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REPORT 2015 Giugno 2015. Florin è un ragazzo che proviene dal campo rom di via di Salone (Periferia Est di Roma); vive con i genitori e con tre fratelli, di cui uno sordomuto. Arriva al centro 4 anni fa per prepararsi al conseguimento della licenza media, inviato da Ermes, una cooperati- va che si occupa della scolarizzazione dei ragazzi rom nel campo. Conseguita la licenza media, decide di frequentare il corso di ristora- zione, per coltivare la propria passione culinaria: il credito che porta alla licenza media, è proprio una ricetta tipica del suo paese, la Roma- nia. Dimostra subito di es- sere un ragazzo volentero- so, disponibile, con una simpatia assolutamente con- tagiosa. Questo gli permette di intraprendere anche un percorso di teatro, tanto da far parte di uno spettacolo di benecienza organizzato da Roberto Sinagoga (il mene- strello di “Notre Dame de Paris”), teso a coinvolgere al- cuni ragazzi del Borgo a fare dell’esperienza teatrale un momento di crescita perso- nale (sia relazionale che di impegno). Per Florin è stata una bellissima esperienza, soprattutto perché si è senti- to “riconosciuto” per le sue capacità. LE NOSTRE STORIE 5 40 BORGO RAGAZZI DON BOSCO UN LUOGO DOVE POTER SEMPRE TORNARE LA STORIA DI FLORIN

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REPORT 2015

Giugno 2015. Florin è un ragazzoche proviene dal campo rom di viadi Salone (Periferia Est di Roma);vive con i genitori e con tre fratelli,di cui uno sordomuto. Arriva alcentro 4 anni fa per prepararsi al

conseguimento della licenza media, inviato da Ermes, una cooperati-va che si occupa della scolarizzazione dei ragazzi rom nel campo.Conseguita la licenza media, decide di frequentare il corso di ristora-zione, per coltivare la propria passione culinaria: il credito che portaalla licenza media, è proprio una ricetta tipica del suo paese, la Roma-nia.

Dimostra subito di es-sere un ragazzo volentero-so, disponibile, con unasimpatia assolutamente con-tagiosa. Questo gli permettedi intraprendere anche unpercorso di teatro, tanto dafar parte di uno spettacolo dibeneficienza organizzato daRoberto Sinagoga (il mene-strello di “Notre Dame deParis”), teso a coinvolgere al-cuni ragazzi del Borgo a faredell’esperienza teatrale unmomento di crescita perso-nale (sia relazionale che diimpegno). Per Florin è statauna bellissima esperienza,soprattutto perché si è senti-to “riconosciuto” per le suecapacità.

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UN LUOGODOVE POTER

SEMPRE TORNARELA STORIA DI FLORIN

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Le nostre storie

Dopo aver ottenuto 7/10 nell’esame di ristorazione, inizia il tiro-cinio e poi una borsa lavoro per 6 mesi presso la Mensa Solidale del VMunicipio, terminata lo scorso maggio. Il suo percorso lavorativo inmensa è stato monitorato continuamente dal Centro Minori del Borgo,perché malgrado la sua esuberanza, dimostra di essere anche molto insi-curo e quindi non ancora pronto per il mondo del lavoro. Il tirocinioprima e la borsa lavoro poi consentono a Florin di raggiungere maggio-ri sicurezze e competenze professionali. Mentre lavora, frequenta nelpomeriggio anche un corso LIS (Lingua dei Segni) per affinare la co-municazione con il fratello sordomuto.

La famiglia di Florin, all’interno del campo, si distingue da tut-te le altre: il papà lavora, è un uomo di cultura; il loro modo di pensareè diverso rispetto al prototipo delle famiglie rom: l’accoglienza è più at-tenta, non solo nei confronti dell’ambiente (roulotte pulita e profumata)ma anche nei confronti delle persone (non c’è quel gran viavai tipicodei campi rom); nessuno dei fratelli è sposato, anche se il matrimonio èprevisto in giovanissima età: il matrimonio non è nei progetti di Florin,ma neanche nei progetti dei suoi genitori. Non credo che questa vogliadi differenziarsi sia un modo di rinnegare le proprie origini, ma solo unmodo per sottolineare di essere diverso dagli altri. A volte, insieme adaltri ragazzi rom, fa alcune battute tipo «Oh, la fermata dell’autobus erapiena di zingari!» e poi ride come per dire “Lo siamo anche noi”. Forsesoffre di questa situazione ma nella misura in cui si generalizza sui rom.Ad esempio, nella famiglia di Florin non c’è nessuno che ha o ha avutoproblemi con la giustizia. Cosa che invece è routine nelle altre famigliedel campo. Malgrado, però, ne soffra non perde mai la sua gioia e il suomodo di essere solare. Ama stare in mezzo alla gente. Trovare famiglieche escono fuori da questo target è molto raro, anche se il trend stacambiando.

Questa sua voglia di differenziarsi emerge in modo molto forte:è raro trovare nei campi rom esempi di ragazzi che sono “riusciti ademergere”. Chi prova a farcela, spesso viene risucchiato dalla vita delcampo: quando ti trovi ad avere fratelli in prigione e genitori malati,

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l’unica soluzione immediata per sopravvivere è dedicarsi a qualche fur-tarello, malgrado le buone intenzioni! In questo senso, la famiglia diFlorin ha inciso molto sulla sua formazione: non ha esempi negativi infamiglia; ed in lui si vede non solo la motivazione, ma anche la costanzanel credere in queste possibilità di riscatto. A prova di questo, Florin stafacendo una borsa lavoro presso “Checco lo Scapicollo” che sta sullaLaurentina: nonostante la distanza e la fatica (a volte, nel turno serale,fa anche chilometri a piedi per tornare a casa) non viene mai meno alsuo impegno costante nel lavoro. Il progetto delle borse lavoro prevedeche lo stipendio del ragazzo sia a carico del Centro e non dell’aziendache lo accoglie. Questo per permettere ad alcuni ragazzi (che spesso nel-le aziende non sono voluti da nessuno) di sperimentare il mondo del la-voro, ma anche per far “ricredere” alcuni imprenditori sui propri pre-giudizi sociali (infatti, alla fine della borsa lavoro, spesso i ragazzivengono assunti).

La cosa che mi colpisce di lui è di vedere come Florin si senta ve-ramente parte di questo posto, anche se adesso viene molto meno spes-so. Ad esempio, in alcune occasioni come per la festa di don Bosco, ab-biamo chiesto ai ragazzi di prestare il proprio servizio in modototalmente gratuito: Florin ha sempre abbracciato questa proposta conforza, “c’è stato” e questo a me arriva come il fatto che si sia veramentesentito a casa, si sia sentito accolto ed amato, e che questo sia un postodove può sempre tornare e ritornare quando ne sente il bisogno. E poila sua costanza nell’impegno e la sua gioia!

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Le nostre storie

Luglio 2015. La storia che sto perraccontarvi parla di Davide, un ra-gazzo cresciuto in oratorio e che ha

fatto un bel percorso di vita, reso possibile grazie al contributo di vo-lontari, di animatori, di tutta la comunità educativa, ma soprattutto dialcune persone che si sono fatte carico delle necessità che questo percor-so richiedeva, anche di tipo economico, non perché la famiglia non vo-lesse o non potesse contribuire, quanto piuttosto per responsabilizzare ilragazzo nelle scelte che voleva intraprendere.

Il percorso di Davide, fino a qualche anno fa, era impensabile!L’ho conosciuto nel ’97/’98, quando ha messo piede per la prima vol-ta al Borgo Ragazzi don Bosco all’età di 8 anni. Era venuto per inizia-re un gruppo di catechismo: già dai primi ritiri, ci siamo resi contoche prometteva “molto bene” come capobanda, sia durante il giorno,ma anche e soprattutto durante la notte! Era un ragazzino vivace edintelligente, ma proprio in virtù di queste sue doti, anche un bambi-no impegnativo.

Nel 2002 ho dovuto lasciare l’oratorio per un altro incarico; so-no tornato nel 2005 e l’ho ritrovato sempre in oratorio: aveva appenaricevuto la Cresima. In quegli anni manifestava il desiderio di voler di-ventare un animatore; ma dietro a questo suo desiderio, se ne nascon-deva uno più grande: quello di dimostrare che lui “era qualcuno”. E lo

voleva dimostrare sia in oratorioche in piazzetta, sia con gli amici“dentro” che con gli amici “fuori”,assumendo comportamenti diversia seconda del luogo dove stava. Fa-ceva di tutto per essere riconosciutocome un ragazzo in gamba, comeuna persona che “ce sapeva fà!” oche “se la comandava”, anche secon comportamenti abbastanzacontraddittori.

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IL RAGAZZO“CHE CE SAPEVA FÀ”LA STORIA DI DAVIDE

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Davide era consapevole di questo suo modo di essere, delle suecontraddizioni, ma la voglia di emergere era più forte. Tenendo contodel fatto che voleva fare l’animatore a tutti costi, lo abbiamo accolto co-sì com’era, cercando di contenerlo e di indirizzarlo, rimotivandolo ognivolta, facendo in modo che fosse una persona di valore, non solo inoratorio ma anche in piazzetta, con gli “amici di fuori”. Non sempre,però, ci si riusciva, essendo Davide nel pieno dell’adolescenza!

A un certo punto, all’età di 17 anni e mezzo, viene da me e dice:«Voglio lasciare scuola e voglio andare a lavorare» (faceva il quarto superio-re). Effettivamente, da un punto di vista scolastico, aveva sempre stenta-to: ogni anno veniva rimandato e poi promosso con qualche calcio diaccompagnamento, al terzo viene bocciato, frequenta di nuovo il terzoanno, promosso al quarto e verso febbraio gli viene la brillante idea dilasciare la scuola. Ho cercato di capire se era davvero sicuro o se fossestata una decisione presa sulla scia del momento. Era irremovibile! Cosìè stato aiutato a cercare un lavoro e devo dire che, una volta iniziato, illavoro lo ha molto più responsabilizzato della scuola. Ha iniziato a lavo-rare come guardia giurata, poi ha deciso di avviare, assieme a un suoamico, un’attività commerciale di fumetti, aiutato anche dai genitori.

Fino a quando, improvvisamente, è iniziato in Davide un pro-fondo cambiamento: aveva abbandonato gli atteggiamenti di “capetto”per assumere quelli di colui che vuole aiutare gli altri e che vuole cam-biare in positivo. Ha lasciato la piazzetta e si è dedicato completamenteal servizio dei più piccoli in oratorio. Fino a quando mi viene in menteuna proposta: anche se con tanti dubbi e perplessità, ho provato a con-frontarmi con un altro salesiano che aveva avuto la mia stessa idea: vo-levamo chiedere a Davide di pensare ad un impegno più forte nei con-fronti dei giovani, mettendo a disposizione le sue grandi capacità distare con i ragazzi e mettendo anche in atto un profondo cambiamentodi vita. Davide ha accettato, affiancato da noi salesiani che gli indicava-mo delle strade da intraprendere, affinché lui potesse continuamenteverificare le tappe del suo cammino. Intanto si impegnava sempre piùcostantemente all’interno dell’Oratorio e partecipava anche ai momenti

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comunitari di preghiera. L’obiettivo della proposta era di capire se la vo-cazione salesiana potesse essere la risposta alle sue scelte di vita.

Per intraprendere però questo nuovo cammino bisognava com-pletare alcune tappe lasciate in sospeso: innanzitutto, doveva riprenderela scuola e diplomarsi; ma, proposta ancora più ambiziosa, non ripren-dere da dove aveva lasciato, ma cambiare completamente indirizzo, piùconfacente a quello che aveva deciso di fare, ovvero un indirizzo piùimpegnativo, come quello di “responsabile di comunità”: insomma, ri-cominciare da capo.

È stata, per Davide, una bella sfida: in un anno riesce a dare gliesami dei primi 4 anni, a essere ammesso alla maturità e a diplomarsicon una sufficienza piena. Altra tappa era quella di dimostrare di esserecapace di responsabilizzarsi nei confronti di quello che stava facendo:non poteva chiedere nulla ai suoi genitori, che stavano sbrigando le pra-tiche per chiudere l’attività che lui aveva aperto; non poteva contaresulla comunità salesiana, che per lui poteva diventare anche una scappa-toia. Quindi, ho chiesto ad alcuni donatori dell’oratorio se potevo de-stinare le loro donazioni al sostegno del cammino di Davide, spiegandoche questo avrebbe fortemente responsabilizzato il ragazzo nei confrontidella scelta fatta (c’è qualcuno che crede e investe su di te).

Attualmente, indipendentemente da come continuerà il suocammino, Davide resta una persona che ha intrapreso un percorso chelascia a bocca aperta. Adesso è a Genzano con i novizi e devo dire chetra tutti i ragazzi, suoi compagni, Davide è quello che ha camminatopiù seriamente, abbracciando con forza tutte le proposte che gli sonostate fatte, anche quelle più scomode, anche quelle che non lo metteva-no al centro dell’attenzione ma lo ponevano solo ed esclusivamente alservizio degli altri, anche quelle che proprio non gli piacevano, anchequelle che lo hanno portato a stare zitto quando aveva ragione.

Davide sta veramente portando avanti un cammino di crescitastrabiliante, tanto da dover dire grazie non solo a lui e a tutte le personeche lo hanno sostenuto, ma soprattutto a Dio che ha fatto per lui cosegrandi.

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Agosto 2015. Il 18 settembre delloscorso anno è iniziata la mia espe-rienza come tirocinante psicotera-peuta nel Borgo Ragazzi don Bo-sco.

L’iter ha previsto l’inizialepartecipazione a 4 incontri formativi. C’erano tante persone, altriaspiranti tirocinanti e volontari, gli operatori del Borgo, i responsabilidei diversi servizi. Mi sembrava tutto un po’ strano ed ero emoziona-ta, come sempre quando inizio un nuovo percorso. Da subito però hosentito forte una particolare sensazione, percepivo di sentirmi in uncontesto molto familiare. Mi è servito un po’ di tempo per elaborare,ma poi ho capito che quella sensazione dipendeva dal fatto che il Bor-go si presenta come un luogo molto diverso da tutto quello che ha in-torno.

È come un piccolo villag-gio, entrando nel quale, sembradi essere lontanissimi dal caos diRoma. Tutto ha un ordine, maanche la necessaria flessibilità, lepersone – tante e diverse, peretà, etnia, professionalità – si co-noscono e si salutano o almenosi sorridono. Eccolo il senso difamiliarità! Era proprio nei tantipiccoli gesti che immediatamen-te, varcato il cancello, è possibilepercepire, prima a livello senso-riale e poi cognitivo.

Le prime conoscenzehanno confermato queste sen-sazioni, come anche la forma-zione, terminata la quale sono

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LAVORAREAL BORGO MI HA

DATO FELICITÀUNA TIROCINANTE

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Le nostre storie

stata inserita, per le sue peculiarità, nel Centro SOS AscoltoGiovani.Un passo dopo l’altro ho conosciuto e mi sono lasciata conosceredall’équipe di professionisti (psicologi, psicoterapeuti, consellors, assi-stenti sociali, pedagogisti), che dedicano la propria competenza a co-loro che si rivolgono al Centro. E finalmente ho iniziato a partecipareai colloqui.

Per chi sceglie come professione di occuparsi delle umane dif-ficoltà, è un momento topico, nel quale in un colpo solo realizzi l’im-portanza del ruolo e tutte le sue difficoltà. Gli esami universitari, leteorie, gli autori studiati e “sudati”..., diventa tutto piccolo piccolo –quasi insignificante – quando ti trovi faccia a faccia con le sofferenzequotidiane. Ho ascoltato storie emozionanti, commoventi e appassio-nanti; ho incontrato occhi tristi, arrabbiati, confusi; ho sentito comeun brivido sulla pelle la ricerca affannosa di risposte, spiegazioni, so-luzioni; ho provato disagio e inadeguatezza. E soprattutto nella miatesta girava e rigirava sempre la stessa domanda: «E ora che dico?».

Per fortuna – mia e dei malcapitati – nei colloqui non ero maisola, avevo sempre i professionisti dell’SOS affianco a me. Attraversole loro parole, il loro modo di stare in relazione, le loro riflessioni, hoimparato tante cose, in primis che i colloqui sono un incontro diemozioni. Ho imparato che occorre stare empaticamente affianco achi soffre, e subito dopo tornare a porsi di fronte a loro. Ho imparatoche le teorie, le tecniche e le strategie sono cornici, che permettono didare senso ma che rischiano, talvolta, di impoverire l’eterogeneità delquadro. Ho imparato che non esistono parole giuste o sbagliate da di-re, ma solo punti di vista “altri” con i quali proporre letture diverse,riscoprire risorse e possibilità.

Come in un caleidoscopio di apprensioni, pensieri e riflessioni,ripercorrere questi mesi di tirocinio, mi permette di dire sia che sonocresciuta come persona e professionista, sia che il percorso professio-nalizzante è ancora lungo. Mi consente però anche di provare un’ine-briante felicità all’idea di percorrerlo tutto, passo dopo passo, finoall’ultima emozione!

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