casertano, dei terreni a destinazione agricola in fatto destinati, con incalcolabili danni ambientali e per la salute pubblica, a consistenti sversamenti di fanghi tossici, gestendo al suddetto fine l’intero ciclo della raccolta e del trasporto dei rifiuti (grazie anche alla contraffazione, con la tecnica cd. del “giro bolla”, della relativa documentazione amministrativa e contabile e all’addomesticamento corruttivo delle funzioni di controllo delle attività dichiaratamente finalizzate al regolare smaltimento e persino al recupero dei rifiuti) . Si tratta di acquisizioni confermative del ruolo di sostanziale egemonia esercitato in tale settore dal cartello mafioso dei casalesi, ma altresì della contestuale operatività del clan dei Belforte di Marcianise. Analoghe presenze mafiose le indagini della direzione distrettuale di Napoli hanno rivelato nella gestione illegale delle attività di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e speciali soprattutto nella zona di Giugliano in Campania e nell’area nolano-vesuviana … omissis … Ci si riferisce alla questione dei rifiuti in Campania che, per le particolari connotazioni di quel territorio dal punto di vista del fenomeno criminale che lo caratterizza, e cioè una camorra sempre più onnivora (specie quella esistente ed operante in Casal di Principe

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– CE, ormai universalmente nota come “Clan dei Casalesi”), non può ritenersi disgiunto dal tema della “ecomafia”; anzi essendo essa la massima espressione di questa. Si diceva nella precedente relazione: “Come ulteriore premessa di carattere generale va detto che oggi, in materia di traffico di rifiuti gestito dalla criminalità organizzata non può negarsi il dominio incontrastato della camorra. E ciò per tutto un insieme di ragioni sia di carattere soggettivo, cioè connesso alla natura stessa di tale organizzazione criminale (che sa muoversi agevolmente in una situazione socio-politico-economica particolarmente degradata e disordinata, fomentando ulteriormente le cause del degrado e del disordine), che di carattere oggettivo, da ricollegarsi alla particolare situazione in cui versa la Regione Campania, e l’interland napoletano in particolare, che rende la camorra particolarmente predisposta a tale tipo di traffici. In detta area del territorio nazionale la c.d. emergenza rifiuti è stata elevata a sistema, grazie ad una perversa strategia politico-economico-criminale che ha fatto sì che la “necessità” di affrontare il contingente col metodo dell’urgenza rispondesse agli interessi, appunto, di centri di potere politico, economico e criminale (leggasi “camorra”). Ne è venuta fuori, conseguentemente, secondo l’ordine naturale delle cose, una sorta di specializzazione della criminalità organizzata campana in tale settore del crimine. Sicchè oggi può in generale affermarsi che la c.d. ECOMAFIA (ovviamente ci si riferisce a questo termine interpretato giusta quanto rilevato in seno alla precedente relazione di questa DNA) veste i panni della camorra. E può affermarsi che, mentre nei tempi passati una buona fetta dell’economia napoletana si basava sul contrabbando, il cui indotto garantiva la sopravvivenza di larghi strati della popolazione, nel presente è l’emergenza rifiuti che svolge lo stesso ruolo. Il che spiega come spesso essa venga creata e mantenuta ad arte. Con la camorra sempre di sottofondo.” … omissis … Quella camorra che, a differenza delle altre organizzazioni criminali sussumibili nella fattispecie dell’art. 416 bis c.p., vere e proprie “mafie d’ordine”, vive e prospera nel disordine, nel caos, per poter poi esercitare quel particolare appeal che attrae cittadini e, qualche volta, pezzi di istituzioni alla disperata ricerca di un modo di risolvere i problemi, normalmente generati dalla camorra stessa. Che tende, per risolverli, una mano la cui stretta costituirà la premessa della presentazione di un conto da saldare, poi. Riposa in tale realtà la specificità della situazione “napoletana”, non riscontrabile nelle altre capitali del crimine organizzato, in particolare i capoluoghi di Sicilia e Calabria, lì dove gli interessi di cosa nostra e ‘ndrangheta nel settore della gestione dei rifiuti si manifestano in ben altra maniera, indirizzandosi soprattutto nelle intromissioni sulla gestione degli appalti riguardanti quell’importante settore. In dette due regioni meridionali, invero, l’attività investigativa svolta ha fatto emergere una duplice strategia delle organizzazioni mafiose che controllano il territorio, consistente non nella materiale gestione ed utilizzazione dello stesso (così trasformatosi in una immensa discarica abusiva), come avvenuto in Campania, bensì:

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1) nel classico sistema della utilizzazione di imprese diretta espressione delle cosche, ovvero ad esse collegate, per la partecipazione alle gare con conseguente estromissione delle altre ditte; 2) nello sfruttamento dei canali che legano le cosche alle amministrazioni locali e/o agli enti che gestiscono particolari aree, sì da pervenire alla creazione di società miste (pubblico+privato) appositamente destinate alla prestazione di servizi in materia ambientale, in funzione delle quali confezionare procedure di aggiudicazione del servizio con esito assicurato (la presenza del “pubblico” può addirittura escludere la gara). In Campania, invece, ha prosperato quel sistema criminale che si fonda sulla dissimulazione della reale natura dei rifiuti, attraverso il meccanismo del “giro-bolla” tanto semplice quanto bisognevole di una non indifferente organizzazione, sì da consentirne la collocazione in zone che, in realtà, non li dovrebbero ricevere, e sulla simulazione della loro sottoposizione ad un trattamento in realtà non perfezionatosi. Sistema che sembra essersi esteso, per imitazione, a macchia d’olio, contaminando strutture pubbliche, per come emerso da recenti indagini che hanno riguardato direttamente l’apposito organismo pubblico istituito per fronteggiare la emergenza rifiuti che ormai dura da anni a Napoli e nel relativo interland. Ed il valore aggiunto del crimine organizzato di tipo mafioso (o, meglio, camorristico) nel settore dei rifiuti è sempre stato dato dal controllo del territorio esercitato dai gruppi criminali che hanno la signoria sulla zona interessata dalle abusive discariche, necessario sia per l’esercizio della attività, che per poter escludere eventuali controlli su quanto versato ed, in primis, quello principale svolto dalla collettività. Collettività che, nei territori controllati dalle organizzazioni camorristiche, o è in parte complice e/o connivente, oppure è a tal punto intimidita da non essere neppur lontanamente in condizioni di manifestare dissenso e di denunziare lo scempio perpetratosi. Il tutto aggravato dalla attività estorsiva spesso compiuta dalle organizzazioni camorristiche a carico delle imprese che si occupano della detta illecita attività, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 260 Dlgs. 152/06, accompagnata dai reati di falso in atto pubblico necessario corollario della medesima. Ed è di fatto avvenuto che l’unico “soggetto” non in condizioni di esercitare il dominio sul territorio è stato quello che avrebbe dovuto essere in condizioni di farlo: lo Stato. Con un disastroso risultato di completo esautoramento del potere pubblico, i cui effetti sono oggi sotto gli occhi del mondo intero. E col corrispondente spazio, allargatosi a dismisura, perché nei vuoti, non di territorio, già occupato, ma di potere, si insediasse stabilmente quell’intreccio definitosi perverso di cui alla precedente relazione. Ove il detto intreccio non dovesse essere spezzato, sarebbe veramente difficile ipotizzare una soluzione del problema senza venire a patti con la criminalità organizzata. Indispensabile sarà, pertanto, oltre che una corretta, sana ed efficiente amministrazione, una accurata ed inflessibile azione repressiva che corra lungo i binari e della lotta alla criminalità organizzata, e della individuazione di eventuali pubblici amministratori infedeli; ed, ancora, delle complicità con l’una e con gli altri delle imprese senza scrupoli. ... omissis …

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Ciò premesso, si rappresentano qui di seguito le più significative attività di indagine eseguite nel territorio nazionale nel periodo di interesse, con un elenco che non è certamente esaustivo, anzi è ben lungi dall’esserlo, ma tuttavia significativo della rilevante mole di lavoro svolto da magistratura e forze di polizia, specializzate e non, per contrastare uno dei fenomeni criminali che maggiormente turbano la collettività nazionale ed internazionale, e che ha portato la U.E. alla adozione di decisioni tali da impegnare e vincolare gli Stati membri a dotarsi di mezzi e strumenti atti a rendere sempre più incisiva e soddisfacente l’azione di contrasto.

• In data 04.07.2007, a seguito di indagini dirette dalla Procura della Repubblica di S. Maria Capua a Vetere, sono stati eseguiti dai Carabinieri n. 38 arresti, e sequestrati impianti industriali essendosi accertato l’abusivo smaltimento di oltre 980.000 tonnellate di rifiuti consistenti soprattutto in fanghi da depurazione provenienti da impianti consortili della regione.

Le accuse contestate agli indagati sono di associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti speciali, disastro ambientale, truffa aggravata e frode nelle forniture.

È stato calcolato che nel solo periodo 2006-2007 i profitti illegali ammontano a circa 7,5 milioni di euro. I fanghi (pericolosi e non) per la maggior parte erano abbandonati in terreni agricoli e corsi d'acqua, oppure interrati in siti non idonei.

• A seguito di indagini dirette dalla DDA di Bari in data 25 settembre 2007 i Carabinieri e gli agenti della Digos hanno eseguito 52 ordinanze di custodia cautelare, emesse dal GIP del Tribunale di Bari per i reati di narcotraffico, estorsioni, rapine, furti, contrabbando di sigarette, riciclaggio, truffa ai danni dell'Inps nel settore agricolo e traffico illecito di rifiuti.

• Quest’ultimo reato è stato contestato essendosi accertato che la organizzazione criminale inquisita – clan “Gaeta” operante soprattutto nel foggiano – ha illecitamente smaltito in Puglia rifiuti provenienti da altre regioni, per un volume complessivo stimato intorno alle 100 mila tonnellate, e con guadagni di almeno cinque milioni di euro. I proventi di tale illecito traffico, poi, venivano investiti in aziende ortofrutticole (di qui anche le truffe all'Inps) e nel traffico di veicoli esteri di grossa cilindrata (per circa sei milioni di euro). Le attività criminali, poi, venivano “garantite” attraverso l’uso della violenza e della minaccia nei confronti di coloro o che denunciavano o che contrastavano il sodalizio.

• In data 09.10.2007, una indagine diretta dalla Procura della Repubblica di Lodi ha portato all’arresto di 11 persone. L'indagine, svolta dal NOE di Milano è iniziata nel settembre 2006 ed ha permesso di scoprire una illecita relazione tra pubblici funzionari in servizio alla Provincia di Lodi (settore tutela dell'ambiente) e imprenditori appartenenti a società dedite alla gestione e intermediazione di rifiuti speciali pericoli, nonché estrazione, trattamento e commercializzazione di sabbia e ghiaia operanti nelle province di Lodi, Como e Piacenza.

• Il 22.11.2007 ha visto soluzione una indagine della Procura della Repubblica di Castrovillari con la esecuzione da parte di Carabinieri di n. 5 ordinanze di custodia cautelare emesse per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico illegale di rifiuti speciali. La attività delittuosa è consistita nell’abusivo trasporto dalla Calabria alla Campania di complessive 25.000 tonnellate di rifiuti speciali trasportati da mezzi pesanti che viaggiavano previa accurata organizzazione del movimento finalizzata ad evitare i controlli da parte delle forze dell’ordine. Indi, grazie alla partecipazione al sodalizio del titolare di una impresa di Polla (SA), i rifiuti venivano abusivamente scaricati nel relativo territorio. L’illecita attività era in corso sin dall’anno 2001.

• L’esecuzione in data 28.02.2008 di n. 4 misure cautelari personali per il delitto di concorso in gestione e traffico illecito di rifiuti, oltre al sequestro di due aziende agricole e di cinque appezzamenti di terreno, costituisce l’esito di una indagine della Procura della Repubblica di Alessandria relativa ad un illecito traffico di rifiuti speciali per 100.000 tonnellate. L'indagine, iniziata nell'aprile 2006 ad opera dei Carabinieri della tutela dell'ambiente di Alessandria, ha permesso di accertare lo spandimento, in varie aziende agricole alessandrine, su una superficie complessiva di mille ettari, di rifiuti speciali non pericolosi costituiti essenzialmente da scarti di lavorazione degli zuccheri. Tra le persone coinvolte anche un funzionario della Provincia di Alessandria. Gli scarti non erano classificati come rifiuti speciali ma "fango di depurazione" e quindi smaltiti come concime su terreni agricoli anziché finire in discarica.

• E’ stata la Procura della Repubblica di Palmi a coordinare la indagine che in data 21.04.2008 ha portato alla emissione di n. 13 ordinanze di custodia cautelare in carcere ed agli arresti domiciliari nei confronti di altrettante persone tratte in arresto in diversi luoghi del territorio nazionale, per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale dei rifiuti. In questo caso la illecita attività consisteva nella esportazione attraverso i porti di Salerno e Gioia Tauro di rifiuti classificati falsamente come materie prime in plastica diretti in Cina ed altri Paesi dell’Estremo Oriente, e quindi utilizzati per la produzione di merci che venivano da lì esportate verso l’Europa. Il tutto scoperto grazie anche ai controlli esperiti sulle merci in arrivo nei container del porto di Gioia Tauro, ed ai diminuiti conferimenti di rifiuti in plastica. A perfetta riprova del perfezionarsi dei sistemi criminali in tema di eco-reati.

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• Di notevole importanza la indagine della DDA di Napoli, “ECO-BOSS”, che ha visto la luce il 26.02.2008 con l’arresto di un presunto appartenente all’area della camorra dei “Casalesi” che smaltiva rifiuti illegali provenienti dal Nord nei campi del casertano dissimulandoli come “compost”. Di importanza perché attraverso tale indagine si dimostra come la camorra non solo s'infiltri nello smaltimento ma gestisce direttamente aziende e discariche abusive. La si evidenzia perché rappresentativa di veri e propri reati di “ECO-MAFIA”, lì dove, cioè, la attività dei clan di matrice camorristica si coniuga con la violazione della normativa in tema di reati ambientali. Oltre agli arresti, i Carabinieri del NOE e del Reparto territoriale di Aversa hanno proceduto al sequestro di tre aziende attive nel settore rifiuti e di alcuni terreni a destinazione agricola dove per anni è stato sversato illegalmente materiale proveniente soprattutto dal nord-Italia, a perfetta riprova di un meccanismo criminale che ormai dura da lungo tempo, proprio per effetto del dominio che sul territorio campano esercitano le organizzazioni camorristiche. I rifiuti erano costituiti, tra l'altro, da fanghi di depurazione, per un quantitativo di oltre 8.000 tonnellate di rifiuti ed un guadagno di circa 400 mila euro. E gran parte del materiale proveniva da aziende della Lombardia. I reati ipotizzati sono di concorso in traffico illecito di rifiuti e truffa aggravata ai danni del Commissario di Governo per l'Emergenza Rifiuti, della Regione Campania e degli Enti locali interessati alla raccolta e allo smaltimento di rifiuti. Nel provvedimento del GIP si è evidenziata la complicità degli organi preposti al controllo o quanto meno il comportamento compiacente ed anche gravemente omissivo pure nell’ambito delle istituzioni. Si legge nel provvedimento del Giudice come vada “rimarcata, in primo luogo, sia la carenza di verifiche che la grande difficoltà nel ricostruire i flussi dei rifiuti da parte delle autorità preposte al controllo, ed in tale contesto non può sottacersi che proprio appartenenti alla pubblica amministrazione in alcune circostanze sono i primi conniventi di queste organizzazioni criminali in quanto ne facilitano l'acquisizione di provvedimenti autorizzativi per impianti fatiscenti e tecnicamente carenti”.

Si sono riportate le superiori testuali parole a perfetto riscontro di quanto in principio rilevato circa la reale entità del fenomeno “ECOMAFIA”, ed in ordine alle ragioni per cui prospera in Campania, ed ai meccanismi criminali su cui si innesta. E corre l’obbligo, a questo punto, non già perché siano emerse dalle indagini implicazioni della criminalità organizzata, bensì perché il procedimento di cui si sta per dire costituisce una valida rappresentazione del contesto in cui i fenomeni criminali di cui si è detto trovano ragione di sviluppo, far riferimento alla complessa indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Napoli nell’ambito del proc. pen. n. 15940/03 R.G.N.R., che ha riguardato l’”emergenza rifiuti” a Napoli e dintorni, nei confronti di ROMITI Pier Giorgio + 32 (oltre che delle imprese IMPREGILO, FISIA, FIBE, ecc., per la responsabilità prevista dalla legge per le persone giuridiche), nell’ambito del quale in data 29.02.2008 il GIP presso il Tribunale di Napoli ha emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti degli imputati cui si addebitano i delitti di frode in pubbliche forniture, inadempimento di contratti di pubbliche forniture, truffa aggravata ai danni della pubblica amministrazione, interruzione di pubblico servizio, abuso in atti d’ufficio, falso in atto pubblico, oltre che varie violazioni dell’art. 256 Dlgs 3 aprile 2006 n. 152 (ovverosia della normativa penale in materia di tutela dell’ambiente). Basta scorrere i capi di imputazione, che in particolare riguardano imprenditori e pubblici ufficiali di alto (in qualche caso massimo) e medio livello, per rendersi conto di quel perverso intreccio di complicità e connivenze, o negligenze estreme e superficialità talmente accentuate da trasformare in dolo (eventuale) quella che inizialmente può apparire quale semplice colpa, di cui all’inizio si diceva, che hanno trasformato la detta emergenza in un vero e proprio meccanismo di locupletazione con il massimo danno per la collettività e l’ambiente,

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in un diffuso sistema di illegalità, in cui la camorra ha trovato il suo humus ideale per porre in essere le proprie condotte criminose. E’ chiaro che sarà il giudizio del Tribunale di Napoli ad individuare specificamente le responsabilità penali ed amministrative delle persone fisiche e giuridiche nei cui confronti si procede, ma al di là di ciò, appare chiaro come il mancato regolare esercizio dei pubblici poteri e dei relativi controlli sia stato uno dei fattori più decisivi per il verificarsi della grave emergenza. § - 2.2 - La relazione della Commissione Parlamentare Antimafia – 20 febbraio 2008. ..omissis … L’analisi delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti in Campania non può prescindere dalla considerazione degli effetti prodotti dall’abnorme perdurare del regime commissariale. Ed infatti, accanto ad una sempre più accentuata egemonia del mercato illecito relativo allo smaltimento dei rifiuti industriali, dove la camorra -soprattutto dell’area casertana- può vantare una indiscussa primogenitura, la condizione emergenziale, che affligge la gestione dei rifiuti solidi urbani in Campania da quattordici anni, ha rappresentato per molti sodalizi camorristici la strada attraverso la quale incrementare stabilmente le proprie fonti di reddito ed accrescere il controllo su territorio ed enti locali. La domanda sempre crescente di erogazione di denaro pubblico, spesso destinato al mero mantenimento delle strutture burocratiche di governo dell’emergenza; la creazione di enti di intermediazione (in primis, i consorzi) sovente rivelatisi impropri ammortizzatori sociali, a causa del pesante fardello di lavoratori non impiegati in alcuna attività connessa al ciclo dei rifiuti; la possibilità di derogare alle regole dell’evidenza pubblica, nell’assegnazione di appalti e contratti; la sovrapposizione di competenze con la conseguente polverizzazione delle fasi decisionali, hanno posto le condizioni perché la criminalità organizzata potesse agevolmente penetrare in tutte gli snodi decisionali e svolgere il proprio ruolo di intermediazione, con particolare riferimento all’erogazione della spesa. Sul versante imprenditoriale, in particolare, le imprese camorristiche hanno colto le opportunità offerte dalla condizione emergenziale sfruttandone i gangli più redditizi: dal trasporto dei rifiuti, soprattutto fuori regione, alla individuazione e compravendita dei siti da destinare alle discariche di servizio e all’impiantistica. Tuttavia, il danno cagionato dall’intreccio fra camorra ed emergenza-rifiuti non si è arrestato alla deviazione, pressoché istituzionalizzata, della spesa pubblica destinata all’avvio di un ciclo industriale dei rifiuti. In questi anni, infatti, il groviglio di interessi e di inefficienze, di mala amministrazione e interessi criminali, proprio della gestione del non-ciclo dei rifiuti, ha esteso le proprie ramificazioni tumorali a tal punto da toccare in modo significativo l’intero sistema politico-economico della Campania, che ha visto nei flussi finanziari connessi all’emergenza-rifiuti un’opportunità di gestione del consenso e di avvio di attività imprenditoriali tanto lucrose quanto di asfittico respiro.

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Non solo. E’ accaduto, infatti, che porzioni anche apicali della pubblica amministrazione e della stessa struttura commissariale, in questa condizione di opacità istituzionale e politica, abbiano concluso con imprese collegate alla criminalità organizzata campana vere e proprie joint ventures, consentendo a queste ultime di sfruttare i canali dell’emergenza anche per i traffici illeciti di rifiuti speciali. Tutto ciò ha condotto inevitabilmente al progressivo incrinarsi del rapporto di fiducia fra comunità locali ed istituzioni. Il potere camorristico, poi, ha finito con l’essere percepito -e spesso sbrigativamente presentato- come la causa ultima dell’emergenza rifiuti, così impedendo una seria analisi delle cause della stessa e quindi un’efficace identificazione dei percorsi di fuoriuscita. L’esito, paradossale ma non inspiegabile, è quello di una camorra che - più che fomentare rivolte di piazza contro l’apertura di discariche e siti di stoccaggio provvisorio - osserva interessata l’evoluzione dell’ennesima emergenza; in attesa di poter approfittare di una fase in cui l’esigenza di interventi rapidi non consente di condurre verifiche approfondite sulla trasparenza delle imprese chiamate a cooperare; in attesa, soprattutto, di potersi presentare agli occhi delle comunità locali come coloro che hanno difeso i territori dall’occupazione da rifiuti. E così rischia di svanire anche la memoria dell’oltraggio compiuto dalla camorra su quegli stessi territori, spesso trasformati in lucrose discariche da rifiuti tossici. … Omissis … Pure preoccupante è quanto è stato acclarato nelle indagini su uno dei settori più lucrosi fra quelli connessi al denaro pubblico e cioè la gestione del sistema rifiuti. Il clan dei casalesi era stato in passato indicato come particolarmente attivo nel trasporto e smaltimento di rifiuti tossici ed erano emersi legami persino fra la massoneria deviata ed il sodalizio, finalizzati a far giungere tonnellate di rifiuti tossici e speciali dal nord al sud. La DDA ha dimostrato come il clan si sia infiltrato anche nel settore della raccolta legale dei rifiuti. E’ emblematica l’indagine sul consorzio di comuni CE 4, operante nei comuni di Mondragone ed in altri del litorale domizio; sono stati arrestati per reati associativi o comunque per delitti collegati alle attività del clan sia gli imprenditori, partner privati della società mista che doveva occuparsi della raccolta dei rifiuti, sia i vertici del Consorzio, sia numerosi affiliati del clan6. Sono state segnalate strane compravendite di terreni nella zona di Villa Literno, terreni successivamente affittati al Commissariato di Governo per il ricovero provvisorio di ecoballe con pagamenti di prezzi molto elevati e senza che il posizionamento dei rifiuti scatenasse alcuna polemica in popolazioni in altre occasioni apparse pronte ad azioni anche di forza per

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Nell’indagine è risultato coinvolto anche il sindaco di Mondragone, di recente dimessosi dall’incarico, che

avrebbe beneficiato durante l’ultima campagna elettorale del sostegno elettorale e di assunzioni di favore da parte del consorzio e della società mista. L’investigazione ha sfiorato anche il Commissariato straordinario di governo per l’emergenza dei rifiuti, nel cui ufficio è risultato essere stato assunto un tecnico sponsorizzato dai vertici della società mista

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evitare aperture di discariche, siti di stoccaccio etc. I soggetti che hanno stipulato i contratti di locazione sono risultati in molti casi imparentati ad esponenti del clan. Si tratta di elementi che, letti unitariamente, dimostrano come il clan dei casalesi abbia ottenuto sistematici vantaggi dalla gestione dell’emergenza rifiuti grazie evidentemente anche a connivenze delle istituzioni politiche e burocratiche. § - 2.3 - La relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti – 13 giugno 2007. … omissis …., emerge come la situazione relativa al ciclo dei rifiuti in Campania presenti segnali di una pericolosa involuzione, che ha determinato il collasso operativo del servizio in questione, con seri rischi per la salute della popolazione. L’ingorgo di competenze istituzionali e le inadempienze di alcune istituzioni locali hanno ormai determinato in alcune realta` territoriali una sostanziale paralisi istituzionale e gestionale. La conseguenza e` che, sul piano delle strategie gestionali, si assiste alla realizzazione di interventi – del Commissariato e della Presidenza della Regione (tuttora responsabile per le attività di bonifica) – spesso rispondenti ad obiettivi non sinergici, e, talvolta, sottoposti a censura da parte della giurisdizione ordinaria ed amministrativa. … omissis … Occorre, inoltre, prendere atto della completa assenza in Campania, anche solo allo stato embrionale, di un ciclo industriale integrato dei rifiuti che preveda – in armonia con le indicazioni della legislazione comunitaria – la priorità delle azioni di prevenzione nella produzione, riutilizzo, riciclaggio del materiale, recupero di energia e smaltimento, al fine di ridurre effetti negativi sulla salute dei cittadini e sull’ambiente. Il mancato avvio di un’adeguata raccolta differenziata, insieme alla perdurante inattività di qualsivoglia sistema di trattamento finale, ha fatto sì che l’unico ciclo operativo fosse quello incentrato sulle discariche e sul connesso sistema di trasporto dei rifiuti, all’interno ed all’esterno dei confini regionali. Un «ciclo», questo, che determina una serie di gravi inconvenienti e non poteva che condurre alla pericolosa involuzione di cui sopra. Per un verso, esso comporta la realizzazione di discariche che, se gestite in modo scorretto (come nel caso di quella di Villaricca, che non ha potuto beneficiare delle necessarie attività di bonifica, in difetto dell’erogazione delle occorrenti risorse finanziarie da parte della Regione, come evidenziato dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Campania, dottor Guido Bertolaso, nella sua audizione dello scorso 3 maggio davanti alla Commissione), sono suscettibili di trasformarsi in fonti di concreto pericolo per la salute delle popolazioni residenti. Per altro verso, è un sistema che impone la ricerca di sempre nuovi siti da adibire a discarica, con i connessi problemi di consenso delle comunità locali (anche alla luce delle conseguenze disastrose per l’ecosistema delle discariche preesistenti). Infine, esso induce a orientare fuori regione lo smaltimento dei rifiuti, tutte le volte in cui e` precluso il ricorso a discariche entro i confini regionali. Purtroppo si deve constatare come la Campania si trovi ormai nella condizione di non poter più ricorrere a nessuna delle pur

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criticabili soluzioni dilatorie sopra indicate: e ciò per l’esaurimento delle discariche esistenti, per l’enorme difficoltà di ricorrere a nuovi siti (con scelte che hanno generato l’opposizione delle comunità interessate, con frequenti ricorsi alle autorità giudiziarie), e per l’impraticabilità dello smaltimento fuori regione, anche per gli elevati costi correlati ad un utilizzo sistematico di tale opzione. Tutto ciò è fonte di pericolo per la salute dei cittadini e delle future generazioni della Campania (come, peraltro, emerso da recenti indagini dell’Istituto Superiore di Sanità); è causa di turbamento per l’ordine pubblico; é all’origine di un’infiltrazione della criminalità organizzata che ha assunto connotazioni pressoché sistemiche. A tale ultimo riguardo, va osservato che un ciclo dei rifiuti che si fonda esclusivamente sulle discariche vive e si alimenta grazie anche al reperimento di siti provvisori e abusivi e alla disponibilità di un sistema di trasporto «informale», modalità che determinano una fortissima presenza della criminalità di stampo mafioso: non può quindi destare meraviglia il fatto che, secondo quanto denunciato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli durante l’audizione davanti alla Commissione dello scorso 24 aprile, la camorra è ormai un soggetto significativamente presente nella gestione del ciclo dei rifiuti in Campania. In tale contesto, le soluzioni da perseguire per scongiurare il rischio incombente di un completo collasso del sistema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti in Campania non possono che partire dai nodi strategico-gestionali. Occorre, in primo luogo, dare uno sbocco al ciclo dei rifiuti diverso dalle discariche: in tal senso un’iniziativa che sappia coniugare gli opportuni strumenti giuridici con le migliori tecnologie è indispensabile per l’attivazione, nel più breve tempo possibile, di impianti di smaltimento, anche in ambito sovra-provinciale. Appare, inoltre, indispensabile adottare soluzioni istituzionali che sappiano coniugare l’esigenza di un coordinamento centralizzato e forte delle scelte strategiche, con un maggiore coinvolgimento delle amministrazioni locali. Discorrere di un’emergenza che si protrae ormai da quattordici anni costituisce un evidente ossimoro. Prendere atto di questa contraddizione di fondo significa, in primo luogo, affrontare la situazione dei rifiuti in Campania nella consapevolezza del carattere strutturale della crisi… omissis … Uno dei maggiori problemi che investono l’«emergenza rifiuti» in Campania e` costituito dall’incertezza sulle competenze attribuite alle singole autorità di governo. Si e` verificato, nei fatti, un vero e proprio ingorgo istituzionale che ha determinato una situazione di paralisi. Gli ordinari circuiti decisionali sono venuti meno ma non sono stati sostituiti da una chiara sequenza decisionale; in particolare, si è registrata – anche sulla scorta di quanto riferito dal Commissario Bertolaso – una impasse determinata dalla convergenza – talora una vera e propria sovrapposizione – di competenze del Dipartimento della Protezione Civile Commissariato, del Ministero dell’Ambiente e della Presidenza della Regione Campania. A siffatta rete di competenze si è aggiunto, a livello esecutivo-gestionale, un ulteriore sistema di interventi, condiviso tra consorzi e comuni, con il conseguente difetto di razionalizzazione dell’impiego delle risorse, talora destinate a supportare iniziative aventi la

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medesima finalità. La preposizione alla gestione del settore, con atti del Governo nazionale, di un Commissario straordinario, che risale ormai al 1996, si è calata, pertanto, in un contesto ordinamentale caratterizzato dalla contestuale presenza di poteri in materia in capo alla Regione, alle Province e ai Comuni. ..omissis … Tale opacità del quadro delle competenze e dei poteri ha avuto come effetto quello di determinare un vuoto decisionale sulle questioni centrali relative all’avvio di un ciclo integrato, creando le condizioni, per un verso, per la strumentalizzazione delle funzioni pubbliche per fini clientelari e, per altro, per l’infiltrazione della criminalità organizzata. … omissis … Da più parti e reiteratamente, si è posto in evidenza come il settore dei rifiuti rappresenti ormai uno dei terreni privilegiati dalla criminalità organizzata per l’investimento dei capitali illeciti, mediante il controllo ovvero la gestione diretta di una porzione rilevante delle imprese del settore; e ciò soprattutto per la bassa incidenza di rischio, dovuta principalmente all’assenza di strumenti repressivi e sanzionatori adeguati … omissis … L’esperienza di questi ultimi anni della Campania ha mostrato, in particolare, un ulteriore profilo di novità: la criminalità organizzata è passata, nel settore dei rifiuti, da soggetto esterno al circuito istituzionale e gestionale, interessato ad inserirsi nei canali di erogazione della spesa pubblica, a soggetto sempre più presente negli snodi decisionali. Gli elementi informativi assunti durante le audizioni, soprattutto quelle dei magistrati della Procura della Repubblica di Napoli, nonché la documentazione acquisita con riferimento alle indagini che hanno interessato la struttura commissariale, hanno rappresentato un quadro nel quale la criminalità organizzata, soprattutto nella sua articolata dimensione imprenditoriale, ha assunto un ruolo che desta preoccupazione. La gravità di quanto denunciato dai magistrati inquirenti napoletani impone interventi tanto radicali quanto immediati. ... omissis …. Occorre, piuttosto, agire sulle cause, sulle condizioni che hanno favorito questo insano connubio tra segmenti delle istituzioni e apparato criminale nella gestione del ciclo dei rifiuti, o meglio, nella gestione della situazione conseguente al mancato avvio di un ciclo dei rifiuti in Campania. Perché è da questo dato che bisogna prendere le mosse. Al di là delle ragioni che sono al fondo di tale fallimento, l’assenza di un ciclo integrato dei rifiuti ha fatto sì che le discariche divenissero, da elemento accessorio, nodo assolutamente centrale nello smaltimento dei rifiuti. Un ciclo centrato sulle discariche, oltre che contrario alla normativa europea, è in realtà un non-ciclo. Esso rappresenta la perpetuazione del sistema tradizionale di smaltimento dei rifiuti in Campania, con una novità non di poco conto: la possibilità di utilizzare i poteri extra ordinem propri dell’istituto del Commissariamento. Il che ha significato una progressiva estromissione dai circuiti gestionali degli ordinari meccanismi di controllo politico-amministrativi, con il conseguente isolamento della struttura commissariale. L’emergenza nell’emergenza – cioè la vera emergenza, quella determinata dall’esaurimento delle discariche a disposizione – ha, sempre con maggiore frequenza, imposto soluzioni di brevissimo periodo, ed è allora che, sia pure in taluni casi

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e senza connotazioni di sistematicità, la criminalità organizzata si è presentata come uno dei soggetti in grado di offrire risposte immediate. La camorra, infatti, si è da sempre contraddistinta per un controllo di alcune aree del territorio, non disgiunto dalla capacità di influenzare il consenso delle realtà locali. Sicché , nel momento in cui è stato necessario reperire nuovi siti da adibire a discarica e, per giunta, si è scelta la strada di demandare al soggetto privato affidatario la scelta di tali siti, nell’ impossibilita` di attivare i fisiologici meccanismi di coinvolgimento delle comunità, si è, in taluni frangenti, imboccata la scorciatoia del rapporto con quei soggetti che di fatto hanno dato dimostrazione di essere in grado controllare il consenso. Lo scellerato rapporto fra taluni segmenti dell’apparato istituzionale e criminalità organizzata ha assunto, poi, nel caso della Resit (sempre oggetto di investigazioni della Direzione Antimafia del capoluogo partenopeo), connotazioni da vera e propria joint venture allorché a quest’ultima è stata assicurata, con una reiterata attività di falsificazione di atti e documenti amministrativi, la possibilità di sfruttare le discariche anche per smaltire illecitamente rifiuti speciali. In definitiva, un siffatto contesto in cui le scelte sono state di fatto condivise con mediatori sociali non istituzionali, e nel quale si è assistito ad una gestione dei fondi per finalità spesso estranee all’avvio di un ciclo integrato dei rifiuti, ha posto le condizioni perchè quel dissenso, incapace di manifestarsi secondo i canali ordinari, sia esploso talora con connotazioni eclatanti. … omissis … 2.4 – Il rapporto ecomafia 2008 di Legambiente. … omissis … La “Rifiuti Spa” - Sono 600 le ordinanze di custodia cautelare emesse nelle 95 indagini degli ultimi 6 anni contro le organizzazioni criminali. Oltre 4.800 i reati accertati nel 2007 dalle forze dell’ordine per violazione alla normativa sui rifiuti, il 36% dei quali commessi nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa. E una nuova montagna - la nona - con base di tre ettari e alta 1.970 metri fatta di quei rifiuti speciali di cui è certa la produzione ma ignota la destinazione finale, e quindi scomparsi nel nulla. E’ questo il quadro che emerge dall’edizione 2008 deI Rapporto Ecomafla sul ciclo illegale dei rifiuti in Italia, che continua a garantire notevoli profitti alle organizzazioni criminali descritte puntualmente nei documenti istituzionali, , nonostante l’operato sempre più efficace delle forze dell ‘ordine e delle procure impegnate nel contrasto alle loro attività utilizzando l’importante delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti. Le inchieste sull’articolo 260 del Codice dell’ambiente - Con le 21 inchieste del 2007 e le 4 concluse fino all’il marzo 2008 sono diventate 95 le indagini delle forze dell’ordine che hanno contestato l’articolo 260 del Codice dell’ambiente, l’efficace delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, approvato nel marzo 2001 con voto bipartisan in Parlamento. Sono 600 poi le ordinanze di custodia cautelare emesse, 2.186 le persone denunciate e 520 le aziende coinvolte. Il 2007 è stato l’anno che si è contraddistinto per il maggior numero di

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indagini concluse (21). mentre il numero di ordinanze di custodia cautelare emesse è stato di poco inferiore a quello del 2006 (132 contro le 134 dell’anno precedente). Per quanto riguarda la distribuzione territoriale degli uffici giudiziari che hanno coordinato le indagini, si contendono il primato il Centro e il Sud Italia (19 Procure ciascuna, 3 in più rispetto all’anno precedente), tallonate dal Nord con 18 Procure (4 in più rispetto all’anno scorso). Nell’ultimo anno infine non ci sono state novità sul fronte del coinvolgimento di Stati esteri nelle indagini sull‘ organizzazione di traffico illecito di rifiuti: dal 2002 quindi sono sempre 10 le nazioni coinvolte, 4 quelle europee, altrettante quelle asiatiche e 2 quelle africane. Area geografica Procure Procure che hanno condotto le indagini: Alessandria, Bergamo, Bologna, Busto Arsizio (Va), Forlì-Cesena, Genova. Gorizia, Lodi, Milano, Modena. Mondovì (Cn), Monza, Savona, Trieste, Venezia. Verona, Nord 18 Vicenza, Udine Ancona. Camerino (Mc), Cassizzo (Fr), Firenze, Frosinone, Lanciano (Ch), Larino (Cb), Livorno, Lucca, Macerata, Massa Carrara, Orvieto (Tr), Perugia, Pesaro, Centro 19 Rieti. Siena, Spoleto (Pg), Velletri (Roma). Viterbo Bari, Benevento, Castrovillari (Cs), Foggia, Napoli, Nocera Inferiore (Sa). Nola (Na). Palermo. Palmi Paola (Cs), Patti (Me), Salerno, Santa Maria Capua Vetere (Ce), Sassari. Siracusa. Taranto, Trani, Trapani, Sud 19 Torre Annunziata (Na) .- Totale 56 Area geografica Nazioni coinvolte: Europa Austria, Francia, Germania. Norvegia Asia Cina, India, Russia, Siria Africa Liberia. Nigeria - Totale 10 Leggendo le storie illuminate dai fari degli organi inquirenti sono numerosi i dettagli interessanti emersi negli ultimi 12 mesi. Non si può non partire dai quantitativi da record di rifiuti smaltiti illegalmente, come le 98O mila tonnellate dell’indagine “Chernobyl” (svolta dai Carabinieri tutela ambiente e coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere (Ce)) o le 800mila tonnellate di terre da bonifica di sui inquinati e fanghi di depurazione Anche la varietà delle tipologie di rifiuti trafficati è impressionante: si va quelli classici a quelle più impensabili. Tra i primi si possono ricordare le ceneri degli inceneritori (operazione “Girotondo”, Corpo forestale dello Stato e Procura di Viterbo), le polveri di abbattimento fumi degli impianti siderurgici (“Dirty Pack”, Carabinieri tutela ambiente, Polizia provinciale e Procura di Napoli), i fanghi di depurazione e le sempre più ricorrenti terre di bonifica (“Longa manus”, Carabinieri tutela ambiente e Procura di Viterbo). Tra i secondi invece il “car-fluff’ derivante dalla rottamazione dei veicoli fuori uso (“Money fiuff’. Colpo forestale dello Stato e Procura di Verona), le traversine ferroviarie (“Staccionata”, Carabinieri tutela ambiente e Procura di Camerino), le sabbie provenienti dagli impianti di depurazione (“Sabbie mobili”, Carabinieri tutela ambiente e Procura di Velletri (Rm). Anche i profili criminali sono assolutamente diversificati. Si va dagli ecomafiosi storici del Clan dei Casalesi (“Ecoboss”, Carabinieri tutela ambiente, Procura e Direzione distrettuale antimafia di Napoli) a quelli nuovi del clan Gaeta (“Veleno”, Carabinieri tutela ambiente, Digos di Foggia e Procura di Bari). Nelle indagini sulla criminalità ambientale emerge ancora una volta il coinvolgimento dei cosiddetti “colletti bianchi” come il responsabile di un

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laboratorio chimico o il rappresentante di un ente di controllo, come il funzionario della Provincia di Alessandria (“Dolcefango”, Carabinieri tutela ambiente e Procura di Alessandria) o di quella di Lodi (“Gerione”. Carabinieri tutela ambiente e Procura di Lodi). Tra le modalità di smaltimento illegale, oltre a quelle standard di spandimento dei rifiuti sui terreni agricoli, di conferimento nelle cave in “ripristino ambientale” o di miscelazione tra rifiuti pericolosi e non, emergono la combustione illegale dei rifiuti contenenti rame direttamente sui terreni agricoli (“Nerone”, Carabinieri tutela ambiente e Procura di Napoli), lo scarico di acque reflue dai pozzi neri in corsi d’acqua superficiali (“Lucignolo”. Carabinieri tutela ambiente e procura di Forlì - Cesena). La “catena montuosa” dei rifiuti scomparsi - La nuova montagna dì rifiuti speciali comparsa nel 2005 nel nostro Paese è alta poco meno di 2.000 metri. E con questa siamo arrivati alla nona della sempre più raccapricciante catena montuosa di rifiuti che finiscono nel circuito illegale della “Rifiuti spa”. Questo è quanto emerge dall’elaborazione di Legambiente dei dati sui quantitativi di rifiuti speciali prodotti e di quelli effettivamente gestiti nel 2005, riportati nel Rapporto rifiuti 2007 di Apat e Osservatorio nazionale sui rifiuti (Onr). Secondo l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e l’Ozir infatti i rifiuti speciali prodotti in Italia nel 2005 sono stati circa 107,5 milioni di tonnellate - di cui 5,9 pericolosi -, mentre quelli gestiti con operazioni di recupero e smaltimento sono stati 87.8 milioni di tonnellate. La differenza tra questi due dati, pari a 19,7 milioni di tonnellate, ci fornisce il quantitativo di rifiuti di cui è certa la produzione ma assolutamente ignota la destinazione finale, e che è andata a formare una nuova montagna di rifiuti scomparsi nel nulla, con base di tre ettari e alfa 1.970 metri. Se ai quantitativi di rifiuti gestiti mediante operazioni di recupero e smaltimento sono massimo quelli avviati a impianti di stoccaggio e di messa in riserva - pari a poco meno di 13,9 milioni di tonnellate -, la differenza si “ridurrebbe” a circa 5,8 milioni di tonnellate e la montagna di rifiuti comparsa nel 2005 diventerebbe alta “solo” 580 metri. Com’è noto però sommare i rifiuti recuperati e smaltiti a quelli messi in riserva e depositati nei centri di stoccaggio - definiti «un vero e proprio serbatoio di illegalità» dal Ministro dell’interno Giuliano Amato nell’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti dell’8 febbraio 2007 - porta. come ricorda 1o stesso Rapporto rifiuti 2007 di Apat, a una «sovrastima delle quantità di rifiuti complessivamente gestite» e quindi è un’operazione che falsa la contabilità dei rifiuti speciali. La lotta tra clan e magistratura - Continua, nel silenzio, la mattanza ambientale in Campania. Tonnellate e tonnellate di veleni continuano ad essere smaltiti illegalmente in quella che una volta era la Campania Felix. Una vera e propria guerra senza esclusioni di colpi tra clan e forze dell’ordine e magistratura. Una guerra senza vincitori e vinti. Da un lato, una magistratura che con abnegazione risponde agli ecocriminali con numerose inchieste ed operazioni. anche con arresti eccellenti; dall’altro, un lavoro che viene spesso reso inutile visto che i sequestri e i veleni smaltiti rimangono sul territorio ad inquinare le falde acquifere in attesa di essere rimossi e le aree bonificate. Sullo sfondo sempre il clan dei casalesi, la camorra casertana del

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gruppo Schiavone, del controllo militare e politico dei latitanti Michele Zagaria e Antonio lovine. E se nel passato erano attivi nel trasporto e smaltimento dei rifiuti tossici, oggi come rileva la DDA si sono inflltrati, anche nel settore della raccolta legale dei rifiuti solidi-urbani. Nel novembre del 2007, in un ‘inchiesta della DDA di Napoli durata due anni circa, 20 persone vengono accusate a vario titolo di concorso esterno in associazione camorristica, estorsione, truffa e corruzione aggravati dal favoreggiamento della camorra. Camorra, politica e rifiuti. Gestita dal clan la Torre. Una struttura parallela, occulta ma non troppo, che controllava il comune di Mondragone e che attraverso il Consorzio dei Rifiuti Ce4 gestiva il consenso elettorale ed il mercato del lavoro. Dalle attività di indagini è emerso il rilascio sotto pressione del certificato antimafia all’Ecoquattro dei Fratelli Orsi, la società che ha ottenuto l’appalto per la gestione dei rifiuti urbani all’interno del consorzio Ce4; quest’ultimo, operante a Mondragone ed in altri comuni del Litorale Domizio, veniva utilizzato in cambio di appalti come pacchetto di voti per elezioni del consiglio comunale. Finiti in carcere, tra gli altri, Giuseppe Valente. ex presidente del Consorzio Ce4 e Aniello Pignataro affiliato del clan La Torre. Clan che, con il contributo sostanziale dei politici avrebbe operato una “profonda infiltrazione -come ha rivelato la Dda all’interno dell’amministrazione comunale di Mondragone, pressione e infiltrazione che hanno trovato un rilevantissimo ed indispensabile dato di sintesi e di collegamento tra pubblica amministrazione e sodalizio criminale nella figura di Giuseppe Valente”. Era lui il crocevia di politica, boss e imprese. Soprattutto di rifiuti. Avrebbe imposto l’assunzione del figlio di un boss, certo Giacomo Fragnoli, guarda caso come coordinatore della raccolta dei rifiuti, in modo da pilotare al momento opportuno anche l’agitazione dei dipendenti. E nel febbraio 2008 arriva l’operazione “Eco boss”, un’espressione che evoca il connubio tra reati ambientali e malavita organizzata. E il nome adoperato per definire l’indagine dei carabinieri del Noe e del Reparto territoriale di Aversa, che ha portato all’arresto di un presunto boss del clan dei Casalesi, Giorgio Marano, di 48 anni, nonché al sequestro di tre aziende attive nel settore rifiuti e di alcuni terreni a destinazione agricola, dove per anni è stato sversato illegalmente materiale proveniente soprattutto dal nord Italia. I magistrati della Dda di Napoli sottolineano che per la prima volta si sono raccolte le prove di una camorra che non si limita più a infiltrarsi nel settore dello smaltimento ma si trasforma in protagonista dell’attività illecita gestendo in prima persona aziende e discariche abusive. Le indagini si sono basate su intercettazioni risalenti a diversi anni fa e confluite in due importanti inchieste (Re Mida e Terra Bruciata) e nonché su recenti rivelazioni di un pentito, Domenico Bidognetti, cugino del boss Francesco Bidognetti, conosciuto come Cicciotto ‘e Mezzanotte. L’organizzazione, per non sostenere il costo del regolare smaltimento ha simulato nel tempo attività di compostaggio in realtà mai effettuate, smaltendo invece abusivamente, su terreni agricoli rifiuti costituiti, tra l’altro, da fanghi di depurazione, per un quantitativo di oltre 8 mila tonnellate ed un guadagno di circa 400mila euro. Gran parte del materiale hanno sottolineato gli inquirenti - proveniva da aziende della Lombardia. Sono stati sequestrati anche tre vasti appezzamenti di terreno agricolo

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nella provincia di Caserta, e locali in uso a una società di trasporti con tutti gli automezzi utilizzati. I reati ipotizzati sono di concorso in traffico illecito di rifiuti e truffa aggravata ai danni del Commissario di Governo per l’Emergenza Rifiuti, della Regione Campania e degli Enti locali interessati alla raccolta e allo smaltimento di rifiuti. … omissis …

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§ 3 – La criminalità organizzata ed il traffico illegale di rifiuti.

Come si è evidenziato, rilevanti interessi della criminalità organizzata sono stati riscontrati nel settore del traffico illegale dei rifiuti. La camorra ha intercettato la pressante domanda di imprenditori ed industriali di procedere allo smaltimento dei rifiuti speciali o tossici a basso costo, mettendo a disposizione un il classico “pacchetto completo”: ricezione dei rifiuti, trasporto, smaltimento, rendicontazione contabile e documentale attestante la legittimità delle procedure eseguite. La notevole disponibilità di mezzi per il trasporto e di ditte compiacenti, la consapevolezza di poter agire nel territorio della provincia di Napoli e di Caserta senza eccessivi controlli, e la concreta possibilità di sversare in terreni abbandonati o di proprietari compiacenti, in cave, o in discariche predisposte per il solo deposito dei rifiuti solidi urbani, la capacità di falsificare fatture, bolle di accompagnamento e documenti, hanno consentito la predisposizione di un servizio assai appetibile per gli imprenditori industriali7, interessati a smaltire a basso costo e senza eccessive formalità burocratiche. Questo pacchetto completo, dunque, è stato fornito grazie a due modalità operative che qualificano la condotta illecita: la cd. declassificazione documentale dei rifiuti e la emissione e utilizzazione di fatture false. La declassificazione documentale consiste nel far perdere, solo dal punto di vista delle certificazioni (dei codici CER), progressivamente al rifiuto la sua natura originaria, per farlo giungere a discarica con le caratteristiche, fittiziamente documentate che ne consentono lo smaltimento. Attraverso il “giro bolla” o la “triangolazione” i rifiuti transitano da uno stoccaggio all’altro o da un impianti all’altro di più regioni, fino a giungere al sito di smaltimento finale come idoneo al trattamento ed alla ricezione. Il rifiuto naturalmente non cambia, non è trattato e non subisce alcuna reale declassificazione; ciò che cambia sono i documenti che lo accompagnano nel lungo viaggio da una regione all’altra del Paese. Alla fine lo smaltimento avviene in violazione della normativa. I reati configurati sono anche quelli di falso dei certificati di analisi – FIR - (falsi materiali), dei documenti di trasporto, e delle bolle di accompagnamento. 7 È ormai acquisita al notorio giudiziario e di studio del fenomeno la nozione di camorra come “una grande agenzia per la produzione di servizi illegali” per i cittadini, gli imprenditori, i politici. Così nella relazione della Procuratore Nazionale Antimafia del 2008: La prima: ogni visione del crimine organizzato campano sotto le insegne dell’emergenza è il frutto di una evidente distorsione della realtà: siamo in presenza di connotazioni strutturali dell’organizzazione sociale ed economica di gran parte del territorio regionale. La seconda: la camorra non svolge semplicemente (né necessariamente) una funzione vessatoria e parassitaria sull’impresa e l’economia legale. Certo, tale dimensione (racket ed usura ne sono le più tipiche espressioni) non manca ed è, anzi, in molte aree presente oltre ogni soglia di tollerabilità, ciò cui corrisponde un’obiettiva esigenza di aggiornata ricognizione del ruolo giocato da quelle tradizionali attività delittuose nei processi di accumulazione finanziaria illegale e di complessiva ristrutturazione della criminalità organizzata e di correlativa intensificazione dell’azione di prevenzione e repressione criminale. Si è in presenza di una gigantesca offerta di servizi criminali che corrisponde e si nutre di una proporzionale domanda di abbattimento dei costi (e dunque di moltiplicazione delle opportunità di profitto) dell’impresa legale (e di una platea ancor più vasta di soggetti più occasionalmente interessati a sfruttare le opportunità del ricorso a pratiche delittuose: dalla partecipazione a truffe in danno di compagnie assicurative alla realizzazione di opere edilizie abusive, dal procacciamento di merci di provenienza delittuosa alla “mediazione” dei conflitti)

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In alcuni casi, invece, l’operazione è stata effettuata con la complicità dei titolari degli impianti intermedi di stoccaggio, che hanno provveduto ad emettere certificati di declassificazione, senza che il rifiuto fosse transitato nell’impianto (falsi ideologici). L’operazione insomma si è avvantaggiata di un nuovo complice, il titolare dell’impianto intermedio, il quale dovrà nel tempo, farsi autore di nuovi reati, volti a crearsi rilevanti “costi” fittizi per giustificare le attività di trattamento mai effettuate. Si è dunque resa necessaria una costante emissione e l’utilizzazione di fatture false, necessarie per la conduzione illecita degli impianti di trattamento rifiuti. In effetti le società operanti in maniera illecita acquisiscono un introito di molto superiore alle uscite e, comunque, di molto superiore ai normali ricavi di mercato per le aziende che operano lecitamente nello stesso settore. Ne deriva pertanto la necessità di determinare un fittizio aumento dei componenti negativi del reddito nel bilancio di esercizio, atto a ridurre l’enorme massa dell’utile scaturente dall’attività realizzata8.

§ 3.1 – Il traffico organizzato di rifiuti – art. 260 D.legs. 152/60 – il concorso con i reati associativi e con la fattispecie di disastro ex art. 434 c.p. L’introduzione, nel marzo 2001 di questo reato ha segnato una sicura svolta nel contrasto ai crimini ambientali ed all’ ecomafia9. Innanzitutto perché si è teorizzato, dal punto di vista normativo, il traffico organizzato di rifiuti e poi perché si è qualificata la fattispecie come delitto, a fronte del precedente catalogo di contravvenzioni che sanzionavano le condotte illecite in materia ambientale. Le ricadute sulle indagini sono state molteplici e di grande rilievo:

• l’evidente maggiore capacità preventiva di una norma sanzionata con la reclusione; • l’allungamento dei termini di prescrizione a fronte di indagini spesso complesse che

possono essere attivate anche a distanza di tempo dal fatto (es. a seguito delle propalazioni di un collaboratore di giustizia);

• la possibilità di attivare intercettazioni di comunicazioni; • la concreta applicabilità dell’aggravante mafiosa dell’art. 7 l. 203/91 (con conseguente

utilizzazione dei vantaggi del “doppio binario”),

8 Queste fittizie operazioni si realizzano, generalmente, per mezzo di società cd. "cartiere”, o mediante il sistema delle operazioni "carosello". Le società cartiere sono inesistenti per il fisco in quanto non presentano le prescritte dichiarazioni, non pagano le imposte o scompaiono poco tempo dopo avere emesso la documentazione fiscale falsa, mentre le imprese "filtro" che partecipano alle operazioni "carosello" si presentano come regolari sotto l’aspetto amministrativo/contabile e fiscale e sono costituite con lo scopo di consentire ulteriori passaggi cartolari delle merci; ciò affinché venga ulteriormente fornita la prova della regolarità all’operazione commerciale, così rendendo più complessa l’individuazione dei flussi illeciti.

9 In effetti l' originario art. 53 bis del Decreto Ronchi è rimasto sostanzialmente immutato anche nel nuovo Testo Unico dell'Ambiente (art. 260)

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• la riconducibilità di tale delitto nel novero dei reati fine di una associazione per delinquere, semplice o di stampo mafioso. In effetti la norma prescinde dalla esistenza di un vincolo associativo, potendo configurarsi anche in capo al singolo o a più soggetti in concorso occasionale fra loro. Si comprende però come, nella generalità dei casi essa si pone invece come estrinsecazione concreta di un programma criminoso stabile e duraturo, spesso di natura mafiosa, che comprende anche la commissione di altri reati, quali quelli legati ai falsi documentali e quelli di corruzione o turbativa degli incanti. Non a caso è stata affermata, senza dubbio, la piena compatibilità di tale delitto con le fattispecie associative, con cui po’ concorrere, pur partecipando essa stessa della natura di “delitto di criminalità organizzata”. Del resto che i delitti possano concorrere, pur denotando alcuni elementi della condotta in comune appare evidente anche dal confronto dei diversi beni giuridici tutelati, quello dell’ambiente e della pubblica incolumità, da un lato e quello dell’ordine pubblico dall’altro10.

La caratteristica precipua di queste organizzazioni è data dal fatto che esse si muovono in ambito illecito, in quanto tutta l’attività del gruppo si contraddistingue per il mostrare totale dispregio della normativa di settore, fraudolento aggiramento dei dettami normativi, e nel procurare un conseguente inestimabile danno ambientale. Il dato allarmante è infatti dato, oltre che dall’estensione dello sviluppo dell’attività criminale, anche dal fatto che il risultato della condotta illecita non è solo l’immediato consistente profitto personale degli indagati ma anche un danno ambientale di notevoli proporzioni. La norma, che dal punto di vista soggettivo richiede il dolo specifico dell’agente, vale a dire il fine di conseguire un ingiusto profitto, patrimoniale o non, derivante dalla violazione delle

10 Così l’ordinanza del Tribunale del Riesame Sezione XII Coll. D del 21.05.03 p.p. n. 764/03 RIMC (..) Ritiene il Collegio che vada confermata la sussistenza dell'ipotesi di concorso tra le fattispecie: l'associazione a delinquere sussiste per il solo fatto della esistenza di un permanente vincolo associativo a fini criminosi, indipendentemente dalla effettiva commissione degli illeciti, essendo sufficiente l'affectio societatis scelerum esteso ad un generico programma delittuoso; il delitto è inoltre caratterizzato dal dolo specifico consistente non solo nella coscienza e volontà di apportare all' organizzazione quel contributo richiesto dalla norma incriminatrice, ma anche dalla consapevolezza di partecipare e di contribuire attivamente con esso alla vita di un'associazione nella quale i singoli associati, con pari coscienza e volontà, fanno convergere i loro contributi, come parte di un tutto, alla realizzazione di un programma comune, ciò discendendo dalla natura di reato a concorso necessario ed a dolo specifico (Cass. 22 aprile 1985, Aslan). La norma di cui all'art. 53 bis d. 19s, 22/1997, invece, è caratterizzata dal dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto e, come in precedenza osservato, è caratterizzato da modalità molto più specificamente individuate: una pluralità di operazioni ed un allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate nell' ambito delle attività elencate aventi ad oggetto ingenti quantitativi di rifiuti (gestione, cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione) (…) Non vi è dubbio che la predisposizione di attività organizzate e continuative, contemplata dall'art. 53 bis d. 19s. 22/1997, possa indurre a ritenere la sussistenza di un concorso apparente tra le fattispecie contestate; tuttavia il diverso atteggiarsi del dolo, la profonda differenza dei comportamenti costitutivi tipici, il diverso bene giuridico tutelato inducono a ritenere la sussistenza di un'ipotesi di concorso materiale, non diversamente atteggiato rispetto alla generale possibilità di concorso tra il reato associativo ed i singoli reati fine. Da ciò consegue l'esclusione del rapporto di specialità tra le due norme, con esclusione dell'applicazione dell'art. 15 c.p. … (omissis …)” L’impostazione è stata condivisa dalla Corte di Cassazione, cfr. Cass. Sezione III n. 428 del 01.04.04.

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regole amministrative che regolano l’attività di gestione dei rifiuti, sanziona, dal punto di vista oggettivo una pluralità di condotte: cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione o, comunque, gestione di rifiuti svolte in modo abusivo, cioè in violazione delle regole amministrative11. Le caratteristiche qualificanti della condotta, che deve in ogni caso sempre concretizzarsi “in più operazioni” e non uno actu, devono però individuarsi nell’ “allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate”. Il delitto, dunque, si manifesta innanzitutto come delitto permanente, caratterizzato da una continuità temporale, non episodica, e da una forma organizzata che si avvalga di un’apprezzabile predisposizione di mezzi. Basta comunque leggere alcune sentenze della Suprema Corte per inquadrare la fattispecie: “(...) Il delitto previsto dall’art. 53/bis del D.Lgs n. 22/97 (introdotto dalla legge 23.03.2001, n.93) riguarda chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, abbia allestito una vera e propria organizzazione professionale con cui gestire continuamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. La gestione dei rifiuti e le altre condotte previste come illecito devono concretizzarsi in più operazioni ed intervenire attraverso allestimento di mezzi e attività continuative organizzate ed entrambi gli aspetti devono configurarsi cumulativamente” - (Cass. Sez. III, 17.1.2002, Paggi). Le condotte sanzionate, a giudizio di questo Collegio, si riferiscono a qualsiasi “gestione” dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) che sia svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia, sicché esse non possono intendersi ristrette dalla definizione di “gestione” delineata dall’art. 6, 1° comma – lett. D), del D.Lgs n. 22/97, né limitare ai soli casi in cui l’attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni. (...) 2.4 correttamente è stata ravvisata la sussistenza dell’elemento della gestione di “ingenti quantitativi” di rifiuti. Il termine “ingente” ha un chiaro significato semantico nel linguaggio comune e –a giudizio di questo collegio – deve riferirsi all’attività abusiva nel suo complesso, cioè al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralità di operazioni (le quali, singolarmente considerate, potrebbero avere ad oggetto anche quantità modeste) e non può essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell’attività di gestione dei rifiuti (in senso conforme vedi Cass., Sez. VI, 13.7.2004, n. 30373, P.M. in proc. Ostuni). (...) 2.5 il reato ipotizzato è punibile a titolo di dolo specifico, in quanto la norma richiede in capo all’agente il fine di conseguire un “profitto ingiusto”. Tale “profitto” non deve necessariamente assumere natura di ricavo patrimoniale, ben potendo lo stesso essere integrato dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura. Non è affatto necessario, però –ai fini della perfezione del reato- l’effettivo conseguimento di un vantaggio siffatto. Nella fattispecie in esame –tenuto conto che l’impresa che conferisce i fanghi normalmente paga i propri conferimenti –un’ipotesi di profitto può ragionevolmente ipotizzarsi non solo in un risparmio di costi nell’effettuazione dei conferimenti ad una ditta riutilizzatrice piuttosto che ad un’altra, ovvero ad un’impresa di gestione di una discarica, ma anche (e ciò, nella specie, assume valenza pregnante) nella stessa possibilità di effettuare conferimenti che non sarebbero possibili, ovvero richiederebbero costi maggiori, in considerazione dell’effettivo grado di pericolosità dei rifiuti che si intende conferire (onde

11 Tali condotte, fra l’altro, se non compite in forma organizzata, rilevano singolarmente nella forma contravvenzionale prevista dall’art. 256 D.lgs. 152/06), con possibile concorso fra i due reati, essendo gli stessi predisposti a tutela di beni giuridici distinti, e cioè la tutela della pubblica incolumità per l’ipotesi di cui all’at. 260, e l’ambiente per il reato di cui all’art. 256. Allo stesso modo sussisterà concorso con altri reati quali quelli sanzionati dall’art. 258 comma 4 Dlgs. 152/06 in relazione all’ art. 483 c.p. nonché quelli di corruzione, danneggiamento, disastro ambientale e di false fatturazioni.

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il vantaggio connesso al mascheramento dei componenti effettivi dei rifiuti medesimi)” - (Cass. Sez. III, sent. nr. 1037 depositata in data 10.11.2005).12 “(...) La questione sollevata dell’art. 53 bis D.L.vo nr. 22/97 merita di essere attentamente esaminata anche alla luce della genesi parlamentare della norma ma soprattutto nel suo tenore letterale, logico e sistematico. L’art. 53 bis del D.L.vo 05/02/1997 n. 22 è praticamente il primo delitto “ambientale” previsto nel nostro ordinamento ed è stato introdotto riproducendo, anche se con alcune modifiche, la fattispecie contenuta nel progetto governativo che prevedeva l’introduzione nel codice penale dell’art. 452 quater; questa disposizione si era resa necessaria perchè la Commissione Ecomafia del Ministero dell’Ambiente aveva ritenuto che l’ipotesi contravvenzionale dell’art. 53 D.L.vo 22/97 si fosse dimostrata di scarsa efficacia general-preventiva rispetto alla invece notevole gravità dell’illecito che si è inteso poi perseguire appunto con l’art. 53 bis citato. Detto delitto si sostanzia nella condotta di “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti..”. Per la sussistenza del reato di cui all’art. 53 bis D.L.vo 22/97 è quindi necessario:

a) l’autore del reato può essere “chiunque”: la pluralità di agenti non è richiesta come elemento costitutivo della fattispecie. Trattasi di una fattispecie monosoggettiva e non di concorso necessario, anche se nella pratica può assumere di fatto carattere associativo e di criminalità organizzata;

b) l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo specifico, ossia il fine di conseguire un ingiusto profitto (ricavi o risparmi nei costi);

c) l’elemento oggettivo consiste in una attività di gestione dei rifiuti “organizzata”, con allestimento dei mezzi necessari, ossia in una attività “imprenditoriale”;

d) l’attività di gestione mira al traffico illecito, come si ricava dal titolo della norma, e può riguardare una o più delle diverse fasi in cui si concreta ordinariamente la gestione dei rifiuti nella fase dinamica (cessione; ricezione, trasporto, esportazione ed importazione), sia interna, che internazionale (le condotte non sono tassative come emerge dall’avverbio “comunque”);

e) l’attività di gestione deve essere caratterizzata non dalla episodicità, ma da una “pluralità di operazioni” e dalla “continuità” in senso temporale: il “traffico illecito” ha senso se è caratterizzato da più operazioni e se presenta un elemento temporale adeguato;

f) il quantitativo di rifiuti deve essere “ingente”: l’interprete dovrà valutare caso per caso questo requisito, traendo elementi di comparazione anche dalle previsioni di reati contravvenzionali in tema di rifiuti (es. art. 51, 2° comma D.L.vo 22/97; art. 51, 3° comma stessa legge) e soprattutto considerando la specificità ed autonomia delle singole figure (art. 51 bis, 52 e 53 D.L.vo 22/97);

g) l’attività di gestione deve essere “abusiva” (mancanza di autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni previste dalla normativa od anche autorizzazioni scadute o palesemente illegittime) con riferimento ad attività organizzata clandestina od anche apparentemente legittime;

h) l’offensività della condotta non riguarda necessariamente la messa in pericolo della incolumità pubblica (questo requisito non è citato nella norma, anzi –come si è detto – non è stato recepito nella forma di un art. 452 quater cod. pen. Tra i delitti contro l’incolumità pubblica, che toccano la integrità fisica delle persone

12 In effetti, quanto all’ingiusto profitto, esso può essere individuato in diverse forme di guadagno o di acquisizione di utilità per effetto della perpetrazione della condotta illecita: può trattarsi di un ricavo in senso tecnico, per effetto della acquisizione di ingenti guadagni per aver per esempio ricevuto grandi quantità di rifiuti da interrare, o per avere compiuto il trasporto di rifiuti tossici o industriali; oppure può consistere in un risparmio di spesa, vantaggio per esempio dell’imprenditore che risparmia, attraverso lo smaltimento illecito, rispetto agli ingenti costi dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani o di quelli speciali e tossici nei centri specializzati; inoltre deve calcolarsi l’omesso pagamento della cd. ecotassa.

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nel loro insieme e la sicurezza della vita), ma certamente attiene –sia pure non ontologicamente ed in modo indiretto – al bene giuridico dell’ambiente (la minaccia grave di un danno ambientale o lo stesso danno ambientale non sono presenti in modo oggettivo ed assoluto, ma eventualmente possono accedere alla attività del colpevole, sicché non costituiscono condizioni di punibilità, dovendo essere (come conseguenza eventuali del reato) accertati caso per caso: il fatto che il legislatore preveda la riduzione in pristino e la eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente nell’art. 53 bis, 4° comma D.L.vo 22/97 non trasforma il reato in reato di danno o pericolo concreto e non riduce le sanzioni amministrative in un obbligo automatico per il giudice (opportunamente il legislatore introduce la clausola “se possibile”).

Il traffico illecito di rifiuti, anche quando organizzato ed abituale, con ingenti quantità di rifiuti, ordinariamente produce un reale pericolo per l’ambiente o di fatto un danno ambientale, tuttavia, si ripete, il reato sussiste quando ne ricorrono i presupposti formali e non è di per se un reato di danno o di pericolo concreto, pur dovendo questi aspetti essere valutati dal giudice quali conseguenze eventuali del reato.” ( Cass. Sez. III nr. 1446 del 16.12.200513). Proprio in relazione al danno, deve evidenziarsi come la giurisprudenza abbia più volte precisato le caratteristiche del danno ambientale che è una conseguenza quasi fisiologica del traffico organizzato di rifiuti14. In particolare la Suprema Corte ne ha evidenziato la triplice dimensione: personale, quale lesione del fondamentale diritto all’ambiente salubre da parte di ogni individuo; sociale, quale lesione del diritto all’ambiente nelle articolazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità umana; pubblica, quale lesione del diritto-dovere pubblico spettante alle Istituzioni centrali e periferiche15. In concreto è evidente che il danno provocato dalla violazione della normativa ambientale si realizza attraverso l’inquinamento dei terreni, la contaminazione delle falde acquifere, l’alterazione della flora e delle coltivazioni, la modifica finanche della linea paesaggistica, con conseguente affiancamento dell’emergenza alimentare a quella ambientale. Il danno ambientale diviene dunque disastro ambientale16, con diretta incidenza sulla salute delle persone ed con il danneggiamento irreversibile di luoghi e di cose17.

13 Rilevano altresì la sentenza, Cass, Sez. 2, Sentenza n. 19839 del 2006, ud. 16.12.2005, sub g, dove si chiarisce il significato di gestione "abusiva", rilevandosi che ricorre il delitto nel caso di attività effettuata senza le autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni previste dalla normativa, o in presenza di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime; la condotta abusiva richiesta per l'integrazione della fattispecie contestata indubitabilmente comprende "oltre quella effettuata senza alcuna autorizzazione, e quella avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa" ( cfr. anche Sez. 3, nn. 40828 e 40827 del 6/10/2005; Sez. 3, n. 12433 del 2006, ud. 15/11/2005), ovvero risultino realizzate mediante "manipolazioni fraudolente dei codici tipologici" (cfr. Sez. 3, n. 45598 del 06/10/2005 14 Una precisa nozione di danno ambientale è di particolare rilievo in relazione alla ammissibilità della costituzione di parte civile da parte delle associazioni e degli enti costituiti a tutela di diversi “interessi ambientali”. 15 (cfr. Cass. Sez. III sent. n. 22539 del 10.06.02, rel. Fiale, imp. P.M. in proc. Kiss Gmunter in RV 221880 e Cass. Sez. III sent. 439 del 19.01.94, rel. Postiglione, imp. Mattiuzzi in RV 197044). 16 Pur non esistendo una norma specifica, il disastro ambientale è sicuramente sanzionato dall’art. 434 c.p. che punisce il pericolo di crollo e “qualsiasi altro disastro” e rappresenta una sorta di “fattispecie di chiusura” del sistema. Si tratta di un reato che tutela la “messa in pericolo” del bene “incolumità pubblica”, indipendentemente dal verificarsi in concreto del danno, il quale però si prefigurato come verosimile per effetto di condotte che mettono a rischio l’incolumità di un numero indefinito di persone. Dunque un reato di pericolo presunto,

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Secondo la Sez. 3, Sentenza n. 9418 del 16/01/2008 Cc. (dep. 29/02/2008 ) Rv. 239160, “Requisito del reato di disastro di cui all'art. 434 cod. pen. è la potenza espansiva del nocumento unitamente all'attitudine ad esporre a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone, sicché, ai fini della configurabilità del medesimo, è necessario un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente immane. (Fattispecie di disastro ambientale caratterizzata da una imponente contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi)”.

Secondo la Corte di Cass., Sez. 4, Sentenza n. 19342 del 20/02/2007 Ud. (dep. 18/05/2007 ) Rv. 236410, “Per la configurabilità del reato di disastro innominato colposo di cui agli articoli 449 e 434 cod. pen. è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti. A tal fine, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere, con valutazione "ex ante", accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l'evento dannoso non si è verificato: ciò perché si tratta pur sempre di un delitto colposo di comune pericolo, il quale richiede, per la sua sussistenza, soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per l'incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno.”

Nella motivazione la Corte dettagliava che “il delitto di disastro colposo innominato - di cui agli artt. 449 e 434 c.p., contestati agli odierni ricorrenti al capo B) dell'imputazione - richiede un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l'incolumità delle persone indeterminatamente considerate al riguardo; è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; ed, inoltre, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere, con valutatone ex ante, accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l'evento dannoso non si è verificato”. E’ dunque sufficiente rilevare “la effettiva capacità diffusiva del pericolo per la pubblica incolumità, dalla quale l'evento, per assumere le dimensioni del disastro, deve essere caratterizzato”; nel procedere a tale valutazione è necessario procedere con “prospettiva ex ante dell'accertamento … al fine di verificare se un certo fatto abbia avuto attitudine a mettere in pericolo un numero non definito di persone e di cose… in quanto essa si pone in logica correlazione con la nozione di pericolo come realtà futura che si presente necessariamente incerta, anche se probabile”.

E’ dunque “corretta la logica conclusione che la prova del pericolo non debba essere traslata da quella dell'avvenuto danno cagionato dalla condotta colposa, in quanto si andrebbe incontro inevitabilmente ad una contraddizione in punto di diritto, quella cioè di travisare la vera natura del delitto di disastro innominato (alias, altro disastro) colposo, di cui all'art. 449 c.p., negandone l'appartenenza al genus

rientrante nella categoria dei reati di pura condotta, ovvero di quelli per i quali si prescinde dalla causazione di un evento, in cui il legislatore anticipa al massimo il momento della punibilità della condotta, in considerazione della estrema rilevanza dei beni tutelati.

Si è correttamente fatto notare, dal punto di vista del pubblico ministero che coordina le indagini che l’iscrizione del delitto ha una sua rilevanza pratica poiché, se congiunta con l’iscrizione del delitto di cui all’art. 416 c.p., consente – per effetto del combinato disposto di cui alle disposizioni ex art. 407 n. 7 c.p.p. - art. 380, lett. l) c.p.p. – una durata dei termini di indagini preliminari prorogabili fino a due anni, investigazioni inoltre segrete entro l’anno, ex art. 405/2 c.p.p. ; e per la prossimità tra il delitto di traffico organizzato di rifiuti con il delitto associativo comune e proprio con il disastro, appare probabile l’iscrizione congiunta dei delitti richiamati. 17 Il legislatore ha esteso l’obbligo del ripristino ambientale anche al reato di cui all’art. 53 bis D.lgs. 22/97, oggi 260 codice dell’ambiente.

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dei delitti colposi di comune pericolo, il quale richiede - per effetto del richiamo alla nozione di altro disastro preveduto dal capo 1^ del titolo 6^ del libro 2^ del codice di rito, del quale fa parte l'art. 434 c.p. - soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per la incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno”.

La sufficienza dell’esposizione al pericolo di un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti, è esplicitamente affermata dalla Corte di Cass. Sez. 4, Sentenza n. 5820 del 03/03/2000 Ud. (dep. 19/05/2000 ) Rv. 216602 , secondo cui “Il delitto di disastro colposo di cui all'art. 449 cod. pen. richiede un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l'incolumità delle persone indeterminatamente considerate al riguardo; è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; ed, inoltre, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, casualmente, l'evento dannoso non si è verificato”.

La delimitazione dell’evento nella fattispecie incriminatrice era ben delineata dalla Sez. 5, Sentenza n. 40330 del 11/10/2006 Cc. (dep. 07/12/2006 ) Rv. 236295 , secondo cui “si identificano danno ambientale e disastro qualora l'attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull'uomo”.

Deve poi essere segnalata l’irrilevanza, per integrare il delitto in contestazione, dell’eventuale coesistenza di altri fattori inquinanti, insistenti nella medesima località, affermando esplicitamente la Corte come tale evenienza imponga una cautela maggiore della previsione: “A fronte di ciò il fatto, evidenziato in ricorso, che nella piana di Acerra insistessero "centinaia" di altre "industrie insalubri", non è argomento escludente ne' attenuante la responsabilità. Da tale circostanza assertivamente notoria sarebbe disceso, al contrario, in ragione del principio di precauzione, un obbligo d'ancora maggiore cautela e di più rigorosa osservanza in termini di legalità delle prescrizioni in materia di raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento dei rifiuti” (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 20370 del 20.4.2006).

Da ultimo, con la sentenza n. 9418, la Corte di Cassazione, Sez. III, 29/02/2008 (conferma Ordinanza del 03/08/2007 Trib. Libertà di Napoli) ha ulteriormente delimitato l’ambito applicativo dell’art. 434 c.p.: “Per configurare il reato di “disastro” è sufficiente che il nocumento metta in pericolo, anche solo potenzialmente, un numero indeterminato di persone. Infatti, il requisito che connota la nozione di ‘disastro” ambientale, delitto previsto dall’art 434 c.p., è la “potenza espansiva del nocumento” anche se non irreversibile, e ì”’attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità”. Nella specie, i Giudici hanno evidenziato una imponente contaminazione di siti realizzata dagli indagati mediante l’accumulo sul territorio e lo sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi. Tali condotte hanno insita una elevata portata distruttiva dello ambiente con conseguenze gravi, complesse ed estese ed hanno una alta potenzialità lesiva tanto da provocare un effettivo pericolo per la incolumità fisica di un numero indeterminato di persone idonee a confermare gli arrestati domiciliari a un imprenditore per Io smaltimento illecito di rifiuti speciali pericolosi. Il termine “disastro” (nella specie ambientale) implica che esso sia cagione di un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità “straordinariamente grave e complesso”, ma non “eccezionalmente immane” (Cassazione Sez. V, n” 40330/2006). Pertanto, “è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone” <Cassazione Sezione 5 sentenza 11486/1989).” Quando la durata in termini temporali e l’ampiezza in termini spaziali delle attività di inquinamento (in specie gestione illecita di rifiuti), giustificano la sussunzione della fattispecie concreta nella contestata ipotesi di reato di disastro innominato; questo delitto comporta un danno, o un pericolo di danno, ambientale di eccezionale gravità non necessariamente irreversibile, ma certamente non riparabile con le normali opere di bonifica.”

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In definitiva può trarsi la conclusione che i reati a fattispecie associativa (416 bis e 416 c.p.), il traffico organizzato di rifiuti (art. 260 t.u. ambiente) ed il disastro ambientale (art. 434 c.p.), sono gli strumenti di diritto sostanziale di più efficace contrasto del fenomeno, da utilizzare in concorso per attivare le indagini più invasive ed utili per l’accertamento dei fatti.

Si tornerà poi sulla natura del delitto di cui all’art. 260, interpretato come reato di criminalità organizzata.

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§ 4 – La criminalità organizzata ed il ciclo legale dei rifiuti. Si è premesso come la partecipazione della criminalità organizzata alle attività economiche connesse alla gestione e smaltimento dei rifiuti non si manifesti solo nel segmento illecito del ciclo dei rifiuti, ma anche in quello legale, attraverso l’infiltrazione delle procedure di appalto, subappalto, nolo, concessione a cui le diverse istituzioni competenti devono assolvere nei diversi ambiti. Il ciclo legale si caratterizza per la necessità di predisporre strutture e mezzi che consentano la raccolta, il trattamento, lo smaltimento dei rifiuti di diversa categoria. Si tratta dunque di affidare numerosi servizi (raccolta, trasporto, differenziazione) la costruzione di opere complesse (discariche, inceneritori, termovalorizzatori), l’effettuazione di lavori integrati (bonifica di aree, recupero di cave inquinate). Nel tempo la presenza mafiosa in questo settore si è rafforzata ed incrementata secondo una progressione che può, in via esemplificativa, ricostruirsi in relazione al passaggio per diverse tecniche di infiltrazione del sistema, dal più semplice al più complesso.

• La prima, più tradizionale ed immediata condotta riscontrata è quella tipica dell’intimidazione mafiosa, e cioè dell’utilizzo della minaccia per ottenere la concessione di servizi e lavori, attraverso la coartazione della libera scelta dei soggetti deputati all’effettuazione delle procedure. Tecnica, questa, molto congeniale ad una certa mafia o camorra degli anni ’80, ma anche molto rischiosa perché esposta comunque all’accertamento attraverso gli ordinari strumenti investigativi (es. intercettazione ed anche, sebbene in casi limite, denuncia della vittima).

• Nel tempo la mafia si è affinata ed ha compreso come il gioco non valesse la candela, e che si presentava molto più sicuro e tale da garantire vantaggi stabili e duraturi, un accordo corruttivo con i funzionari o politici locali, per imporre l’impresa vincente. In una prima fase questa impresa si presentava essenzialmente estranea all’accordo, ed anche al gruppo criminale, ed era assoldata per l’occasione. In cambio garantiva percentuali sugli utili, tangente fissa, assunzione di manodopera, subappalti ad altre imprese individuate dal clan18.

• Questo sistema si è poi evoluto con l’assunzione dell’imprenditore all’interno dell’accordo corruttivo e mafioso, e la sua partecipazione diretta al tavolino a tre gambe, insieme con il mafioso/camorrista e con il politico/funzionario. L’ingresso nel tavolino, però, comporta che l’imprenditore non è più soggetto terzo, titolare di una sua impresa, assoldata dal clan per l’occorrenza. Egli è parte dell’ente mafioso. La sua impresa, se preesistente, viene di fatto acquisita dal clan, che indica le direttive gestionali e procura gli appalti. Altrimenti l’impresa viene creata ad hoc, inserita nel sistema e, dunque, nasce già mafiosa. L’imprenditore è un prestanome e la compagine

18 In questo ambito è apparsa appropriata l’introduzione della fattispecie di reato ex art. 513 bis c.p.

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sociale è generalmente complessa e costituita con altri soggetti, alcuni più direttamente legati al clan (familiari o affini di affiliati).

• Infine, quasi in una sorta di terza generazione, l’impresa mafiosa si presenta oggi in grado di vincere gli appalti ed acquisire le concessioni, presentandosi da sé, come impresa leader del settore, che ha nel tempo, grazie anche alle tecniche sopra indicate, acquisito una esperienza, un curriculum, un know how di primo livello, difficilmente paragonabile a quello di altri competitori. Lunga strada è stata fatta; le società e gli enti economici di riferimento si sono moltiplicati, è scomparsa la presenza di soggetti anche indirettamente riconducibili al clan, al quale sono destinati solo i proventi in maniera difficilmente controllabile. L’impresa mafiosa è in grado poi di fare ricerca, di adeguare i macchinari ed i mezzi alle nuove tecnologie, di investire, poiché ha disponibilità economiche senza limiti, che provengono dalle grandi ricchezze del clan, e sfugge ai gangli dell’ordinario sistema bancario e creditizio al quale, per altro, se necessario, può fornire ogni tipo di garanzia19.

Considerata la schematizzazione operata come una mera semplificazione utile alla comprensione, in un sistema fluido complesso, nell’esperienza investigativa è chiaro che i clan si servono di figure imprenditoriali, inizialmente non riferibili al contesto associativo, che assumono il ruolo dell’ “imprenditore - mafioso”, cioè di colui che, non geneticamente mafioso, viene selezionato dal clan per gestire la specifica attività economica, essendo necessario il suo contributo per le specifiche competenze professionali apportate e per offuscare il fuoco investigavo degli inquirenti. All’imprenditore vittima, dunque, si sostituisce l’imprenditore complice. Si esclude infatti la responsabilità nel caso di imprenditori assoggettati alla organizzazione criminale attraverso un rapporto fondato sulla mera intimidazione e sulla pura coercizione, e che in genere garantiscono al sodalizio la utilità rappresentata dal versamento della tangente o da altro beneficio limitato. Essi restano vittime della organizzazione criminale, a patto di non trarre essi stessi vantaggio dall’azione intimidatoria del clan, per esempio per spiazzare la concorrenza di altre imprese in gara (cfr. 513 bis c.p.). Diverso è il caso in cui l’imprenditore sviluppi un rapporto paritario con il gruppo mafioso, così che l’imprenditore colluso è indotto a cooperare dalla prospettiva di vantaggi economici reciproci e, dopo aver trovato con il mafioso un accordo attivo dal quale derivano impegni reciproci di collaborazione e di scambio, sviluppa all’esterno un tipo di azione dinamica e intraprendente, fino a manifestare una generalizzata disponibilità verso l’organizzazione criminosa, che impone una verifica dello schema entro il quale si colloca la sua responsabilità (416 bis c.p., o 110-416 bis c.p.).

19 E’ facilmente comprensibile come in periodo di profonda crisi economica, quale quello degli ultimi mesi, la forza dell’impresa mafiosa risulti rinvigorita in via esponenziale, rispetto ai periodi di ordinario sviluppo economico.

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E’ chiaro che proprio in un settore come quello dei rifiuti, ove occorre professionalità specifiche, l’accordo politico – mafioso - imprenditoriale rappresenta il fulcro del sistema, ben oltre quanto accada nei tradizionali settori di intervento della criminalità. Si comprende poi come l’indagine si muova come indagini di criminalità organizzata con le difficoltà legate alla necessità di rompere il vincolo dell’omertà, nel caso di specie particolarmente stringente (rinvio alle conclusioni). In uno dei casi giudiziari più volte citati dalle fonti aperte riportate, si è dimostrato come un clan mafioso relativamente modesto avesse pesantemente inquinato l’amministrazione e la politica – non solo locale – sfruttando il potere derivatogli dal consuetudinario monopolio nell’affidamento del servizio di raccolta degli RSU. L’infiltrazione mafiosa si realizzava per mezzo di uno degli strumenti privilegiati, la società mista pubblico-privato, a cui era affidato il servizio di raccolta dei rifiuti concesso da 18 comuni dell’alto casertano, all’interno della quale trovavano sede i concorrenti interessi della politica, dell’imprenditoria e del clan, con l’aggiunta di un ritorno elettorale verso gli sponsor politici garantita dalla clientela che la società riusciva a garantire attraverso le assunzioni. Si assicurava così stabilità politica agli organi locali di rappresentanza, una periodica consistente tangente al clan, e flussi di lavoro costanti per l’impresa. Società miste, consorzi, noli, subappalti, sono i luoghi della infiltrazione e della complicità fra politica, mafia, impresa. Fino a giungere a situazioni territoriali di monopolio, specie in situazioni di emergenza, allorquando il controllo del territorio e la facile disponibilità di terreni da parte della camorra, ha presentato l’impresa mafiosa come l’unica in grado di risolvere la crisi attraverso la rapida costruzione di discariche. O situazioni di oligopolio, in cui si è registrato la concorrenza fra due imprese mafiose, facenti capo a famiglie criminali in concorrenza, il cui conflitto è stato risolto dall’accordo spartitorio fra i clan.

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§ 5 - La legislazione dell’emergenza in Campania e l’istituzione della Procura regionale. Alcune considerazioni in tema di coordinamento investigativo. Il ruolo della D.N.A. e della banca dati Sidda-Sidna – Il traffico organizzato di rifiuti come reato di criminalità organizzata. Nell’ultimo anno si è assistito all’approvazione di una legislazione dell’emergenza in Campania nel settore dei rifiuti. Pur non essendo questa la sede specifica per trattare compiutamente la materia, deve però brevemente darsene conto, per i risvolti che in ogni caso, anche indirettamente, tale legislazione ha avuto sulle indagini di criminalità organizzata in materia di traffico di rifiuti in Campania. E’ nota la previsione del co. 1 dell’art. 3 del d.l. n. 90/08 secondo cui “nei procedimenti riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella Regione Campania, nonché a quelli ad esse connessi a norma dell’art. 12 c.p.p., … le funzioni di pubblico ministero sono esercitate … dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, che dunque ha acquisito una originale competenza regionale, unica nel nostro ordinamento20, con efficacia retroattiva, in quanto se ne prevede espressamente l’efficacia anche sui procedimenti in corso21. Altra norma di originale introduzione è stata quella che ha introdotto il corrispondente Gip/Gup collegiale presso il tribunale di Napoli22. Il provvedimento interferisce con il tema oggetto della presente relazione innanzitutto quando esclude l’applicabilità dell’art. 321 co. 3-bis c.p.p., e dunque la possibilità del sequestro preventivo d’urgenza disposto dal p.m. o eseguito d’iniziativa dalla polizia giudiziaria. Si tratta di una evidente limitazione del campo operativo dell’indagine, spesso legata indissolubilmente ai tempi dell’azione reale, anche se, nelle more della valutazione del Gip collegiale, resta al p.m. la possibilità di operare il sequestro probatorio (dimenticanza del legislatore?). Ma il decreto introduce anche delle condizioni aggiuntive per potersi operare il sequestro preventivo,

20 Competenza che non solo supera i limiti della ordinaria competenza territoriale circondariale, ma “invade” anche quella del limitrofo distretto di Corte d’Appello di Salerno. 21 Le difficoltà interpretative in ordine alla genericità dell’attribuzione di una simile competenza, in particolare con il richiamo ai “reati in materia ambientale” sono state solo in parte superate dalla previsione, approvata in sede di conversione, che la competenza opera per tali reati in quanto “attinenti alle attribuzioni del sottosegretario di Stao, di cui all’art. 2 del presente decreto”. Tali attribuzioni possono essere così riassunte:

a) provvedere, mediante procedure di affidamento coerenti con la somma urgenza o con la specificità delle prestazioni occorrenti, all’attivazione dei siti da destinare a discariche;

b) utilizzare procedure in materia di espropriazione per pubblica utilità per acquisizione di, impianti cave dimesse o abbandonate ed altri siti per lo stoccaggio o lo smaltimento dei rifiuti ;

c) porre in essere misure di recupero e riqualificazione ambientale; d) acquisire ogni bene mobile funzionale al corretto espletamento della attività di propria competenza; e) individuare le occorrenti misure, anche di carattere straordinario, di salvaguardia e tutela per assicurare l’assoluta

protezione e l’efficace gestione di siti, aree e impianti connessi alla attività di gestione dei rifiuti, aree definite di interesse strategico nazionale;

f) disporre la precettazione dei lavoratori a qualsiasi titolo impiegati nell’attività di gestione dei rifiuti; g) richiedere l’ assistenza della forza pubblica e l’ impiego delle forze armate per approntamento, vigilanza e protezione

di cantieri e siti nonché per la raccolta e trasporto dei rifiuti; h) ricorrere ad interventi alternativi, anche attraverso il diretto conferimento di incarichi ad altri soggetti idonei, nel caso

di indisponibilità, anche temporanea, del servizio di raccolta e di trasporto dei rifiuti derivante da qualsiasi causa 22 Notevole disagio organizzativo ha poi creato la previsione di inefficacia delle misure cautelari pendenti se non confermate entro venti giorni dalla trasmissione degli atti, dal Gip collegiale partenopeo.

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in quanto non occorre più il semplice fumus commessi delicti, ma espressamente si richiedono gravi indizi di reato. Inoltre, con espressione di difficile interpretazione, il sequestro è concedibile “semprechè il concreto pregiudizio alla salute e all’ambiente non sia altrimenti contenibile”. Devono poi segnalarsi i nuovi reati introdotti dalla legislazione dell’emergenza: la contravvenzione dell’introduzione abusiva in siti, aree, impianti, e sedi degli uffici connessi alla gestione dei rifiuti, tutti definiti aree di interesse strategico nazionale (rinvio quoad penam all’art. 682 c.p.); il delitto di cui all’art. 2 co. 9 del d.l. n. 90/08 che sanziona a norma dell’art. 340 c.p. colui che impedisce, ostacola o rende più difficoltosa l’azione di gestione (? n.d.r.) dei rifiuti. Orbene il compendio di norme che qui si è brevemente riportato presentano un quadro di dubbia conformità costituzionale, tali da apparire, più che un diritto speciale, un vero e proprio diritto eccezionale, vigente solo in un territorio e per un limitato lasso di tempo, connesso alla durata dell’emergenza rifiuti, il cui termine appare allo stato fissato al 31 dicembre 2009. Si tratta innanzitutto di evidenziare la natura di giudice straordinario, in violazione dell’art. 102 cost., per i magistrati chiamati ad esercitare le citate funzioni regionali partenopee. Profili di tenuta costituzionale sono stati rilevati anche rispetto all’art. 25 cost., ed al relativo principio del giudice naturale, con particolare riferimento alla applicabilità della nuova disciplina ai procedimenti in corso di trattazione. Anche dal punto di vista del diritto sostanziale, la previsione di fattispecie di reato applicabili nel solo territorio di una regione appare di difficile salvaguardia costituzionale, né a tale obiezione sembra avere risposto adeguatamente il legislatore quando, con il decreto legge n. 172/08, introducendo ulteriori nuove fattispecie di reato, le ha ritenute applicabili non solo alla Regione Campania, ma tutti quei territori nei quali dovesse essere dichiarato lo stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti23. Lo scrivente ha già avuto modo di rappresentare che la legislazione sembra scontare anche una pregiudiziale valutazione negativa effettuata dal governo dell’operato della magistratura campana, ritenuta “poco affidabile” e, più o meno chiaramente, concausa del disastro ambientale in atto; una magistratura che, con i suoi provvedimenti, ha bloccato le iniziative del commissariato in relazione alla apertura di impianti e discariche. In questo ambito deve ricordarsi anche la norma che affida al Procuratore regionale la attribuzione diretta dei procedimenti e la gestione anche in deroga alle regole di ordinamento giudiziario. Si tende così a confondere il coordinamento, strumento sempre più necessario ad una efficace azione della

23 Si tratta del delitto di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti ad opera del privato (art. 6 co. 1 lett.a d.l. 172/08); della stesa condotta operata da titolari di imprese e responsabili di enti (art. 6 co. 1 lett. b e c, rispettivamente in caso di dolo o colpa); la trasformazione in delitto, della contravvenzione già sanzionata dall’art. 256 co. 1 t.u. (art. 6 co. 1 lett. d) di attività di gestione di rifiuti non autorizzata; la trasformazione in delitto della contravvenzione già sanzionata dall’art. 256 co. 3 t.u. (art. 6 co. 1 lett. e) di apertura e gestione di una discarica abusiva; la ulteriore trasformazione in delitto delle contravvenzioni residuali di cui agli artt. 256 co. 4, 5, 6 del t.u. ambiente. Deve segnalarsi come la fattispecie di cui all’art. 6 co. 1 lett.a) sia attualmente al vaglio della Corte Costituzionale per effetto di ordinanza di rimessione del tribunale di Torre annunziata.

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funzione requirente, e che anche in tale contesto andava valorizzato e rinvigorito, con l’accentramento del potere che, per quanto esercitato con sapienza e professionalità, stravolge il ruolo costituzionale del titolare dell’azione penale. Una normativa che avesse rinforzato il potere di coordinamento del Procuratore distrettuale nella materia della gestione dei rifiuti e dei gravi reati che vi sono connessi, da istituire senza limitazioni temporali o geografiche, avrebbe rappresentato un miglioramento dell’azione di contrasto criminale, senza stravolgere il sistema, ed avrebbe trovato il consenso della magistratura. Inoltre la normativa emergenziale ha ridotto la soglia di tutela dei cittadini campani, laddove ha consentito e consente un trattamento dei rifiuti sostanzialmente diverso rispetto a quello delle altre regioni italiane. Del resto il legislatore si era posto il problema del coordinamento con le attività di criminalità organizzata, attraverso la previsione dell’intervento del Procuratore nazionale antimafia anche nei procedimenti per reati ambientali o concernenti rifiuti (e reati connessi) ove emerga un «coinvolgimento della criminalità organizzata»24, nella chiara consapevolezza che la materia trattata presenta profili di interferenza fisiologica con la criminalità organizzata25. La norma, dunque, pur nella sua specificità temporale e geografica, apre in maniera letterale, per la prima volta, al coordinamento nazionale sui reati ambientali, nell’ambito delle competenze del Procuratore Nazionale antimafia. L’importanza della previsione normativa è stata inevitabilmente colta dalla D.N.A. nella sua relazione annuale che sul punto così recita: Questa Direzione, nel corso del corrente periodo, non ha mancato, come in passato, di espletare la propria azione di coordinamento e sensibilizzazione ai fini di una migliore repressione del fenomeno, ovviamente limitato agli ambiti consentitile dall’art. 371 bis c.p.p.. Resta, peraltro, sempre irrisolto il problema, già più volte segnalato, della larga fetta di fenomeni delittuosi che potrebbero avere collegamenti con la criminalità mafiosa e che, per via della loro repressione da parte delle Procure della Repubblica “ordinarie”, sfuggono alla attività di coordinamento e, spesso, non sono neppure conosciute, non vengono inserite nella banca dati dell’Ufficio e, conseguentemente, non entrano nel circuito dei dati conoscibili dalle Direzioni Distrettuali Antimafia. Il recente Decreto Legge 23.05.2008 n. 90, che ha previsto misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza rifiuti nella Regione Campania, in realtà, nel prevedere la norma di cui all’art. 3, riferita alla competenza della autorità giudiziaria nei procedimenti relativi alla gestione rifiuti nel detto territorio, si è posto il problema della esigenza del coordinamento e della importanza dello stesso. Trattasi di norma senz’altro di rilievo nella misura in cui, per essere stata introdotta e, quindi, apportare un quid novi nell’apparato legislativo della Repubblica, deve necessariamente riferirsi a tutti quei procedimenti penali relativi a reati connessi alla “gestione dei rifiuti” diversi da quelli previsti

24 Nel suo parere al parlamento, il C.S.M. ha chiarito che tale intervento deve intendersi con “il solo effetto di estendere la categoria dei reati in relazione ai quali si esplicano i poteri del Procuratore nazionale antimafia, che restano esclusivamente quelli di coordinamento, impulso e, nei limiti previsti dall'art. 371 bis del codice di procedura penale, di avocazione”. 25 Nella relazione di presentazione del testo del decreto legge si evidenzia come si sia esplicitamente “Tenuto conto degli esiti dei molteplici procedimenti giudiziari che hanno evidenziato il coinvolgimento della criminalita' organizzata nelle attivita' di gestione dei rifiuti nella regione Campania” e la creazione di una competenza unificata nel Procuratore di Napoli sia stata dettata dalla “necessita' di fornire adeguate risposte, anche in termini di efficienza, nello svolgimento delle attivita' di indagine in ordine ai reati commessi nell'ambito delle predette attivita' di gestione dei rifiuti”.

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dall’art. 51 comma 3 bis c.p.p. e nei quali emerga il “coinvolgimento” della criminalità organizzata, senza che questo determini lo scattare della competenza della Direzione Distrettuale Antimafia. Chè, altrimenti, la competenza dell’organo nazionale ci sarebbe stata comunque e la nuova disposizione non avrebbe avuto ragion d’essere. Appare evidente che il legislatore, nell’utilizzare la terminologia “criminalità organizzata”, abbia, pertanto, inteso riferirsi alla nozione di questa che ha trovato la sua massima esplicazione nella sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 17706 del 22 marzo 2005, depositata l’11 maggio 2005, che tuttora fa testo nella giurisprudenza della Corte regolatrice (v. per ultima Sent. n. 776 del 28.11.2007, dep. 09.01.2008, Sez. II). La Corte, risolvendo definitivamente la questione relativa al significato ed alla relativa portata da attribuire alla detta terminologia ogniqualvolta utilizzata dal legislatore in una norma, ha aderito alla interpretazione criminologica-teleologica tendente “a far rientrare” nell’ambito applicativo della disposizione di legge “le attività criminose più diverse, purché realizzate da una pluralità di soggetti che abbiano realizzato un apparato organizzativo per commettere reati”; concludendo che la limitazione della detta terminologia alla “criminalità mafiosa” sarebbe del tutto riduttiva. Anche perché il legislatore ben conosce ed utilizza a ragion veduta, quando intende effettuare una delimitazione della portata degli effetti della norma, le terminologie “criminalità mafiosa” ed “associazione di tipo mafioso”. Interpretazione, la predetta, che si pone, altresì, in perfetta aderenza con la normativa U.E., precedente e successiva alla citata sentenza, in tema di “organizzazione criminale”, sino alla più recente in materia di reato transnazionale. Di pregio, pertanto, la scelta del legislatore (che ha così introdotto una disposizione contenuta nella proposta di legge di iniziativa parlamentare della scorsa legislatura in tema di eco-reati di cui appresso si dirà), consapevole che senza il coordinamento in materia di azione di contrasto della criminalità organizzata nulla di concreto può realizzarsi. Sarebbe, peraltro, stato opportuno che alla detta norma se ne fosse aggiunta una ulteriore che avesse previsto la necessaria conoscenza da parte della Direzione Nazionale Antimafia dell’instaurarsi, su tutto il territorio nazionale, di procedimenti penali in tema di traffico di rifiuti, quanto meno in forma organizzata (art. 260 Dlgs. 03.04.2006 n. 152). Ed, invero, le nuove funzioni di coordinamento assegnate alla Direzione dall’art. 3, comma 3 del citato Decreto Legge non possono che riguardare gli eventuali collegamenti tra le indagini (non relative ai delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p.) svolte dalla cosiddetta Procura Regionale inserita all’interno della Procura della Repubblica di Napoli, in cui è ravvisabile il coinvolgimento della criminalità organizzata, come sopra intesa, e quelle, della stessa natura, svolte da altre Procure della Repubblica di tutto il territorio dello Stato. Non può certo ritenersi, infatti, che il riferimento del detto comma al precedente primo comma ricomprenda anche, come ambito nel quale operare il coordinamento, la delimitazione territoriale della “regione Campania”, all’interno della quale nessun coordinamento di indagini in materia di rifiuti ed ambientale è ipotizzabile, visto che esse si concentrano nelle mani di un solo organo inquirente. Piuttosto il citato riferimento è proprio da intendersi, come si accennava, nel senso che l’organo di coordinamento non potrà prescindere, nell’esercitarlo (insieme con la garanzia della funzionalità dell’impiego della polizia giudiziaria, e con l’assicurazione della completezza e tempestività delle indagini), dall’accertare il collegamento delle indagini svolte in qualsiasi altra Procura della Repubblica dello Stato con quelle in corso di svolgimento da parte dell’Ufficio inquirente partenopeo. Per di più, il termine “coinvolgimento” utilizzato dal legislatore, indicativo di una realtà criminosa la cui più concreta definizione è in itinere (realtà rafforzata dalle parole “si ravvisa”), si giustifica solo inserendolo proprio in un contesto di attività di coordinamento tra diverse indagini, necessaria per pervenirsi alla definitiva definizione grazie alla implementazione dei dati investigativi derivante dal

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coordinamento medesimo. D’altra parte, correttamente interpretata, la disposizione corrisponde perfettamente alla realtà emersa dalla azione di contrasto finora sviluppata, di una regione Campania divenuta il ricettacolo di rifiuti il cui traffico è organizzato anche, e probabilmente soprattutto, fuori del detto territorio. Da qui quella necessità di conoscenza di cui si diceva. A ben vedere, si tratterebbe, a questo punto, senza voler affrontare la complessa tematica della introduzione nel codice penale dei reati ambientali, di cui al disegno di legge bipartisan della scorsa legislatura che ha visto la luce per iniziativa dei senatori Barbieri + 19 e comunicato al Presidente del Senato il 18.04.2007, di apportare una lieve modifica alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale prevedendo, così come proposto col detto disegno, la introduzione di un art. 118 ter che preveda la trasmissione al Procuratore Nazionale delle informative da parte dei Procuratori della Repubblica (distrettuali e non) relative ai procedimenti per i reati in materia di rifiuti ed ambientale consumati in forma organizzata. Ne discenderebbe, conseguentemente, così come si osservava nella relazione dello scorso anno, una implementazione della Banca Dati DNA tale da consentire, finalmente, la completa conoscenza dei più rilevanti fatti connessi agli eco-reati organizzati, tale da permettere un reale coordinamento ed una conseguente migliore azione di contrasto in campo nazionale. E, quindi, una concreta operatività della disposizione prevista dal comma 3 dell’art. 3 D.L. 23 maggio 2008, n. 90. Si eviterà anche, così, il rischio di intendere ed affrontare in maniera restrittiva il traffico di rifiuti ed il suo rapporto con la criminalità mafiosa, quella camorristica in particolare. Perché, se detti traffici hanno avuto luogo grazie ad una situazione determinata, o agevolata, o favorita dal controllo del territorio esercitato dalle organizzazioni criminali (grazie al quale si sono potuti sversare nelle discariche abusive rifiuti che, altrimenti, non avrebbero potuto esserlo), ciascuna di queste attività delittuose, avvenuta in forma organizzata o no, si è ammantata di mafiosità al punto che, quanto meno, si è caratterizzata per la sussistenza della aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91. La presenza camorristica nei termini di cui alla citata disposizione di legge dovrebbe pertanto essere specifico oggetto della attività di indagine, e ciò sarebbe più agevolmente realizzabile grazie ad una accurata attività di coordinamento in campo nazionale svolta dall’organo a ciò preposto, purché adeguatamente informato. Dalla relazione emergono alcuni spunti di riflessione di particolare interesse. Deve innanzitutto cogliersi l’occasione per riflettere ancora una volta sulla natura del delitto previsto dall’art. 260 t.u. ambiente, che correttamente va inteso come “reato di criminalità organizzata”, seguendo il ragionamento della Suprema Corte nella nota Cass., Sezioni Unite n. 17706 del 22 marzo 2005, depositata l’11 maggio 2005, (Est. Fiale A.), che pronunciandosi in tema di applicabilità dell’art. 240 bis , comma secondo, disp. coord. cod. proc. pen. (che prevede l'esclusione, operante anche per i termini di impugnazione dei provvedimenti in materia di cautela personale, della sospensione feriale dei termini delle indagini preliminari nei procedimenti per reati di criminalità organizzata26, detta le coordinate per una corretta definizione di reato di criminalità organizzata, facendo riferimento oltre che ai delitti di criminalità mafiosa elencati dall’art. 51 co. 3 bis c.p.p., anche all’associazione per delinquere (art. 416 c.p.), ed alle fattispecie associative previste da norme incriminatrici speciali, nonché ai delitti a questi connessi; infine dal tenore della decisione non può che evincersi un

26 Fattispecie riguardante numerosi indagati per associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di ricettazione, truffa e falso diretti all'approvvigionamento e alla cessione di farmaci ad azione dopante.

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allargamento ai delitti a partecipazione plurisoggettiva mediante un apparato organizzato stabile27. Inoltre la nozione di “criminalità organizzata” è stata oggetto di interpretazione in relazione alla applicabilità del sistema privilegiato di accesso alle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni previsto dall'art. 13 del D.L. n. 152 del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991 e succ. modificazioni, con decisioni alterne, ora estensivo e dunque volto a ricomprendere le attività criminose più diverse, purché realizzate da una pluralità di soggetti che abbiano costituito un apparato organizzativo per commettere reati28, ora restrittivo e letterale con esclusivo rinvio al catalogo operato dagli artt. 407, comma 2 - lett. a), 372, comma 1 bis e 51, comma 3 bis c.p.p.29. Dunque in questo panorama le Sezioni Unite, con la citata sentenza del 2005, hanno evidenziato come manchi una nozione giuridica unitaria e che deve procedersi secondo una interpretazione finalistica, per cui la sospensione feriale dei termini non si applica, non solo ai reati di criminalità mafiosa ed assimilata, e ai delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche a qualsiasi tipo di "associazione per delinquere", ex art. 416 cod. pen., correlata alle attività criminose più diverse, con l'ovvia esclusione del mero concorso di persone del reato (ove manca il requisito dell'organizzazione). L’interprete deve considerare che il legislatore ha voluto garantire una trattazione rapida per tutte le condotte criminali poste in essere da una pluralità di soggetti che, al fine di commettere più reati, abbiano costituito un apparato organizzativo predominante rispetto all'apporto causale del singolo partecipe; e ciò in considerazione del particolare allarme sociale che qualsiasi struttura organizzativa criminale suscita nell'opinione pubblica. Inadeguato, per la Corte appare il riferimento all'elencazione contenuta nella lettera a) del 2° comma dell'art. 407 c.p.p.: sia perché sarebbe improprio riguardare la previsione della sospensione dei termini feriali nella ristretta ottica di un contemperamento della fissazione dei più ampi termini di complessiva durata massima delle indagini preliminari, sia perché 27 La Corte, nella sentenza a Sezioni Unite richiamava fra l’altro le precedenti pronunce omologhe; fra queste il richiamo a Cass.: Sez. Unite, 8.5.1996, n. 12, Giammaria e Sez. V, 26.4.2001, n. 16866, Mussurici, in cui si evidenziava che il disposto del 2° comma dell' art. 2 della legge n. 742 del 1969, era da intendersi riferibile non solo ai reati di criminalità mafiosa ed assimilata, ma anche ai reati di criminalità organizzata di altra natura, come pure a quelli che ad essi risultano connessi, come il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, sottolineando quale “ratio essendi" di tale norma nella esigenza di imprimere la massima celerità possibile al corso dei procedimenti relativi a vicende valutate di gravità eccezionale”. La V Sezione, successivamente - con la sentenza 26.4.2001, n. 16866, ric. Mussurici ed altro - giudicando anche in questo caso in una fattispecie di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, ha affermato che il riferimento ai reati di "criminalità organizzata" deve intendersi operato non soltanto ai reati di criminalità mafiosa o assimilata, bensì anche ai reati di criminalità organizzata di altra natura, come pure a quelli che ad essi risultino connessi. Più di recente, invece, la VI Sezione - con la sentenza 28.7.2004, n. 32838, ric. Sanasi - ha escluso dalla nozione di "criminalità organizzata" una associazione a delinquere finalizzata ad una serie di reati di corruzione e truffa aggravata ai danni del Servizio sanitario nazionale, legando tale nozione “imprescindibilmente”, all’”elencazione di cui all'art. 407 c.p.p., al più integrata da quelle di cui agli artt. 51, comma 3 bis, e 372, comma 1 bis, del codice di rito”. 28 Cass.: Sez. VI, 7.1.1997, Pacini Battaglia; Sez. VI, 16.5.1997, Pacini Battaglia; Sez. I, 2.7.1998, Ingrosso; Sez. I, 2.7.1998, Capoccia). 29 In questo senso Casso, sez. VI, 24.2.1995, n. 478, ric. Galvanin ed altri.

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l'elencazione dell'art. 407 ricomprende numerose e disomogenee fattispecie, delle quali solo alcune sono valutabili in termini di delitti di criminalità organizzata30. Individuato dunque nell’ “organizzazione” il carattere fondamentale per individuare le fattispecie appartenenti al genus “criminalità organizzata”, non può che apparire immediatamente riferibile a tale categoria il delitto di cui all’art. 260 del T.u. ambiente. Con la conseguenza non trascurabile che tale connotazione consente di applicare le norme speciali in materia di intercettazione. Altra considerazione di rilievo è quella relativa alla opportunità, conseguente a tale qualificazione, che le attività di indagine per il reato previsto dall’art. 260 t.u. ambiente, vadano ad implementare la banca dati Sidda-Sidna istituita presso la Procura Nazionale Antimafia, a cui hanno accesso tutte le Procure distrettuali. La natura, ormai chiara, transregionale o transnazionale del traffico illecito di rifiuti, la partecipazione alle attività illecite di soggetti di versa provenienza criminale, politica, imprenditoriale, la partecipazione di broker specializzati e gli accordi fra clan mafiosi di distinta origine territoriale, la necessità di superare la dimensione circondariale delle strutture organizzative giudiziarie ed investigative, impongono di utilizzare quello che oggi viene considerato il più efficace degli strumenti di indagine di cui dispone il pubblico ministero antimafia: la Banca Dati, appunto. Solo l’esatta percezione della banca dati quale strumento di indagine, che può, anzi deve, fin dall’inizio condizionare l’indagine e perfino l’iscrizione della notizia criminis, con la raccolta di informazioni di sistema di inimmaginabile valore investigativo, consente di predisporre un apparato di contrasto ad un fenomeno così complesso che non sia immediatamente perdente. Inoltre si tratta, unitamente alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dello strumento di indagine che fa realmente del pubblico ministero il dominus dell’indagine, mettendogli a disposizione notizie e fonti di prova di cui la polizia giudiziaria non dispone se non ne viene messa a

30 La riconduzione del disposto del 2 comma dell'art. 2 della legge n. 742 del 1969 alla fattispecie associativa generale impedisce, inoltre, la possibilità di eterogenee interpretazioni casistiche, non rispettose del principio di legalità, che impone un'esigenza di determinatezza tanto più evidente quando di tratti di indicare categorie di reati, interpretazione pienamente compatibile in riferimento all'Azione Comune, adottata il 21 dicembre 1998 dal Consiglio dell'Unione Europea sulla base dell'art. K.3 del Trattato, e relativa alla punibilità della partecipazione a un'organizzazione criminale negli Stati membri dell'Unione, dove - all'art. 1 - si definisce "organizzazione criminale" "l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave, reati che costituiscono un fine in sé ovvero un mezzo per ottenere profitti materiali e, se del caso, per influenzare indebitamente l'operato delle pubbliche autorità". Significativa, in proposito, sempre per la Corte, è la considerazione che il legislatore italiano - nel testo definitivo dell'art. 8 della legge che pone "Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri" - nella individuazione dei casi di consegna obbligatoria, ha privilegiato il generico riferimento alla condotta di "partecipare ad una associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti", "sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni".

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conoscenza da parte del magistrato31. Si possono acquisire in questo modo informazioni che travalicano il confine del singolo ufficio giudiziario e consentono di incrociare dati che

31 L’Ordine di servizio del Procuratore della Repubblica di Napoli prevede le seguenti modalità per le inquiries del sistema SIDDA / SIDNA. Si ricorda che gli atti reperibili sono i seguenti:

verbali di interrogatorio, di assunzione di informazioni e di confronto, resi al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria delegata;

verbali illustrativi dei contenuti della collaborazione; deleghe di indagini alla polizia giudiziaria, contenenti dati, notizie, circostanze, indicazione di luoghi e persone che

appaiono rilevanti ed utili ai fini del coordinamento delle indagini o del bagaglio di conoscenze investigative degli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia;

informative di polizia giudiziaria contenenti dati, notizie, circostanze, indicazione di luoghi e persone che appaiono rilevanti ed utili ai fini del coordinamento delle indagini o del bagaglio di conoscenze investigative degli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia ed accluse schede personali relative ai soggetti sottoposti alle indagini;

decreti di fermo del pubblico ministero; richieste di misure cautelari, personali e reali; decreti di perquisizione, di sequestro e di esibizione; richieste di autorizzazione alle operazioni d’intercettazione di conversazioni e comunicazioni (art. 267, comma 1,

c.p.p.) e decreti di intercettazione emessi d’urgenza dal Pubblico Ministero (art. 267, comma 2, c.p.p.); rogatorie dirette alle autorità straniere per attività di acquisizione probatoria; richieste di rinvio a giudizio e di giudizio immediato; ordinanze dei giudici in materia di misure cautelari, personali e reali; verbali di udienze dibattimentali in cui siano state compiute attività di acquisizione probatoria; sentenze dibattimentali; ogni altro atto contenente informazioni la cui circolazione sia utile ai fini del coordinamento delle indagini o del

bagaglio di conoscenze investigative degli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia.

(Analisti delle informazioni) Alla banca dati sono addetti come analisti delle informazioni ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, appartenenti alla Sezione di polizia giudiziaria della Procura o, comunque, aggregati all’ufficio (…) Alla struttura centrale della banca dati sono assegnati uno o più analisti delle informazioni, i quali curano i servizi centralizzati sotto il coordinamento del magistrato responsabile, assistito dal coordinatore amministrativo, provvedono alle ricerche richieste da organi di polizia giudiziaria, magistrati della Procura della Repubblica di Napoli non appartenenti alla Direzione distrettuale e magistrati di altre procure della Repubblica (…) (Ricerche richieste dalla polizia giudiziaria sulla base dati locale) La ricerca delle informazioni sulla base dati locale può essere richiesta da organi di polizia giudiziaria per indagini in corso presso la Procura distrettuale, previa autorizzazione del magistrato assegnatario delle stesse. Quando la polizia giudiziaria svolge accertamenti preliminari in relazione ad una notizia di reato ed intende avvalersi della ricerca di informazioni sulla base dati locale, trasmette preventivamente la notizia di reato alla Direzione distrettuale, che procede all’iscrizione del procedimento. La ricerca può essere effettuata esclusivamente dagli analisti delle informazioni addetti alla Direzione distrettuale. I risultati della ricerca, se concernono atti delle indagini preliminari, sono consegnati agli organi richiedenti previa sottoposizione al visto del magistrato che la autorizzò. E’ dato avviso agli organi richiedenti che l’utilizzazione delle informazioni acquisite è regolata dalle disposizioni dell’art. 17 di questo Regolamento e che le informazioni non possono essere comunicate ad altri organi di polizia giudiziaria. (Ricerche richieste da altri magistrati sulla base dati locale) La ricerca delle informazioni sulla base dati locale può essere richiesta, previa autorizzazione del Procuratore distrettuale o del Procuratore Aggiunto coordinatore della Direzione distrettuale, da altri magistrati della Procura della Repubblica di Napoli, non appartenenti alla Direzione distrettuale, o da magistrati di altre procure della Repubblica. La ricerca può essere effettuata esclusivamente dagli analisti delle informazioni addetti alla Direzione distrettuale. I risultati della ricerca, se concernono atti delle indagini preliminari, sono consegnati ai magistrati richiedenti previa sottoposizione al visto del Procuratore distrettuale o del Procuratore Aggiunto coordinatore della Direzione distrettuale che la autorizzarono, apposto d’intesa con il sostituto assegnatario delle indagini nell’ambito delle quali gli atti furono compiuti. E’ dato avviso ai magistrati richiedenti che l’utilizzazione delle informazioni acquisite è regolata dalle disposizioni dell’art. 17 di questo Regolamento. (Ricerche richieste da altri magistrati sulla base dati nazionale. Divieto di comunicazione del contenuto delle informazioni) La ricerca delle informazioni sulla base dati nazionale può essere richiesta, previa autorizzazione del Procuratore distrettuale o del Procuratore Aggiunto coordinatore della Direzione distrettuale, da altri magistrati della Procura della Repubblica di Napoli, non appartenenti alla Direzione distrettuale, o da magistrati di altre procure della Repubblica. La ricerca può essere effettuata esclusivamente dagli analisti delle informazioni addetti alla Direzione distrettuale. Il contenuto delle informazioni e degli atti delle indagini preliminari rinvenuti a seguito della ricerca non viene reso noto ai magistrati richiedenti, fornendosi a questi ultimi soltanto comunicazione dell’esistenza di informazioni presso l’Autorità giudiziaria procedente. A tale Autorità giudiziaria è data notizia della richiesta ricevuta.

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consentono di svelare i legami occulti, frequenti nelle indagini di specie, fra colletti bianchi e mafiosi, politici ed imprenditori, pubblici funzionari e società di gestione, attraverso l’indagine dei legami di parentela, dei rapporti societari, della frequentazione dei luoghi e delle analogie fra le condotte. Fino all’utilizzazione dell’ineliminabile strumento di contrasto costituito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tutte presenti in banca dati e che consentono, anche a distanza di tempo, di ricostruire intricate vicende criminali.

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§ 6 – Conclusioni. Un catalogo di strumenti investigativi. La prima conclusione da trarre, all’esito di questo lungo excursus, è quella per cui l’indagine ambientale e quella di criminalità organizzata appaiono sempre più sovrapporsi ed essere caratterizzate da interrelazioni inscindibili. La conseguenza è che l’indagine ambientale quando assume, soprattutto in certi ambiti territoriali, connotazioni di rilievo sistematico, finisce per essere attratta nell’alveo dell’indagine mafiosa, con l’iscrizione di ipotesi di reato associative o di reati aggravati dall’art. 7 l. 203/91. Anche la connotazione del traffico organizzato di rifiuti in termini di reato di criminalità organizzata orienta le investigazioni verso la trattazione della D.D.A., in auspicabile collegamento, coordinamento o co-delega con i magistrati addetti alle sezioni specializzate. Ne deriva l’applicazione del doppio binario, con particolare riferimento alla durata delle indagini preliminari, ai presupposti per le intercettazioni ed alla presunzione di pericolosità sociale degli indagati, con indubbi vantaggi operativi per il titolare del procedimento. L’apporto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle informazioni investigative tratte dalla banca dati Sidda-Sidna, sarà in questa ottica decisivo per l’inizio delle indagine e per orientare le stesse operazioni tecniche di intercettazione, poiché si è compreso come nel settore dei rifiuti, ancor più che in altri l’omertà interna al gruppo criminale si presenta ulteriormente rafforzata dalla peculiarità di composizione del gruppo stesso, di cui fanno parte non solo i classici affiliati, ma anche colletti bianchi, funzionari, politici, imprenditori. In tali situazioni, aumentando il livello qualitativo dei partecipi, alcuni di essi per loro stessa natura “insospettabili”, il patto del silenzio appare difficilmente penetrabile, se non con l’apporto del collaboratore di giustizia. Fra l’altro, la natura stessa di tale patto è tale per cui non basterà l’apporto di un collaboratore “qualsiasi”, atteso che i vincoli fra camorra (o mafia), politica e imprenditoria sono noti esclusivamente ai boss, ai capi delle organizzazioni mafiose, e non ai semplici affiliati. Occorrerà dunque un collaboratore di giustizia che abbia rivestito un ruolo di estremo rilievo nel clan e che non sia stato deputato solo alle attività cd. militari. Collaborazione questa che per esperienza intercorre in una fase successiva rispetto alle prime collaborazioni di giustizia relative ad un dato clan, in una sorta di secondo e terzo livello che viene aggredito progressivamente. Inoltre deve concludersi che l’indagine in materia ambientale diventa contestualmente una indagine sul riciclaggio dei proventi illeciti del clan, che investe i suoi soldi nella impresa mafiosa e la favorisce per l’acquisizione di appalti e subappalti nel settore dei rifiuti, accumulando così nuove ed ingenti disponibilità patrimoniali e finanziarie. Fra gli strumenti investigativi di maggiore efficacia deve oggi segnalarsi, dunque, quanto consentito dall’art. 9 l. 146/2006 in materia di operazioni sotto copertura32, che sono previste in materia di riciclaggio.

32 Recita la norma: 1.Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale, non sono punibili:

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Allo stesso modo troverà applicazione il nuovo art. 648 quater c.p., introdotto dalla art. 63 D.L.vo n. 21 novembre 2007 n. 231, che consente il sequestro per equivalente nelle ipotesi di riciclaggio33. Il D.l.vo che recepisce la terza direttiva comunitaria sul riciclaggio, introduce fra

a. gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter nonchè nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego;

b. gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a).

2. Negli stessi casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il pubblico ministero al più presto e comunque entro le quarantotto ore dall'inizio delle attività.

3. L'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 è disposta, secondo l'appartenenza del personale di polizia giudiziaria, dagli organi di vertice ovvero, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, d'intesa con la Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere per i delitti previsti dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

4. L'organo che dispone l'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 deve dare preventiva comunicazione al pubblico ministero competente per le indagini, indicando, se necessario o se richiesto, anche il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, nonchè il nominativo degli eventuali ausiliari impiegati. Il pubblico ministero deve comunque essere informato senza ritardo, a cura del medesimo organo, nel corso della operazione delle modalità e dei soggetti che vi partecipano, nonchè dei risultati della stessa.

5. Per l'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi di ausiliari ai quali si estende la causa di non punibilità prevista per i medesimi casi. Per l'esecuzione delle operazioni può essere autorizzata l'utilizzazione temporanea di beni mobili ed immobili, di documenti di copertura, l'attivazione di siti nelle reti, la realizzazione e la gestione di aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi informatici, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati. Con il medesimo decreto sono stabilite altresì le forme e le modalità per il coordinamento, anche in ambito internazionale, a fini informativi e operativi tra gli organismi investigativi.

6. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti previsti dal comma 1 nonchè di quelli previsti dagli articoli 629 e 644 del codice penale, gli ufficiali di polizia giudiziaria nell'ambito delle rispettive attribuzioni possono omettere o ritardare gli atti di propria competenza, dandone immediato avviso, anche oralmente, al pubblico ministero e provvedono a trasmettere allo stesso motivato rapporto entro le successive quarantotto ore.

7. Per gli stessi motivi di cui al comma 6, il pubblico ministero può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti che applicano una misura cautelare, del fermo dell'indiziato di delitto, dell'ordine di esecuzione di pene detentive o del sequestro. Nei casi di urgenza, il ritardo dell'esecuzione dei predetti provvedimenti può essere disposto anche oralmente, ma il relativo decreto deve essere emesso entro le successive quarantotto ore. Il pubblico ministero impartisce alla polizia giudiziaria le disposizioni necessarie al controllo degli sviluppi dell'attività criminosa, comunicando i provvedimenti adottati all'autorità giudiziaria competente per il luogo in cui l'operazione deve concludersi ovvero attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio dello Stato ovvero in entrata nel territorio dello Stato delle cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere i delitti.

8. Le comunicazioni di cui ai commi 4 e 6 ed i provvedimenti adottati dal pubblico ministero ai sensi del comma 7 sono senza ritardo trasmessi al procuratore generale presso la corte d'appello. Per i delitti indicati all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, la comunicazione è data al procuratore nazionale antimafia.

9. L'autorità giudiziaria può affidare il materiale o i beni sequestrati in custodia giudiziale, con facoltà d'uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l'impiego nelle attività di contrasto di cui al presente articolo.

Chiunque, nel corso delle operazioni di cui al presente articolo, indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni stesse, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni..

33 Questo il testo della norma: Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dagli artt. 648 bis e ter c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, il Giudice ordina la confisca delle somme di denaro, di beni o delle altre utilità delle quali il

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l’altro, sebbene solo a titolo di sanzione amministrativa, anche la nozione dell’ “autoriciclaggio”, relativa alla condotta posta in essere dall’autore del delitto generatore del profitto. Seguono, conseguenza inevitabile, gli strumenti di contrasto patrimoniale. Se il ciclo dei rifiuti è infatti appannaggio del crimine organizzato, per le sue rilevantissime implicazioni finanziarie, è anche sull’azione di contrasto all’accumulazione dei patrimoni che si deve dirigere l’intervento. Il fronte del contrasto è conseguentemente quello del sequestro di prevenzione e quello del sequestro penale, nella forma dell’ art. 12 sexies l. 356/92, oltre alla possibilità di applicare la responsabilità delle persone giuridiche. Sono note le capacità aggressive della normativa antimafia in materia di sequestro, in particolare a seguito della pronuncia della Suprema Corte che ha svincolato il sequestro dalla pertinenzialità rispetto al reato. L’art 12 sexies l. 356/92, nei casi di condanna per numerose ipotesi di reato, fra cui quelle di criminalità organizzata, e quelle di riciclaggio, prevede la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito. La norma trova il suo naturale completamento nell’art. 321 c.p.p., in materia di sequestro preventivo delle cose di cui può ottenersi la confisca. In particolare è stata evidenziata la funzione prodromica di tale sequestro alla confisca obbligatoria che sopravviene in caso di condanna; i suoi effetti sono dunque tutti finalizzati a consentire l’acquisto a titolo derivativo dello Stato sui beni del soggetto condannato. La natura del sequestro e della confisca ex art. 12 sexies, va qualificata secondo quanto elaborato dalla sentenza delle Sezioni Unite penali, n. 920 del 19 gennaio 200434. La Suprema Corte ha affermato che per disporre la confisca non è necessario accertare l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità del bene da confiscare con uno dei reati indicati nell’art. 12 sexies o, comunque, con un’attività delittuosa della persona condannata, né la confisca deve riguardare esclusivamente i beni acquistati in un determinato periodo di tempo prossimo alla commissione del reato. Queste affermazioni si fondano proprio sulla radicale differenza che sussiste fra queste ipotesi e quelle disciplinate dagli artt. 321 c.p.p. e 240 c.p. Il legislatore non ha inteso prevedere alcun rapporto di pertinenzialità del bene con il reato per cui si procede, perché altrimenti la previsione sarebbe stata meramente ripetitiva dello schema

reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato. In relazione ai reati di cui agli art. 648 bis e ter il P.M. può compiere, nel termine ed ai fini di cui all’art. 430 c.p.p., ogni attività d’indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca a norma dei commi precedenti.

34 La questione è stata sottoposta alle sezioni unite, sussistendo un evidente contrasto giurisprudenziale sul tema del rapporto di pertinenzialità tra i beni confiscabili ed il reato per cui si procede. In particolare alcune sentenze escludevano la necessità di un nesso di questo tipo (es. Cass., Sez. II 22 ottobre 2001, ric. Del Mistro), altre richiedevano un nesso di pertinenzialità quantomeno con riferimento alla generica attività delittuosa del soggetto (es. Cass., sez. V, 22 settembre 1998, ric. Sibio), altre ancora esigevano un preciso rapporto fra bene e delitto (es. Cass., sez. V, 21 giugno 2001, p.m. Capomasi)

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del sequestro preventivo, per la cui disposizione occorre appunto accertare che il bene che si colpisce è tale da impedire la reiterazione del reato o l’aggravamento dei suoi effetti. La pertinenzialità inoltre corrisponderebbe o alle cose utilizzate per il reato, o alla nozione di prezzo, di prodotto o di profitto, la cui confiscabilità è già prevista dall’art. 240 c.p. In questo ordine di idee, quindi, l’art. 12 sexies, posto che per il prezzo l’art. 240 c.p. già la impone, si limiterebbe a rendere obbligatoria la confisca facoltativa prevista per le cose destinate a commettere il reato, il prodotto e il profitto di questo. Ma considerando che l’obbligatorietà è già specificatamente prevista dal codice per i delitti di associazione mafiosa e di usura, la norma in esame, per questi delitti, costituirebbe un’inutile replica di un istituto già esistente nell’ordinamento, così come in generale lo sarebbe per la confisca del prezzo del reato35”. La giurisprudenza dunque, anche più recentemente e con l’autorevolezza delle Sezioni Unite, distingue radicalmente i provvedimenti adottati ex art. 12 sexies da quelli disciplinati dall’art. 321 c.p.p. (sequestro preventivo) e 240 co. 2 c.p. (confisca facoltativa), evidenziando che i primi sono una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all’affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla legge 32 maggio1965, n. 575 36. Pertanto gli elementi in base ai quali può disporsi il sequestro preventivo ex art. 12 sexies vanno così individuati: sotto il profilo del “fumus” dovrà verificarsi se i fatti addebitati all’indagato siano astrattamente configurabili negli schemi di uno dei reati indicati dalla norma; quanto al “periculum” esso coincide evidentemente con la necessità di confiscare il bene in caso di condanna, per cui esso va ritenuto sussistente ove si rinvenga, a livello di prima delibazione e salvi i successivi accertamenti nel merito, sia la sproporzione di valore fra il bene ed il reddito, sia l’inesistenza di una valida giustificazione della lecita provenienza. Quindi nessun collegamento fra bene sequestrato (e poi confiscato) e reato; nessuna verifica sul momento in cui il bene è stato acquistato rispetto al tempo in cui è stato commesso il reato. Si tratta, come è evidente di un’interpretazione di estremo favore, che determina una sorta di inversione dell’onere della prova in ordine alla liceità della provenienza del bene; come tale occorre farne costante uso, accompagnando all’indagine tradizionale, quantomeno un semplice ed immediato monitoraggio sul patrimonio degli indagati e dei soggetti ad essi più vicini. L’indagine potrà poi avvalersi dei tradizionali mezzi di prova per accertare la disponibilità di un bene in capo ad un soggetto, indipendentemente dalla titolarità formale. Infatti l’ulteriore rilevante riflessione che occorre fare è quella sulla riferibilità dei beni da sequestrare. La norma si esprime in termini non solo civilistici di “titolarità” ma anche e

35 Sotto un profilo positivo, significa che, una volta intervenuta la condanna, la confisca va sempre ordinata quando sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose … la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna. 36 Sul punto cfr. anche Cass. Sezioni Unite, 17 luglio 2001, Derouach.

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soprattutto fattuali di “disponibilità” del bene, aprendo dunque ad un accertamento di fatto che prescinde dalle verifiche formali. In questo senso merita attenzione la fattispecie di reato prevista dall’art. 12 quinquies della stesa legge che sanziona l’attribuzione fittizia di beni37. La giurisprudenza di legittimità, di recente, contrariamente a quanto appare da una prima lettura della norma, ne ha proposto una interpretazione in termini plurisoggettivi, sanzionando anche colui che, consapevolmente, riceve il bene e si presta alla sua fraudolenta intestazione38. Si è poi sostenuto anche in questo caso che sussiste, a carico del titolare apparente di beni, una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente non ha svolto un’attività tale da procurargli il bene, per invertire l’onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo39. Rilevantissima la recente pronuncia della Suprema Corte40, investita dalla DDA di Napoli che, nel confermare l’orientamento ormai radicato che individua la natura del delitto nella categoria del reato istantaneo ad effetti permanenti41, ha spiegato che occorre però tenere in conto che ogni modificazione della compagine sociale, ogni redistribuzione di utili ed ogni attività dispositiva successiva, costituiscono autonome fittizie attribuzioni, per cui integrano autonome ipotesi di reato, da considerare in continuazione e che, evidentemente, incidono sul tempus commissi delicti ai fine del decorso del termine di prescrizione. Interpretazione preziosissima proprio alla luce del fisiologico ritardo che sconta l’indagine antimafia, spesso attivata a distanza di anni alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

37 “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648 bis, 648 ter del codice penale, è punito con la reclusione da due a sei anni”. 38 Cfr. Cass. Sez. 6, sentenza n. 15489 del 26.02.2004 - Presidente Aquarone, secondo cui l’ipotesi di reato ex art. 12 quinquies l. 356/92 …integra una fattispecie a concorso necessario poiché il soggetto agente in tanto può realizzare l’attribuzione fittizia di beni, in quanto vi siano terzi che accettino di acquisirne la titolarità o la disponibilità … Di contro si è invece sostenuto che tale figura criminosa è strutturata in termini monosoggettivi, essendo punito solo colui che attribuisce fittiziamente la titolarità o la disponibilità del danaro, di beni o di altre utilità. L'indefettibile presenza di un destinatario del trasferimento fittizio, il cui contributo sul piano oggettivo è decisivo, fa propendere per la tesi della necessaria plurisoggettività della fattispecie, ma di per sé il destinatario dell'attribuzione fittizia non sarebbe punibile. Il riconoscimento della responsabilità penale dell'attribuzione fittizia al solo soggetto che la effettua, e non al destinatario, indica che l'incriminazione concerne il mero trasferimento, non la situazione di fatto ad esso conseguente, altrimenti la norma avrebbe posto in primo piano la figura del soggetto che riceve la titolarità o la disponibilità del danaro, dei beni o di altre utilità. Trattasi, pertanto, di reato istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui è realizzata l'attribuzione fittizia, risultando irrilevante l'eventuale protrazione della situazione antigiuridica conseguente alla condotta criminosa (conf. Cass., s.u., 28.2.01 n. 8, Ferrarese, in Cass. Pen., 2002, p. 142, m. 10). 39 Cass. sez. VI, 24 ottobre 2000, n. 3889. 40 Cassi, sez. VI, 11 dicembre 2008, n. 2821, dep. Il 5.03.09. 41 Cass., sez. un., 24 maggio 2001, n. 8, Ferrarese.

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Il sequestro, in ogni caso dovrà trovare un reato presupposto al quale essere in qualche modo agganciato, in quanto dovrà pervenirsi alla condanna per procedere alla confisca. Nell’ambito delle indagini sui rifiuti risulta particolarmente utile procedere, ove sussistano i presupposti, per truffa aggravata, ex art. 640 cpv. c.p., oltre che per corruzione, che, specie se caratterizzati dall’ aggravante dell’art. 7 l. 203/91, consentono di applicare l’intero campionario delle ipotesi di sequestro, ivi compreso il sequestro per equivalente42.

42 La Corte di Cassazione ha esplicitato come non sia necessaria la previa individuazione del bene oggetto di sequestro sulla base della norma in esame, evincendosi che, secondo la Sez. 1, Sentenza n. 30790 del 30/05/2006 Cc. (dep. 18/09/2006 ) Rv. 234886 sia ben possibile sequestrare qualsiasi bene, “rimettendo” alla fase attuativa della confisca gli adempimenti estimatori atti a scomputare l’eventuale valore eccedente del bene sequestrato rispetto a quanto oggetto di sequestro (le Superma Corte è esplicita sullo specifico punto : “in relazione alla fattispecie di cui all'art. 640 bis cod.pen., in forza del combinato disposto degli artt. 322 ter e 640 quater cod.pen., il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche beni o valori equivalenti al profitto del reato. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo, in quanto "equivalente" del profitto, il sequestro preventivo di due aziende nella disponibilità degli indagati, precisando peraltro che il valore delle stesse dovrà essere scomputato per differenza dal totale del profitto, rappresentato dalle indebite percezioni a titolo di contribuzione pubblica, attraverso adempimenti estimatori che non spettano al tribunale del riesame, ma sono rimessi alla fase esecutiva della confisca)”. Posta poi la suscettibilità di confisca del profitto del delitto concussivo, secondo la Sez. 6, Sentenza n. 30966 del 14/06/2007 Cc. (dep. 30/07/2007 ) Rv. 236984, risulta legittimo l’intervento ablativo sul denaro disponibile su un conto corrente (“Nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, è legittimamente operato in base alla prima parte dell'art.322 ter comma primo cod. pen. il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell'imputato”), senza che vi sia – ovviamente – alcuna necessità di provare il rapporto di pertinenzialità tra somma e delitto (vedi Sez. 6, Sentenza n. 31692 del 05/06/2007 Cc. (dep. 02/08/2007 ) Rv. 237610 secondo cui “Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali, ai sensi dell'art. 322 ter cod. pen., è prevista la confisca per equivalente, sia costituito da denaro, l'adozione del sequestro preventivo in vista dell'applicazione di detta misura non può essere subordinata alla verifica che il denaro sia confluito nella effettiva disponibilità dell'indagato giacché, altrimenti, si verrebbe a ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra la "res" ed il reato che la legge, con l'introduzione della confisca "per equivalente, ha escluso”). Nell’individuazione poi del titolare del bene confiscato, viene affermato chiaramente il principio solidaristico per la persona gravata dall’obbligo, qualora non sia immediatamente individuabile il profitto imputabile a ciascun concorrente (vedi Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9786 del 21/02/2007 Cc. (dep. 08/03/2007 ) Rv. 235842 secondo cui “È legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all'art. 322-ter cod. pen., eseguito in danno di un concorrente del reato di cui all'art. 316-bis cod. pen., per l'intero importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e comporta solidarietà nella pena; dall'altro, la confisca per equivalente riveste preminente carattere sanzionatorio e può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del prezzo o profitto accertato, salvo l'eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che costituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale”. vedi sul punto, Sez. 6, Sentenza n. 35120 del 09/07/2007 Cc. (dep. 20/09/2007 ) Rv. 237290 secondo cui “Nell'ipotesi di pluralità di indagati come concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell'art. 322-ter cod. pen., può disporsi la confisca "per equivalente" di beni per un importo corrispondente al prezzo o al profitto del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura adozione di detta misura non può eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la misura della quota di prezzo o profitto a lui attribuibile, salvo che, in ragione dei rapporti personali o economici esistenti tra i concorrenti o della natura della fattispecie concreta, la quota di prezzo o profitto imputabile a ciascun concorrente non sia immediatamente individuata o individuabile, ma sia destinata a essere accertata solo in fase di giudizio, nel qual caso il sequestro stesso può essere disposto per l'intero importo nei confronti di ciascuno dei concorrenti”). In relazione poi ad eventuali alienazioni fittizie o fiduciarie a terzi, la Corte di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10838 del 20/12/2006 Cc. (dep. 14/03/2007 ) Rv. 235828 sostiene la naturale percorribilità dello strumento della confisca (“Ai fini dell'operatività della confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter cod.pen., e, di riflesso, della possibilità di adozione di un provvedimento di sequestro preventivo dei beni che possono formarne oggetto, il requisito costituito dalla disponibilità di tali beni da parte del reo non viene meno nel caso di intervenuta cessione dei medesimi ad un terzo con patto fiduciario di retrovendita”.)

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In definitiva appare corretto rimarcare l’idea di fondo che ha ispirato la presente relazione e cioè che il contrasto al traffico di rifiuti, sia per scelta di un legislatore che fa fatica a predisporre strumenti efficaci nell’ambito della normativa ambientale, sia per i primari interessi economici e criminali che hanno spinto clan camorristici e mafiosi ad occupare il mercato dei rifiuti, deve essere affrontato in sinergia coniugando le competenze professionali e gli strumenti normativi di contrasto propri della normativa ambientale e di quella, del cd. doppio binario, tipica delle indagini di criminalità organizzata.

Presupposto è la reale comprensione della gravità ed entità del fenomeno, dei suoi intrecci che travalicano l’aspetto puramente criminale, e l’auspicio che il tema sia realmente al centro dell’agenda della politica e del dibattito della società civile, per le implicazioni che comporta in termini di tutela della salute, dell’ambiente, dell’igiene alimentare e della violazione delle regole della concorrenza in settori rilevanti della economia nazionale.

Roma, 26 marzo 2009

dott. Antonio Ardituro Sost. Proc. presso il Tribunale di Napoli

Direzione Distrettuale Antimafia