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LE FONTI DEL DIRITTO NEL MEDIOEVO [V-XV sec.] SECONDA PARTE

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LE FONTI DEL DIRITTO NEL

MEDIOEVO

[V-XV sec.]

SECONDA PARTE

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LA CORNICE ISTITUZIONALE:

IL SACRO ROMANO IMPERO

[800 d.C. – (1806 d. C.)]

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Nasce nell’800 d.C. con l’incoronazione di Carlo

Magno a Roma da parte del papa Leone III;

Ebbe ufficialmente termine soltanto nel 1806,

quando Francesco II d’Asburgo perse

formalmente il titolo di imperatore dell’ “Heiliges

Römisches Reich Deutscher Nation”.

SACRO ROMANO IMPERO:

CENNI STORICI

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Il SRI ricevette questa denominazione

istituzionale soltanto nel 1254, poiché gli

imperatori da Carlo Magno fino a Ottone I il

Grande avevano semplicemente usato il titolo

Imperatore Augusto dell'Impero carolingio.

Comunemente si indica però con l’espressione

“Sacro Romano Impero” il periodo che va

dall’anno 800 fino al 1438, anno in cui con

l’ascesa dei principi di Asburgo sul soglio

imperiale, non sarà più il Papa ad incoronare

l’Imperatore bensì un collegio elettorale formato

dai grandi principi territoriali.

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Tramontato il regno longobardo, con l’arrivo dei

Franchi l’asse politico-economico si spostò dall’Europa

mediterranea a quella del nord: Carlo I, re dei

Franchi, si trovò ad esercitare la propria autorità

sovrana non soltanto territorio francese, ma anche in

Italia ed in Germania: regnava, cioè, su quello che un

tempo era stato l’Impero d’occidente.

Nacque così l’idea di un “nuovo” impero, quello dei

Franchi: è con Carlo Magno si assistette al

superamento dell'ambiguità giuridico-formale

dei regni romano barbarici in favore di un

nuovo modello istituzionale unitario.

NASCITA SRI

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Il territorio conquistato dai Franchi si rivelò però

ben presto troppo vasto per essere controllato dal

potere centrale.

Necessità di individuare dei sistemi alternativi di

esercizio della sovranità: da un lato venne

creata una fitta intelaiatura di rapporti

personali e territoriali (il feudo); dall’altro

si cercò di legittimare politicamente

l’esercizio del potere sovrano attraverso la

copertura politica della Chiesa.

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Roma, benché oramai priva dell’autorità politica

imperiale, manteneva un’autorità spirituale che,

a partire dalla conversione di Clodoveo, si era

andata rafforzando…

Carlo aveva da tempo compreso che per

governare sui vasti territori conquistati

avrebbe avuto bisogno di un collante: un

collante ideologico, la fede cristiana. Ma,

soprattutto, un collante politico,

rappresentato dalla Chiesa; questa attraverso

le sue strutture istituzionali (diocesi, parrocchie e

quindi vescovi e parroci) rappresentava

l’interconnessione “universale” tra feudatari e

territorio.

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Fu così che il re dei Franchi intraprese,

nell’inverno dell’anno 800 d.C., il viaggio da

Aquisgrana a Roma, dal quale sarebbe tornato

Imperatore: nonostante i territori fossero stati

conquistati già prima, fu soltanto con

l’incoronazione di Carlo ad imperatore che

nacque il Sacro Romano Impero.

Nella notte di Natale, chinandosi dinanzi alla

massima autorità spirituale, Papa Leone III,

Carlo sottoponeva l’autorità temporale a quella

spirituale; parallelamente, però, rafforzava la

propria sovranità, in quanto legittimata dal

Papa, successore di Pietro, e dunque

direttamente da Dio.

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Il Sacro Romano Impero, insomma, avrebberappresentato l’interfaccia politica della respublicachristiana.

L’Impero nato nell’800 era quindi frutto di unpatto: dalla Chiesa veniva fornita una legittimazionepolitica e territoriale (attraverso il collegamento traautorità civili ed ecclesiastiche), ma comecontropartita veniva affidato al potere politico (cioèall’imperatore) una missione religiosa, quella didifendere la Chiesa ed i suoi valori.

L’esperienza del Sacro Romano Impero rappresentò,dal punto di vista costituzionale, la cerniera che univail vecchio Impero romano alla nuova ideologiacristiana: da una parte la continuazione con l’Imperotramontato nel 476; dall’altra la nuova legittimazionedivina dell’Imperatore.

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PAPATO E IMPERO

Nel sistema del Sacro Romano Impero

l’imperatore ed il Papa rappresentano i “pilastri”

su cui si costruì, dal punto di vista costituzionale,

l’edificio medievale.

Impero e Papato sono gli unici due poteri

universali; non essendo però dotati di

competenze assolute, accanto ad essi ebbero

modo e spazio di svilupparsi anche dei poteri

particolari, territoriali ed infraterritoriali.

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La competenza primaria della Chiesa era in

spiritualibus: questa doveva cioè garantire l’unità

di fede della cristianità.

Le competenze primarie dell’Imperatore (che si

differenziavano nettamente dal ruolo, per quanto

esercitato dalla medesima persona, di regnante

d’Italia e di Germania) erano invece

essenzialmente collegate alla funzione di

advocatus ecclesiae: egli doveva cioè garantire che

le vicende terrene non si discostassero dai

precetti cristiani.

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(…SEGUE): LE TEORIE SUL POTERE

La storia del SRI si può essenzialmente riassumere

come una continua ricerca di “mediazione” tra le

due concezioni, una cd. “ascendente”, l’altra cd.

“discendente”, del potere.

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LE DIVERSE CONCEZIONI DEL POTERE

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Propria di alcunemanifestazioni istituzionalidell’impero romano, ma anchedelle genti germaniche , vede ilpotere di creare il dirittoattribuito al popolo;

a questa concezione si collegaun’organizzazione di tiporappresentativo, ma anche il“diritto di resistenza” ed ilprincipio della sostanziale“giurisdizionalità”dell’assemblapopolare, che é anzitutto organodi iustitia in quanto fonte delpotere originario .

Fa riferimento all’idea che ilpotere discenda da un soloorgano supremo;coerentemente, il meccanismoistituzionale corrispondente équello della “delegazione dipotere” .

Teoria ascendente Teoria discendente

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La base “consensuale” comune del SacroRomano Impero fu la fede cristiana.

Nel contesto sociale medievale vi era assolutainscindibilità tra terreno e spirituale; fu una naturaleconseguenza il fatto che al vertice della nuovaconcezione politica universale venutasi a creare conl’incoronazione di Carlo Magno c’era la Chiesa.

L’incoronazione di Carlo Magno da parte del PapaLeone III, lungi dal rappresentare soltanto un evento“mitico”, costituì infatti soprattutto la definitivaaffermazione in ambito istituzionale della teoriadiscendente del potere: nel Medioevo il poteretemporale non era scisso, né scindibile, da quellospirituale

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FOCUS: IL PRINCIPIO GELASIANO

Secondo il principio gelasiano Impero e Papato sono

istituzioni indipendenti ma coordinate. Da un lato,

essendo il potere imperiale di derivazione divina, il

Papato soggiacerebbe all’obbligo di obbedire alle

sue determinazioni normative; dall’altro l’Impero

dovrebbe astenersi da qualunque interferenza in

campo spirituale e prestare obbedienza alle

determinazioni autoritative della Chiesa in questo

ambito di competenza.

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I RAPPORTI TRA CHIESA E IMPERO

Sin dalla teorizzazione del principio gelasiano, nel494, Impero e Chiesa erano stati considerati qualicentri di potere complementari ma indipendenti:complementari in quanto entrambi di derivazionedivina, indipendenti poiché ciascuno dotato dicompetenze primarie.

Nella notte di Natale dell’800, invece, si passò dalbinomio indipendenza/coordinamento alla dipendenzaistituzionale tra Impero e Papato: tra Imperatore ePapa, cioè, veniva a costituirsi un rapportosinallagmatico attraverso l’incoronazione ed ilgiuramento prestato dall’imperatore (il concetto, percerti versi è simile a quello dell’investitura feudale).

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I rapporti tra Chiesa ed Imperatore si svilupparono

attorno al momento fondamentale

dell’incoronazione, che rappresentava un vero

trasferimento di poteri, una mediazione tra Dio e

l’Impero, nonché una legittimazione reciproca.

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Attribuendo una legittimazione divina al potere

imperiale, parallelamente (in base al rapporto

sinallagmatico) veniva attribuita anche una

legittimazione all’esercizio di potestà in

temporalibus da parte del Papato.

Mentre però prima dell’800 la potestà esercitata

dal Papato sulle vicende terrene poteva essere

soltanto indiretta (laddove, cioè, le vicende

terrene si fossero presentate come suscettibili di

una correzione morale) dopo l’incoronazione si

aggiunse una potestas directa della Chiesa sulle

vicende terrene.

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Ciò fu causa di un aumento esponenziale dei

conflitti.

Come è evidente tra Impero e Papato potevano

sorgere controversie soltanto in temporalibus; il

nodo gordiano della strutturazione dei loro

rapporti risiedeva quindi nella diretta

dipendenza delle vicende terrene dalle vicende

spirituali, ed indi di una competenza del Papato a

riguardo (ad esempio, con la lotta per le

investiture).

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Tuttavia, se è vero che la teoria discendente del poteremedievale si sostanziava, in virtù della visionecristocentrica del mondo, nell’attribuzione al divino delruolo di organo supremo, grazie alla mediazione con leteorie ascendenti del potere, il potere della Chiesa nonfu mai assoluto, un potere “totalizzante”.

Proprio perché il potere centrale era troppodebole per controllare ogni aspetto della societàmedievale, si concentrò a regolarne soltanto gliaspetti fondamentali (la guerra, le investiture)

Lo spazio lasciato alla vita, all’esperienza, eradunque amplissimo (è per questo che nel SRInacquero spontaneamente ad esempio le universitàcome istituzioni private).

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SRI: CARATTERISTICHE

Società pluriordinamentale e pluralista.

Convivenza tra ordinamenti particolari

all’interno di una cornice unitaria.

Nel Sacro Romano Impero non si ebbero però

fenomeni di “assolutismo” giuridico, perché il

potere politico era “incompiuto”, ovvero sfornito

di una vocazione totalizzante: i diversi

ordinamenti non erano concentrici, ma

contestuali.

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Il Sacro Romano Impero aveva una costituzione

multilivello, in cui ogni singolo ordinamento

aveva, all’interno dell’ordine giuridico

complessivo, il proprio ruolo e le proprie

competenze.

Il sistema costituzionale era, cioè, un sistema

aperto, “a mosaico”, i cui tasselli erano costituiti

dai vari ordinamenti (Impero, Papato, Regni,

Comuni) che progressivamente venivano a

formarsi nell’Impero.

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L’esperienza medievale del Sacro Romano Impero

mostra una integrazione tra diversi livelli

ordinamentali in relazione alla preservazione dei

valori della cristianità. Il pluralismo era cementato

dalla condivisione profonda di un sistema di valori,

i precetti giuridici e morali della fede cristiana.

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IL SACRO ROMANO

IMPERO DA OTTONE II

AGLI HOHENSTAUFEN

DA ISTITUZIONE UNITARIA AD UNA

PLURALITÀ DI ISTITUZIONI

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GLI OTTONI E LA LOTTA PER LE

INVESTITURE.

Dopo il trattato di Verdun dell’843 la tripartizionedell’Impero carolingio e l’accrescimento del fenomenofeudale determinarono una forte decentralizzazionedel potere: l’unità venne sostituita da unapluralità di centri di potere, legati al poterecentrale dal vincolo di dipendenza feudale.

Nel periodo che va dall’843 alla fine dell’interregno, ilpotere statale pubblico viene sostituito da un poteresovrano su base privatistica, fondato sui concettifeudali di “protezione ed aiuto”.

Mancando un potere forte in grado di tutelarel’ordine, questo viene garantito spontaneamente dallasocietà stessa attraverso la creazione di una serie direticoli di rapporti intersoggettivi di dipendenza: irapporti feudali.

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La situazione viene a mutare allorché, nel 936,viene eletto quale regnante di Germania OttoneI.

L’incoronazione di Ottone I nel 962, sempre aRoma e sempre da parte del papa (Giovanni XII)segna la “prima” rinascita del Sacro RomanoImpero.

Nel 962 Ottone varcò le Alpi e si fece incoronareimperatore a Roma dal papa Giovanni XII. Vennecosì a crearsi, oltre ad una plurisecolaredipendenza dell'Italia Settentrionale dallevicende politiche tedesche, l'associazione tra iltitolo di Imperatore e la regalità tedesca.

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Ottone I, attraverso l’attribuzione delle

circoscrizioni comitali ai vescovi, arginò il

fenomeno disgregativo feudale creando

parallelamente una stretta dipendenza tra

l’organizzazione ecclesiastica e la carica

imperiale.

Con la dinastia degli Ottoni si rafforzò la

stretta dipendenza istituzionale tra Papato

ed Impero. Questa rimase inalterata fino al

periodo della lotta per le investiture.

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Ufficialmente, la lotta tra Papato ed Impero

cominciò con Papa Niccolò II, eletto nel 1059, che

condannò l'investitura laica dei vescovi ed escluse

l'imperatore dalla partecipazione attiva

all'elezione del pontefice (diritto che Enrico III

era riuscito a imporre a Papa Clemente II).

Raggiunse però il suo apice con Papa Gregorio

VII, nell'ambito della cd. riforma gregoriana,

emise nel 1075 il famoso Dictatus Papae, che

sottraeva completamente i vescovi al controllo

imperiale. Come risposta Enrico IV radunò i

vescovi a lui fedeli e depose il Papa, mentre

Gregorio a sua volta scomunicò l'imperatore.

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La lotta per le investiture termina con il

Concordato di Worms del 1122, convenuto

tra Enrico V e Callisto II, che riaffermò i

deliberati del 1059 in ordine alla libertà

dell’elezione papale ma escluse qualsiasi

intervento laico.

Nel regno di Germania l’imperatore conservava

la possibilità di influire sulle elezioni alle sedi

episcopali e abbaziali, ma tale possibilità era

esclusa invece in Italia e in Borgogna.

Con la lotta per le investiture il Papato divenne

l’unico e sovrano regolatore e giudice

dell’ordinamento interno della Chiesa.

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LA DINASTIA SVEVA

La dinastia degli Svevi inaugura, ed incarna, lamaturità giuridica del Sacro Romano Impero.

Tant’è che, pur permanendo il titolo imperialecontinuo, tanto che nel conto degli imperatori si suolecominciare proprio da Carlo Magno, di “Sacro RomanoImpero” si comincia a parlare soltanto con l’ascesa altrono di Federico I di Svevia.

Soltanto sotto questa dinastia la struttura imperialesi presenta come definitivamente compiuta: in essa siinseriscono in un ordine coerente tutte leorganizzazioni ordinamentali formatesi nei secoli incui il Sacro Romano Impero rappresentava ancora un“processo costituzionale”, per divenire sistema.

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Mentre l'impero carolingio era strettamente legato

alla figura del suo fondatore, il Sacro Romano

Impero del XII secolo si presentava come il lascito

dell’esperienza costituzionale carolingia, feudale e

degli Ottoni: una struttura istituzionale complessa,

che era stata forgiata dagli assetti organizzativi dei

quattro secoli di esperienze che lo precedettero.

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E’ solo con Federico I di Svevia, conosciuto

come il Barbarossa, che l’Impero si presenta

come una struttura compiuta, sia dal punto

di vista geografico che sociale.

Da un punto di vista geografico poiché la

respublica christiana venne a comprendere

l’intero continente europeo;

Da un punto di vista sociale poiché i molteplici

ordinamenti giuridici che spontaneamente erano

giunti ad esistenza durante l’alto Medioevo si

stabilizzarono quali centri di potere.

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Federico I, eletto re dei Germani nel 1152 edincoronato imperatore nel 1155, intendeva restituirealla carica imperiale la grandezza ed i poteri chefurono dell’imperatore romano. In questo senso volevaripristinare l’effettività del centro di potere imperiale,e presentarlo come fulcro di legittimità cui riferire lamolteplicità ordinamentale che s’inseriva nel sistema.

Federico I era consapevole di non poter contare sulPapato per il rafforzamento dell’Impero qualestruttura istituzionale. Per questo si rivolse allapluralità istituzionale sviluppatasi nel periodoaltomedievale, seguendo due linee direttrici: da unlato, concedendo sempre più poteri alle grandisignorie feudali e fondiarie, dall’altra rivendicando lapropria potestas assoluta per ciò che concerneva ladelegazione dei poteri imperiali (v. la lotta con iComuni italiani)

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La politica dei successori di Federico I, e

specialmente la politica di Federico II, si

caratterizzò per la conservazione del lascito

costituzionale del primo regnante svevo. In

particolare, durante il regno svevo, la struttura del

Sacro Romano Impero si mantenne relativamente

stabile.

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GLI ORDINAMENTI SUB-IMPERIALI; REGNA,

COMUNI E LANDER

Il Sacro Romano Impero fu un ordinamento

unitario dal punto di vista ideologico, ma

composito dal punto di vista istituzionale.

Papato ed Impero non detenevano, infatti, il

monopolio della distribuzione e

dell’organizzazione del potere.

Il Papa (e l’Imperatore in quanto suo vicario)

deteneva una potestas directiva entro il territorio

della respublica christiana: ma questa potestà

non abbracciava per certo l’interezza delle

funzioni di governo territorialmente determinate,

anzi, se ne distingueva nettamente.

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L’autorità imperiale abbracciava tutto il

territorio della respublica christiana, ma senza

ledere il potere territoriale ed infraterritoriale:

l’Impero può essere rappresentato come una

cornice giuridica di un fenomeno più complesso,

che non viene assorbito dal potere

sovranazionale, anche se inserito in esso.

Gli ordinamenti giuridici sub-imperiali venivano

dunque costantemente limitati dai due poteri

universali, impero e papato; siffatte limitazioni

tuttavia, anziché presentarsi quali lesive,

rispondevano all’esigenza di convergere

l’autonomia delle istituzioni territoriali verso

l’impianto costituzionale complessivo.

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La convivenza istituzionale fu, è vero, spesso pienacontraddizioni, attriti, conflitti; ma il Sacro RomanoImpero si dimostrò in grado non già di annullare ledifferenze, ma di renderle compatibili. Un sistemaquale quello imperiale, fondato da una eterogeneitàgeografica e culturale, basò la propria longevitàistituzionale proprio sulle molte differenze e sulle pochecomunanze.

Nelle pur frequentissime esperienze conflittuali tra i varicentri di potere, mai nessuno si ribellò contro lacomplessiva struttura istituzionale del Sacro RomanoImpero; piuttosto, i regna ed i Comuni, almeno fino al XIVsecolo, non dubitarono mai della legittimità dei due poteriuniversali e del vincolo che li legava a quelli.

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I REGNI

I regnanti territoriali entravano a far parte dellastruttura “a mosaico” dell’Impero attraverso ilgiuramento di fedeltà all’Imperatore (in quantovicario della Chiesa).

Questo sistema di reciprocità ed indipendenza sistabilizzò durante l’Alto Medioevo; ma nei circa ventianni dell’Interregno (il periodo che va dalladeposizione di Federico II da parte di papa InnocenzoIV, nel 1245, all'elezione di Rodolfo I nel 1273) i reebbero modo di rafforzare la propria posizione diindipendenza rispetto agli affari interni ed adaffrancarsi dal giogo feudale che si era a loro impostoa seguito della politica dei due grandi ImperatoriFederico I e II.

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Almeno fino al XIV secolo circa, però, le posizionidi imperatore e di re si differenziavanonettamente: solo l’Imperatore possedeva,all’interno del proprio ruolo, una plenitudopotestatis.

Nel momento in cui i regnanti, e specialmente ire francesi, assolutizzano il proprio ruolo il SacroRomano Impero viene a frantumarsi:autoattribuendosi la plenitudo potestatis nelproprio regno e considerandosi indipendentirispetto ad ogni altro potere non aderivano piùalla struttura “a mosaico” che per secoli avevatenuto salda la struttura complessiva.

Una volta delegittimato il potere universaledell’Impero, venne meno l’equilibrioordinamentale, che dovette essere raggiuntoattraverso una nuova costruzione normativa, loStato.

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E’ proprio da questi regna, quindi, che nascerà lo

Stato nazionale: a partire dall’inizio del XIV secolo

ci si trovava già in presenza di fenomeni di

“nazionalizzazione” del potere che avrebbero fatto

divenire il Sacro Romano Impero soltanto uno

Stato territorialmente determinato.

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I COMUNI

La rinascita economica e la riurbanizzazione

portarono, nei secoli X ed XI, alla creazione di

assetti organizzativi territoriali “decentrati”, in

particolare città e, per quanto concerne

precipuamente l’esperienza italiana, Comuni.

Il sorgere di queste organizzazioni fu

assolutamente spontaneo, e costituiva una

rappresentazione macroscopica di quella

tendenza all’”unione tra eguali” che animava

l’associazionismo medievale, e che portò alla

nascita delle corporazioni.

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I Comuni si formarono spontaneamente,

secondo un moto volitivo non imposto, e

che dunque entrarono a far parte

dell’ordinamento costituzionale imperiale

de facto, semplicemente attraverso la propria

esistenza; tanto più che i “cittadini”, intesi qui

come abitanti delle città, si presentavano come

assolutamente svincolati dagli obblighi di

auxilium e protezione che invece incombevano su

coloro i quali vivevano a norma del patto feudale

(“l’aria di città rende liberi”)

Questo perché il concetto di “cittadinanza” e di

“cittadini” quale oggi lo intendiamo nasce

soltanto a metà del XVIII° sec. (rivoluzione

francese)

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Quando l’esigenza di una regolamentazione dellavita cittadina si fece stringente, i Comuniprovvidero emanando degli Statuti, documentinormativi configuratesi sostanzialmente quali“carte di libertà”, ovvero enucleanti il contenutodi alcune situazioni giuridiche soggettive,sostanzialmente di libertà, di applicazioneterritorialmente contingentata.

E tuttavia, non vi era uguaglianza tra cittadini:piuttosto, l’eguaglianza era sancita con riguardoalle corporazioni (che nella seconda metà delbasso medioevo s’impadronirono anche del poterepolitico: all’interno delle corporazioni, infatti, sieffettuava una prima “scrematura” perindividuare i candidati alle cariche pubbliche – siprocedeva, cioè, per cooptazione).

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Progressivamente, però, l’istituzione comunale

giunse a configurare una vera e propria forza di

governo, indipendente dall’Impero: nei comuni

venivano infatti esercitati dei poteri autoritativi

di natura “superiore” quali la iurisdictio,

l’imposizione fiscale, l’esazione e financo il

riconoscimento di status giuridici.

I Comuni, autoattribuitisi facoltà di governo in

senso ampio, ricomprendenti dunque anche

potestà di natura “reale” quale quella della

iurisdictio, versavano però - nonostante la lunga

assenza istituzionale dell’Imperatore e dunque

l’uso consolidato nel tempo di siffatte potestà - in

una situazione di illegittimità.

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IL CONFLITTO TRA FEDERICO

BARBAROSSA ED I COMUNI

Federico I di Svevia detto il Barbarossa,

spinto da ambizioni accentratrici e dal desiderio di

riportare l’autorità imperiale all’ estensione

geografica che fu di Carlo Magno, riconobbe la

situazione di illegittimità in cui versava pressoché

l’intero Nord – Italia: si pose dunque l'obiettivo

di recuperare gli iura regalia, le regalie,

ovvero gli inalienabili diritti del potere regio quali

amministrazione della giustizia e la riscossione

delle imposte.

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Nell’ottobre 1154 Federico I scese in Italia econvocò una dieta a Roncaglia, in cui revocò tuttele regalie usurpate dai Comuni sin dal tempo diEnrico IV (I° dieta di Roncaglia).

Nel giugno del 1158, visto che molti Comunicome Milano avevano disatteso le precedentideterminazioni, Federico decise per una secondadiscesa in Italia ed assediò Milano, obbligandolaa sottoporre all'approvazione imperiale la nominadei suoi consoli.

A novembre dello stesso anno convocò poi laseconda, e più importante, dieta di Roncaglia,cui parteciparono importanti esperti didiritto Università di Bologna che fornirono aFederico l'elenco dei diritti regi, poi inserito nellaConstitutio de regalibus (II° dieta diRoncaglia).

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Federico si mostrò disposto a lasciare i dirittiregali ai Comuni, ma pretese un tributo annuo esoprattutto il riconoscimento che l’ Impero fossela fonte di ogni potere. In base a quest’ ultimoprincipio Federico emanò anche la Constitutiode pacis con cui proibì le leghe fra città e leguerre private.

Nel 1164 le città della “marca veronese”fondarono la Lega veronese, venendo menoproprio alla Constitutio de pacis; dalla fusione trala Lega veronese e quella cremonese, creata nel1167, venne a formarsi la Lega Lombarda, cuiprogressivamente aderì quasi la totalità deiComuni dell’Italia settentrionale e gran parte deisignori feudali italiani.

La Lega Lombarda rivendicava l’usus libertatisacquisito nei secoli di esercizio delle potestàregali da parte dei Comuni.

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Una tale posizione non poteva peraltro essere

accettata da Federico I, in quanto egli aveva

affermato già con la Constitutio de regalibus la totale

dipendenza delle potestà regali dei Comuni dalla

delegatio imperiale. L’inconciliabilità delle due

posizioni fu causa della quinta discesa in Italia di

Federico I nel 1176, e della celebre sconfitta delle sue

truppe a Legnano.

Alla sconfitta di Legnano fece seguito la pace di

Costanza del 25 giugno 1183.

L'imperatore concesse alle città della Lega l’esercizio

di poteri “regali”, rinunciò alla nomina dei podestà,

riconoscendo i consoli nominati dai cittadini; i

Comuni, di converso, si impegnarono a pagare un

indennizzo ed un tributo annuo, a corrispondere

all'imperatore il fodro ed a concedere all'imperatore la

prerogativa di dirimere in prima persona le questioni

fra un Comune e l'altro.

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La pace di Costanza rappresenta un

compromesso tra i centri di potere imperiali

e infraterritoriali. In questo senso, a dispetto di

chi vede nella conclusione della pax il tramonto del

progetto politico universale di Federico poiché viene

riconosciuta ai Comuni larga autonomia, la pace di

Costanza rappresenta un momento decisivo

rispetto allo stabilizzarsi di alcune dinamiche

istituzionali. Ed infatti Federico I, pur concedendo

ai Comuni l’esercizio di diritti e potestà regali, mai

venne meno ad un unico punto di diritto: le potestà

erano concesse dall’Imperatore, in quanto soltanto

da lui poteva discendere il potere legittimo di

esercitare determinate competenze.

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La Lega Lombarda, invece, pur non mettendo

assolutamente in discussione, é il caso di

ribadirlo, la fedeltà e la soggezione all’Impero,

venne a costituirsi in quanto considerava

una lesione del diritto, ed indi una

violazione del patto tra sovrano e sudditi,

l’abrogazione unilaterale di quei diritti e

quelle libertà di governo che i Comuni

avevano reso giuridiche attraversa la

praescriptio longissimi temporis.

I Comuni non si opponevano, cioè, al Sacro

Romano Impero, ma rivendicavano il

rispetto di una consuetudine (esercitarono

una sorta di diritto di resistenza

all’assolutismo sovrano di Federico).

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In realtà, quello che il diritto costituzionale imperialesanciva con l’illegittimità non era il contenutosostanziale del comportamento dei Comuni (tanto cheper quello che riguardava il diritto di elezione diduchi, conti, marchesi, la nomina dei consoli, ilprivilegio di concessione di "battere moneta", lariscossione dei pedaggi, delle tasse doganali eportuali, la constitutio ne prevedeva l’attribuzione aiComuni in cambio di un tributo annuo), bensì ilmancato rispetto delle attribuzioni di competenza: ilpotere giurisdizionale e fiscale eranoprerogative regie e quindi non potevano essereesercitate senza la “delegazione di potere”imperiale, pena la lesione dell’intera strutturacostituzionale dell’Impero medesimo.

Quello che Federico volle mantenere fu il punto diprincipio: nessuna struttura istituzionale avrebbepotuto esercitare ex se un potere che non lecompeteva, pena la rottura di tutto il complessosistema di equilibri che teneva insieme l’Impero.

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Ed infatti il conflitto si concluse con una

vittoria da ambo le parti: una vittoria

formale dell’Imperatore, e sostanziale dei

Comuni.

Con la pace di Costanza del 1183, infatti, si

riserva all’Impero il giuramento di fedeltà dei

comuni, la prestazione del fodro imperiale e la

giurisdizione di appello nelle cause maggiori;

parallelamente, però, vengono concessi, quale

consuetudine, il complesso dei diritti pretesi dai

Comuni, compresa la piena iurisdictio.

Il “privilegio di Costanza” consegna dunque alla

storia la situazione di fatto esistente prima della

discesa in Italia del Barbarossa, ma la consegna

ora in una veste ufficialmente legittima, e

coerente, rispetto al diritto costituzionale

dell’Impero.

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Di fatto il ”privilegio” fu un patto bilaterale:

formalmente, invece, si presentava come

una concessio imperiale, in conformità al

principio secondo cui tutti i poteri

derivavano dall’imperatore.

La pace di Costanza, dunque, riconsegna

nell’alveo del sistema del Sacro Romano Impero

le potestà esercitate dai Comuni: tuttavia,

evidenzia un’ evoluzione (ma è un meccanismo

giuridico-politico) costituzionale nel senso di

una sempre maggiore autonomia normativa e

costituzionale dei poteri infra-territoriali

comunali, pur inseriti nella struttura imperiale

da cui dipendono.

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LANDER E GRANDI FEUDI

L’esperienza costituzionale “a mosaico” del Sacro

Romano Impero si componeva – soprattutto nel

resto d’Europa – di altri ordinamenti

infraterritoriali, Länder e grandi feudi.

Dopo Costanza, anche nei Länder e nei grandi

feudi italiani la sovranità imperiale si ridusse

grandemente; anche qui quella dell’Impero era

quasi una sovranità “sulla carta” .

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Da una parte infatti l’imperatore Barbarossa,

durante il lungo conflitto contro i Comuni, per

evitare che anche le grandi dinastie feudali italiane

partecipassero al conflitto, concesse loro - e

specialmente ai Savoia - un notevole ampliamento

dei poteri; Federico II di Svevia invece, tra il 1220

ed il 1231, ampliò le potestà giudiziarie, finanziarie

ed amministrative dei Länder tedeschi e con

l’emanazione del Liber Augustalis assunse il potere

nel più grande regno italiano, quello di Sicilia.

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Buona parte della sovranità imperiale nei riguardi

dei principi territoriali si ridusse dunque

progressivamente a mero metro di legittimità del

conferimento dei poteri, e così come per i Comuni,

si osserva una tendenziale espansione dei poteri

particolari rispetto al potere generale

rappresentato dall’Impero, che viene ad

interpretare oramai soltanto la cornice

dell’ordinamento complessivo “decentralizzato”.

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LE FONTI DEL DIRITTO NEL

BASSO MEDIOEVO

IUS COMMUNE e IURA PROPRIA

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Il Sacro Romano Impero era, quanto

all’organizzazione, un sistema multilivello

(Impero, Regni, Comuni/Città, corporazioni).

Questa strutturazione composita, trovò

espressione anche nel modo del diritto (ricorda, il

diritto non fa che porre in essere una scelta

politica!)

Nell’alto medioevo, come si è visto, il diritto

era frammentato. L’azione della Chiesa creò un

substrato culturale uniforme; l’Europa era unita

da una fede ed un imperatore comune.

UNUM IMPERIUM, UNUM IUS:

L’UNIFICAZIONE GIURIDICA EUROPEA.

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Fu però soltanto grazie all’opera dei glossatori –

ed all’azione culturale del fenomeno universitario

– che l’Europa (ri)trovò altresì un diritto comune:

quello romano-giustinianeo. Cui si aggiunse

anche l’altro diritto comune del Sacro Impero:

quello della Chiesa (il diritto canonico).

In tutto l’Impero, dunque, vigeva un unico

diritto comune (cd. ius commune) composto

da due diritti: quello civile del corpus iuris

e quello canonico. ATTENZIONE:

DIFFERENZA CON LA COMMON LAW!!

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Naturalmente, diversi erano gli ambiti di

competenza: il diritto canonico aveva

principalmente competenza in spiritualibus (fatta

eccezione per l’istituto del matrimonio); il diritto

civile, in temporalibus. Come si vede, il diritto era

lo specchio della struttura sociale: ai due poteri

universali corrispondevano due diritti comuni,

applicabili a tutti i soggetti del Sacro Romano

Impero.

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Il sistema di diritto comune, si è detto, si

componeva del corpus iuris e del diritto

canonico.

Generalmente, tuttavia, quando si parla di

ius commune ci si riferisce al diritto romano

giustinianeo come interpretato dalla

scienza giuridica medievale.

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Come si giunse, dunque, all’affermazione di un

diritto comune per tutto l’Impero? Come si riuscì

a superare definitivamente il principio di

personalità (è bene specificare, infatti, che lo ius

commune era il diritto vigente nell’intero

territorio del SRI)?

Attraverso il “rinascimento giuridico” (Calasso) e

scientifico che ebbe luogo nelle università

italiane.

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Furono i quattro allievi di Irnerio (Bulgaro,

Martino, Jacopo ed Ugo) che a Roncaglia, nel 1158,

dichiararono per primi che il diritto romano era

applicabile all’Imperatore Federico Barbarossa. Il

ragionamento dei quattro glossatori era semplice

(un sillogismo): il SRI rappresentava, grazie

all’investitura della Chiesa, la continuazione

dell’Impero Romano; conseguentemente, anche nel

SRI rimaneva vigente ed applicabile il diritto

contenuto nel corpus iuris giustinianeo.

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Il diritto, grazie all’opera della scuola di

Bologna, si trasforma in un procedimento

dialettico: non è più, cioè, la semplice lettura

della disposizione posta dal sovrano: è la lettura

della disposizione, elaborazione della stessa alla

luce delle categorie giuridiche generali ed

applicazione al caso concreto.

Il diritto si emancipa dal contesto

temporale in cui la disposizione venne

concepita (il diritto imperiale è un diritto

atemporale) e “vive” nell’ordinamento

giuridico medievale attraverso l’opera di

mediazione dei giuristi: il giurista medievale è

mediatore tra la politica e la vita.

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Attraverso un’operazione “politica”, prima ancora che

giuridica (per i glossatori quello giustinianeo era “il

diritto” e dunque ambivano a renderlo il diritto

dell’Impero), i giuristi bolognesi trasformarono il

diritto giustinianeo, elaborato oltre sei secoli prima,

nel diritto vigente comune a tutti i territori

dell’Impero.

Si ricorda che i glossatori studiavano il corpus iuris ;

il diritto applicato, tuttavia, era parzialmente diverso:

durante il basso medioevo era infatti applicato

il diritto romano-giustiniane così come

interpretato dalla scienza giuridica (corpus

iuris+glosse/commenti).

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L’Impero, si è detto, era un sistema composto da una pluralità di ordinamenti giuridici.

Accanto ai due ordinamenti universali (Impero e Papato) vi erano una molteplicità di ordinamenti giuridici particolari.

Ciascuno di questi ordinamenti particolari si reggeva su proprie consuetudini e su propri atti normativi (chiamati costituzioni oppure – soprattutto - statuti ).

Questo tipo di diritto era un diritto nuovo ed originale, sorto spontaneamente per venire incontro alle esigenze della realtà ( reicentrismo del mondo medievale – Grossi).

IURA PROPRIA

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Si definiscono iura propria le normative degliordinamenti particolari del Sacro RomanoImpero (Comuni, Città, Regni).

Era un diritto che si era formato e sedimentatolentamente durante tutto l’alto medioevo (perquesto non si può parlare di una frattura tral’alto ed il basso medioevo, ma di continuità!); eproprio perché nato per regolare i particolariproblemi quotidiani sorti all’interno dei variordinamenti, spesso era in contrasto con iprincipi del diritto romano.

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Gli iura propria erano:

- Consuetudini: erano (e sono) dei comportamentiripetuti nel tempo nella convinzione generale della lorointrinseca giuridicità (diuturnitas+ opinio iuris acnecessitatis). Sorsero spontaneamente tra l’XI ed il XIIsecolo e costituiscono la più diretta espressione di ungenerale ritorno alla territorialità del diritto: eranodegli usi locali consolidatesi nel tempo con riferimentoad un determinato spazio territoriale; ed eranoespressione della commistione tra esperienze giuridiche:un mix tra diritto romano, diritto germanico e dirittovolgare. Di queste consuetudini spesso si redasseroraccolte scritte, che hanno però una funzionemeramente ricognitiva del patrimonio giuridicopopolare, e che quindi non devono essere confuse congli statuti.

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Statuti comunali: erano dei piccoli “codici” in

cui le nuove comunità politiche particolari (e

soprattutto i Comuni) fissavano in disposizioni il

proprio libero assetto costituzionale ed

amministrativo, le proprie procedure, le proprie

regole di diritto provato.

Legislazione sovrana: consolidatasi soltanto in

alcuni territori tra il XII e XIII secolo. In Italia,

ad esempio, nel Regno di Sicilia, accanto alle

consuetudini ed agli Statuti i sovrani della

dinastia normanno-sveva promulgheranno una

legislazione che andrà ad affiancarsi al diritto

comune, come le Assise normanne del 1140 di

Ruggero III e le Constitutiones Augustales

emanate a Melfi nel 1231 da Federico II.

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Gli statuti comunali costituiscono il caso più

esemplificativo di ius proprium.

La potestà normativa statutaria dei

Comuni, infatti, non esprimeva una volontà

normativa universale, bensì l’autonomia che

ciascun ordinamento giuridico particolare

rivendicava nell’ambito del proprio territorio.

IN PARTICOLARE: GLI STATUTI COMUNALI

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Lo statuto è per sua natura una norma

particolare (nel senso di destinata a valere

in un ambito territorialmente ed

istituzionalmente limitato) e speciale (nel

senso di regolare solo la materia

disciplinata) (Santarelli).

Proprio in quanto espressione dell’autonomia dei

vari ordinamenti, la potestà statutaria potava

assumere le forme più diverse.

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La distinzione principale era tra i brevia

giurati (ovvero gli atti normativi emanati dalle

magistrature comunali e tra gli statuta in senso

stretto (cioè le deliberazioni delle assemblee

cittadine).

Specialmente nell’Italia centro-settentrionale,

però, si conoscono ulteriori forme di statuti, ad es.

gli statuti marittimi delle città portuali (che

raccolgono le consuetudini relative all’attività di

navigazione e commercio) o gli statuti

corporativi dove le associazioni e le corporazioni

comunali redigono le norme che disciplinano la

propria organizzazione interna.

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Il problema dei rapporti tra ius commune e ius

proprium è in realtà un problema di rapporti tra

poteri all’interno del medesimo sistema giuridico.

In particolare, il rapporto tra il potere imperiale e

quello comunale.

I RAPPORTI TRA IUS COMMUNE E IUS

PROPRIUM.

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La concreta struttura politico-sociale dell’Impero

era caratterizzata da una pluralità di

ordinamenti giuridici che causava una mancanza

di unità nel mondo delle fonti del diritto (ogni

atto o fatto idoneo a creare diritto: fatti di

produzione giuridica “fatti dai quali, come

dalla loro sorgente, sgorga il diritto

(Sandulli)): vi erano cioè più soggetti produttori

di norme giuridiche.

Non vi era, cioè, un unico soggetto produttore di

norme giuridiche come nello Stato kelseniano (in

cui, si vedrà, il diritto è una rigida gerarchia di

fonti prodotte da un solo soggetto politico, lo

Stato); di conseguenza sorse il problema del

diritto applicabile.

.

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Le difficoltà derivanti dalla presenza di un forte

pluralismo giuridico non furono però risolte

attraverso la forza (che l’Impero non aveva, come

si vide a Legnano); bensì lasciando spazio alle

differenti espressioni dell’autonomia statutaria

(il potere politico imperiale, come si è detto, non

era infatti un potere assoluto, totalizzante).

Il sistema normativo del diritto imperiale venne

dunque concepito come un’organizzazione di fonti

giuridiche coesistenti: più ordinamenti erano

riuniti in un unico ordine, e tenuti insieme dalla

fede cristiana.

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Per individuare il diritto applicabile, dunque, si

faceva riferimento ai rapporti politici di forza

esistenti all’interno dell’Impero:

in una prima fase veniva applicato in via

principale lo ius commune e soltanto in via

residuale lo ius proprium;

in una seconda fase, invece, il rapporto

venne ribaltato: il diritto applicabile in via

principale era lo ius proprium, e lo ius

commune veniva applicato in via

subordinata.

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APPLICAZIONE IN VIA PRINCIPALE DELLO

IUS COMMUNE ED IN VIA RESIDUALE

DELLO IUS PROPRIUM.

I FASE (XII E XIII SEC.) :

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In una prima fase dei rapporti tra Impero e

Comuni, quando l'Impero era ancora un potere

politico forte, il diritto applicabile in via principale

era individuato nello ius commune (cioè nel diritto

romano giustinianeo. ATTENZIONE: il diritto

canonico venne sempre applicato in via

principale: questo perché il potere e

l’autorità della Chiesa erano di derivazione

divina e dunque mai limitabili dall’opera

dell’uomo!); laddove lo ius commune non avesse

contenuto disposizioni applicabili al caso concreto,

si faceva invece uso dello ius proprium

(applicazione in via residuale).

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Questa configurazione dei rapporti tra ius

commune/ius proprium si basava su un passo delle

Istitutiones di Gaio (contenute nel Digesto) per cui:

“Omnes populi qui legibus et moribus

reguntur partim suo proprio partim communi

omnium hominum iure utuntur”.

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Dal passo in questione, i glossatori ricavarono alcuneconsiderazioni:

Il SRI era un UNICO sistema, all’interno del qualeconvivevano più diritti;

Il sistema delle fonti normative è però sorretto daun’unica naturalis ratio, espressa dal diritto romanogiustinianeo;

Di conseguenza, il diritto romano è l’unico dirittouniversale applicabile a tutto il territorio del SRI(anzi, a tutto il mondo) in quanto è l’unico dirittouniversalmente valido, che non può che esserepresupposto dei vari diritti particolari;

In quanto diritto presupposto, il diritto romano è inuna posizione di preminenza gerarchica rispetto aidiritti particolari;

I diritti particolari possono essere applicati soltantoladdove non contrastino con i principi espressi daldiritto romano e questo non contenga disposizioniapplicabili: il diritto particolare è un dirittosuppletivo

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LO IUS COMMUNE È APPLICATO

SOLTANTO UBI CESSAT STATUTUM.

II FASE (XIV E XV SEC.) :

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Il diritto riflette sempre i valori della società e la

sua organizzazione: è per questo motivo che, al

cambiare degli equilibri politici, cambiò anche il

rapporto tra ius commune e ius proprium.

Tra il XIV ed il XV secolo, infatti, gli ordinamenti

particolari acquisirono progressivamente una

forza politica maggiore; l’Impero rappresentava

la cornice di valori (la fede cristiana)

dell’ordinamento, ma non aveva più la forza di

contrapporsi politicamente alla forze politiche

radicate nel territorio.

L’Imperatore, cioè, conservava un’autorità

esteriore (di defensor ecclesiae); ma erano gli

ordinamenti particolari che di fatto gestivano

indipendentemente il potere all’interno del

proprio territorio.

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Grazie alla progressiva affermazione (a partire

da Filippo il Bello in Francia, nel 1296) del

principio per cui “rex in regno suo superiorem non

recognoscens”, gli ordinamenti particolari

rivendicarono il titolo di esercitare entro i propri

confini gli stessi poteri del monarca e

dell’imperatore.

Questa affermazione ebbe conseguenze rilevanti

anche per il mondo del diritto; e soprattutto sul

sistema delle fonti.

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Così come i glossatori furono i teorici della

preminenza dello ius commune, i commentatori

lo furono per lo ius proprium (tant’è che

diventarono essi stessi redattori degli statuti

cittadini).

Il problema che questi giuristi medievali si

trovarono ad affrontare era infatti quello di

trovare un fondamento legittimo all’insieme di

poteri che di fatto ciascun ordinamento

particolare esercitava in piena autonomia.

In particolare, i commentatori italiani

fronteggiavano un problema insieme teorico e

politico: legittimare i comuni come fonti del

diritto, cioè come fonti di uno ius proprium

legittimo e valido di fronte al diritto comune.

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Per legittimare la preminenza dello ius proprium si

fronteggiarono varie teorie:

Permissio: la potestà normativa statutaria sarebbe

stata concessa ai Comuni direttamente

dall’Imperatore;

Bartolo da Sassoferrato: la potestà normativa

statutaria deriva direttamente dalla potestà di

iuridictio dei Comuni italiani;

Baldo degli Ubaldi: l’esistenza delle comunità

politiche particolari trova la sua stessa

giustificazione nel diritto naturale (è solo con

Baldo che viene definitivamente superata la visione

medievale della centralità dell’Impero). Questo perché

per il solo motivo che un ordinamento esiste,

devono esserci anche le norme che provvedono

alla vita dello stesso: il diritto particolare non

deriva la sua legittimazione da un ordinamento

esterno (quello imperiale) ma ha una naturale

validità

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E’ questo il momento in cui lo ius commune assume

con chiarezza i caratteri di relatività che lo

caratterizzeranno in tutta l’età moderna: esso è

comune in quanto postula una pluralità di sistemi

normativi che ne partecipano in ragione della loro

insufficienza: diviene un diritto di principi e

categorie generali, capace per questo di

contrapporsi ancora efficacemente alla legislazione

statutaria, che è prevalentemente casistica.