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LE POLITICHE DEL LAVORO

Sono l’insieme di interventi pubblici rivolti alla tutela dell’interesse

collettivo all’occupazione.

Tali politiche sono strettamente connesse con altri settori: fiscale,

sociale ed economico

Le politiche del lavoro si possono suddividere in:

Politiche Attive del Lavoro e

Politiche Passive del Lavoro

POLITICHE PASSIVE DEL LAVORO

Concernono le prestazioni monetarie a favore dei disoccupati (coloro

che hanno perso il lavoro)

In tutti i paesi europei vi è la tutela dei disoccupati, tali strumenti sono

chiamati “ ammortizzatori sociali” come protezione del reddito dei

disoccupati.

Gli ammortizzatori sociali sono di norma prestazioni di natura

assicurativa, non discrezionale.

Vi sono 2 schemi o livelli:

� Uno schema ASSICURATIVO = quando le prestazioni sono indennità

di disoccupazione che vengono elargite solo a fronte di un

versamento di contributi.

� Uno schema ASSISTENZIALE “DEDICATO” = quando sono previsti

sussidi di disoccupazione che sono rivolti a soggetti che non hanno

versato contributi sufficienti o hanno esaurito le spettanze. Questi

sussidi sottostanno alla prova dei mezzi (means test)

Lo schema ASSICURATIVO ha le seguenti caratteristiche:

- il versamento dei contributi è obbligatorio

- i criteri di eleggibilità sono:

a. la disoccupazione deve essere di natura involontaria;

b. il lavoratore deve avere determinati requisiti di anzianità

contributiva in riferimento ad un dato periodo di tempo;

c. la presentazione di una domanda per ricevere l’indennità di

disoccupazione;

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d. vincoli di attivazione (non in tutti i paesi UE). Questi riguardano

la disponibilità a frequentare da parte del disoccupato corsi di

orientamento professionale o nel svolgere un’altra occupazione (la

mancata frequenza di corsi comporta sanzioni).

Finanziamento dello Schema ASSICURATIVO

I contributi sono versati dai datori di lavoro e dai lavoratori (in %

differenti da paese a paese), a volte può intervenire lo Stato, attraverso la

fiscalità generale, quando la copertura non è garantita.

La generosità delle prestazioni è definita da:

- importo = è calcolato come % della retribuzione di riferimento

(cioè la media delle retribuzioni di un certo periodo)

- durata = varia da qualche mese ad anni e dipende dalle legislazioni

nazionali.

Caratteristica comune in tutti i paesi UE è che i parametri dipendono

dall’anzianità retributiva e dall’età anagrafica dell’utente.

Schema ASSISTENZIALE “DEDICATO”

Elargisce sussidi sociali: finanziati dalla fiscalità generale, non sempre

è fissata la loro durata (non si può predeterminare per quanto tempo un

soggetto usufruirà di questo sussidio e pertanto vengono effettuate visite

periodiche per accertare lo stato di bisogno)

POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

Sono tutti quegli interventi che vanno ad incidere direttamente sul

mercato del lavoro creando nuova occupazione o intervenendo a scopo

preventivo o curativo sulle possibili cause della disoccupazione.

L’OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)

propone 5 gruppi di intervento :

- sussidi all’occupazione

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- creazione diretta e temporanea di posti di lavoro

- formazione professionale

- sostegno finanziario e servizi per la nuova imprenditorialità

- servizi per l’orientamento e collocamento lavorativo.

Obiettivo specifico delle politiche attive è quello di evitare che una

persona rimanga a lungo disoccupata (“intrappolata” nel suo stato di

disoccupazione), promuovendo il passaggio ad una tutela attiva

dell’individuo nel mercato del lavoro rispetto ad una tutela passiva. � Si parla pertanto di WORKFARE (dal welfare al workfare) ossia uno stato sociale che

tende ad aiutare il soggetto a rimanere attivo e competitivo nel mondo del lavoro,

traendo i benefici dalle assicurazioni legate alla propria condizione professionale

piuttosto che dipendere dall’assistenza.

Tipologie di indennità (vedi fotocopia)

La prima grande distinzione prevede:

lo schema rivolto alla disoccupazione totale (con estinzione del

rapporto di lavoro) ed

uno schema rivolto alla disoccupazione temporanea o CIG (con

sospensione dell’orario lavorativo, senza perdita del posto di lavoro)

Lo schema rivolto alla Disoccupazione Totale prevede:

- indennità ordinaria di disoccupazione (non agricola)

- indennità ordinaria di disoccupazione per gli operai agricoli

- trattamenti speciali di disoccupazione per gli operai edili

- indennità di mobilità

Lo schema rivolto alla Disoccupazione Temporanea o CIG (Cassa

Integrazione Guadagni) comporta:

- trattamento ordinario di integrazione salariale

- trattamento straordinario di integrazione salariale

- trattamento di integrazione del salario per i lavoratori agricoli Il suo finanziamento è assicurato prevalentemente dallo Stato (anche se è prevista la

compartecipazione dei datori di lavoro). In tutti i casi, a proposito della CIG, è l’azienda

che ne deve fare richiesta: si viene a configurare una sorta di negoziazione tra il governo e

le parti sociali per la concessione di tali benefici.

La CIG a volte è stata sfruttata in modo opportunistico dalle aziende.

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La media europea – dati Eurostat, 2004 - del tasso di disoccupazione si

aggira intorno all’8,1%, l’Italia è all’8%.

In Italia sono da rilevare due caratteristiche peculiari:

- disparità occupazionale a livello territoriale (tasso di disoccupazione

al sud 15% e nel nord-est 3,5%)

- la disoccupazione riguarda soprattutto i giovani in età tra i 15 e 24

anni (23%), mentre la media europea in questa fascia di età è del

16,6%.

In Italia, comunque, la spesa per i trattamenti di disoccupazione è

contenuta perche equivale solo all’1,6% della spesa sociale totale.

Come già detto in altre lezioni, la torta (per rappresentare la suddivisione a livello

grafico) della spesa sociale per i 2/3 va alla previdenza, il resto si divide

tra la sanità (più di 1/4) e per ultima l’assistenza.

Ripartizione della spesa complessiva delle politiche PASSIVE del lavoro in Italia, dati riferiti al 2001 :

� 35% per l’indennità di disoccupazione non agricola

� 21 % per l’indennità di disoccupazione agricola

� 2% per l’indennità di disoccupazione edile

� 17% per l’indennità di mobilità

� 13% per i pensionamenti anticipati

� 12% per la CIG (ordinaria 6%, straordinaria 6% ).

L’insieme dei trattamenti della disoccupazione totale presenta un disavanzo strutturale (i

contributi versati non bastano a pagare le indennità e dunque interviene lo Stato

attraverso la fiscalità generale), mentre la CIG presenta un saldo positivo, cioè l’intero

sistema di ammortizzatori sociali è in grado di autofinanziarsi (le entrate contributive

sono superiori alle uscite)

Ripartizione della spesa complessiva delle politiche ATTIVE del lavoro in Italia, dati riferiti al 2001 :

- sussidi all’occupazione (incentivi alle assunzioni, alla stabilizzazione

dei posti di lavoro) 45%

- contratti a causa mista (contratto formazione lavoro ed

apprendistato) 26%

- creazione diretta di posti di lavoro 4%

- formazione 13%

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- sostegno finanziario per la nuova imprenditoriali, incentivi all’autoimpiego

8%

- servizi collocamento /centri per l’impiego 3%

- altri 1%.

Fino ad oggi gran parte del finanziamento delle politiche ATTIVE del lavoro in Italia è

stato attinto dal FONDO SOCIALE EUROPEO, ma in futuro i

finanziamenti si contrarranno in quanto i programmi comunitari 2007-

2013 prevedono che le risorse vengano in larga misura orientate ai

nuovi paesi membri dell’est europeo.

CENNI STORICI.

Le prime forme di aiuto alla disoccupazione nascono nel 800 in

Inghilterra. I sindacati da poco costituiti si presero cura di istituire un

fondo per chi perdeva il lavoro. Era una assicurazione volontaria.

Questa pratica si diffuse in tutta Europa. Consentì anche di

combattere le pressioni al ribasso sui salari praticate dai datori di lavoro, perché i lavoratori disoccupati, sostenuti dalle casse sindacali, potevano non cedere al ricatto.

Ad inizio 900 la crisi occupazionale mise in crisi queste casse perché vi

si ricorreva troppo spesso e si iniziò ad occuparsene a livello pubblico: i governi locali, i comuni, organizzarono forme di assicurazione pubbliche volontarie e

sussidiate contro il rischio economico di disoccupazione.

Esempi: il Comune di Gand in Belgio nel 1901 prevede sussidi comunali ad

integrazione di quelli forniti dalle casse sindacali. Nel 1911 in UK abbiamo la

nascita dell’Assicurazione Pubblica Obbligatoria su scala nazionale, che nel

1919 arriverà anche in Italia. L’Italia è quindi il secondo paese

europeo ad introdurre l’assicurazione obbligatoria.

Nei paesi nordici questo settore è ancora prerogativa dei sindacati.

Oltre agli schemi assicurativi contro il rischio di disoccupazione, nel corso dell’Ottocento in tutta Europa sono state introdotte altre due forme di intervento rivolte al

mercato di lavoro :

- le norme di regolazione dei rapporti di lavoro

- programmi pubblici volti a favorire l’inserimento occupazionale.

Tali programmi sono legati soprattutto agli uffici di collocamento sotto

il controllo dello Stato. La legge Fanfani del 1949 prevedeva il

monopolio pubblico sul collocamento che era competenza del Ministero

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del Lavoro. Il ministero agiva sul territorio con uffici provinciali allora

definiti Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione

(UPLMO). Era stata definita una procedura molto rigida per il controllo

degli avviamenti da parte dello Stato, vietando a chiunque altro la

mediazione tra domanda ed offerta di lavoro . Esisteva la richiesta o

“chiamata numerica” e la “chiamata nominativa”. La prima prevedeva che i lavoratori si iscrivessero alle liste di collocamento ed attendessero il loro turno mentre i datori di

lavori (soprattutto nel caso delle grandi imprese/industrie) erano obbligati ad assumerli,

previa richiesta agli uffici provinciali; la seconda, che era prevista per le aziende con meno

di cinque dipendenti e per particolari qualifiche, comportava la scelta diretta da parte dei

datori di lavori

Tale sistema è durato sino a tempi recenti.

Negli anni 30 emerse nei Paesi Scandinavi un particolare modello di politica del

lavoro (flessicurezza, flexecurity): la collaborazione tra Stato, Sindacati e

Imprese per la riqualificazione e formazione dei lavoratori in modo da

rendere la disoccupazione una situazione temporanea. Si definì altresì

una legislazione flessibile nei rapporti di lavoro.

Il modello scandinavo tutela il lavoratore nel mercato del lavoro (più che nel

posto di lavoro): questo significa che il lavoratore può cambiare più volte

occupazione ma rimane “occupato”, non perdendo il reddito.

DATE IMPORTANTI

1919 Assicurazione Obbligatoria

1945 CIG (1941 Nord – 1945 RdI)

1949 Legge Fanfani (L.264/49)

Monopolio pubblico sul collocamento

1968 CIGS

1970 Statuto dei Lavoratori (L.300/70)

(diritti di libertà, libertà sindacali, salute)

Contiene l’art. 18 Licenziamento per giusta causa

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CRISI ANNI 80 IN EUROPA: SFIDE E RIMEDI DEI GOVERNI.

Negli anni 80 in tutta Europa imperversa una profonda crisi sociale ed

economica già iniziata negli anni 70 con la crisi petrolifera, che ha

aumentato inflazione e disoccupazione.

Da questa situazione partono le sfide a cui i vari Governi europei sono

chiamati a rispondere.

Le sfide sono sostanzialmente tre:

- CONGIUNTURA ECONOMICA NEGATIVA

- AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA

- TRASFORMAZIONI CHE RIGUARDANO LA STRUTTURA DEL

MERCATO DEL LAVORO (processi di ristrutturazione industriale e

ammodernamento tecnologico, che portano riduzione del personale, soprattutto quello

di bassa qualifica. Il calo dei lavoratori dell’industria porta anche alla perdita di

visibilità politica della classe operaia. Di contro, crescita della piccola imprenditoria e

del lavoro autonomo, sviluppo del “terziario”, cioè dei servizi, con conseguente aumento

della partecipazione delle donne al mercato del lavoro).

I rimedi sono sostanzialmente quattro:

- RIDUZIONE TRASFERIMENTI MONETARI per il sostegno del

reddito dei lavoratori ( ad es. indennità/assegni di disoccupazione)

- STRUMENTI PER RISTRUTTURAZIONI INDUSTRIALI che

sono CONTRATTI SOLIDARIETA’ e PREPENSIONAMENTO.

- DEREGOLAMENTAZIONE DELLE CONDIZIONI DI LAVORO dal

punto di vista dell’USCITA e dell’ENTRATA rispetto ad esso.

- QUALIFICAZIONE/RIQUALIFICAZIONE DELLE RISORSE

UMANE.

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Il rimedio che i Governi europei vollero opporre alla CONGIUNTURA

ECONOMICA NEGATIVA fu la lotta all’imperante disoccupazione e il

ridimensionamento dei conti pubblici: si trattava per la maggior parte

di misure di carattere restrittivo che potessero rallentare l’inflazione

attraverso misure di contenimento del costo del lavoro e della crescita

della spesa pubblica in generale.

E’ importante capire attraverso quali strategie i Governi europei

abbiano agito contro l’AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA:

1) RIDUZIONE dei TRASFERIMENTI MONETARI per il sostegno del

reddito dei lavoratori;

2) STRUMENTI DI SOSTEGNO SOCIALE AI PROCESSI PER LA

RISTRUTTURAZIONE INDUSTRIALE i quali sono principalmente i

CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ (ossia la riduzione dell’orario di

lavoro in modo che tutti possano lavorare, evitando licenziamenti di

massa, in Francia e in Italia) e il PREPENSIONAMENTO (ossia

favorire il turn-over generazionale consentendo ai lavoratori che

hanno raggiunto una certa età di andare prima del tempo in pensione,

in Germania, Francia, Spagna. In Italia sono regolamentati dalla

legge 155 del 1981).

E’ importante, inoltre, capire come i Governi europei abbiano reagito alle

TRASFORMAZIONI DEL MERCATO DEL LAVORO. Le due strategie

essenziali sono state la DEREGOLAMENTAZIONE delle condizioni di

INGRESSO e di USCITA dal mondo del lavoro. Rispetto all’USCITA

dal mondo del lavoro abbiamo un allentamento dei vincoli per licenziare i

lavoratori. Rispetto all’ENTRATA o meglio all’ingresso nel mondo del

lavoro vengono favoriti i rapporti di lavoro cosiddetti ATIPICI (che si

discostano cioè dai contratti tipici full-time e a tempo indeterminato).

Un’ultima risposta, posta in essere dai Governi europei per

fronteggiare la trasformazione del mercato del lavoro, è quello della

QUALIFICAZIONE/RIQUALIFICAZIONE DELLE RISORSE UMANE

(formazione, tirocini etc. che bene si collegano al concetto di

WORKFARE per cui lo stato sociale vuole aiutare il soggetto a rimanere

attivo e competitivo nel mondo del lavoro utilizzando gli aiuti e i sussidi

delle politiche attive del lavoro e non quelle assistenziali).

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FLESSIBILITA’

Da un pdv economico il dibattito sulla flessibilità è iniziato, lanciato dall’OCSE, agli inizi anni

’80 quando il modello fordista inizia a perde terreno (si ritiene che con la flessibilità – si è

detto sopra - si combattono disoccupazione e inflazione, le rigidità strutturali dei sistemi

occupazionali). I sociologi si occupano di flessibilità solo dalla fine degli anni ’80 partendo dalle

forme particolare o atipiche dell’occupazione (soprattutto quelle che riguardano le donne).

In Italia il sociologo Luciano Gallino esprime interessantissimi pensieri

riguardo al fenomeno della flessibilità, anche in modo critico: il lavoro

atipico richiede alla persona di adattare ripetutamente l’organizzazione

della propria esistenza (nella settimana, nel mese, nell’anno, per tutta la

vita) alle esigenze produttive. Queste sono le caratteristiche che

sottolineano l’aspetto preoccupante del fenomeno.

Altri autori (per rendere l’idea) chiamano i lavoratori atipici i

SALARIATI DELLA PRECARIETA’.

Ora vediamo quali sono gli effettivi oneri che si pagano in nome della

flessibilità:

- Mancata previsione per il futuro non solo professionale ma anche

esistenziale e famigliare.

- Impossibilità di fare carriera e di accumulare esperienza

professionale.

- Distruzione dell’identità lavorativa personale con conseguente

destrutturazione degli aspetti spaziali e relazionali del lavoro e della

persona.

Gli studiosi parlano di FLESSIBILITA’ QUANTITATIVA e di

FLESSIBILITA’ QUALITATIVA.

La flessibilità quantitativa consiste nella possibilità per le imprese di

adeguare il numero dei dipendenti al proprio ciclo produttivo, nel quadro

di un diritto al lavoro regolamentato.

La flessibilità qualitativa, invece, prevede la modulazione – da parte

dell’azienda - di vari parametri della situazione in cui i dipendenti prestano la loro

opera:

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� l’articolazione differenziata dei salari ancorati ai meriti individuali o

alla produttività di reparto o di impresa;

� la modificazione degli orari di lavoro (da poche ore giornaliere, al

part-time orizzontale o verticale, a turni, a rotazione e così via );

� le variazioni delle condizioni di lavoro, dal posto e dai mezzi di produzione (macchina

utensile, sportello, computer, ecc.), ai trasferimenti tra reparti o sedi, alla

delocalizzazione del lavoro (telelavoro).

CONTRATTI ATIPICI.

Alcuni dei quali sono:

FORMAZIONE e LAVORO: esso è un contratto di lavoro subordinato,

già introdotto alla fine degli anni 70 e poi modificato, stipulato a tempo

determinato ed è previsto per persone tra i 16-32 anni. Dal 2004

questo tipo di contratto vale solo più per le pubbliche amministrazioni .

Per i privati ora si parla di CONTRATTO DI INSERIMENTO (legge

30/2003 legge Biagi).

CONTRATTO DI LAVORO RIPARTITO (L. 30/2003) che prevede una

unica prestazione lavorativa spalmata su più lavoratori, fermo restando

che ciascun lavoratore è responsabile dell’intera prestazione lavorativa.

CONTRATTO A TEMPO PARZIALE/PART TIME (d.Lgs 61/200O).

CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO (d.Lgs 368/2001).

LAVORO INTERINALE o in “AFFITTO”: è stato introdotto in Italia

nel 1997 con la legge 196 conosciuta come legge del PACCHETTO TREU

(dal ministro che l’ha redatta). In questo caso abbiamo una IMPRESA

DI FORNITURA di lavoro temporaneo, che assume uno o più lavoratori

e li mette a disposizione di un ‘altra impresa ( che appunto si chiama

IMPRESA UTILIZZATRICE ) per le sue esigenze di produzione che

solitamente sono temporanee. Tale contratto di lavoro atipico con la

legge 30/2003 (legge Biagi) prende il nome di contratto di

SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO SUBORDINATO.

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LAVORO PARA-SUBORDINATO, avviato con la RIFORMA DINI del 1995, è la

forma più diffusa, riguarda i collaboratori e i consulenti, per i quali è stato costituito un

apposito fondo previdenziale INPS. I contratti noti come CO.CO.CO (collaborazione

coordinata e continuativa) con la L. 30/2003 (legge Biagi) sono sostituiti dai contratti di

lavoro a progetto (CO.CO.PRO.) Altra forma diffusa tra le forme parasubordinate è la

prestazione di lavoro occasionale.

SOCIO-LAVORATORE DELLE COOPERATIVE

LAVORO INTERMITTENTE O A CHIAMATA

APPRENDISTATO.

Il lavoro atipico è legato spesso alle forme di povertà (una retribuzione

si dice povera quando è al di sotto dei 2/3 del valore mediano dei

redditi da lavoro dipendente a tempo pieno).

In Italia nel 2001-2002 le posizioni lavorative atipiche erano quasi

SETTE MILIONI, pari al 32% sugli occupati regolari assunti con

contratti tipici.

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Incrociando, in una tabella di contingenza, la variabile “garanzie di

welfare” con la variabile “inserimento nel lavoro”, si possono ottenere –

come si può vedere nel testo di Dario Rei (Sociologia e Welfare, p. 165)

- delle tipologie relative a nuove figure sociali di lavoratori a tutela

ridotta.

Inserimento

lavorativo

FORTE

Inserimento

lavorativo

DEBOLE

Inserimento

lavorativo

ASSENTE

Garanzie di

Welfare

FORTI

INTEGRATI FLESSICURI ASSISTITI

Garanzie di

Welfare

DEBOLI

ATIPICI VULNERABILI MARGINALI

Garanzie di

Welfare

ASSENTI

AUTARCHICI* PRECARI DISAFFILIATI*

*Il concetto di disaffiliazione (esclusione totale, nessun legame con la comunità né diritti

di cittadinanza) è mutuato dall’insigne sociologo francese Castel.

*al soggetto autarchico non interessa se il welfare pubblico è assente

poiché gode comunque di un “forte” inserimento lavorativo che gli consente di farsi un welfare privato.

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