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www.habitart.org LE OPERE E LE RICERCHE: Affresco con la Madonna con bambino e due santi di Giovan Francesco Bezzi detto il Nosadella (Via dell'Inferno 3) Il rovinato affresco si trova sotto il portico della casa anticamente appartenuta ai Piantavigne, famiglia di funzionari pubblici e di notai, che fecero restaurare nel 1460 la scomparsa chiesa di Nostra Donna dell'Avesa, sulla quale sarebbe sorto l'attuale edificio. La chiesa sorgeva sul vecchio torrente dell'Avesa (Aposa), nome della moglie di Fero, mitico fondatore della Felsina etrusca, corso d'acqua in seguito tombato nel XV secolo. Estinta la famiglia nel '400, la chiesa fu chiusa nel 1568 dal Vescovo e Cardinale Gabriele Paleotti che la destinò ad usufrutto di alcune confraternite religiose dedite alla carità; come la confraternita dell'oratorio di S. Maria Maddalena o il conservatorio di S. Marta ora in via S. Vitale, nel cui fianco sorge la casa medievale a stilate lignee di via Begatto, entrambe trattate dalla nostra associazione. Nel 1640 la chiesa venne demolita e al suo posto sorse l'attuale edificio. Il fatto che la superficie dell'affresco sia in aggetto di 30 cm rispetto alla parete del muro a causa di un intercapedine e che ci sia al di sotto di esso una cornice di legno, ha fatto presumere che l'opera potesse trovarsi nella scomparsa Habitart – Associazione Culturale Via Pelagio Palagi 3/2 www.habitart.org / [email protected] Presidenza: 339 2762842 / 328 3063847 Ufficio stampa: 348 9324322

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LE OPERE E LE RICERCHE:

Affresco con la Madonna con bambino e due santi di Giovan Francesco Bezzi detto il Nosadella (Via dell'Inferno 3)

Il rovinato affresco si trova sotto il portico della casa anticamente appartenuta ai Piantavigne, famiglia di funzionari pubblici e di notai, che fecero restaurare nel 1460 la scomparsa chiesa di Nostra Donna dell'Avesa, sulla quale sarebbe sorto l'attuale edificio. La chiesa sorgeva sul vecchio torrente dell'Avesa (Aposa), nome della moglie di Fero, mitico fondatore della Felsina etrusca, corso d'acqua in seguito tombato nel XV secolo. Estinta la famiglia nel '400, la chiesa fu chiusa nel 1568 dal Vescovo e Cardinale Gabriele Paleotti che la destinò ad usufrutto di alcune confraternite religiose dedite alla carità; come la confraternita dell'oratorio di S. Maria Maddalena o il conservatorio di S. Marta ora in via S. Vitale, nel cui fianco sorge la casa medievale a stilate lignee di via Begatto, entrambe trattate dalla nostra associazione. Nel 1640 la chiesa venne demolita e al suo posto sorse l'attuale edificio.

Il fatto che la superficie dell'affresco sia in aggetto di 30 cm rispetto alla parete del muro a causa di un intercapedine e che ci sia al di sotto di esso una cornice di legno, ha fatto presumere che l'opera potesse trovarsi nella scomparsa

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chiesa e che sia stata spostata all'esterno del nuovo edificio. Se così fosse si tratterebbe di un affresco realizzato per una chiesa e destinato solo successivamente per la devozione pubblica sotto il portico, il che spiegherebbe forse la sproporzione fra la monumentalità delle figure sacre e il ridotto spazio in cui sarebbero state allocate. Le fonti del '600 e '700 citano l'affresco della casa dei Piantavigne di mano di Giovan Francesco Bezzi detto il Nosadella, dalla via in cui abitava, e fino all'inizio del secolo scorso erano visibili una Madonna con bambino fra S. Rocco e S. Antonio Abate con sullo sfondo Piazza S. Marco a Venezia. L'assenza nell'affresco dell'edificio delle Procuratie Nuove, dovute all'allievo del Palladio Vincenzo Scamozzi, fece datare il dipinto a prima del 1582 circa, quando questo edifico fu iniziato. Altri elementi veneziani ancora vagamente riscontrabili sono la tenda posta dietro la Vergine, seduta in alto su un trono, mentre della corona in rilievo rimane solo l'impronta sull'intonaco.

Anche se le fonti non spiegano il perché di questa ambientazione veneziana, molto inusuale per Bologna, oggi l'affresco è purtroppo altamente compromesso e sono leggibili solo le sagome delle figure. Tuttavia queste ultime sembrano essere molto monumentali, dato che il Nosadella conobbe il michelangiolismo di Pellegrino Tibaldi, con il quale lavorò a Palazzo Poggi nel 1550. Il Nosadella però ha uno stile meno aulico e classico del maestro e sembra più invece seguire l'espressionismo nordico. Stando a queste date quindi l'affresco, al di là dell'originaria collocazione, è da datare dalla metà del secolo, dato che il Nosadella risulta immatricolato fra i pittori solo dal 1549, al 1582 circa. Tentare di ripristinare il più possibile questo affresco significherebbe dare visibilità agli elementi ancora recuperabili, riconsegnandolo alla città dall'oblio a cui sembra condannato, e implicherebbe un monito a ciò che un'accurata e continuata conservazione avrebbe potuto preservare se si fosse agito in tempo.

(Scheda di Guido Checchi)

I Beccadelli e la genesi dei portici (Via del Carro 3)Nel tardo medioevo il forte incremento della popolazione a Bologna, dovuto anche allo sviluppo dell'Università, rese necessaria la costruzione di altre unità abitative: si ampliarono così i piani superiori delle case esistenti con costruzioni sporgenti, rette dal prolungamento delle travi portanti e da mensole che erano dette «beccadelli».Dovendo ampliare successivamente questi elementi sporgenti, i «beccadelli» non risultarono più in grado di reggere l'aumento di carico e si rese necessario scaricare a terra il sovrappeso tramite colonne in rovere. All'epoca quasi tutte le costruzioni, tranne le torri, erano realizzate nel medesimo materiale anche perchè il territorio attorno alla città era ricco di foreste di querce.

In via del Carro gli sporti dei solai sono sostenuti da archi ribassati in mattoni, che scaricano il peso sulle mensole in pietra decorata con doppia sagoma a volute di foglie e rose scolpite. Si può presumere, dal punto di vista stilistico, una datazione alXV secolo, dato che le forme decorative sembrano essere a metà strada fra il tardo gotico e il primo rinascimento; classico nella concezione, come testimoniano i dentelli, ma di un formato ancora un po' grossolano, come le foglie delle volute. Tra i più illustri scultori di pietra nella Bologna del XVI secolo possiamo contare Andrea Marchesi da Formigine, autore del portale e del palazzo Malvezzi Campeggi in via Zamboni, ma anche Fioravante Fioravanti che utilizza l'arco ribassato nel cortile tardo gotico del Palazzo Comunale.

Nel 1288 venne promulgato un bando per cui nessun nuovo edificio doveva essere privo diportico alto almeno 7 piedi bolognesi (2,66 metri), cioè quanto un uomo a cavallo e largo altrettanto. A queste misure non ci si attenne scrupolosamente, specie nelle zone più povere, poiché l'importante era che le abitazioni cittadine fossero munite di portici.

(Scheda di Davide Cuppini)

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Maddalena penitente della Confraternita di S. Maria Maddalena (via Mascarella)La Confraternita di S. Maria Maddalena era sorta a Bologna verso il1512 e dopo essere stata in varie sedi provvisorie, fra cui anche una loggia superstite dello scomparso palazzo Bentivoglio - sul cui sito sorge ora il settecentesco Teatro Comunale - e la scomparsa chiesa di Nostra Donna dell'Avesa, trovò definitiva sistemazione nel vecchio ospedale di S. Onofrio, vicino alla chiesa di S. Maria della Mascarella attorno al 1557.

I membri di questa confraternita, detta anche Congregazione dei XII apostoli in S. Maria Maddalena, erano dediti ad attività caritatevoli, ottenendo lasciti e donazioni per ricostruire il cadente edificio dell'ospedale, fondato nel XIII secolo da Domenicani spagnoli, per riconvertirlo in orfanotrofio per trovatelli.Al 1765 circa è datata la grande scultura in terracotta dipinta di bianco raffigurante Maria Maddalena posta sopra il portale di ingresso dell'orfanotrofio della confraternita. L'opera è attribuita allo scultore bolognese Gaetano Pignoni, allievo e nipote di Angelo Gabriello Piò, uno dei principali scultori attivi a Bologna nel XVIII secolo. Il rilievo del Pignoni, a dispetto dello stile patetico e sentimentale della sua opera, tipico delle confraternite religiose, è di una idealizzata e composta classicità.La tradizionale iconografia della Maddalena penitente è ripresa nel teschio, simbolo della morte e della transitorietà della vita materiale, e il vaso di unguenti con cui curò le ferite del Cristo, ma la scultura se ne discosta nella figura della Maddalena penitente che è castigatamente vestita, senza accenni di nuda sensualità riferita al suo passato come era invece di consueto. Il rilievo di Pignoni è una delle poche opere settecentesche ancora riscontrabili nella struttura dopo la ricostruzione del dopoguerra, dato che solo l'aula al piano superiore è stata ripristinata nelle decorazioni originarie, mentre l'aula al piano terreno è ora spoglio. Per questo il restaurare tale scultura comporterebbe la salvaguardia di una delle poche testimonianze sopravvissute ad oggi del complesso originario.

(Scheda di Guido Checchi)

Madonna con Bambino (via Oberdan 9/11)La scultura a mezzo busto rappresentante la Madonna con il Bambino sembra semplicemente una delle tante immagini votive diffuse nelle vie della città, eppure la questione è controversa. La lavorazione a tutto tondo, l'utilizzo del trapano per evidenziare i riccioli dell'acconciatura, il movimento fluido del panneggio, l'eleganza del volto e il gioco di sguardi tra la Madre e il Figlio ricordano le Madonne di inizio Quattrocento, da cui evidentemente deriva. Si pensi allo scultore senese Jacopo della Quercia, che realizzò a Bologna le formelle della Porta Magna di San Petronio (1425-1434), o alla bottega di Andrea e Luca Della Robbia che produceva le Madonne bianche e azzurre in terracotta invetriata destinate alla devozione privata. Tuttavia, la collocazione dell'immagine votiva in un' area che ha subito, nel Settecento e all'inizio del Novecento,numerosi sventramenti, pone alcune questioni sulla sua autenticità storica.

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Nell'area sorgeva l'antico ospedale e la chiesa di San Giobbe, gestiti dalla Compagnia dei Laudesi, che si occupavano della cura dei malati di sifilide. La confraternita fu soppressa nel 1796 dalle truppe giacobine arrivate a Bologna. La chiesa e l'oratorio furono distrutti. Una decina di anni prima (1784-88) era stato abbattuto un isolato di edifici quattrocenteschi per fare spazio al nuovo palazzo dei Tubertini. La zona subì ulteriori modifiche quando, all'inizio del XX secolo, si decise lo sventramento del Mercato di Mezzo e l'abbattimento delle torri. La nuova Via Rizzoli, tra il 1919 e il 1928 fu lottizzata dai gruppi finanziari. Qui fu costruito il Palazzo del Credito Romagnolo e la Galleria Acquaderni. Il progetto di Edoardo Collamarini presenta uno stile rinascimentale modernizzato. E se l'immagine votiva appartenesse a quel gusto neorinascimentale? Sarà necessario risolvere il mistero del materiale: arenaria (come parte della incorniciatura) o pietra artificiale? Anche se fosse un'opera della I metà del Novecento meriterebbe di essere valorizzata perchè sarebbe una piccola testimonianza della cultura estetica bolognese degli anni Trenta, che predicava una riappropriazione delle radici culturali cittadine, di cui le immagini votive fanno pienamente parte.

(Scheda di Francesca Caldarola)

Pietra sepolcrale di Lucio e Mondino de'Liuzzi (Via San Vitale)

Si tratta della pietra funebre del medico Lucio de' Liuzzi fatta scolpire nel 1318 dal nipote Mondino De Liuzzi, che fui a sua volta seppellito insieme allo zio nel 1326. Nel bassorilievo, infatti, è raffigurato lo zio Lucio seduto in cattedra mentre insegna a una classe di sei studenti che prestano attenzione in atteggiamenti diversi. La pietra sepolcrale, come leggiamo dall’iscrizione sopra il bassorilievo, è opera di uno dei pochi scultori noti del medioevo bolognese: IL MAESTRO ROSO DE PARMA. L’opera probabilmente piacque ai Doctores della Bologna del XIV perché qualche anno più tardi nel 1338, il Maestro realizzo il monumento funebre del medico Pietro Cerniti che possiamo ammirare al Museo Civico Medievale tra i Monumenti dei dottori dello Studio. Lucio e Mondino appartenevano a una famiglia di speziali d’orientamento ghibellino originari della toscana che e a Bologna conducevano una farmacia, entrambi studiarono Medicina presso l’Università di Bologna e si dedicarono all’insegnamento. Del nipote Mondino abbiamo maggiori notizie perché ebbe un importante ruolo nella storia della medicina perché fu Lettore presso l’Università di Bologna e introdusse l’anatomia regionale e la dissezione del cadavere tra le materie di studio dei futuri dottori. Tra gli scritti di Mondino l’opera più nota è “Anathomia”, il primo trattato clinico-chirugico sull’applicazione pratica di questa disciplina, datato al 1316, ma probabilmente redatto in più momenti come materiale didattico per i suoi studenti e in cui affronta criticamente con il sapere del tempo i sapienti della tradizione medica classica e araba. Nella Bologna trecentesca il sapere che si diffondeva capillarmente sia dentro che fuori l’Università infatti numerosi professionisti fornivano lezioni fuori dall’Ateneo in abitazioni private a un ristretto numero di studenti o tabernaria in cui talvolta c’erano servizi di vitto e alloggio simili a quelli di un moderno studentato, così anche Lucio e Mondino insegnavano privatamente nella stessa casa di proprietà dello zio. Benchè gli studenti universitari fossero quasi esclusivamente uomini, alcune donne, spesso legate a un familiare docente, entrano nell’Ateneo trecentesco associate all’insegnamento così proprio l’assistente di Mondino era proprio una ragazza Alessandra Giliani (1307-1326) esperta nella dissezione dei cadaveri.

(Scheda di Anna Tonelli)

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Santi (Via Petroni 13)

Le due immagini-fantasma, affrescate sulle pareti del portico di via Petroni, sono testimonianza della tradizione delle immagini votive, diffuse in tutto il tessuto urbano, segno della religiosità dei bolognesi. I due affreschi sono ormai iconograficamente impossibili da riconoscere. Se nel 1957, Angelo Raule, uno dei conoscitori dei “Tabernacoli delle nostre vie” li indica come due Santi, la scheda della Sovrintendenza suggerisce che possano essere Giuseppe e Maria. La rappresentazione della Sacra Famiglia è, infatti, simbolo di protezione della casa e della famiglia.

La lunetta maggiormente leggibile è quella in cui è rappresentata la figura femminile: la donna ha un copricapo monacale, le mani giunte in preghiera e lo sguardo rivolto verso il basso. Verso chi? Si può ipotizzare che l'affresco, databile intorno al XVI-XVII secolo, facesse parte di una rappresentazione più ampia?

(Scheda di Francesca Caldarola)

Trompe l'oeil: il Canale delle Moline

Il tema dell'affresco è opera di suggestione: chiama a riflettere sul fatto che Bologna è una città d'acqua. Acqua, linfa della città; sepolta negli anni '50 ed ora sempre più riscoperta come bene prezioso.

Siamo nella direzione del canale delle Moline che si forma all'altezza di via Marconi con parte dalle acque del Canale Reno e prosegue il suo corso lungo via Riva di Reno, poi parallelamente a via Augusto Righi per deviare a Nord lungo via Capo di Lucca.Superata la cerchia dei viali di circonvallazione (le antiche mura) si unisce alle acque provenienti dall'Aposa e dal Savena deviando verso Ovest per andarsi a immettere nel Navile all'altezza della chiusa della Bova.Lo si può vedere da una finestrella sotto il portico di via Piella (proprio qui dietro, voltato l'angolo!): prosegue poi quasi completamente, eccetto piccoli tratti visibili da un giardino pensile in via Capo di Lucca.

Proponiamo di realizzare qui un’opera celebrativa sul tema delle acque e dei canali a Bologna, per fare di una posizione ora poco valorizzata un monumento iterativo che serva come spunto per approfondire la storia dei canali di Bologna.La pavimentazione sarà sostituita con lastre di vetro al di sotto delle quali verrà fatto scorrere un getto d’acqua per tutta la larghezza del portico, in modo da dare l’impressione che l’acqua del canale prosegua dal disegno murale.Mediante lampade integrate al livello dell’acqua, anche la sera l’effetto viene percepito ed ampliato grazie al riflesso della luce, creando una sensazione di sospensione del passante.

(Scheda di Davide Cuppini)

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Casa medievale (via Begatto)La piccola casa di via Begatto è una delle poche testimonianze storiche rimaste dell'architettura civile medievale bolognese risalente alla metà del 1300.

L'edificio sorgeva in una zona periferica al di fuori della seconda cerchia muraria, la cosiddetta cerchia del Mille ed era ubicato a ridosso del complesso conventuale di S.Marta che, all'epoca, ospitava il Conservatorio maschile e l'Orfanotrofio de' Mendicanti della città. La sua struttura è formata da una costruzione in mattoni a vista, un portico trabeato con travi lignee, un primo piano con finestre ogivali e, infine, un portone con arco a tutto sesto e decorazioni in terracotta. Nel 1903 la casa venne restaurata da Alfonso Rubbiani che ne rispettò l'originaria altezza rimettendo in luce le finestre del piano superiore e completando le decorazioni in terracotta.

Le particolarità dell'edificio sono legate al fatto di avere un'altezza del porticato molto meno elevata del piano superiore, che gli conferisce un aspetto poco slanciato e un bell'esemplare di traforo cieco in pietra nel lato nord.

Infine, è interessante sapere che negli anni Trenta del Novecento furono presentate alcune proposte di sistemazione o, addirittura, demolizione della casa che poggiava, come oggi, troppo a ridosso della facciata della Clinica di Odontoiatria che doveva essere ricostruita. I progetti prospettavano diverse possibilità, che andavano dallo spostamento dell'edificio nell'angolo opposto della strada al suo inserimento nel cortile della clinica come museo di storia odontoiatrica fino alla sua completa demolizione per migliorare la viabilità stradale. Tuttavia, sia la Soprintendenza locale che il Ministero rifiutarono queste alternative salvando, in tal modo, uno degli esempi più caratteristici e interessanti della Bologna medievale.

(Scheda di Lorenzo Bonazzi)

Portale di Palazzo Malvezzi Campeggi (Via Zamboni 22)Palazzo Malvezzi Campeggi fu commissionato da Cesare di Giovanni Malvezzi ed eretto tra il 1522 e il 1548. Le forme snelle, l'eleganza e l'equilibrio che lo contraddistinguono, lo rendono una delle più armoniose realizzazioni del rinascimento bolognese.A tutt'oggi resta unanime l'ipotesi che il progetto del palazzo sia da attribuire ad Andrea Marchesi da Formigine, affiancato da figlio Giacomo.Il palazzo è stato rimaneggiato nel 1730 quando fu costruito il salone delle armi e attualmente l'edificio è sede della Facoltà di Giurisprudenza.

Tornando alla personalità artistica del Formigine, poco conosciamo di lui e della sua vita se non che è stato un architector e incisor lapidum molto importante a Bologna e proprio a lui si deve la diffusione della decorazione in macigno accanto alla decorazione in cotto in voga a Bologna.La sua opera in terra emiliana sarebbe da estendere a numerose dimore signorili, delle quali avrebbe progettato l'intero fabbricato e gli elementi decorativi, fra le quali si citano il portico di San Bartolomeo e la progettazione di Palazzo Del Monte e Fantuzzi.Per quanto riguarda la costruzione di Palazzo Malvezzi, secondo gli studiosi, sarebbe stato coinvolto anche il figlio Giacomo, con il quale Andrea avrebbe progettato la facciata in arenaria con le colonne doriche del portico, gli archi e i

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marcapiani oltre al portale di ingresso al palazzo.Le decorazioni del portale sono state realizzate in arenaria, materiale roccioso molto utilizzato nella Bologna rinascimentale per realizzare le decorazioni dei palazzi signorili e non solo.In linea con quanto si stava realizzando nei coevi palazzi signorili di Bologna, quali Palazzo Fantuzzi in via san Vitale o nel portale del Collegio di Spagna (entrambi attribuiti ad Andrea), l'artista ha scelto di decorare il portale di ingresso con fogliame, rosette, palme, volute dando vita a elementi di incomparabile nitidezza e levità di tratto che caratterizzano la sua mano e quella del figlio Giacomo.

(Scheda di Lucia Bonora)

Murale "500 anni dalla conquista" di Luis Gutierrez (Via Zamboni)

‘El mural’ 500 anni dalla conquista domina la parete di via Zamboni dal 1988, anno del IX° centenario dell’Università di Bologna. L’autore, Luis Gutierrez, pittore colombiano e allora studente di Storia dell’Arte, lo donò alla nostra città a nome di tutti i suoi colleghi sudamericani.

L’opera riporta attraverso simboli e personaggi la storia e le lotte d’indipendenza dei popoli latinoamericani. Un viaggio temporale che parte da lontano con i Maya, gli Aztechi e gli Incas e riporta un simbolo del Codice Cospi (documento conservato nella Biblioteca Universitaria). Il percorso prosegue con le radici razziali della popolazione sudamericana: i popoli autoctoni, gli schiavi africani, i conquistatori spagnoli e portoghesi. L’artista ricorda i grandi personaggi che hanno ‘costruito’ la sua nazione come Tùpac Amaru, Simón Bolívar, José Martí, Augusto César Sandino, Salvator Allende, ‘Che’ Guevara, Camilo Torres e Fidel Castro. Il racconto di Gutierrez si raccorda con la cultura italiana e rende omaggio alla nostra arte con Caravaggio, alla nostra città con una studentessa del medioevo simbolo dell’Alma Mater Studiorum, alla nostra università con gli studenti che manifestano ‘inforcando’ le biciclette.

Luis Gutierrez fonde il reale con l’immaginario, l’apollineo con il dionisiaco e riesce ad andare oltre l’esotismo e il folklore. Infatti, lo stile dell’artista colombiano raccoglie l’eredità dei muralisti messicani degli anni Trenta che posero fine alla pittura da cavalletto sostituendola con grandi decorazioni murali rivolte al popolo di lettura immediata e dai contenuti didascalici. In particolare ritroviamo nell’opera bolognese il linguaggio realistico ma venato di arcaismi di derivazione sia dotta sia folklorica di Diego Rivera, pittore formatosi a Parigi attraverso il cubismo ed estasiato dall’Italia con la grande pittura a fresco del Trecento giottesco.

500 anni dalla conquista é il più vecchio murale attualmente esistente a Bologna e proprio per questo merita una corretta valorizzazione.

(scheda di Chiara Cantalice)

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