Le perdite dell'esercito italiano nella Prima guerra mondiale

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1 Le perdite dell’esercito italiano nella Prima guerra mondiale Alessio Fornasin maggio 2014 rev. dicembre 2014 n. 1 / 2014 Statistica Economica, Sociale e Demografia

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Le perdite dell’esercito italiano nella Prima guerra mondiale

Alessio Fornasin

maggio 2014 rev. dicembre 2014

n. 1 / 2014

Statistica Economica, Sociale e Demografia

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Alessio Fornasin

Le perdite dell’esercito italiano nella Prima guerra mondiale

1. Introduzione

Dopo quasi cento anni, molti aspetti della Grande guerra sono ancora poco conosciuti. Anche

risultati che sembrano essere consolidati, a cominciare dal numero delle vittime del conflitto, a ben

guardare presentano non pochi aspetti oscuri. Questa situazione è ancora più sorprendente se

pensiamo che, specie per l’Italia, la mole delle informazioni relative al primo conflitto mondiale è

notevolissima, e la loro qualità eccellente. Nel primo dopoguerra, infatti, e in particolare nei primi

anni del ventennio fascista, vennero profuse ingenti risorse finanziarie per raccogliere ed

organizzare una grande varietà di dati e notizie relative alla guerra. Il conflitto vittorioso, infatti,

doveva essere usato dalla propaganda di regime per esaltare la forza dell’esercito italiano e

l’eroismo dei suoi soldati.

La determinazione del numero dei soldati caduti, delle perdite subite dalla popolazione civile e

delle loro principali caratteristiche demografiche sono stati affrontati da diversi autori. Gli studiosi

italiani furono in prima linea in questo campo di ricerca, ma anche in altri paesi europei, sebbene

non con la stessa intensità, il tema conobbe un certo interesse (per la Germania, ad esempio, si veda

Roesle, 1925; per la Francia e le sue colonie, Huber, 1931; per il l’Impero Britannico, War Office,

1922; per la Russia, Kohn, 1973; in generale Dumas and Vedel-Petersen 1923; Hersch 1927; ).

Qualche anno dopo la fine del conflitto, però, questo interesse venne meno e le ricerche

sull’argomento cessarono quasi del tutto, anche se le cicatrici demografiche determinate dalla

guerra sono state evidenti fino a pochi anni fa nella struttura delle popolazioni europee.

In tempi più recenti l’attenzione dei demografi e degli storici si è riaccesa e, specie tra i primi, è

stata guidata dall’esigenza di valutare le conseguenze di lungo termine della guerra e di proporre

sempre più esatte misure della mortalità in ottica generazionale. Gli studi, quindi, si sono sempre

più focalizzati sulle conseguenze delle guerra sul complesso della popolazione, sebbene, come è

ovvio, la mortalità dei soldati assume anche in questa prospettiva un ruolo centrale.

L’articolo che ha dato inizio a questa rivisitazione in chiave demografica della Grande guerra è

dovuto a Jay M. Winter (1976). Nel suo lavoro, l’autore rilevava come gli anni 1914-18

rappresentassero «the dark ages» della demografia storica britannica. Sulla scorta della bibliografia

esistente, utilizzando informazioni di provenienza militare e raccolte di biografie, Winter ha prima

esplorato il complesso tema della determinazione del numero di vittime britanniche del conflitto e

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poi quello che definì il “mistero” della struttura per età delle perdite di guerra. A questo primo

contribuito ne seguì presto un altro, dedicato alle conseguenze della guerra sulla salute della

popolazione (Winter, 1977a) e quello in cui fu ripreso il fortunato riferimento alla «Lost generation»

(Winter, 1977b). Per gli altri paesi non esistono a quel che ne so lavori incentrati su questo

argomento, benché esso venga trattato nell’ambito di opere relative a tematiche più generali (per

l’Italia, ad esempio, si veda Pozzi, 2002; per la Francia Vallin, 1973; più in generale Urlanis 1971;

Becker, 1999).

Naturalmente la Prima guerra mondiale non rappresenta che uno degli esempi sui quali si sono

esercitati storici e demografi per il computo dei decessi sia dei militari che dei civili. Il tema è molto

complesso e il numero delle vittime può essere determinato solo approssimativamente (Rochat,

1995; Faron, 2002). Un metodo indiretto per stimare il numero dei caduti è quello, ben noto ai

demografi, di operare confronti tra i censimenti precedenti e successivi al conflitto. Tale metodo, ad

esempio, è stato adottato per valutare i soldati morti nel corso della guerra civile americana (Hacker,

2011). Questo approccio, però, raggiunge buoni risultati se i dati censuari sono di ottima qualità e se

la popolazione è chiusa, ovvero se nel periodo intercensuario i flussi migratori sono nulli o, almeno,

trascurabili. Purtroppo, nel caso dell’Italia, entrambe queste assunzioni non sono vere, infatti, non

solo la popolazione italiana era interessata sia prima che dopo il conflitto da importanti flussi

migratori, ma anche i censimenti non danno sufficienti garanzie di precisione. In quello del 1921, in

particolare, le cifre sui residenti furono artificiosamente gonfiate in moltissimi comuni, specie

nell’Italia meridionale (Livi Bacci, 1999, p. 19-20).

Con piccole varianti a seconda dei testi, il numero di perdite attribuite all’esercito italiano nel

corso della guerra è di 650.000, meno spesso 600.000. Questo ammontare ricorre con regolarità sia

nella letteratura specializzata che nei manuali scolastici. La cifra ha assunto nel tempo valore di

assoluta attendibilità anche in virtù del suo pressoché universale utilizzo. Non di rado, inoltre, la

stima dei decessi per alcune particolari categorie di soldati o per determinate cause è stata effettuata

sempre considerando l’ammontare di 650.000 morti come valore di riferimento. Non fanno

eccezione i lavori di Glei et al. (2005) e Jdanov et al. (2008) che sono i più recenti articoli di taglio

demografico sull’argomento. Diversi studi, inoltre, già a partire dagli anni Venti del Novecento,

hanno individuato e computato nuove categorie di vittime, non comprese nei conteggi originali, che

quindi, implicitamente o esplicitamente, attribuiscono alla cifra di 650.000 la funzione di limite

inferiore del numero di morti (ad esempio Ilari, 1990). Solo assai di recente sono state avanzati le

prime critiche a questa cifra “ufficiale”, con indicazioni che puntano decisamente “al ribasso” (Del

Negro, 2009)

Le numerose e dettagliate fonti a disposizione lasciano però ampio spazio ad approfondimenti e

rivisitazioni. In questo lavoro, pertanto, sulla scorta di una documentazione molto nota, ma poco

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utilizzata a fini demografici, mi propongo di fornire delle nuove stime sull’entità delle perdite

dell’esercito nella Grande Guerra, sulla struttura per età dei militari caduti, sul calendario dei

decessi e sulle cause di morte. In questa, come in altre ricostruzioni di questo tipo, il limite di fondo

è costituito dall’assenza di numeri reali, sicuri e affidabili. Alcune delle stime a cui faccio ricorso si

basano su ipotesi che, inevitabilmente, possono rivelarsi deboli o addirittura inconsistenti con

l’avanzamento degli studi sul tema.

2. Il problema del numero di caduti dell’esercito italiano.

La questione delle quantificazione delle vittime del conflitto, che già era stata oggetto di alcune

indagini esplorative nel corso della guerra (Savorgnan, 1918), si pose pressoché immediatamente

dopo la sua fine. Le prime notizie al riguardo furono fornite dal Comando Supremo dell’esercito,

sia a scopi informativi (i primi dati comparvero infatti sulla stampa quotidiana), sia, in un secondo

tempo, per la determinazione delle riparazioni di guerra. Le cifre ufficiali furono inizialmente tra

loro difformi, in parte perché i dati di base utilizzati di volta in volta non erano gli stessi, in parte

perché la definizione di caduto in guerra o per sua causa poteva non essere univoca, in parte perché

furono presi in considerazione diversi estremi cronologici.

Alcune fonti inseriscono tra i deceduti per causa di guerra anche quanti erano rimasti vittime di

incidenti e di infortuni. Fra questi erano compresi pure dei civili, sebbene “militarizzati”, come i

marittimi imbarcati su scafi che svolgevano servizio di trasporto truppe, o gli operai impiegati nelle

costruzioni in zona di guerra. Per quanto riguarda gli estremi cronologici, benché sia ben noto che

l’Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915 e che i combattimenti cessarono il il 4 novembre 1918,

bisogna considerare che alcuni soldati caddero prima della dichiarazione di guerra all’Austra-

Ungheria perché avevano partecipato come volontari alle prime fasi della guerra sul fronte

occidentale (Pieri, 1968), e che molti militari morirono dopo l’armistizio, a causa delle ferite

riportate in battaglia o delle privazioni subite in prigionia.

Dopo le informazioni fornite dal Comando supremo dell’esercito, il primo lavoro che si pose

l’obiettivo di determinare il numero dei caduti è dovuto a Giorgio Mortara, il quale dava alle stampe

nel 1925 quello che rimane uno dei capisaldi della demografia italiana sul primo conflitto mondiale,

ovvero La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra (Mortara, 1925). Il lavoro si sofferma

solo in parte sul numero di caduti, in quanto il suo obiettivo era di ricostruire la mortalità generale

della guerra e non tanto e solo il numero dei militari che vi persero la vita. Tuttavia Mortara fa il

quadro del numero dei caduti e offre le prime importanti basi per la ricostruzione della mortalità dei

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militari nel corso del conflitto. L’anno successivo uscì, sotto forma di “bozze di stampa”, I morti

dell'esercito italiano dal 24 maggio 1915 al 31 dicembre 1918 di Corrado Gini, il futuro presidente

dell’ISTAT e uno dei più importanti demografi italiani. In quegli stessi anni furono pubblicati anche

altri lavori che, sebbene di carattere demografico, non erano incentrati sul numero dei caduti, ma su

argomenti affini (ad esempio Gini e Livi, 1924).

L’opera di Gini si inseriva organicamente nell’ambito di un grandioso progetto, edito dal

Ministero della guerra e sostenuto dal regime fascista sulla scorta di forti motivazioni ideologiche,

denominato Statistica dello sforzo militare italiano nella Guerra mondiale. Benché questa

attenzione fosse strumentale alle politiche del regime, la raccolta dei dati e le tecniche utilizzate

nella loro elaborazione erano, per quei tempi, all’avanguardia, così come indiscussa era la

competenza degli studiosi che ad essa si dedicarono.

Il progetto si proponeva di ricostruire in maniera dettagliata l’andamento delle operazioni

militari e il ruolo sostenuto dall’esercito nel corso della guerra. In questo ambito furono redatte

numerose opere sull’esercito e sulle operazioni militari, diverse delle quali nella forma di “bozze di

stampa”. A partire dal 1924 iniziò la pubblicazione di una serie di volumi relativi ai singoli reparti

dell’esercito dove si riportava il loro impiego nel corso della guerra dal 24 maggio 1915, data di

inizio delle ostilità, fino al 4 novembre del 1918, giorno dell’armistizio con l’Austria-Ugheria (Le

grandi unità nella guerra italo-austriaca 1915-18, 1924-1939). Nel 1927 prese avvio la

pubblicazione (ultimata nel 1983) della relazione ufficiale italiana sul conflitto: L’Esercito Italiano

nella Grande Guerra (1915-18) e nello stesso anno comparve La forza dell’esercito, opera

coordinata dal capo dell’ufficio statistico del Ministero della guerra, il colonnello Fulvio Zugaro.

Lo sforzo più grandioso fu però l’istituzione dell’Albo d’oro dei caduti della guerra, un albo

d’onore in cui dovevano essere riportati tutti i nominativi dei militari italiani caduti durante il

conflitto o per cause ad esso direttamente riconducibili. Il primo volume dei 28 che costituiscono

l’intera opera fu pubblicato nel 1926, l’ultimo nel 1964.

Nei progetti iniziali, solo dopo la pubblicazione dell’ultimo di questi volumi, le informazioni

così raccolte sarebbero andate a integrare e rettificare i testi già editi con la dicitura «bozze di

stampa» e solo allora, una volta armonizzati tutti i dati, l’intera opera sarebbe stata pubblicata in

forma ufficiale. Nonostante la consapevolezza che questi primi lavori non potessero essere

considerati pienamente attendibili, vi era comunque completa fiducia sul fatto che i risultati finali

sulle perdite dell’esercito sarebbero stati coerenti con quanto già noto e che quindi le rettifiche

sarebbero state di piccola entità (Zugaro, 1926; 1927, p. XIV). Queste aspettative trovavano valido

sostegno nei dati del Ministero delle finanze che riferivano di circa 652.000 pensioni erogate in

favore di familiari di “morti per diretta e ben accertata causa di guerra” (Zugaro 1926).

I lavori per la realizzazione dell’Albo d’oro procedettero però con lentezza, a causa della

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complessità stessa dell’operazione. Subirono un’interruzione durante il secondo conflitto mondiale

ma furono ripresi dopo la sua fine. L’opera fu completata solo 40 anni dopo il suo avvio, ma gli esiti

numerici risultarono sensibilmente diversi da quelli attesi. La cifra finale, infatti, risultò essere di

“soli” 529.025 caduti, ben lontana, quindi dai 650.000 canonici. I lavori furono completati quando

l’interesse sul tema delle perdite della Grande guerra era ormai venuto meno, e ciò comportò il

mancato utilizzo dei risultati dell’Albo d’oro negli studi successivi. A sfavore dell’opera, poi, giocò

anche il fatto che esistevano pur sempre diverse stime tra loro concordanti sul numero dei caduti

dovute a studiosi di grandissima autorevolezza, alle quali avevano attinto tutti i lavori pubblicati

dagli anni Venti in poi.

La concordanza delle stime dei caduti in guerra che sono proposte nei diversi studi è però più

apparente che reale. Nella tabella 1 sono riassunte le principali di esse comparse nel primo decennio

successivo all’armistizio, confrontate con i risultati dell’Albo d’oro.

Tab. 1. Numero dei militari caduti per causa di guerra secondo diverse stime Fonte Anno pubbl. Fine periodo N. caduti

Comando supremo (Mortara, 1925, p. 27) 1918 11/11/18 460.000

Comando supremo (Mortara, 1925, p. 29) 1921 31/12/20 564.000

Commissione delle Riparazioni di guerra (Mortara, 1925, p. 29) 1921 30/04/20 651.000

Gini e Livi, 1924, p. 51 1924 31/12/18 575.000

Mortara, 1925, p. 30 1925 31/12/20 600.000

Gini, 1926 1926 10/09/25 652.000

Gini, 1926 1926 04/11/18 571.000

Albo d’oro 1926-1964 1926-1964 31/12/20 529.025

La successione delle cifre offre di per sé degli spunti importanti, anche al di là delle differenze,

rilevanti ma non sostanziali, dell’insieme considerato come “caduti in guerra”.

La rilevazione del 1918 è quella che riporta la cifra più bassa di tutte. Il conteggio, come

abbiamo visto, era stato effettuato dal Comando supremo dell’esercito immediatamente dopo la fine

del conflitto. Per ovvie ragioni, in questo dato non potevano essere contemplati i decessi avvenuti

dopo la conclusione della guerra. Mancavano poi numerose informazioni relative alle perdite dei

prigionieri di guerra italiani e, infine, come sarebbe stato rilevato in seguito, parte non irrilevante

delle informazioni che periodicamente i diversi reparti dovevano far confluire al comando.

La cifra successiva, da attribuirsi sempre al Comando supremo tiene conto di queste lacune e le

integra con i dati entrati successivamente in suo possesso. Le nuove informazioni incrementano il

primo conteggio di oltre il 20%.

La terza cifra, quella che solitamente è riportata in letteratura, è quella calcolata all’Ufficio che

era incaricato di determinare l’entità riparazioni di guerra dovute all’Italia dai paesi sconfitti. Il

numero dei morti fu stabilito facendo largo ricorso a stime su supposte sottoregistrazioni, il cui

unico fondamento sono le dichiarazioni della commissione stessa, in particolare quelle riferite ai

decessi successivi alla fine della guerra: 87.000 dal 12 novembre 1918 al 30 aprile 1920 (Mortara,

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1925, p. 29); e quelle dei morti in prigionia da 90 a 100.000 (Mortara, 1925, p. 49).

Non a caso, Giorgio Mortara, sul cui volume sono riportate buona parte delle cifre elencate nella

tabella, seppure con cautela offre una stima dei caduti inferiore di quasi il 10% rispetto a quella

“ufficiale”. Anche Corrado Gini, nel suo lavoro dedicato proprio ai soldati caduti a causa della

guerra, offre dei numeri ancora più bassi. Diciamo che per progressivi aggiustamenti già alla fine

degli anni Venti ci si stava portando ad un totale di caduti decisamente inferiore a quello stimato

dalla Commissione per le riparazioni. Come ho già notato, però, e come emerge dalla tabella,

eccezion fatta per la prima della serie, la cifra più bassa di tutte è quella dell’Albo d’oro. La

distanza tra questo dato e tutti gli altri fa sorgere dei dubbi sulla sua attendibilità. In effetti i

conteggi riportati in questa fonte rappresentano, come vedremo, una stima per difetto del numero

dei morti in guerra. L’obiettivo del prossimo paragrafo è quello di integrarlo stimando i decessi

mancanti.

3. Le perdite dell’esercito italiano secondo l’Albo d’oro

La finalità dell’Albo d’oro era quella di rendere onore a tutti i caduti per la patria attraverso

l’iscrizione del loro nome e di alcune caratteristiche relative alla loro vicenda umana con diretto

riferimento alla guerra.

I criteri con cui fu compilato sono minuziosamente descritti da Fulvio Zugaro, il responsabile

dell’Ufficio statistico dell’esercito nonché referente scientifico di tutta l’operazione (Zugaro, 1926).

L’Albo d’oro doveva comprendere i morti in qualsiasi contesto bellico: caduti o dispersi in

combattimento, scomparsi in prigionia; morti per malattia o per cause accidentali, suicidi ecc. Per

condurre l’operazione furono messe a disposizione risorse ingenti, e la ricerca dei caduti fu

realizzata attraverso una pluralità di canali che interessavano numerose amministrazioni pubbliche

centrali e periferiche. Furono coinvolti, fra gli altri, gli uffici di Stato civile dei Comuni, l’ufficio

statistico del Comando supremo; l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore; il Ministero della Guerra;

le Direzioni di Sanità militare; la Croce Rossa Italiana, gli Uffici notizie, la Commissione cure e

onoranze; la Direzione generale pensioni. È importante sottolineare che l’insieme di queste fonti

non solo comprende tutte quelle in precedenza già utilizzate dal Comando supremo, ma ne include

altre, proprio al fine di integrare possibili informazioni mancanti.

I criteri che hanno ispirato la realizzazione dell’Albo d’oro da un lato tendono a limitare e

dall’altro ad ampliare il numero dei caduti. L’Albo d’oro, infatti, non doveva comprendere tutti i

soldati morti in guerra. Furono esclusi intenzionalmente tutti coloro che non avevano i requisiti

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necessari per comparire in un libro d’onore, e che appartenevano alle seguenti categorie: 1) i morti

per fucilazione in seguito a condanna; 2) i morti in carcere condannati per reati infamanti; 3) i morti

in seguito ad auto-lesioni; 4) i disertori, fatta eccezione per quelli deceduti in seguito a ferite

riportate in combattimento, posteriormente al commesso reato e quelli che, sempre in epoca

posteriore al reato, ottennero una medaglia al valore militare.

Di seguito riporto i criteri che ho adottato per stimare il numero di morti per singola categoria.

1) Esistono delle ricerche che computano il numero di condannati a morte in seguito a sentenza

di tribunale di guerra e le vittime di fucilazioni sommarie e decimazioni (Forcella e Monticone,

1998; Pluviano e Guerrini, 2004). Nel complesso risulta che questi soldati furono circa 1.000.

2) Per questa stima adotto come punto di partenza l’amnistia del 2 settembre 1919, concessa per

una vasta serie di reati militari commessi nel corso del conflitto. Secondo quanto riferito da Giorgio

Rochat (1967, p. 122), alla data dell’amnistia i soldati in carcere erano circa 60.000. Costoro sono

dunque i sopravviventi tra tutti i condannati al carcere durante il conflitto. Ipotizzo che la selezione

per morte sia stata pari a quella relativa ai soldati catturati dal nemico (sulla base del conteggio

derivato dall’Albo d’oro), ovvero circa il 10%, che pure corrisponde alla mortalità annua registrata

per la fanteria durante la guerra (Mortara, 1925, 38). Sulla base di questa percentuale, che credo

essere molto elevata, gli esclusi dall’Albo d’oro riguardo al punto 2, computati per eccesso, furono

circa 7.000.

3) I condannati per il reato di autolesionismo furono 10.035 (Mortara, 1927). L’atto di

autolesionismo aveva come obiettivo una invalidità secondaria, infatti coloro che erano riconosciuti

colpevoli, e le cui condizioni fisiche lo permettessero, a partire dall’ottobre 1916 furono rimandati

sul campo (Melograni, 1977, p. 239-242). Però, in caso di decesso per ferita o di decesso per una

malattia che non fosse imputabile alla lesione autoinflitta, i condannati per questo reato furono

inseriti comunque nell’Albo d’oro. Tutto ciò considerato, ipotizzo che i morti per lesioni

autoprocurate corrispondano al 10% di quanti invece sopravvissero e furono condannati. Ne risulta

che essi furono circa 1.000.

4) La stima degli esclusi dall’Albo d’oro per diserzione è la più complessa, perché solo una parte

dei condannati andò in carcere, mentre la maggioranza fu inviata di nuovo al fronte. Sappiamo però

che le condanne per questo reato furono 101.665 e che questa cifra corrisponde al 60% del totale

delle condanne comminate durante la guerra (Mortara, 1927; Bianchi, 2001). Da questa cifra

dobbiamo sottrarre: a) i 370 disertori condannati a morte (computati al punto 1); b) quanti

scontarono da subito la pena in reclusione, cioè i 15.096 ergastolani (inclusi al punto 2) e una quota,

che fisso al 60% (pari cioè alla proporzione dei condannati per diserzione sul totale), dei 15.332 dei

inviati alla reclusione “ordinaria” (Mortara, 1927, p. 27), cioè circa 9.000. I rimanenti 77.000

disertori furono rispediti al fronte. Tra questi, quanti morirono in combattimento o ottennero una

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medaglia posteriormente al reato furono inclusi nell’Albo d’oro. Poiché il maggior numero di

diserzioni si verificò alla fine del 1917, applico un coefficiente di mortalità del 10%, che

corrisponde alla quota annuale dei decessi dei soldati di fanteria. Ottengo così la cifra di 7,700 morti

circa. Ipotizzo, infine, che due terzi di costoro, in linea con la proporzione tra le diverse cause di

morte nell’ultimo anno di guerra, non caddero in combattimento. Pertanto, non furono inseriti

nell’Albo d’oro, circa 5.000 soldati.

Il riepilogo di tutte le stime è riportato in tabella 2. Come si può vedere, il totale dei soldati

caduti per causa di guerra che non furono inseriti nell’Albo d’oro è pari a circa 14.000 unità.

Tab. 2. Militari morti per causa di guerra che non compaiono nell’Albo d’oro

Categoria dei deceduti N.

Fucilati 1.000

In carcere per reati infamanti 7.000

Autolesionisti 1.000

Disertori 5.000

Totale 14.000

Ai soldati esclusi intenzionalmente vanno sommati tutti quei militari che avrebbero dovuto

essere inseriti nell’Albo d’oro ma che erano sfuggiti alle maglie degli uffici incaricati di raccogliere

informazioni. Ho stimato questa cifra riproporzionando sul totale del paese il numero dei caduti

individuato dagli uffici dell’esercito ad integrazione degli ultimi volumi dell’Albo d’oro, quelli

relativi al Veneto, pubblicati negli anni Sessanta (2.144 morti da aggiungere a 62.036). In totale,

quindi, a questa categoria appartengono circa 18.000 soldati.

Vi sono infine una serie di nominativi inclusi nell’Albo d’oro ma che, per gli obiettivi di questo

lavoro, devono essere esclusi perché non erano soldati o non erano residenti in Italia. Appartengono

a questa categoria i morti tra il personale civile, assimilato o meno all’esercito, che lavorava a

seguito delle armate; i militari nati in Italia ma residenti all’estero che combatterono sotto le

bandiere degli eserciti alleati; parte dei militari nati all’estero che si erano arruolati volontari

nell’esercito italiano; i soldati “irredenti”, che pur essendo arruolati nell’esercito italiano, al

momento della dichiarazione di guerra erano residenti in Austria-Ungheria. In totale stimo si tratti

di circa 2,000 individui.

Nella tabella 3 sintetizzo tutte le informazioni relative alle diverse categorie di caduti inclusi o

meno nell’Albo d’oro con la conseguente stima finale dei caduti dell’esercito italiano durante la

guerra.

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Tab. 3. Caduti inclusi ed esclusi nell’Albo d’oro Tipologia dei caduti N

Inclusi nell'Albo d'oro 529.000

Esclusi intenzionalmente 14.000

Omessi non intenzionalmente 18.000

Inclusi ma non pertinenti -2.000

Totale dei caduti 559.000

Come si può vedere dalla tabella, secondo le mie stime il totale dei caduti dell’esercito italiano

nel corso della prima guerra mondiale ascende a circa 559.000 unità, vale a dire ad una cifra del

15% inferiore a quella tradizionalmente accolta.

4. Analisi e discussione

Secondo la mia ricostruzione, i dati riportati sull’Albo d’oro rappresentano circa il 95% dei

caduti nella Grande Guerra. Le informazioni così raccolte, pertanto, sebbene soffrano di alcuni

problemi di selezione, sono molto prossime a rappresentare le caratteristiche demografiche del

totale dei caduti. In questa parte del lavoro, quindi, utilizzo i dati dell’Albo d’oro, senza effettuare le

integrazioni che comunque dovrebbero essere stimate, per valutare le caratteristiche demografiche

dei soldati morti per causa di guerra.

Nella tabella 4 sono riportate le informazioni dell’Albo d’oro suddivise per anno di accadimento

e generazione di appartenenza.

Tab. 4. Generazione di appartenenza e anno di morte dei caduti Generaz. 1914 1915 1916 1917 1918 1919 1920 NI Totale

1874 1 363 467 660 918 141 38 6 2594

1875-79 1 835 1893 6782 9376 1040 421 79 20427

1880-84 1 5282 14052 22603 21478 2089 679 409 66593

1885-89 5 20948 32507 26670 29470 3267 960 643 114470

1890-94 7 42082 45791 32144 37820 4900 1321 880 164945

1895-99 5 12072 27576 47313 55989 7766 3086 1075 154882

1900 0 9 35 117 3838 717 305 0 5021

NI 0 19 15 27 21 6 1 4 93

Totale 20 81610 122336 136316 158910 19926 6811 3096 529025 Fonte: Albo d’oro.

I dati comprendono tutti i richiamati delle classi 1874-1899, quelle cioè che erano tenute a

prestare servizio negli anni di guerra, e i caduti delle generazioni anteriori e successive che

potevano essere ufficiali, volontari, e operai (Ermacora, 2005). Nella tabella, inoltre, sono compresi

anche i deceduti nel 1914 e nei primi mesi del 1915, periodo in cui morirono diversi volontari

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italiani che combatterono sul fronte occidentale.

Dalla tabella si colgono tre aspetti importanti. Il primo riguarda le generazioni che pagarono di

più, in termini assoluti, il prezzo della guerra. Questi appartenevano ai nati negli anni 1890-94,

anche se la classe più falcidiata fu quella 1895. Si tratta dei richiamati fin dall’inizio del conflitto.

Il secondo evidenzia che il maggior numero di decessi si verificò nel corso dell’ultimo anno di

guerra che non fu, come è ben noto, il più sanguinoso. Questo dato è ancora più importante se si

considera che nel 1918 la guerra fu combattuta solamente per dieci mesi. Così, se lo sforzo militare

italiano si sviluppò con maggiore intensità, almeno in quanto ad impiego di uomini e mezzi, nel

corso delle tre ultime battaglie dell’Isonzo (10a, 11a e 12a) e nella battaglia di arresto al Piave, la

maggior dispersione di risorse umane si verificò nel 1918, quando l’esercito, oltre alle truppe degli

imperi centrali, dovete affrontare anche l’influenza spagnola.

Il terzo aspetto di grande rilevanza riguarda il numero dei morti negli anni successivi alla fine

della guerra, che qui, senza contare i deceduti negli ultimi due mesi del 1918, sono circa 27.000

mentre nelle stime consuete, a partire da Mortara sono almeno 80.000, dato che, senza dubbio, è

troppo alto.

La tabella 5 riporta le principali cause di morte dei militari. La classificazione utilizzata è la

stessa dell’Albo d’oro.

Tab. 5. Decessi dei militari distinti per anno di accadimento e causa Causa 1914 1915 1916 1917 1918 1919 1920 NI Totale

Ferita 17 51291 83435 78682 32725 833 343 27 247353

Malattia 0 11958 14259 24445 113560 17475 6212 14 187923

Accidentale 0 655 2562 3412 3818 1367 222 0 12036

Dispersione 2 16967 18952 28095 6642 23 15 62 70758

Scomparsa 1 722 3105 1635 2008 205 12 2984 10672

NI 0 13 27 48 156 23 7 9 283

Totale 20 81606 122340 136317 158909 19926 6811 3096 529025 Fonte: Albo d’oro.

La principale causa di morte sono le ferite riportate in combattimento, voce sotto la quale

andrebbero computati anche i dispersi. Nel particolare contesto della guerra di posizione, infatti, in

cui la maggior parte delle morti in battaglia era causata dal fuoco delle artiglierie, molti cadaveri

non potevano essere riconosciuti o recuperati. La seconda causa di morte è data dalle malattie. A

questa categoria andrebbero aggiunti parte dei decessi “per scomparsa” che sono attribuiti a molti

prigionieri di guerra, dei quali non si conosce nemmeno la data esatta del decesso. La maggior parte

di questi casi è però dovuta a coloro che perirono in mare.

Riguardo a questa tabella mi limito ad osservare che i dati relativi ai morti per malattia sono

compatibili con le enumerazioni delle perdite riportate in altri lavori, mentre quelli per ferita

11

risultano assai inferiori a tutte le altre stime. Tornerò su questo punto più avanti.

I riassunti numerici pubblicati alla fine di ciascun volume dell’Albo d’oro riguardano altri aspetti

relativi ai caduti che in questa sede sono di minore interesse, come il grado o il corpo di

appartenenza, mentre ne trascurano altri che, invece, pur non essendo di diretta rilevanza sotto il

profilo demografico permettono di affrontare da un’altra visuale il tema della quantificazione delle

vittime militari del conflitto.

Per esplorare gli aspetti non evidenziati nei prospetti riepilogativi, faccio ricorso ad un campione

pari a circa l’1% dei caduti dell’Albo d’oro. I criteri di estrazione del campione e la sua aderenza al

totale delle informazioni sono trattati nell’Appendice.

Uno degli aspetti che i dati campionari permettono di indagare è quello dei decessi in prigionia,

che non sono trattati esplicitamente nei riepiloghi dell’Albo d’oro, ma le cui risultanze derivate

dalla raccolta delle informazioni da me effettuato hanno delle implicazioni importanti.

Nel campione, i morti tra i soldati catturati dal nemico sono 535, pertanto, riproporzionati sul

totale dei decessi, risulterebbero essere circa 50.000. Questa cifra corrisponde al numero dei morti

in prigionia per i quali esisteva la relativa documentazione fornita dalla Croce rossa o dalle autorità

dei paesi nemici (Mortara, 1925). Attualmente, però, questo dato non gode del favore della maggior

parte degli studiosi che indicano come più attendibile la cifra di 100.000 (Procacci, 1993). Questo

dato, però, è una stima del 1920 della Commissione di inchiesta sulle violazioni del diritto delle

genti commesse dal nemico (Mortara, 1925). La relazione della Commissione sosteneva anche che

la documentazione austriaca e tedesca, su cui si fondava il numero di 50.000 prigionieri morti, era

molto lacunosa. A mio avviso, però, anche la cifra di 100.000 deceduti non è esente da critiche.

Prima di tutto bisogna considerare che il lavoro della Commissione aveva delle chiare finalità

politiche, e si inseriva in un contesto in cui era utile amplificare sia le responsabilità del nemico per

il cattivo trattamento dei prigionieri di guerra sia, come abbiamo visto, gonfiare il numero di soldati

caduti per avanzare richieste di riparazioni più elevate ai paesi vinti. È certamente vero che i

prigionieri dovettero sopportare condizioni di vita particolarmente dure, soprattutto a causa della

scarsa alimentazione, ma alcune ricerche hanno anche messo in luce che austriaci e tedeschi non

perseguirono politiche punitive nei confronti dei prigionieri italiani (Isnenghi e Rochat, 2004).

Secondo le stime di Mortara, inoltre, la mortalità dei prigionieri, calcolata però su un numero di 80-

90.000 individui, sarebbe stata del 12% all’anno, ben al di sopra del 10% che equivaleva alla

mortalità dei soldati di fanteria (Mortara, 1925, p. 50). Alla luce di queste considerazioni, a mio

avviso, è difficile sostenere che una quota così alta di giovani nel pieno vigore fisico, alimentati

regolarmente, anche se non in misura sufficiente, fossero morti per le conseguenza dirette e indirette

della fame (Livi Bacci, 1989).

Oltre a ciò va considerato che molti soldati che trascorsero un periodo di prigionia presso il

12

nemico non sopravvissero a lungo dopo il ritorno in patria. Anche attribuendo la metà degli oltre

50.000 decessi posteriori all’armistizio a ex prigionieri, e sommandola ai 50.000 dell’Albo d’oro, ci

troviamo pur sempre di fronte ad un numero complessivo di morti decisamente inferiore alla stima

corrente. Ricordo, infine, che i nominativi raccolti nell’Albo d’oro non tengono in conto solo le

dichiarazioni utilizzate per compilare le schede primitive dei caduti in prigionia, ma anche delle

informazioni provenienti dai comuni, che comunque per molti anni successivi alla fine del conflitto

avevano aggiornato la loro anagrafe mano a mano che giungevano le notizie relative ai propri

residenti provenenti da tutti i paesi in cui i prigionieri erano stati deportati. Non escludo,

naturalmente, che vi siano lacune anche importanti nei conteggi, ma non sufficienti, a mio avviso,

ad arrivare alla cifra dei 100.000 morti. Non c’è ragione di pensare poi che le rilevazioni così

dettagliate adottate per la raccolta dei nominativi abbiano trascurato volontariamente i deceduti in

prigionia.

Un ulteriore importante elemento che deriva dalla tabella 5 riguarda la proporzione tra morti per

malattia e morti per ferita (ai quali sono sommati anche i dispersi). Dai dati del campione, emerge

che la quota di morti per malattia è del 35%, quindi ancora superiore a quella già molto alta, pari al

30%, indicata da Gini (cit. in Zugaro, 1927, p. XIV). Un caso eccezionale tra gli eserciti

belligeranti, dove questa proporzione era, di regola, molto inferiore. Ad esempio, nell’esercito

francese era del 10% (Isnenghi e Rochat 2004, 269). A ciò bisogna aggiungere il fatto che la

maggior parte dei caduti non inclusi nell’Albo d’oro era costituito da soldati deceduti proprio per

malattia. Infatti, anche i numerosi condannati per diserzione o altro se caduti sul campo rientravano

nel libro d’onore, mentre vi rimanevano esclusi se morivano per altre cause.

I dati del campione estratto dall’Albo d’oro permettono di fare ulteriori approfondimenti

sull’evoluzione dei decessi nel corso del conflitto. La figura 1 illustra la distribuzione mensile dei

morti distinguendo tra i caduti in battaglia e i morti per altre cause, la principale delle quali riguarda

le malattie. Rispetto all’utilizzo del campione per determinare causa e luogo del decesso, in questo

caso il margine di errore è ovviamente più alto, ma non tale da sovvertire le conclusioni generali.

13

Fig. 1. Distribuzione mensile dei militari morti per causa di guerra (maggio 1915-ottobre 1920)

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

gennaio 1915

aprile 1915

luglio 1915

ottobre 1915

gennaio 1916

aprile 1916

luglio 1916

ottobre 1916

gennaio 1917

aprile 1917

luglio 1917

ottobre 1917

gennaio 1918

aprile 1918

luglio 1918

ottobre 1918

gennaio 1919

aprile 1919

luglio 1919

ottobre 1919

gennaio 1920

aprile 1920

luglio 1920

ottobre 1920

N. di morti

Mese

Tutti

Sul campo

Altre cause

La serie mensile costruita sul campione dell’albo d’oro mette in evidenza la cronologia del

confitto, scandita dalla serie di battaglie e Mette in luce la progressione dei decessi nell’esercito che

non si verificarono sul campo. Per la maggior parte si tratta di decessi per malattia che si

verificarono sia in patria che in prigionia. Si osserva un primo incremento di questi decessi a

decorrere dal dicembre 1917, attribuibile al gran numero di decessi avvenuti in prigionia dopo

Caporetto e, soprattutto nei mesi a cavallo dell’armistizio. Possiamo anche osservare il picco degli

ultimi mesi del 1918, attribuibili per la gran parte all’influenza spagnola (Tognotti, 2000). Questo

dato dimostra come la battaglia con maggior numero di vittime del conflitto non fu combattuta sul

campo, ma negli ospedali e nelle sezioni di sanità.

Gli altissimi livelli di mortalità degli ultimi mesi del 1918, unitamente alla sottostima da cui sono

afflitti i dati riguardanti i decessi per malattia, aprono una ulteriore interrogativo. Non è chiaro,

infatti, quanti di questi decessi siano effettivamente attribuibili alla guerra e quanti, invece, si

sarebbero comunque verificati. Ciò potrebbe implicare una ulteriore riduzione del numero di

decessi dei soldati italiani per causa di guerra e, quindi, ribassare anche le mie stime.

Un altro importante aspetto sul quali i dati dell’Albo d’oro permettono di indagare è

rappresentato dalla distribuzione per età dei caduti. Anche in questo caso ipotizzo che la

distribuzione dei deceduti nell’Albo d’oro corrisponda alla distribuzione di tutti i decessi dei

militari.

Nella figura 2 viene riprodotta la distribuzione degli eventi per generazione (fasce quinquennali)

e anno.

14

Fig. 2. Distribuzione dei decessi dei militari per generazione di appartenenza e anno di morte

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

1915 1916 1917 1918 1919 1920

Anno

N. c

adu

ti

1875-79

1880-84

1885-89

1890-94

1895-99

Fonte: tabella 4.

I risultati offrono un quadro del tutto inedito sulla mortalità in guerra. Nel 1915 e 1916 la

maggior parte dei caduti apparteneva alle classi 1885-89 e 1890-94, quelle cioè che erano state

richiamate fin dall’inizio del conflitto. Nel terzo anno, probabilmente a causa del forte logorio a cui

queste generazioni erano state sottoposte in precedenza, la maggior parte dei caduti apparteneva alle

classi 1895-99. In forte crescita sono anche i morti delle classi 1880-1884. Nell’anno della vittoria,

le classi centrali, già fortemente ridotte, offrirono un tributo di vite addirittura superiore a quello

dell’anno precedente, ma il peso maggiore venne sostenuto ancora una volta dalle generazioni

1895-1899, la più giovane delle quali partecipò alla guerra solamente nel 1918.

Nei primi anni del conflitto, lo sforzo bellico fu sostenuto da quei soldati che allo scoppio della

guerra avevano dai 20 ai 30 anni. Alla fine fu invece retto prevalentemente dai giovanissimi e dalle

generazioni più anziane, vale a dire coloro che nel 1915 avevano 15-19 anni e 30-34. Un numero

importante dei morti nell’ultimo anno apparteneva alle generazioni che “nelle radiose giornate di

maggio” avevano 35-39 anni di età, e che quindi ne avevano 3 di più nel 1918.

Il picco di decessi del 1918, che è ascrivibile prevalentemente alla congiuntura dell’influenza

spagnola, aggredì tutte le coorti di soldati, senza risparmiare quelle già duramente colpite nei primi

tre anni di guerra, facendo così segnare il secondo massimo della serie.

15

5. Conclusioni

Le informazioni dell’Albo d’oro hanno permesso di approfondire alcuni aspetti della mortalità

dei soldati italiani nella Grande Guerra. In primo luogo sono emerse delle sensibili differenze tra i

risultati tratti da questa fonte e le nozioni che si sono consolidate nel tempo, prima fra tutte il totale

dei decessi militari per cause belliche. Le elaborazioni effettuate in questo lavoro dimostrano che i

caduti furono sicuramente molti meno dei 650.000 canonici. La cifra che propongo, con riferimento

al periodo che va dal 24 maggio 1915 al 31 dicembre 1920, è di 559.000.

Il secondo risultato, che ribalta decisamente le conclusioni a cui sono pervenute le precedenti

ricostruzioni, riguarda la distribuzione dei decessi nel corso del conflitto. Stando all’Albo d’oro,

infatti, i morti sarebbero più numerosi nell’ultimo anno di guerra piuttosto che nel 1917, che,

restando alla situazione che si era venuta determinando sui campi di battaglia, è sempre stato

considerato l’anno peggiore. Tale visione, però, non tiene in debito conto il gran numero di decessi

verificatosi a causa dell’influenza spagnola, molto superiore a quanto fin qui ritenuto.

La terza novità è data dalla distribuzione per generazione dei decessi. Questo elemento risulta

influenzato in maniera decisiva dalla classe di appartenenza dei coscritti per quel che riguarda i

tempi del loro impiego nelle forze armate e in forma molto importante dal calendario delle morti

imposto dalla epidemia influenzale del 1918.

Ulteriori risultati riguardano la quota di morti per malattia che, essendo di circa il 35%, è

maggiore di quella, già alta, stimata da altri studiosi; il numero dei morti in prigionia che, secondo

la mia ricostruzione, è molto inferiore a quanto ipotizzato negli studi degli ultimi vent’anni; il

numero di decessi che si verificarono dopo l’armistizio: poco più di 30.000, contro gli oltre 80.000

alla quale gli studiosi fanno di solito riferimento.

Alcune di queste conclusioni rivedono profondamente alcune conoscenze che sembravano

acquisite. Prima di tutto quella relative al numero dei caduti. Se i dati che qui presento non

dovessero reggere alla critica storica e a ulteriori ricerche non mancherebbero però di avere diverse

implicazioni. La più importante riguarda la fonte utilizzata, che, contrariamente a quello che

ritengo, dovrebbe essere giudicata non solo parziale e largamente lacunosa, ma anche piena di

errori.

Confrontando le risultanze dell’Albo d’oro con quanto riportato in letteratura, le lacune si

concentrano particolarmente su due categorie di caduti (vedi tabella A1 in appendice), i morti in

prigionia che secondo l’Albo d’oro sono “solo” 50.000 contro i 100.000 oggi comunemente

accettati o gli 80.000-90.000 segnalati da Mortara e i deceduti dopo l’armistizio, 31.000 contro

87.000. Poiché, per entrambe queste categorie, la causa di morte non può che essere per larghissima

parte classificabile come “malattia”, ne deriverebbe che nei computi mancano almeno 80.000 morti

16

(più di 100.000 a tenere per buona l’opinione corrente) per questa causa, che porterebbero la voce

ad eguagliare, quasi, i morti per ferita (includendovi i dispersi). Questo risultato è in contrasto esso

stesso con la letteratura esistente e a mio parere è anche del tutto inverosimile. Comporterebbe,

infatti, che sulla fonte fossero stati commessi talmente tanti errori di classificazione da renderla

praticamente inservibile.

A fronte di questi risultati bisogna dire che il lavoro di scavo è qui ancora all’inizio. Infatti non si

può che concordare con quanto affermato da Fulvio Zugaro, oramai più di 80 anni fa, il quale

sosteneva che una risposta il più possibile esatta del numero di vittime della guerra si avrà solo

quando avremo a disposizione tutti i dati dell’Albo d’oro.

17

Appendice. Confronti tra il numero di caduti riportati nell’Albo d’oro e quelli riportati in altre

fonti.

In questa appendice valuto l’attendibilità dei dati riportati sull’Albo d’oro confrontandoli con

quelli di altre pubblicazioni. In particolare faccio riferimento ai dati pubblicati in Mortara (1925) e

in Glei et al. (2005). In questa sede, per le ovvie difficoltà nel raccogliere tutte le informazioni

dell’Albo d’oro, utilizzo, dove non è possibile fare diversamente, un campione costituito da tutti i

morti inclusi nelle pagine di ciascuno dei 28 volumi che compongono l’opera individuate secondo

la sequenza 1, 101, 201, 301, .... Le pagine estratte sono 192 e riguardano di 5.760 persone,

l’1,089% circa del totale. L’intera opera è liberamente disponibile on-line al sito web

http://www.cadutigrandeguerra.it/.

Nella figura A1 confronto i decessi per anno di calendario secondo, rispettivamente, le tabelle

riepilogative pubblicate nei volumi dell’Albo d’oro, il campione, le informazioni riportate da

Mortara (1925) e Glei et al. (2005).

Fig. A1. Distribuzione dei decessi dei militari per anno di morte

0

50000

100000

150000

200000

250000

1915 1916 1917 1918 1919 1920

N. caduti

Anno

Albo d'oro

Albo d'oro - campione

Scenario "classico"

Fonti: Mortara 1925; Albo d’oro 1924-1964.

In primo luogo segnalo l’ottima aderenza dei dati del campione rispetto all’universo. In seconda

istanza evidenzio la grande differenza tra i dati dell’Albo d’oro e quelli dello scenario “classico”. In

particolare rilevo che 1) nell’Albo d’oro il numero dei morti fu massimo nell’ultimo anno di guerra;

nello scenario “classico”, invece, nel 1917; 2) i dati dell’Albo d’oro sono sempre al di sotto di quelli

18

delle stime fin qui accettate tranne che nel 1818; 3) Le differenze più marcate tra le due serie si

riscontrano nel 1917 e nel 1919.

Nella figura A2 confronto i dati organizzati mese per mese ricavati dall’Albo d’oro, moltiplicati

per il coefficiente 108,9 (529.025/5.760), con quelli proposti dal Comando supremo dell’esercito

nel 1921 e pubblicati da Mortara (1925).

Fig. A2. Distribuzione mensile dei caduti in combattimento

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

40000

giu

gno

191

5

lugl

io 1

915

ago

sto

191

5

sett

emb

re 1

915

ott

obre

191

5

nov

embr

e 19

15

dice

mbr

e 19

15

gen

naio

191

6

feb

brai

o 1

916

mar

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916

apri

le 1

916

mag

gio

191

6

giu

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191

6

lugl

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916

ago

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191

6

sett

emb

re 1

916

ott

obre

191

6

nov

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e 19

16

dice

mbr

e 19

16

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191

7

feb

brai

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917

mar

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917

apri

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917

mag

gio

191

7

giu

gno

191

7

lugl

io 1

917

ago

sto

191

7

sett

emb

re 1

917

ott

obre

191

7

nov

embr

e 19

17

dice

mbr

e 19

17

gen

naio

191

8

feb

brai

o 1

918

mar

zo 1

918

apri

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918

mag

gio

191

8

giu

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191

8

lugl

io 1

918

ago

sto

191

8

sett

emb

re 1

918

ott

obre

191

8

Comando

Campione Albo d'oro1110 12

SolstizioStrafe

1 e 2 3 e 4 5 6 7 8 9

Ortigara

Vittorio V.

Piave

Nota: le linee verticali indicano le battaglie principali, i numeri indicano le 12 battaglie dell’Isonzo. Fonti: Mortara, 1925; Albo d’oro, 1926-1964.

L’andamento delle due spezzate è molto simile. La linea relativa alle indicazioni del Comando

supremo è spesso al di sopra di quella che deriva dall’Albo d’oro. I due tracciati sono quasi

coincidenti durante tutto il primo anno di guerra e fino alla Strafexpedition (maggio-giugno 1916).

In concomitanza alle battaglie dell’Isonzo che vanno dalla 6a alla 9a, i percorsi si separano piuttosto

nettamente per poi ricongiungersi nell’inverno 1917-18. La discrepanza massima si osserva in

concomitanza delle ultime tre battaglie dell’Isonzo. In particolare nei dati tratti dall’Albo d’oro

viene completamente omesso il picco che corrisponde alla disfatta italiana di Caporetto (12a

battaglia dell’Isonzo). A partire dai caduti durante la battaglia di arresto sul Piave le due spezzate si

riallineano e i dati sono pressoché coincidenti fino alla battaglia di Vittorio Veneto.

Mi limito a considerare che: 1) se i dati del Comando supremo sono sottostimati è strano che per

larga parte coincidano con quelli dell’Albo d’oro; 2) la differenza tra le due serie si fa maggiore in

19

concomitanza con le battaglie più sanguinose e, comunque, quasi completamente nel 1917.

Considerato che il maggior divario tra Comando supremo e Albo d’oro si verifica nelle battaglie

più importanti e in quelle dove, per ovvie ragioni, era più complicato tenere il computo esatto dei

caduti, dei feriti e dei dispersi, avanzo l’ipotesi che molti soldati, in un primo tempo considerati

caduti, erano in realtà stati catturati dal nemico. Dei 600.000 soldati italiani fatti prigionieri durante

la guerra, si calcola che 400.000 furono catturati nel solo 1917, 300.000 dei quali durante la

battaglia di Caporetto (Procacci, 1993, p. 204; Isnenghi e Rochat, 2004, p. 347; Mortara, 1925, p.

32). Nei mesi successivi alla fine del conflitto è possibile che le informazioni raccolte durante le

operazioni non siano state aggiornate tenendo conto di quanti erano dispersi ma non deceduti.

Anche più tardi è possibile che siano state tenute per buone le cifre relative ai soldati impiegati al

fronte, alle quali sono stati sommati i militari ritenuti morti sul campo ma che in realtà erano

deceduti in prigionia. Questo significherebbe che le differenze nel numero dei decessi sono

attribuibili a doppi conteggi. La raccolta di schede nominative, che erano alla base dei conteggi del

Comando supremo, poteva facilmente portare alla duplicazione delle informazioni relative ad uno

stesso individuo. la situazione era ulteriormente aggravata dal fatto che le schede potevano giungere

a diversi Uffici Notizie sparsi per il paese. I criteri adottati per la compilazione dell’Albo d’oro,

invece, devono aver permesso di individuare facilmente i duplicati e quindi di eliminarli.

Un discorso a parte riguarda forse la rotta di Caporetto. Qui non posso escludere che ci fosse

stata una particolare attenzione a non inserire nell’Albo d’oro i soldati di alcune di quelle brigate

che si resero “colpevoli” di ritirata davanti al nemico o che si consegnarono volontariamente nelle

mani degli austro-tedeschi. Tuttavia, secondo i risultati della commissione di inchiesta su Caporetto,

le perdite della battaglia subite dalla II armata, quella più direttamente coinvolta nei combattimenti,

furono di 11.600 unità, in linea con i dati tratti dall’Albo d’oro (Melograni, 1977, p. 423). Altri

autori parlano di 10.000 morti (Monticone, 1999, p. 181).

Nella tabella A2 metto a confronto la ricostruzione delle perdite secondo il dettaglio proposto in

Glei et al. (2005) con quella analoga ricostruita ricorrendo alle informazioni dell’Albo d’oro. Nelle

ultime due colonne, sono riportate le differenze assolute e in percentuale tra le singole grandezze.

20

Tab. A1. Confronto del numero di caduti per causa tra le diverse fonti

Glei et al. 2005 Campione Albo d’oro Differenza N. Differenza %

Forza attiva* 378010 327885 50125 13.3

Prigionieri* 80000 46290 33710 42.1

Malattia* 105646 98641 7005 6.6

Post armistizio** 87354 56209 31145 35.7

Totale 651010 529025 121985 18.7 Note: * Dal 28 luglio 1914 fino al 4 novembre 1918; ** dal 5 novembre 1918 al 31 dicembre 1920. Il totale della colonna Glei et al. 2005 non coincide con quello pubblicato in quanto con il ricalcolo è emerso un non sostanziale refuso nell’originale. Fonti: mie elaborazioni da Glei et al., 2005; Albo d’oro, 1926-1964.

La differenza totale tra i decessi secondo le diverse stime è di circa 122.000 unità. Le

discrepanze riguardano tutte le categorie, ma non sono tra loro uniformemente distribuite. In

particolare, i dati del Comando supremo sono sensibilmente più alti riguardo ai prigionieri e ai

deceduti dopo l’armistizio, vale a dire su quelle cifre che sono frutto di una stima da parte delle

autorità piuttosto che da puntuali riscontri documentari. Meno importanti sono le differenze tra la

forza attiva e le malattie, che potrebbero essere compensate dalle integrazioni che ho stimato nel

paragrafo 3.

Questa esposizione dei dati mi permette di fare qualche osservazione e di avanzare qualche

proposta di rettifica. In particolare, i decessi avvenuti in prigionia dello scenario “classico” sono a

mio avviso troppo elevati, in considerazione anche del fatto che molti prigionieri morirono dopo il

loro ritorno in patria. Non nego, tuttavia, che in qualche misura possano essere sottostimati anche

nell’Albo d’oro, ma escludo che questi mancati conteggi possano essere dell’ordine di grandezza

della differenza tra le due fonti, anche in considerazione del fatto che l’Albo doro cominciò ad

essere redatto diversi anni dopo la fine della guerra e che, quindi, la sorte di molti prigionieri di cui

si erano inizialmente perse le tracce era conosciuta.

I decessi post armistizio dello scenario “classico” sono a mio avviso completamente sbagliati.

Questi dati, per logica, dovrebbero comprendere i feriti durante la guerra deceduti dopo la sua fine, i

prigionieri deceduti dopo il 4 novembre 1918 e i malati dell’esercito non operante. In particolare

non tiene conto dell’inevitabile (ed enorme) calo della mortalità che si era verificato per il semplice

fatto che già non si combatteva più. Altrettanto paradossale il numero di decessi dei due anni

successivi che sarebbe del 50% superiore a quello dei morti in battaglia nell’ultimo anno di guerra.

Le cifre che derivano dall’Albo d’oro sono, a questo proposito, molto più coerenti. Bisogna poi

pensare che la raccolta dei dati relativa a questi decessi si è verificata in una condizione assai

prossima alla normalità e cioè alla ripresa delle consuete procedure amministrative relative alle

anagrafi comunali. Durante il conflitto si era prodotta, nei fatti, una sovrapposizione di competenze

nella registrazione degli atti dello stato civile, in quanto i decessi dei militari avvenuti in zona di

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guerra erano annotati presso i numerosi ospedali da campo distribuiti in prossimità del fronte.

Questo aveva causato un numero rilevante di inesattezze e omissioni nelle trascrizioni anagrafiche

presso i comuni, che furono corrette e integrate dopo la guerra.

L’ultimo confronto viene operato tra le distribuzioni dei decessi per anno di occorrenza in

relazione a diverse generazioni (Fig. A3). Le fasce di età sono state definite in accordo con quelle

pubblicate in Glei et al. (2005), e individuate a partire dalle registrazioni dei militari deceduti

effettuate dalle autorità civili, che quindi includono solo una piccola percentuale dei morti

dell’esercito operante (Mortara, 1925, p. 537).

Fig. A3. Distribuzione dei decessi dei militari per generazione di appartenenza e anno di morte a) Scenario “classico”

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100000

1915 1916 1917 1918 1919 1920

Year

N. o

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eath

s

15-1920-2425-3435-44

Fonte: Glei et al. 2005.

b) Scenario “nuovo”

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1915 1916 1917 1918 1919 1920

Year

N. o

f D

eath

s

15-1920-2425-3435-44

Fonte: Albo d’oro 1926-1964.

Anche in questo caso i dati dell’Albo d’oro sono più coerenti rispetto a quelli dello scenario

“classico”. La distribuzione per età dei decessi delle diverse generazioni evidenzia, infatti, che

quelle più vecchie e più giovani hanno conosciuto i maggiori livelli di mortalità negli ultimi anni di

guerra, quando cioè le rispettive classi erano state richiamate alle armi, mentre nello scenario

“classico” non ci sono differenze nella distribuzione per anno ma solo nella numerosità. In

particolare, nella costruzione della figura A3a rientrano anche tutti i militari in pensione, alcuni dei

quali addirittura ultraottantenni, che certo non hanno partecipato alle operazioni militari.

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