Le relazioni tra la Germania Nazionalsocialista e il mondo arabo · occidentale era penetrato...

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1 Dipartimento di Scienze Politiche Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali LE RELAZIONI TRA LA GERMANIA NAZIONALSOCIALISTA E IL MONDO ARABO RELATORE CANDIDATO Prof.Federico Niglia Davide Montani Matricola.065692 ANNO ACCADEMICO 2012 - 2013

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Dipartimento di Scienze Politiche

Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali

LE RELAZIONI TRA LA GERMANIA

NAZIONALSOCIALISTA E IL MONDO ARABO

RELATORE CANDIDATO

Prof.Federico Niglia Davide Montani

Matricola.065692

ANNO ACCADEMICO 2012 - 2013

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INDICE

Introduzione ………………………………………………………………………………………3

Capitolo 1 UNO SGUARDO GENERALE

- 1.1 Il mondo arabo alla vigilia della seconda guerra mondiale ……………………………4

- 1.2 I problemi del mondo arabo dopo il 1918: Colonialismo, Sionismo e Panarabismo … 5

- 1.3 La percezione del mondo arabo nella Germania Nazista ……………………………...9

Capitolo 2 IL NODO PALESTINESE. SIONISMO, NAZIONALISMO ARABO

E LA GERMANIA DI HITLER

- 2.1 Il mutevole rapporto della Germania di Hitler con il sionismo ………………………..14

- 2.2 L’interlocutore privilegiato: Muhammad Amin al-Husayni e gli arabi di Palestina …. 16

Capitolo 3 LA GERMANIA E IL MONDO ARABO TRA IL 1936 E LA FINE DELLA GUERRA

IN NORD AFRICA

- 3.1 Il Maghreb ……………………………………………………………………………...20

- 3.2 L’Arabia Saudita ……………………………………………………………………….22

- 3.3 La rivolta irachena del 1941 ……………………………………………………………24

- 3.4 L’Egitto di re Faruq …………………………………………………………………….30

Capitolo 4 IL TERZO REICH E IL MONDO ARABO. LA COLLABORAZIONE IN EUROPA E

IL LASCITO DI QUESTO RAPPORTO

- 4.1 Il Mufti a Berlino ……………………………………………………………………….34

- 4.2 Le divisioni arabe e mussulmane nella Wehrmacht e la fine della collaborazione …….36

- 4.3 La permanenza dell’influenza nazionalsocialista nel mondo arabo del dopoguerra …...41

Conclusione ………………………………………………………………………………………..44

Bibliografia ………………………………………………………………………………………...45

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INTRODUZIONE

Questa Tesi di Laurea si propone come scopo quello di analizzare le relazioni

intercorse fra la Germania Nazionalsocialista e il mondo arabo e l’influenza reciproca

che si è verificata tra questi due mondi. In particolare lo scopo è analizzare le ragioni

per le quali la Germania di Hitler appoggiava i movimenti arabi filonazisti a livello

ideologico ma non a livello materiale. Chiameremo questo comportamento

“l’amicizia con poco impegno”. Gli anni di principale interesse sono quindi quelli

compresi fra il 1933 e il 1945, ma ovviamente verrà data anche una breve descrizione

della genesi e delle conseguenze del fenomeno.

Il metodo utilizzato nello studio del fenomeno consiste nell’analisi di fonti, degli atti

ufficiali, delle lettere e dei periodici che evidenziano chiaramente questa relazione al

fine di ricostruire gli snodi e i temi centrali della collaborazione tra nazismo e mondo

arabo.

Il primo capitolo analizza generalmente il mondo arabo e le tematiche principiali

all’interno di questo nel primo dopoguerra, oltre ad inquadrare in che modo il mondo

arabo venisse percepito dalla Germania dell’epoca. Nel secondo capitolo si focalizza

l’attenzione su un nodo centrale, parlando di relazioni con il mondo arabo - la

Palestina - e dei rapporti con la massima autorità palestinese dell’epoca, Amin al-

Husayni. Il terzo capitolo è un analisi areale delle relazioni fra Germania e mondo

arabo, intercorse o con i paesi indipendenti o con gruppi non statali. Infine il quarto e

ultimo capitolo si concentra sulla collaborazione avvenuta sul territorio europeo, sia

sul piano militare che ideologico, nonché sulle conseguenze della relazione tra

nazionalsocialismo e mondo arabo.

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CAPITOLO 1

UNO SGUARDO GENERALE

1.1 IL MONDO ARABO ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA

MONDIALE

Quando si parla di mondo arabo è bene fare chiarezza distinguendo, in modo netto e

conciso, il mondo arabo da quello mussulmano (di cui il primo risulta un

sottoinsieme). Per mondo mussulmano intendiamo tutte quelle nazioni dove la

maggioranza della popolazione risulta essere di religione mussulmana. Parliamo

quindi di quel vasto arco che va dalle coste dell’Oceano Atlantico in Africa fino alle

isole Indonesiane (ricordando che l’Indonesia è il paese mussulmano più popoloso al

mondo). Il mondo arabo è costituito invece da quei paesi dove la cultura e la lingua

araba sono predominanti, indipendentemente dalla religione (visto che in questi paesi

persistono minoranze cristiane numericamente non indifferenti), che coincidono oggi

con gli stati membri della lega araba: Marocco (includendo in esso anche il territorio

conteso del Sahara Occidentale), Mauritania, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Sudan,

Gibuti, Somalia, Giordania, Libano, Siria, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Emirati

Arabi Uniti, Qatar, Bahrain, Yemen, Oman e l’Autorità Nazionale Palestinese.

Quindi la prima suddivisione si basa su un criterio di appartenenza religiosa, la

seconda sull’appartenenza etnico-culturale al mondo arabo. La confusione fra i due è

spesso conseguenza del fatto che il mondo arabo è il cuore del mondo mussulmano,

ospitando le più sacre delle città dell’islam: La Mecca, Medina e Gerusalemme.

Inoltre fu il mondo arabo a diffondere la religione islamica, grazie alla sua radicale

espansione tra i secoli VII e IX, che solo in seguito si diffuse tra altre culture, come

quella Persiana o Turca.

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Una volta chiarita l’area di nostro interesse e i criteri con cui questa è stata delimitata

risulta indispensabile chiarire la situazione geo-politica nel mondo arabo che Hitler si

trovò di fronte nel 1933, quando divenne cancelliere della Germania. Gli stati

formalmente indipendenti all’epoca erano l’Arabia Saudita (fondata nel 1932,

dall’unione dei regni di Hegiaz e Nejd), l’Egitto (che aveva ottenuto un indipendenza

formale nel 1922, la quale permetteva comunque ai britannici di mantenere una

decisa influenza sia politica che militare nel paese), lo Yemen (nato dal collasso

dell’Impero Ottomano nel 1918, e comunque esteso solo al nord del paese, senza

quindi il “meridione” e il ricco porto di Aden, all’epoca protettorato britannico) e il

regno dell’Iraq (primo stato posto sotto mandato dalla Società delle Nazioni ad

ottenere l’indipendenza, nel 1932, dalla Gran Bretagna, se pur in una forma molto

simile a quella egiziana). Il resto del mondo arabo era ancora sottoposto alle varie

forme di regime coloniale: dai mandato di tipo A1 (come Siria, Libano e Palestina),

alle colonie (come la Libia e la Somalia sotto controllo italiano), al protettorato ( ad

esempio quello francese in Marocco e Tunisia) ed infine i territori integrati nello stato

metropolitano (come l’Algeria Francese).

1.2 I PROBLEMI DEL MONDO ARABO DOPO IL 1918:

COLONIALISMO,SIONISMO E PANARABISMO

La situazione politica nel mondo arabo negli anni che seguirono la prima guerra

mondiale era incandescente. Dopo secoli di dominio della Sublime Porta il mondo

occidentale era penetrato violentemente in tutta la mezzaluna fertile, conquistando il

9 Dicembre 1917 la città santa di Gerusalemme. Era la prima volta dai tempi dei

crociati che l’occidente ne tornava in possesso. Tre erano le preoccupazioni principali

1 Il mandato è uno strumento giuridico che fu istituito dall’articolo 22 della società delle nazioni, al fine di aiutare le

popolazioni che non erano in grado di governarsi. Si dividevano in mandati di tipo A, B e C a seconda del tempo

necessario alle popolazioni sotto mandato per ottenere l’autogoverno.

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dell’élite politico culturale del mondo arabo, in particolare nel Medio Oriente: la fine

dell’imperialismo occidentale e del regime coloniale, limitare o interrompere la

sempre maggiore immigrazione ebraica in Palestina ed infine la creazione di uno

stato arabo unito. Le radici di questi tre problemi vanno ricercate nell’ambiguità della

politica estera britannica alla fine della prima guerra mondiale.

Da una parte c’era la volontà di proseguire con la logica colonialista e imperialista

tipica del XIX secolo. Gli accordi Sykes-Picot del 16 Maggio 1916, che diviserò il

Medio Oriente in zone di influenza fra Francia e Gran Bretagna, e che saranno

inglobati nel trattato di Sèvres dell’Agosto 1920, si inseriscono nel solco di questa

tradizione. Per edulcorare il controllo coloniale, e sotto l’influenza del presidente

Americano Woodrow Wilson, si scelse la formula dei mandati. Questo nuovo assetto

distrusse un ordine giuridico e politico che durava praticamente da quattro secoli,

ovvero dalla conquista ottomana dell’Egitto nel 1517.

Una forte pressione veniva poi al governo britannico dalle forte lobby sioniste

presenti in patria a cui si diede sfogo con la famosa dichiarazione Balfour del 2

Novembre 1917. Questa è in realtà una lettera scritta dall’allora ministro degli esteri

britannico, Arthur Balfour, a Lord Lionel Rothschild, allora considerato il massimo

esponente della cultura sionista inglese. La lettera affermava che: "Il governo di Sua

Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il

popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo,

essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi

delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei

nelle altre nazioni". Compaiono nella lettera i due problemi fondamentali del

sionismo con cui la Gran Bretagna si dovrà scontrare nell’era del mandato in

Palestina: da una parte il sionismo è visto dagli arabi come mezzo attraverso il quale

le loro terre vengono colonizzate e rubate da stranieri e da nemici della fede islamica.

A questo dobbiamo aggiungere il disagio causato dall’incontro tra la cultura araba e i

coloni ebrei, in buona parte rappresentanti della borghesia tedesca, polacca e russa,

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con i quali vi era senza alcun dubbio un vasto divario culturale ed economico.

Dall’altro lato il sionismo faceva paura a molti ebrei occidentali. Era timore di molti

che la creazione di uno stato ebraico avrebbe reso gli ebrei non più cittadini che

professavano un'altra religione ma un vero e proprio popolo. Quindi molti si

sarebbero trasformati dall’essere tedeschi, polacchi, francesi e inglesi di religione

ebraica in dei veri e propri stranieri, vivendo cosi nella costante paura di non essere

più accettati. Su questo argomento sono molto interessanti le parole di Edwin

Montagu, ebreo ed esponente del partito liberale, Segretario di Stato per l’India tra il

1917 e il 1922. Opponendosi alla dichiarazione Balfour afferma che: “Se dichiari che

la Palestina deve accogliere un focolare nazionale per gli ebrei, ogni giornale o

organizzazione antisemita si chiederà che diritto ha un ebreo inglese, che nel migliore

dei casi ha lo status di uno straniero naturalizzato, di assumere un ruolo preminente

nel governo dell’Impero Britannico”2. Interessante il fatto che in molte lingue si

preferisca utilizzare il termine giudeo (che indica l’appartenenza etnica ad una

determinata regione, la Giudea appunto) e non ebreo (che invece indica

l’appartenenza a un gruppo religioso). Basti pensare all’inglese “jew”, al francese

“ juif” e allo spagnolo “judio”.

A seguito della dichiarazione Balfour l’immigrazione ebraica in Palestina aumentò

drasticamente. Nel 1917, anno della dichiarazione, in Palestina vivevano 60.000 ebrei

e 550.000 arabi. Nel 1927 la comunità ebraica arriverà a toccare le 160.000 unità e

continuerà a crescere negli anni a seguire fino alle 360.000 unità del 1933, pari al

26% della popolazione totale della Palestina. Per quanto riguarda le terre possedute

dai coloni sionisti queste ammontavano, su una superficie totale di 27.027 chilometri

quadrati della Palestina mandataria, a 1200 chilometri quadrati di terreno, pari quindi

al 4.5% del totale nel 1931. Una cifra che sale ancora se rimuoviamo i 13.000

chilometri quadrati del deserto del Negev, che portando l’8.5% delle terre coltivate

sotto proprietà ebraica.

2 Lettera di Edwin Montagu a Lloyd George, 4 Ottobre 1917, citata in Leonard Stein, The Balfour Declaration, Simon &

Schuster, New York, 1961, p. 500

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Infine i Britannici avevano dato vita a un fenomeno prima totalmente assente nel

mondo arabo: il nazionalismo. L’idea di nazione non è radicata nel mondo arabo. Fin

dalla sua nascita le entità politiche del mondo arabo si erano identificate con le

famiglie che le governavano e non con un entità statale “astratta”. Ad esempio mentre

nell’Europa medioevale e moderna troviamo i Regni di Francia o di Aragona, nel

mondo arabo troviamo i califfati Omayyadi, Abbasidi e Fatimidi. Il nome della

dinastia coincide con il nome dello stato. Anche l’impero Ottomano era l’impero

della dinastia Osmanli. Quindi quando i Britannici fomentarono il nazionalismo arabo

in funzione anti-ottomana, tramite il loro famigerato agente Thomas Edward

Lawrence o Lawrence d’Arabia(1888 – 1935), in realtà possiamo dire che lo

crearono. I documenti che rappresentano al massimo questo fenomeno furono la

corrispondenza tra Sir Henry MacMahon, Alto Commissario britannico al Cairo, e al-

Husayn ibn ʿAli, sceriffo della Mecca, che ebbe luogo tra il 1915 e il 1916. In questo

scambio epistolare i britannici si mantennero comunque molto ambigui, rifiutandosi

di definire parti di un futuro stato arabo i territori che “non possono dirsi puramente

arabi”, ma senza ben specificare se la Palestina fosse fra questi. È utile distinguere tra

il nazionalismo arabo, che ha come progetto la creazione di una federazione che vada

dal Marocco alla penisola araba, mentre il panarabismo sostiene uno stato arabo

unitario.

Quindi, ricapitolando, troviamo un mondo arabo che negli anni venti e trenta del XX

secolo è attraversato da una corrente anticoloniale (in particolare anti-britannica), anti

sionista in reazione alla dichiarazione Balfour e che cerca di costituirsi come entità

statale e nazionale sul modello del mondo occidentale secondo i principi del

panarabismo. È quindi un alleato naturale per la Germania di Hitler secondo il

principio base della realpolitik: il nemico del mio nemico è mio amico. In questo caso

specifico possiamo vedere che il colonialismo e i mandati di Francia e Gran Bretagna

nel medio oriente pongono le basi per una salda alleanza contro le democrazie

plutocratiche. Il sionismo fa si che gli ebrei, nemici numero uno della razza ariana,

siano anche visti come avidi colonizzatori delle terre arabe. Infine sia il mondo arabo

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che la Germania del Terzo Reich condividono, come vedremo più avanti, la stessa

visione di nazionalismo, che accomuna panarabismo e pangermanesimo.

1.3 LA PERCEZIONE DEL MONDO ARABO NELLA GERMANIA

NAZISTA

La Germania nella sua storia aveva sempre interagito con il mondo arabo con fini

esclusivamente economici. Da parte del terzo Reich non vi era sicuramente

l’intenzione di colonizzare il Medio Oriente tramite una politica di potenza. La

perdita delle colonie nel 1918 era forse il punto meno dolente del trattato di

Versailles per il NASDAP. La vecchia politica estera coloniale era definitivamente

tramontata, in quanto il luogo di sbocco naturale per l’emigrazione e per l’export

della Germania era ora il grande “Lebensraum” dell’ Europa orientale. Molto bene

chiaro era su questo Hitler nel “Mein Kampf”: “Noi, nazionalsocialisti, tiriamo una

riga sulla politica estera dell’anteguerra e la cancelliamo. Noi cominciamo là, dove si

terminò secoli fa. Mettiamo termine all’eterna marcia germanica verso il sud e l’ovest

dell’Europa e volgiamo lo sguardo alla terra situata all’est. Chiudiamo finalmente la

politica coloniale e commerciale dell’anteguerra e trapassiamo alla politica

territoriale dell’avvenire. Una tale politica territoriale non può oggi esercitarsi da

qualche parte nel Camerun ma quasi esclusivamente in Europa”. 3 Si guarda alle

crociate dei cavalieri Teutonici e non alla Germania Bismarckiana e Guglielmina.

Questa “ideologia territoriale” sarà effettivamente alla base della politica estera

tedesca, giustificando lo scarso impegno in Nord Africa a scapito dell’invasione

dell’Unione Sovietica. Inoltre giustificherà anche quella che potremmo definire “

l’amicizia con poco impegno” con il mondo arabo. Il sostegno ideologico e politico

3 A. Hitler, Mein Kampf, Sentinella d’Italia, Monfalcone 1977, p. 317

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fu quasi sempre presente, mentre quello materiale e militare era sempre ridotto al

minimo.

Per quanto riguarda il razzismo biologico, questo non fu mai veramente un problema

nelle relazioni fra arabi e nazisti. Questo innanzitutto era dovuto al cambio di

posizioni che Hitler aveva già compiuto quando salì al potere. Mentre nel 1925,

quando pubblica il Mein Kampf, l’inferiorità del popolo arabo è chiaramente espressa,

nel 1933 gli arabi erano già chiaramente amici, e il razzismo si doveva accanire solo

contro il vero nemico sociale e biologico della razza tedesca: gli ebrei. Le ragioni per

questo repentino cambio di posizione vanno cercate sia nella più pura realpolitik in

funzione antifrancese e antibritannica, sia in una sincera riscoperta del mondo arabo e

mussulmano da parte delle gerarchie naziste. Tra le molte religioni l’islam appariva

sicuramente la più vicina all’ideologia pagana dei nazionalsocialisti, i quali

disprezzavano apertamente la dottrina cristiana di “porgere l’altra guancia”, vista

come debole e passiva. Al contrario vedevano di buon occhio il concetto dello

“jihad” (ricordando che questo termine non significa guerra santa ma sforzo, sia

interiore contro le forze tentatrici dell’animo, sia esteriore contro i nemici della fede),

un concetto “attivo” e non passivo, visto come una manifestazione di forza. Questo

cambiamento di posizione è bene espresso da un’intervista fatta ad Hitler da un

giornale egiziano, “Al-Muqattam”, dell’ Agosto 1933: “Colgo questa occasione per

dire ai vostri fratelli, gli egiziani e gli arabi, che io li amo e che non nutro sentimenti

ostili nei loro confronti”.4 Anche le limitazioni razziali imposte agli ebrei non

venivano applicate agli arabi residenti in Germania, che anzi erano guardati con

favore. Ad esempio già nel 1933 i bagni pubblici erano interdetti ai “Fremdrassigen”,

le razze straniere. Il 23 Maggio 1933 la legazione del re d’Egitto inviò una nota dove

chiedeva se anche gli egiziani erano da considerarsi “Fremdrassigen”. Il 26 Maggio

arrivò la risposta di Konstantin Hermann Karl Freiherr von Neurath, il quale

rassicurava che il termine era inclusivo solo degli ebrei.

4 “al-Muqattam”, 18 Aprile 1933

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Anche dal punto di vista dello stile di governo il mondo arabo e il nazismo trovarono

molti punti in comune. In entrambi i casi la responsabilità di governare spettava ad un

leader unico e assoluto, il quale nominava i propri consiglieri e ministri, ma le

opinioni di questi avevano solo parere consultivo e non vincolante. Il Fuhrer era

l’unico responsabile della politica del suo paese, come allo stesso modo erano stai i

quattro califfi succeduti a Maometto. Per entrambi, nazionalsocialisti e islam radicale,

inoltre, la democrazia era un’enorme truffa dove non era il più capace a vincere ma

solo il più ricco e il più abile a manipolare gli altri.

Il nazionalismo di stampo tedesco inoltre era più vicino all’idea di nazionalismo che

stava nascendo nel mondo arabo. Pangermanesimo e panarabismo non si

riconoscevano in una certa entità politica, definita territorialmente con frontiere

precise. Entrambi rimandavano l’identità nazionale alla cultura e alla lingua comuni.

Condividevano inoltre una grande frammentazione etnica, che non era invece

presente in paesi come la Francia o la Gran Bretagna. Nel mondo arabo Hitler sarà

infatti acclamato come Abu Ali, “il redentore”, colui che avrebbe liberato le genti

arabe permettendogli di edificare uno stato unitario come quello che il Fuhrer stava

costruendo in Europa fra tutti i tedeschi.

Da un punto di vista economico il mondo arabo era visto, negli anni della guerra in

particolare, come un importantissima riserva di petrolio a cui la Germania doveva

aver accesso se voleva proseguire il conflitto vista l’importanza dei mezzi corazzati e

della Luftwaffe per la realizzazione della Blitzkrieg. In Europa, oltre a piccoli

giacimenti in Austria ed Ungheria, gli unici grandi pozzi petroliferi sotto controllo

diretto del Reich erano quelli di Ploiesti in Romania. Per il resto la Germania

dipendeva dalla produzione lenta e costosa del petrolio sintetico, che veniva ricavato

dal carbone tramite un processo ideato dal chimico Friedrich Bergius, premio Nobel

nel 1931. L’acquisizione di nuove fonti petrolifere era quindi essenziale, e i paesi

arabi erano ben disposti a concedere l’oro nero in cambio del riconoscimento della

propria indipendenza.

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Inoltre le fondamenta dell’amicizia fra Germania e mondo arabo erano state già

gettate dal Kaiser Guglielmo II e dalla sua alleanza con l’impero Ottomano. Nel 1898

questo infatti aveva fatto un lungo viaggio nell’impero Ottomano, facendo tappa a

Istanbul e a Gerusalemme, definendosi amico di tutti i mussulmani e annunciando la

costruzione della famosa ferrovia Berlino-Baghdad. Inoltre durante la prima guerra

mondiale numerosi ufficiali tedeschi si erano recati nell’impero Ottomano per

addestrare e guidare le truppe del califfo, tra cui molte di provenienza araba.

Un ultimo aspetto che bisogna considerare nel rapporto tra Germania nazista e mondo

arabo è l’alleanza fra il Reich e l’Italia di Mussolini. L’amicizia con poco impegno”

era dettata anche dal fatto che era indispensabile tenere vicino l’alleato italiano, al

quale era sempre stato garantito il Mediterraneo come area di influenza esclusiva e

quindi anche il mondo arabo. Era quindi utile fomentare i nazionalismi in chiave

antibritannica, ma senza mai slanciarsi troppo in là, onde non indispettire Roma. Gli

arabi d’altro canto ebbero sempre paura che l’Italia potesse sostituirsi alla Gran

Bretagna, paura che invece non era presente nei confronti della Germania. Utile per

comprendere questo è un documento inviato dal ministero degli esteri tedesco alle

sue sedi diplomatiche in oriente, che recita: “La Germania non persegue interessi

politici nell’area mediterranea, la cui parte meridionale e orientale è costituita dal

mondo arabo. Essa lascerà quindi all’Italia la precedenza nel riassetto dell’area araba.

Nei territori arabi, tra i quali annoveriamo la penisola arabica, l’Egitto, la Palestina, la

Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, non vi sarà questione nè di una pretesa di

egemonia tedesca nè di una spartizione dell’egemonia con l’Italia”.5 Come vedremo,

ovviamente, questo non significò certo l’interruzione di qualunque influenza

economica (in particolare in relazione ai campi petroliferi) e ideologica. Verso la fine

della guerra, dopo le deludenti azioni dell’alleato italiano nel conflitto, Hitler si penti

di aver riposto cosi tante fiducie nel duce a scapito dei popoli arabi. Nel suo

testamento del 17 Febbraio 1945 il Fuhrer afferma: “La nostra alleata italiana è stata

causa di imbarazzo per noi ovunque. Fu questa alleanza, ad esempio, a impedirci di 5 “Circolare del ministero degli affari esteri” 20 Agosto 1940, p. 225

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perseguire una politica rivoluzionaria nell’Africa settentrionale… Se fossimo stati

soli, noi avremmo potuto emancipare i paesi mussulmani dominati dalla Francia e ciò

avrebbe avuto ripercussioni enormi nel Vicino Oriente, dominato dall’Inghilterra, e in

Egitto. Ma essendo le nostre sorti legate a quelle degli italiani il perseguimento di una

simile politica non fu possibile. Tutto l’Islam fremeva alle notizie delle nostre

vittorie. Gli egiziani, gli iracheni e l’intero Vicino Oriente, tutti erano pronti a

sollevarsi in rivolta. Si pensi semplicemente a quel che avremmo potuto fare per

aiutarli, anche soltanto per incitarli, come sarebbe stato al contempo il nostro dovere

e il nostro interesse! Ma la presenza degli italiani al nostro fianco ci paralizzò, creò

una sensazione di malaise tra i nostri amici dell’islam i quali ,inevitabilmente, videro

in noi dei complici, volenti o nolenti, dei loro aggressori.” Con queste parole Hitler

sicuramente non volle vedere le proprie “colpe”, in quanto gli aiuti materiali al

mondo arabo in rivolta, quando vi furono le occasioni per sostenerlo, furono sempre

ridotti al minimo. Questo fu sì in parte dovuto al fatto che l’area era di competenza

degli italiani ma anche alla ossessione che Hitler nutriva verso la conquista del

Lebensraum orientale, vero obiettivo delle forze armate tedesche.

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CAPITOLO 2

IL NODO PALESTINESE. SIONISMO, NAZIONALISMO ARABO

E LA GERMANIA DI HITLER

2.1 IL MUTEVOLE RAPPORTO DELLA GERMANIA DI HITLER CON IL SIONISMO

Per comprendere il rapporto con i paesi arabi e con il loro mondo è importante vedere

cosa il ministero degli esteri tedesco pensava del sionismo. Nonostante quello che si

può pensare questo fu, in principio, uno dei pochi punti di attrito fra gli arabi del

Vicino Oriente e la Germania.

Nel 1933 la Germania si sentiva di gran lunga inferiore all’ impero britannico.

Qualsiasi azione avesse potuto indebolire o infastidire il grande colosso era ben vista.

Una di queste azioni era favorire l’immigrazione ebraica in Palestina. Nonostante il

mondo nazista fosse l’incarnazione dell’antisemitismo, nel 1933 si era arrivati ad un

patto fra l’agenzia ebraica e la Germania denominato “Haavara” che permetteva agli

ebrei tedeschi di abbandonare il Reich per recarsi in Palestina. L’atto era osteggiato

da molti politici tedeschi i quali, come abbiamo visto, avevano una decisa tendenza

filoaraba e filoislamica. Inoltre forte era l’opposizione dei 2000 tedeschi residenti in

Palestina che si vedevano invasi dalla concorrenza ebraica. In ogni caso questo gesto

non va interpretato come un atto di avallo alla costruzione di uno stato ebraico come

invece fece il Gran mufti di Gerusalemme, Hajji Muhammad Amin al-Husayni, il

quale vide nel “Haavara” un tradimento della causa araba. In realtà lo scopo dei

nazionalsocialisti era tutt’altro che filo ebraico. Nella loro visione l’accordo era un

mezzo per rendere la Germania “judenfrei” senza per questo doversi sporcare le mani

(come poi brutalmente fece) visto che i sionisti lasciavano il paese di loro spontanea

volontà. Una volta arrivati in Palestina, nella visione tedesca, gli ebrei non sarebbero

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mai stati in grado di fondare un entità statale autonoma, anzi sarebbero finiti vittime

proprio degli amici arabi che avrebbero svolto il lavoro sporco. I sionisti erano

sempre un gruppo di delinquenti ma favorirli sarebbe stato permettergli di

autodistruggersi visto che il loro progetto era inattuabile. Nelle parole scritte da

Schwarz von Berk a von Hentig, capo dell’ufficio del Vicino Oriente al ministero

degli esteri, questo concetto risulta chiaramente: “È bene che gli ebrei della Germania

vengano in Palestina e spendano qui le loro fortune… Essi non metteranno radici qui,

le loro fortune saranno dilapidate e gli arabi li liquideranno. Gli ebrei in Palestina

sono condannati, la loro fine sarà di cadere dalla padella nella brace”6

Questa posizione verso il sionismo cambiò radicalmente nel 1937. La Commissione

reale britannica di lord Peel nel Luglio 1937 apriva per la prima volta all’idea che la

Palestina potesse essere divisa in due, uno stato arabo e uno ebraico. Questo a Berlino

significava che la comunità ebraica di Palestina non stava venendo lentamente

distrutta da quella araba, anzi l’immigrazione che la Germania permetteva la stava

rafforzando. Inoltre la creazione di uno stato ebraico era qualcosa di inaccettabile per

Hitler e i suoi gerarchi in quanto si sarebbe trasformato in una base e in un “campo di

addestramento” per il giudaesimo globale. Un porto sicuro dove gli ebrei avrebbero

potuto rifugiarsi usando la sovranità statale come scudo, ma allo stesso tempo

operando per il controllo dell’economia globale. In un memorandum datato 1 Giugno

1937 (poco prima che la Commissione Peel pubblicasse il proprio lavoro), che

Konstantin Von Neurath invia all’ambasciata tedesca a Londra, alla legazione di

Baghdad e al consolato a Gerusalemme, possiamo leggere che: “La formazione di

uno Stato ebraico o di una struttura a guida ebraica sotto mandato britannico non è

nell’interesse della Germania dato che uno Stato palestinese non assorbirebbe

l’ebraismo mondiale ma creerebbe, sotto leggi internazionali, un ulteriore posizione

6 D. Yisraeli, The third reich and Palestine, in “Middle east studies”, Ottobre 1971, 7, p. 346

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di potere all’ebraismo internazionale, qualcosa come lo Stato del Vaticano per il

cattolicesimo politico o Mosca per il “Comintern”.7

Andare contro il sionismo comportava, come naturale conseguenza, di rafforzare

ancora di più l’alleanza, in buona parte intrecciata, con il suo nemico principale, il

mondo arabo. In particolare quel mondo arabo che fin dal 1920 aveva lottato in

maniera violenta per impedire l’immigrazione ebraica. Il massimo esponente di

questo mondo era il già citato Hajji Muhammad Amin al-Husayni, gran Mufti di

Gerusalemme.

2.2 L’INTERLOCUTORE PRIVILEGIATO:

MUHAMMAD AMIN AL-HUSAYNI E GLI ARABI DI PALESTINA

Come abbiamo visto il mondo arabo con cui entrò in contatto la Germania nazista era

in buona parte dipendente per le proprie relazioni estere da potenze terze. Anche le

poche nazioni indipendenti (Iraq, Egitto, Yemen e Arabia Saudita) erano

enormemente influenzate dal foreign office britannico. Quindi analizzando questa

relazione è importante tenere in conto anche attori non statali che comunque

ricoprivano ruoli preminenti nella società araba durante il periodo dei mandati. In

particolare le figure legate al mondo religioso islamico costituivano l’élite e la guida

spirituale e culturale della società araba. Hajji Muhammad Amin al-Husayni, gran

Mufti di Gerusalemme fu senza alcun dubbio una delle figure di spicco dell’Islam

radicale, nonché quello che potremmo definire l’interlocutore privilegiato tra il

mondo arabo e la Germania di Hitler. In più occasioni si troverà ad essere il

mediatore tra le forze del mondo arabo e il Reich. La Palestina in cui questi viveva

era, senza ombra di dubbio, la parte del mondo arabo che maggiormente vedeva come

comune nemico al nazionalsocialismo il giudaismo globale (nella forma del 7 C. Weizmann, Trial and Error, Harper & Brothers, London 1949, p.193

17

sionismo) alleato con le democrazie plutocratiche (in questo caso il mandato

britannico). Per capire l’importanza della figura del Mufti è utile citare le parole dello

storico John Marlowe: “la figura dominante in Palestina durante gli anni del mandato

non fu un britannico né un ebreo, ma un arabo, Hajj Amin Muhammed Effendi al-

Husayni… Abile, ambizioso, senza paura, serio e incorruttibile, egli era fatto con

l’identica stoffa con cui sono fatti i dittatori”8

Nacque in una data ancora incerta agli storici, comunque compresa fra il 1893 e il

1897, in una delle famiglie più importanti di Gerusalemme, gli Husayni appunto. Il

fatto di appartenere ad una famiglia ricca e ben conosciuta gli avrebbe sempre

spianato la strada nel corso della sua carriera. Studiò prima a Gerusalemme, poi al

Cairo. Sembra che durante questi studi venne a contatto con la cultura islamica

antisemita. Nel 1913 compie il viaggio alla Mecca, potendosi così fregiare del titolo

di Hajji (titolo attribuito appunto a coloro che hanno compiuto l’Hajj, il viaggio nella

Città Santa per eccellenza del mondo mussulmano, uno dei cinque pilastri

dell’Islam). Molti storici concordano sul fatto che non terminò mai gli studi

all’università al-Azhar in Egitto, e che quindi non sarebbe stato idoneo a ricoprire la

carica di Mufti. Durante la prima guerra mondiale militò nell’esercito ottomano per

fare poi ritorno a Gerusalemme nel 1916, dopo essersi congedato per le sue cattive

condizioni di salute. Durante la sua militanza nell’esercito ottomano era diventato un

convinto panarabista e panislamista. Vide nella dichiarazione Balfour e nel mandato

britannico un pericolo mortale per tutti gli arabi di Palestina. Nel 1920 contribuì ad

organizzare la grande rivolta antiebraica, meglio nota come Moti di Nabi Musa (in

quanto coincise con la processione in onore del profeta Mosè), esortando tutti gli

arabi a prendere le armi contro i nemici del profeta.

Nel 1921 moriva Kamil al-Husayni, fratello di Muhammad Amin, nonché Mufti di

Gerusalemme fino a quella data. L’istituto del Mufti era stato creato nel XVIII secolo

dal sultano ottomano con lo scopo di creare una figura giuridica che governasse

8 J. Marlowe, The Seat of Pilate; an Account of the Palestine Mandate, Cresset Press, Londra 1959

18

giustamente i propri sudditi, indipendentemente dalla propria fede. I suoi compiti

consistevano nell’interpretare la Sharia (la legge coranica) e nella possibilità di

emettere una Fatwà, ovvero un parere giuridico vincolante, emesso da un esperto di

diritto islamico. Fino al 1918 era stato il Sultano a scegliere fra una rosa di 3 canditati

il prossimo Mufti. Nella Palestina mandataria si scelse di operare in continuità con

questo pratica, sostituendo il Sultano con Sir Herbert Samuel, Alto commissario per

la Palestina, nonché ebreo e sionista. Fu proprio lui a scegliere Hajji Muhammad

Amin al-Husayni per la carica, sotto fortissime pressioni da parte della famiglia di

quest’ultimo, nel tentativo di avvicinare le correnti più estreme dell’Islam. Grazie alla

sua nuova carica Husayni, oltre al prestigio, ottenne una cospicua rendita annuale pari

a 200.000 sterline. Nel 1929 fu responsabile di una nuova ondata di moti antiebraici,

partiti da una disputa sull’utilizzo del Muro del Pianto, che culminarono con la

distruzione della comunità ebraica di Hebron.

La salita al potere di Adolf Hitler il 30 Gennaio 1933 fu accolta con immensa gioia

dal Mufti, che vide l’evento come “l’avvento di una nuova era di libertà per i

mussulmani di tutto il mondo”. Due mesi dopo egli spedì un telegramma, al consolato

tedesco di Gerusalemme, che fu la prima di molte offerte di collaborazione, dove

affermava: “I mussulmani dentro e fuori la Palestina danno il benvenuto al nuovo

regime tedesco e si augurano che il sistema di governo nazionalsocialista e

antidemocratico si affermi in altri paesi”. Il 21 Luglio 1934 si recò in visita ad Hans

Dohle, nuovo console tedesco a Gerusalemme, dove ribadì il proprio sostegno alla

causa nazionalsocialista, ma chiese anche cosa questa fosse disposta a fare per il

mondo arabo.

Nel 1936 il Mufti sarà tra i principali promotori della Grande rivolta araba che durerà

fino al 1939. Per questo motivo le autorità britanniche chiederanno il suo arresto nel

Luglio del 1937. Definito da alcuni “l’Houdini di Hitler”, il gran Mufti fu sempre un

gran maestro nella fuga. Dopo i moti del 1920 era riuscito a fuggire all’arresto

spacciandosi per suo fratello quando la polizia britannica venne a cercarlo a casa sua

19

(in seguito ricevette comunque un amnistia per il suo coinvolgimento in quei fatti).

Nel 1937 fuggì prima nell’Haram, la sacra spianata delle moschee che i britannici

non osavano invadere, ed infine in Libano, travestendosi da donna. Infine

nell’Ottobre del 1939, per via di numerosi contrasti con le autorità francesi, troverà

finalmente riparo in Iraq, dove nel 1941 aiuterà l’attuazione del colpo di stato

antibritannico. Le altre sue fughe rocambolesche saranno dopo il fallimento del colpo

di stato iracheno e nel 1945, quando fuggì dalla Germania nazista, ormai al collasso,

in Svizzera.

Il ministero degli esteri tedesco fu sempre molto attento all’attività del Mufti in

questo periodo, ricevendo continui aggiornamenti dal proprio console a

Gerusalemme. Dopo il 1937 in particolare l’Abwher, il servizio di intelligence

militare tedesco, e le Waffen SS iniziarono a pensare al suo reclutamento come

collaboratore. Fino alla conferenza di Monaco, però, la Germania mantenne sempre

una grandissima prudenza nel trattare con elementi arabi antibritannici come il Gran

Mufti. Questo per non inimicarsi in maniera eccessiva il governo di sua maestà

britannica che era ancora visto come un valido interlocutore nei disegni del Fuhrer.

Qualsiasi contatto andava quindi operato nel massimo segreto. Nel Settembre 1937 il

Mufti entrerà in diretto contatto con l’SS Hauptscharfuehrer Adolf Eichmann, che

viaggiò fra Settembre e Ottobre di quell’anno in Libano e Iraq, per constatare lo stato

effettivo delle vari gruppi armati che si opponevano alle potenze mandatarie, Francia

e Gran Bretagna. Nel 1938 al-Husayni ricevette armamenti, finanziamenti e

consiglieri provenienti dall’unità Judenreferat. Da quell’anno il Mufti risulterà inoltre

sul libro paga dell’Abwher II, il quale, sempre nello stesso periodo, darà vita ad un

piano che prevedeva di inviare in Palestina, tramite navi con bandiere neutrali che

sarebbero sbarcate nel porto di Jedda in Arabia Saudita, armi, munizioni e consiglieri

militari delle SS, destinati agli insorti arabi. Il piano fu poi annullato su decisione di

Hitler, il quale, come abbiamo visto, preferiva non far degenerare i rapporti con la

Gran Bretagna.

20

CAPITOLO 3

LA GERMANIA E IL MONDO ARABO, TRA IL 1936 E LA FINE

DELLA GUERRA IN NORD AFRICA

3.1 IL MAGHREB

Il Maghreb è la parte più occidentale del mondo arabo, comprendente la Tunisia, il

Marocco l’Algeria. Negli anni 30 i primi due erano protettorati francesi, mentre

l’Algeria era integrata nello stato metropolitano francese. L’attività tedesca nel

Maghreb si concentrò principalmente tra il 1937 e il 1940, visto che in seguito alla

caduta della Francia e all’avvento al potere del governo Pétain a Vichy, la Germania

cerco sempre di non inimicarsi lo Stato Francese. Nel 1937 tre città marocchine, Fès,

Meknès e Khemisset, furono travolte da una forte ondata di rivolte, incidenti e

sommosse, dirette contro il colonialismo francese. La stampa tedesca si schierò

apertamente a favore dei rivoltosi, giudicando oppressivo e violento il modello

coloniale di Parigi. In Europa era poi attiva l’Associazione dei giovani mussulmani di

Berlino, fondata molto prima dell’avvento del nazismo, nel 1922, che fungeva da

cassa di risonanza da parte di Berlino per alimentare il nazionalismo arabo nel

Maghreb. Il già citato giornale egiziano “Al-Muqattam”, in un articolo del 6 Ottobre

1936, dà questa descrizione del rapporto tra l’Associazione e il Reich:

“L’Associazione, per tutto quello che desidera pubblicare, incontra benevola

accoglienza presso tutta la stampa tedesca e alta considerazione all’interno del

governo”. All’interno di questa i leader dei vari movimenti nazionalisti potevano

tranquillamente incontrarsi e coordinarsi sotto l’ala protettiva tedesca. Nel 1938

Berlino vedrà nascere ben tre comitati dei nazionalisti arabi maghrebini: il Comitato

per la difesa della Tunisia, il Comitato dei rifugiati politici del Nord Africa e il

Comitato per la difesa del Maghreb.

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I rapporti con il Maghreb resteranno poi congelati per tutto il tempo in cui queste

regioni resteranno fedeli a Vichy. Si scongeleranno dopo l’8 Novembre 1942, quando

una massiccia forza alleata sbarcherà sulle spiagge di Orano, Casablanca e Algeri,

avviando cosi l’operazione Torch, il primo massiccio sbarco anfibio dei governi

alleati. Nel giro di tre giorni tutte le forze francesi leali a Vichy o seguirono gli ordini

dell’ammiraglio Darlan e si unirono agli anglo-americani, o si arresero dopo brevi

scontri. L’asse rispose occupando il protettorato francese di Tunisia. Le popolazioni

locali accolsero le truppe tedesche in modo spesso caloroso ed entusiasta. Il Mufti

(che come abbiamo visto dal 1941 era in Germania) fece forti pressioni sul governo

tedesco affinché per il governo di questi territori si appoggiasse sui nazionalisti

tunisini detenuti ancora nelle carceri francesi e promettesse l’indipendenza per i paesi

del Maghreb. I francesi infatti, durante l’operazione Torch, si erano dimostrati

inaffidabili e quindi non più in grado di collaborare con le autorità tedesche. Berlino

era però impossibilitata ad avallare una simile dichiarazione per tre motivi: il primo è

che, nonostante lo smacco subito dallo sbarco anglo-americano, il governo Pétain era

ancora necessario alla Germania come collaboratore e annunciare l’indipendenza di

tre dei suoi più importanti possedimenti avrebbe certamente fatto perdere ogni

possibilità di collaborazione. Il 27 Novembre 1942 infatti Hitler aveva promesso a

Pétain che l’autorità francese sarebbe stata ristabilita sul suolo tunisino. In secondo

luogo era necessario mantenere buoni rapporti con la Spagna di Franco, la quale

controllava la costa settentrionale del Marocco. Questo viene espresso in una nota del

ministero degli esteri tedesco datata 3 Dicembre 1942: “Non è possibile promettere

libertà e indipendenza agli arabi dell’Africa del Nord. Ciò sarebbe in contraddizione

con la lettera del Fuhrer a Pétain e si rivela impossibile tenuto conto delle nostre

relazioni con la Spagna”9. Infine un'altra ragione per cui la Germania non poteva

garantire l’indipendenza del Maghreb era che l’intera area rientrava da tempo nella

zona di influenza Italiana, e quindi Berlino non aveva molto da dire in materia.

Furono proprio i progetti coloniali italiani a ridurre in buona parte la simpatia verso le

9 AA, Bonn, Politisches Archiv, USTS, “Nordafrika”, II 1942-1943 f. 303025

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forze dell’asse in Tunisia. Al contrario le forze tedesche, che non nutrivano alcun

progetto coloniale, apparivano più facilmente come liberatori. Dal Gennaio 1943,

quando la situazione militare iniziò a degenerare, i tedeschi spostarono la loro fiducia

dalle autorità francesi a quelle arabe. Il bey di Tunisi, Muhammad VII al-Munsif,

nutriva delle decise simpatie verso l’asse, anche se cercò sempre di mantenere una

posizione neutrale data l’ormai inevitabile avanzata delle forze anglo-americane. Il 12

Aprile 1943 decorava con onorificenze membri delle SS e della Gestapo. Sarebbe

stato deposto dagli alleati con l’accusa di collaborazionismo e inviato nel deserto

algerino. Hitler e i suoi si appoggiarono molto in Tunisia sui membri del partito Neo

Destur, i cui leader furono liberati dalla carceri di Vichy e mandati in Tunisia (dopo

una lunga diatriba con l’Italia, che vedeva minata l’idea della Tunisia come colonia

italiana). Qui questi assunsero le tre cariche civili del governo prima detenute dai

francesi facendo venire meno cosi Hitler alla lettera che aveva inviato a Pétain. Il 13

Maggio 1943 ciò che restava della forze italo-tedesche in Africa, agli ordini del

generale Messe, si arrese alle incalzanti forze alleate. Negli anni successivi gli alleati

avranno sempre difficolta nel reclutare manodopera dalla popolazione locale, la quale

ospiterà anche molti soldati dell’Afrika Korps sfuggiti alla cattura. Al passaggio delle

truppe anglo-americane molti tunisini erano soliti rispondere con il saluto nazista.

3.2 L’ARABIA SAUDITA

L’Arabia Saudita, nata ufficialmente nel 1932 dall’unione dei regni di Hejiaz e Nejd,

era negli anni 30 uno dei pochi paesi arabi che potremmo definire libero da influenze

esterne. Al contrario degli altri paesi indipendenti sul suo suolo non stazionavano

truppe britanniche, come invece avveniva in Egitto ed in Iraq. Nonostante ciò il paese

nutriva forti timori che la sua integrità territoriale potesse essere messa in discussine

dalla Gran Bretagna. Il paese si sentiva, ed in effetti era, completamente circondato

da truppe britanniche. Oman e Yemen meridionale a sud erano protettorati del

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governo di sua maestà, Bahrein e Emirati arabi ad est allo stesso modo. Ad ovest,

oltre il Mar Rosso, l’Egitto era presidiato da truppe britanniche, come l’Iraq e il

Mandato di Palestina e Transgiordania a nord. Nel 1937, come conseguenza delle

decisioni della commissione Peel sulla creazione di uno stato ebraico in Palestina, il

regnate saudita Ibn al-Sa’ud decise di avviare relazioni diplomatiche stabili con la

Germania di Hitler fino a quel momento assenti. La prima richiesta avvenne il 5

Novembre 1937 a Baghdad durante un incontro fra il segretario privato del re, lo

sceicco Yusuf Yassin, e l’ambasciatore tedesco in Iraq. Nel Settembre 1938 la

richiesta venne accettata e Fritz Grobba divenne ambasciatore accreditato sia a Gedda

che a Baghdad. In questo periodo il sovrano saudita collaborò anche con l’Abwher

per far sbarcare armi destinate ai ribelli arabi in Palestina in uno dei suoi porti, piano

poi che venne annullato. Nel Gennaio-Febbraio 1939 Fritz Grobba operò una serie di

viaggi diplomatici, prima al Cairo, poi a Baghdad, e infine a Gedda, dove incontrò il

re saudita più volte tra il 12 e il 18 Febbraio. Durante questi colloqui i sauditi

ribadirono come il loro paese fosse circondato dalle forze inglesi, e come pertanto era

categorico mantenere un buon rapporto con i britannici per preservare la propria

integrità territoriale. I sauditi espressero chiaramente ai tedeschi che questo non

significava che il re e la sua corte fossero amici dei britannici e nemmeno strumenti

di questi. Lo scopo di Ibn al-Sa’ud era quello di rafforzare il proprio paese

internamente onde renderlo sempre più autonomo dai britannici. Al fine di

mantenersi indipendente da Londra il re Saudita chiese ai tedeschi l’invio di forniture

di armi a prezzi modici, in cambio di una quanto meno benevola neutralità nel caso

fosse scoppiato un conflitto con la Gran Bretagna (come poi avvenne in Settembre).

Altro scopo dell’incontro era far sì che la Germania comunicasse all’alleato italiano

che atti come gli accordi di Pasqua del 16 Aprile 1938, nei quali sia la Gran Bretagna

che l’Italia si erano proclamati garanti dell’indipendenza dell’Arabia Saudita,

avevano scosso la fiducia del mondo arabo verso il Duce. Questo rapporto doveva

mantenersi nella più assoluta segretezza onde evitare possibili ripercussioni da parte

del governo di Londra. In un primo periodo l’accordo non si trasformò in nulla di

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sostanziale a causa dell’ostilità verso di esso da parte della sezione politica del

ministero degli esteri. Hitler riuscì in Giugno a rabbonire il ministero e ad incontrare

Khalid-al Hud, inviato del re saudita, nella sua villa a Berghof. Hitler assicurò in

quest’occasione che la Germania avrebbe collaborato alla creazione di un esercito

saudita. Il reich stanziò sei milioni di marchi a favore del governo saudita, che

sarebbero stati utilizzati per acquistare fucili, postazioni di artiglieria contraerea e

carri armati. Lo scoppio della guerra non permise a queste forniture di giungere a

destinazione. Sotto forti pressioni da parte dei britannici l’Arabia Saudita ruppe le

relazioni diplomatiche con la Germania l’11 Settembre 1939.

3.3 LA RIVOLTA IRACHENA DEL 1941

La rivolta irachena dell’Aprile-Maggio 1941 fu l’evento di maggior rilievo di tutta la

relazione della Germania nazionalsocialista con il mondo arabo. In quel periodo le

attenzioni dell’asse agli occhi del mondo arabo sembravano finalmente rivolgersi

seriamente verso lo scenario mediterraneo e quindi mediorientale. L’offensiva del

generale Rommel e dei suoi Afrika Korps, dopo le umilianti sconfitte italiane nella

prima parte dell’anno che avevano portato alla perdita di tutta la Cirenaica, era

riuscita a riportare il fronte di guerra alla città di Bardia, al confine con l’Egitto,

anche se l’importante porto strategico di Tobruk resisteva ancora. Nel mese di

Maggio i Fallschirmjäger (paracadutisti) dell’esercito tedesco conquistavano l’isola

di Creta, ultima roccaforte dello stato greco. Agli occhi del mondo arabo era il

momento ideale per unirsi alla lotta, visto che questi non erano a conoscenza che

l’intera azione balcanica di Hitler aveva come scopo principale quello di coprire il

fianco meridionale del grande fronte che poco dopo si sarebbe aperto contro l’Unione

Sovietica che ,lo ripetiamo, era sempre stato l’obiettivo principale del Fuhrer,

ossessionato dal suo Lebensraum orientale. Gli aiuti quindi alla rivolta di al-Husayni

e a Rashid Ali al-Giliani (il golpista che assunse la carica di primo ministro iracheno)

25

furono molto limitati. Hitler e il suo alto comando riterranno inopportuno un

coinvolgimento eccessivo in un teatro cosi lontano alla vigilia dell’operazione

Barbarossa, nonostante le ricchezze petrolifere dell’Iraq facessero molta gola alla

Wehrmacht.

L’Iraq aveva covato sentimenti antibritannici fin dalla fine della prima guerra

mondiale, quando la Gran Bretagna ottenne il mandato da parte della Società delle

Nazioni per l’area della Mesopotamia. Nell’estate del 1920 una folla inferocita,

composta da arabi e curdi, marciò nelle strade di Baghdad contro il passo indietro

fatto dal governo di sua maestà che non aveva permesso la creazione di uno stato

arabo unitario. La folla invocava il principio di autodeterminazione, cardine dei

quattordici punti del presidente americano Woodrow Wilson. La rivolta fu repressa

nel sangue dai britannici con l’utilizzo, anche, di armi chimiche e bombe incendiarie.

Nel 1932 scadde il mandato britannico. Questo fatto rese necessario stipulare un

nuovo trattato fra i due paesi. Questo prevedeva che la Gran Bretagna avrebbe

mantenuto due basi aeree sul territori iracheno, una ad Habbaniya (88 chilometri da

Baghdad) e l’altra a Shaibah, nei pressi di Bassora. Oltre a questo le truppe inglesi

avevano il pieno accesso militare a tutto il paese in caso di guerra. Fritz Grobba, che

come abbiamo visto era ambasciatore sia a Baghdad che a Gedda, lavorò molto su

questo trattato, esponendo ai membri del nazionalismo iracheno come, finché la Gran

Bretagna avesse mantenuto questa forma di controllo sul paese, l’indipendenza

rimaneva un qualcosa di meramente formale. Il 19 Settembre del 1939 l’Iraq,

governato dal primo ministro filo britannico Nuri Said, venne spinto dalla pressione

degli inglesi ad interrompere le relazioni diplomatiche con la Germania.

Abbiamo visto come nell’Ottobre 1939, poco dopo lo scoppio delle ostilità fra

Francia, Gran Bretagna e Germania, Hajji Muhammad Amin al-Husayni fosse

fuggito da Beirut in Iraq. Giunto quì aveva subito iniziato ad utilizzare i soldi che gli

provenivano dall’Abwher per finanziare il partito nazionalista iracheno di Rashid Ali

al-Giliani, che nutriva grandi simpatie in particolare negli ambienti militari. Tra il

26

1940 e il 1941 molti membri della polizia e dell’esercito iracheno presero contatto

con il Mufti. Nel Marzo 1940 al Giliani divenne primo ministro dell’Iraq per la

seconda volta (la prima era stata nel 1933), riavvicinando il paese alla Germania di

Hitler. Questi dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia a Francia e Gran Bretagna

(10 Giugno 1940) si rifiutò di rompere le relazioni diplomatiche con questa. Anzi,

inviò Naji Shawkat, ministro della giustizia nel suo governo, ad incontrare Franz Von

Papen, ambasciatore tedesco ad Ankara, per ottenere sostegno da parte dei tedeschi al

suo governo. Rashid Ali assicurava alla Germania la fornitura del petrolio iracheno,

in cambio chiedeva che Berlino riconoscesse l’indipendenza e l’unità del mondo

arabo, oltre al diritto di poter agire liberamente nei confronti delle comunità ebraiche

residenti in Iraq e negli altri paesi arabi. Sul finire del 1940 la Gran Bretagna,

estremamente preoccupata per la ripresa dei contatti tra Iraq e Germania, esercitò

enormi pressioni sul reggente Abd al-Ilah (il re Feisal II aveva poco più di cinque

anni) al fine di far dimettere al-Giliani. Nel Dicembre di quell’anno ci riuscì. Il

generale Taha el Hashimi prese il posto di al-Giliani.

Nella primavera del 1941 le vittorie della Wehrmacht in Nord Africa riaccesero i

sentimenti antibritannici. Rashid Ali doveva cogliere quest’occasione per cacciare i

britannici dal proprio paese. Il primo Aprile 1941, sostenuto dall’esercito, da

rappresentati del partito nazionalista, del partito Baath (tra i quali possiamo trovare

Khairallah Tulfahl, zio del futuro dittatore Saddam Hussein) e dalle cellule del Mufti

stanziate in Iraq, diede vita a un colpo di stato, che obbligarono re, reggente e primo

ministro in carica a lasciare il paese. Si creò cosi un governo dichiaratamente

filogermanico. L’insurrezione fu chiamata dai golpisti Golden Square (Blocco

d’Oro). Il piano era però mal congegnato e mal organizzato, in quanto sia al-Giliani

che il Mufti si coordinarono male con l’Abwher e con la Wehrmacht, la quale come

abbiamo visto era occupata nei Balcani e nella preparazione dell’operazione

Barbarossa. La mossa di al-Giliani era stata troppo rapida e senza i dovuti

accorgimenti tra le due parti (Germania e Iraq), ma certamente era vista di buon

occhio da parte dell’Abwher. Le forze dell’asse non disponevano inoltre in quel

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periodo delle infrastrutture necessarie a raggiungere l’Iraq. L’aeroporto più vicino

sotto controllo dell’asse era quello di Rodi, nel Dodecaneso. Hitler si schierò

pubblicamente a favore degli insorti: “Fornirò all’esercito di Rashid Ali armi,

munizioni, e mezzi aerei di prima qualità”, ma questa come si vedrà era più

propaganda che realtà. Hitler operava secondo i principi di quella che abbiamo

chiamato “l’amicizia con poco impegno”. Impegnarsi in Medio Oriente, area sotto la

sfera di influenza italiana, lontana e di scarso interesse, alla vigilia della conquista del

vero e unico Lebensraum (l’Europa orientale) appariva inutile. Nella visione di

Hitler il petrolio iracheno non era cosa da disdegnare, ma entro la fine dell’anno era

sicuro di avere accesso ai ricchi pozzi petroliferi del Caucaso, sottraendoli ai

sovietici.

Subito dopo il golpe i britannici decisero di riportare la situazione sotto controllo. A

Rashid Ali venne comunicato dagli inglesi, tramite il loro ambasciatore a Baghdad

Sir Kinahan Cornwallis, che due numerosi contingenti di truppe indiane sarebbero

arrivate in Iraq tra il 18 e il 29 di Aprile. Ufficialmente le truppe avrebbero dovuto

solo transitare per il paese (in base al trattato del 1932) per poi recarsi in Egitto, sotto

attacco da parte dell’Afrika Korps di Rommel. Ovviamente nei piani di Churchill e i

suoi quelle truppe dovevano rendere Rashid Ali inoffensivo e riportare l’Iraq sotto il

controllo britannico. Pochi giorni dopo la comunicazione di Cornwallis circa 200

soldati britannici furono trasportati in aereo a Bassora per mettere il porto in

sicurezza. Solo il 30 Aprile al Giliani si decise ad operare militarmente, facendo

circondare la base aerea di Habbaniya, dando cosi il via alle ostilità con i britannici.

Venne inoltre chiuso l’oleodotto che andava da Kirkuk ad Haifa, dirottando il greggio

verso la Siria, controllata dalle forze di Vichy. Questa si era dichiarata fin da subito

favorevole ad aiutare i golpisti. Il governatore francese, Henri Fernand Dentz, si

dichiarò disponibile ad offrire gli aeroporti siriani all’asse, oltre ad inviare aiuti in

armi e munizioni a al Giliani e i suoi.

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Al momento dello scoppio delle ostilità numericamente l’esercito iracheno era in

buone condizioni. Esso era costituito da 49.237 soldati e 2.177 ufficiali, 30 cingolati

leggeri e 116 aerei da combattimento. Nella base aerea assediata di Habbaniya invece

erano presenti 49 velivoli e circa 1000 piloti e 1550 soldati (inclusi alcuni rinforzi

giunti da Karachi). Nonostante la superiorità gli attacchi iracheni si risolsero in una

completa disfatta. Il 6 Maggio le truppe irachene erano già state messe in rotta verso

Al Falluiya, grazie ai continui attacchi da parte della RAF. Dopo questa umiliante

disfatta Rashdi Ali intensificò le sue richieste nei confronti di Berlino perché gli

inviasse aiuti. Gli iracheni nel frattempo, presi dalla disperazione, fecero saltare gli

argini del Tigri e dell’Eufrate, allagando le vaste pianure della Mesopotamia, cosi da

guadagnare tempo e spostare il grosso delle truppe a nord, verso Mosul, dove

sarebbero dovute atterrare le forze aeree tedesche. I primi ad inviare aiuti furono i

francesi fedeli a Vichy stanziati in Siria, che sotto richiesta di Berlino invieranno il 13

Maggio tre convogli ferroviari carichi di fucili Lebel, mitragliatrici Hotchkiss,

proiettili, caricatori e granate. Il giorno seguente arriveranno, tramite scalo a Rodi, i

primi aerei della Luftwaffe a Mosul. Gli arei inviati dai tedeschi erano: sette bimotori

da bombardamento Heinkel He 111 H6, quattordici bimotori Me Bf 100, venti aerei

da trasporto Ju 52 e Ju90 B, per un totale di 41 velivoli. Gli episodi avvenuti in questa

fase mostrarono la totale impreparazione sia dell’esercito che della logistica irachena,

nonché la scarsa coordinazione fra iracheni e tedeschi. Il carburante messo a

disposizione dei velivoli dell’asse infatti non era adatto ai motori degli aerei. Per di

più durante la fase d’atterraggio nell’aeroporto di Mosul l’aereo del maggiore Axel

von Blonberg, l’ufficiale inviato da Herman Goering a coordinare la Luftwaffe in

Iraq, venne centrato in pieno dalla contraerea irachena. A corto di carburante gli aerei

tedeschi riuscirono comunque a compiere una serie di missioni in supporto delle

truppe irachene in ritirata. Tra il 16 e il 22 Maggio le forze britanniche e irachene si

scontrano nei pressi di Al Falluja; al termine della battaglia gli iracheni si ritirarono

verso Baghdad. Il 28 Maggio cadde il forte di Khan Nuqta, le cui linee telefoniche

erano ancora collegate alla capitale irachena. Questo permise ai britannici, tramite

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interpreti arabi, di diffondere il panico a Baghdad comunicando catastrofiche notizie

sul corso della guerra. Il 30 Maggio, mentre la città era nel caos, Rashid Ali decise di

fuggire insieme al Mufti, prima in Iran, poi in Turchia, fino a ricongiungersi agli

alleati dell’asse in Italia in Ottobre.

Hitler nel corso della sua azione irachena ridusse gli aiuti al minimo questo, come

abbiamo visto, sia per motivi logistici che di realpolitik. La Luftwaffe venne lasciata

nelle mani della logistica irachena, cosa che ne limitò enormemente l’utilizzo. La

decisione di non impegnarsi nel teatro mediorientale eccessivamente continuerà ad

essere applicata nei mesi successivi alla caduta del governo di al-Giliani, quando gli

alleati invaderanno e occuperanno i mandati sotto il controllo dello État Français,

Siria e il Libano, che avevano dato manforte agli iracheni, e li metteranno sotto il

controllo della Francia Libera. Stesso copione si ripeterà nell’Agosto-Settembre del

1941 quando inglesi e i sovietici invaderanno l’Iran, per paura che l’eccessiva

vicinanza dello Scià Reza Pahlavi (da non confondersi con il figlio Mohammad Reza

Pahlavi, ultimo Scià di Persia deposto nel 1979) alla Germania potesse chiudere un

fondamentale corridoio per i rifornimenti alleati all’Unione Sovietica. In questo modo

la Germania aveva perso ben tre possibili alleati nel teatro orientale.

30

MAPPA DELL’INVASIONE BRITANNICA DELL’IRAQ 10

3.4 L’EGITTO DI RE FARUQ

L’Egitto era diventato formalmente indipendente nel 1922 ma l’influenza britannica

sul paese rimaneva molto forte, sia a livello di presenza militare che di influenza

politica, per via della presenza nel paese del canale di Suez indispensabile per

collegare rapidamente la madrepatria con il gioiello dell’impero britannico, l’India.

Nel 1936, a seguito dell’impresa italiana in Etiopia, era stato siglato un nuovo trattato

tra i due paesi, che permetteva comunque alla Gran Bretagna di lasciare 10.000

uomini di guardia al canale di Suez oltre a poter operare liberamente nel paese in caso

di guerra (questo in maniera analoga al trattato con l’Iraq). I sentimenti antibritannici

e nazionalisti erano quindi forti nel paese, anche in seno alla casa reale guidata

dall’Aprile 1936 da Faruq I.

10

Jonathan Trigg, Hitler’s Jihadis: Muslim Volunteers of the Waffen-SS, The History Press, Briscombe Port 2008, p. 7

31

Negli anni che precedettero il conflitto la propaganda tedesca lavorò molto nel paese

al fine di ottenere le simpatie della borghesia e dell’élite culturale egiziana. Nel 1936

membri del partito Gam’iyyat Misr al-Fatat (“Giovane Egitto”) e del Partito

Nazionale avevano preso parte all’annuale raduno del Partito Nazionalsocialista a

Norimberga, che quell’anno si chiamava Reichsparteitag der Ehre (Raduno

dell’Onore) a seguito della rimilitarizzazione della Renania. I giovani cercavano un

modello politico a cui ispirarsi e da poter esportare in Egitto.

La situazione però divenne paradossale dopo lo scoppio della seconda guerra

mondiale e in particolare dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Nel 1939, sotto

fortissime pressioni da parte dell’opinione pubblica, il governo egiziano decise di non

dichiarare guerra alla Germania anche se fu costretto dagli inglesi ad interrompere le

relazioni diplomatiche il giorno stesso in cui Francia e Gran Bretagna si schierarono a

favore della Polonia (3 Settembre 1939). La situazione non mutò nemmeno quando

nel Settembre 1940 il generale Graziani diede il via all’invasione dell’Egitto,

avanzando però solo di pochi chilometri. Il paradosso consisteva nel fatto che mentre

gli inglesi e le forze del Commonwealth si impegnavano per difendere l’Egitto dalle

forze dell’asse, le truppe egiziane, circa 40.000 uomini, si mantenevano strettamente

neutrali. Questo atteggiamento più che sospetto aveva spinto i britannici a disarmare

le truppe del governo egiziano. Una scelta saggia visto che tra le loro fila si

inneggiava a Abu Ali, “il redentore” (il Fuhrer), e a Mussa-Nili, “il Mosè del Nilo”

(il Duce). Nel Febbraio 1941 a Berna, in Svizzera, si incontrarono l’incaricato

d’affari egiziano Assal Bey e l’ambasciatore tedesco nel paese elvetico. Assal Bey

chiese quale sarebbe stato il ruolo del suo paese nel caso di vittoria dell’asse. Egli

agiva sotto richiesta personale di re Faruq. La risposta arrivò sempre per via indiretta

(essendo state interrotte le relazioni diplomatiche) il 30 Aprile 1941, tramite un

telegramma inviato da Ribbentrop all’ambasciatore tedesco in Iran. Il Fuhrer ribadiva

il totale disinteresse della Germania nella conquista di colonie o territori nel mondo

arabo, ribadiva piuttosto che il futuro dell’Egitto era quello di una nazione

indipendente.

32

La situazione cambiò nei primi mesi del 1942. La guerra nel deserto della Cirenaica

era stata caratterizzata dall’”effetto pendolo”. Ogni qual volta un avversario avanzava

e allungava troppo le proprie linee di rifornimenti, l’altro le accorciava potendo cosi

lanciare una controffensiva contro un nemico debilitato. Nel Gennaio-Febbraio 1942

il pendolo era a favore di Rommel e dei suoi Afrika Korps, che giunsero fino alla

cittadina di El-Alamein, 100 chilometri circa da Alessandria d’Egitto. Nel paese

scoppiarono numerose proteste contro la scarsezza dei generi alimentari, nelle quali si

levavano slogan come “Hidha Faruq fawqa ra’sak ya George” (La scarpa di Faruq

sulla tua testa,George!) o “Ila l aman y Rommel!” (Avanza Rommel!). La volpe del

deserto in particolare esercitava un certo fascino sulle genti arabe grazie alla sua fama

di abile combattente.

Nei primi mesi del 1942 il governo egiziano terminò anche le relazioni diplomatiche

con l’État Français (la Francia di Vichy) senza informarne preventivamente re Faruq

che, urtato da ciò, obbligò il gabinetto a dimettersi il 2 Febbraio. Si avvio allora una

breve ma intensa crisi fra gli egiziani e gli inglesi. Questi ultimi volevano che

tornasse ad essere primo ministro Mustafà al-Nahhas Pascià, noto filo britannico,

leader del partito Wafd e che aveva concluso con i britannici il trattato del 1936. Al

contrario re Faruq era intenzionato a nominare Ali Maher, che era sospettato di essere

in combutta con l’asse poiché aveva dichiarato che l’invasione dell’Egitto da parte

dell’asse non era un atto diretto contro lo stato egiziano, ma contro un altro attore

(l’Inghilterra) che occupava il suolo egiziano. Questa affermazione riassumeva ciò

che l’opinione pubblica araba pensava della campagna in Nord Africa. Gli inglesi

accerchiarono, la mattina del 4 Febbraio 1942, il palazzo del sovrano con le proprie

truppe, obbligando il sovrano a nominare al-Nahhas.

Nello stesso periodo alcuni esponenti del nazionalismo arabo presenti nell’esercito

egiziano stabilirono un contatto con l’Abwher per coordinare le azioni di insurrezione

con l’avanzata di Rommel e delle sue forze. Tra questi vi erano i futuri presidenti

egiziani, Gamal Abd Nasser (1918-1970) e Muhammad Anwar al-Sadat (1918-1981).

33

Affermerà in seguito Sadat “Approfittare di queste circostanze così favorevoli era per

l’Egitto un dovere. Prendemmo contatto con il quartier generale tedesco in Libia e ci

muovemmo in completa armonia con esso nella speranza di cacciare gli inglesi dalla

valle del Nilo”. L’intesa prevedeva di far marciare in rivolta i volontari arabi presenti

nell’Ottava Armata britannica. Il piano fallì perché venne scoperto in tempo dai

servizi segreti inglesi. A seguito di questo evento vennero creati quattro tribunali

speciali che arrestarono circa 5.900 tra nazionalisti e fratelli mussulmani, con

l’accusa di collaborazionismo.

Un documento di notevole rilevanza per capire come si presentasse l’asse alle

popolazioni egiziane e la dichiarazione italo-tedesca per l’indipendenza dell’Egitto,

pubblicata il 4 Luglio 1942, proprio mentre i carri armati dell’Afrika Korps

sembravano inarrestabili. Questa recita: “Il Regio Governo Italiano e il Governo del

Reich dichiarano: Le Potenze dell’Asse, nel momento in cui le loro Forze Armate

avanzano vittoriosamente in territorio egiziano, riconfermano solennemente la loro

precisa intenzione di rispettare e assicurare l’indipendenza e la sovranità dell’Egitto.

Le Forze dell’Asse non entrano in Egitto come in un Pase nemico, ma con lo scopo di

espellere gli Inglesi dal territorio egiziano e di proseguire contro l’Inghilterra le

operazioni militari che dovranno liberare il Vicino Oriente dal dominio britannico. La

politica delle Potenze dell’Asse è inspirata al concetto che l’Egitto è degli Egiziani.

Liberato dai vincoli che lo legano alla Gran Bretagna- e che lo hanno portato a

soffrire le conseguenze della guerra –l’Egitto è destinato a prendere il suo posto tra le

nazioni indipendenti e sovrane.”11

Le potenze dell’asse avevano in mente di utilizzare l’Egitto come trampolino di

lancio verso il Medio Oriente, sogno questo che verrà infranto quando tra l’Ottobre e

il Novembre 1942 le forze del generale Bernard Montgomery infliggeranno all’asse

la sua prima grande disfatta. Il pendolo tornava a favore degli inglesi, ma questa volta

non avrebbe cambiato più verso.

11

E. Rossi, Documenti sull’origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Istituto per l’Oriente, Roma 1944,

p. 228

34

CAPITOLO 4

IL TERZO REICH E IL MONDO ARABO.

LA COLLABORAZIONE IN EUROPA

E IL LASCITO DI QUESTO RAPPORTO

4.1 IL MUFTI A BERLINO

Abbiamo visto come, dopo l’avventura irachena, sia Hajji Muhammad Amin al-

Husayni che Rashid Ali al-Giliani si erano dati alla fuga per sfuggire alle carceri

britanniche; passando prima per l’Iran e poi per la Turchia erano giunti in Italia. Il

Mufti in particolare aveva compreso che necessitava maggiore aiuto da parte delle

potenze a lui alleate se la sua grande rivolta araba voleva avere successo e non

terminare come l’avventura irachena. Il 31 Ottobre 1941 al-Husayni ebbe quindi un

incontro con Mussolini a Palazzo Venezia. Nel Novembre 1941 giunse a Berlino,

dove Adolf Eichmann lo face entrare in contatto con gli altri comandi delle SS. Qui

gli vennero chieste spiegazioni sul fallimento del “Golden Square”. Il Mufti fu celere

ad addossare la colpa del fallimento ad una congiura degli ebrei iracheni, anche se

sottolineò come un maggiore sostegno da parte di Berlino avrebbe potuto evitare il

fallimento dell’operazione. Queste parole irritarono gli alti comandi tedeschi che, se

non fosse stato per la mediazione di Eichmann, avrebbero liquidato l’ingrato alleato.

Il 20 Novembre 1941 il Gran Mufti incontrava Joachim von Ribbentrop, ministro

degli esteri del Reich, con lo scopo di porre le basi per un futuro incontro tra il Mufti

e il Fuhrer che venne fissato per il 28 Novembre successivo.

L’incontro fra Hitler e al-Husayni ebbe la durata di circa un ora e mezza e si tenne

nell’ufficio privato del Fuhrer, situato nella Cancelleria di Berlino, sulla

35

Wilhelmstrasse (la via che ospitava i principali ministeri del Reich). Durante

l’incontro al-Husayni affermò che: “Gli arabi dovevano essere considerati amici

naturali della Germania… Gli arabi si batteranno anche per scacciare gli anglo-

francesi dal Medio Oriente e per creare i presupposti di un grande Stato Arabo Unito,

comprendente la Palestina, la Siria, il Libano, la Transgiordania e l’Irak.”12 Hitler

dopo il fallimento del Golden Square era rimasto molto deluso dalle capacità militari

delle forze arabe. Affermò quindi che era presto per lanciare un simile messaggio alla

popolazione araba che si trovava strettamente sotto il controllo inglese.

Deluso da questa risposta il Mufti inviò molte lettere ad Hitler nei mesi che

seguirono, nella speranza di convincerlo a rilasciare una dichiarazione ufficiale dove

si affermava che in tempi brevi l’asse sarebbe intervenuta per liberare il Medio

Oriente in aiuto dei popoli arabi. Nei termini dell’”amicizia con poco impegno” il

Fuhrer non aveva certamente intenzione di dirottare risorse verso il Medio Oriente,

proprio mentre le sue truppe erano alle porte di Mosca. Nella sua visione presto i

tedeschi avrebbero dilagato per il Caucaso e da lì avrebbero proceduto alla

liberazione dei popoli arabi.

Essendo impossibile un azione diretta a favore dei popoli arabi il Mufti venne

convinto dal capo della sede centrale delle SS, Gottleb Bergen, a trovare altri modi

per aiutare il Reich. Come vedremo collaborerà strettamente con le SS per la

creazione di reparti di volontari mussulmani. Oltre a questo gli vennero affidate ben

sei efficientissime stazioni radio, con le quali coordinava la propaganda dell’asse

verso i paesi arabi. Aiutò l’Abwher nella scrittura e nell’invio di materiale

propagandistico, antibritannico e antisemita, nell’area che va dal Marocco alla Siria.

In questo periodo entrò persino in contatto con il governo Giapponese. Questo era

interessato all’appoggio del Mufti e dei suoi per far scoppiare una rivolta nelle aree

più occidentali della Cina (la regione del Sinkiang), che sono tutt’oggi abitate da una

12

Alberto Rosselli. Islam Nazismo Fascismo, Solfanelli, Chieti 2010, p. 87

36

maggioranza mussulmana, così da mettere in crisi le forze della Cina nazionalista e

comunista.

4.2 LE DIVISIONI ARABE E MUSSULMANE NELLA WEHRMACHT E LA

FINE DELLA COLLABORAZIONE

Dopo la perdita della testa di ponte in Africa del nord i rapporti con il mondo arabo si

ridussero drasticamente. La sconfitta della Germania ormai si profilava all’orizzonte

facendo sfumare quel sogno che era stato, tra il 1941 e il 1942, la grande liberazione

dei paesi arabi da parte delle forze del Fuhrer. Gli ultimi rapporti furono soprattutto

con gli arabi presenti in Europa, in particolare il gruppo del Mufti, che si dedicò, oltre

alla propaganda, all’arruolamento di volontari. Tra il 1941 e il 1944 il Gran Mufti

incrementò la sua collaborazione con le Waffen-SS al fine di ingrossare le fila dei

mussulmani e soprattutto degli arabi nelle fila dell’esercito tedesco. La

collaborazione con le SS mostra chiaramente come di fronte alla realpolitik le

questioni di carattere ideologico venivano meno. Infatti nel corpo militare che

maggiormente doveva essere il simbolo di fronte al mondo della potenza della razza

ariana si schierarono truppe arabe e mussulmane, il cui aspetto era decisamente

antitetico rispetto al modello ariano. La possibilità di addestrare e armare una

Legione Araba era il sogno più grande del Mufti. Nella sua visione questa sarebbe

stato il suo esercito personale, che gli avrebbe permesso di unire il mondo arabo in

un’unica nazione, scacciare gli invasori ebrei e infine restaurare il Califfato

(istituzione vacante nel mondo mussulmano dopo la fine del Califfato ottomano nel

1924), Califfato guidato ovviamente da lui stesso.

Già nel Luglio 1941 la Wehrmacht aveva preso in considerazione l’idea di costituire

una Legione Araba di volontari. Dopo il fallimento della rivolta irachena venne

affidato al Generale Hellmuth Felmy (1885-1965) il compito di creare la prima unità

37

combattente araba. Felmy non fu scelto a caso. Durante la prima guerra mondiale era

stato fra quegli ufficiali che avevano combattuto in Palestina a fianco degli Ottomani.

Il generale riuscì a radunare qualche centinaia di volontari nell’845° Battaglione

Arabo-Tedesco. Il Battaglione non fu mai in grado di operare efficacemente. Oltre ad

avere gravi problemi di coordinamento e di disciplina, a causa della diversa

provenienza dei suoi membri, era diviso internamente in tre fazioni: una sosteneva

come proprio leader il Gran Mufti., un'altra si riconosceva nel partito nazionalista

siriano, guidato da Fauzi Kaikyi e una terza infine in Rashid Ali, l’ex primo ministro

dell’Iraq. Le truppe venivano addestrate nella città di Sounio, 55 chilometri a sud-est

di Atene, in preparazione di un futuro impiego nel teatro nordafricano o

mediorientale. La Sonderverband 288 fu un'altra unità araba, creata a Postdam il 24

Luglio 1941, composta da circa 150 unità e fu inviata come supporto agli Afrika

Korps di Rommel. Al contrario dell’845° Battaglione Arabo-Tedesco la

Sonderverband era formata integralmente da fedeli del Mufti. Il 26 Gennaio 1942 per

la prima volta la Sonderverband 288 ricevette delle nuove divise, con una bandiera

rosso, verde, bianca e nera su cui era ricamata la scritta “Freies Arabien” (Arabia

Libera), in tedesco e in arabo. Il Mufti continuò i suoi sforzi e, nell’Agosto 1942,

diede vita al terzo Battaglione arabo, il Sonderverbande 287, composto da circa 300

uomini. Questo venne impegnato, su esplicita richiesta di al-Husayni, sul fronte

orientale e precisamente a Stalino (Ucraina), al fine di essere usato come contatto tra

le popolazioni mussulmane del Caucaso e della Crimea e l’esercito tedesco.

L’obiettivo principale era di far aggregare al battaglione elementi mussulmani tartari,

ceceni, ingusci e azeri, in modo tale che fosse in grado di conquistare i passi del

Caucaso e penetrare in Georgia e Armenia. Ovviamente tutto andò a monte con il

fallimento del “Fall Blau”, il Caso Blu (il piano di invasione del Caucaso e della

Russia meridionale) e la disfatta tedesca a Stalingrado. Un ultimo impiego di

divisioni arabe avvenne dopo lo sbarco anglo-americano in Algeria e Marocco.

Utilizzando truppe provenienti dai 3 battaglioni arabi venne formato il “Kommando

Deutsch-Arabischer Truppen” (Comando Truppe arabo-tedesche) che operò al fine di

38

reclutare volontari tunisini e di sorvegliare la costa tra la città di Susa e Capo Bon. Il

10 Maggio il grosso delle truppe venne catturato dagli americani e spedito in un

campo di prigionia in Alabama. Dal 1943, per via degli scarsi risultati, i tedeschi non

formarono più ulteriori divisioni arabe. I numeri finali, nel 1945, stimano che a

schierarsi a fianco della Wehrmacht furono da parte araba 12.000 tra egiziani,

tunisini, marocchini e algerini, 200 palestinesi, 450 iracheni e 500 siriani.

L’impiego di volontari arabi quindi fu molto modesto e limitato. Oltre a ciò gli

ufficiali tedeschi giudicavano le truppe arabe pigre, indisciplinate e inadatte al

combattimento. Nonostante la forte carica politica e ideologica che caratterizzava

questi volontari, che si sentivano gravati del compito di liberare la propria patria

dall’oppressione coloniale e sionista, si trovarono in difficoltà nel prendere

effettivamente parte alle tattiche della guerra moderna. Le ragioni della scarsità

numerica di questi volontari sono probabilmente da trovare nel fatto che gli unici

territori arabi che nel corso della guerra erano stati sotto il diretto controllo dell’asse

furono la Libia e la Tunisia, il che rendeva anche solo materialmente difficile agli

arabi raggiungere le fila tedesche. Il Mufti si trovò quindi a dover rinunciare al suo

esercito arabo ma ebbe maggiore fortuna nel reclutamento dei mussulmani in Bosnia,

Albania e Kosovo. Queste zone erano controllate ,dopo la caduta della Jugoslavia nel

1941, dalla Germania, dall’Italia (fino all’otto Settembre 1943) e dallo stato fantoccio

della Croazia.

Tra il 1942 e il 1944 il Mufti lavorò nell’aree a maggioranza mussulmana, nei Balcani

occidentali, al fine di ottenere quanti più volontari mussulmani possibili nelle fila

tedesche per poter contrastare la sempre più attiva guerriglia dei partigiani titini. Le

più importanti unità formate in collaborazione con le SS fra il 1943 e il 1944 erano la

13° Divisone da Montagna SS Handschar (per i bosniaci) e la 21° Divisione da

Montagna Skanderbeg (per gli albanesi). Indossavano, al posto del berretto, il fez con

appuntato il totenkopf (la “testa di morto” simbolo delle SS) e sulle mostrine invece

delle caratteristiche rune (SS) portavano una scimitarra. Nonostante Hitler non

39

provasse amore per le confessioni religiose l’Islam, come abbiamo visto, faceva

eccezione. A questi volontari era permesso rispettare il secondo pilastro dell’Islam

pregando pubblicamente cinque volte al giorno rivolti verso la Mecca, praticare la

dieta mussulmana, osservare tute le festività e i digiuni previsti dal libro sacro del

profeta. Ogni reggimento aveva inoltre il proprio imam personale. Il Mufti ebbe

successo nel proprio ruolo di reclutatore, visto che la divisone Skanderbeg contava

6.500 effettivi, mentre la Handschar 21.065 effettivi, tra soldati e ufficiali. Il 21

Gennaio 1944 a Sarajevo al-Husayni tenne un discorso di fronte ai membri della

Divisione Handschar, dove affermava: “Vi sono… considerevoli punti in comune tra

i principi islamici e quelli del nazionalsocialismo; vale a dire nei concetti di lotta, di

cameratismo, nell’idea di comando e in quella di ordine. Tutto ciò porta le nostre

ideologie ad incontrarsi e a facilitarne la cooperazione. Sono lieto di vedere in questa

vostra divisione una chiara e concreta espressione di entrambe le ideologie”.13 Le

motivazioni dietro a un simile successo del Mufti in Bosnia e Albania sono

sostanzialmente tre: la prima era che, come abbiamo detto, il territorio (al contrario

del mondo arabo), era controllato dall’asse, la seconda stava nel fatto che i bosniaci e

gli albanesi speravano di ottenere, tramite pressioni da parte di Berlino sullo stato

croato, un certo grado di autonomia, (questo a patto che avessero collaborato con la

Wehrmacht), la terza era la paura che le bande comuniste di Tito esercitavano sui

mussulmani bosniaci e kossovari.

Riguardo ai rapporti tra al-Husayni e quella immensa tragedia umana che fu

l’Olocausto sembra ormai palese che questi era pienamente al corrente, almeno negli

ultimi anni della guerra, delle atrocità che venivano compiute nei lager, nonostante

che egli nel dopoguerra negò qualsiasi coinvolgimento nella “soluzione finale”.

Contro la versione del Mufti, oltre al suo dichiarato e noto antisemitismo, esistono

numerose prove. Durante il processo di Norimberga molti elementi delle SS

confermarono la sua partecipazione nei fatti. Il vice di Adolf Eichmann, Dieter

Wisliceny, affermò: “Il Mufti era stato uno dei propugnatori dello sterminio 13

Alberto Rosselli. Islam Nazismo Fascismo, Solfanelli, Chieti 2010 p.94

40

sistematico del giudaismo europeo e che si era prestato quale collaboratore e

consigliere di Eichmann e di Heinrich Himmler nella realizzazione di questo piano”.

Oltre a ciò, nel 1944 la Croce Rossa Internazionale offrì ad Eichmann il rilascio di

alcuni prigionieri di guerra tedeschi in cambio del rilascio di 5000 bambini ebrei dal

campo di sterminio di Theresienstadt. Il Mufti in quell’occasione contattò

personalmente Himmler e riuscì a far fallire le trattative.

Il Mufti continuò la sua collaborazione con il Terzo Reich praticamente fino al suo

ultimo respiro, confidando anch’egli nelle famose “super armi” che il Fuhrer stava

tenendo in serbo e che avrebbero modificato il corso della guerra. Solo l’8 Maggio

1945, giorno della resa della Germania alle forze alleate, si imbarcò a bordo di un

aereo con destinazione Berna, Svizzera. Le autorità elvetiche però negarono asilo al

Mufti, avendo paura di passare per collaborazionisti di un criminale di guerra. Si recò

allora in Francia, dove gli vennero dati gli arresti domiciliari in una villa nei

sobborghi di Parigi. Non giunse mai ad essere fra gli imputati del processo di

Norimberga principalmente per il suo status religioso e per la sua nazionalità. Le tre

principali nazioni che avrebbero potuto portarlo al processo erano Gran Bretagna,

Francia e Jugoslavia, ma nessuna delle tre fece nulla. La Gran Bretagna voleva

evitare una nuova sommossa in Palestina e nelle altre regioni arabe sotto il suo

controllo. La Francia analogamente non voleva indisporre i popoli del Maghreb.

Infine la Jugoslavia di Tito si stava ancora consolidando e non poteva permettersi una

rivolta interna da parte dei mussulmani bosniaci. Cosi il Mufti fù in grado, nel

Maggio 1946, di fuggire in Egitto e ottenere asilo politico dal re Faruq.

41

4.3 LA PERMANENZA DELL’INFLUENZA NAZIONALSOCIALISTA NEL

MONDO ARABO DEL DOPOGUERRA

Nel Maggio del 1945 il Terzo Reich, che secondo i sogni di Hitler sarebbe dovuto

durare mille anni, giungeva al collasso dopo poco più di dodici anni di governo. La

caduta del Reich però non significò un troncamento totale della relazione che aveva

percorso buona parte degli anni trenta e tutti gli anni del secondo conflitto mondiale.

La nascita dello stato di Israele nel Maggio del 1948 , avvenuta grazie alla risoluzione

dell’ONU numero 181, aveva avverato tutte le peggiori paure dell’Islam radicale e

dei popoli arabi. Il mondo occidentale e capitalista, in combutta con il giudaesimo

globale, si adoperava per sopprimere i seguaci del profeta Maometto. Molti partiti

nazionalisti arabi si ispirarono, per i propri programmi politici, al programma del

Partito Nazionalsocialista tedesco. Gli insegnamenti del Fuhrer nel suo Mein Kampf

erano quindi ancora vivi e attuali, oltre a trovare sostenitori nel Gran Mufti e nei suoi

seguaci. Questi continuerà, fino alla sua morte avvenuta a Beirut nel 1974, a

diffondere gli scritti nazisti nei paesi arabi, oltre a coordinarsi con fuggitivi e

prigionieri di guerra nazisti.

Nel corso degli anni cinquanta numerosi tecnici, funzionari, scienziati e consiglieri

militari della Germania nazista ricevettero asilo clandestino in Medio Oriente, in

particolare in Egitto e in Siria. In particolare si trattava di prigionieri di guerra

sovietici che l’URSS inviò con piacere ad assistere i paesi arabi per limitare

l’influenza statunitense nel teatro mediorientale. Tre questi ricordiamo: il dottor

Aribert Ferdinand Heim, meglio conosciuto come “Dottor Morte” (che fu

responsabile di numerosi crimini compiuti nel campo di sterminio di Mauthausen),

Robert Courdroy (ufficiale belga delle SS), il maggior generale Otto Ernst Riemer

(che aveva distrutto i golpisti del 20 Luglio 1944, guidati da Ludwig Beck e Claus

von Stauffenberg). Lo scopo di questi ex-nazisti era addestrare le truppe degli stati

arabi e produrre armamenti in funzione anti-israeliana, annientando lo stato ebraico

42

sul nascere. In particolare Nasser era interessato a tecnici esperti in missilistica, armi

chimiche e batteriologiche, per mettere a punto un serie di missili dotati di effetti

micidiali sullo scomodo vicino israeliano.

Il Gran Mufti fu molto attivo nei confronti della propria patria, la Palestina. Nel 1948

sostenne con vigore la prima guerra arabo-israeliana, proclamando lo jihad contro gli

ebrei. Si scagliò apertamente contro i leader arabi di tendenze filoccidentali e

moderate, in particolare quando nel 1948 il re di hascemita di Giordania, Abdullah I,

gli revocherà il titolo di Mufti. Come risposta a quest’atto provocatorio al-Husayni

coordinerà l’assassinio del sovrano, avvenuto nel 1951. Muhammad Amin al-Husayni

fu anche in stretto contatto con il futuro leader dell’Organizzazione per la

Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, il cui nome alla nascita è Muḥammad Abd

al-Raḥman Abd al-Rauf al-Qudwa al-Ḥusayni. I due infatti avevano un legame di

parentela, sebbene lontano. Amin al-Husayni suggerì ad Arafat, durante la gioventù e

la carriera politica del leader palestinese, di studiare il Mein Kampf e di utilizzare ex-

nazisti come consiglieri tecnici e militari in funzione anti-israeliana. Tra il 1968 e il

1969 Arafat arruolerà infatti diversi agenti appartenuti sia alle SS che alla Gestapo.

Tra questi ricordiamo i comandanti Willy Berner (un ufficiale delle SS che aveva

lavorato a Mauthausen), Erich Altern (membro della sezione affari ebraici della

Gestapo) e Johan Schuller (un altro ufficiale delle SS).

Amin al-Husayni fu sicuramente il simbolo del collaborazionismo fra mondo arabo e

nazionalsocialismo. Concludendo però è necessario soffermarsi su una massima

importante: le generalizzazioni vanno sempre evitate. L’ampia cooperazione fra il

Mufti e il Fuhrer non vuole certamente significare che i principi della cultura araba e

della religione islamica sono inconciliabili con il dialogo e la tolleranza. Molti

esponenti del mondo mussulmano si schierarono apertamente contro il

nazionalsocialismo, come Mohammad Ali Jinnah, leader della Lega Mussulmana

indiana e padre della nazione Pakistana; combatterono il nazismo e si adoperarono

per la vittoria degli alleati. Anche molti leader arabi, nel dopoguerra, presero le

43

distanze dalle idee del Mufti preferendo la via del dialogo e perfino del

riconoscimento del grande nemico sionista, come fece lo stesso Anwar al-Sadat (che

durante la guerra aveva collaborato con l’asse), autore degli accordi di Camp David e

del trattato di pace tra Egitto e Israele del 1979, che rese l’Egitto il primo stato arabo

a riconosce la nazione ebraica. Nel 1988 anche l’allievo di Amin al-Husayni, Yasser

Arafat, dichiarerà, a nome dell’OLP, la fine del terrorismo e l’inizio del dialogo.

44

CONCLUSIONE

Lo scopo di questa Tesi era quello di mostrare come si è generata e sviluppata la

relazione tra il mondo arabo e la Germania Nazionalsocialista. In conclusione

abbiamo visto come questi due mondi siano stati in constante in contatto durante tutti

gli anni in cui il regime di Hitler è rimasto attivo in Germania.

“Il nemico del mio nemico è mio amico” è sicuramente una massima abbastanza vera

in questo caso, ma abbiamo analizzato anche questioni ideologiche dietro al rapporto

nazi-arabo. I punti di contatto principali avvenivano sulle tre questioni del

colonialismo, del sionismo e del nazionalismo (sia arabo che tedesco).

Questo contatto però poche volte si è trasformato in qualcosa di concreto, sia per

ragioni ideologiche, come l’ossessione di Hitler per la conquista dell’Europa

orientale, che di realpolitik, ad esempio mantenere i buoni rapporti con l’Italia di

Mussolini. Il tutto ha dato via alla “amicizia con poco impegno” fra le due parti, che

abbiamo visto svilupparsi, suddividendola nelle varie aree geografiche.

Alla fine è possibile affermare che questo rapporto tra arabi e nazionalsocialisti si sia

sviluppato e evoluto, ma in forme limitate. Non si arrivò mai all’apice che si sarebbe

potuto realizzare se le armate della Wehrmacht fossero state in grado di dilagare in

forze per il Medio Oriente e quindi i due mondi fossero entrati in pieno contatto. Ma i

se non hanno mai fatto la storia.

45

BIBLIOGRAFIA

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ARTICOLI:

David Yisraeli, The Third Reich and Palestine, in “Middle East Studies”, 1971

D. Storobin, Nazi Influence on the Middle East During WWII, in “Front Page Magazine”, 2005

Longgrear Paul McNemar Raymond, The arab/muslim Nazi connection, “Canadian Friends”, International Christian Embassy, Jerusalem 2003

ARCHIVI:

AA, Bonn, Politisches Archiv, USTS, “Nordafrika”, II 1942-1943 f. 303025

Circolare Ministero degli Affari Esteri, 20 Agosto 1940, p. 225

PERIODICO : “al-Muqattam”