Le origini dell'etica giornalisticae cura da parte del giornalista. Ecco perché la puntualità...

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Giornalista professionista, Responsabile del Dipartimento di comunicazione e giornalismo ambientale del CESAB lC) N O N li e, .....r ci ,.-., ~ ,.... <:> ~ <:1\ ~ , ol u :E ti O ~ ol ::e ;:l .... sr: 20 Le origini dell'etica giornalistica Giampiero Valenza Introduzione O ggi si fa un gran parlare di un ap- proccio etico alla professione gior- nalistica. Ciò soprattutto perché con Internet si sono moltiplicate a dismisu- ra le fonti di informazione e con queste le modalità di accesso all'informazione stessa. Inoltre, la velocità dei tempi moderni impone una maggiore tempestività nell'elaborazione della notizia e, dunque, una trasmissione in tempo reale, mentre i fatti accadono. Tutto si fa più complesso. Parlare di etica e deontologia giornalistica, però, non è una buona abitudi- ne nata con la tecnologia. È una questione che affonda nei secoli e che comunque non è prerogativa dei giornalisti del Novecento, come erroneamente invece si potrebbe pen- sare. È pur vero che è da questo secolo, infat- ti, che i cronisti di tutto il mondo cercano di disciplinare la loro attività con propri codici etici. Sarebbe un grave errore, però, associa- re un approccio etico all'informazione sola- mente con propri documenti di intenti, ora presenti - a livello categoriale - in quasi tutte le nazioni del pianeta. La presenza di una co- dificazione scritta non vuol dire necessaria- mente che in sua mancanza non se ne parli. È nei secoli precedenti, invece, che la categoria ha lavorato - e non poco - per rendere pos- sibile carte dei diritti, carte deontologiche, codici nazionali e internazionali. Ha reso fer- tile il terreno della professione. Infatti, come spiega Stephen J.A. Ward - giornalista e do- cente di etica del giornalismo all'Università della Columbia Britannica - nel suo libro L'invenzione dell'etica giornalistica: «nessuna for- ma di giornalismo è senza etica». Una frase più che mai azzeccata perché il giornalismo è fatto di individui e, come tale, deve essere concepito come un lavoro umano per le co- munità e con le comunità. E, dunque, deve necessariamente rispettare criteri etici delle singole società. Al centro di questo lavoro non è né lo stu- dio di censure e autorizzazioni alla stampa - tipiche degli albori - delle influenze dei poteri - nazionali e locali - sull'operato dei singoli giornalisti. Ma obiettivo di questo stu- dio è concentrare l'attenzione sulla base che poi ha portato i giornalisti a realizzare propri documenti deontologici. Dunque, non com- pariranno riferimenti ai documenti come le Carte dei diritti dell'uomo o i dibattiti legati alla libertà di stampa e di espressione. Dalla spedizione militare del 1548 Ward, nel suo The invention if journalism etics, racconta di un servizio su un giornale in meri- to a una spedizione militare in Scozia del 1548, che doveva attentare a soddisfare <d'assetato desiderio che tutto il nostro genere (umano) deve conoscere». Quell' assetato desiderio è alla base di ogni operazione di comunicazione. È un processo che, per essere portato a termi- ne, ha bisogno di un mittente e di un desti- natario - il pubblico di riferimento del media - oltre ,che, semplificando il processo, di un canale comunicativo. All'epoca, i lavori che più si avvicinavano ai giornali di oggi erano

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Giornalistaprofessionista,Responsabile delDipartimento dicomunicazione egiornalismoambientale delCESAB

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Le origini dell'etica giornalistica

Giampiero Valenza

Introduzione

Oggi si fa un gran parlare di un ap-proccio etico alla professione gior-nalistica. Ciò soprattutto perché

con Internet si sono moltiplicate a dismisu-ra le fonti di informazione e con queste lemodalità di accesso all'informazione stessa.Inoltre, la velocità dei tempi moderni imponeuna maggiore tempestività nell'elaborazionedella notizia e, dunque, una trasmissione intempo reale, mentre i fatti accadono. Tutto si fapiù complesso. Parlare di etica e deontologiagiornalistica, però, non è una buona abitudi-ne nata con la tecnologia. È una questioneche affonda nei secoli e che comunque nonè prerogativa dei giornalisti del Novecento,come erroneamente invece si potrebbe pen-sare. È pur vero che è da questo secolo, infat-ti, che i cronisti di tutto il mondo cercano didisciplinare la loro attività con propri codicietici. Sarebbe un grave errore, però, associa-re un approccio etico all'informazione sola-mente con propri documenti di intenti, orapresenti - a livello categoriale - in quasi tuttele nazioni del pianeta. La presenza di una co-dificazione scritta non vuol dire necessaria-mente che in sua mancanza non se ne parli. Ènei secoli precedenti, invece, che la categoriaha lavorato - e non poco - per rendere pos-sibile carte dei diritti, carte deontologiche,codici nazionali e internazionali. Ha reso fer-tile il terreno della professione. Infatti, comespiega Stephen J.A. Ward - giornalista e do-cente di etica del giornalismo all'Universitàdella Columbia Britannica - nel suo libro

L'invenzione dell'etica giornalistica: «nessuna for-ma di giornalismo è senza etica». Una frasepiù che mai azzeccata perché il giornalismoè fatto di individui e, come tale, deve essereconcepito come un lavoro umano per le co-munità e con le comunità. E, dunque, devenecessariamente rispettare criteri etici dellesingole società.Al centro di questo lavoro non è né lo stu-dio di censure e autorizzazioni alla stampa -tipiche degli albori - né delle influenze deipoteri - nazionali e locali - sull'operato deisingoli giornalisti. Ma obiettivo di questo stu-dio è concentrare l'attenzione sulla base chepoi ha portato i giornalisti a realizzare propridocumenti deontologici. Dunque, non com-pariranno riferimenti ai documenti come leCarte dei diritti dell'uomo o i dibattiti legatialla libertà di stampa e di espressione.

Dalla spedizione militare del 1548

Ward, nel suo The invention if journalism etics,racconta di un servizio su un giornale in meri-to a una spedizione militare in Scozia del 1548,che doveva attentare a soddisfare <d'assetatodesiderio che tutto il nostro genere (umano)deve conoscere». Quell' assetato desiderio è allabase di ogni operazione di comunicazione. Èun processo che, per essere portato a termi-ne, ha bisogno di un mittente e di un desti-natario - il pubblico di riferimento del media- oltre ,che, semplificando il processo, di uncanale comunicativo. All'epoca, i lavori chepiù si avvicinavano ai giornali di oggi erano

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libri di notizie che servivano a raccontare unsolo fatto. In pratica, erano il nodo di con-giunzione del processo evolutivo tra libri equotidiani. Il più antico libro di notizie inInghilterra risulta essere The Trewe encountre.A realizzarlo è stato Richard Faques, a Lon-dra. Si trattava del resoconto della battagliadi Flodden Field del 9 settembre 1513. Era unpo' come un moderno instant book, cioè unsaggio - spesso scritto da giornalisti proprioperché basato sul loro lavoro cronachistico- che riporta un determi-nato avvenimento in ma-

Le testate dei giornali: dichiarazioni etiche d'altritempi

In che termini è possibile osservare riferi-menti all'etica del giornalismo nei secoli dimancata codificazione? Ci sono diversi fat-tori che fanno pensare a una riflessione deigiornalisti su principi etici. Nel Seicento, peresempio, in Inghilterra i giornali tendevano aessere stampati con alcune indicazioni legateai requisiti di attendibilità e di imparzialità.

Questo, in pratica, era unodei primi modi espliciti didefinizione di alcuni prin-cipi etici nel giornalismo.Nascono promesse e pro-nunciamenti sugli obiettivida raggiungere. Si cerca,attraverso l'attendibilità el'imparzialità, di creare unprodotto di successo. Eccodunque periodici che giànelle loro testate avranno

chiari gli obiettivi da seguire: The True Infor-mer, A True and Perfea Diournal e The Impar-tialIntelligencer. Inizia le sue pubblicazioni nel1643 il Mercunus Civicus, giornale che avràcome sottotitolo London's intelligencefjor; Truthimpartial/y relatedfrom thence to the W hole King-dome to previent misinformation. Il settimanaleè edito da John Wright e Thomas Bates. Èpalese, dunque, nel suo sottotitolo, una sortadi codice etico ante litteram, con l'obiettivo divolersi occupare imparzialmente della veritàdei fatti e della prevenzione della disinfor-mazione. Sono gli anni nel corso dei quali sivuol fare subito riferimento, nelle testate, avalori etici che contraddistinguono il lavorodi chi vi scrive. Ciò nonostante quelli eranoanche gli anni durante i quali il sensaziona-lismo non mancò, con la pubblicazione dinotizie senza alcun genere di fondamentobasate più che altro sulla fantasia per attrarrenuovi lettori. È per questo che - per miglio-rare il rapporto di fiducia tra stampa e lettori- il Week/y account promette di presentare lenotizie «senza alcun commento indorato, fin-zioni inventate od. osservazioni compiacen-ti». È il 1651, invece, quando Daniel Bordersul Faithful Scout scrive di avere intenzione di

Obiettivo di questo studioè concentrare l'attenzione

sulla base che poi haportato i giornalistia realizzare propri

documenti deontologici

niera molto più dettagliatarispetto a un semplice ar-ticolo di giornale. È conle guerre anglo-scozzesiche l'esperienza di questepubblicazioni cresce, pro-babilmente perché il pub-blico le richiedeva semprepiù spesso. Dunque, il suosviluppo sarebbe da anno-verare anche grazie a una semplice legge del-la domanda e dell'offerta. Si iniziava ad averefame di notizie scritte, attuali e dettagliate.Tanto che, alla fine del Cinquecento, un cor-rispondente francese disse: «Voi in Inghilter-ra aspettate notizie con ogni buon vento». Ilcammino verso i giornali propriamente detti(che hanno diverse caratteristiche immutatenel tempo, tra cui la periodicità e la varietàdei contenuti) si faceva così sempre più spe-dito. In Inghilterra, in vent'anni - tra il 1590e il 1610 -, vennero pubblicate circa 450 diqueste pubblicazioni monografiche d'attuali-tà. A parte qualche timida esperienza di metàCinquecento - come «l'assetato desiderio»inglese - è possibile sottolineare come le ra-dici della deontologia professionale risalganoal Seicento.La presa di coscienza deontologica da partedei primi editori nasce dalla consapevolezzasempre maggiore che i giornali comincinoad avere un pubblico di riferimento semprepiù grande e inizino a essere rilevanti nellasfera sociale, per l'influenza che hanno nel-la pubblica opinione e, di conseguenza, nellepolitiche pubbliche (questo, soprattutto traOttocento e Novecento).

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«incontrare la menzogna con la spada dellaverità». «Non cercherò di adulare il mondoin una convinzione di cose che non sono, mameramente di informarlo di cose che sono»,prosegue. Ciò, mentre il direttore del Mode-rate Intelligencer sottolinea di non essere «unvenditore di favole» che presenta al mondo«le tragicommedie» di sua invenzione.

Più fatti al posto di sole opinioni

È con i corantosche arrivano in Inghilterra chel'informazione giornalistica fa un nuovo pas-so in avanti: dalla scrittura scandalistica di al-cune gazzette si passa a un'informazione piùlegata alla quotidianità e all'attcndibilità. InEuropa, la libertà d'informazione maggioreè proprio in Olanda, con i corantos che nonhanno bisogno di visti ufficiali per la loropubblicazione. Si tratta di settimanali o biset-timanali, fogli riservati a un pubblico elitarioche vuole approfondimenti sulla politica esull'economia. I commercianti olandesi ave-vano necessità di questo prodotto: badavanomolto di più ai fatti, utili per analizzare cri-si, carestie, momenti di particolare ricchezzaeconomica, per completare al meglio i loroaffari. Si tratta di un ruolo importante, dun-que, quello della gazzetta - o, meglio, del co-ranto olandese - proprio perché garantisce unquadro chiaro dello scenario politico e socia-le per analizzare le cronache del momento. Atutto ciò va aggiunto che gli Olandesi pote-vano permettersi una rete di corrispondenzeparticolarmente ramificata in tutto il mondoallora conosciuto, grazie alla rete commercia-le, particolarmente florida, che erano riuscitia organizzare. Dunque, potevano avere uncolpo d'occhio di gran lunga migliore. Coni corantos riuscivano a dare informazioni allaCompagnia olandesedelleIndie orientali e agli StatiGenerali delle Province unite.È nel 1620 con un corantoscritto dal cartogra-fo-editore di Amsterdam, Pieter van den Keere,che ci sarà a Londra un primo esempio discrittura con un linguaggio «asciutto», obiet-tivo, attinente ai fatti. È un po' il progenitoredel giornalismo, che userà come motto «i fat-ti separati dalle opinioni». Sarà l'opposto di

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quanto provavano a fare i «gazzettieri», cheinvece potevano raccontare cronache colo-randole di fatti fantasiosi. La prima "frattu-ra" giornalistica è fatta: da una parte chi vuolriportare la verità sostanziale dei fatti, dall'al-tra chi usa un linguaggio più sensazionalisti-co per attrarre i lettori.

L'attendibilità inizia dalla puntualità: un processodi ftliera

Uno dei grandi problemi dell'elaborazionedei giornali, a cavallo tra Seicento e Settecen-to, era legato ai trasporti e alla mobilità dellepersone più in genere. Nel Seicento, Natha-niel Butter, uno dei padri del giornalismoinglese, prese l'impegno con i suoi lettoridi far «uscire costantemente» il suo giornale«nello stesso giorno della settimana» o «al-meno ogni quindici giorni se la posta arri-va regolarmente», perché a rendere le cosecomplicate era l'arrivo delle notizie via maree, dunque, il maltempo, che poteva fare gra-vi danni non solo alla marineria ma anche,conseguentemente, alla stampa. Si tratta diun fattore di non poco conto visto che il sen-so di affidabilità non può essere rispettato apieno se non si è precisi in tutte le fasi dell'e-laborazione del giornale, dalla stesura degliarticoli alla stampa, fino alla diffusione. Laperiodicità, infatti, se da una parte portava aun rito abitudinario che avrebbe trasformatoil quotidiano, per dirla come il filosofo te-desco Jurgen Habermas, nella preghiera delmattino dell'uomo moderno, dall'altra sareb-be stata la testimonianza chiara di un lavorometodico, puntuale, fatto con professionalitàe cura da parte del giornalista. Ecco perchéla puntualità nell'uscita non è da scartare inun'analisi della qualità del testo scritto. TraSeicento e Settecento in Inghilterra nasconoi giornali della sera: si tratta di trisettimanalicome l'Evening Post (nato nel 1706), l'EveningCourant (1711) e il Night Post (1711). L'E ve-ning Post usufruiva dei corrieri di martedì,giovedì e sabato e aveva come slogan «ognisera di posta alle sei in punto». Nel 1781 faaltrettanto la Noon Gazette con la sua usci-ta «a mezzogiorno in punto» o The Cabinet

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che nel 1792 diceva di uscire «precisamentequando la Horse Guards (la guardia reale a ca-vallo della Regina) batte le cinque» del pome-riggio (con un riferimento all'orologio dellacaserma di Whitehall della Queen ~ Lije HorseGuards). Questa puntualità e precisione nelprocesso di filiera arriva nel Times, che dal 2gennaio 1804 - giorno del suo primo nume-ro - ha come logo un libro aperto (simbolodel passato), un libro chiuso (segno del futu-ro) e un orologio che segna le 6 e sei minutidel mattino, ora in cui l'edizione quotidianasi chiude.

Il lessico etico del Seicento

Sempre in Inghilterra, Marchamont Nedhamfonda, a 23 anni, nel 1643, il Mercurius Britan-nicus «per la migliore informazione del popo-lo». Negli articoli dei pampWet compaionotermini come verità, fedeltà e imparzialità di-ventando protagonisti della sfera pubblica: sicomincia a creare una sorta di «lessico etico».Nel 1644 Richard Collings, direttore del King-domes Weekfy Intelligencer, scrive: «Non ci sonomai stati più pretendenti della libertà che inquesta epoca, né mai meno di chi l'ha ottenu-ta». Sul London Courant, nel 1688, John Wallispromette di scrivere «con 1'integrità di unostorico» per «rendere giustizia a tutte le parti,rappresentando le cose come realmente ac-cadono». Sulla prima pagina del Parliamentaryintelligencer compare la scritta «Per l'informa-zione del popolo». Nel 1680 il Currant Intel-ligencer dice ai lettori che vuol presentare lenotizie «senza nessun discredito su personeo cose, dando solo i fatti».L'etica traspare anche in Germania e Russia.Il Berlinische Nachrichten von Stats und GelehrtenSachen aveva come motto «Verità e libertà»mentre a San Pietroburgo, nel 1769, vienepubblicato un settimanale di otto pagine,Truten - fondato grazie a una idea di NicolajIvanovic Novikov - che scriverà un mottoderivato da una fiaba di Aleksandr PetrovièSumarokov: «Essi lavorano perché voi pos-siate trarne la verità».È da sottolineare - per capire quale il climache invade l'Europa di quegli anni - come

sia di questo secolo l'Aeropagitica, un tratta-to scritto da John Milton, pubblicato il 23novembre 1644. È un intervento a sostegnodella libertà di stampa, contro la censura pre-sente a causa della Press Ordinance, approvatail 14 giugno 1643 (l'atto stabiliva la censuradelle opere e il loro controllo prima dellapubblicazione). Distribuisce il suo Aeropagi-tica (chiamato così per ricordare l'Aeropagoe l'oratore ateniese Isocrate) stampandolo inun pamphlet. Controllare la stampa, secondoMilton non serviva a «sopprimere quei libriscandalosi, sediziosi e diffamatori» ma solo a«scoraggiare ogni studio e a soffocare la veri-tà». Nell'Aeropagitica scrive che la verità nellaBibbia «è paragonata a una fonte che scorre»e «se le sue acque non fluiscono in perfet-ta continuità, imputridiscono in uno stagnomelmoso di conformismo e di tradizione».La verità «non ha bisogno di censure per vin-cere», aggiunge. «Prima di ogni altra libertà,datemi la libertà di conoscere, di esprimermie discutere liberamente secondo coscienza»,continua.

I giornali in livrea

In Francia, nel Cinquecento, erano i foglioccasionnel a farla da padrone: si trattava digiornali di quattro pagine senza una vera epropria periodicità. Solo dopo uscirono oc-casionnel chiamati canard, cioè anatre. Il loroobiettivo era quello - come fa ricordare iltermine - di starnazzare le notizie, amplifi-candone e dandone particolarmente risalto.Il nome è ancora in auge oggi con un gior-nale satirico francese - uno dal maggior suc-cesso nel mondo - dal nome Le Canard en-chainé. È negli anni dei giornali starnazzantiche Théophraste Renaudot - uno dei padridel giornalismo francese - pubblica la Ga-zette de France. Era il 1631 quando esce il suoprimo numero. È uno dei giornali cosiddet-ti «in livrea», cioè organi ufficiosi del pote-re politico. Giornali, dunque, che venivanostampati su licenza del regime - in questocaso, quello francese ---r e che presero piedeanche al di fuori del regno francese. «Unasola cosa non cederei a nessuno: la ricerca

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In Italia non ci sonomolti esempi di etica

giornalistica tra le gazzetteche in quegli anni vengono

diffuse lungo la penisola

della verità, della quale tuttavia non ne faccioil garante», scrive Renaudot. Ponendo per laprima volta l'attenzione sulla questione dellefonti, dice: «La storia è la relazione delle coseavvenute, la Gazzetta soltanto delle voci checorrono. La prima è tenuta a dire la verità, laseconda fa già molto se impedisce di menti-re. E non mente nemmeno quando riferiscenotizie false che le sono state comunicatecome vere. Solo la menzo-gna diffusa coscientementecome tale può renderla de-gna di biasimo». Il legametra giornalisti e potere po-litico per chi lavorava neigiornali in livrea era parti-colarmente forte. Renau-do t, sulla Gazette dell'8 novembre del 1632,scrive del viaggio «del re da Tolosa a Parigi»raccontando come lo stesso sovrano sia riu-scito a guarire oltre <<230malati a Fronton ealtri 20 lo stesso giorno a Montauban» conun suo semplice tocco. Un sensazionalismod'altri tempi che però rende particolarmenteesplicito il vincolo della gazzetta ufficiosa delreglffie.

Le esperienze italiane

In Italia non ci sono molti esempi di eticagiornalistica tra le gazzette che in quegli annivengono diffuse lungo la penisola. È pos-sibile però trovare nel 1646, a Genova, ungiornale dal nome che chiaramente fa tra-sparire l'obiettivo del suo direttore Luca As-sarino, storiografo della corte dei Savoia: sichiama Il Sincero. Lui è un commerciante diorigine brasiliana. Alcuni periodici dell' epocapubblicati in Italia, però, rappresentano gliomologhi della Gazette de France di Renaudot.L'incipit di Successi dal mondo - un foglio italia-no pubblicato a Torino a metà Seicento - ri-porta: «si potràno publicare le maniere soavie prudenti con che Sua Altezza Reale regge egoverna questi popoli, e prevenire a curiositàne i racconti dei bellici successi ...». Un forte,profondo vincolo con il sovrano che porteràil giornale a essere inserito tra le versioni ita-liane dei periodici in livrea.

I1Daily Courant: il primo esempio di testo etico

È nel Settecento che appare in Inghilterrail quotidiano Daify Courant. Nel suo primonumero - che risale al 12 marzo del 1702 -un advertisement scritto dal direttore, SamuelBuckley, dice che sul giornale «si troverà da-gli stampati stranieri ciò che di volta in volta,secondo le occasioni, verrà riportato in que-

sto foglio, che l'Autoreha preso cura di forni-re debitamente di tuttoquanto proviene dall'e-stero in ogni lingua. E agaranzia di evitare che,dietro infingimenti o gra-zie a canali privati, si ve-

rifichi qualsiasi aggiunta di circostanze falsea un evento, e di riportare gli estratti corret-tamente e imparzialmente; all'inizio di ogniarticolo l'Autore citerà il giornale stranieroda cui è stato preso, in modo che il pubblico,vedendo da quale Paese e quale tipo di noti-zie arriva con il permesso di quel Governo,potrà giudicare con maggior cognizione lacredibilità e l'imparzialità di quella relazione:né si slancerà in commenti o supposizionisoggettive ma riporterà soltanto dati di fatto;supponendo che anche gli altri abbiano suf-ficiente buonsenso per svolgere da sé le pro-prie riflessioni. Questo Courant (come mo-stra il titolo) sarà pubblicato giornalmente:essendo pensato per dare tutte le notizie chevia via arrivano con ogni postale: e si limita ametà dello spazio per risparmiare al pubblicoalmeno metà delle impertinenze dei giorna-li comuni». Ecco qui chiari i riferimenti aiconcetti di attendibilità dell'informazione,verifica delle fonti, correttezza e imparzialità,puntualità, l'elaborazione di articoli con fattiben separati dalle opinioni. Inoltre - e nonè un riferimento di poco conto visti i pre-cedenti nel giornalismo fino a quel periodo-, anche la mancanza di sensazionalismo e ilbuonsenso, alla base di ogni produzione ero-nachistica. Dopo anni di timide incursioni, ditestate che avevano nel loro nome i principidi eticità, di brevi dichiarazioni dall' alto pro-filo etico, ecco qui il primo articolato atto diintenti della storia del giornalismo.

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Conclusione

_wche nell'epoca in cui ancora erano lon-tane le carte dei diritti umani si delineava ilruolo del giornalismo e di un approccio eticoai mass media. Il sensazionalismo dei primitempi - soprattutto con notizie senza alcunfondamento - lasciava pian piano spazio auna discussione profonda su alcuni principidi base fondanti per la professione giorna-listica. L'attendibilità, la precisione, il buon-

enso, iniziavano a prendere piede in unaprofessione che necessitava allora - e neces-sita ancor di più oggi, nella società dell'infor-mazione - che ci siano criteri etici da rispet-rare. Ciò perché senza etica la credibilità stes-

a della professione giornalistica viene menoe, dunque, cadrebbe il senso stesso del pesomorale delle informazioni diffuse. Le paroledi Samuel Buckley sul Daify Courant, dunque,non nascono a caso, ma crescono in un ter-reno fatto di testate e sottotitoli capaci di farriferimento a principi etici, a descrizioni lin-

guistiche - come la spada della verità - capacidi raccontare, e riassumere, quale sia la faticae la difficoltà del giornalista nel fare il suolavoro. Ieri come oggi.

Riferimenti bibliografici

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editore, 1961.S.J.A. WARD, The inoention of journalism ethics. The path toObjectivity and Beyond, McGill-Queen University Press,

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