Le pittrici del Medioevo -...

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1 Le pittrici del Medioevo Per quanto riguarda la condizione delle donne nel Medioevo, alcune studiose, come Régine Pernoud e Sue Niebrzydowski, sostengono che le donne vivessero in condizione di assoluta parità con gli uomini: tante le regine che governarono con lo stesso potere dei re, tante anche le potenti nobildonne, e tante le badesse che amministravano territori, al pari dei loro colleghi maschi. Altri studiosi replicano che queste sono eccezioni, che si riferiscono a donne abbienti, a fronte di milioni di donne che vivevano invece umiliate ed oppresse. In generale si può affermare che le donne medioevali avevano una vita più lunga dei loro mariti, talvolta occupavano incarichi di responsabilità, sapevano come difendere i propri diritti; poi l’emarginazione cominciò con l’Umanesimo, che indicava a modello la società greca e romana, dove notoriamente le donne avevano un ruolo del tutto marginale. Anche la Riforma protestante contribuì al declino femminile. È certo che le donne nel Medioevo potevano sentirsi completamente libere, quando intraprendevano la vita monacale. Nel chiuso dei conventi, dove le famiglie aristocratiche usavano mandare le figlie, era possibile ricevere anche una adeguata preparazione culturale. Dai laboratori monastici sono usciti paramenti, stole, stendardi, arazzi, codici miniati. Nella chiesa di Sant Feliu di Girona si conserva una stola magnificamente tessuta e ricamata, conosciuta come “la stola di San Narciso”, sulla quale appaiono delle parole che identificano Maria come l’autrice del lavoro, probabilmente una badessa del convento di Girona, vissuta alla fine del X secolo. Il lavoro della monaca artista è di grande bellezza: a una delle estremità c’è san Lorenzo, nell’altra il battesimo di Cristo, e in mezzo l’immagine della Madre di Dio con il vestito dorato e il lemma “Santa Maria ora pro nobis”. Narciso è stato vescovo di Girona, ucciso nel 307 circa, durante una funzione, insieme al suo diacono San Felix. Figura 1 Stola di S. Narciso: una delle estremità e parte centrale Anche Elisava firmò la sua opera, il cosiddetto stendardo di San Ottone (XII sec.), che, proveniente dalla Cattedrale di Urgell, si conserva presso il Museo dell’abbigliamento di Barcellona. Qualche storico dell’arte considera Elisava una committente dell’opera, ma l’ affermazione “Elisava me fecit” è più probabile che alluda a chi ha veramente realizzato l’opera. Lo stendardo ricamato, in toni rossicci e dorati, è incentrato

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Le pittrici del Medioevo

Per quanto riguarda la condizione delle donne nel Medioevo, alcune studiose, come Régine Pernoud e Sue

Niebrzydowski, sostengono che le donne vivessero in condizione di assoluta parità con gli uomini: tante le

regine che governarono con lo stesso potere dei re, tante anche le potenti nobildonne, e tante le badesse

che amministravano territori, al pari dei loro colleghi maschi. Altri studiosi replicano che queste sono

eccezioni, che si riferiscono a donne abbienti, a fronte di milioni di donne che vivevano invece umiliate ed

oppresse. In generale si può affermare che le donne medioevali avevano una vita più lunga dei loro mariti,

talvolta occupavano incarichi di responsabilità, sapevano come difendere i propri diritti; poi

l’emarginazione cominciò con l’Umanesimo, che indicava a modello la società greca e romana, dove

notoriamente le donne avevano un ruolo del tutto marginale. Anche la Riforma protestante contribuì al

declino femminile.

È certo che le donne nel Medioevo potevano sentirsi completamente libere, quando intraprendevano la

vita monacale. Nel chiuso dei conventi, dove le famiglie aristocratiche usavano mandare le figlie, era

possibile ricevere anche una adeguata preparazione culturale. Dai laboratori monastici sono usciti

paramenti, stole, stendardi, arazzi, codici miniati.

Nella chiesa di Sant Feliu di Girona si conserva una stola magnificamente tessuta e ricamata, conosciuta

come “la stola di San Narciso”, sulla quale appaiono delle parole che identificano Maria come l’autrice del

lavoro, probabilmente una badessa del convento di Girona, vissuta alla fine del X secolo. Il lavoro della

monaca artista è di grande bellezza: a una delle estremità c’è san Lorenzo, nell’altra il battesimo di Cristo, e

in mezzo l’immagine della Madre di Dio con il vestito dorato e il lemma “Santa Maria ora pro nobis”.

Narciso è stato vescovo di Girona, ucciso nel 307 circa, durante una funzione, insieme al suo diacono San

Felix.

Figura 1 Stola di S. Narciso: una delle estremità e parte centrale

Anche Elisava firmò la sua opera, il cosiddetto stendardo di San Ottone (XII sec.), che, proveniente dalla

Cattedrale di Urgell, si conserva presso il Museo dell’abbigliamento di Barcellona. Qualche storico dell’arte

considera Elisava una committente dell’opera, ma l’ affermazione “Elisava me fecit” è più probabile che

alluda a chi ha veramente realizzato l’opera. Lo stendardo ricamato, in toni rossicci e dorati, è incentrato

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sulla figura del Salvatore dentro la mandorla mistica avvolta nei simboli degli evangelisti e ornata da un

bordo di motivi vegetali. Dallo stendardo pendono tre strisce ricamate con figure di donne oranti od

offerenti.

Figura 2 Stendardo di San Ottone

Un autentico capolavoro è l’Arazzo di Bayeux, che racconta lo sbarco in Inghilterra di Guglielmo il

Conquistatore, realizzato, secondo la tradizione, nel 1066/1077, dalla moglie, la regina Matilde

d’Inghilterra. É un tessuto ricamato, non un vero e proprio arazzo, composto da nove pezze di lino per una

lunghezza di oltre 68 mt. e una larghezza di circa 30 cm. realizzato su ordinazione di Odone, vescovo di

Bayeux, fratellastro del duca-re Guglielmo il Conquistatore, in una bottega inglese, probabilmente a

Canterbury. L’«arazzo» è un documento quasi unico nel suo genere, oltre ad essere una ricca fonte storica

che ci documenta armamenti, flotte, metodi di combattimento, o aspetti di vita civile, scene di banchetti,

sepolture, caccia col falcone: contiene più di 600 figure e più di 700 animali. Nessuna opera paragonabile a

questa è sopravvissuta nel corso dei secoli; è l’antenato dei moderni fumetti, a cui si accosta per il suo

carattere di riduzione e semplificazione.

Negli scriptoria delle abbazie le suore colte e dotate di capacità grafiche e pittoriche, oltre che di notevole

fantasia, si dedicavano all’arte della calligrafia, della decorazione, e ci hanno lasciato preziosi manoscritti

miniati a testimonianza della loro creatività.

Figura 3 Arazzo di Bayeux

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Tra l’VIII e il IX secolo il convento femminile di Chelles, retto dalla sorella di Carlo Magno, Gisella (757/

Chelles, 810), produsse 13 volumi di manoscritti miniati, tra cui uno firmato da amanuensi donne. Gisella,

come badessa di Chelles, supervisionava uno dei più

importanti e prolifici scriptoria di suore del tempo.

Della trentina di manoscritti miniati del Commentario

all'Apocalisse redatto da Beatus nell'abbazia di San Toribio de

Liébana tra il 776 e il 786, ventidue sono miniati. Uno dei

miniatori, Emétérius, fu coadiuvato per la realizzazione del

Beatus oggi conservato nella Cattedrale di Gerona, in Spagna,

da una monaca, Ende, una delle più antiche donne pittrici

identificabili nella storia dell'arte occidentale. È espressione

dell’arte mozarabica, nata dall’incontro nella penisola iberica

della tradizione cristiana e di quella musulmana.

Da sottolineare la bellezza dei disegni e dei colori, così come la

forza espressiva delle immagini. La mano di Ende è

riconoscibile nelle sue immagini fantastiche di draghi, angeli,

demoni e santi.

La nobile Predslava (Polozk, Bielorussia, 1104 - Gerusalemme 1167), avendo rifiutato il matrimonio con un

principe di Kiev, prese i voti con il nome di Eufrosinija, fondò il monastero femminile di San Salvatore e

costruì una chiesa in località Sel’zo, dotandolo di uno scriptorium e di una scuola, dove alle giovani donne

raccolte attorno a lei insegnava a leggere e a scrivere, artigianato, canto e ricamo. Costruì poi una seconda

chiesa e fondò un secondo monastero, maschile, dedicandolo alla Madre di Dio. Vennero creati nei suoi

scriptoria veri tesori dell’arte religiosa dell’antica Russia, in particolare codici miniati, quali il Vangelo

Pogodinskoje. Si dipingevano icone nei laboratori di pittura e si

facevano le coperture in argento delle icone. Eufrosinija stessa era

impegnata nello scriptorium, nella traduzione dei testi dal greco e

dal latino nella propria lingua madre. Il monastero per lei non era

un luogo di ascesi, chiuso, isolato dal contesto, separato dalla

società, ma al contrario, contribuiva attraverso il lavoro manuale e

intellettuale a garantire relazioni di prosperità. All’età di 63 anni da

badessa si trasforma in pellegrina: si mise in cammino per

Gerusalemme, avrebbe voluto bagnarsi nelle acque del Giordano,

ma, arrivata, vi morì forse per le fatiche del viaggio.

Ildegarda di Bingen (Bermersheim vor der Höhe, 1098 – Bingen am Rhein, 1179) oltre ad avere lasciato

importanti opere che toccano tematiche teologiche e filosofiche, naturalistiche e mediche, tradusse in

miniature le sue visioni mistiche. Fu la prima donna musicista della storia cristiana, scienziata e poetessa,

donna di potere, badessa nel monastero femminile Benedettino di Bingen, da lei stessa fondato, concepiva

la vita monacale come una vita di predicazione aperta verso l’esterno. Le monache della sua comunità

vivevano con gioia e armonia; erano sempre intente a leggere, a cantare, a tessere, a scrivere.

Figura 5 Eufrosinija, part. affresco, chiesa di S. Salvatore - Polozk

Figura 4 - Beatus di Gerona

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Ildegarda scrisse “Liber divinorum operum”, e “Latin scito vias Domini” (Scivias- Conoscere le vie del

Signore) e realizzò delle miniature per illustrare le proprie visioni

mistiche. Ormai anziana, ma piena di energie, compì quattro grandi

viaggi di predicazione nelle principali città dell'Europa centrale. Nelle

sue opere le immagini, frutto della fantasia, sono utilizzate come un

potente strumento per comunicare soprattutto significati simbolici.

Le sue miniature descrivono l'uomo, il mondo, la viriditas, l'armonia

musicale. Microcosmo e macrocosmo, uomo e mondo, sono animati

dalla stessa forza vitale, la viriditas, lo spirito che dà vita. L 'uomo

«splendore di bellezza e di luce» è rappresentato come il nucleo

centrale di un cosmo a cerchi concentrici, abbracciati da Dio uno e

trino (rappresentato spesso nelle sue immagini come un cerchio di

fiamme). Uomo e universo sono composti allo stesso modo: aria,

acqua, fuoco e terra; nell'uomo la testa corrisponde a sole, luna e

stelle, il petto ai venti, l'addome alle acque e le gambe e i piedi alla

terra. Simphonia è un concetto chiave nell'universo spirituale di

Ildegarda, è l’armonia dei suoni creati dalle voci e dagli strumenti, ma anche l'armonia celeste e l'armonia

intima dell'uomo.

Di Herrade di Landsberg (1130-1195), badessa dell’abbazia di Hohenburg, in Alsazia, sappiamo assai poco. È

stata la prima donna a scrivere un’enciclopedia, l’“Hortus Deliciarum”(Il giardino delle delizie), tra il 1175

ed il 1185, quasi contemporaneamente agli anni in cui nel monastero di Rupertsberg veniva redatto il

grande manoscritto miniato del Liber Scivias di Ildegarda di Bingen. Di lei però esiste un ritratto, l’ultima

miniatura del suo manoscritto che consiste in una raccolta di testi tratti dalla Bibbia, dai Padri, dagli scrittori

medievali (e anche da autori latini profani) relativi alle varie discipline sacre e profane, con larga

utilizzazione dell'interpretazione allegorica, e inseriti in una prospettiva storica, che ha al suo centro la vita

di Cristo. L’opera è ampiamente illustrata da miniature non solo esornative, ma chiaramente esplicative di

un piano didattico: quasi sicuramente il libro veniva utilizzato per l’insegnamento, soprattutto nella cultura

monastica. Herrade vi aggiunse poesie che lei stessa compose in

esaltazione del Redentore, accompagnandole a note musicali.

Il prezioso manoscritto dell'Hortus, ricco di centinaia di illustrazioni, di

mano della stessa Herrade (anche se alcuni studiosi hanno ritenuto il

codice copia degli inizi del XIII sec.), fu distrutto nell'incendio della

biblioteca di Strasburgo (24-25 agosto 1870) durante la guerra franco-

prussiana; il testo è stato poi ricostruito e pubblicato in base a precise

copie fatte in precedenza.

Figura 7 Ritratto di Herrade sul muro del convento di Mont Sainte Odile

Figura 6 dal Liber Divinorum operum

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Tra le figure laiche, anche se le notizie sono poche e incerte, troviamo Bourgot le Noir, figlia di Jean le Noir,

noto miniaturista francese. Da documenti a noi pervenuti emerge con chiarezza che Bourgot lavorava nel

laboratorio del padre. Non conosciamo la data di nascita di Bourgot, ma sappiamo che è stata attiva a

Parigi tra il 1350 e il 1380. Tra le opere eseguite da figlia e padre, abbiamo il Salterio e Libro d'Ore di Bonne

di Lussemburgo, duchessa di Normandia. Miniato a Parigi, questo manoscritto è stato fatto per Bonne del

Lussemburgo, una principessa boema che sposò Giovanni, duca di Normandia e poi re di Francia, noto

come Giovanni il Buono, intorno alla metà del secolo, e comunque prima della morte di Bonne avvenuta

per peste nel 1349.

È stato attribuito a Jean le Noir e/o a Bourgot, sua figlia, anche il Libro de Horas de Yolanda de Flande. E'

certo che padre e figlia lavorassero assieme, ma è impossibile stabilire differenze stilistiche tra l'uno e

l'altra. Jean Le Noir seguiva lo stile di Jean Pucelle. Fu al servizio di Yolande delle Fiandre, di Carlo V, e di

Jean de Berry. Poi insieme a sua figlia Bourgot entrò al servizio del re Giovanni il Buono e del figlio.

Figura 8- dall’Hortus deliciarum - L'Inferno Figura 9 – dall’Hortus deliciarum -La ruota della vita

Figura 10- Salterio di Bonne di Lussemburgo

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Figura 11 Las Horas de Yolanda de Flandes

Anna Commena (1083 – 1153), primogenita dell'imperatore bizantino Alessio I

Comneno, fu accuratamente allevata nello studio della poesia, delle scienze e

della filosofia greca. Di carattere ambizioso, sperò di succedere al padre sul

trono o almeno che il padre, prossimo alla morte, garantisse la successione al

marito, e con la madre ordì una congiura per abbattere il fratello Giovanni, ma,

scoperta, fu esiliata in un convento, dove passò il resto della sua vita. Lo stesso

marito si rifiutò di sostenerla nel suo progetto. In questa occasione, Anna

esclamò «La Natura ha sbagliato i nostri sessi: avrebbe dovuto essere lui la

donna». Anna impiegò tutto il proprio tempo libero nella stesura

dell'Alessiade, una lunga cronaca della vita e del regno di suo padre Alessio.

Inoltre, contribuì alla lavorazione dei testi storici di suo marito, anch'egli

appassionato narratore delle vicende del proprio tempo. Fiera oppositrice

della Chiesa latina, era ammiratrice entusiasta dell'Impero bizantino. In

generale, la cronologia degli avvenimenti da lei narrati risulta fedele e

attendibile, soprattutto se datati prima del suo internamento in convento, ma

diventa particolarmente imprecisa per i periodi successivi, data la sua evidente impossibilità ad attingere

direttamente alle fonti di Palazzo.

Le notizie su Anastaise derivano da Christine de Pisan, scrittrice francese vissuta tra il Trecento e il

Quattrocento, che le dedicò un’ampia citazione nel suo libro “Cité des Dames”, dove la descrisse come

un’insigne illustratrice che superava in talento molti miniaturisti parigini del tempo. Purtroppo non ci è

pervenuta alcuna opera attribuibile ad Anastaise con plausibile certezza.

Figura 12 Alessio I Commeno

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Di Diemoth o Diemodus (1060-1130) nell'Abbazia di Wessobrunn, Alta Baviera, sappiamo che si rinchiuse per molto tempo in una cella a ricopiare ben 45 volumi.

Guda (XII sec.), monaca miniaturista, si è ritratta all'interno di una lettera: la D con l'apposizione della firma: '”Guda peccatrice scrisse e dipinse questo libro”.

Claricia (XII sec.), pur non essendo monaca, ricopiò nel convento scriptorium di Bavaria il Libro dei Salmi di Augsburg, ritraendo anche lei se stessa nella coda della Q , iniziale della parola Quid.

Teresa Díez è la prima pittrice della storia dell’arte spagnola; affrescò i muri del Real Monasterio de Santa

Clara de Toro (Zamora) tra il 1310 e il 1320. Un ciclo di affreschi riguarda episodi della vita di santa

Caterina d’Alessandria, e sottolinea il ruolo di questa donna rispetto al potere patriarcale, il suo sapere, la

mediazione femminile. La narrazione si sussegue in riquadri -come se fossero vignette di un fumetto-

illustrate da didascalie, destinate alle monache che avrebbero letto quei dipinti e avrebbero pregato come

pregavano con un libro di devozioni. Teresa Díez usa un linguaggio che invita alla vita, pieno di poesia, di

luce; il tratto è sicuro ma allo stesso tempo spontaneo, il disegno lineare argina i colori. Oltre al ciclo di S.

Caterina, un altro ciclo fa riferimento a S. Giovanni Battista in dieci scene con testi; un terzo murale,

mutilato, presenta immagini di san Cristoforo, e altre sante, oltre a episodi della vita di Cristo.

Figura 13 - Miniatura di Guda Figura 14 - Miniatura di Claricia

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I dipinti di Teresa Díez cronologicamente corrispondono ad una fase di gotico che non conosce ancora la

prospettiva, le figure si muovono su due dimensioni, non c’è resa dello spazio, ma c’è attenzione alla vita

quotidiana e alla realtà storica del momento. La pittrice dedica molta attenzione alle donne. Per uno dei

suoi cicli ha scelto la figura di S. Caterina, una donna saggia che fin dall’infanzia si è dedicata allo studio

delle arti liberali, ed è infatti la santa patrona di tutti, uomini e donne, impegnati nella filosofia. Gli affreschi

di questa pittrice furono scoperti nel 1955 in occasione del restauro del Monastero Reale delle Clarisse di

Toro; nel 1962 furono passati su tela e oggi si possono ammirare nella chiesa di San Sebastian de los

Caballeros de Toro (Zamora). La sua opera porta la firma: “ TERESA FECIT ME" (Teresa mi ha fatto), anche se

alcuni storici dell'arte insistono nel dire che Teresa Diez non era l’artista, ma la committente. Considerando

che Teresa Diez probabilmente proveniva da una famiglia benestante, è molto probabile che lei

effettivamente avesse anche pagato il lavoro che faceva. La tecnica è quella del “fresco secco”, che

consiste nel far asciugare completamente l’intonaco, e poi di strofinarlo e bagnarlo con acqua di calce

prima della coloritura.

Alla pittrice sono attribuiti anche gli affreschi della facciata della chiesa di Hiniesta (Zamora), della

Collegiata e della Chiesa di S. Pedro a Toro, e di S. Maria de la Nueva a Zamora.

Figura 15 - Teresa Díez - S. Caterina

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Figura 16 - Epifania, nella chiesa di S. Maria a Zamora

Christine de Pizan ((Venezia, 1365 – Monastero di Poissy, 1430 circa) è la più nota fra le scrittrici laiche del

tardo Medioevo. Nata in Italia, da padre originario di Pizzano, un comune sull’Appennino Bolognese, visse

fin da bambina in Francia, dove il padre, nominato astrologo alla corte di Carlo V, si trasferì con la famiglia,

per cui è più famosa con il suo nome francese. Vissuta quindi in un ambiente di corte, poté ricevere una

approfondita educazione letteraria. Rimasta vedova, senza la protezione del padre e del re, entrambi morti,

col suo lavoro riuscì a mantenere la numerosa famiglia. Alla guida di una rinomata bottega di scrittura,

favorita da una faciltà di scrittura, compose numerose opere poetiche e filosofiche, riscuotendo grande

successo e procurandosi i favori e la protezione di illustri personaggi gravitanti nell’ambiente di corte. Lei

stessa appare al lavoro in numerose miniature mentre scrive e compone.

La sua opera più nota è un libretto intitolato “Livre de la Cité des Dames”, La Città delle Dame, scritto in

pochi mesi tra il 1404 e il 1405, per il quale, battendosi contro la misoginia, è considerata un'antesignana

del femminismo; Christine denuncia, in polemica contro tanti scrittori, Boccaccio in testa col suo” De

mulieribus claris”, tutti gli stereotipi riguardanti le donne: la debolezza fisica, l’inclinazione alla seduzione e

al peccato, la scarsa capacità di comprendere. E accusa Dio per essere nata donna, denunciando con

lucidità e ironia il ruolo ingiustamente subordinato entro cui vivevano le donne:

«Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo

servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…»

Christine spiega con un sogno la nuova consapevolezza che ha di sé e del suo ruolo dopo essere rimasta

vedova. Si trova su una nave in mezzo ad una tempesta, il nocchiero (il marito) è sparito e lei è sola con i

suoi bambini, e disperata vorrebbe affogarsi. Giunge però la Fortuna, come una buona fata che comincia a

toccarla e la trasforma in un uomo. Christine così trasformata, col corpo più forte e animo più ardito,

comincia ad aggiustare la nave con chiodi e martello. Si sente alla pari con un uomo, pur rimanendo donna.

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Nella città ideale, costruita secondo le indicazioni di Ragione, Rettitudine e Giustizia, l’autrice racchiude

sante, eroine, poetesse, scienziate, regine ecc. che offrono un esempio dell'enorme potenziale che le donne

possono offrire alla società. L’inferiorità della donna è di tipo culturale, non naturale, isolata com’è tra le

mura domestiche e impossibilitata ad accedere all’istruzione.

Caterina de' Vigri, o da Bologna (Bologna,1413 – 1463), educata alla corte estense, presso cui il padre era

dottore in legge, ricevette una buona educazione in musica, pittura, danza e divenne esperta nella

copiatura e nella miniatura. Lasciò poi la corte per unirsi a un gruppo di giovani di famiglie gentilizie che

facevano vita in comune, e seguivano la spiritualità agostiniana. Nel 1432 entrò nelle Clarisse, e a Bologna

fondò il monastero del Corpus Domini, di cui fu badessa fino alla morte. Venerata già in vita, ancora oggi il

suo corpo si conserva intatto ed è esposto in una cappella del monastero. E’ stata canonizzata nel 1712, e

c’è chi giura che i suoi capelli e le sue unghie continuano a crescere, e che si alza e si muove, emettendo

strani suoni.

Tra i suoi scritti, quello più noto è un trattato dal titolo “ Le sette armi spirituali”, dove, rivolgendosi

esplicitamente alle consorelle, intende presentare la sua esperienza spirituale perché serva loro di esempio.

Nelle battaglie che l’anima deve affrontare ci si deve armare di sette armi: "diligenzia" "propria

diffidenzia", "in Dio confidarse", "memoria Passionis", "memoria mortis propriae", "memoria gloriae Dei",

"autorità della Santa Scrittura”. Le virtù che all'autrice appaiono come le più importanti sono l'amore del

prossimo e l'umiltà. L'esercizio di queste virtù permetterà alle consorelle di non giungere a mani vuote e

confuse davanti al loro sposo celeste.

L’opera ebbe una larga diffusione: le monache ne trascrissero numerose copie dall'originale autografo della

consorella, una ventina furono le edizioni a stampa, dalla prima,e numerose le traduzioni.

Figura 18 - Christine offre il suo libro alla regina di Francia

Figura 17 - Christine tiene una lezione

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Altri scritti sono comunemente attribuiti a Caterina, tra cui un Breviario in gran parte autografo, e

contenente pregevoli miniature di mano dell'autrice.

Fu artista raffinata ed elegante, ma la sua fama di artista fu oscurata dall’aurea di santità che l’ha avvolta

anche in vita. Oltre a miniare i propri scritti ed altri codici, Caterina de’ Vigri fu attenta e sensibili interprete

di dipinti a soggetto religioso: alcune sue opere sono custodite nel Santuario del Monastero del Corpus

Domini di Bologna; un dipinto che ritrae Sant’Orsola con le sue compagne e Santa Caterina inginocchiata

davanti a loro si trova nella Pinacoteca nazionale di Venezia. Sono opere realizzate per devozione personale

e si ispirano ai valori della semplicità e povertà, propri delle Clarisse.

Figura 19 - Caterina de' Vigri - Madonna con Bambino