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Le ferrovie Ing. Paolo Beria TRASPOL Working paper LE FERROVIE Descrizione del settore ferroviario in Italia ed Europa. Ing. Paolo Beria Facoltà di Architettura Dipartimento di Architettura e Pianificazione TRAS POL RESEARCH CENTER ON TRANSPORT POLICY LABORATORIO DI POLITICA DEI TRASPORTI Laboratorio di Politica dei Trasporti www.traspol.polimi.it Milano, 10 gennaio 2008

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Le ferrovie Ing. Paolo Beria

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LE FERROVIE Descrizione del settore ferroviario in Italia ed Europa. Ing. Paolo Beria

Facoltà di Architettura Dipartimento di Architettura e Pianificazione

TRASPOLRESEARCH CENTER ON TRANSPORT POLICY

LABORATORIO DI POLITICA DEI TRASPORTI

Laboratorio di Politica dei Trasporti www.traspol.polimi.it

Milano, 10 gennaio 2008

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Scopo del presente documento è di fornire una descrizione del settore ferroviario in Italia e in Europa. Il settore viene prima descritto fisicamente, fornendo alcune informazioni relative alle reti italiane. In seguito sono forniti alcuni dati sulla domanda continentale e italiana. Un approfondimento è dedicato alle limitate informazioni pubbliche sulla domanda delle reti ad alta velocità. Il documento si conclude con una descrizione economica del settore:, struttura dei costi, ricavi, investimenti loro redditività socio-economica. Il documento è, in versione più sintetica, parte di un articolo a quattro mani precedentemente pubblicato: Ponti M., Beria P. (2007) “La rotaia arrugginita e il vagone del futuro”, Il Mulino, No. 6, p. 1028-1041.

Indice del documento

DESCRIZIONE FISICA DELLA RETE ITALIANA 4

LA DOMANDA DI TRASPORTO FERROVIARIO 5

DESCRIZIONE ECONOMICA DELLE FERROVIE EUROPEE 10

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 13

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Descrizione fisica della rete italiana

La rete ferroviaria italiana si sviluppa, come le omologhe reti europee, dopo la metà dell’800. Fino a dopo la Prima Guerra Mondiale essa si sviluppa a ritmi sostenuti, anche perché non vi sono alternative significative per le relazioni terrestri (a parte quelle locali) e la domanda di mobilità cresce considerevolmente. L’Italia, nel 1905, fu il secondo stato (dopo la Svizzera) a nazionalizzare la rete ferroviaria a causa della situazione finanziaria delle società private che fino ad allora avevano gestito e, talvolta, costruito le reti (Mioni, 1999; Beria e Ponti, 2007). Dal dopoguerra le reti cominciano a contrarsi e questa tendenza continua fino agli ultimi decenni, quando, iniziando dalla Francia, gli stati ricominciano ad investire anche nella costruzione di nuove linee, principalmente con caratteristiche ad alta velocità. La UE, negli anni Novanta, ha fatto propria una politica di infrastrutturazione per grandi corridoi di dimensione continentale, nota sotto il nome di rete TEN (Trans Europoean Network), con cui si cerca di imprimere una spinta al trasporto ferroviario in crisi. La rete ferroviaria italiana è oggi divisa tra la rete del Gruppo Ferrovie dello Stato, ora gestita dalla società RFI (Rete Ferroviaria Italiana), e il complesso delle ferrovie in concessione1. L’estensione della rete italiana è rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi 30 anni, su un totale di circa 15.900 km per le FS e circa 3.500 km per le ferrovie concesse. A parte le limitate estensioni2 e i progetti dell’Alta Velocità, gli investimenti principali sono stati sull’elettrificazione e sul raddoppio di linee a semplice binario, non sempre in risposta a reali limiti di capacità. La figura riporta tali dati:

Estensione rete feroviaria FS

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elettrificata doppio binario totale fonte: nostre elaborazioni da MIT (2003)

1 Le ferrovie concesse sono in alcuni casi linee minori con funzione prettamente locale sopravvissute alle soppressioni degli anni ‘50, ’60 e ’80, mentre altre costituiscono una vera e propria rete con funzione regionale o metropolitana. 2 Tra le nuove linee si citano solamente la Ferrandina – Matera, in costruzione dal 1986, la variante Seregno – Dalmine, la Padova – Chioggia, l’accessibilità da nord all’aeroporto di Malpensa, la Roma – Rieti (Beria e Ponti, 2007)

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Come detto, negli ultimi decenni i principali investimenti in nuove linee hanno riguardato la creazione, in analogia con tutti gli altri paesi europei, di una rete ad Alta Velocità. Con l’esclusione della Firenze-Roma, precedente, tali linee sono in costruzione dalla metà degli anni ’90. A lavori completati, la rete TAV avrà una forma a “T”: la linea verticale collega Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, mentre quella orizzontale andrà da Torino a Venezia e Trieste passando per Milano. Altre tratte sono per ora solo pianificate o in via di cantierizzazione3. L’Alta Velocità italiana, nel tempo, ha assunto la denominazione “Alta Velocità / Alta Capacità” (AV/AC) ad indicare che non è esclusivamente dedicata ai servizi passeggeri, ma costituisce piuttosto un raddoppio veloce delle linee principali. Inoltre, le linee sono state progettate, con aggravio di costi, in modo da poter accogliere anche il traffico merci. Il cambiamento di denominazione, la diversa progettazione4, il tipo di traffico che dovrebbe utilizzarle, mostrano chiaramente che il principale obiettivo di tali investimenti è l’aumento della capacità5 (Steer Davies Gleave, 2004) e non tanto la creazione di un’offerta passeggeri ad alta velocità, come le prime formulazioni postulavano (Turrò, 1999). Come detto, anche nel resto d’Europa sono in corso investimenti per la creazione di una rete ad alta velocità. Questa rete, su cui dovrebbe essere garantita la totale interoperabilitá sia a livello di alimentazione che di segnalamento, non è in realtà omogenea per funzioni. I modelli adottati dai vari stati sono di quattro tipi (Campos, De Rus, Barron, 2006): a) completa separazione tra servizi ad alta velocità e tradizionali, ognuno su una propria rete non comunicante (modello giapponese, senza esempi in Europa); b) i servizi ad alta velocità percorrono sia linee dedicate che quelle storiche (modello TGV francese); c) i treni veloci utilizzano esclusivamente le linee nuove, i servizi convenzionali utilizzano sia le linee storiche che quelle veloci (modello TALGO spagnolo); d) linee convenzionali e veloci sono utilizzate promiscuamente da treni convenzionali e veloci (modello tedesco e italiano, con treni politensione).

La domanda di trasporto ferroviario

I dati di traffico delle ferrovie europee vedono, negli ultimi anni, una crescita abbastanza costante per i passeggeri e un crollo per le merci fino agli anni ’90 a cui è seguita una fase di lenta ripresa. Il grafico seguente mostra come, con l’esclusione della Polonia, in tutti i principali paesi europei il traffico passeggeri aumenta, sebbene con trend differenti. L’Italia è 3 La linea Milano – Genova, la connessione tra Milano e l’AlpTransit (l’alta velocità svizzera) attraverso Como, il tunnel del Frejus verso Lione e il tunnel del Brennero. Infine sono previste più a lungo termine estensioni verso sud. 4 Rispetto, ad esempio, alle linee francesi esclusivamente dedicate al trasporto passeggeri intercity ad alta velocità. 5 Questo vale anche per altri paesi europei, non solo per l’Italia.

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oggi il terzo mercato ferroviario continentale, ma la sua crescita è sostanzialmente inferiore a quella degli altri paesi. La crescita della Gran Bretagna è da attribuirsi agli effetti positivi della liberalizzazione degli anni ’90 (De Rus, Nash, 2006), per la Spagna è dovuta in buona parte alla sua recente crescita economica, per la Francia è legato principalmente al successo dei collegamenti TGV aperti dagli anni ´90.

Traffico passeggeri

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fonte: DG TREN (2006)

Le merci mostrano un diverso andamento. I volumi degli anni ’90 sono sostanzialmente inferiori a quelli dei decenni precedenti, segno della perdita di competitività del ferro sulla gomma. In seguito, anche qui con l’esclusione della Polonia, la crescita riprende, ma lentamente. Solo in Germania attorno al 2003, si ha un’impennata dovuta all’affermarsi di DB come operatore logistico. L’Italia ha, nel caso delle merci, un volume considerevolmente inferiore a quello di Germania, Francia e Polonia, sia per la scarsa attrattività del servizio che

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per la struttura produttiva differente, fatta di piccole imprese disperse e molte produzioni ad alto valore aggiunto. Nonostante la crescita e contrariamente a quanto l’immagine della ferrovia come “spina dorsale” dei trasporti, la sua quota sul totale è, in Europa, molto bassa, sia per merci che per passeggeri. In termini di unità di traffico, nel 2005 è pari al 10% per le merci e al 5,8% per i passeggeri (DG TREN, 2006). La dominanza del trasporto su gomma di passeggeri è pressoché totale (circa l’85%), mentre per le merci la quota di trasporto internazionale effettuato via nave copre quasi il 40%. Nonostante vi siano alcune notevoli difformità tra i paesi europei, le quote del traffico ferroviario per l’Italia sono abbastanza vicine alla media continentale: nel 2002 sono stati effettuati via ferrovia circa il 7% dei passeggeri·km e il 9% delle tonnellate·km di merci, con una predominanza di trasporti sulle brevi distanze (MIT, 2003).

Modal split 2005 (MERCI, EU25)

Gomma FerroviaVie d'acqua interne PipelinesNave Aria

Modal split 2004 (PASSEGGERI, EU25)

Auto + moto BusFerrovia Tram & MetroAria Nave

fonte: DG TREN (2006)

Sebbene una crescita del trasporto ferroviario sia effettivamente avvenuta in valori assoluti, passando in Italia da 35 a 50 mld pkm dal 1970 al 2001 (MIT, 2003), comparandola con il modo stradale essa risulta sensibilmente inferiore. In altre parole si è semplicemente assistito ad una crescita della domanda totale, solo in piccola parte assorbita dalla ferrovia, che ha quindi perso quote di mercato.

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Indici crescita passeggeri - Italia 1970 - 2001 (1970=100)

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indice gomma (1970=100) indice ferro (1970=100)

fonte: MIT (2003)

Nonostante sia evidente la sua marginalità sul totale dei trasporti terrestri e in termini di fatturato, la ferrovia conserva tuttora segmenti di mercato significativi dove può essere competitiva. Entrando nel dettaglio della domanda disaggregata per linee o per sottoreti, ci si scontra con grandi difficoltà di reperimento dei dati. Per l’Italia, ma non vi sono differenze sostanziali in molti degli altri paesi, la differenza tra linee principali e secondarie in termini di traffico trasportato è notevole. Talune linee risultano molto utilizzate (sebbene i casi di raggiungimento della massima capacità sono pochi e spesso dovuti a motivi organizzativi o alla promiscuità del traffico), mentre molte hanno un traffico risibile. Lenzi (2006) riporta che l’84% del traffico italiano si svolge sul 35% circa delle linee, risultando quindi il rimanente 65% sottoutilizzato. Per il grado di utilizzazione dei terminal merci, i dati aziendali di RFI riportano valori ancora più bassi. Per le linee ferroviarie ad alta velocità è possibile proporre qualche confronto tra linee europee, con dati tratti dalla letteratura internazionale. I dati relativi alla domanda disaggregata per linee sono raramente disponibili. Più semplice è la determinazione dell’offerta in treni/giorno, che si può ritenere, su linee ad alto traffico, una possibile approssimazione della domanda reale6. Tale offerta viene anche confrontata con la capacità di una linea ad alta velocità. In funzione del grado di omotachicità7 e del tipo di traffico, essa si può stimare pari ad almeno 120-160 treni/giorno per direzione (Steer Davies Gleave, 2004). 6 Si assume cioè che tutte le linee in esame abbiano simili coefficienti di riempimento e che i treni non viaggino “vuoti”. 7 Cioé il grado di omogeneità delle velocità per i treni che percorrono la linea. Più i treni viaggiano alla stessa velocità, maggiore sarà la capacità della linea.

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Confronto tra offerta e capacitá minima teorica

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fonte: Steer Davies Gleave (2004) e nostre elaborazioni da documenti ufficiali.

Le linee francesi sono quelle dove maggiori sono l’offerta e la domanda. L’ICE Colonia – Francoforte trasporta circa 2/3 dei passeggeri rispetto alle linee francesi, ma rimane in funzione la parallela linea storica su cui transita traffico locale e in parte anche a lunga percorrenza. La linea Madrid – Siviglia, a seguito di un considerevole abbassamento delle tariffe in modo da risultare accessibile anche al traffico pendolare, ha raggiunto una domanda di soli 6Mpax (dai circa 3Mpax presenti prima della revisione delle tariffe). Per la linea Firenze – Roma, ipotizzando un fattore di riempimento di 0,7 e l’utilizzo di soli ETR500 da 589 posti, la domanda sarebbe di circa 13,5 Mpax/anno, ma non vi sono dati ufficiali in proposito. Per concludere, si riporta la quota della domanda ferroviaria totale oggi servita da treni classificati come “alta velocità”. Molte sono le differenze: la quota molto alta della Francia

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mostra quanto quel paese abbia puntato su questo tipo di offerta e spiega anche i valori di domanda riportati dal grafico precedente. Lungo le direttrici dove è in funzione l’AV, infatti, tutto il traffico di media e lunga percorrenza viene spostato su di esse, a differenza di altri paesi dove rimane un utilizzo misto. Paesi come Gran Bretagna o Olanda mostrano chiaramente poco interesse per questo tipo di offerta. Germania, Italia e Spagna sono più indietro con la costruzione delle linee, ma almeno per i primi due la quota di traffico di breve-media percorrenza rimarrà comunque molto alto anche quando i programmi di infrastrutturazione saranno completi.

Percentuale trasporto ad alta velocitá sul totale dei paxkm

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fonte: DG TREN (2006)

Descrizione economica delle ferrovie europee

A seguito di questo quadro, ci si potrebbe chiedere se il dimostrato declino relativo, e talvolta anche assoluto, delle ferrovie europee sia da attribuirsi all’abbandono degli investimenti nel sistema da parte degli stati, giudicandolo non più rispondente alle esigenze di mobilità dei cittadini. Ma non è così. Praticamente tutti gli stati hanno continuato a destinare massicciamente risorse pubbliche nel settore, sia in termini di investimenti che di sussidi. Lo stesso ha fatto l’Europa, con il programma TEN-T (Turró, 1999). In Europa, i piani per costruire 30,000 km di linee ad alta velocità assorbiranno un importante volume dei fondi totali per i prossimi anni. Solo per l’Italia e solo per il capitolo investimenti, il 37% degli stanziamenti della Legge Obiettivo si concentra su nuove ferrovie, di cui il 70% ad Alta Velocità (Lenzi, 2006). Un primo aspetto da analizzare riguarda la struttura dei costi del sistema ferroviario in generale. Più di ogni altro modo di trasporto, esso è caratterizzato da una grande quota di costi fissi irrecuperabili (sunk costs) rispetto ai costi variabili. I costi relativi alla costruzione dell’infrastruttura non sono oggi mai pagati né in tariffa né dall’operatore stesso, poiché vengono sempre finanziati con fiscalità generale. Solo le linee ad alta velocità dichiarano di coprire anche quote dei costi di investimento, ma la cosa sembra realistica solo per pochissimi casi di linee particolarmente economiche e con grande domanda (Parigi - Lione). Alcuni dettagli sull’effettiva redditività dell’investimento italiano verranno dati poco oltre nel testo.

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Anche i costi di esercizio presentano componenti fisse considerevoli, non legate al traffico, che penalizzano il sistema per linee a domanda debole: la manutenzione dell’infrastruttura, il costo dei mezzi (anche questo però spesso finanziato a fondo perduto), gli apparati tecnologici. Molte componenti, come biglietterie, passaggi a livello, piccoli scali merci sono in via di chiusura. Il sistema ferroviario è dunque dominato dai costi fissi e per sua natura più adatto a grandi quantità di domanda. Inoltre, proprio per la presenza di sunk costs, gli investimenti e le scelte fatti hanno un carattere di irreversibilità molto maggiore che per altri modi: una nuova linea, un nuovo impianto o un diverso sistema di segnalamento dovranno per forza rimanere in uso per lungo tempo per “ripagarsi” (anche se, come detto, non si tratta quasi mai di investimenti a cui si richiede un ritorno finanziario). Infine, la ferrovia è stata, per molti anni, un settore dominato dall’”autarchia”: ogni paese (o addirittura ogni rete) ha adottato propri standard, scelto materiali rotabili differenti e con caratteristiche personalizzate e si è rifornito solo da produttori nazionali. Il risultato è che, fino a una decina di anni fa, ogni veicolo era costruito “quasi a mano” e soprattutto veniva progettato ad hoc. Non esisteva, come oggi, un’offerta sul mercato internazionale di “modelli”, eventualmente personalizzabili. Da una parte questo potrebbe garantire prodotti più centrati sulla domanda e in alcuni casi di maggiore qualità, ma in realtà determina bassa standardizzazione, rigidità nella manutenzione, costi molto alti. Passando all’Italia, i ricavi del sistema ferroviario sono particolarmente bassi. Le tariffe vengono calmierate con l’idea di garantire mobilità universale, perseguire obiettivi ambientali e ridistribuire reddito alle categorie più povere e quindi, presumibilmente, meno motorizzate. A parte il fatto che l’efficienza di questa politica redistributiva (e in parte la sua equità) sono poco dimostrati e mai esplicitati, il risultato è che le aziende devono essere pesantemente sussidiate e talvolta generano anche debiti. Le tariffe italiane per l’alta velocità, ad esempio, sono la metà di quelle massime tedesche su pari distanze. In realtà, senza negare che questo comporti minori entrate per il gruppo, in Italia è ancora pochissimo diffusa una politica tariffaria discriminante, sulla maniera di quelle dei vettori aerei low cost, più usata nelle ferrovie europee8. Un sistema tariffario in grado di adattarsi alla disponibilità a pagare dell’utente permetterebbe quindi un migliore riempimento dei treni e quindi, in ultima analisi, migliori ricavi, senza necessariamente rendere proibitivo il costo del trasporto. I costi di esercizio per le ferrovie italiane sono estremamente alti. A seconda del tipo di servizio, essi ammontano ad almeno 10-11 €/treno·km (Cicini et al., 2005), ma questo valore non tiene conto del pedaggio (o dei costi di esercizio dell’infrastruttura).

8 In Gran Bretagna, ad esempio, è possibile viaggiare tra Londra e Glasgow ad un prezzo compreso tra le 17 e le 170 sterline, a seconda delle opzioni di viaggio e del momento di prenotazione. In Germania gli utenti possono ottenere uno sconto del 50% sulle tariffe se possiedono una tessera annuale del costo di circa 200€.

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Questi costi risultano alti anche a causa di una serie di scelte che caratterizzano l’Italia come un unicum a livello continentale e che hanno davvero poca giustificazione razionale. Tra esse, va sicuramente citato il doppio macchinista e una serie di recenti limitazioni di velocità auto-imposte per motivi di sicurezza. La norma del doppio macchinista prevede per tutti i treni non regionali la presenza di doppio personale di condotta del treno. Per i regionali tale ruolo è rivestito dal personale di carrozza, che esercita quindi due funzioni incompatibili contemporaneamente. Questa norma non esiste in tutti gli altri paesi europei, ma nemmeno nel contratto autoferrotranvieri italiano, applicato alle ferrovie concesse. La norma ha evidentemente motivazioni sindacali, essendo caduta ogni motivazione di sicurezza con i moderni sistemi di segnalamento. Per quanto riguarda le norme di sicurezza, esse sono in vigore dal 1997 ed hanno prodotto, una riduzione della velocità commerciale dei treni del 20-40%9, oltre che della capacità delle linee. Entrambi questi fattori incidono pesantemente sui costi e sarebbe interessante ottenere una stima del loro ammontare. Passando al capitolo investimenti, il progetto dell’AV italiana To-Mi-Na prevedeva, nel 1996, di coprire gli investimenti con risorse private per il 60% sul totale di circa 13 mld€ (Spinedi, 1996). Ad oggi, il progetto – non ancora completato – è costato circa il doppio, 24,3 mld€, di cui solo 5,1 finanziati con equity e con ampie garanzie pubbliche sul traffico10. I 13 mld€ inizialmente reperiti con un debito verso Infrastrutture SpA, sono stati interamente accollati allo Stato nel 2006. A valle degli ultimi stanziamenti della Finanziaria 2007 (3 mld€), rimangono da finanziare ancora 4,9 mld€11. Se provenissero tutti realmente da risorse private, l’opera raggiungerebbe quindi solo circa il 30% di autofinanziabilitá. A prescindere dall’effettiva redditività socio-economica di questi investimenti e del vertiginoso aumento nel tempo dei costi, l’ammontare unitario per la costruzione di nuove linee è considerevole e presenta notevoli differenze con altri stati, solo in parte spiegabili con differenze orografiche e strategiche. Analizzando le singole linee, per l’Italia si va dai 19 M€/km della Padova - Mestre ai 68 M€/km della Bologna – Firenze. Significativi i costi della Milano – Torino, simile per territorio attraversato alla Padova – Mestre, ma costruita in affiancamento all’autostrada: 54 M€/km. Per le linee in progettazione le cifre sono simili, fino ai 69 M€/km della Milano – Genova. 9 secondo un recente intervento di un dirigente FS su LaVoce.info (Congedo, 2007) e mai smentito in quella sede. 10 Il “cliente” delle linee ad alta velocità non sono direttamente gli utenti, ma il/i gestore/i dei servizi ferroviari, cioè oggi solo Trenitalia/TAV, pubblica e parte della stessa holding. 11 Il totale risulta quindi pari a 32 mld€, comprensivi peró, rispetto alla cifra riportata per il 1996, anche della Milano-Treviglio e la Padova-Mestre. Tuttavia, anche se cambia la cifra totale, la percentuale di investimento pubblico a fondo perduto rimane la medesima.

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La letteratura internazionale riporta alcune indicazioni sul costo delle linee ad alta velocità. Paesi come la Francia o la Spagna, caratterizzati da basse densità abitative e da un’orografia abbastanza semplice, mostrano costi anche del 50% inferiori rispetto a quelli italiani12 piú bassi. Lo stesso però sembra rilevarsi per le linee tedesche13, sebbene l’urbanizzazione in questo caso sia comparabile, se non maggiore, di quella italiana. Basso livello di domanda, struttura dei costi rigida ed eventuali inefficienze e basse tariffe, richiedono il costante intervento statale per l’erogazione di sussidi di esercizio e, talvolta, copertura di buchi di bilancio. Trenitalia ha ricevuto dalla Legge Finanziaria 2007 oltre 1.750M€ in conto esercizio per i servizi regionali, 134M€ per il servizio notte e 84M€ per le merci, oltre a 1.050M€ destinati ad RFI. Il totale per il Gruppo FS è dunque pari a circa 3 mld di € in un anno e non vi è una tendenza alla riduzione di tali richieste per il futuro. Per comprendere e confrontare il significato dell’ammontare di queste risorse, si propone un confronto con il costo di produzione di un volo aereo. Si consideri il costo di produzione per posto·miglio della compagnia Ryanair14, pari a 0,052€ (Ryanair, 2006). Considerando il numero di posti dell’aereo (189) e la distanza media volata (585mi), risulta un costo per volo di circa 5.750€. Con l’ammontare totale dei contributi erogati nel 2007 per il solo esercizio dei servizi notte (134M€) sarebbe possibile effettuare 64 voli gratuiti giornalieri entro un range in grado di coprire praticamente ogni possibile rotta italiana15. Ammettendo che la citata compagnia abbia costi particolarmente bassi e ipotizzando di raddoppiarli, sarebbe sufficiente chiedere al passeggero una tariffa media per un volo nazionale di quella lunghezza pari a 43€ (considerando un coefficiente di riempimento del 70%).

Riferimenti bibliografici

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12 9,3-13,1 M€/km per la Spagna e 13,4-16,2 M€/km per la Francia (Campos, De Rus, Barrón, 2006). 13 18,7-19,3 M€/km (Campos, De Rus, Barrón, 2006). 14 Il valore riportato é il costo di produzione dichiarato, non la tariffa, che é pesantemente influenzata dalle aggressive politiche tariffarie usate e da contributi che la compagnia riceve su certe rotte o sul costo di servizi extra. 15 ad esempio, la rotta Linate-Catania, una delle più lunghe, è pari a 627mi. Le rotte su Roma, come la Fiumicino-Catania, sono al massimo di 335 mi.

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