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Nota tecnica del Segretariato generale della CRPM – Le Regioni europee nel Mercato unico mondiale: Le sfide della politica regionale per il periodo 2014-2020 – Rif: CRPMNTP070009 A0 – 22 gennaio 2007 – p. 1 CONFÉRENCE DES RÉGIONS PÉRIPHÉRIQUES MARITIMES D’EUROPE CONFERENCE OF PERIPHERAL MARITIME REGIONS OF EUROPE 6, rue Saint-Martin 35700 RENNES - F Tel.: + 33 (0)2 99 35 40 50 - Fax: + 33 (0)2 99 35 09 19 e.mail: [email protected] web: www.crpm.org 22 GENNAIO 2007 NOTA TECNICA DEL SEGRETARIATO GENERALE LE REGIONI EUROPEE NEL MERCATO UNICO MONDIALE: LE SFIDE DELLA POLITICA REGIONALE PER IL PERIODO 2014-2020 SOMMARIO Introduzione I. IL MONDO IN CUI VIVREMO: UNA RAPIDA INTRODUZIONE ALLA RIFLESSIONE I.1. Crescita, competitività e coesione A. L’Europa nel mondo B. Le regioni in Europa I.2. L’urgenza della sostenibilità II. IL RUOLO DELL'EUROPA NEL MONDO: TRE SCENARI POLITICI PER UN PROGETTO a. “La lunga marcia indietro”: uno scenario tendenziale? b. “Gli egoismi trionfano”: le ragioni di questo “successo” c. “Per una visione rinnovata del ruolo dell’Europa nel mondo”: le basi di una ricostruzione politica III. QUALI POLITICHE PER ACCOMPAGNARE LE REGIONI EUROPEE SULLA SCENA MONDIALE?: LE PRINCIPALI CHIAVI DEL SUCCESSO a. Quali territori nel 2014? b. Una nuova governance per regioni protagoniste della globalizzazione c. Per un’effettiva attuazione di alcune importanti politiche settoriali comunitarie d. Per una vera agenda territoriale dell’UE Conclusione

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Nota tecnica del Segretariato generale della CRPM – Le Regioni europee nel Mercato unico mondiale: Le sfide della politica

regionale per il periodo 2014-2020 – Rif: CRPMNTP070009 A0 – 22 gennaio 2007 – p. 1

CONFÉRENCE DES RÉGIONS PÉRIPHÉRIQUES MARITIMES D’EUROPE

CONFERENCE OF PERIPHERAL MARITIME REGIONS OF EUROPE

6, rue Saint-Martin 35700 RENNES - F Tel.: + 33 (0)2 99 35 40 50 - Fax: + 33 (0)2 99 35 09 19 e.mail: [email protected] – web: www.crpm.org

CRPMNTP070009 A0

22 GENNAIO 2007

NOTA TECNICA DEL SEGRETARIATO GENERALE

LE REGIONI EUROPEE NEL MERCATO UNICO MONDIALE:

LE SFIDE DELLA POLITICA REGIONALE PER IL PERIODO 2014-2020

SOMMARIO Introduzione

I. IL MONDO IN CUI VIVREMO: UNA RAPIDA INTRODUZIONE ALLA RIFLESSIONE I.1. Crescita, competitività e coesione

A. L’Europa nel mondo B. Le regioni in Europa

I.2. L’urgenza della sostenibilità

II. IL RUOLO DELL'EUROPA NEL MONDO: TRE SCENARI POLITICI PER UN PROGETTO a. “La lunga marcia indietro”: uno scenario tendenziale? b. “Gli egoismi trionfano”: le ragioni di questo “successo” c. “Per una visione rinnovata del ruolo dell’Europa nel mondo”: le basi di una ricostruzione

politica

III. QUALI POLITICHE PER ACCOMPAGNARE LE REGIONI EUROPEE SULLA SCENA MONDIALE?: LE PRINCIPALI CHIAVI DEL SUCCESSO a. Quali territori nel 2014? b. Una nuova governance per regioni protagoniste della globalizzazione c. Per un’effettiva attuazione di alcune importanti politiche settoriali comunitarie d. Per una vera agenda territoriale dell’UE

Conclusione

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Nota tecnica del Segretariato generale della CRPM – Le Regioni europee nel Mercato unico mondiale: Le sfide della politica

regionale per il periodo 2014-2020 – Rif: CRPMNTP070009 A0 – 22 gennaio 2007 – p. 2

Introduzione:

Raramente il dibattito europeo è stato così indeciso come quello che comincia oggi sul futuro delle politiche comunitarie e sul ruolo della politica regionale e delle regioni in questo nuovo contesto. Ciò essenzialmente per due motivi:

- Innanzitutto la forma: ad appena un anno dalla conclusione dell’intesa finanziaria di dicembre 2005 sul periodo di programmazione 2007-2013, la clausola relativa alla data di revisione del bilancio europeo, negli anni 2008-2009, aumenta l’urgenza del dibattito e riduce il tempo a disposizione per valutare realmente le realizzazioni degli anni 2000-2006 e a maggior ragione del periodo 2007-2013. È quindi più difficile anticipare le problematiche del prossimo periodo ed è necessario ricorrere all’analisi prospettica con tutto ciò che comporta in termini di incertezze. Prevedere un ampio lasso di tempo per discutere è certamente un’ottima idea, accelerarne la conclusione è chiaramente una necessità sapendo che non è da escludere il rischio di perdita di contenuto.

- Successivamente il contenuto: la portata dei mutamenti economici, tecnologici e geopolitici dovuti alla globalizzazione non è mai stata così ampia. Se pensavamo di aver assistito nel decennio 1990-1999 ai massimi cambiamenti, abbiamo dovuto ricrederci con gli anni 2000-2005 che ci hanno dimostrato come non fosse che l'inizio di mutamenti ancora più radicali. L’imporsi della Cina sulla scena economica internazionale è certamente l'elemento più vistoso ma non l’unico; anche la rivoluzione nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i mutamenti nell’organizzazione del lavoro sono temi di grande importanza. Peraltro, gli Stati membri non hanno nemmeno avuto il tempo di attuare la strategia adottata a marzo 2000 a Lisbona che l’Unione europea adottava precipitosamente nella primavera 2005 una nuova strategia destinata a darle un nuovo slancio.

La combinazione di questi due motivi non fa che rendere ancora più complesso il dibattito. Non è quindi facile prevedere, già nel 2007, quali saranno le esigenze dell’Europa tra il 2014 al 2020 in un contesto mondiale che evolve così velocemente. Detto questo, si possono identificare con una certa precisione alcuni trend, soprattutto dal punto di vista economico e demografico. Data la rapidità con la quale alcune parti del mondo recuperano il loro ritardo economico sull’Europa, la facilità con la quale alcuni settori industriali rivoluzionano in tempi rapidissimi le loro logiche produttive, l'ampiezza dei divari a livello di crescita demografica o di capacità di innovazione tra l'Europa e i suoi partner/concorrenti principali, è ormai evidente che l’Europa e gli europei dovranno, nel prossimo decennio, fare prova di eccezionali capacità di evoluzione e adattamento a questi cambiamenti.

Ma non è questo il compito più difficile. Ciò che conta è sapere se gli europei vorranno incamminarsi insieme lungo una serie di strade o se invece tenderanno, lentamente ma inesorabilmente, a ripiegarsi su strategie nazionali o individualistiche riproducendo l’evoluzione dei grandi gruppi internazionali verso un’identità nazionale sempre più indefinita, totalmente svincolata da qualsiasi potere politico (se ne sono avuti vari esempi, di grande valore simbolico, in questi ultimi mesi in molti paesi europei). E se il futuro dell’Europa dovesse decidersi unicamente dal confronto tra le tentazioni nazionalistiche e quelle individualistiche? In un contesto di questo tipo, lo slancio pro-europeo sarà ancora sufficientemente forte per gettare le basi di una nuova coesione europea alla albori degli anni 2014-2020? Stando ai sondaggi di opinione, alle prese di posizione – anche se marginali – di alcuni intellettuali, o alla lenta erosione del contributo finanziario degli Stati membri all’Europa (nel 2009 sarà inferiore, in termini relativi, al livello cui si trovava vent'anni prima, prima della caduta del muro di Berlino), non c'è molto da sperarci.

Una cosa tuttavia è certa: se l’Europa vuole affrontare unita queste nuove sfide, come la stragrande maggioranza delle forze politiche sembra auspicare, sarà necessaria una maggiore associazione, un maggior ascolto e una maggiore responsabilizzazione dei cittadini europei rispetto al modo in cui l'Europa dovrà adeguarsi a questi mutamenti e soprattutto alle soluzioni scelte per raccogliere con successo tali sfide. Se l’Unione europea vuole continuare ad esistere come entità che condivide un certo numero di valori comuni sulla scena mondiale, non potrà farlo senza l’unione di tutte le sue forze politiche e della società civile e, a tale fine, la missione degli enti regionali si rivelerà fondamentale.

In un mondo globalizzato, per poter sopravvivere l’Europa deve essere vicina ai propri cittadini e fortemente legata al territorio.

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I. IL MONDO IN CUI VIVREMO: UNA RAPIDA INTRODUZIONE ALLA RIFLESSIONE

I.1. CRESCITA, COMPETITIVITÀ E COESIONE

A. L’EUROPA NEL MONDO

Da una decina d’anni a questa parte, l’Europa attraversa una fase di crescita rallentata per motivi tutto sommato molto semplici sui quali convergono praticamente tutti gli studi, sia quelli della Commissione europea, della Banca Mondiale che dell'OCSE. Li passeremo in rassegna attraverso l’analisi di una serie di fatti economici e demografici:

A1: I divari di sviluppo tra l’Europa e il resto del mondo si stanno colmando

L’Europa ha raggiunto un determinato grado di sviluppo che rende più difficile passare al livello superiore rispetto al passato, come è chiaramente dimostrato dall’analisi dei divari di produttività (PIL/popolazione attiva). Se il livello è largamente superiore rispetto alla maggior parte del pianeta, nei nuovi spazi mondiali si assiste a un miglioramento della competitività. Le figure sotto riportate illustrano bene questo fenomeno:

Figura n°1: World labour productivity trend Europa/Stati Uniti/resto del mondo e divari annuali

Fonte: Commissione europea DG Ecofin, luglio 2006.

Primo elemento di rilievo: In termini di stock, i divari di sviluppo sono ancora notevoli mentre i trend sono di un'incredibile regolarità; secondo punto importante, il lento aumento del divario tra Europa e Stati Uniti. Tuttavia ci si rende meglio conto di questa convergenza globale confrontando i grandi blocchi mondiali. La figura 2 mette in prospettiva, sulla base delle passate evoluzioni, il recupero delle principali aree in via di sviluppo rispetto ai paesi a reddito elevato (Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, …) considerati su base 100 nei prossimi 25 anni.

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Figura n°2: Previsione di recupero dei gruppi di paesi in via di sviluppo rispetto ai paesi a reddito elevato

In some developing regions, per capita incomes will beg in to converge with those in high-income countries

Si nota quindi che gli autori di questo recupero sarebbero principalmente il Sud-est asiatico, l’Asia meridionale, i paesi dell'est europeo e dell'Asia centrale e alcuni paesi a reddito intermedio. La situazione economica in America latina, Nordafrica e Medio Oriente stagnerebbe mentre l'Africa subsahariana continuerebbe a perdere terreno.

A2: la crescita economica essenzialmente asiatica è quindi all’origine della stagnazione del peso dell'Europa nel mondo

Figura n°3: Evoluzione del peso dell’Europa nel mondo in termini di popolazione e di PIL in base ai successivi allargamenti dell'Unione (1950-2020)

Notiamo che in termini di peso demografico, il passaggio da 6 a 15 Stati membri ha permesso all’Europa di conservare la propria posizione mondiale al 6% tra il 1957 e il 2004. Con gli ultimi allargamenti la percentuale demografica europea sale al 7,5% dove rimarrà per vari anni, nonostante il minore dinamismo

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demografico. In termini di PIL la situazione è molto diversa: il peso dell’Europa a 28 (contando la Croazia) nel PIL mondiale nel 2020 dovrebbe equivalere a quello dell'Europa a 9 all'inizio degli anni 70, ovvero circa il 19%.

Se i benefici del mercato unico continuano a farsi sentire, essi tendono tuttavia a diminuire in termini relativi quando si proiettano i trend attuali, e ciò nonostante gli allargamenti.

A3: un'accelerazione della globalizzazione degli scambi che relativizza anche gli effetti positivi del mercato unico

Quando si parla di forte accelerazione del processo di globalizzazione, l’aggettivo è lungi dall’essere eccessivo. Questo ultimo studio pubblicato dalla Banca Mondiale evidenzia il notevole aumento della quota degli scambi nella ricchezza prodotta e l'accelerazione di questi ultimi quindici anni. Il grado di elasticità (curva nera) riflette la differenza di crescita tra gli scambi e il PIL. Il rapporto, favorevole agli scambi, è superiore al 1,5 da quasi 40 anni e si attesta quasi costantemente sopra il valore 2 dall’inizio degli anni 1990. Nel 2005 gli scambi rappresentano il 25% del PIL mondiale rispetto al 15% nel 1970.

Figure n°4 e n°5 Crescita del commercio mondiale rispetto al PIL e diversificazione degli scambi

World trade has expanded dramatically…

…and become more diversified…

Il secondo grafico evidenzia quanto sia cambiata la struttura di questi scambi nell’arco di 40 anni. Fino a metà degli anni Ottanta l’agricoltura rappresentava, insieme all’energia, il fulcro degli scambi mondiali; oggi la gamma dei prodotti scambiati si è diversificata con una prevalenza dei prodotti finiti e quindi un impatto molto più diffuso sulle attività europee e sul cambiamento dei sistemi produttivi.

L’aumento degli scambi non è l’unico elemento della globalizzazione. Nella figura 6, la riga blu indica l’evoluzione del numero di migranti verso i paesi ad alto reddito, un dato che evidenzia le ineguaglianze della crescita mondiale. Si passa da circa 40 milioni di emigranti negli anni Sessanta a quasi il triplo oggi con un deciso aumento negli ultimi quindici anni, tenendo presente che si tratta, per definizione, solo dei movimenti di cui si viene a conoscenza. Contemporaneamente i movimenti migratori verso i paesi in via di sviluppo sono diminuiti in modo costante. È bene ricordare che se da un lato esiste una stretta correlazione tra livello di sviluppo e migrazione di persone, dall'altro lo stesso non vale per la relazione livello di crescita e migrazione. I paesi che registrano oggi i più alti tassi di crescita non sono necessariamente i paesi destinatari dei flussi migratori, basti pensare all’India e alla Cina.

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Figure n°6 e n°7 Aumento dei movimenti di popolazioni e dei movimenti di capitali

Ultimo elemento del fenomeno della globalizzazione, l'evoluzione dei flussi di capitali. È uno degli aggregati che ha conosciuto la più forte accelerazione da 15 anni. Gli investimenti diretti esteri nei paesi in via di sviluppo sono quintuplicati nello stesso periodo. Bisogna osservare che non corrispondono necessariamente a delocalizzazioni nel senso in cui l'Europa spesso l'intende, quanto piuttosto a localizzazioni produttive destinate a soddisfare la domanda interna di nuovi mercati in forte crescita. Gli investimenti tendono ovviamente a dirigersi là dove la domanda aumenta ma è anche vero che così facendo creano allo stesso tempo nuove competenze che in seguito possono rivelarsi molto concorrenziali.

Questa breve analisi non è tuttavia sufficiente per prevedere i prossimi cambiamenti. Una volta delimitato l'ambito, resta la questione delle ragioni di scambio e dell'analisi dei settori nei quali l'Europa, resta, resterà o dovrà restare molto competitiva a livello mondiale.

A4: Ragioni di scambio in totale trasformazione che pongono il problema del futuro posizionamento dei vari settori economici europei

Questa parte dell’analisi prospettica è certamente quella più complessa. L’affronteremo in tutta umiltà fornendo qualche esempio. La figura 8 dimostra come l'epoca in cui i prodotti di gamma bassa venivano scambiati con prodotti di gamma alta appartenga ormai al passato e come invece la concorrenza mondiale si giocherà soprattutto a livello dei prodotti di gamma medio-alta. Sui prodotti di gamma bassa, la Cina sembra aver conquistato saldamente la leadership mondiale per un periodo relativamente lungo con più del 20% delle quote di mercato e, in un futuro non molto lontano, dovrebbe raggiungere un livello equivalente alla somma dell'Europa e degli Stati Uniti. Sui prodotti di gamma media, l’Europa ha continuato ad aumentare la produzione mentre Giappone e Stati Uniti assistevano alla drastica riduzione delle loro quote. Molto è dovuto alla localizzazione di tali prodotti nei paesi degli allargamenti, inoltre il modello europeo rimane ancora molto competitivo sia in termini di quote di mercato e che di ritmo di crescita. Resta da sapere

…than increase in migrants—in particular toward high-inc ome countries...

…and a sharp rise in capital flows.

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per quanto tempo e con quali strategie di alleanza. Sulle produzioni di alto livello, la leadership europea è ancora più marcata sia in termini di quote di mercato che di evoluzioni, e ciò rispetto alla Cina, agli Stati Uniti o al Giappone.

Figura n°8 Evoluzione del tipo di prodotti scambiati a livello mondiale

È opportuno sottolineare il ruolo di sempre maggior rilievo che la Cina ha assunto in questi ultimi anni. La figura n°9 nella pagina successiva evidenzia il recente sorpasso cinese nei confronti degli Stati Uniti in materia di esportazione di prodotti finiti mentre i paesi europei ad alto reddito continuano a mantenersi al primo posto mondiale. Il modello europeo è ancora molto competitivo e tutto dipenderà ormai dalla capacità di alcuni settori di restare competitivi.

La figura 10 e quelle successive illustrano come la Cina abbia saputo conquistare rapidamente notevoli quote di mercato in alcuni comparti chiave come la produzione hardware, le telecomunicazioni o la componentistica elettronica, mentre invece accusa ritardo in altri settori, come quello farmaceutico. Come evolverà la situazione tra qualche anno in un settore come quello automobilistico considerato oggi prioritario dal governo cinese? La storia ce lo dirà.

Figura n°9 Evoluzione delle quote di mercato nell’esportazione dei prodotti finiti

Parts du marché mondial des produits bas de gamme, m oyenne gamme et haut de gamme en 2003 et évolution sur la périod e 1995-2003

China’s exports exceed those of the United States

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Figure n°10, 11, 12 e 13 Evoluzione delle quote di mercato della Cina in un certo numero di settori rispetto all'Europa e agli Stati Uniti

Fonte: Commissione europea DG Ecofin, Economic Papers « Globalization: Trends, Issues and Macro Implications for EU” n° 254, luglio 2006.

Altro settore di grande importanza, quello dei servizi che si rivela spesso molto meno ben studiato rispetto agli altri quando invece il suo peso nell’economia e negli scambi mondiali è destinato ad aumentare ulteriormente. È proprio in questo settore che l'Europa ripone, a ragione, le proprie chance per reagire alla perdita di quote di mercato nei settori più tradizionali.

Figure n°14 Evoluzione delle quote di mercato nel settore dei beni e servizi

Al riguardo non possiamo fare a meno di constatare che, in questi ultimi anni, il mercato europeo in questo settore ha perso progressivamente terreno (-0,6% di quote di mercato) mentre la Cina, e in misura minore l’India, si stanno affermando sempre più come attori di primo piano (dal 4,2% al 9,6% in 9 anni). La

Commerce de bien et services (% des échanges mondia ux)

Source: COM(2005) 525 final/2

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situazione non è però catastrofica nella misura in cui queste quote di mercato riguardano un settore che registra alti tassi di crescita e nel quale l'Europa è ancora eccedentaria come illustrato nella figura che segue (n°15).

A5: un’Europa che invecchia e limita la crescita economica

È opportuno completare questa prima panoramica economica con il fattore demografico, che ha anch’esso un ruolo essenziale nell’evoluzione futura dato il suo forte contributo alla crescita. Dai dati emerge l’evidente deficit europeo rispetto alla più lenta diminuzione americana.

Figure n°16 Impatto dell’invecchiamento sui tassi di crescita potenziale

Fonte: COM(2005) Final/2, Bruxelles, 03/11/2005

L’Europa appare in modo evidente come il continente che invecchia del pianeta. In nessun paese europeo si constata il dinamismo che si riscontra invece in paesi come il Canada o l'Australia, e nemmeno la resistenza al declino degli Stati Uniti. Solo Russia, Giappone e Uruguay presentano una situazione similare.

Source: COM(2006) 567 Final

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Figure n°17 Tipologia mondiale delle principali evoluzioni demografiche

Typology of demographic evolutions 1952-1998

In realtà gran parte della crescita demografica mondiale dovrebbe concentrarsi, nei prossimi 25 anni, nei paesi in via di sviluppo che non coincidono con i paesi motori della crescita economica mondiale. I tassi di crescita demografica cinese e indiana sono abbastanza contenuti rispetto all'Africa. Conclusione molto pessimista: il PIL medio pro capite tenderebbe a diminuire nei paesi più poveri del pianeta.

Figura n°18 Le previsioni di crescita demografica entro il 2030

Ne consegue che questi trend avranno notevoli ripercussioni sulla popolazione attiva disponibile.

World population growth will be concentratedin developing countries in coming decades

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Figura n°19Evoluzione del numero di posti di lavoro per grandi regioni mondiali

Solo i paesi sviluppati, la Russia e l’Asia centrale assisteranno ad una contrazione della loro forza lavoro, diversamente dalle altre regioni del mondo dove invece si prevede un forte aumento nei prossimi vent’anni, un arco di tempo ben coperto dal punto di vista statistico poiché riguarda persone in gran parte già nate. Da questi dati sulla demografia emergono due rapide constatazioni:

- la necessità per i paesi ad alto reddito di ridefinire una politica migratoria per soddisfare le future esigenze del mercato del lavoro,

- l’assoluta necessità di un rafforzamento della cooperazione internazionale in materia di sviluppo a fronte del rapporto estremamente negativo tra crescita economica e demografica nei paesi a basso reddito, in particolare l'Africa.

Resta da definire il ruolo che l’Unione europea unita o disunita potrebbe svolgere in un contesto di questo tipo.

A6: l’innovazione è un’evidenza

In questo rapido excursus sulle grandi problematiche economiche che l’Europa dovrà affrontare nell’ambito della globalizzazione, il fattore innovazione si pone certamente come la chiave di volta della competitività europea nel contesto mondiale. Al riguardo sono stati fatti molti studi ma poche sono le proiezioni. Al massimo possiamo notare, come evidenziato nella figura 20, il ritardo accumulato rispetto ai nostri concorrenti più diretti, Giappone e Stati Uniti.

Figura n°20 Confronto del livello di innovazione tra le principali regioni ad alto reddito (Fonte: Commissione europea - DG Imprese e Industria: European Innovation Progress Report 2006)

MoyenneMoyenneUE 25 = 0.00 UE 25 = 0.00

Labor force growth is slowing

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Sarà sicuramente la sfida dei prossimi anni. L’Europa ha già cominciato, anche se quasi in sordina, a tenerne conto nell’ambito delle politiche 2007-2013. Tutto lascia pensare oggi che nei prossimi anni sarà necessario dedicarvi un’attenzione ancora maggiore.

Dalla figura n°21 traspare la grande eterogeneità dei paesi europei sia a livello di innovazione raggiunta che di dinamismo. Si nota inoltre che i paesi più all’avanguardia non sono necessariamente quelli che fanno prova del maggiore dinamismo in termini di evoluzione.

Tra tutti, la Finlandia è l’esempio da citare visti i vari stadi di sviluppo che ha superato in meno di 10 anni.

Figura n°21 Confronto tra i livelli di innovazione nazionali (Fonte: Global Innovation Scoreboard Report 2006)

A7. Prime conclusioni

Questi grandi trend globali, che richiederebbero ovviamente ulteriori approfondimenti, permettono tuttavia alcuni primi spunti di riflessione ma soprattutto sollevano una serie di domande sulla gestione delle priorità politiche che affronteremo in un secondo momento. In linea di massima le sfide saranno di 3 tipi:

- la necessità per l’Europa di conservare un alto di livello di attività e di protezione sociale e quindi di mantenere un vantaggio certo in termini di qualità della vita per i suoi cittadini attraverso una maggiore competitività nei settori ad alto valore aggiunto. L’istruzione e la formazione e il tipo di politiche economiche e sociali che vi saranno associate saranno determinanti per raggiungere questo obiettivo.

- il perseguimento di una politica europea per un migliore equilibrio delle possibilità di sviluppo a livello mondiale (il dibattito sulle problematiche dell’immigrazione vi ha un ruolo di primo piano). L’Europa, principale donatore mondiale, sarà chiamata molto probabilmente a rafforzare le proprie politiche esterne e ad approfondire cosa si aspetta in cambio.

- l’urgente necessità di anticipare e reagire agli shock asimmetrici della globalizzazione, sia nel rapporto con i cittadini che con il territorio. I fenomeni in corso continueranno a provocare importanti mutamenti che bisogna affrontare senza paura ma anche senza false illusioni. I territori europei si adatteranno a tali mutamenti con velocità diverse.

Non sarà facile trovare il giusto equilibrio tra queste tre sfide. Alla complessità del dibattito si aggiunge la problematica dello sviluppo sostenibile che affronteremo più avanti e che probabilmente complicherà l’elaborazione delle politiche 2014-2020.

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B. LE REGIONI IN EUROPA

In questa sezione cercheremo di approfondire il punto 3 delle precedenti conclusioni, ovvero la gestione delle disparità infraeuropee che da tempo è una delle tematiche chiave della costruzione europea e la principale preoccupazione delle nostre regioni. Rispetto ai precedenti periodi di negoziato, le regioni possono contare oggi su una grande quantità di dati regionali che permettono una migliore conoscenza delle problematiche da trattare. In queste pagine ci limiteremo ad utilizzare gli esempi più emblematici della problematica che ci interessa.

Figura n°22 Le regioni e la strategia di Lisbona

Questa cartina riassume egregiamente il tipo di sfide economiche che i territori europei dovranno affrontare. Abbiamo dovuto rinunciare all’idea di commentare questi dati nell'ambito di un'analisi approfondita dei sistemi produttivi regionali (individuazione dei settori fragili e al contrario dei fiori all'occhiello dell'economia europea) poiché questo tipo di analisi non è contemplato dall'attuale programma ORATE ma lo diventerà molto probabilmente nella sua futura versione 2007-2013.

Confrontando questa prima lettura delle disparità a quella dell’innovazione (figura 23), e a quella delle problematiche in termini di ristrutturazione (figura 24), ci si rende effettivamente conto della portata delle sfide cui si troverà confrontata la futura politica regionale. Le realtà regionali europee sono sempre più variegate, anche all'interno degli stessi Stati membri e questa situazione tende a diventare sempre più frequente. Non è più tanto l’elemento geografico centro-periferia ad essere determinante quanto le diverse modalità di creazione della ricchezza. In materia di innovazione, i divari sono innanzitutto tra il nord da un lato e il sud e l’est dall’altro. Per quanto riguarda le capacità di ristrutturazione, si nota che i territori più dinamici operano in una logica di centri di competitività che si ritrova maggiormente nelle grandi metropoli internazionali integrate nelle correnti della globalizzazione. La problematica si situa più tra territori integrati e territori al margine delle grandi correnti di scambio e di innovazione produttiva e terziaria che non tra centro e periferica geografica.

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Figura n°23 Le regioni e l’innovazione

Figura n°24 Situazione economica e potenziali di ristrutturazione

FFoonnttee:: EESSPPOONN

Classificazione Nuts 2 delle

regioni 1-20 (top10%) 21-50 51-100 101-150 151-204

FFoonnttee:: DDgg RReeggiioo

BE, PL4, PL5, PL6, UK : Nuts 1

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Per quanto concerne la problematica demografica, la riflessione è duplice:

1. I comportamenti demografici in territorio europeo sono lungi dall'essere uniformi e sarà necessario probabilmente inventare nuove politiche in base al tipo di evoluzioni demografiche che le regioni dovranno affrontare,

2. Le migrazioni interregionali e internazionali sono di entità così ridotta in Europa che solo una politica regionale più ambiziosa permetterà di regolare il mercato del lavoro, con il rischio di assistere al disinteresse dei cittadini per il progetto politico europeo nei territori più lontani dalla competitività internazionale e nei territori più ricchi stanchi di fare prova di solidarietà.

Figura n°26: I precedenti livelli di mobilità in termini di distanza e di caratteristiche demografiche

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Nella prima tabella la mobilità espressa in percentuale di popolazione interessata è minima ed inoltre riguarda principalmente gli studenti altamente qualificati. La mobilità è peraltro molto ridotta all'interno di uno stesso paese. In media, il 50%- 60% della popolazione che si sposta lo fa solo per restare nella stessa città o regione. Circa il 20% di tali spostamenti ha interessato due regioni diverse all’interno di uno stesso stato, solo il 4 - 5% un altro paese europeo e il 3% paesi esterni all’UE. In pratica, più del 40% delle persone che hanno scelto di cambiare paese vanno in stati al di fuori dell'Unione europea.

Le intenzioni di mobilità future sono ancora più rivelatrici perché corrispondono a dati inferiori alla realtà constatata. Gran parte dei cittadini europei non desidera spostarsi, nemmeno all’interno della propria città o regione! Persino gli studenti, i pensionati e a maggior ragione i disoccupati non esprimono alcun desiderio di cambiamento.

Figura n°27: Le intenzioni di mobilità in termini di distanza e di caratteristiche demografiche

Questi elementi sono determinanti per immaginare le politiche del futuro. Le politiche non hanno alcun potere su alcuni aspetti sociologici dei cittadini europei. L’Europa non sarà mai gli Stati Uniti, la regolazione del mercato del lavoro verrà dai territori e non dalla mobilità, qualunque siano i mezzi impiegati per favorirla.

I.2. L’URGENZA DELLA SOSTENIBILITÀ

È opportuno ricordare che per promuovere un modello di sviluppo più sostenibile a livello mondiale, come richiesto dalle Nazioni Unite alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, bisogna cominciare col darne l’esempio. Sarebbe quindi ampiamente illusorio credere che gli Stati europei saranno in grado di rispettare gli impegni assunti ai Vertici della Terra di Rio e Johannesburg e di raggiungere gli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo se prima non elaborano le loro politiche conformemente alla strategia di Göteborg.

L’accento che viene posto oggi sulla strategia di Lisbona sulla competitività rischia, se non si resta vigilanti, di far passare in secondo piano l’esigenza di sostenibilità delle politiche (strategia di Göteborg). La preoccupazione aumenta quando, osservando lo stato dell'ambiente in generale e delle regioni costiere in particolare, si notano inquietanti segni di trasformazione rapida e insufficientemente controllata come dimostrato dal rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente "The changing faces of Europe’s coastal areas” pubblicato nel giugno 2006:

- la proliferazione delle superfici artificiali aumenta ad un ritmo superiore di un terzo rispetto a quello che si registra nelle zone interne;

- i movimenti di popolazione verso il litorale si intensificano, il che rappresenta una chance per le nostre regioni;

- in molti Stati gli ecosistemi marini e costieri sono meno tutelati rispetto agli spazi naturali delle zone interne, nonostante presentino una biodiversità da cinque a dieci volte superiore.

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Tutte le analisi prospettiche concordano nel sottolineare che il ritmo di trasformazione dei territori accelera e che le misure oggi adottate sono insufficienti. Questa constatazione è rafforzata dagli studi condotti sulle conseguenze dei cambiamenti climatici che modificheranno profondamente la distribuzione delle specie e la loro capacità a resistere a tali cambiamenti e la distribuzione spaziale delle capacità di produzione agricola e delle risorse idriche.

Bisogna reagire rapidamente tanto più che per implementare le possibili soluzioni è necessario un lasso di tempo superiore alle scadenze elettorali che scandiscono la vita delle nostre democrazie. Si tratta peraltro di soluzioni impegnative che impongono nuovi metodi di elaborazione ed attuazione delle politiche, oltre a comportamenti individuali e collettivi totalmente rinnovati.

Molte di queste soluzioni richiedono l’attuazione di politiche integrate che permettano di prendere in considerazione tutte le dimensioni dello sviluppo. A tale fine dobbiamo cambiare il nostro modo di agire, i criteri di allocazione delle risorse e la governance delle nostre società. Una serie di “rivoluzioni” che non si faranno dall’oggi al domani, e comunque sia di difficile attuazione in Europa come lo dimostra la strategia europea di gestione integrata delle zone costiere.

Il livello regionale – nel senso di governi regionali – ha cominciato a reagire e ad organizzarsi. La creazione, già nel 2002, della rete delle autorità regionali per lo sviluppo sostenibile (nrg4SD), ne è un esempio riuscito. Questa rete, che riunisce le autorità regionali di cinque continenti, si è data come obiettivo l’elaborazione di azioni di sviluppo dei propri membri all’insegna della sostenibilità. Alcune azioni sono già state avviate in materia di gestione delle risorse idriche, di politica forestale, di commercio equo, di energie rinnovabili e di cambiamento climatico.

L’interesse manifestato dalle regioni dell’America del Sud, dell’Indonesia e dell’Africa per tale iniziativa dimostra che si tratta di un approccio promettente; il tempo necessario per farla vivere e darle un contenuto dimostra invece quanto sia difficile riunire due mondi che si allontanano l’uno dall’altro. Eppure, il livello regionale e locale sembrano i candidati più adatti per dare un contenuto concreto allo sviluppo sostenibile. Su circa 6.000 Agenda 21 adottate nel mondo, più di 5.000 sono frutto dell’iniziativa delle collettività regionali e locali.

Organizzare le capacità delle regioni a favore dello sviluppo sostenibile, adottare un approccio pragmatico e progressivo, dare l’esempio nel perseguimento delle politiche comunitarie per poterlo poi utilizzare come strumento efficace da esportare nelle politiche di sviluppo, queste sono le problematiche cui l’Europa è già confrontata e che tenderanno ad acuirsi nei prossimi anni.

II. IL RUOLO DELL'EUROPA NEL MONDO: TRE SCENARI POLITICI PER UN PROGETTO

Una volta delimitato l’ambito della riflessione, c'è ora da chiedersi come gli europei affronteranno queste nuove sfide o opportunità sapendo che partono tutti da situazioni diverse. I benefici del mercato unico, che in termini di stock sono elevatissimi, peseranno a sufficienza sui negoziati politici quando, verso il 2012, si dovranno dare gli ultimi ritocchi al bilancio europeo post 2013? Difficile rispondere oggi a questa domanda in assenza di un quadro istituzionale chiaro che permetta di arrivare preparati ai prossimi appuntamenti. Perlomeno possiamo azzardare tre scenari politici che non saranno necessariamente portatori della stessa ambizione per la futura politica regionale.

a. “La lunga marcia indietro”: uno scenario tendenziale?

Questo primo scenario è stato delineato dagli Stati membri quando, nel dicembre 2005, hanno adottato il budget per il periodo 2007-2013 nel quale entriamo oggi. Prevede un livello di impegno degli Stati inferiore a quello degli anni che hanno preceduto la caduta della cortina di ferro. Questo disimpegno potrebbe essere interpretato, dopo tutto, come un semplice provvedimento di risparmio finanziario o una delle dirette conseguenze della mancata ratificazione del trattato oppure, e a ragione, come una ferita inferta nel profondo.

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Figura n°28 Massimali del budget comunitario in stanziamenti per impegni rispetto al reddito nazionale lordo.

Fonte: DG Budget – Commissione europea

In effetti, il problema sollevato al vertice di Berlino del giugno 1999, quando i massimali di spesa raggiungevano l'1,27% della ricchezza europea, non si pone tanto in termini quantitativi quanto piuttosto di quota accettabile di spesa pubblica totale che gli Stati desiderano effettivamente gestire insieme piuttosto che all'interno dei rispettivi spazi nazionali. Analizzando gli avvenimenti che si sono succeduti, si capisce facilmente che la scelta era già stata fatta.

Quando, Romano Prodi ha aperto, nel 2003, il dibattito sul budget 2007-2013, il rapporto SAPIR aveva già gettato le basi di una riflessione sul futuro dell’Europa nella globalizzazione. La Commissione europea, con i mezzi a sua disposizione, aveva reagito in modo soddisfacente in particolare:

- auspicando un deciso rafforzamento delle politiche comunitarie per la competitività nel capitolo 1° del budget europeo che, come sappiamo, sono state poi "annientate" dal consiglio (-70% rispetto alle proposte della Commissione europea),

- e dedicando una buona fetta della politica regionale 2007-2013 alla competitività e all’innovazione, una decisione che è decisamente la migliore presa in quel periodo.

Se da un lato non possiamo che esprimere la nostra soddisfazione per il destino più clemente che è stato riservato alla politica regionale, nonostante oggi dobbiamo emettere delle riserve riguardo ad alcune modalità di attuazione, che dire della mancanza di ambizione dell'Unione europea di fronte alle sfide enunciate nella prima parte di questo documento?

Nella sua comunicazione del 4 ottobre 2006 “Une Europe compétitive dans une économie mondialisée” (Un’Europa competitiva in un’economia globalizzata”), la Commissione europea presenta nelle sue conclusioni le seguenti misure:

Sul piano interno: - vigileremo affinché le nostre proposte strategiche interne promuovano non solo le norme europee, ma siano anche adattate alle sfide da affrontare in materia di competitività mondiale; - vigileremo affinché i benefici dell’apertura degli scambi arrivino fino ai cittadini monitorando l’evoluzione dei prezzi all’importazione e al consumo; - daremo agli europei i mezzi per far fronte al cambiamento, grazie alla nuova generazione di programmi di coesione e al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.

Sul piano esterno: - resteremo fedeli al nostro impegno in relazione al ciclo di negoziati di Doha e all’OMC, che restano il nostro migliore strumento per aprire e gestire il commercio mondiale; - formuleremo proposte sui rapporti commerciali e d’investimento con la Cina, nel quadro di un’ampia strategia volta a istituire un partenariato vantaggioso ed equo; - avvieremo la seconda fase della strategia europea per far rispettare i diritti di proprietà intellettuale; - formuleremo proposte in vista di una nuova generazione di accordi di libero scambio attentamente selezionati e stabiliti in ordine di priorità; - formuleremo proposte in vista di una strategia d’accesso ai mercati rinnovata e rafforzata; -proporremo misure per aprire gli appalti pubblici all’estero; - riesamineremo l’efficacia dei nostri strumenti di difesa commerciale.

Financial framework – ceiling for

commitments in % of gross

national income (GNI)

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Non possiamo che considerare positivamente l’importanza data dalla Commissione europea alla politica di coesione per accompagnare, sul piano interno, la globalizzazione; tuttavia, allo stato attuale del progetto europeo, abbiamo tutte le ragioni di dubitare che i mezzi e i contenuti previsti siano all’altezza delle sfide:

- nei paesi della coesione sarà realizzabile grazie alla relativa importanza dei cofinanziamenti nell'ambito della politica di convergenza;

- nelle altre regioni dell’Unione, le modalità di attuazione e i mezzi sono ampiamente insufficienti rispetto alle problematiche che le regioni dovranno affrontare nel periodo 2007-2013 e ciò malgrado il necessario orientamento sulle priorità di Lisbona (earmarking).

Cosa succederà nel 2014 se queste tendenze continuano immutate?

- In un'ipotesi ottimista, una politica regionale immutata nei contenuti e ridotta di un altro terzo nelle sue ambizioni dovrà:

o formare, con 5 euro all’anno e per abitante, la forza lavoro europea alla nuova divisione internazionale dei processi produttivi, grazie a un Fondo sociale europeo di adattamento alla globalizzazione che di ambizioso avrà solo il titolo,

o rendere innovative le piccole e medie imprese europee di fronte alla concorrenza cinese e indiana con i 5 euro rimasti per abitante e all’anno nel salvadanaio FESR

- Lo scenario più pessimista conferma, in anticipo di un periodo di programmazione, l'analisi del rapporto SAPIR e solo le regioni arretrate dei paesi ultimi arrivati nell'Unione saranno interessate da una politica di convergenza di seconda generazione negoziata al minimo in quanto promossa da una minoranza di Stati membri.

b. Gli egoismi trionfano: le ragioni di questo “successo”

Anche se nessuno osa ancora parlarne, il rischio di un netto arretramento della costruzione europea diventa sempre più reale. Questa ipotesi catastrofica era già stata formulata dal Nucleo prospettive della Commissione europea alla fine del secolo scorso quando era stato incaricato di "esplorare" il futuro. Alcuni segnali politici le conferiscono ormai una certa credibilità:

- Argomento quasi tabù, il primo bilancio politico degli allargamenti suscita opinioni contrastanti, nella vecchia come nella nuova Europa. La prima rimprovera alla seconda di non rispettare sempre le regole del mercato unico e la seconda considera con sospetto le velleità di approfondimento criticando contemporaneamente le condizioni meno interessanti che le sono state proposte rispetto agli allargamenti precedenti. Il clima nelle varie comitatologie del consiglio è spesso teso e molti osservatori notano l’emergere di un certo bipolarismo “est-ovest” nei dibattiti. Se gli allargamenti hanno permesso di conservare numerosi posti di lavoro in Europa, le opinioni pubbliche della vecchia Europa tendono a volte a vedervi l'origine di alcuni mali dovuti alla globalizzazione. Oggi il termine “allargamento” è considerato quasi un brutta parola e, come nel 2004 per l'entrata dei 10 nuovi paesi, l'arrivo della Bulgaria e della Romania nell'Unione non è stato accolto purtroppo con lo stesso entusiasmo degli allargamenti precedenti. In alcuni stati, l’opinione pubblica si mantiene su posizioni moderate per non dire diffidenti e poco viene fatto dai governi per spiegare ai propri cittadini i reciproci vantaggi di un grande mercato unico di 480 milioni di abitanti;

- Nel mercato unico globale in via di realizzazione, la tendenza naturale a far valere individualmente i propri atout senza farsi carico dei costi inutili della solidarietà europea è un’idea che a volte incontra un certo favore. Basterà qualche altro motivo di disaccordo supplementare per permettere all’”Europa degli spilorci” di rafforzarsi ulteriormente. Questo scenario è tanto più credibile che alcuni stati, un tempo beneficiari, si trasformeranno in contributori e che, contrariamente a quanto avveniva in passato, i contributori saranno più numerosi dei beneficiari. Riguardo ai grandi divari di competitività tra i paesi europei, la tentazione di un ritorno in auge degli egoismi nazionali è grande: Corriamo oggi lo stesso rischio del 1973 in occasione del primo shock petrolifero? Si potrebbe arrivare fino a rimettere in discussione gli acquis del mercato unico?

- In un mondo in fase di totale apertura, si nota un movimento naturale nel quale ogni paese europeo tende a sviluppare i rapporti commerciali con quelle parti del mondo con le quali intratteneva già relazioni privilegiate: Stati Uniti, Asia, America Latina, Russia e Asia centrale, bacino del mediterraneo, a seconda dei casi. Si assiste al moltiplicarsi di accordi bilaterali di libero scambio un po’ ovunque sul nostro pianeta ed alcuni paesi europei ambiscono a fare altrettanto senza tuttavia disporre della forza necessaria per negoziare da soli. La situazione cambierà se l’OMC resta bloccata

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nei suoi negoziati multilaterali e se gli accordi bilaterali continuano a riscuotere un tale successo? I vantaggi comparati degli scambi con il resto del mondo a volte alimentano una concorrenza tra europei che solo l’interdipendenza economica dei gruppi industriali e commerciali permette di attenuare. Contemporaneamente la zona euro non progredisce e alcuni non esitano a vedervi l’origine di tutti i mali per spiegare il rallentamento della crescita europea;

- La solidarietà europea sarà votata alla stessa sorte dei mezzi promessi agli obiettivi del millenario vista la difficoltà degli Stati di rispettare gli impegni assunti?

- Infine, nulla lascia presagire oggi che il no ai referendum francese e olandese si risolva positivamente. Lo scetticismo che si è manifestato in quelle occasioni rischia di contagiare altre opinioni pubbliche tanto più che i media non hanno esitato a dare ampio spazio ai disaccordi esistenti tra gli Stati membri: conflitto in Irak, scelte in materia di energia e politica d’immigrazione. Non bisogna escludere il rischio di un aumento della pressione nazionalistica come facile soluzione alle difficoltà di affrontare un nuovo mondo. In una prospettiva storica, questo scenario non sarebbe una grande novità. È sempre sfociato in una guerra.

In uno scenario di questo tipo, è facile immaginare un budget europeo trasformato in un grande “phasing out”, con ancora qualche politica simbolica e poco costosa per continuare a camuffare la realtà. È evidente che se questo scenario prevalesse su quello precedente, la politica regionale non diventerebbe che un lontano ricordo. Resti di un’epoca ormai dimenticata, alcuni miseri assegni “fondo di coesione” verrebbero versati agli Stati membri più poveri d’Europa. Qualche discorso sui vantaggi dell'approccio intergovernativo continuerebbero ad alimentare il mito europeo.

c. “Per una visione rinnovata del ruolo dell’Europa nel mondo”: le basi di una ricostruzione politica

Per i capi di stato e di governo costruire il progetto politico del ruolo dell'Europa nel mondo è senza dubbio il più nobile dei compiti dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla riunificazione europea ad oggi. Spesso è proprio dalle difficoltà che nascono le cause più giuste e cariche di promesse per l’avvenire.

L’Europa non è in pericolo da un punto di vista macroeconomico nell’ambito della globalizzazione; in compenso dovrà affrontare due importanti sfide per continuare a restare unita e ad essere presente sulla scena internazionale:

- preparare il futuro ed adattarvisi conservando nel contempo la sua coesione sociale. Credere che tutti gli europei siano in grado di reggere alla forte concorrenza internazionale è pura illusione. Eppure, ogni singolo cittadino europeo deve essere associato a questo nuovo modello di società in via di profonda trasformazione;

- difendere la propria coesione territoriale attraverso politiche eque e l'attiva associazione dei territori e di tutte le forze politiche in presenza. L’Europa deve tutelare e promuovere il proprio modello di cittadinanza e democrazia. Per andare oltre e promuovere insieme questi valori nel nuovo mondo che si profila, dovrà stabilizzare internamente questo modello e risolverne le principali contraddizioni.

L’Europa a quasi realizzato la propria coesione economica attraverso: - una politica commerciale che le permette di esprimersi all’unisono all’interno dell’OMC; - un euro forte che la difende dalle incertezze del passato e chiede solo di essere esteso a tutta

l'Unione; - una politica di concorrenza che comincia ad adeguarsi alle problematiche della globalizzazione

orientandosi maggiormente sulle attività economiche ancorate nel territorio; - l'orientamento di tutte le sue politiche verso più innovazione per sviluppare i propri atout sulla

scena mondiale; - un mercato unico di 480 milioni di abitanti di cui si sottovalutano gli effetti positivi per le nostre

economie e per l’occupazione; - Il problema della disoccupazione diventerà meno grave per un semplice effetto demografico ma

quello dell’adattabilità dei lavoratori alle nuove sfide ne diventerà la causa principale.

I seguenti elementi permetterebbero di andare più lontano:

- l’avvio di una vera e propria politica fiscale europea che tuttavia, per essere credibile, richiede l’armonizzazione europea dei grandi aggregati dei bilanci nazionali, primi tra tutti il debito e i

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deficit pubblici. Questo è l’obiettivo perseguito da tutti gli Stati e si può ragionevolmente prevedere che sarà raggiunto entro il 2014;

- il passaggio progressivo ad una fiscalità diretta per alimentare un bilancio europeo che, in queste condizioni, permetterebbe finalmente di attuare una politica più ambiziosa. Restano ancora sette anni per trasformare questo sogno in realtà.

Queste due condizioni per rendere l’integrazione economica europea più ambiziosa non sono impossibili da realizzare. Per essere credibili, dovranno andare di pari passo con un approfondimento degli altri due pilastri della coesione europea, ovvero la sua coesione sociale e territoriale. Solo concludendo un accordo di tipo “win-win” tra stati europei e con tutti i cittadini europei l’Europa potrà essere finalmente unita. Solo un quadro istituzionale rinnovato in un ambiente di governance plurilivello all’interno dell’Unione permetterà di realizzare questi progressi.

Nella terza sezione cercheremo di illustrare l’importanza del ruolo che le regioni e i loro territori potrebbero svolgere in questo contesto, soprattutto in materia di coesione territoriale, tenendo presente che la tematica sociale rientra, nella stragrande maggioranza dei casi, tra le competenze del livello nazionale.

III. QUALI POLITICHE PER ACCOMPAGNARE LE REGIONI EUROPEE SULLA SCENA MONDIALE?: LE PRINCIPALI CHIAVI DEL SUCCESSO

a. Quali territori nel 2014?

Se la futura politica regionale dovesse essere riformata seguendo le procedure adottate in passato, la discussione partirebbe dalle seguenti basi. Nel futuro schema di ammissibilità 2014-2020, la Germania, la Spagna, l’Italia e la Grecia non sarebbero praticamente più coperte dall’obiettivo convergenza che interesserebbe solo l’est dell’Europa, il Portogallo e due regioni ultraperiferiche. Sarebbe opportuno interrogarsi sul tipo di politiche da attuare in modo coordinato nell'ambito dell'obiettivo competitività regionale e occupazione con dotazioni ancora più diluite rispetto ad oggi a causa di una popolazione ammissibile in forte aumento.

Figura n°29 Regioni obiettivo convergenza in base ai livelli di PIL pro capite del 2003

10 0 0 0 10 0 0 20 0 0 K ilo m e t ers

N

C a rte d ' é lig ib ilité R é g io n s O b je c t if 1

Eu ro p e à 2 8 (EU 2 5 + B u lg a r ie + R o u m a n ie + C ro a t ie )

N o tes :Le s rég io n s d e C ro at ie n e s o nt p as rep r és en tées d an s c et te c arte .C art e é la b o ré e à p a rt ir d es d o n né s d u P IB 2 0 0 3 (Eu ro s t at ).C P P M /C R P M

Lé g en d eP IB H A B P P A E U 2 8 = < 75P IB H A B P P A E U 2 8 > = 75

La cartina offre un panorama molto più diversificato delle problematiche territoriali europee e dei necessari adeguamenti alle problematiche mondiali che ogni territorio dovrà realizzare.

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Figura n°30

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In effetti questi territori hanno tutti esigenze diverse, legate in particolare:

- alla demografia della loro regione; - al livello di qualificazione della popolazione attiva; - al tipo di settori economici nei quali eccellono – o falliscono – a livello mondiale (agricoltura,

turismo, servizi a valore aggiunto più o meno alto, attività industriali); - ai finanziamenti destinati alla ricerca; - alla qualità dello spirito di innovazione che avranno saputo stimolare e sostenere nei loro territori; - al tipo di insediamento umano, dalla campagna profonda alla metropoli; - alle capacità di tessere contatti lontani sfruttando le loro specificità; - alla valorizzazione dei loro atout naturali, ambientali o culturali in un’ottica economica. - …

Avranno tutti bisogno di accordi specifici in sintonia con i valori del progetto europeo. Una prospettiva come questa richiede di rivisitare in profondità la politica regionale sia in termini di contenuto delle azioni che della sua gestione e finanziamento.

b. Una nuova governance per regioni protagoniste della globalizzazione

È passato ormai il tempo della contrattualizzazione tra l'Europa e gli Stati membri. Per essere efficiente, efficace, moderna e reattiva, l’azione pubblica non può appesantirsi di meccanismi complessi e tecnocratici nella presa di decisioni e nel finanziamento delle azioni.

I programmi di prossima generazione devono essere posti in essere individualmente per ogni singola regione in funzione delle sue specifiche esigenze e nell'ambito di un quadro comunitario negoziato tra la Commissione europea, gli Stati e le Regioni. Solo così l’Europa tornerà ad essere credibile agli occhi dei cittadini. Ogni Stato membro sarà comunque libero di agire in stretta collaborazione con le proprie regioni completando o integrando le proprie politiche pubbliche, verosimilmente attraverso un contratto tripartito flessibile e adeguato alle esigenze di reattività dell'azione pubblica rispetto ai movimenti rapidi della globalizzazione. Oggi si chiede alle aziende e ai lavoratori di essere reattivi; lo stesso deve valere per le politiche deputate ad accompagnarli in questo percorso. A tale fine occorre responsabilizzare maggiormente le autorità regionali che lavorano in stretto contatto con i loro partner pubblici, privati e territoriali, come avviene in tutte le democrazie evolute. Le valutazioni che abbiamo effettuato sull’attuazione della politica regionale 2007-2013 dimostrano che molto resta ancora da fare in questo campo.

Questa nuova politica regionale deve peraltro garantire maggiore chiarezza e non darsi troppi obiettivi, uno più ambizioso dell’altro, che non riesce comunque a raggiungere, a parte nelle regioni della convergenza. La priorità è preparare la forza lavoro e gli attori socioeconomici ad affrontare le nuove problematiche della globalizzazione agendo su diversi fronti:

- la formazione continua dei lavoratori attraverso una politica regionale per l'occupazione anticipatrice e reattiva (le politiche educative da attuare a livello nazionale hanno al riguardo un ruolo fondamentale, in particolare nel sud dell’Europa);

- assistendo i tessuti produttivi nella ricerca dell'innovazione e nella presenza sulla scena europea e mondiale. Varrebbe la pena di farvi rientrare alcuni settori dei servizi e dell'agricoltura, reintegrando in particolare il volano "diversificazione economica" delle politiche di sviluppo rurale;

- mettendo i territori nelle condizioni di affrontare le problematiche della globalizzazione soprattutto nei settori della ricerca, delle tecnologie dell’informazione e dell’intelligenza economica in generale.

Inoltre, per garantire la chiarezza e l’efficacia di questa politica regionale nei confronti dei cittadini, sarà necessario:

- che l’obiettivo primario di tale politica sia la formazione della forza lavoro e l’adeguamento dell'economia regionale alla globalizzazione, e ciò in stretta collaborazione con tutti i soggetti del mondo economico e della società civile;

- che i metodi di programmazione siano profondamente rinnovati e associno tutti i soggetti a partire dalla fase di riflessione per una migliore comprensione reciproca della posta in gioco;

- che venga dato ampio spazio alla comunicazione sul ruolo di ciascuno all’interno di questa programmazione e sul valore aggiunto europeo in tali dispositivi rispetto alle lungaggini amministrative che pesano oggi sulle fasi progettuali e attuative;

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- che ne venga ulteriormente semplificato l’uso grazie ad un unico fondo di sviluppo regionale e di adeguamento alla globalizzazione;

- che il partenariato venga maggiormente responsabilizzato per raggiungere gli obiettivi iniziali, conservando una certa flessibilità nella definizione delle dotazioni regionali;

- che gli importi allocati per regione siano rivisti decisamente al rialzo pur conservando un sistema di dotazioni finanziarie proporzionali all’importanza dei cambiamenti da effettuare, alla ricchezza e al potenziale fiscale. Se questo sistema viene elaborato in modo equo e preciso, si potrebbe persino immaginare la scomparsa della distinzione tra regioni della convergenza e le altre. Un sistema di dotazioni finanziarie ben concepito, con delle soglie progressive ed eque, permetterebbe quindi di eliminare:

o gli effetti soglia;

o gli effetti statistici;

o i phasing in e phasing out.

- In una configurazione di questo tipo, sarebbe quindi molto più facile illustrare, in modo semplice e comprensibile, i vantaggi del modello europeo a tutti i cittadini;

- Una politica di questo tipo, che integra le politiche di sviluppo rurale volte a preparare i territori rurali alle nuove problematiche mondiali, dovrà essere dotata di un budget perlomeno pari allo 0,60% della ricchezza europea (ovvero l’attuale rubrica 1b + lo sviluppo rurale oltre a un’integrazione regionale delle politiche R&D e d'innovazione).

c. Per un’effettiva attuazione di alcune importanti politiche settoriali comunitarie

L’attuazione delle politiche di sviluppo sostenibile, dei trasporti o delle energie rinnovabili attraverso il prisma della politica regionale non funziona o piuttosto non funziona più e ciò per vari motivi di cui se ne possono indicare i principali:

- gran parte di tale politiche sono quasi di esclusiva competenza degli Stati; - i fondi dedicati alla politica regionale fuori convergenza sono troppo limitati per avere un impatto

reale; - gli obiettivi politici, assolutamente encomiabili, si perdono nella complessità dei meccanismi

decisionali e di programmazione; - il peso politico dello sviluppo sostenibile e della strategia di Göteborg, ad esempio, è stato annullato

dal “earmarking” a favore della strategia di Lisbona e dalle varie fasi della programmazione, tanto che oggi è impossibile misurarne l'effettiva presa in considerazione;

- la governance interregionale di queste politiche, spesso necessaria come per i trasporti, non funziona nella maggior parte dei casi;

- la complementarietà con le politiche nazionali e comunitarie è lungi dall’essere tale (soprattutto tra TEN-T, cooperazione transnazionale, programmazione nazionale e regionale per limitarci solo a questo esempio);

- l’applicazione del principio di rispetto dei criteri di coesione economica e sociale attraverso le politiche settoriali non funziona più.

- …

Eppure, le autorità regionali e locali svolgono un ruolo di primissimo piano nell’attuazione di queste politiche, spesso insieme ad altre fonti di finanziamento pubblico e privato. Resta quindi da identificare il modo con cui rilanciare queste politiche a livello europeo.

Riteniamo necessario agire su diversi fronti:

1°) Restituire leggibilità politica a una politica dei trasporti, dell’ambiente e di adeguamento ai cambiamenti climatici e dell'energia nell'ambito di un'effettiva competenza comunitaria. Attualmente:

- non esiste una politica comune dei trasporti e il budget delle TEN-T è a un livello puramente simbolico rispetto alle ambizioni prefigurate;

- esiste una politica per l’ambiente incentrata essenzialmente sull’aspetto normativo ma priva o quasi di un budget per applicarla;

- non esiste una politica europea dell’energia, tanto meno delle energie rinnovabili, un tema che invece interessa da vicino i cittadini europei e che avrà pesanti ripercussioni sul loro futuro.

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Nota tecnica del Segretariato generale della CRPM – Le Regioni europee nel Mercato unico mondiale: Le sfide della politica

regionale per il periodo 2014-2020 – Rif: CRPMNTP070009 A0 – 22 gennaio 2007 – p. 25

Queste tre politiche sono a nostro avviso di un’importanza tale da meritare una particolare attenzione nell’ambito della revisione del trattato costituzionale. Ci risulta difficile immaginare un'opposizione virulenta dei cittadini europei a una proposta di questo tipo.

2°) Collegandoci al punto precedente, semplificare dal punto di vista finanziario queste politiche la cui attuale complessità le rende incomprensibili al comune mortale. Se il Consiglio europeo o alcuni dei suoi membri rifiutano le proposte finanziarie della commissione a favore dello sviluppo sostenibile, che ne assumano la responsabilità politica di fronte ai cittadini.

3°) Far partecipare maggiormente tutti i livelli dell'azione pubblica – Stati e collettività regionali e locali – all’attuazione tripartita o quadripartita negoziata a livello comunitario mediante il sistema di presentazione di progetti o di priorità territorializzate in partenariato

4°) Infine attribuire obiettivi territorializzati a livello europeo dotati dei mezzi necessari alla loro attuazione:

- come applicazione pratica, si potrebbe prendere l’esempio di un'eventuale politica marittima europea che fisserebbe degli obiettivi come il disinquinamento del Mediterraneo o del Baltico riunendo attorno a un tavolo i soggetti interessati e offrendo l'opportunità di un intervento finanziario comunitario;

- allo stesso modo si potrebbe immaginare la definizione di una serie di corridoi prioritari – terrestri o marittimi – frutto di una vera e propria negoziazione tra tutti i soggetti interessati e non della somma di priorità nazionali, come è invece il caso oggi. Questi corridoi dovrebbero rispettare norme severe in materia di sviluppo sostenibile che farebbero scattare l’applicazione, in deroga, di autorizzazioni specifiche da parte della DG concorrenza;

- per promuovere le fonti rinnovabili si potrebbero altresì istituire delle linee di cofinanziamento a cui diversi soggetti e soprattutto le collettività regionali e locali potrebbero essere ammissibili;

- … Attraverso questi dispositivi, l’azione europea diventerebbe molto più accessibile ed efficace e più vicina ai cittadini e alle loro motivazioni europee.

d. Per una vera agenda territoriale dell’UE

In molti settori, l’approccio territoriale permette al progetto europeo di avere un senso. Ad esempio in materia di adeguamento degli europei alla globalizzazione, di programmazione di diverse importanti politiche settoriali o di promozione del modello democratico europeo all’esterno delle nostre frontiere, secondo quanto previsto nella programmazione 2008-2013 delle politiche esterne dell’Unione. Questo approccio parte dalla necessità di ristabilire il contatto con i cittadini europei attraverso un'associazione e una responsabilizzazione molto più concreta rispetto al passato dei livelli di governo democratici infranazionali all'interno dei quali le regioni possono svolgere un effettivo ruolo di animazione del loro territorio. È questo che sosteniamo quando parliamo di agenda territoriale per l'Europa.

I Ministri incaricati delle politiche di sviluppo territoriale sono giunti a conclusioni simili alle nostre di cui discuteranno prossimamente a un seminario che si svolgerà in maggio a Lipsia. Le nostre analisi si sovrappongono in effetti in larga misura alle loro quando viene sottolineata l’importanza di ricorrere più spesso ad approcci territoriali nell’ambito della globalizzazione per rafforzare la governance delle politiche dell’Unione.

I punti sui quali invece le nostre opinioni divergono riguardano la divisione delle azioni in base al tipo e alle modalità. Ci sembra difficile, in un’Europa a 28, credere all’utilità di approcci puramente intergovernativi che ignorerebbero:

- da un lato approcci veramente regionalizzati coinvolgenti, a livello di governance, tutti i livelli territoriali;

- dall’altro i meccanismi europei esistenti di coesione tra territori.

Non basta condividere gli obiettivi, bisogna condividere anche strumenti e meccanismi comuni e comunitarizzati. La CRPM da sempre sostiene il concetto di “coesione territoriale” come punto di incontro tra un valore di governance plurilivello e un valore di solidarietà tra territori. Si preoccupa nel vedere che questa visione strenuamente difesa durante i lavori della convenzione sull‘avvenire dell’Europa viene a volte strumentalizzata e utilizzata a fini puramente intergovernativi dalle amministrazioni incaricate dello sviluppo territoriale che si servono della politica regionale come di uno strumento destinato soprattutto a

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regionale per il periodo 2014-2020 – Rif: CRPMNTP070009 A0 – 22 gennaio 2007 – p. 26

finanziare le loro politiche territoriali nazionali. Continuare in questa direzione sarebbe, secondo noi, un grave errore contrario all'interesse che condividiamo sulle grandi linee delle questioni di fondo.

Tuttavia, esistono sicuramente molte idee nuove da esplorare da qui al 2014 per rispondere a queste preoccupazioni. Meriterebbero il coinvolgimento delle più alte istanze decisionali.

Conclusione:

Questa analisi di un futuro possibile per la politica regionale post 2013 è per la CRPM solo la prima tappa di un 2007 dedicato alle politiche del dopo 2013. Sarà necessario:

- approfondirla e completarla con l’evoluzione dei dibattiti sul futuro del trattato costituzionale. Ovviamente i risultati della negoziazione in corso e il seguito che vi verrà dato nei paesi che non hanno ratificato il progetto di trattato influenzeranno notevolmente la credibilità degli scenari e delle opzioni proposte,

- completare tale analisi con uno studio sull’evoluzione delle altre principali componenti del budget europeo e in particolare le politiche che da sempre hanno un forte impatto territoriale (PAC e sviluppo rurale, trasporti, ambiente, ricerca…).

Si dovrà procedere anche a un chiarimento politico sugli equilibri necessari tra le strategie di Lisbona e di Göteborg che sono attualmente le due chiavi di volta della strategia del Consiglio.

Questa prima base di riflessione discussa dal nostro Ufficio politico e successivamente arricchita dalla pubblicazione, la prossima primavera, del 4° rapporto sulla coesione economica e sociale da parte della Commissione europea, sarà oggetto di una proposta politica più approfondita in vista dei nostri prossimi appuntamenti politici di giugno (Ufficio politico) e ottobre (assemblea generale).