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LE FONTI DEL DIRITTO NEL
MEDIOEVO
[V-XV sec.]
SECONDA PARTE
LA CORNICE ISTITUZIONALE:
IL SACRO ROMANO IMPERO
[800 d.C. – (1806 d. C.)]
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Nasce nell’800 d.C. con l’incoronazione di Carlo
Magno a Roma da parte del papa Leone III;
Ebbe ufficialmente termine soltanto nel 1806,
quando Francesco II d’Asburgo perse
formalmente il titolo di imperatore dell’ “Heiliges
Römisches Reich Deutscher Nation”.
SACRO ROMANO IMPERO:
CENNI STORICI
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Il SRI ricevette questa denominazione
istituzionale soltanto nel 1254, poiché gli
imperatori da Carlo Magno fino a Ottone I il
Grande avevano semplicemente usato il titolo
Imperatore Augusto dell'Impero carolingio.
Comunemente si indica però con l’espressione
“Sacro Romano Impero” il periodo che va
dall’anno 800 fino al 1438, anno in cui con
l’ascesa dei principi di Asburgo sul soglio
imperiale, non sarà più il Papa ad incoronare
l’Imperatore bensì un collegio elettorale formato
dai grandi principi territoriali.
Tramontato il regno longobardo, con l’arrivo dei
Franchi l’asse politico-economico si spostò dall’Europa
mediterranea a quella del nord: Carlo I, re dei
Franchi, si trovò ad esercitare la propria autorità
sovrana non soltanto territorio francese, ma anche in
Italia ed in Germania: regnava, cioè, su quello che un
tempo era stato l’Impero d’occidente.
Nacque così l’idea di un “nuovo” impero, quello dei
Franchi: è con Carlo Magno si assistette al
superamento dell'ambiguità giuridico-formale
dei regni romano barbarici in favore di un
nuovo modello istituzionale unitario.
NASCITA SRI
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Il territorio conquistato dai Franchi si rivelò però
ben presto troppo vasto per essere controllato dal
potere centrale.
Necessità di individuare dei sistemi alternativi di
esercizio della sovranità: da un lato venne
creata una fitta intelaiatura di rapporti
personali e territoriali (il feudo); dall’altro
si cercò di legittimare politicamente
l’esercizio del potere sovrano attraverso la
copertura politica della Chiesa.
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Roma, benché oramai priva dell’autorità politica
imperiale, manteneva un’autorità spirituale che,
a partire dalla conversione di Clodoveo, si era
andata rafforzando…
Carlo aveva da tempo compreso che per
governare sui vasti territori conquistati
avrebbe avuto bisogno di un collante: un
collante ideologico, la fede cristiana. Ma,
soprattutto, un collante politico,
rappresentato dalla Chiesa; questa attraverso
le sue strutture istituzionali (diocesi, parrocchie e
quindi vescovi e parroci) rappresentava
l’interconnessione “universale” tra feudatari e
territorio.
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Fu così che il re dei Franchi intraprese,
nell’inverno dell’anno 800 d.C., il viaggio da
Aquisgrana a Roma, dal quale sarebbe tornato
Imperatore: nonostante i territori fossero stati
conquistati già prima, fu soltanto con
l’incoronazione di Carlo ad imperatore che
nacque il Sacro Romano Impero.
Nella notte di Natale, chinandosi dinanzi alla
massima autorità spirituale, Papa Leone III,
Carlo sottoponeva l’autorità temporale a quella
spirituale; parallelamente, però, rafforzava la
propria sovranità, in quanto legittimata dal
Papa, successore di Pietro, e dunque
direttamente da Dio.
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Il Sacro Romano Impero, insomma, avrebberappresentato l’interfaccia politica della respublicachristiana.
L’Impero nato nell’800 era quindi frutto di unpatto: dalla Chiesa veniva fornita una legittimazionepolitica e territoriale (attraverso il collegamento traautorità civili ed ecclesiastiche), ma comecontropartita veniva affidato al potere politico (cioèall’imperatore) una missione religiosa, quella didifendere la Chiesa ed i suoi valori.
L’esperienza del Sacro Romano Impero rappresentò,dal punto di vista costituzionale, la cerniera che univail vecchio Impero romano alla nuova ideologiacristiana: da una parte la continuazione con l’Imperotramontato nel 476; dall’altra la nuova legittimazionedivina dell’Imperatore.
PAPATO E IMPERO
Nel sistema del Sacro Romano Impero
l’imperatore ed il Papa rappresentano i “pilastri”
su cui si costruì, dal punto di vista costituzionale,
l’edificio medievale.
Impero e Papato sono gli unici due poteri
universali; non essendo però dotati di
competenze assolute, accanto ad essi ebbero
modo e spazio di svilupparsi anche dei poteri
particolari, territoriali ed infraterritoriali.
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La competenza primaria della Chiesa era in
spiritualibus: questa doveva cioè garantire l’unità
di fede della cristianità.
Le competenze primarie dell’Imperatore (che si
differenziavano nettamente dal ruolo, per quanto
esercitato dalla medesima persona, di regnante
d’Italia e di Germania) erano invece
essenzialmente collegate alla funzione di
advocatus ecclesiae: egli doveva cioè garantire che
le vicende terrene non si discostassero dai
precetti cristiani.
(…SEGUE): LE TEORIE SUL POTERE
La storia del SRI si può essenzialmente riassumere
come una continua ricerca di “mediazione” tra le
due concezioni, una cd. “ascendente”, l’altra cd.
“discendente”, del potere.
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LE DIVERSE CONCEZIONI DEL POTERE
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Propria di alcunemanifestazioni istituzionalidell’impero romano, ma anchedelle genti germaniche , vede ilpotere di creare il dirittoattribuito al popolo;
a questa concezione si collegaun’organizzazione di tiporappresentativo, ma anche il“diritto di resistenza” ed ilprincipio della sostanziale“giurisdizionalità”dell’assemblapopolare, che é anzitutto organodi iustitia in quanto fonte delpotere originario .
Fa riferimento all’idea che ilpotere discenda da un soloorgano supremo;coerentemente, il meccanismoistituzionale corrispondente équello della “delegazione dipotere” .
Teoria ascendente Teoria discendente
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La base “consensuale” comune del SacroRomano Impero fu la fede cristiana.
Nel contesto sociale medievale vi era assolutainscindibilità tra terreno e spirituale; fu una naturaleconseguenza il fatto che al vertice della nuovaconcezione politica universale venutasi a creare conl’incoronazione di Carlo Magno c’era la Chiesa.
L’incoronazione di Carlo Magno da parte del PapaLeone III, lungi dal rappresentare soltanto un evento“mitico”, costituì infatti soprattutto la definitivaaffermazione in ambito istituzionale della teoriadiscendente del potere: nel Medioevo il poteretemporale non era scisso, né scindibile, da quellospirituale
FOCUS: IL PRINCIPIO GELASIANO
Secondo il principio gelasiano Impero e Papato sono
istituzioni indipendenti ma coordinate. Da un lato,
essendo il potere imperiale di derivazione divina, il
Papato soggiacerebbe all’obbligo di obbedire alle
sue determinazioni normative; dall’altro l’Impero
dovrebbe astenersi da qualunque interferenza in
campo spirituale e prestare obbedienza alle
determinazioni autoritative della Chiesa in questo
ambito di competenza.
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I RAPPORTI TRA CHIESA E IMPERO
Sin dalla teorizzazione del principio gelasiano, nel494, Impero e Chiesa erano stati considerati qualicentri di potere complementari ma indipendenti:complementari in quanto entrambi di derivazionedivina, indipendenti poiché ciascuno dotato dicompetenze primarie.
Nella notte di Natale dell’800, invece, si passò dalbinomio indipendenza/coordinamento alla dipendenzaistituzionale tra Impero e Papato: tra Imperatore ePapa, cioè, veniva a costituirsi un rapportosinallagmatico attraverso l’incoronazione ed ilgiuramento prestato dall’imperatore (il concetto, percerti versi è simile a quello dell’investitura feudale).
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I rapporti tra Chiesa ed Imperatore si svilupparono
attorno al momento fondamentale
dell’incoronazione, che rappresentava un vero
trasferimento di poteri, una mediazione tra Dio e
l’Impero, nonché una legittimazione reciproca.
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Attribuendo una legittimazione divina al potere
imperiale, parallelamente (in base al rapporto
sinallagmatico) veniva attribuita anche una
legittimazione all’esercizio di potestà in
temporalibus da parte del Papato.
Mentre però prima dell’800 la potestà esercitata
dal Papato sulle vicende terrene poteva essere
soltanto indiretta (laddove, cioè, le vicende
terrene si fossero presentate come suscettibili di
una correzione morale) dopo l’incoronazione si
aggiunse una potestas directa della Chiesa sulle
vicende terrene.
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Ciò fu causa di un aumento esponenziale dei
conflitti.
Come è evidente tra Impero e Papato potevano
sorgere controversie soltanto in temporalibus; il
nodo gordiano della strutturazione dei loro
rapporti risiedeva quindi nella diretta
dipendenza delle vicende terrene dalle vicende
spirituali, ed indi di una competenza del Papato a
riguardo (ad esempio, con la lotta per le
investiture).
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Tuttavia, se è vero che la teoria discendente del poteremedievale si sostanziava, in virtù della visionecristocentrica del mondo, nell’attribuzione al divino delruolo di organo supremo, grazie alla mediazione con leteorie ascendenti del potere, il potere della Chiesa nonfu mai assoluto, un potere “totalizzante”.
Proprio perché il potere centrale era troppodebole per controllare ogni aspetto della societàmedievale, si concentrò a regolarne soltanto gliaspetti fondamentali (la guerra, le investiture)
Lo spazio lasciato alla vita, all’esperienza, eradunque amplissimo (è per questo che nel SRInacquero spontaneamente ad esempio le universitàcome istituzioni private).
SRI: CARATTERISTICHE
Società pluriordinamentale e pluralista.
Convivenza tra ordinamenti particolari
all’interno di una cornice unitaria.
Nel Sacro Romano Impero non si ebbero però
fenomeni di “assolutismo” giuridico, perché il
potere politico era “incompiuto”, ovvero sfornito
di una vocazione totalizzante: i diversi
ordinamenti non erano concentrici, ma
contestuali.
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Il Sacro Romano Impero aveva una costituzione
multilivello, in cui ogni singolo ordinamento
aveva, all’interno dell’ordine giuridico
complessivo, il proprio ruolo e le proprie
competenze.
Il sistema costituzionale era, cioè, un sistema
aperto, “a mosaico”, i cui tasselli erano costituiti
dai vari ordinamenti (Impero, Papato, Regni,
Comuni) che progressivamente venivano a
formarsi nell’Impero.
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L’esperienza medievale del Sacro Romano Impero
mostra una integrazione tra diversi livelli
ordinamentali in relazione alla preservazione dei
valori della cristianità. Il pluralismo era cementato
dalla condivisione profonda di un sistema di valori,
i precetti giuridici e morali della fede cristiana.
IL SACRO ROMANO
IMPERO DA OTTONE II
AGLI HOHENSTAUFEN
DA ISTITUZIONE UNITARIA AD UNA
PLURALITÀ DI ISTITUZIONI
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GLI OTTONI E LA LOTTA PER LE
INVESTITURE.
Dopo il trattato di Verdun dell’843 la tripartizionedell’Impero carolingio e l’accrescimento del fenomenofeudale determinarono una forte decentralizzazionedel potere: l’unità venne sostituita da unapluralità di centri di potere, legati al poterecentrale dal vincolo di dipendenza feudale.
Nel periodo che va dall’843 alla fine dell’interregno, ilpotere statale pubblico viene sostituito da un poteresovrano su base privatistica, fondato sui concettifeudali di “protezione ed aiuto”.
Mancando un potere forte in grado di tutelarel’ordine, questo viene garantito spontaneamente dallasocietà stessa attraverso la creazione di una serie direticoli di rapporti intersoggettivi di dipendenza: irapporti feudali.
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La situazione viene a mutare allorché, nel 936,viene eletto quale regnante di Germania OttoneI.
L’incoronazione di Ottone I nel 962, sempre aRoma e sempre da parte del papa (Giovanni XII)segna la “prima” rinascita del Sacro RomanoImpero.
Nel 962 Ottone varcò le Alpi e si fece incoronareimperatore a Roma dal papa Giovanni XII. Vennecosì a crearsi, oltre ad una plurisecolaredipendenza dell'Italia Settentrionale dallevicende politiche tedesche, l'associazione tra iltitolo di Imperatore e la regalità tedesca.
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Ottone I, attraverso l’attribuzione delle
circoscrizioni comitali ai vescovi, arginò il
fenomeno disgregativo feudale creando
parallelamente una stretta dipendenza tra
l’organizzazione ecclesiastica e la carica
imperiale.
Con la dinastia degli Ottoni si rafforzò la
stretta dipendenza istituzionale tra Papato
ed Impero. Questa rimase inalterata fino al
periodo della lotta per le investiture.
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Ufficialmente, la lotta tra Papato ed Impero
cominciò con Papa Niccolò II, eletto nel 1059, che
condannò l'investitura laica dei vescovi ed escluse
l'imperatore dalla partecipazione attiva
all'elezione del pontefice (diritto che Enrico III
era riuscito a imporre a Papa Clemente II).
Raggiunse però il suo apice con Papa Gregorio
VII, nell'ambito della cd. riforma gregoriana,
emise nel 1075 il famoso Dictatus Papae, che
sottraeva completamente i vescovi al controllo
imperiale. Come risposta Enrico IV radunò i
vescovi a lui fedeli e depose il Papa, mentre
Gregorio a sua volta scomunicò l'imperatore.
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La lotta per le investiture termina con il
Concordato di Worms del 1122, convenuto
tra Enrico V e Callisto II, che riaffermò i
deliberati del 1059 in ordine alla libertà
dell’elezione papale ma escluse qualsiasi
intervento laico.
Nel regno di Germania l’imperatore conservava
la possibilità di influire sulle elezioni alle sedi
episcopali e abbaziali, ma tale possibilità era
esclusa invece in Italia e in Borgogna.
Con la lotta per le investiture il Papato divenne
l’unico e sovrano regolatore e giudice
dell’ordinamento interno della Chiesa.
LA DINASTIA SVEVA
La dinastia degli Svevi inaugura, ed incarna, lamaturità giuridica del Sacro Romano Impero.
Tant’è che, pur permanendo il titolo imperialecontinuo, tanto che nel conto degli imperatori si suolecominciare proprio da Carlo Magno, di “Sacro RomanoImpero” si comincia a parlare soltanto con l’ascesa altrono di Federico I di Svevia.
Soltanto sotto questa dinastia la struttura imperialesi presenta come definitivamente compiuta: in essa siinseriscono in un ordine coerente tutte leorganizzazioni ordinamentali formatesi nei secoli incui il Sacro Romano Impero rappresentava ancora un“processo costituzionale”, per divenire sistema.
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Mentre l'impero carolingio era strettamente legato
alla figura del suo fondatore, il Sacro Romano
Impero del XII secolo si presentava come il lascito
dell’esperienza costituzionale carolingia, feudale e
degli Ottoni: una struttura istituzionale complessa,
che era stata forgiata dagli assetti organizzativi dei
quattro secoli di esperienze che lo precedettero.
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E’ solo con Federico I di Svevia, conosciuto
come il Barbarossa, che l’Impero si presenta
come una struttura compiuta, sia dal punto
di vista geografico che sociale.
Da un punto di vista geografico poiché la
respublica christiana venne a comprendere
l’intero continente europeo;
Da un punto di vista sociale poiché i molteplici
ordinamenti giuridici che spontaneamente erano
giunti ad esistenza durante l’alto Medioevo si
stabilizzarono quali centri di potere.
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Federico I, eletto re dei Germani nel 1152 edincoronato imperatore nel 1155, intendeva restituirealla carica imperiale la grandezza ed i poteri chefurono dell’imperatore romano. In questo senso volevaripristinare l’effettività del centro di potere imperiale,e presentarlo come fulcro di legittimità cui riferire lamolteplicità ordinamentale che s’inseriva nel sistema.
Federico I era consapevole di non poter contare sulPapato per il rafforzamento dell’Impero qualestruttura istituzionale. Per questo si rivolse allapluralità istituzionale sviluppatasi nel periodoaltomedievale, seguendo due linee direttrici: da unlato, concedendo sempre più poteri alle grandisignorie feudali e fondiarie, dall’altra rivendicando lapropria potestas assoluta per ciò che concerneva ladelegazione dei poteri imperiali (v. la lotta con iComuni italiani)
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La politica dei successori di Federico I, e
specialmente la politica di Federico II, si
caratterizzò per la conservazione del lascito
costituzionale del primo regnante svevo. In
particolare, durante il regno svevo, la struttura del
Sacro Romano Impero si mantenne relativamente
stabile.
GLI ORDINAMENTI SUB-IMPERIALI; REGNA,
COMUNI E LANDER
Il Sacro Romano Impero fu un ordinamento
unitario dal punto di vista ideologico, ma
composito dal punto di vista istituzionale.
Papato ed Impero non detenevano, infatti, il
monopolio della distribuzione e
dell’organizzazione del potere.
Il Papa (e l’Imperatore in quanto suo vicario)
deteneva una potestas directiva entro il territorio
della respublica christiana: ma questa potestà
non abbracciava per certo l’interezza delle
funzioni di governo territorialmente determinate,
anzi, se ne distingueva nettamente.
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L’autorità imperiale abbracciava tutto il
territorio della respublica christiana, ma senza
ledere il potere territoriale ed infraterritoriale:
l’Impero può essere rappresentato come una
cornice giuridica di un fenomeno più complesso,
che non viene assorbito dal potere
sovranazionale, anche se inserito in esso.
Gli ordinamenti giuridici sub-imperiali venivano
dunque costantemente limitati dai due poteri
universali, impero e papato; siffatte limitazioni
tuttavia, anziché presentarsi quali lesive,
rispondevano all’esigenza di convergere
l’autonomia delle istituzioni territoriali verso
l’impianto costituzionale complessivo.
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La convivenza istituzionale fu, è vero, spesso pienacontraddizioni, attriti, conflitti; ma il Sacro RomanoImpero si dimostrò in grado non già di annullare ledifferenze, ma di renderle compatibili. Un sistemaquale quello imperiale, fondato da una eterogeneitàgeografica e culturale, basò la propria longevitàistituzionale proprio sulle molte differenze e sulle pochecomunanze.
Nelle pur frequentissime esperienze conflittuali tra i varicentri di potere, mai nessuno si ribellò contro lacomplessiva struttura istituzionale del Sacro RomanoImpero; piuttosto, i regna ed i Comuni, almeno fino al XIVsecolo, non dubitarono mai della legittimità dei due poteriuniversali e del vincolo che li legava a quelli.
I REGNI
I regnanti territoriali entravano a far parte dellastruttura “a mosaico” dell’Impero attraverso ilgiuramento di fedeltà all’Imperatore (in quantovicario della Chiesa).
Questo sistema di reciprocità ed indipendenza sistabilizzò durante l’Alto Medioevo; ma nei circa ventianni dell’Interregno (il periodo che va dalladeposizione di Federico II da parte di papa InnocenzoIV, nel 1245, all'elezione di Rodolfo I nel 1273) i reebbero modo di rafforzare la propria posizione diindipendenza rispetto agli affari interni ed adaffrancarsi dal giogo feudale che si era a loro impostoa seguito della politica dei due grandi ImperatoriFederico I e II.
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Almeno fino al XIV secolo circa, però, le posizionidi imperatore e di re si differenziavanonettamente: solo l’Imperatore possedeva,all’interno del proprio ruolo, una plenitudopotestatis.
Nel momento in cui i regnanti, e specialmente ire francesi, assolutizzano il proprio ruolo il SacroRomano Impero viene a frantumarsi:autoattribuendosi la plenitudo potestatis nelproprio regno e considerandosi indipendentirispetto ad ogni altro potere non aderivano piùalla struttura “a mosaico” che per secoli avevatenuto salda la struttura complessiva.
Una volta delegittimato il potere universaledell’Impero, venne meno l’equilibrioordinamentale, che dovette essere raggiuntoattraverso una nuova costruzione normativa, loStato.
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E’ proprio da questi regna, quindi, che nascerà lo
Stato nazionale: a partire dall’inizio del XIV secolo
ci si trovava già in presenza di fenomeni di
“nazionalizzazione” del potere che avrebbero fatto
divenire il Sacro Romano Impero soltanto uno
Stato territorialmente determinato.
I COMUNI
La rinascita economica e la riurbanizzazione
portarono, nei secoli X ed XI, alla creazione di
assetti organizzativi territoriali “decentrati”, in
particolare città e, per quanto concerne
precipuamente l’esperienza italiana, Comuni.
Il sorgere di queste organizzazioni fu
assolutamente spontaneo, e costituiva una
rappresentazione macroscopica di quella
tendenza all’”unione tra eguali” che animava
l’associazionismo medievale, e che portò alla
nascita delle corporazioni.
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I Comuni si formarono spontaneamente,
secondo un moto volitivo non imposto, e
che dunque entrarono a far parte
dell’ordinamento costituzionale imperiale
de facto, semplicemente attraverso la propria
esistenza; tanto più che i “cittadini”, intesi qui
come abitanti delle città, si presentavano come
assolutamente svincolati dagli obblighi di
auxilium e protezione che invece incombevano su
coloro i quali vivevano a norma del patto feudale
(“l’aria di città rende liberi”)
Questo perché il concetto di “cittadinanza” e di
“cittadini” quale oggi lo intendiamo nasce
soltanto a metà del XVIII° sec. (rivoluzione
francese)
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Quando l’esigenza di una regolamentazione dellavita cittadina si fece stringente, i Comuniprovvidero emanando degli Statuti, documentinormativi configuratesi sostanzialmente quali“carte di libertà”, ovvero enucleanti il contenutodi alcune situazioni giuridiche soggettive,sostanzialmente di libertà, di applicazioneterritorialmente contingentata.
E tuttavia, non vi era uguaglianza tra cittadini:piuttosto, l’eguaglianza era sancita con riguardoalle corporazioni (che nella seconda metà delbasso medioevo s’impadronirono anche del poterepolitico: all’interno delle corporazioni, infatti, sieffettuava una prima “scrematura” perindividuare i candidati alle cariche pubbliche – siprocedeva, cioè, per cooptazione).
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Progressivamente, però, l’istituzione comunale
giunse a configurare una vera e propria forza di
governo, indipendente dall’Impero: nei comuni
venivano infatti esercitati dei poteri autoritativi
di natura “superiore” quali la iurisdictio,
l’imposizione fiscale, l’esazione e financo il
riconoscimento di status giuridici.
I Comuni, autoattribuitisi facoltà di governo in
senso ampio, ricomprendenti dunque anche
potestà di natura “reale” quale quella della
iurisdictio, versavano però - nonostante la lunga
assenza istituzionale dell’Imperatore e dunque
l’uso consolidato nel tempo di siffatte potestà - in
una situazione di illegittimità.
IL CONFLITTO TRA FEDERICO
BARBAROSSA ED I COMUNI
Federico I di Svevia detto il Barbarossa,
spinto da ambizioni accentratrici e dal desiderio di
riportare l’autorità imperiale all’ estensione
geografica che fu di Carlo Magno, riconobbe la
situazione di illegittimità in cui versava pressoché
l’intero Nord – Italia: si pose dunque l'obiettivo
di recuperare gli iura regalia, le regalie,
ovvero gli inalienabili diritti del potere regio quali
amministrazione della giustizia e la riscossione
delle imposte.
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Nell’ottobre 1154 Federico I scese in Italia econvocò una dieta a Roncaglia, in cui revocò tuttele regalie usurpate dai Comuni sin dal tempo diEnrico IV (I° dieta di Roncaglia).
Nel giugno del 1158, visto che molti Comunicome Milano avevano disatteso le precedentideterminazioni, Federico decise per una secondadiscesa in Italia ed assediò Milano, obbligandolaa sottoporre all'approvazione imperiale la nominadei suoi consoli.
A novembre dello stesso anno convocò poi laseconda, e più importante, dieta di Roncaglia,cui parteciparono importanti esperti didiritto Università di Bologna che fornirono aFederico l'elenco dei diritti regi, poi inserito nellaConstitutio de regalibus (II° dieta diRoncaglia).
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Federico si mostrò disposto a lasciare i dirittiregali ai Comuni, ma pretese un tributo annuo esoprattutto il riconoscimento che l’ Impero fossela fonte di ogni potere. In base a quest’ ultimoprincipio Federico emanò anche la Constitutiode pacis con cui proibì le leghe fra città e leguerre private.
Nel 1164 le città della “marca veronese”fondarono la Lega veronese, venendo menoproprio alla Constitutio de pacis; dalla fusione trala Lega veronese e quella cremonese, creata nel1167, venne a formarsi la Lega Lombarda, cuiprogressivamente aderì quasi la totalità deiComuni dell’Italia settentrionale e gran parte deisignori feudali italiani.
La Lega Lombarda rivendicava l’usus libertatisacquisito nei secoli di esercizio delle potestàregali da parte dei Comuni.
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Una tale posizione non poteva peraltro essere
accettata da Federico I, in quanto egli aveva
affermato già con la Constitutio de regalibus la totale
dipendenza delle potestà regali dei Comuni dalla
delegatio imperiale. L’inconciliabilità delle due
posizioni fu causa della quinta discesa in Italia di
Federico I nel 1176, e della celebre sconfitta delle sue
truppe a Legnano.
Alla sconfitta di Legnano fece seguito la pace di
Costanza del 25 giugno 1183.
L'imperatore concesse alle città della Lega l’esercizio
di poteri “regali”, rinunciò alla nomina dei podestà,
riconoscendo i consoli nominati dai cittadini; i
Comuni, di converso, si impegnarono a pagare un
indennizzo ed un tributo annuo, a corrispondere
all'imperatore il fodro ed a concedere all'imperatore la
prerogativa di dirimere in prima persona le questioni
fra un Comune e l'altro.
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La pace di Costanza rappresenta un
compromesso tra i centri di potere imperiali
e infraterritoriali. In questo senso, a dispetto di
chi vede nella conclusione della pax il tramonto del
progetto politico universale di Federico poiché viene
riconosciuta ai Comuni larga autonomia, la pace di
Costanza rappresenta un momento decisivo
rispetto allo stabilizzarsi di alcune dinamiche
istituzionali. Ed infatti Federico I, pur concedendo
ai Comuni l’esercizio di diritti e potestà regali, mai
venne meno ad un unico punto di diritto: le potestà
erano concesse dall’Imperatore, in quanto soltanto
da lui poteva discendere il potere legittimo di
esercitare determinate competenze.
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La Lega Lombarda, invece, pur non mettendo
assolutamente in discussione, é il caso di
ribadirlo, la fedeltà e la soggezione all’Impero,
venne a costituirsi in quanto considerava
una lesione del diritto, ed indi una
violazione del patto tra sovrano e sudditi,
l’abrogazione unilaterale di quei diritti e
quelle libertà di governo che i Comuni
avevano reso giuridiche attraversa la
praescriptio longissimi temporis.
I Comuni non si opponevano, cioè, al Sacro
Romano Impero, ma rivendicavano il
rispetto di una consuetudine (esercitarono
una sorta di diritto di resistenza
all’assolutismo sovrano di Federico).
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In realtà, quello che il diritto costituzionale imperialesanciva con l’illegittimità non era il contenutosostanziale del comportamento dei Comuni (tanto cheper quello che riguardava il diritto di elezione diduchi, conti, marchesi, la nomina dei consoli, ilprivilegio di concessione di "battere moneta", lariscossione dei pedaggi, delle tasse doganali eportuali, la constitutio ne prevedeva l’attribuzione aiComuni in cambio di un tributo annuo), bensì ilmancato rispetto delle attribuzioni di competenza: ilpotere giurisdizionale e fiscale eranoprerogative regie e quindi non potevano essereesercitate senza la “delegazione di potere”imperiale, pena la lesione dell’intera strutturacostituzionale dell’Impero medesimo.
Quello che Federico volle mantenere fu il punto diprincipio: nessuna struttura istituzionale avrebbepotuto esercitare ex se un potere che non lecompeteva, pena la rottura di tutto il complessosistema di equilibri che teneva insieme l’Impero.
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Ed infatti il conflitto si concluse con una
vittoria da ambo le parti: una vittoria
formale dell’Imperatore, e sostanziale dei
Comuni.
Con la pace di Costanza del 1183, infatti, si
riserva all’Impero il giuramento di fedeltà dei
comuni, la prestazione del fodro imperiale e la
giurisdizione di appello nelle cause maggiori;
parallelamente, però, vengono concessi, quale
consuetudine, il complesso dei diritti pretesi dai
Comuni, compresa la piena iurisdictio.
Il “privilegio di Costanza” consegna dunque alla
storia la situazione di fatto esistente prima della
discesa in Italia del Barbarossa, ma la consegna
ora in una veste ufficialmente legittima, e
coerente, rispetto al diritto costituzionale
dell’Impero.
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Di fatto il ”privilegio” fu un patto bilaterale:
formalmente, invece, si presentava come
una concessio imperiale, in conformità al
principio secondo cui tutti i poteri
derivavano dall’imperatore.
La pace di Costanza, dunque, riconsegna
nell’alveo del sistema del Sacro Romano Impero
le potestà esercitate dai Comuni: tuttavia,
evidenzia un’ evoluzione (ma è un meccanismo
giuridico-politico) costituzionale nel senso di
una sempre maggiore autonomia normativa e
costituzionale dei poteri infra-territoriali
comunali, pur inseriti nella struttura imperiale
da cui dipendono.
LANDER E GRANDI FEUDI
L’esperienza costituzionale “a mosaico” del Sacro
Romano Impero si componeva – soprattutto nel
resto d’Europa – di altri ordinamenti
infraterritoriali, Länder e grandi feudi.
Dopo Costanza, anche nei Länder e nei grandi
feudi italiani la sovranità imperiale si ridusse
grandemente; anche qui quella dell’Impero era
quasi una sovranità “sulla carta” .
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Da una parte infatti l’imperatore Barbarossa,
durante il lungo conflitto contro i Comuni, per
evitare che anche le grandi dinastie feudali italiane
partecipassero al conflitto, concesse loro - e
specialmente ai Savoia - un notevole ampliamento
dei poteri; Federico II di Svevia invece, tra il 1220
ed il 1231, ampliò le potestà giudiziarie, finanziarie
ed amministrative dei Länder tedeschi e con
l’emanazione del Liber Augustalis assunse il potere
nel più grande regno italiano, quello di Sicilia.
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Buona parte della sovranità imperiale nei riguardi
dei principi territoriali si ridusse dunque
progressivamente a mero metro di legittimità del
conferimento dei poteri, e così come per i Comuni,
si osserva una tendenziale espansione dei poteri
particolari rispetto al potere generale
rappresentato dall’Impero, che viene ad
interpretare oramai soltanto la cornice
dell’ordinamento complessivo “decentralizzato”.
LE FONTI DEL DIRITTO NEL
BASSO MEDIOEVO
IUS COMMUNE e IURA PROPRIA
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Il Sacro Romano Impero era, quanto
all’organizzazione, un sistema multilivello
(Impero, Regni, Comuni/Città, corporazioni).
Questa strutturazione composita, trovò
espressione anche nel modo del diritto (ricorda, il
diritto non fa che porre in essere una scelta
politica!)
Nell’alto medioevo, come si è visto, il diritto
era frammentato. L’azione della Chiesa creò un
substrato culturale uniforme; l’Europa era unita
da una fede ed un imperatore comune.
UNUM IMPERIUM, UNUM IUS:
L’UNIFICAZIONE GIURIDICA EUROPEA.
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Fu però soltanto grazie all’opera dei glossatori –
ed all’azione culturale del fenomeno universitario
– che l’Europa (ri)trovò altresì un diritto comune:
quello romano-giustinianeo. Cui si aggiunse
anche l’altro diritto comune del Sacro Impero:
quello della Chiesa (il diritto canonico).
In tutto l’Impero, dunque, vigeva un unico
diritto comune (cd. ius commune) composto
da due diritti: quello civile del corpus iuris
e quello canonico. ATTENZIONE:
DIFFERENZA CON LA COMMON LAW!!
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Naturalmente, diversi erano gli ambiti di
competenza: il diritto canonico aveva
principalmente competenza in spiritualibus (fatta
eccezione per l’istituto del matrimonio); il diritto
civile, in temporalibus. Come si vede, il diritto era
lo specchio della struttura sociale: ai due poteri
universali corrispondevano due diritti comuni,
applicabili a tutti i soggetti del Sacro Romano
Impero.
Il sistema di diritto comune, si è detto, si
componeva del corpus iuris e del diritto
canonico.
Generalmente, tuttavia, quando si parla di
ius commune ci si riferisce al diritto romano
giustinianeo come interpretato dalla
scienza giuridica medievale.
IUS COMMUNE
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Come si giunse, dunque, all’affermazione di un
diritto comune per tutto l’Impero? Come si riuscì
a superare definitivamente il principio di
personalità (è bene specificare, infatti, che lo ius
commune era il diritto vigente nell’intero
territorio del SRI)?
Attraverso il “rinascimento giuridico” (Calasso) e
scientifico che ebbe luogo nelle università
italiane.
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Furono i quattro allievi di Irnerio (Bulgaro,
Martino, Jacopo ed Ugo) che a Roncaglia, nel 1158,
dichiararono per primi che il diritto romano era
applicabile all’Imperatore Federico Barbarossa. Il
ragionamento dei quattro glossatori era semplice
(un sillogismo): il SRI rappresentava, grazie
all’investitura della Chiesa, la continuazione
dell’Impero Romano; conseguentemente, anche nel
SRI rimaneva vigente ed applicabile il diritto
contenuto nel corpus iuris giustinianeo.
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Il diritto, grazie all’opera della scuola di
Bologna, si trasforma in un procedimento
dialettico: non è più, cioè, la semplice lettura
della disposizione posta dal sovrano: è la lettura
della disposizione, elaborazione della stessa alla
luce delle categorie giuridiche generali ed
applicazione al caso concreto.
Il diritto si emancipa dal contesto
temporale in cui la disposizione venne
concepita (il diritto imperiale è un diritto
atemporale) e “vive” nell’ordinamento
giuridico medievale attraverso l’opera di
mediazione dei giuristi: il giurista medievale è
mediatore tra la politica e la vita.
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Attraverso un’operazione “politica”, prima ancora che
giuridica (per i glossatori quello giustinianeo era “il
diritto” e dunque ambivano a renderlo il diritto
dell’Impero), i giuristi bolognesi trasformarono il
diritto giustinianeo, elaborato oltre sei secoli prima,
nel diritto vigente comune a tutti i territori
dell’Impero.
Si ricorda che i glossatori studiavano il corpus iuris ;
il diritto applicato, tuttavia, era parzialmente diverso:
durante il basso medioevo era infatti applicato
il diritto romano-giustiniane così come
interpretato dalla scienza giuridica (corpus
iuris+glosse/commenti).
L’Impero, si è detto, era un sistema composto da una pluralità di ordinamenti giuridici.
Accanto ai due ordinamenti universali (Impero e Papato) vi erano una molteplicità di ordinamenti giuridici particolari.
Ciascuno di questi ordinamenti particolari si reggeva su proprie consuetudini e su propri atti normativi (chiamati costituzioni oppure – soprattutto - statuti ).
Questo tipo di diritto era un diritto nuovo ed originale, sorto spontaneamente per venire incontro alle esigenze della realtà ( reicentrismo del mondo medievale – Grossi).
IURA PROPRIA
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Si definiscono iura propria le normative degliordinamenti particolari del Sacro RomanoImpero (Comuni, Città, Regni).
Era un diritto che si era formato e sedimentatolentamente durante tutto l’alto medioevo (perquesto non si può parlare di una frattura tral’alto ed il basso medioevo, ma di continuità!); eproprio perché nato per regolare i particolariproblemi quotidiani sorti all’interno dei variordinamenti, spesso era in contrasto con iprincipi del diritto romano.
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Gli iura propria erano:
- Consuetudini: erano (e sono) dei comportamentiripetuti nel tempo nella convinzione generale della lorointrinseca giuridicità (diuturnitas+ opinio iuris acnecessitatis). Sorsero spontaneamente tra l’XI ed il XIIsecolo e costituiscono la più diretta espressione di ungenerale ritorno alla territorialità del diritto: eranodegli usi locali consolidatesi nel tempo con riferimentoad un determinato spazio territoriale; ed eranoespressione della commistione tra esperienze giuridiche:un mix tra diritto romano, diritto germanico e dirittovolgare. Di queste consuetudini spesso si redasseroraccolte scritte, che hanno però una funzionemeramente ricognitiva del patrimonio giuridicopopolare, e che quindi non devono essere confuse congli statuti.
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Statuti comunali: erano dei piccoli “codici” in
cui le nuove comunità politiche particolari (e
soprattutto i Comuni) fissavano in disposizioni il
proprio libero assetto costituzionale ed
amministrativo, le proprie procedure, le proprie
regole di diritto provato.
Legislazione sovrana: consolidatasi soltanto in
alcuni territori tra il XII e XIII secolo. In Italia,
ad esempio, nel Regno di Sicilia, accanto alle
consuetudini ed agli Statuti i sovrani della
dinastia normanno-sveva promulgheranno una
legislazione che andrà ad affiancarsi al diritto
comune, come le Assise normanne del 1140 di
Ruggero III e le Constitutiones Augustales
emanate a Melfi nel 1231 da Federico II.
Gli statuti comunali costituiscono il caso più
esemplificativo di ius proprium.
La potestà normativa statutaria dei
Comuni, infatti, non esprimeva una volontà
normativa universale, bensì l’autonomia che
ciascun ordinamento giuridico particolare
rivendicava nell’ambito del proprio territorio.
IN PARTICOLARE: GLI STATUTI COMUNALI
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Lo statuto è per sua natura una norma
particolare (nel senso di destinata a valere
in un ambito territorialmente ed
istituzionalmente limitato) e speciale (nel
senso di regolare solo la materia
disciplinata) (Santarelli).
Proprio in quanto espressione dell’autonomia dei
vari ordinamenti, la potestà statutaria potava
assumere le forme più diverse.
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La distinzione principale era tra i brevia
giurati (ovvero gli atti normativi emanati dalle
magistrature comunali e tra gli statuta in senso
stretto (cioè le deliberazioni delle assemblee
cittadine).
Specialmente nell’Italia centro-settentrionale,
però, si conoscono ulteriori forme di statuti, ad es.
gli statuti marittimi delle città portuali (che
raccolgono le consuetudini relative all’attività di
navigazione e commercio) o gli statuti
corporativi dove le associazioni e le corporazioni
comunali redigono le norme che disciplinano la
propria organizzazione interna.
Il problema dei rapporti tra ius commune e ius
proprium è in realtà un problema di rapporti tra
poteri all’interno del medesimo sistema giuridico.
In particolare, il rapporto tra il potere imperiale e
quello comunale.
I RAPPORTI TRA IUS COMMUNE E IUS
PROPRIUM.
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La concreta struttura politico-sociale dell’Impero
era caratterizzata da una pluralità di
ordinamenti giuridici che causava una mancanza
di unità nel mondo delle fonti del diritto (ogni
atto o fatto idoneo a creare diritto: fatti di
produzione giuridica “fatti dai quali, come
dalla loro sorgente, sgorga il diritto
(Sandulli)): vi erano cioè più soggetti produttori
di norme giuridiche.
Non vi era, cioè, un unico soggetto produttore di
norme giuridiche come nello Stato kelseniano (in
cui, si vedrà, il diritto è una rigida gerarchia di
fonti prodotte da un solo soggetto politico, lo
Stato); di conseguenza sorse il problema del
diritto applicabile.
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Le difficoltà derivanti dalla presenza di un forte
pluralismo giuridico non furono però risolte
attraverso la forza (che l’Impero non aveva, come
si vide a Legnano); bensì lasciando spazio alle
differenti espressioni dell’autonomia statutaria
(il potere politico imperiale, come si è detto, non
era infatti un potere assoluto, totalizzante).
Il sistema normativo del diritto imperiale venne
dunque concepito come un’organizzazione di fonti
giuridiche coesistenti: più ordinamenti erano
riuniti in un unico ordine, e tenuti insieme dalla
fede cristiana.
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Per individuare il diritto applicabile, dunque, si
faceva riferimento ai rapporti politici di forza
esistenti all’interno dell’Impero:
in una prima fase veniva applicato in via
principale lo ius commune e soltanto in via
residuale lo ius proprium;
in una seconda fase, invece, il rapporto
venne ribaltato: il diritto applicabile in via
principale era lo ius proprium, e lo ius
commune veniva applicato in via
subordinata.
APPLICAZIONE IN VIA PRINCIPALE DELLO
IUS COMMUNE ED IN VIA RESIDUALE
DELLO IUS PROPRIUM.
I FASE (XII E XIII SEC.) :
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In una prima fase dei rapporti tra Impero e
Comuni, quando l'Impero era ancora un potere
politico forte, il diritto applicabile in via principale
era individuato nello ius commune (cioè nel diritto
romano giustinianeo. ATTENZIONE: il diritto
canonico venne sempre applicato in via
principale: questo perché il potere e
l’autorità della Chiesa erano di derivazione
divina e dunque mai limitabili dall’opera
dell’uomo!); laddove lo ius commune non avesse
contenuto disposizioni applicabili al caso concreto,
si faceva invece uso dello ius proprium
(applicazione in via residuale).
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Questa configurazione dei rapporti tra ius
commune/ius proprium si basava su un passo delle
Istitutiones di Gaio (contenute nel Digesto) per cui:
“Omnes populi qui legibus et moribus
reguntur partim suo proprio partim communi
omnium hominum iure utuntur”.
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Dal passo in questione, i glossatori ricavarono alcuneconsiderazioni:
Il SRI era un UNICO sistema, all’interno del qualeconvivevano più diritti;
Il sistema delle fonti normative è però sorretto daun’unica naturalis ratio, espressa dal diritto romanogiustinianeo;
Di conseguenza, il diritto romano è l’unico dirittouniversale applicabile a tutto il territorio del SRI(anzi, a tutto il mondo) in quanto è l’unico dirittouniversalmente valido, che non può che esserepresupposto dei vari diritti particolari;
In quanto diritto presupposto, il diritto romano è inuna posizione di preminenza gerarchica rispetto aidiritti particolari;
I diritti particolari possono essere applicati soltantoladdove non contrastino con i principi espressi daldiritto romano e questo non contenga disposizioniapplicabili: il diritto particolare è un dirittosuppletivo
LO IUS COMMUNE È APPLICATO
SOLTANTO UBI CESSAT STATUTUM.
II FASE (XIV E XV SEC.) :
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Il diritto riflette sempre i valori della società e la
sua organizzazione: è per questo motivo che, al
cambiare degli equilibri politici, cambiò anche il
rapporto tra ius commune e ius proprium.
Tra il XIV ed il XV secolo, infatti, gli ordinamenti
particolari acquisirono progressivamente una
forza politica maggiore; l’Impero rappresentava
la cornice di valori (la fede cristiana)
dell’ordinamento, ma non aveva più la forza di
contrapporsi politicamente alla forze politiche
radicate nel territorio.
L’Imperatore, cioè, conservava un’autorità
esteriore (di defensor ecclesiae); ma erano gli
ordinamenti particolari che di fatto gestivano
indipendentemente il potere all’interno del
proprio territorio.
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Grazie alla progressiva affermazione (a partire
da Filippo il Bello in Francia, nel 1296) del
principio per cui “rex in regno suo superiorem non
recognoscens”, gli ordinamenti particolari
rivendicarono il titolo di esercitare entro i propri
confini gli stessi poteri del monarca e
dell’imperatore.
Questa affermazione ebbe conseguenze rilevanti
anche per il mondo del diritto; e soprattutto sul
sistema delle fonti.
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Così come i glossatori furono i teorici della
preminenza dello ius commune, i commentatori
lo furono per lo ius proprium (tant’è che
diventarono essi stessi redattori degli statuti
cittadini).
Il problema che questi giuristi medievali si
trovarono ad affrontare era infatti quello di
trovare un fondamento legittimo all’insieme di
poteri che di fatto ciascun ordinamento
particolare esercitava in piena autonomia.
In particolare, i commentatori italiani
fronteggiavano un problema insieme teorico e
politico: legittimare i comuni come fonti del
diritto, cioè come fonti di uno ius proprium
legittimo e valido di fronte al diritto comune.
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Per legittimare la preminenza dello ius proprium si
fronteggiarono varie teorie:
Permissio: la potestà normativa statutaria sarebbe
stata concessa ai Comuni direttamente
dall’Imperatore;
Bartolo da Sassoferrato: la potestà normativa
statutaria deriva direttamente dalla potestà di
iuridictio dei Comuni italiani;
Baldo degli Ubaldi: l’esistenza delle comunità
politiche particolari trova la sua stessa
giustificazione nel diritto naturale (è solo con
Baldo che viene definitivamente superata la visione
medievale della centralità dell’Impero). Questo perché
per il solo motivo che un ordinamento esiste,
devono esserci anche le norme che provvedono
alla vita dello stesso: il diritto particolare non
deriva la sua legittimazione da un ordinamento
esterno (quello imperiale) ma ha una naturale
validità
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E’ questo il momento in cui lo ius commune assume
con chiarezza i caratteri di relatività che lo
caratterizzeranno in tutta l’età moderna: esso è
comune in quanto postula una pluralità di sistemi
normativi che ne partecipano in ragione della loro
insufficienza: diviene un diritto di principi e
categorie generali, capace per questo di
contrapporsi ancora efficacemente alla legislazione
statutaria, che è prevalentemente casistica.