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LE FAMIGLIE STRANIERE DI FRONTE ALLA CRISI. ISTANTANEE PIEMONTESI Roberta Ricucci, con la collaborazione di Barbara Basacco e Elena Bottasso Febbraio 2011

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LE FAMIGLIE STRANIERE DI FRONTE ALLA CRISI.

ISTANTANEE PIEMONTESI

Roberta Ricucci,

con la collaborazione di Barbara Basacco e Elena Bottasso

Febbraio 2011

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INDICE:

1. ISTRUZIONI PER L’USO: VINCOLI E OPPORTUNITÀ DELLA RICERCA .............3

1.1 La ricerca.................................................................................................................................6

2. IMMIGRAZIONE E CRISI ECONOMICA .......................................................................10

2.1. Lo scenario internazionale ..................................................................................................10

2.2 Il contesto nazionale .............................................................................................................13

2.3. Il contesto socio-economico piemontese.............................................................................20

2.4. Flussi migratori e mercati del lavoro di fronte alla crisi..................................................27

2.5. L’osservatorio dei servizi sociali locali fra vecchie e nuove fragilità ..............................31

2.5.1 Le misure anti-crisi: un’opportunità per tutti? ...................................................................31

2.5.2 Prima le persone, poi i numeri ............................................................................................35

3. PROTAGONISTI E SPETTATORI DELLA CRISI..........................................................41

3.1 Un impatto a macchia di leopardo nel mondo delle vecchie e nuove migrazioni ...........43

3.2 Giovani generazioni: spettatori inermi?.............................................................................50

3.2.1 Adolescenti oggi in Italia, adulti domani dove?..................................................................50

3.2.2. Giovani adulti, nuovi migranti ...........................................................................................54

4. RITORNARE, RESISTERE, REAGIRE: QUALE STRATEGIA SCEGLIERE? .........56

4.1 Il ritorno, un mito intramontabile ......................................................................................61

4.2 Le strategie per sopravvivere ..............................................................................................68

4.2.1 Dalla riduzione delle spese al ricorso ai servizi .................................................................69

4.2.2. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ..................................................................76

4.2.3. Il supporto delle reti familiari e amicali ............................................................................81

4.3 La via imprenditoriale .........................................................................................................83

4.3.1 Imprese da sogno o sogni di impresa? ................................................................................87

4.4 Il lavoro di cura: una risorsa in tempo di crisi? ................................................................90

5. SPECIFICITA’ E TENDENZE COMUNI. UNA VISIONE D’INSIEME .......................95

5.1 Oltre la crisi finanziaria .......................................................................................................96

5.1.1. Cittadini, semi-cittadini, immigrati ....................................................................................99

5.2. Lo sguardo al futuro..........................................................................................................100

5.3. Quale lezione possibile? ....................................................................................................102

Allegato 1 – Prospetto degli intervistati..................................................................................105

Bibliografia................................................................................................................................107

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1. ISTRUZIONI PER L’USO:

VINCOLI E OPPORTUNITÀ DELLA RICERCA

Il 2010 è stato proclamato dall’Unione Europea Anno della lotta alla povertà e all’esclusione

sociale. Con una certa intempestività, il periodo si avvia in modo paradossale ad essere ricordato

tra i più negativi dell’ultimo secolo per il peggioramento dei dati sull’occupazione e sulla

condizione economica delle famiglie, in particolare di quelle di ceto medio-basso. Ciò è dovuto

soprattutto alla recessione globale che ha colpito con forza le economie del vecchio continente,

coniugata peraltro in Italia con una riduzione nella disponibilità di risorse pubbliche per servizi e

interventi di tipo sociale, soprattutto a livello locale (Deaglio et al., 2009).

In assenza di conoscenze approfondite sulla situazione sociale del paese, gli inevitabili tagli

della spesa sociale potrebbero avere conseguenze gravi sulle persone e i gruppi che si trovano in

condizione di particolare vulnerabilità. Ciò vale in generale ma soprattutto per fenomeni sociali

fortemente sentiti da tutta la popolazione e carichi di contenuti simbolici e ideologici, come

quello dell’immigrazione. La ricerca presentata in questo Rapporto si è proposta l’obiettivo di

comprendere i modi in cui le famiglie immigrate, in bilico tra esclusione e integrazione, hanno

vissuto questi anni di crisi, soprattutto nei casi in cui la lunga permanenza in Italia rende più

improbabile la perdita del permesso di soggiorno e il dover rinunciare al proprio progetto

migratorio, ma la crisi rischia di rallentare il processo di integrazione. Si tratta delle famiglie che

sono vicine al traguardo di acquisire una piena cittadinanza nel nostro paese e che vedono

minacciato un progetto di mobilità sociale a cui avevano duramente lavorato. Ovvero, come

indica la figura successiva, di un gruppo numeroso che grazie al lavoro ha potuto avviarsi a una

progressiva stabilizzazione.

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Fig. 1. Soggiornanti al 31.12.2009 per provincia, sesso, età, stato civile, tipologia di permesso, motivo disoggiorno (aggregati) e dettaglio sui permessi rilasciati nel corso del 2009.

Fonte: elaborazione su dati Ministero Interno e Istat.

L’inserimento occupazionale ha rappresentato non solo la chiave di volta per la presenza

regolare sul territorio, ma anche un tassello importante per poter costruire percorsi di

inserimento positivo; negli ultimi anni, tuttavia, esso è messo a repentaglio dalla recessione.

Lo stretto nesso che lega i processi migratori alle sorti dei mercati occupazionali dei paesi di

accoglienza torna in primo piano durante i periodi di recessione economica, quando il tema

dell’impatto del lavoro immigrato riemerge problematicamente1. La crisi del 1973 ha dimostrato

come i primi soggetti ad essere colpiti dalle misure “anti-recessione” siano i lavoratori immigrati

e, di conseguenza, famiglie, minori e adolescenti su cui ricadono i contraccolpi dell’espulsione

del mercato del lavoro2. E’ stato anche dimostrato come quella crisi non abbia prodotto scelte di

1 I timori prevalenti sono due: l’impatto negativo della manodopera immigrata sui salari e sulle opportunità dioccupazione delle popolazioni native. Come ricordano Boeri e MacCormick, nei paesi dell’UE, le evidenzeempiriche segnalano un impatto negativo o nullo, ricordando come “le economie aperte si aggiustano a unacrescente offerta di lavoro tramite un cambiamento nella composizione della produzione, piuttosto che attraverso isalari e l’occupazione” (2002: 41).2 “Con la crisi petrolifera, i paesi europei chiudono le frontiere […] con varie limitazioni, solamente le riunionifamiliari sono ormai prese in considerazione. Ma in molti paesi si passa alla regolarizzazione degli illegali. Questidue fattori – riunione e regolarizzazione – uniti alla crescita naturale delle popolazioni trapiantate, sono tuttaviasufficienti a spiegare – in valori assoluti – l’aumento numerico degli stranieri presenti, nonostante la chiusura dellefrontiere per i primi migranti” (Bastenier e Dassetto, 1990: 15).

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Alessandria

Asti

Biella

Cuneo

Novara

Torino

Verbania

Vercelli

Piemonte

Infra-14 iscritto su pds genitore 23,2 24,3 24,4 26,9 22,7 20,1 18,5 23,9 22,3

Soggiorno lungo periodo 42,9 38,2 50,4 46,6 45,0 30,4 45,5 44,2 38,1

Rinnovo soggiorno 24,5 30,9 20,7 17,7 21,1 31,6 25,7 24,2 26,7

Primo soggiorno 9,3 6,6 4,4 8,8 11,2 17,9 10,3 7,6 12,9

Alessandria Asti Biella Cuneo Novara Torino Verbani

a Vercelli Piemonte

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rientro nei paesi di origine, né fermato i ricongiungimenti familiari che, anzi, in presenza di

politiche di stop all’immigrazione, tendono a intensificarsi.

Oggi, dinanzi ad un mercato del lavoro trasformato rispetto a trent’anni fa, la situazione

economica generale si presenta più complessa. Il tasso di disoccupazione degli stranieri ha

raggiunto il 12,6% a fine 2009, con un notevole incremento rispetto all’anno prima (8,8%)3.

L’incidenza degli immigrati sul totale degli occupati è però in aumento, grazie al loro

inserimento nei diversi mercati occupazionali.

Sebbene i dati mostrino un quadro ancora da analizzare con attenzione nelle sue ricadute di

lungo periodo, la recessione economica non potrà non incidere sulle famiglie di origine

immigrata, soprattutto perché colpisce quei settori, come l’industria, l’edilizia privata e le grandi

opere, in cui lavorano molti stranieri con qualifiche basse e verso i quali si stanno orientando

molti dei loro figli, che hanno intrapreso percorsi di formazione professionale proprio in quei

settori.

Le difficoltà nel mercato del lavoro si potranno tradurre, nel caso delle famiglie straniere, non

solo in difficoltà economiche, ma anche in problemi nel rinnovo del permesso di soggiorno4. E’

possibile inoltre l’emergere o l’acuirsi di tensioni familiari e sociali da tempo latenti, come i

conflitti di ruolo fra i coniugi, le incomprensioni fra genitori e figli, i difficili processi di

ridefinizione delle identità. Ciò nel senso che la perdita del lavoro di uno o di entrambi i genitori

e il venir meno di prospettive di occupazione per i figli, non potranno che aggravare queste

tensioni. In altre parole, in periodi di recessione, i rischi di esclusione sociale aumentano anche

per coloro che avevano fatto passi significativi verso l’integrazione.

3 Istat, 2010b.4 La L. n. 182 del 2002 ha legato il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, istituendo la figura del contratto disoggiorno, vincolando la permanenza dei lavoratori stranieri alla dimostrazione di un contratto di lavoro o, in suaassenza, concedendo un permesso per attesa occupazione di sei mesi, non rinnovabile.

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1.1 La ricerca

Cosa sta accadendo in alcune province piemontesi? Quali sono le esperienze delle famiglie

immigrate di fronte alla crisi economica? Tentare di rispondere a queste domande è stato uno

degli obiettivi della ricerca, attraverso la ricostruzione attenta e, per quanto possibile, sistematica

dei dati e delle informazioni disponibili. Il secondo obiettivo è stato quello di indagare se e come

le famiglie immigrate stiano fronteggiando difficoltà economiche. Ovviamente si tratta di

un’indagine esplorativa, senza alcune pretese né di esaustività né di rappresentatività: la ricerca

intende offrire una prima ricognizione su un fenomeno ancora da studiare e indagare nelle sue

caratteristiche e dinamiche e su cui non esiste ancora una letteratura5.

La variegata realtà dell’immigrazione nelle province piemontesi rappresenta bene la complessità

dei fattori in gioco ed insieme l’unicità dei singoli contesti, ciascuno dei quali è il frutto di una

combinazione specifica di fattori diversi. Nello specifico, per l’approfondimento della ricerca

sono state scelte le province di Asti, Cuneo e Torino6. Tre territori che per gli elementi di

similarità (aumento del numero di stranieri residenti e loro processo di stabilizzazione,

dispersione territoriale, sistema diffuso di servizi del privato sociale) e di differenza (mercati del

lavoro prevalentemente agricoli o centrati sul settore dei servizi) che presentano possono

garantire uno sguardo sufficientemente plurale alla condizione di vita delle famiglie immigrate

in un periodo di difficoltà economico-lavorativa. E’ chiaro come la situazione di Torino si

presenti come quella più complessa. Il capoluogo, nel doppio ruolo di luogo di primo approdo e

di ambito di stabilizzazione, ha un rapporto ambivalente con l’immigrazione. E’ l’emblema di

quella profonda contraddizione che vivono le città meta di immigrazione: “Nei fatti stanno

diventando sempre più multietniche, in termini di numero di residenti, partecipazione

occupazionale, passaggi al lavoro indipendente, alunni di origine immigrata nelle scuole. Nelle

loro rappresentazioni culturali tendono invece a rifiutare tutto questo. Non vogliono essere città

multietniche” (Ambrosini, 2010: 75).

La ricerca si è sviluppata attraverso due distinti, ma interagenti, percorsi di analisi e di raccolta

di materiale, coinvolgendo, in modo molto attivo, un piccolo gruppo di protagonisti7.

5 Si segnala che l’ultimo rapporto CIES (Commissione Indagine sull’Esclusione Sociale) sulla vulnerabilità socialeha preso in considerazione il tema dei cittadini stranieri. Il rapporto è stato elaborato, per il contesto torinese, incollaborazione e sinergia con la presente ricerca.6 La ricerca ha coinvolto tre territori (Asti, Cuneo e Torino). Sono stati intervistati oltre 70 operatori pubblici e delprivato sociale, organizzati n. 7 focus group di discussione, coinvolgendo insegnanti, soggetti del volontariato,funzionari di sportelli pubblici, assistenti sociali, educatori, formatori, sindacalisti ecc. Sono stati inoltre intervistatin. 61 componenti di famiglie rumene e marocchine, di cui 24 famiglie complete. Si è avuto ancora l’opportunità didiscutere informalmente in sedi dell’associazionismo, in aule di corsi di italiano e/o di formazione con donneimmigrate.7 Cfr. allegato n. 1.

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Il primo ha riguardato un’ampia e articolata ricognizione sul tema della crisi e sul suo sviluppo

nei tre territori considerati. In questo modo, si è cercato non solo di ricostruire il dibattito in

corso sul tema, ma soprattutto di individuare le categorie di analisi e le piste di ricerca verso cui

si muove lo studio del rapporto fra crisi e immigrazione. Gli spunti e le sollecitazioni emersi

dall’incursione nella letteratura specifica sono stati numerosi e necessari per costruire quella

“cassetta degli attrezzi” utile per studiare il tema: la raccolta dei dati, l’attenzione alla

distribuzione per provenienza, gli ambiti del lavoro e delle relazioni e i loro riflessi sulla

definizione dei percorsi di inserimenti, della loro continuazione e/o della loro ridefinizione e nel

contesto locale e in quello internazionale (sia il paese d’origine o un altro e nuovo paese di

immigrazione), la tematica della marginalità e della precarizzazione o dello sviluppo di nuovi

progetti lavorativi, ma anche il rischio della modellizzazione e della reificazione. Si tratta di

aspetti su cui ancora manca una riflessione consolidata, ma dei quali è opportuno tenere presente

per ipotizzare sviluppi e definire possibili strategie di azione onde prevenire derive di

emarginazione e di disaffezione, come la letteratura ha messo in luce8.

Un secondo percorso è avvenuto nei servizi pubblici, nelle strutture del privato sociale, nelle

associazioni. Una traiettoria di studio affrontata nella consapevolezza di come ogni ricerca sui

cittadini stranieri si debba confrontare con le rappresentazioni, sociali e politiche, di tale

fenomeno, soprattutto in un contesto, come quello italiano, in cui il tema delle migrazioni ha

assunto una rilevanza centrale nel dibattito politico e dove le discussioni sui diversi aspetti della

società (casa, lavoro, istruzione, giustizia, welfare) si intrecciano con i costi sociali del

fenomeno, tendendo a polarizzare le reazioni. Anche nel contesto italiano stanno emergendo

pericolose classificazioni ed identificazioni, che fanno da corollario – di tanto in tanto – al

8 Nella lettura dei dati raccolti, occorre anzitutto ricordare come il binomio “crisi e immigrazione” sia condizionatosoprattutto da quattro variabili specifiche.1. Il settore di inserimento occupazionale: gli immigrati non sono uniformemente distribuiti nel mercato del lavoro.

La logica di complementarietà, che favorisce durante i fenomeni migratori una positiva interazione con i nativi(evitando conflitti per la concorrenzialità nell’accesso al lavoro), si rivela nei momenti di recessione unboomerang. Gli stranieri sono i lavoratori che svolgono le mansioni meno qualificate, spesso inseriti nelleimprese più piccole e deboli, nonché con contratti precari; ciò fa sì che questa categoria paghi il prezzo più alto intermini di espulsione dal mercato del lavoro.

2. Il tasso di femminilizzazione dei flussi migratori: il fatto che le donne immigrate lavorino più spesso in settorimeno toccati dalla crisi, come quello della cura, si riverbera sulle condizioni economiche delle famiglie, cosìcome sulle relazioni intra-familiari, fattore questo rilevato in diverse ricerche (cfr. ruolo di breadwinner delledonne).

3. Il tempo di permanenza nel paese di arrivo: una presenza di lunga durata spesso si traduce in un inserimentooccupazionale stabile, che in un momento di crisi economica può avere come risvolto “positivo” la possibilità dibeneficiare di ammortizzatori sociali.

4. La regolarità della presenza: la perdita di un posto di lavoro non rappresenta solo un problema economico, mapuò significare la difficoltà o l’impossibilità di mantenere il proprio status di immigrato regolare sul territorionazionale, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista famigliare e sociale.

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dibattito, scientifico e politico, sul tema: ad esempio, il proverbiale successo dei rumeni a scuola

o il destino verso la formazione professionale dei marocchini; le difficoltà linguistiche dei

latino-americani che confidando nella consonanza linguistica fra spagnolo e italiano non

superano lo stadio dell’apprendimento del linguaggio di base. O ancora, il rispetto e la riverenza

nei confronti delle generazioni anziane dei filippini e dei cinesi. Stereotipi e luoghi comuni, che

si ritrovano nei commenti di molti operatori e nelle parole degli amministratori, rafforzando un

processo di etichettamento che ha origini lontane.

Con questo in mente, si è cercato di raccogliere le voci dei protagonisti: per poter approfondire

le dinamiche e le relazioni che si sviluppano fra immigrazione e crisi ci si è concentrati sulle

condizioni delle due provenienze, numericamente significative nelle tre province, dei

marocchini e dei rumeni. Con la difficoltà di confrontarsi talvolta con un clima di sospetto e di

chiusura che ha reso difficile l’incontro con le famiglie e l’accesso alle loro abitazioni.

E’ stato possibile entrare in contatto con un’ottantina di persone, ma si sono raccolte – in senso

stretto – 61 fra interviste e storie di vita. Il numero è stato condizionato da due difficoltà: da un

lato quella linguistica, che ha reso talune interviste poco più di chiacchierate informali, in cui

spesso la mediazione naturale di altri adulti si è resa necessaria e, dall’altra, quella della fiducia.

Non sempre, infatti, gli adulti contattati sono stati disponibili a raccontarsi. In alcuni casi, si è

avuta l’occasione di procedere con interviste di gruppo, situazione non ottimale per la raccolta di

esperienze personali, ma utile per il confronto su alcune tematiche, come quella della percezione

di un clima anti-immigrati, anti-stranieri, anti-islamico, anti-rumeno.

Pur riconoscendo la centralità del tema del lavoro, o della sua mancanza, la ricerca non si è

limitata ad una lettura del fenomeno dal punto di vista economico, ma ha affrontato altre

dimensioni della vita sociale, compresa quella delle reti etniche.

La chiave di lettura principale è stata quella della famiglia; attraverso di essa si sono osservati

gli aspetti dell’impatto della crisi sulla vita quotidiana dei migranti, analizzando come le risorse

famigliari consentano di costruire strategie di reazione ad una situazione di difficoltà della

società nel suo complesso.

In sintesi, attraverso la ricerca, si è cercato di descrivere gli effetti e le ricadute della crisi

economica e di delineare una tipologia di strategie di reazione. Per fare questo si è proceduto

alla raccolta di storie di vita. I percorsi migratori, i racconti dell’arrivo, dell’inserimento e della

progressiva (ed eventuale) stabilizzazione, la ricomposizione/formazione della famiglia,

l’acquisto della casa e il successivo radicamento sono alcuni dei temi che fanno da sfondo

all’arrivo del periodo di crisi. D’altra parte, le caratteristiche delle reti amicali (miste, solo di

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connazionali o solo di italiani) e le attività svolte nel tempo libero sono utili indicatori per

cogliere abitudini e consumi culturali, nonché il tipo di legame che giovani e adulti vanno

maturando con il territorio in cui vivono. Come si evincerà dalla lettura dei capitoli successivi,

la chiave di lettura del testo è quella di un processo di integrazione maturo messo in discussione

da una normativa che lega permesso di soggiorno e condizione occupazionale. La condizione

giuridica rappresenta l’elemento che differenzia famiglie italiane e straniere di fronte alla crisi e

anche famiglie rumene e marocchine, oggetto della nostra ricerca. Al netto di questo elemento,

ciò che emerge più chiaramente nel confronto fra italiani e stranieri sono le similitudini piuttosto

che forti elementi di differenziazione. Già a inizio 2010, del resto, alcuni operatori segnalavano

con preoccupazione l’arrivo dell’ultimo scossone che avrebbe messo definitivamente in

ginocchio quelle famiglie, straniere e italiane, che sino ad allora erano riuscite a navigare nelle

acque turbolente delle difficoltà economiche. E questo, paradossalmente, può essere letto anche

come un segnale di integrazione.

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2. IMMIGRAZIONE E CRISI ECONOMICA

La crisi economica e finanziaria avviatasi nell’estate del 2008 ha inciso profondamente sul

tessuto produttivo globale, rivelandosi nel tempo contrassegnata da dimensioni e caratteristiche

di estrema gravità, i cui effetti complessivi si potranno cogliere con chiarezza solo nel lungo

periodo.

2.1. Lo scenario internazionale

Il fenomeno ha ben presto superato il piano prettamente economico, divenendo uno degli aspetti

che contraddistinguono la vita sociale e culturale a livello globale, soprattutto nei paesi

industrializzati; la sua caratteristica è del resto il coinvolgimento dei diversi settori e categorie di

lavoratori, anche se la velocità e la portata dei cambiamenti a cui fare fronte sono diversi.

Come viene descritto nell’ultimo rapporto annuale della Banca d’Italia la recessione, “acuitasi

freneticamente e con straordinaria violenza nell’autunno dell’anno successivo, è stata

eccezionale per entità, rapidità e diffusione. Secondo le stime dell’OCSE, il prodotto interno

lordo dei paesi industriali è caduto del 4% nei sei mesi compresi tra l’ottobre del 2008 e il

marzo del 2009; la contrazione ha interessato tutte le principali economie; la sincronia del calo

del prodotto a livello mondiale trova riflesso nel crollo eccezionale del commercio

internazionale, il cui volume si é ridotto di circa un sesto nello stesso arco temporale. Si tratta

di sviluppi che non trovano riscontro in alcuno dei precedenti episodi recessivi del secondo

dopoguerra” (2010d).

Fig. 1. Andamento della recessione mondiale.

Fonte: OCSE, 2010a; Banca d’Italia, 2010a; Deaglio et al., 2009.

Crisi grecaLa crisi arriva Si acutizza laall'economia reale crisi occupazionale

Iniezione finanziariadei goveriAzioni di politicaeconomica

Turbolenze finanziaiee rallentamento economie

2007 2008 2008 2009 2010

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Accanto al rallentamento delle economie a più alto tasso di crescita (Cina, India, Brasile), la

recessione ha avuto un forte impatto nel settore manifatturiero dei paesi di più antica

industrializzazione (Stati Uniti, membri dell’Unione Europea, Giappone).

In questo contesto, i dati relativi al 2010 segnalano un modesto miglioramento che, se da un lato

fa intuire un allentamento della crisi economica, dall’altro fa prevedere che i tempi di ritorno

della produzione globale e del commercio internazionale ai livelli precedenti al 2008 saranno

probabilmente piuttosto lunghi.

La situazione presenta significative differenze tra nazioni. Secondo le stime trimestrali

dell’OCSE relative al 2010, il prodotto interno lordo è cresciuto in maniera rilevante in alcuni

paesi (ad esempio nel secondo trimestre 2010 la Germania presenta una crescita congiunturale

del 2,2% rispetto allo 0,5% del primo), per rimanere stazionario in altri. Tra questi l’Italia: da

aprile a giugno 2010, infatti, la crescita del prodotto PIL nazionale è stata dello 0,4% rispetto al

trimestre precedente che aveva visto un incremento analogo dello 0,4%.

Coerentemente con questi risultati, le proiezioni dell’OCSE per l’Italia disegnano uno scenario

ancora di forte preoccupazione, a conferma delle difficoltà indotte da una crisi che per impatto,

durata, estensione e gravità non sembra avere precedenti con quelle rintracciabili nel secolo

scorso. Va detto inoltre che il caso nazionale si caratterizza per una marcata settorializzazione

della crisi e del suo impatto, principalmente nel settore manifatturiero, che di conseguenza si

traduce in una caduta della produzione industriale. Tale elemento evidenzia le caratteristiche

strutturali della difficoltà del sistema economico e produttivo italiano nel far fronte alla

recessione.

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Fig. 2. Italia. Stime di alcuni indicatori macro-economici per il triennio 2009-2011.

Fonte: OCSE, 2010a.

Dal punto di vista sociale i più importanti effetti della crisi sono quelli sull’occupazione, con i

fenomeni di espulsione dal mercato del lavoro e contemporaneamente la difficoltà di creare

nuovi impieghi.

Occorre a tal proposito premettere che l’area OCSE è entrata nella crisi presentando il tasso di

disoccupazione più basso dal 1980 e la più alta quota di popolazione in età lavorativa occupata.

Buona parte dei risultati positivi registrati nella prima metà della decade 2000-2010 sono dovuti

a riforme strutturali, che hanno comportato un indebolimento della tutela per rendere più facile

ai datori di lavoro sia l’assunzione che il licenziamento, favorendo la mobilità sul mercato del

lavoro. Accanto a tali elementi spesso si è assistito a modifiche nelle misure di sostegno per

coloro che si trovano in una situazione di disoccupazione, ad esempio consentendo

un’erogazione di sussidi limitata nel tempo e condizionata alla ricerca attiva di una nuova

occupazione.

Come ricorda lo stesso OCSE, “queste riforme strutturali hanno senz’altro contribuito ad un

miglioramento della situazione nel lungo periodo, ma in un contesto di recessione possono

esserci dei trade-off tra politiche volte a ridurre la durata della crisi e politiche più adatte a

proteggere l'occupazione dei lavoratori e il reddito nel breve periodo”. D’altra parte le riforme

degli ultimi anni presentano in dubbi vantaggi, ma nessuna evidenza forte di aver contribuito a

rendere i lavoratori più o meno in grado di far fronte alla recessione (OCSE, 2010).

PIL (% dicambiamento

rispetto all'annoprecedente)

% Disoccupazione Bilancio Fiscale Inflazione

2009 -5,1 7,8 -5,2 0,82010 1,1 8,7 -5,2 1,22011 1,5 8,8 -5 1

-6-4-202468

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2.2 Il contesto nazionale

Per quanto riguarda l’Italia la crisi ha comportato una forte diminuzione della produzione nel

2009 (specialmente nell’industria manifatturiera e nell’edilizia) in una situazione di difficoltà

strutturale dell’economia e del sistema-Paese, che si riflette anche sui lavoratori immigrati9.

E’ opportuno ricordare, seppure in sintesi, alcune problematiche di sistema che riguardano

l’Italia, partendo dai dati di lungo periodo richiamati nella tabella seguente. Tali questioni sono

in un certo senso precedenti alla crisi, la quale se da un lato le evidenzia e ne aggrava le

conseguenze, dall’altro dovrebbe – almeno negli auspici di molti analisti – rappresentare uno

stimolo al cambiamento, per “recuperare il tempo perduto”. Gli aspetti di debolezza strutturale

delle istituzioni, dell’economia ed in generale della società italiana si riflettono, infatti, in modo

diretto sul mercato del lavoro e sulle questioni collegate all’immigrazione.

Tab. 1. Italia, indicatori macro-economici, confronto sugli ultimi 30 anni.

1970-1980 1980-1990 1990-2000 2000-2010 (stima)

Crescita del Prodotto Interno Lordo

3,8 2,4 1,4 0,3

Rapporto tra PIL e debito pubblico rilevato all’ultimo anno della decade

40% circa 95,2% 109,2% 118,2% (stima)

Fonte: Banca d’Italia, 2010a.

Le difficoltà di crescita nel lungo periodo del sistema produttivo italiano vedono come

determinanti i ritardi nell’accumulazione di capitale ed il calo della produttività. Per quanto

riguarda il primo aspetto, alla ridotta accumulazione di capitale privato nelle imprese, si è

accompagnata quella del settore pubblico in cui la recessione induce a ridurre ulteriormente la

quota di risorse destinata a investimenti (nel 2005 era l’equivalente del 9,3% della spesa

corrente, nel 2011 viene stimata nel 7,3%). Per quanto riguarda invece la scarsa produttività, il

sistema Italia manifesta una grande lentezza nell’adozione di innovazioni tecnologiche,

organizzative e gestionali, tema ancora una volta collegato con quello della disponibilità

finanziaria per investimenti e soprattutto delle scelte ad essa sottese (Deaglio et al., 2009).

9 Secondo l’indagine Excelsior, le previsioni di nuove assunzioni dall’estero sono andate diminuendo, da 168.000nel 2008 a 89.000 nel 2009.

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Fig. 3. Prodotto Interno Lordo Pro-capite: 1990-2009. Confronto fra vari paesi.

Fonte: Cnel, 2010: 19.

Considerando le nazioni industrializzate l’economia italiana risulta, insieme alla giapponese,

quella decisamente meno dinamica negli ultimi vent’anni, dato confermato anche dall’analisi del

prodotto interno lordo pro-capite.

Tali elementi segnalano come “già prima dell’ultima recessione vi fosse un problema specifico

di sviluppo della nostra economia, sintetizzabile non solo in termini di rallentamento del tasso

di crescita in una prospettiva storica, ma anche nel confronto con le tendenze in atto presso

altre economie” (Cnel, 2010). L’intensità della crisi ha accentuato tali problematiche,

riverberandosi sulla struttura produttiva del paese in una situazione di debolezza. Ciò ha segnato

le imprese e il mercato del lavoro, determinando conseguenze ancora da valutare appieno, che

andranno al di là di un episodio limitato nel tempo, sebbene molto critico, e coinvolgeranno

aspetti della vita economica e sociale assai diversi fra loro, ancorché collegati.

In questo scenario generale, quali dunque possono essere gli effetti sui lavoratori immigrati e

sulle loro famiglie?

Le rilevazioni internazionali indicano che il costante crescere dei flussi migratori internazionali

registrato negli ultimi anni sembra essersi rallentato, ma non arrestato, nel corso del 2008 e del

2009. Ed anche a livello italiano, come rileva l’Istat in una recente nota: “Nel corso del 2009

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sono state iscritte in anagrafe 442.940 persone provenienti dall’estero (+ 0,5%). Il numero di

iscritti dall’estero è inferiore di più di 90.000 unità rispetto a quello del 2008” (Istat, 2010a).

Questa riduzione degli ingressi si accompagna ad una contrazione della domanda di manodopera

straniera, che non riguarda in egual misura tutti gli immigrati ma varia a seconda dei settori

economici di inserimento, delle politiche di immigrazione, delle stesse caratteristiche della

popolazione straniera.

Volgendo più in dettaglio l’attenzione al mercato del lavoro italiano, si conferma come il 2009

sia stato caratterizzato da un calo dell’occupazione, proseguito nel 2010, fenomeno che ha

colpito anche i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato.

L’occupazione a tempo pieno ha subito una forte riduzione: nel corso del 2009 è diminuita di

314.000 unità, pari al 1,6% del totale, rispetto al dato del 2008. L’occupazione a tempo parziale

ha registrato una flessione pari a 65.000 unità (-1,9% sulla media 2008). La caduta

dell’occupazione coinvolge sia i dipendenti sia gli indipendenti; quella a tempo parziale

soprattutto il lavoro autonomo.

Si rileva anche un aumento del tasso di disoccupazione, in particolare tra i giovani e gli

immigrati (Istat, 2010a)10.

10 La Banca d’Italia ricorda che a fine 2009 “al netto dei fattori stagionali, il numero di persone in cerca dioccupazione è salito per il quinto trimestre consecutivo, a 2.049.000 unità (4,0 per cento sul periodo precedente; 4,5nel terzo trimestre). Ne è derivato un aumento del tasso di disoccupazione di 0,3 punti percentuali sul trimestreprecedente, all’8,2 per cento. Una misura più ampia degli squilibri tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, cheincluda tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della Cassa Integrazione Guadagni e i lavoratoriscoraggiati nella ricerca di un impiego, risulterebbe di circa due punti superiore al tasso di disoccupazione (Bancad’Italia, 2010b).L’aumento della disoccupazione è stato forte tra i lavoratori immigrati (3,8 punti in più rispetto a un anno prima) e igiovani in età compresa tra i 15 e i 24 anni (4,0 punti) e relativamente più intenso al Centro e nel Nord (1,8 e 1,7punti percentuali) rispetto al Mezzogiorno (1,0 punti)” (p. 33).

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Fig. 4. Tasso di disoccupazione su base trimestrale in Italia.

Fonte: Istat, 2010b.

Può essere interessante notare come la riduzione dell’occupazione e il forte ricorso agli

ammortizzatori sociali abbiano interessato prevalentemente qualifiche lavorative medio basse.

Ciò ha portato un cambiamento nella composizione della manodopera occupata, che è il fattore

principale che ha determinato la crescita delle retribuzioni reali, dato in sé controintuitivo11. Dai

dati emerge l’importanza della componente immigrata nel mercato del lavoro nazionale, che ne

condiziona aspetti rilevanti. La forza lavoro immigrata e di origine straniera è collocata nelle

posizioni più basse: elemento che ne amplifica la vulnerabilità in periodi di crisi. Questa stessa

condizione di vulnerabilità, comportando un salario di riserva più basso, porta gli immigrati ad

essere relativamente più disponibili ad accettare le opportunità di lavoro che si presentano12 e a

restare meno a lungo nella condizione di disoccupato.

11 Come infatti indicano alcuni dati economici, tenuto conto dell’andamento dei prezzi, la retribuzione media perdipendente nel 2009 è aumentata. “Le retribuzioni di fatto sono cresciute del 2,1% rispetto al 2008 (2,2% nelsettore privato non agricolo), un ritmo superiore a quello dei prezzi al consumo” (Banca d’Italia, 2010c).12 A comprova di questi aspetti l’indagine Excelsior già menzionata evidenzia le imprese assumano personaleimmigrato in conseguenza della difficoltà a reperire personale italiano in alcuni comparti produttivi.

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Fig. 5. Previsione relativa all’assunzione di personale immigrato, anno 2009.

Imprese che nel 2009 segnalano difficoltà nel reperire personale e che prevedonoassunzioni di personale immigrato, per settore di attività (fonte: Excelsior)

Fonte: Molina, 2010

Data l’elevata segregazione occupazionale degli stranieri in base al genere (le donne sono

prevalentemente occupate nell’assistenza domestica e nei lavori di cura), il tasso di

disoccupazione maschile e femminile deve tener conto del differente impatto della recessione

(soprattutto dal punto di vista temporale) sui diversi settori di attività. La crisi ha colpito

dapprima i settori manifatturieri (con una più forte presenza di lavoratori maschi) e

successivamente ha coinvolto i servizi, in conseguenza delle minori disponibilità economiche

delle famiglie13. Queste considerazioni vanno però accompagnate da un altro elemento di

analisi. La crisi ha colpito in misura maggiore gli uomini, soprattutto aumentandone il livello di

precarietà sul mercato del lavoro; tuttavia le donne, percentualmente meno colpite, hanno

risentito di fenomeni di espulsione permanente dal mercato del lavoro (Cnel, 2010).

13 Se ad esempio nell’industria in senso stretto gli occupati nel corso del 2009 sono scesi in misura particolarmentesignificativa (-4,3%, pari a 214.000 unità), il settore terziario ha visto una situazione molto più sfaccettata, con unariduzione per quanto riguarda i lavoratori indipendenti (-3,7%, pari a 147.000 unità) ed un marginale incremento deidipendenti (+0,2%). Come segnala l’Istat “il complessivo calo dell’occupazione nei servizi riflette in gran parte lariduzione del commercio, alberghi e ristorazione, dei trasporti, dell’istruzione e della Pubblica Amministrazione,non compensata dall’incremento dei servizi alle famiglie e sociali (attività ricreative, culturali e sportive)” (Istat2010b).

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Fig. 6. Tasso di disoccupazione maschile e femminile in Italia.

Fonte: Istat, 2010b.

D’altra parte, la presenza dei lavoratori immigrati non è certo omogenea nella struttura

produttiva nazionale e si concentra soprattutto in alcuni comparti: costruzioni, manifattura,

servizi di cura e di assistenza, commercio e hotel/ristoranti. In tal senso l’impatto della crisi sul

mercato del lavoro immigrato va valutata considerando sia il settore produttivo sia la presenza

relativa di lavoratori immigrati in esso.

Fig. 7a. Distribuzione % degli occupati, confronto fra italiani e stranieri. Anno 2009.

Fonte: Istat, 2010a.

0

2

4

6

8

10

12

IV Trim2005

IV Trim2006

IV Trim2007

IV Trim2008

IV Trim2009

Italiani e stranieri Stranieri

0

5

10

15

20

IV Trim2005

IV Trim2006

IV Trim2007

IV Trim2008

IV Trim2009

Italiane e straniere Straniere

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Fig. 7b. Distribuzione % degli occupati con cittadinanza non italiana per sesso, anno 2009.

Fonte: Istat, 2010a.

Si intuisce una sorta di effetto della recessione “a doppia velocità”: il secondario ha manifestato

i dati più negativi, mentre sia i servizi che l’agricoltura hanno dimostrato caratteristiche di

maggiore stabilità, da leggere tuttavia congiuntamente ad una situazione media di più alta

flessibilità e debolezza degli immigrati occupati in questi settori.

Un’interessante chiave di lettura del rapporto fra recessione ed elevata componente immigrata

nel mercato del lavoro italiano viene proposta dal Cnel, che rimarca come “il maggiore peso

degli immigrati nel mercato del lavoro potrebbe avere aumentato l’elasticità dell’offerta di

lavoro al ciclo. La variabile cruciale potrebbe essere quella degli afflussi più che quella dei

deflussi: tra le comunità di immigrati valgono sovente dei meccanismi di “chiamata” legati a

rapporti di conoscenza, o legami familiari, che determinano arrivi legati anche al fatto che si

prospettino opportunità di lavoro. Nel breve periodo questo tipo di meccanismo potrebbe

comportare che l’offerta di lavoro decelera durante la crisi, e riduce quindi anche la

dimensione dello stock di disoccupati, attenuando quindi le conseguenze sociali della crisi.

D’altro canto, la diminuzione delle forze lavoro potrebbe ridurre in maniera permanente il

livello del PIL potenziale, e quindi le prospettive di futura ripresa dell’economia” (Cnel, 2010:

219).

Occorre attirare l’attenzione sul comparto edile, il quale rappresenta una delle filiere in cui la

presenza immigrata è più robusta. L’occupazione nel settore delle costruzioni è diminuita nel

corso del 2009 del 1,3% (circa 26.000 unità), risultato di una crescita della componente

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indipendente e di una riduzione di quella di lavoro dipendente, fenomeno presente da parecchi

anni.

Tab. 2. Variazione iscritti alla Cassa Edile I sem. 2008 – I sem. 2009 (in % e V.A.).

Totale Italiani Stranieri

MilanoV.A.

- 8,1%- 3.821

- 6,6%- 1.602

- 9,7%- 2.219

TorinoV.A.

- 12,7%- 2.354

- 12%- 1.141

- 13,5%- 1.213

RomaV.A.

- 5,3%- 3.109

- 3,6%- 1.076

- 6,9%- 2.033

NapoliV.A.

- 7,3%- 2.197

- 7,9%- 2.275

6,2%78

Fonte: Galossi e Mora, 2010.

Si colgono anche differenze locali in termini di espulsioni dal mercato del lavoro, al di là del

fatto che in generale il fenomeno si concentri soprattutto nel Nord e nel Mezzogiorno del Paese:

la crisi economica ha di fatto colpito in maggior misura il Settentrione, dove si collocano i

territori con più imprese ed ha un peso più intenso l’industria. Nelle stesse aree si rileva una

grande richiesta di ammortizzatori sociali, la quale segnala un maggior rischio di espulsione nel

breve periodo dal processo produttivo. Accanto a questa situazione un tasso di partecipazione al

mercato del lavoro anormalmente bassa caratterizza il Sud del paese, tanto da esserne definita la

principale “questione sociale” (Deaglio et al., 2009).

Da una ricerca della Fillea nazionale (2010) emerge come l’impatto della crisi debba essere

ricondotto alle dinamiche dei mercati del lavoro locali. Fra le città metropolitane è Torino a

soffrire maggiormente, forse come effetto della chiusura di attività legate alle grandi opere. Il

dato su Torino si inserisce in una dinamica regionale, che ha visto le procedure di assunzione (di

italiani e stranieri) decrescere in quasi tutti i settori economici, ad eccezione dell’agricoltura, dei

servizi personali e del lavoro domestico. La congiuntura favorevole di questi settori è però,

come si vedrà di seguito, da leggere con attenzione poiché rileva di cambiamenti nel rapporto fra

italiani e stranieri.

2.3. Il contesto socio-economico piemontese

I dati dell’economia e del mercato del lavoro evidenziano la centralità della grave crisi

dell’economia globale e dei suoi effetti per il sistema economico piemontese.

I numeri delle assunzioni per lavoro dipendente nelle diverse province piemontesi consentono di

verificare come, seppure in un contesto di sofferenza del mercato del lavoro, i lavoratori immigrati

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continuino a dimostrarsi importanti per il funzionamento dell’economia locale, soprattutto per le

posizioni con una bassa qualifica. Secondo i dati dell’Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro,

nel corso del 2009 sono state espletate 129.224 procedure di assunzione che riguardavano

lavoratori stranieri, su un totale di 698.559 (18,50%), realizzate principalmente nel settore

terziario; nell’anno precedente erano state 154.060 su 741.159 (il 20,80% del totale).

Anche in Piemonte gli immigrati non sono distribuiti in modo uniforme nel mercato ma in una

logica di complementarietà con i lavoratori italiani. Si tratta di un fattore che, se in generale può

favorire una positiva convivenza con i nativi, evitando gravi conflitti nell’accesso al lavoro, nelle

fasi di recessione rappresenta un elemento di debolezza. Gli stranieri sono lavoratori relativamente

più vulnerabili, sia per il forte utilizzo del lavoro interinale e di contratti a tempo determinato (oltre

due terzi del totale su base regionale), sia in quanto spesso inseriti in imprese più deboli. Questi

aspetti fanno sì che essi paghino un prezzo più alto in termini di espulsione dal mercato del lavoro.

Nelle specificità dei sistemi economici locali vanno invece ricercate le cause di una presenza più o

meno massiccia di lavoratori immigrati in specifici settori produttivi, e di conseguenza di un

diverso impatto della crisi tra le diverse province piemontesi. A titolo di esempio si può citare la

differenza dal punto di vista occupazionale fra aree con un tessuto produttivo più marcatamente

industriale, che maggiormente soffrono la situazione di difficoltà di settori come quelli della

meccanica (Torino, Novara) o del tessile (Biella) e quelle che vedono una presenza importante dei

lavoratori stranieri nell’agricoltura, settore relativamente meno colpito dalla crisi.

Anche in Piemonte l’effetto della crisi economica e finanziaria globale si è fatto sentire con

forza sul tessuto produttivo regionale: “secondo le prime stime, nel 2009 il prodotto lordo è

diminuito del 5,1%, in linea con la media nazionale. Rilevante la contrazione dei consumi finali

interni (-1,4%), ma soprattutto gli investimenti hanno subito una riduzione consistente”

(Regione Piemonte, 2010).

In considerazione della forte dipendenza dell’economia subalpina dal commercio internazionale,

la domanda estera ha avuto un ruolo determinante nel configurare l’andamento recessivo: si

stima che le esportazioni, in quantità, siano diminuite di oltre il 22%14.

Questi elementi si riverberano sul mercato del lavoro e sulla dinamicità di molti comparti dei

servizi, come quelli della salute e della cultura, la quale dipende dalla capacità di acquisto che la

società locale esprime.

14 La contrazione più forte è stata nell’industria (stima -14,9%) e meno accentuata nelle costruzioni (-4%), laddove iservizi nel complesso avrebbero denotato una maggiore tenuta (-1,7%). I cali più consistenti si sono rilevati nelsettore dei prodotti in metallo, nelle apparecchiature meccaniche e nei mezzi di trasporto. L’alimentare avrebbeinvece confermato una certa tenuta (Durando, 2010).

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Anche su base locale la diminuzione del numero di posti di lavoro si configura come elemento

di discontinuità dell’attuale fenomeno recessivo rispetto al passato. Mentre infatti le ultime crisi

(come quella vissuta nel 2003-2004 dall’industria piemontese, e in particolare dall’indotto del

settore automotive) avevano portato ad un aumento delle occasioni di impiego atipiche e

precarie ma ad una sostanziale stabilità nel numero totale degli ingressi al lavoro, a partire dal

2008 “si è assistito invece ad una brusca frenata delle assunzioni, ad un virtuale blocco del

turn-over e delle proroghe o dei rinnovi dei contratti a termine in scadenza o scaduti, che si è

protratto senza sostanziali modifiche nel corso dell’anno seguente” (Durando, 2010: 1).

Si tratta di un elemento sentito con forte preoccupazione, che trova riscontro negli avvertimenti

di numerosi operatori del privato sociale sulla fragilità della condizione economica di molte

famiglie e sul possibile sovrapporsi di vecchie e nuove povertà.

Ciò è tanto più vero a causa della situazione di difficoltà nel reperimento di risorse finanziarie da

parte degli enti pubblici locali, in affanno anche nel mantenere i servizi e supporti previsti in

passato per i propri cittadini in difficoltà.

Per quanto riguarda il settore industriale va aggiunto che il perdurare della situazione di crisi,

ancora una volta, deve essere visto in una dinamica di difficoltà strutturale e di trasformazione

delle strutture produttive. Lo dimostrano ad esempio i dati relativi alla cessazione delle imprese,

aumentate, secondo i dati di InfoCamere-Movimprese nel 2010, in parallelo con un sensibile

calo delle iscrizioni di nuove attività manifatturiere. In generale il tasso di crescita regionale del

numero di imprese, che riflette gli andamenti di entrambi gli indicatori, è sceso al -1,4%, contro

un -0,7 nello stesso periodo del 2008.

Indicatore utile a misurare l’impatto della crisi sulla società locale è il flusso dei soggetti

disponibili al lavoro registrati presso i Centri per l’impiego provinciali che offre una misura, per

quanto non esaustiva, delle persone in cerca di occupazione perché hanno perso o cessato il

precedente impiego o perché intendono entrare per la prima volta nel mercato del lavoro. La

variazione annua è significativa, con situazioni differenziate a seconda delle diverse realtà

provinciali ed un numero totale di disoccupati o inoccupati registrati presso le strutture

provinciali pari a oltre 100.000 individui.

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Tab. 3. Analisi provinciale del numero di disponibili al lavoro registrati presso i Centri per l'Impiego.

Anno 2008 Anno 2009 Variazione 2008-2009

Province v.a. % v.a. % v.a. %

Alessandria 5.463 7,0% 7.998 7,8% 2.535 46,4%

Asti 4.619 5,9% 5.716 5,6% 1.097 23,7%

Biella 4.020 5,1% 5.105 5,0% 1.085 27,0%

Cuneo 8.370 10,7% 9.548 9,4% 1.178 14,1%

Novara 6.494 8,3% 9.203 9,0% 2.709 41,7%

Torino 44.012 56,0% 58.688 57,6% 14.676 33,3%

Verbano Cusio Ossola 2.747 3,5% 2.982 2,9% 235 8,6%

Vercelli 2.852 3,6% 2.725 2,7% -127 -4,5%

Piemonte 78.577 100,0% 101.965 100,0% 23.388 29,8%Fonte: Agenzia Piemonte Lavoro (APL), 2010.

I dati dell’Agenzia Piemonte Lavoro (APL) evidenziano come sia aumentato di quasi il 30% il

numero delle persone dichiaratesi disponibili al lavoro presso i Centri per l’Impiego fra il 2008 e

il 2009, con incrementi consistenti nella provincia di Torino e con un aumento simile fra italiani

e stranieri, soprattutto comunitari.

Tab. 4. Disponibili al lavoro e nazionalità.

Anno 2008 Anno 2009 Variazione 2008-2009Nazionalità

v.a. % v.a. % v.a. %

Italiani 58.862 74,9% 76.215 74,7% 17.353 29,5%

Comunitari 7.657 9,7% 10.554 10,4% 2.897 37,8%

Extracomunitari 12.058 15,3% 15.196 14,9% 3.138 26,0%

Totale 78.577 100,0% 101.965 100,0% 23.388 29,8%Fonte: Agenzia Piemonte Lavoro (APL), 2010.

Tali rilevazioni consentono di definire tre diverse dinamiche che interessano il mercato del

lavoro piemontese15:

1) dinamica di conservazione, mantenimento del posto di lavoro (ricorso a Cassa

integrazione guadagni ordinaria - Cig e Cassa integrazione straordinaria - Cigs);

2) dinamica di espulsione: licenziamenti (+ 12,9% nel 2009 rispetto al 2008);

3) dinamica di mancato ingresso: la contrazione del mercato evita, soprattutto nel settore

industriale, l’assunzione di nuovi addetti.

Si tratta di andamenti che paiono essere coerenti con le indicazioni disponibili a livello

nazionale sull’impatto della crisi, tenendo conto dell’importanza relativa assunta dal settore

15 Cfr. relazione di B. Graglia, presentata a maggio 2010 presso la Commissione d’Indagine per l’EsclusioneSociale.

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secondario nella regione. Per quanto riguarda l’impatto specifico della recessione sui lavoratori

immigrati, i più recenti dati disponibili mostrano un proseguio della dinamica di espulsione dal

mercato del lavoro registrata nel 2009; si segnala in questo senso un rallentamento relativo delle

assunzioni di cittadini stranieri, che può essere interpretato come un ulteriore indicatore della

condizione di vulnerabilità degli immigrati nel mercato del lavoro.

I dati relativi agli inserimenti lavorativi nelle tre province piemontesi oggetto della ricerca

(Torino, Cuneo e Asti) permettono un confronto più approfondito fra lavoratori italiani e

cittadini stranieri.

Fig. 8. Procedure di assunzione di lavoratori stranieri anno 2009. Province di Asti, Cuneo e Torino.

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro

La presenza di lavoratori immigrati continua a dimostrarsi elemento strutturale dell’economia

locale. Rimangono significativi gli inserimenti di lavoratori stranieri nelle filiere da tempo

caratterizzati per una forte incidenza di lavoro immigrato, in particolare quelle dell’agricoltura

(oltre la metà dei nuovi ingressi nel comparto per i primi sei mesi del 2010, secondo i dati

dell’Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro) e del lavoro domestico.

L’andamento annuale delle assunzioni è, per i motivi detti finora, assai negativo, con variazioni

interannuali che toccano punte di meno 20,5% per quanto riguarda sia i cittadini italiani, in

provincia di Asti, sia i lavoratori stranieri, in provincia di Torino. La dinamica fra le tre province

rispetto al dato delle minori assunzioni suddiviso in base alla nazionalità è in effetti assai

differente. Mentre in provincia di Cuneo (e in minor misura nell’astigiano) i lavoratori italiani

paiono essere in una situazione di difficoltà relativa maggiore, nel torinese la condizione di

svantaggio è più significativa per i cittadini stranieri. Tali differenze derivano soprattutto dalle

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specificità dei mercati locali del lavoro; se in provincia di Torino i lavoratori stranieri sono in

buona parte occupati nelle filiere industriali, il cuneese e l’astigiano vedono una loro presenza

importante nel settore primario.

Fig. 9. Percentuale diminuzione assunzioni 2008-2009. Confronto fra italiani e stranieri.

Fonte: elaborazione su dati Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro

Per aggiungere ulteriori elementi di confronto è possibile considerare la prospettiva di genere.

Da questo punto di vista l’alto tasso di assunzioni femminili sul totale, sempre superiore al 50%,

può essere letto come una conferma della relativa tenuta del settore terziario, prevalente bacino

di impiego femminile. Per quanto riguarda le donne straniere il riferimento è soprattutto al

commercio, ad alcune tipologie di servizi alle imprese e domestici (imprese di pulizia),

all’assistenza alla persona.

Torino è il territorio dove “lo scarto fra la performance di uomini e donne è più netto

nell’ultimo anno, con un rapporto di 3 a 1 (-30,5% contro -10%, rispettivamente), tanto che nel

2009 gli avviamenti femminili sopravanzano nettamente quelli maschili, che fino al 2008 erano

prevalenti” (Ires, 2010). Infatti nel caso del torinese il tasso di assunzioni femminili è pari al

55,4%. Quest’ultimo aspetto richiama una dinamica provocata dalla crisi verso una maggiore

disponibilità a ricercare e impegnarsi in nuove posizioni lavorative da parte delle donne, che si

configura come una delle possibili strategie di reazione ad una situazione di difficoltà

economica del nucleo famigliare, magari provocata dalla perdita del lavoro da parte della

componente maschile della famiglia, come si vedrà nel capitolo 4.

Altro settore di attività contrassegnato da una presenza immigrata significativa nel torinese è

quello dell’edilizia, che registra il 41,5% delle nuove assunzioni del primo semestre 2010 fra

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cittadini stranieri, in un contesto di caduta dell’occupazione più critica nel contesto locale della

media italiana. Va sottolineata la diminuzione delle importanti commesse pubbliche che

avevano contrassegnato il decennio passato, come pure un ridimensionamento nella fase post-

olimpica dell’attività legata alla costruzione di nuove abitazioni dopo la grande crescita

registrata, soprattutto nel capoluogo, a partire dal 199916.

Fig. 10. Concessioni per la costruzione di abitazioni a Torino (dati in migliaia).

Fonte: Settore Urbanistica del Comune di Torino, cit. in L’Eau Vive, Comitato Rota, 2010: 32.

Un aspetto interessante è quello relativo alla differenziazione delle assunzioni rispetto a

lavoratori immigrati per aree di provenienza. Anche nell’anno in corso si conferma un dato di

segmentazione del mercato locale del lavoro su base etnica: gli esponenti di una data

nazionalità, attraverso proprie reti sociali, possono irrobustire la loro presenza in una data filiera.

Ad esempio il 46,3% delle assunzioni di lavoratori di nazionalità ucraina nei primi sei mesi del

2010 è relativa al comparto del lavoro domestico, il 66,1% dei nuovi assunti macedoni sono

impiegati in agricoltura, il 44,8% dei senegalesi nell’industria.

Da questo punto di vista la recessione non ha rappresentato un momento di discontinuità; anzi,

una situazione di difficoltà sul mercato del lavoro con ogni probabilità rafforza meccanismi

basati sull’utilizzo strumentale del capitale etnico, in un contesto dove non sono variati i

tradizionali meccanismi che legano mercato del lavoro e provenienza.

16 A titolo di esempio l’ultima analisi congiunturale proposta su base semestrale dall’associazione di categoria FilcaPiemonte, presso un campione dei propri associati, segnala come solo il 3,4% delle imprese intenda aumentare ilpersonale, mentre il 29,1% ne prevede la riduzione, in peggioramento rispetto alla situazione del semestreprecedente. Anche qui il saldo è negativo (-25,7) e peggiore del semestre precedente (-19,9). Frenano pure gliinvestimenti, programmati nei primi sei mesi del 2009 dal 31,8% delle imprese: nella seconda metà del 2008, leintenzioni di investimento riguardavano il 40,4% del campione. Il rapporto, a comprova delle difficoltà legate allafase recessiva, segnala con preoccupazione che “crescono i tempi medi di pagamento dei committenti, pari, inmedia, a 101,8 giorni, rispetto ai 96,8 giorni della rilevazione precedente. Per i committenti pubblici si arrivaaddirittura a tempi medi di 143,4 giorni (da 130,4) (Filca Piemonte, 2009).

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Infine, occorre citare l’importante tema del lavoro indipendente, elemento questo che sarà

ripreso nel paragrafo 4.3. Soprattutto per il comparto commerciale si iniziano a registrare numeri

cospicui, per quanto le rilevazioni scontino una certa difficoltà ad individuare correttamente le

cosiddette “imprese etniche”.

2.4. Flussi migratori e mercati del lavoro di fronte alla crisi

Le peculiarità dei mercati del lavoro locali cui si è accennato nel paragrafo precedente portano

ad alcune considerazioni sulle differenze del fenomeno migratorio nelle tre province oggetto

della ricerca, caratterizzate e in certo qual modo definito dal tessuto produttivo. Anzitutto,

Torino si presenta come una realtà con un modello di occupazione dei lavoratori stranieri tipico

delle aree metropolitane, dove “i destini degli immigrati sono più variegati, ma compresi entro

un ventaglio che va dalle costruzioni, alla ristorazione, alle imprese di pulizia e di trasporto”

(Ambrosini 2005, 69). Il capoluogo regionale rappresenta anche una realtà dove un tessuto di

servizi e di iniziative di accoglienza, accompagnamento e promozione sociale ha saputo in molti

casi offrire il risvolto umano dell’inserimento lavorativo. I territori di Cuneo ed Asti, d’altra

parte, sono riconducibili ad un “modello tipico delle province del Centro-nord che attirano

flussi importanti di manodopera stagionale” (ibidem, 70), soprattutto nell’agricoltura. Sarebbe

tuttavia errato ritenere che la rilevanza di questo fenomeno ne faccia l’unico aspetto

caratterizzante il mercato locale del lavoro per gli immigrati. Ad esempio, accanto

all’importanza delle occupazioni nel settore dei servizi e del lavoro domestico (fatto questo

trasversale su tutto il territorio regionale), entrambe le province presentano una significativa

struttura produttiva tipicamente industriale, tra di esse differenziata: più legata al settore

metalmeccanico ed all’indotto automotive nell’Astigiano, con una storica e forte presenza

dell’industria agro-alimentare nella “provincia Granda”.

Guardando su base locale agli effetti della crisi sui lavoratori immigrati, la domanda che ci si

pone è se tali conseguenze colpiscano alcuni gruppi più di altri, e quali siano le caratteristiche

per cui ciò avviene. Ci si chiede quindi se la condizione giuridica dello straniero sia così pesante

da annullare differenze interne di percorso e storia migratoria, condizione professionale e

famigliare. In realtà i dati ribadiscono una contrazione generale della domanda di lavoro, per

italiani e non, ma con differenze nei comparti produttivi e nell’impatto sui vari gruppi nazionali.

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Tuttavia, in base a tali differenze, in alcune realtà piemontesi le condizioni sono oggettivamente

peggiori che in altre?

E’ indubbio che le peculiarità del mercato del lavoro sono in parte causa delle caratteristiche

stesse della presenza straniera negli stessi territori. Infatti, se è riconosciuto il peso delle reti

familiari ed etniche nel determinare il luogo di residenza, tale decisione si irrobustisce o si

modifica al concorrere di altri elementi. Anzitutto la risorsa lavorativa, ed in seconda battuta

quella abitativa. Ecco quindi un motivo per la presenza di lavoratori stranieri, in maggioranza

uomini, nelle campagne del cuneese o dell’astigiano, così come di donne che trovano lavoro

come assistenti familiari nel torinese.

I dati possono essere spiegati solo intrecciando flussi migratori e mercati del lavoro. Emerge

allora una prima differenza di contesto: le tre province presentano mercati del lavoro diversi,

che, come visto in precedenza, la crisi ha colpito con velocità differenziata a seconda del peso

dei diversi settori e delle singole filiere17.

Soprattutto la provincia di Cuneo mostra una minore vulnerabilità alla crisi: il sistema

economico locale pare essere più resistente in quanto assai diversificato e integrato. Questo

aspetto si riflette anche nelle nuove occasioni di impiego. Nel Cuneese la presenza straniera

tocca circa il 30% dei movimenti occupazionali, di fronte ad una media regionale è del 21%.

Ad esempio il bacino locale di Saluzzo è l’unico in Piemonte ad aver registrato nel 2009 un

aumento delle assunzioni straniere, pari al 12,6%, legato soprattutto al lavoro stagionale nei

frutteti. Altre aree della provincia di Cuneo presentano un dato stabile oppure in lieve flessione

nelle zone a maggiore industrializzazione (Alba e Mondovì).

Situazione in un certo senso opposta è quella di Torino, unica provincia piemontese (insieme al

Verbano Cusio Ossola) a registrare una diminuzione degli avviamenti al lavoro degli stranieri

superiore a quella della popolazione locale (-20,5% contro -16,9%). Tale contrazione delle

occasioni di nuovo impiego è certamente legata all’impatto della crisi sulla struttura economica-

industriale della provincia.

In generale, si è visto come l’agricoltura abbia patito di meno rispetto all’industria, come gli

uomini siano stati i più colpiti, soprattutto se inseriti in alcune filiere messe in ginocchio dalla

17 Come ricorda Durando (2010): “La flessione della domanda di lavoro straniera non si ripartisce in modoomogeneo sul territorio, ma è rilevabile con più forza là dove le attività industriali assumono un rilievo maggiore enon ci sono significativi meccanismi di compensazione settoriale: è il caso soprattutto della provincia di Torino (-20,5%), a cui si contrappone, all’altro estremo, la provincia di Cuneo (-5,6%). A Torino si affianca, in termininegativi, Novara, mentre le altre province si collocano in una posizione intermedia, come evidenzia la tabellaseguente. A Cuneo, come in parte ad Asti, agisce come contrappeso alla caduta delle assunzioni nell’industriamanifatturiera, che è comunque inferiore alla media (-36%), il brillante risultato dell’agricoltura (+12,7%) che inquest’area assume un rilievo portante per gli immigrati rappresentando – con più di 12.500 chiamate al lavoro nel2009, contro 6.700 nel secondario e 11.000 circa nel terziario – il principale bacino di assorbimentooccupazionale”.

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ristrutturazione dei flussi di capitale e di manodopera, dalla delocalizzazione e più in generale

dalla ristrutturazione del mercato e dalla contrazione della domanda.

Per tutti e tre i territori emerge con chiarezza come anche nella crisi l’immigrazione svolga

quella funzione specchio per cui attraverso la presenza di cittadini stranieri e la loro relazione

con le diverse realtà locali si evidenziano storture e limiti della società italiana. In questo senso,

ad esempio, emerge un primo dato significativo: l’accentuarsi della “forbice” fra chi dispone di

risorse, non solo economiche, e chi ne è privo. Per i cittadini stranieri, così come per quelli

italiani, in tempi difficili è importante non solo avere un reddito, ma anche una famiglia, una

rete parentale, delle competenze e abilità professionali. Infatti, i dati sui nuovi poveri mettono

l’accento non solo sulla perdita del lavoro ma anche sull’erosione di rapporti familiari, capaci di

svolgere un importante ruolo di supporto economico-affettivo. Il familismo amorale italiano

diviene una sorta di “bene rifugio” indispensabile.

Considerando il ruolo delle istituzioni e delle politiche di contrasto alla crisi, in tutti e tre i

territori si constata un significativo aumento delle persone in situazioni marginali e a rischio.

Accanto a ciò tuttavia il dato che emerge è la difficoltà dei servizi pubblici di intervenire in

maniera coordinata e organica. Ancora una volta molto è lasciato all’operato del terzo settore.

Da questo punto di vista Torino si può definire come un laboratorio “naturale” di integrazione:

la sua storia di città di immigrazione, l’esperienza di molti dei suoi cittadini che nel tempo si

sono spesi per poter predisporre attività e rispondere a bisogni laddove il pubblico faticava ad

arrivare, la concentrazione di attività economiche significative, la sfida della riconversione, la

presenza altresì di luoghi di riflessione e di pensiero contribuiscono a farne un luogo di

convivenza civile. Ciò per la verità si può ripetere, considerando ovviamente la diversa scala

dimensionale, per molte aree del Piemonte, con esperienze interessanti anche nelle province di

Asti e Cuneo, le quali coinvolgono soggetti e strumenti diversi a seconda del contesto; per fare

un esempio, in quest’ambito può essere fatta rientrare la costituzione di cooperative di immigrati

per facilitare l’organizzazione del lavoro agricolo regolare.

Tra gli interventi di contrasto alle difficoltà dovute alla recessione l’azione pubblica si è

concentrata prevalentemente sul finanziamento e la gestione di ammortizzatori sociali, con un

intervento per quanto riguarda la cosiddetta “cassa integrazione in deroga” da parte anzitutto

della Regione, e successivamente di Province e Comuni, che non presenta significative

differenze nelle tre aree oggetto della ricerca: strumenti importanti che consentono di affrontare,

almeno temporaneamente, il dramma sociale di chi si trova ad avere a che fare con la

disoccupazione. Va detto che per molti confrontarsi con la crisi da precario, da lavoratore

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interinale, da socio lavoratore di una cooperativa significa spesso incamminarsi nel tunnel del

negato accesso alla maggior parte delle misure anti-crisi.

L’importanza di questi aspetti ha fatto ritenere necessario un approfondimento sul tema della

reazione alla crisi da parte dei servizi sociali locali, trattato nel paragrafo successivo.

In molte testimonianze si coglie tuttavia una problematica più generale: la difficoltà di trovarsi

di fronte sia ad una rafforzata e per certi versi inaspettata precarietà del lavoro sia a situazioni

contrattuali diversificate e sovente non comprese appieno.

B: Qui appena arrivato sono andato a l'Aquila, si chiama, un paesino un po' alto,Casteldelmonte. Lì ho lavorato tre anni nella lavorazione del latte e mi sono sistemato nel sensoprima che era importante il lavoro e portato fuori la famiglia, fatto tutti i documenti e...I: Ma quindi aveva già un contratto di lavoro quand'era lì a L'Aquila o...?B: Ho preso subito perché c'era il tempo, quando sono venuto io, appena era in vigore la leggeBossi Fini per fare i documenti e mi ha fatto subito il contratto di lavoro, aveva bisogno lui...I: E così ha avuto il permesso di soggiorno per lavoro.B: Direttamente il permesso di soggiorno.I: E poi diceva è riuscito a far venire la sua famiglia?B: Sì. Ok. L'importante è che quando prendi un obbligo di lasciare per dire il mestiere e cambiarelavoro si deve prendere una decisione che non è facile. Poi ti devi abituare con qualsiasi lavoroper andare avanti finché riesci a risolvere i problemi che ti creano nella vita. Però dico che sonocontento per quel periodo perché più importante non era di vivere clandestini in Italia ma di faredocumenti e stare più in regola con tutti, anche più tranquillo.I: Certo. Per tre anni ha fatto questo lavoro.B: Poi... Tre anni ho fatto lì, poi sono venuto qui a Torino, sempre tramite mio fratello, perchéanche lui c'era venuto prima qua; quindi ho lavorato poi con una cooperativa con ilconfezionamento del pane a Settimo Torinese. Lì era una fabbrica grossa, non era così piccolaperò l'anno scorso le cose cominciano ad andare un po'male, hanno chiuso tutto, siamo passatipoi alla disoccupazione solo che lavorando come cooperativa, non c'era diritto né dell'Inpsallora...I: Ah, non ha avuto la disoccupazione? Neanche la mobilità?B: No, Neanche la mobilità, perché infatti mi ha fatto il licenziamento l'ottobre 2008. Ho lavoratoaltri quattro mesi però con un contratto a tempo determinato però, siccome inizio di nuovo nonpoteva... Poi ha aspettato finché scade il contratto e ha visto che non riusciva a fare più in regola(sott.: il datore di lavoro) ha detto “Bon, finisce qui”, però come noi, per dire, non c'era unaregolazione corretta, avvertire qualcuno, anche con un contratto a tempo determinato, due giorniprima che tu non vieni più al lavoro era un po’ anormale.

Il ritornello del “mancano i requisiti”, del “la sua condizione non è prevista fra quelle tutelate” è

ritornato spesso nelle parole di molti intervistati.

La realtà che si percepisce, nello sfondo di una situazione generale di difficoltà del mercato del

lavoro è quella di un welfare che per molti non riesce a tessere una rete in grado di attenuare gli

effetti della crisi. Tale elemento è del resto provato da numerosi indicatori: ad esempio il privato

sociale registra su tutti i fronti (dai dormitori alle mense, dagli sportelli lavoro a quelli di

assistenza alla salute) un aumento dell’utenza. Fragilità del sistema o svelamento di quanto già

da tempo è storia nota per alcuni, ovvero di una delega implicita al privato sociale di una parte

di servizi che di fatto non sono garantiti dagli enti pubblici.

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2.5. L’osservatorio dei servizi sociali locali fra vecchie e nuove fragilità

Interlocutori preziosi nella ricerca sono stati gli operatori dei servizi sociali, così come degli enti

del privato sociale che svolgono attività socio-assistenziali. Due temi sono stati sottolineati:

l’assenza di dati sistematici sulle effettive condizioni delle famiglie (di tutte le famiglie), la

percezione di essere di fronte ad una crescita esponenziale degli utenti dei servizi, seppure in un

contesto di contrazione delle risorse; la necessità di predisporre servizi per tutti, senza

distinzione di cittadinanza, perché la crisi non chiede il passaporto.

2.5.1 Le misure anti-crisi: un’opportunità per tutti?

La crisi economica in atto ha imposto al Governo e alle Regioni l'adozione di provvedimenti di

natura straordinaria per fronteggiare le ricadute della fase recessiva sul tessuto socio-

economico territoriale, in primo luogo a salvaguardia dei posti di lavoro e dei livelli di reddito

della popolazione, ma con un'ottica fortemente orientata ad integrare le politiche passive con le

politiche attive volte a rafforzare le competenze e l'occupabilità dei lavoratori e delle

lavoratrici, declinando operativamente il concetto di flexicurity promosso dalla Commissione

Europea.

Ogni Regione ha realizzato una programmazione degli interventi anti-crisi in modo

diversificato, attraverso il concorso di risorse nazionali e regionali, anche tramite i Programmi

Operativi Regionali del Fondo Sociale Europeo, in base al proprio contesto territoriale e ai

risultati della concertazione con gli altri soggetti locali (Isfol e Italia Lavoro, 2010; Ferri e

Moretti, 2009).

La Regione Piemonte il 22 aprile 2009 ha siglato, in intesa con il Ministero del Lavoro,

l’accordo che ha previsto un primo stanziamento da parte del Ministero di 50 milioni di euro

per gli interventi anti-crisi, integrato da 10 milioni di euro di risorse regionali.

Il 27 maggio del 2009 viene sottoscritto l’Accordo quadro fra la Regione Piemonte, le parti

sociali piemontesi e la Direzione regionale INPS, che stabilisce le modalità di gestione, per il

biennio 2009-2010, degli ammortizzatori sociali in deroga, dando attuazione all’accordo del 22

aprile.

Ad oggi, l’ammontare dei fondi di spettanza regionale destinati agli interventi a sostegno del

reddito (gli ammortizzatori in deroga) e delle competenze (le politiche attive) dei lavoratori

colpiti dalla crisi è di 192,6 milioni di euro così ripartiti:

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- 100 milioni a carico del Fondo Sociale Europeo, di cui non più di 50 destinati al

sostegno al reddito;

- 15 milioni a carico del bilancio regionale, interamente destinati al sostegno al reddito;

- 77,6 milioni integrati dal Governo, anch’essi interamente destinati al sostegno al

reddito.

Il pacchetto di misure anti-crisi della Regione Piemonte, sia di politica passiva (sostegno al

reddito) sia di politica attiva (formazione-lavoro), risulta articolato in tre principali ambiti di

intervento18:

1. per le imprese;

2. per le famiglie ed i soggetti deboli;

3. per il lavoro ed il welfare.

Al momento non sono ancora disponibili dati di sintesi sui risultati delle misure anti-crisi

promosse a livello regionale, in particolare rispetto ai beneficiari degli interventi distinti per

cittadinanza.

Al di là delle azioni specificamente previste dal pacchetto di misure anti-crisi promosso dalla

Regione in collaborazione con le Province piemontesi, numerose iniziative pubbliche e del

privato sociale hanno, negli ultimi due anni, cercato a vario titolo di intervenire a sostegno del

reddito delle famiglie, italiane e straniere, e per il supporto nella ricerca del lavoro.

A livello comunale e sovra-comunale, sono stati avviati numerosi tavoli di confronto e siglati

accordi con le Province, le parti sociali, le associazioni di volontariato, le banche per

l’anticipazione degli assegni di Cassa Integrazione; la promozione delle azioni formative, dei

tirocini, dei cantieri lavoro; l’erogazione di prestiti e la riduzione dei costi dei mutui immobiliari

ecc. Molti comuni19 hanno rivisto i criteri sui tributi locali e le tariffe a domanda individuale per

includere o sostenere cassaintegrati, precari, disoccupati, licenziati, ma anche avviato iniziative

autofinanziate, spesso in collaborazione con il volontariato (Testa, 2009). A questo proposito – e

a solo titolo esemplificativo – si possono ricordare le seguenti esperienze:

a) il Comune di Torino ha ridotto l’importo sulla TaRSU e le tariffe della rete di trasporto

urbana per i disoccupati iscritti al Centro per l’Impiego;

18 Per un approfondimento sulle misure anti-crisi promosse dalla Regione Piemonte si rimanda ai documenti redattidall’Organismo di programmazione e attuazione del Programma Attuativo Regionale – Fondo Aree Sottoutilizzate(PAR FAS), Direzione Programmazione Strategica, Politiche Territoriali ed Edilizia, disponibili suwww.regione.piemonte.it/oltrelacrisi.19 Si ricorda che gli Enti locali operano per il sostegno al reddito alle famiglie con difficoltà economiche attraversol’elemento selettivo del livello di reddito certificato ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente),attraverso sistemi diretti di trasferimenti monetari alla persona sotto forma di sussidi, assegni, una tantum, oindiretto traducibili in agevolazioni tariffarie su beni e servizi (ad esempio, trasporto, rette scolastiche, bonusacquisto libri, sconti su tariffe TaRSU -Tariffa Rifiuti Solidi Urbani-, agevolazioni sui canoni per l’alloggio).

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b) il Comune di Cuneo ha ridefinito le tariffe per i servizi scolastici e promosso un cantiere

lavoro “Per un lavoro sostenibile” autofinanziato, che prevede l’inserimento di persone

disoccupate presso i propri uffici e servizi;

c) il Comune di Racconigi ha previsto esenzioni e agevolazioni per i servizi TaRSU, mensa

e ticket sanitari per lavoratori in cassa integrazione, interinali o con contratto a tempo

determinato cui non è stato rinnovato il contratto, licenziati per calo di commesse;

d) alcuni comuni (Racconigi, Bra) hanno introdotto sconti ed agevolazioni presso vari

esercizi commerciali, con il sistema della Social Card.

Gli Enti gestori dei servizi socio assistenziali, usufruendo delle risorse aggiuntive garantite dalla

Regione Piemonte, o da fondi propri, hanno in alcuni casi avviato progetti specifici20 e il più

delle volte aumentato le risorse disponibili per fare fronte alla richiesta di sussidi economici. Il

privato sociale ha attivato azioni specifiche di sostegno al reddito come ad esempio il progetto

“Vittime della crisi” promosso dai centri di ascolto della Caritas della Provincia di Asti21. Il

volontariato ha cercato di fare fronte alle situazioni più critiche, attraverso la gestione delle

mense, del banco alimentare, della distribuzione di vestiario, di servizi sanitari gratuiti, ecc.

Talvolta si sono sviluppati progetti più articolati e di lungo periodo laddove le fondazioni

bancarie, in particolare nelle province di Torino e Cuneo, attraverso i loro organi e strumenti

non solo hanno operato con positive iniezioni di risorse destinate a coloro che sono in situazione

di vulnerabilità sociale e di precarietà economica, ma hanno anche svolto un ruolo propositivo di

raccordo e di progettualità22.

Sebbene non sia ancora possibile realizzare una raccolta sistematica di tutti gli interventi

promossi e dei risultati raggiunti, la conoscenza delle iniziative principali23 in corso nei territori

20 Da alcuni Enti gestori sono state avviate iniziative come Cantieri lavoro, distribuzione di buoni pasto incollaborazione con il volontariato, opuscoli informativi per operatori e cittadini sulle misure anti-crisi di cuiusufruire, ecc.21 Un progetto nato per cercare di fornire una risposta alle urgenze espresse da coloro che hanno subito unacontrazione delle entrate economiche in questi anni di crisi.22 Si pensi ad esempio alle iniziative promosse dalla Fondazione CRC di Cuneo: attivazione di specifici tavoli diconfronto tra enti locali e soggetti privati; predisposizione di dossier periodici di analisi e approfondimento dellasituazione di crisi a livello generale e locale; attivazione del progetto di microcredito “Fiducia” e di un corso diformazione per la qualifica di Operatore Socio Sanitario; alle iniziative dell’Ufficio Pio e della Fondazione per laScuola della Compagnia di San Paolo, che hanno prestato attenzione alla condizione di fragilità familiare attivandosostegni per i figli frequentanti percorsi scolastici.23 Nel corso della ricerca è stata avviata una rilevazione sistematica delle iniziative/misure anti-crisi realizzate intutti e tre i contesti, promosse da istituzioni, enti locali, fondazioni bancarie e privato sociale e l’effettiva ricaduta sucittadini italiani e stranieri. Purtroppo ad oggi la rilevazione avviata durante l’estate lamenta la risposta di moltiservizi socio-assistenziali, organizzazioni di categoria e altri enti. Produrre un quadro di tali misure non era unobiettivo della ricerca, ma è sembrato utile gettare le basi per tale raccolta, in considerazione dell’assenza di unavisione sistematica dell’offerta di opportunità nei tre territori e di eventuali lacune su cui intervenire in termini dipolicies. Non è possibile quindi restituire una visione completa delle attività svolte (o in corso): i dati raccolti sonoperò stati utilizzati per la redazione del presente rapporto.

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locali ha rappresentato il quadro di sfondo per il confronto con responsabili e operatori dei

servizi istituzionali, del privato sociale e del volontariato, incontrati con lo scopo di raccogliere

testimonianze, opinioni, rappresentazioni della situazione dei servizi e della situazione delle

famiglie italiane e straniere di fronte alla crisi. Per quanto riguarda l’accesso alle misure anti-

crisi non è prevista una raccolta sistematica di dati sulla popolazione straniera, ma un elemento è

certo: da alcune misure molti immigrati sono esclusi. Gli ammortizzatori istituzionalizzati, ossia

la Cassa integrazione guadagni (Cig) ordinaria e la Cassa integrazione guadagni straordinaria

(Cigs) – in caso di ristrutturazione, e di crisi aziendale, delle stesse imprese beneficiarie della

Cig nonché delle imprese commerciali, di spedizione e trasporto e agenzie di viaggio e turismo

con più di 50 dipendenti – e le integrazioni salariali in agricoltura, coprono solo in parte i

lavoratori stranieri. Infatti non usufruiscono della Cig imprese terziarie, cooperative, tutte le

imprese inferiori a una certa soglia dimensionale (di norma 15 dipendenti), ossia ambiti in cui la

presenza di lavorati non italiani è significativa.

Tab. 5. Soggetti in mobilità a livello provinciale divisi per tipologia, classe d’età e origine (v.a.). Confronto fratre province. Dati al 1.2.2010.

Tipo di mobilità Cittadinanza

L. 223/9124 L. 236/9325 Stranieri Totale

AT 471 1.271 357 1.742

CN 1.745 1.645 480 3.390

TO 9.695 11.196 2.573 20.891

Fonte: Agenzia Piemonte Lavoro - APL, 2010.

A ciò si è in parte ovviato con l’accordo dello scorso 27 maggio 2009 tra Regione Piemonte e

parti sociali, che ha esteso il campo delle attività coperte dalla Cigs in deroga a tutte le tipologie

di lavoro subordinato (incluse quelle a termine, i contratti di apprendistato, di somministrazione

e i soci di cooperative con contratto dipendente), e a tutti i tipi di datore di lavoro senza

limitazioni, di qualsiasi tipo e settore, anche non imprenditori (liberi professionisti).

Nulla è dovuto a lavoratori interinali, soci-lavoratori di cooperative, lavoratori domestici e

impegnati nell’assistenza familiare, tutte categorie in cui la presenza di immigrati è alta.

24 Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive dellaComunità Europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro. La legge norma, tral’altro, la costituzione delle liste di mobilità indennizzata.25 Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione, legge che norma, fra l’altro, le liste di mobilità non indennizzata.

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2.5.2 Prima le persone, poi i numeri

Secondo le percezioni e i dati delle istituzioni e dei servizi coinvolti nel corso della ricerca, le

conseguenze della crisi economica sulle famiglie sono divenute evidenti in tutta la loro gravità

soprattutto a partire dalla fine del 2009 e nei primi mesi del 2010. Nel corso del 2009, infatti, si

è in generale registrato – presso i servizi sociali, i sindacati, i centri di ascolto, ecc. – un aumento

dei passaggi e una diversificazione delle utenze, con sempre più frequenti richieste da parte sia

di italiani sia di stranieri di un aiuto economico a causa di insufficienza di reddito e/o di ricerca

lavoro. Come per gli italiani, anche fra gli stranieri vi sono i “new-comers” ai servizi: persone

che si presentano per la prima volta a seguito dell’entrata in cassa integrazione o della perdita

del lavoro.

Diversi enti gestori di servizi socio assistenziali, in tutte e tre le province, hanno registrato nel

2009 richieste di sostegno economico doppie rispetto all’anno precedente26, e

proporzionalmente cresciute ancora nei primi sei mesi del 2010, con un aumento notevole della

spesa dedicata, e una grande difficoltà nella gestione dei bilanci, che preoccupa ancora di più a

fronte della previsione dei tagli della spesa per le politiche sociali previsti dalla Finanziaria

2011. Inoltre i servizi sociali e i centri di volontariato sottolineano come, in particolare a partire

dall’inizio del 2010, siano aumentati i casi disperati, quelli di persone e famiglie che si

dichiarano a “reddito zero”, in situazioni multiproblematiche, legate all’insolvenza protratta del

pagamento dell’affitto o del mutuo, la cui condizione spesso è resa più grave dall’ingiunzione di

sfratto e dall’indebitamento. Difficili poi da gestire sono i numerosi casi di persone che, seppure

in condizioni di bisogno, formalmente non possono accedere alle risorse perché in mancanza dei

requisiti richiesti. Ecco allora venire in soccorso il volontariato.

Secondo i dati relativi al 2008 forniti dal Rapporto 2010 della Fondazione Zancan sulla povertà

e l’esclusione sociale sugli utenti del Centri ascolto Caritas a livello piemontese, gli stranieri

risultavano essere il 65%, e si evidenziavano alcune differenze nella tipologia di persone. Se tra

gli italiani, che tra il 2007 e il 2008 erano aumentati notevolmente, si erano rivolte al centro in

maggioranza persone presumibilmente sole/separate (celibi/nubili 29,7%; divorziati 25%)

rispetto a quelle con famiglia (coniugati 30,8%), dichiarando come problema principale la

condizione di povertà (60,4%) e solo in secondo luogo quello occupazionale (41,6%), tra gli

26 Nella provincia di Asti per esempio, la drastica caduta delle assunzioni nel settore industriale, concentrata nelnord astigiano, ha avuto ricadute sui servizi sociali notevoli: nel 2009 il CO.GE.SA. (Consorzio per la Gestione deiservizi Socio-Assistenziali), ente gestore dei servizi socio assistenziali dei comuni del nord astigiano, ha erogatocirca 330 contributi economici per soggetti vittime della crisi a fronte di oltre 450 domande pervenute di cui quasi il45% richiesto da stranieri. Il CISA (Consorzio Intercomunale Socio Assistenziale), ente gestore dei servizi socioassistenziali dei comuni del sud astigiano (legato prevalentemente al settore agricolo), nello stesso periodo haregistrato 80 domande di richiesta di sostegno.

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stranieri è nettamente superiore la presenza di coniugati (56,6%) rispetto ai celibi/nubili (29,5%)

e ai separati (10%) e inversa la motivazione: il 64% ha problemi occupazionali e il 48,7% si

trova in situazione di povertà.

Tab. 6. Piemonte, caratteristiche degli utenti dei Centri di ascolto Caritas per cittadinanza*.

% Italiani % Stranieri

Cittadinanza 35 65

Incidenza degli utenti minorenni - 1,0

Stato civileCelibe o nubile 29,7 29,5Coniugato/a 30,8 56,6Separato/a legalmente o divorziato/a 25,0 10,1Vedovo/a 7,1 3,3Altro 7,4 0,5Totale 100,0 100,0

Situazione abitativaHa un domicilio 90,8 92,1Senza fissa dimora 8,6 7,4Altro 0,6 0,5Totale 100,0 100,0

Macrovoci di bisogno (più risposte possibili)Povertà 69,4 48,7Problemi di occupazione 41,6 64,3Problemi abitativi 17,4 13,5Problemi famigliari 15,6 3,7Problemi legati all’immigrazione 1,0 5,1Problemi di istruzione 0,9 13,7Problemi di salute 9,3 2,9Dipendenze 2,3 0,4Detenzione e problemi con la giustizia 1,9 0,4Handicap/disabilità 1,2 0,5Altri tipi di problemi 5,0 1,6*I dati si riferiscono a persone che nel corso del 2008 si sono rivolte a un campione auto selezionato di Centri di ascolto promossi dalle CaritasPiemontesi o collegati con esse (10 Centri su 9 Diocesi). La rilevazione è relativa a 2.542 persone (il 3,2% del campione nazionale), 61,4%femmine e 38,6% maschi.Fonte: Caritas Italiana – Fondazione “E. Zancan”, 2010.

In assenza di dati consolidati per il 2009, valgono le considerazioni fatte dagli operatori e dai

volontari che hanno registrato nel corso del 2009 e del 2010 un progressivo passaggio, anche per

gli immigrati, dai problemi di lavoro a quelli economici come principale motivo di richiesta di

aiuto. A titolo di esempio, i dati del Centro di Ascolto (CdA) Caritas della Diocesi di Cuneo

sono indicativi di questa tendenza: tra il 2008 e il 2009, i beneficiari del CdA di Cuneo sono

passati da 219 a 352 (32% femmine e 68% maschi), con un aumento particolare a fine 2009.

Rispetto alla provenienza, sebbene gli stranieri siano stati la maggioranza (63%), sono in

proporzione aumentati di più gli utenti italiani. Nel 2009, sul complesso dei bisogni rilevati,

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l’occupazione/disoccupazione diviene il problema principale e di conseguenza aumentano anche

i problemi economici legati al reddito insufficiente, oltre alla questione abitativa (sfratto,

difficoltà a pagare l’affitto, abitazione inadeguata). Nei primi 4 mesi del 2010, secondo i più

recenti dati forniti dall’Osservatorio delle povertà della provincia di Cuneo, si sono presentati al

CdA già 102 persone. Rispetto al 2009, il bisogno principale dichiarato non è più quello del

lavoro (33%), mentre diviene preponderante il fattore economico (35%), con il 72% di “senza

reddito” rispetto al 52% del 2009 e il 27% del 2008. Inoltre, rispetto all’anno precedente, sono

in aumento gli stranieri, i giovani e i senza fissa dimora.

La casa, un sogno o un incubo?

In una fase di crisi economica ed occupazione anche sul versante immobiliare si prospetta uno scenario

particolarmente difficile, come ricorda Marchesini: “Le banche non concedono più i mutui agli immigrati

e il credit crunch minaccia di trasformarsi in una vera e propria emergenza abitativa. La pressoché

totale scomparsa di prestiti per la casa con un elevato loan to value, cioè che coprono una percentuale

del valore dell'immobile superiore al 70-80%, ha infatti spazzato via dal mercato degli acquirenti gli

immigrati in Italia” (2009).

Tale tendenza è confermata anche dall’ultimo rapporto OCSE, che sottolinea come “la casa, poi, è

diventata per gli immigrati un problema sempre più pressante: si registra un aumento degli sfratti per

morosità a causa dell'aumento del canone o della perdita del lavoro (soprattutto al Nord, dove le

famiglie immigrate rappresentano il 22% del totale delle famiglie sfrattate). Si è fermata la corsa al

mattone degli immigrati: tra il 2007 e il 2008 gli acquisti di immobili da parte di immigrati sono

diminuiti del 23,7%, interrompendo un ciclo di crescita che durava da quattro anni (OCSE, 2009).

Crisi economica, perdita del lavoro, minore disponibilità di reddito: elementi di un percorso che porta,

secondo quanto si raccoglie dagli operatori degli sportelli del privato sociale e dei servizi socio-

assistenziali, ad un aumento delle richieste di aiuto per il pagamento delle rate di mutui. Il 1° febbraio

2010 è diventato operativo l’accordo fra ABI (Associazione Bancaria Italiana) e associazione dei

consumatori sulla sospensione dei mutui. Quanti saranno i cittadini stranieri interessati lo si saprà a fine

anno. Quello che ora è possibile ipotizzare è una possibile maggiore difficoltà per molte famiglie

straniere ad accedere a tale possibilità.

Oltre a chi rischia di perdere la casa, vi sono poi coloro che avrebbero voluto acquistarne una, per i quali

però le mutate condizioni socio-economiche hanno necessariamente significato un cambiamento del

proprio progetto, come ricorda il rapporto 2010 di Scenari Immobiliari. “La stretta creditizia sui mutui e

le incerte prospettive dell’occupazione, hanno drasticamente ridotto il numero di acquisti di residenze da

parte degli immigrati. Secondo la stima di Scenari Immobiliari nel 2009 non si concluderanno più di

78mila compravendite, con un calo del 24,3 per cento rispetto al 2008. In contrazione, di conseguenza,

anche il fatturato (meno 26,5 per cento) mentre si mantiene costante la spesa media per l'abitazione,

intorno ai 110mila euro” (Scenari immobiliari, 2010: 1).

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Tab. 7. Riepilogo condizioni accordo per la sospensione del mutuo.

Condizioni formali per l’erogazione Ostacoli materiali

Cessazione del rapporto di lavoro subordinato adeccezione […] di dimissioni del lavoratore.

Si rilevano casi in cui al lavoratore straniero vienefatto firmare, al momento dell’assunzione, unmodulo di dimissioni.

Sospensione del lavoro o riduzione dell’orario dilavoro per un periodo di almeno 30 giorni, anche inattesa dell’autorizzazione dei provvedimenti disostegno al reddito (CIG, CIGS…).

Molti cittadini stranieri sono esclusi dall’accesso atali misure a causa del loro inserimento lavorativo,ivi compreso il significativo numero di coloroimpegnati nel settore dell’assistenza.

Fonte: ABI, 2009.

Nella diocesi di Torino, la criticità della situazione di impoverimento che caratterizza un numero

crescente di famiglie è stata sottolineata dal direttore della Caritas, il quale parla “di povertà di

soglia”, o di “poveri inclusi”: cittadini di ceto medio-basso che, per carenza momentanea di

lavoro o per un taglio negli introiti o a causa di una separazione, non riescono più a far fronte ai

mutui contratti per la casa o ad altre necessità27.

Guardando ai fattori di forza e di debolezza dei contesti territoriali (in particolare distinto per

area metropolitana e area provinciale) come è stato fatto in una recente ricerca realizzata in

Lombardia sulle conseguenze sociali della crisi economica (Riboni e Livio, 2010)28, emergono

alcune considerazioni interessanti.

27 La stessa Diocesi, per sostenere le famiglie in condizione di disagio sociale appartenenti alla cosiddetta “fasciagrigia” (persone che si vengono a trovare nelle condizioni di non poter far fronte a pagamenti nell’immediato) haavviato il progetto “Gocce di speranza”, un fondo sociale di rotazione che prevede sostegni solidali di piccola entità(per affitti, aiuto nel pagamento di caparre nei contratti di locazione, aiuto nel pagamento di spese occasionali(sanitarie, dentistiche, funerali…), o delle utenze (riscaldamento, energia elettrica e gas) che prevedono larestituzione ad una sorta di “cassa comune” dalla quale altre persone potranno attingere in futuro.28 In Lombardia, dove il confronto ha riguardato l’area metropolitana/pedemontana/montana/pianura, le prime duesono risultate le più critiche: l’area metropolitana milanese (in particolare l’hinterland) vede come suoi punti didebolezza in particolare la qualità delle retribuzioni, l’accesso all’abitazione e la presenza di reti di sostegno. L’areamontana, caratterizzata da progressivo spopolamento, invecchiamento ed impoverimento di vaste aree, si traduce, intermini pratici, in una progressiva perdita di servizi per la popolazione residente e di bassi livelli reddituali.

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Appare evidente come le situazioni di vulnerabilità delle famiglie e di fronteggiamento della

crisi siano connesse con il contesto territoriale, le caratteristiche del mercato del lavoro, l’offerta

di servizi e la capacità delle istituzioni locali di fare fronte alla situazione e intervenire in modo

coordinato e tempestivo. Dagli incontri con referenti e operatori si conferma la percezione di

maggiore criticità del contesto metropolitano torinese, dove un più alto costo della vita e le

rigidità del mercato della casa si intrecciano con le difficoltà di quello del lavoro. Allo stesso

tempo, la tradizione di welfare (pubblico e privato) presente nel territorio ha continuato a

svolgere un ruolo positivo di ammortizzatore sociale sui generis. Nello scenario delle province

di Asti e Cuneo, in cui le situazioni congiunturali e abitative sono meno critiche, le reti di

sostegno e di intervento appaiono piuttosto differenziate, sia in relazione alla capacità di

coordinamento e di iniziativa delle reti locali di soggetti pubblici e privati, sia alle effettive

possibilità di azione. Soprattutto nei comuni di dimensione minore l’impatto della recessione

mette in difficoltà la gestione quotidiana dei servizi sociali, in un contesto dove le risorse

disponibili rendono di fatto impossibile progettare e realizzare interventi straordinari.

Fig. 3 – Conseguenze sociali della crisi economica per contesto territoriale.

Area metropolitana

Area provinciale

Alta criticitàBassa criticità

Costo della vita

Mercatoabitativo

Costo della vita

Mercato abitativo

Qualità delleretribuzioni e dellecondizioni di lavoro

Reti di sostegno

Reti di sostegno

Qualità delleretribuzioni e dellecondizioni di lavoro

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Viene inoltre segnalato che gli incontri di coordinamento istituzionale e operativo, in passato

utili per una migliore gestione e razionalizzazione degli interventi, oggi sono spesso diventati

appuntamenti routinari, in cui si aggiorna il bollettino della crisi e si registrano le difficoltà di far

fronte all’aggravarsi della situazione.

E’ diffusa la consapevolezza che ci si troverà ancora a dover gestire per i prossimi mesi l’onda

lunga della crisi con risorse pubbliche decrescenti e richieste in aumento: uno scenario di

impotenza ad intervenire in cui la preoccupazione non è quanto si riuscirà ad andare avanti, ma

chi, fra le diverse categorie di beneficiari (anziani, disabili, bambini, famiglie monoreddito),

riuscirà ancora a vedersi assicurata la tutela dei diritti di welfare. Di qui la necessità di

coinvolgere Province, Regione e Governo a programmare nuove misure di sostegno e di

sviluppo condivise, che prevedano il coinvolgimento di tutti i soggetti, comprese le

organizzazioni datoriali e imprenditoriali, di cui spesso servizi socio-assistenziali e privato

sociale hanno lamentato l’assenza o la non sufficiente partecipazione. In una situazione di crisi

generale anche il clima sociale diventa un indice del malessere diffuso: gli operatori dei servizi

presenti sul territorio avvertono talvolta l’inasprirsi degli atteggiamenti degli italiani nei

confronti degli stranieri. In questo contesto l’elemento “straniero” rischia di essere la miccia che

fa esplodere una tensione latente, che coinvolge cittadini italiani impoveriti, cittadini immigrati,

con carta di soggiorno a rischio di espulsione, giovani in cerca di prima occupazione e adulti

espulsi da un mercato del lavoro che difficilmente li riassorbirà.

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3. PROTAGONISTI E SPETTATORI DELLA CRISI

Rumeno, decoratore con esperienza, prezzi bassi, disponibile tutta la settimana, anche sabato e

domenica (volantino affisso ad una fermata dell’autobus, Torino).

Dobbiamo distinguere fra chi è qui da quindici-vent’anni e chi è arrivato da qualche anno. Gli

adulti della vecchia migrazione, quella degli anni ’80, soprattutto marocchini, sono affidabili,

solidi, non hanno grossi capitali, ma se la cavano, sono stati attenti, un po’ come i nostri migranti

che tiravano la cinghia. I più giovani sono diversi, un po’ tutti, non è una questione di

provenienza o di cultura, ma forse di appartenenza generazionale. Anche gli immigrati sono

giovani e sono affascinati dai luccichii della globalizzazione. Anche loro cercano l’ultimo

cellulare, cercano i marchi della moda, i marchi del successo: sperano così di salvarsi, di essere

come gli italiani (operatore Caritas).

Le conseguenze e gli effetti della crisi non sono immediatamente percepibili. Come per altri

fenomeni, anche in questo caso occorre considerare un differenziale temporale fra le cause che

producono un rallentamento dell’economia, e poi un aumento della disoccupazione, e gli effetti

sulla vita lavorativa, familiare e sociale delle persone. I dati sugli ingressi non raccontano di un

arresto degli arrivi né di una forte riduzione delle intenzioni delle imprese nell’inserire i

lavoratori immigrati fra i loro addetti. La variabile di genere discrimina: le donne nello scenario

di una crisi finanziaria che colpisce un “paese di vecchi” sembrano essere state messe al riparo

dall’espulsione di un mercato del lavoro che necessita di “carne per pannoloni” (Zanfrini, 2003),

ovvero di personale dedito alla cura degli anziani. Ma la crisi riduce la domanda di lavoro e fa

aumentare l’offerta:

Uscire di casa, imparare la lingua, trovarsi un lavoro. Per quelle donne che sono arrivate qui per

raggiungere i mariti, per occuparsi della loro famiglia il momento è difficile. Vengono da noi

perché vogliono trovare un lavoro in fretta e hanno bisogno di conoscere un po’ di italiano: ma

la lingua non si apprende a comando e non in poche settimane […] anche le altre, le rumene, le

latino-americane sono preoccupate. La crisi riduce la domanda di lavoro domestico, di

assistenza. E anche chi lavora nelle cooperative non sta meglio: non vengono pagate. Le rumene

avevano più opportunità prima, qualche anno fa. Adesso costano troppo e sono loro che cercano

lavoro nelle cooperative. E poi molte di loro sono infermiere e possono lavorare negli ospedali,

nelle case di cura. Le maghrebine sono quelle più in difficoltà, dentro e fuori casa (insegnante di

un Centro Territoriale per l’Educazione Permanente, Torino).

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Dagli adulti ai giovani, agli adolescenti, ai bambini, testimoni anch’essi della crisi. Per la prima

volta, dopo anni, si assiste nell’anno scolastico (a.s.) 2009/2010 a un decremento della presenza

di allievi stranieri nelle scuole. Il dato va analizzato con attenzione, ma non è escluso che questo

non si leghi alla recessione globale, come rilevano alcuni insegnanti:

Molte famiglie ci dicono che se le cose non cambiano pensano di tornare a casa. Altre ci dicono

che mandano a casa i bambini (insegnante di un Centro Territoriale per l’Educazione

Permanente, Torino).

Conosco dei connazionali che hanno mandato la moglie e i figli in Marocco. Ma la situazione

non è buona neanche lì. La crisi si sente e per chi arriva da fuori non è facile. Se vuole lavorare e

anche vivere con i soldi guadagnati qua va bene solo per i primi tempi. E poi ci sono i bambini.

Oramai molti dei nostri figli sono nati o cresciuti qui e per loro il Marocco, la lingua araba, le

abitudini di quel paese sono cose che non capiscono. Anche a scuola, ci raccontano i

connazionali, i loro figli si trovano male, non riescono ad inserirsi. Sono stranieri nel paese dei

loro genitori. Ma anche qui sono stranieri. Molti non hanno la cittadinanza italiana (N. 1, F.,

Marocco)29.

L’attenzione agli effetti della crisi sulle giovani generazioni non è un oggetto specifico di questa

ricerca. Non si può però prescindere dal ricordare come i figli dell’immigrazione siano parte

della dotazione del capitale umano dell’Italia dei prossimi anni. E’ per questo che sembra

importante citare, da un lato, le preoccupazioni degli insegnanti sul pendolarismo o sul

trasferimento per un certo periodo di bambini e ragazzi che si trovano nella condizione ricordata

da Favaro e Napoli (2002) come “pesci fuor d’acqua” nel ritorno dei paesi d’origine dei genitori.

Da un altro lato, e questa non è ancora una consapevolezza diffusa, le giovani leve ricordano

come la crisi metta a rischio gli investimenti in formazione per i più giovani, la tensione a

proseguire percorsi formativi dei più deboli. E quindi, non solo le ipotesi di rientro degli

immigrati, laddove sono sollecitate, non tengono conto di un danno potenziale al sistema

economico del paese: si cerca di mandare a casa soggetti con una dotazione di capitale sociale e

di competenze utili per inserirsi nella società italiana e per cui si è investito (corsi di lingua

italiana, sportelli informativi, attività di mediazione culturale).

29 Le citazioni riportano il n. dell’intervista, il sesso e la provenienza. Per le caratteristiche socio-demografichedell’intervistato si rimanda al numero dell’intervista e alla descrizione riportata nell’allegato n. 1.

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3.1 Un impatto a macchia di leopardo nel mondo delle vecchie e nuove migrazioni

M. è arrivata a Torino nove anni fa, dove dopo qualche anno si è sposata con S., suo connazionale nel

capoluogo piemontese già da undici anni. La loro storia è una storia di sacrifici: lei, dopo una scuola

post-diploma in Romania viene in Italia, per raggiungere i fratelli. Inizia a lavorare facendo le pulizie,

poi ad assistere una signora anziana. Nel mentre inizia a studiare come estetista. Non è il suo campo, a

Bacau ha fatto una scuola per interpreti, ma qui le hanno detto che quello estetico è un buon settore.

Non è stato facile, perché oltre al lavoro e allo studio doveva anche dare una mano in casa al fratello,

alla cognata e ai loro bambini. Andare a vivere da sola è stato un sogno realizzato poco prima del

matrimonio: anche lei ha fatto fatica a trovare un piccolo appartamento in affitto. Alcuni erano troppo

cari, altri non disponibili per una donna sola e, come dice M. “per di più straniera”. La storia di S.

sembra anch’essa una storia già sentita: inizia a lavorare con dei connazionali, come aiuto imbianchino,

decoratore, poi in cantieri, fino a quando riesce a mettersi in proprio. Il percorso è simile per molti, ma

come ci tiene a sottolineare S., non per tutti l’esito è positivo: ad alcuni va bene e si riesce ad entrare in

un giro di commesse, di lavori, così riesci ad andare avanti se qualcuno ritarda nei pagamenti; ad altri,

invece, che hanno uno o due clienti, in questo periodo, va male. Non si sono fatti un nome, non hanno

allargato le loro conoscenze e ora sono senza lavoro, con molti crediti che però non riescono ad esigere.

M. e S., di fronte alla crisi, sono sereni: entrambi lavorano, lei come responsabile di un centro estetico,

dove i clienti nell’ultimo anno sono aumentati; lui, con qualche commessa in meno rispetto all’anno

scorso, ma comunque non costretto a fermarsi una settimana al mese come capita a suoi amici e

colleghi30.

La storia dell’immigrazione dall’estero in Piemonte affonda le sue radici agli inizi degli anni

Settanta. Sin dall’avvio dei flussi migratori verso l’Italia, la regione alpina si è caratterizzata per

essere luogo di approdo, dapprima di uomini e poi di donne, provenienti dall’estero.

30 La storia è relativa all’intervista n. 17, allegato 1.

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Fig. 1. Incidenza % di rumeni e marocchini sul totale della popolazione straniera residente nelle tre province.Dati al 31.12.2009.

Fonte: Banca Dati Demografica Evolutiva della Regione Piemonte (BDDE).

Ovviamente in alcune realtà il processo di inserimento è più avanzato e numericamente più

significativo (Torino e Cuneo) che in altre (Asti e le altre province), ma dovunque il passaggio

dalla prima alla seconda generazione è consolidato. Eventuali progetti di ritorno o di partenza

verso una nuova meta sono legati al futuro della generazione più giovane. Come per la

definizione del progetto migratorio l’opportunità di garantire un futuro migliore alla famiglia

d’elezione è una delle molle principali, anche in un periodo di crisi la valutazione del se, come e

quanto sia opportuno trasferirsi altrove riguarda il futuro dei membri più giovani. Questo è

l’elemento chiave, su cui protagonisti delle migrazioni degli anni ’80 (soprattutto marocchini) e

degli anni più recenti (soprattutto rumeni) articolano i tentativi di fronteggiare il precariato

lavorativo (e giuridico), ipotizzano percorsi di rientro o pianificano nuovi progetti migratori.

Mio marito lavora in una ditta di facchinaggio e io faccio le pulizie nei palazzi. Prima c’era più

lavoro. Adesso mio marito lavora solo tre giorni alla settimana e anche io. Noi prima eravamo in

cinque a fare le pulizie adesso siamo solo in tre […] non abbiamo mai pensato di tornare in

Romania. Lì la situazione ormai è la stessa che in Italia. Anzi forse è peggio: qui almeno ci sono

più servizi, più assistenza, conosciamo anche persone che ci possono aiutare. In Romania

abbiamo solo pochi parenti, ma sono loro a chiedere a noi e quindi da loro non riceviamo niente.

Abbiamo due figli, un maschio e una femmina. Fanno la scuola superiore. Per loro dobbiamo

andare avanti. Per noi rumeni la scuola è importante e anche se abbiamo meno soldi di qualche

anno fa, dobbiamo riuscire a farli studiare. Per loro è meglio stare qui, finire la scuola e poi

cercare di andare avanti […] conosciamo dei rumeni che sono tornati indietro, ma per loro è

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diverso, non hanno figli. Quando sei madre non pensi più a te, pensi solo ai figli e loro lo sanno.

Da noi il genitore va rispettato, qui sento storie che da noi sono impossibili: ragazzi che trattano

male i genitori, che dicono parolacce. Da noi si insegna il rispetto (N. 2, F., Romania).

La famiglia rumena racconta di un’ordinaria quotidianità, propria di chi si è costruito un

percorso di inserimento (e di vita) in Italia a cui non vuole rinunciare. Si coglie nel corso

dell’intervista la storia di scelte faticose, di decisioni e di strappi con il chi e cosa si era in

passato:

Quando decidi di partire non è facile. Sì, ci raccontiamo che c’erano altri nostri amici o parenti,

che una volta qui il lavoro è stato facile da trovare. Ma in fondo, ognuno di noi sa quali sono le

realtà, quali sono i sacrifici che dobbiamo fare, come quando lavoravo da una signora dove i figli

mi controllavano come se fossi una ladra. O quando camminavi per strada e avevi paura che i

vigili, la polizia, qualcuno ti chiedesse i documenti. Questa paura non ti passa mai, anche quando

sei in regola, perché qui rimani sempre uno straniero. E dire che noi siamo europei come voi, ma

la nostra storia di immigrazione voi la dimenticate e adesso che siete voi a soffrire, a ritornare a

perdere il lavoro per noi immigrati, sarà ancora peggio (N. 3, F., Romania).

Il ricordo dei primi tempi dell’immigrazione e del costoso percorso, che porta dall’irregolarità e

dall’invisibilità alla normalità dell’immigrato in regola, emerge in numerosi racconti. Più della

perdita del lavoro, preoccupa la condizione giuridica.

Il permesso di soggiorno è il problema che li preoccupa di più. E si capisce: c’è gente qui da

quindici anni, che ovviamente all’inizio era irregolare, poi si è sistemata, che ora rischia di veder

naufragare tutti gli sforzi fatti. Vengono da noi allo sportello, uomini e donne, ci raccontano la

loro storia, cercano un lavoro, cercano qualcosa. Alcune hanno le rate del mutuo da pagare,

oltre l’affitto, altre ancora le bollette. Dicono che hanno il permesso di disoccupazione ancora

per qualche mese, poi se non cambia niente dovranno andare via. Ma dove? Una signora

marocchina, l’altro giorno, mi ha detto che piuttosto che ritornare in Marocco, il marito vuole

andare in Belgio. Ma senza documenti è rischioso: poi un nuovo paese, ricominciare tutto da

capo. La legge dovrebbe tenere conto della realtà economica, invece sembra che la norma per gli

stranieri non prenda in considerazione la situazione del momento […] per fortuna sappiamo che i

funzionari sono capaci di usare il buon senso, ma non ci si può affidare a loro (operatrice

sportello lavoro Torino).

I comportamenti dei funzionari della questura sono da sempre vincolo e opportunità per gli

stranieri: è noto come le norme siano agite ed interpretate a livello locale, dove la discrezionalità

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nell’applicarle può determinare situazioni di maggiore o minore apertura di fronte a storie

professionali e di vita influenzate pesantemente da condizioni esterne alla volontà dei singoli

protagonisti. Così accade che alcune questure siano più “comprensive” e che, nelle more dei

ritardi dell’espletamento delle pratiche di rinnovo, così come nelle pieghe della burocrazia o

nella lettura e rilettura del percorso in Italia, si trovino motivi per tendere una mano al cittadino

straniero. E’ questo il caso della Questura di Torino, come ha sostenuto la dirigente dell’ufficio

Immigrazione in un suo intervento pubblico: “assicuro che per quanto possibile e previsto nel

rispetto della normativa, laddove c’è un minimo spiraglio per poter lasciare qui un cittadino

straniero, che non riesce a trovare un lavoro regolare allo scadere del permesso di soggiorno

per disoccupazione, ma che nel suo fascicolo ha evidenti segnali, evidenti prove di inserimento,

di integrazione nella nostra città, allora facciamo il possibile per venirgli incontro. Anche noi ci

rendiamo conto del momento che stiamo attraversando, ma sappiamo anche che accanto a molti

lavoratori, a molte famiglie per bene, ci sono anche alcuni che tentano di regolarizzarsi

impropriamente”31. Lo sguardo a livello locale di come le norme siano interpretate e possano

essere applicate fa emergere spazi di manovra inaspettati:

La Questura per molto tempo ha fatto quasi da “ammortizzatore sociale”: da una parte, a causa

dei ritardi nei rinnovi dei permessi di soggiorno anche di un anno, un anno e mezzo [ora ridotti a

qualche mese, ndr], che hanno dato la possibilità alle persone in cerca di lavoro di avere un

periodo di tempo più lungo dei sei mesi di attesa occupazione per trovare qualcosa; dall’altra

parte, ci sembra che ci sia stata la volontà di valutare caso per caso, di lasciare in qualche modo

il tempo alle persone che hanno perso lavoro a causa della crisi, di tornare più volte prima di

chiudere la pratica, o trovando il modo di rinnovare più volte il permesso di soggiorno di attesa

occupazione a chi era in mobilità allegando la modulistica relativa (operatore di un sindacato

della provincia di Cuneo).

Preoccupa anche una nuova ondata di atteggiamenti xenofobi e anti-immigrazione, fra gli adulti

e fra i giovani, che rinfocolino vecchi pregiudizi e vecchi conflitti. Tali preoccupazioni trovano

riscontro nei risultati di una ricerca a livello nazionale, secondo cui le generazioni più giovani

sembrano essere anche le più confuse, oscillano fra accettazione e rifiuto. Oltre due giovani su

tre (68%) affermano che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono; un quarto

(24%) crede che gli immigrati portino via il lavoro agli italiani, e quasi la metà (47%) sottolinea

i benefici economici da loro arrecati per sostenere il sistema pensionistico e di welfare. Ma la

profonda ambivalenza dell’atteggiamento dei giovani italiani fa sì che i ragazzi e le ragazze

31 Intervento tenuto a Torino, Presentazione Dossier Statistico Immigrazione, 29 ottobre 2010.

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italiane non si sentano uguali e pari agli stranieri che arrivano nel nostro paese. Per il 49% degli

intervistati è giusto dare la preferenza agli italiani nelle assunzioni (Osservatorio su xenofobia e

razzismo della Camera dei Deputati, 2010). Quest’ultima affermazione è stata ricordata spesso

dagli operatori dei centri per l’impiego e dei servizi di orientamento al lavoro del privato sociale,

a conferma di un deteriorato clima sociale, in cui l’italiano si sente defraudato di un diritto

(ovvero dell’accesso esclusivo o prioritario al sostegno pubblico) dallo straniero in coda accanto

a lui nella ricerca di un lavoro. Stessa scena anche nelle sale d’attesa dei servizi sociali, dove la

tensione per l’accesso (o meno) ad un beneficio fa ricomparire timori forse mai del tutto

scomparsi.

Dopo quasi vent’anni che sei in Italia non pensi più che il tuo Paese sia l’unico punto di

riferimento. L’Italia è dentro di te. Ci sono state sofferenze, spesso mi sono sentito dire

“Marocchino di merda”, ho dovuto sentire brutte cose sui marocchini, sui musulmani, sugli

immigrati. E non potevo rispondere. Quando sei un immigrato devi sopportare tante cose, anche

le ingiustizie […] Sembrava finito quel periodo: il lavoro, la casa, i bambini a scuola. E invece, di

nuovo mi sono sentito dire “Perché non torni a casa”. Io sono parte di questo paese, la mia casa

è questa. In Marocco torno per le vacanze, ma non tutti gli anni. Noi ormai siamo torinesi (N. 4,

M, Marocco).

Ora però, dopo tutto questo tempo, con la famiglia, la casa, gli amici italiani, i figli a scuola, va

meglio. Per i più giovani è difficile da capire. Le nostre sofferenze non si riescono a trasmettere.

Né ai figli né a chi arriva dopo. Si pensa di riuscire perché si è giovani, si hanno tante speranze,

ma la vita è dura. Io quando sono arrivato speravo di trovare un buon lavoro, di costruirmi una

vita qui: per tanto tempo sono stato senza documenti, ho tentato due volte di regolarizzarmi senza

successo. E’ brutto quando devi vivere come se non esisti. Adesso i giovani pensano che tutto sia

facile e che siamo noi più grandi a non dire la verità (N. 5, M, Marocco).

La recessione economica, dunque, cambia lo scenario quotidiano di molte famiglie immigrate, a

cui si aggiunge un clima di relazioni fra nativi e migranti che in situazioni di crisi diventa più

difficile da gestire, facendo emergere vecchie paure mai del tutto superate. A partire da quella

annosa della concorrenzialità sul mercato del lavoro (e dei servizi). Un vecchio ritornello, che

ritorna nelle analisi e nelle riflessioni sulle migrazioni, e che oggi come ieri mostra che il ricorso

a categorie come “complementare/sostitutivo/concorrente” nel definire il rapporto fra immigrati

e mercati del lavoro locali, non sia sufficiente a introdurre nel dibattito elementi di

drammatizzazione, nonostante autorevoli rassicurazioni come quelle del Governatore della

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Banca d’Italia Draghi, che ha più volte ricordato che non si rilevano conseguenze negative sulle

prospettive occupazionali degli italiani (2009).

“Come per i paesi con una più lunga esperienza di immigrazione, anche per l’Italia si confermerebbe la

complementarità dei lavoratori immigrati con ampi segmenti della popolazione nativa in età da lavoro, in

particolare quella più istruita e quella femminile. L’effetto complessivamente positivo sulle prospettive

occupazionali dei lavoratori italiani non si sarebbe associato a conseguenze negative sui livelli retributivi.

Prime evidenze basate sui dati dell’INPS suggeriscono che la retribuzione media dei dipendenti privati

italiani nelle regioni maggiormente interessate dai flussi migratori non sarebbe variata in misura

significativamente diversa da quella media nazionale” (Banca d’Italia, 2009: 17).

Si deve peraltro riconoscere che “lo stesso tipo di lavoratori può entrare o non entrare in

concorrenza con i lavoratori locali, a prescindere dalle loro qualità intrinseche di età, sesso,

qualificazione, atteggiamento verso il lavoro, a seconda della fase congiunturale che si sta

attraversando e a seconda delle caratteristiche locali della domanda e dell’offerta di lavoro”

(Borzaga e Luciano, 1995: 123). E le realtà delle tre province bene illustrano come diversamente

si declini il rapporto fra immigrati e lavoro e come i temi del sotto-inquadramento, del loro

sotto-utilizzo e dell’accentuarsi del loro impiego in professioni e mansioni disagiate siano tratti

trasversali. In altri termini, “la concentrazione degli stranieri nelle occupazioni meno qualificate

è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per generare un impatto specifico della crisi

tale da penalizzare o favorire gli stranieri. Ciò avviene, infatti, se la reazione alla crisi spinge la

gran parte delle imprese a diminuire – o congelare in cassa integrazione – l’investimento in

lavoro qualificato e ad aumentare la quantità di lavoro temporaneo, precario, eventualmente

esternalizzato, gestito su orizzonti brevissimi di tempo, costruito sulla necessità di ridurre

ulteriormente i costi risparmiando direttamente sul costo del lavoro” (Di Monaco, 2010: 33).

D’altra parte, proprio la maggiore disponibilità degli immigrati ad accettare un inserimento

occupazionale dequalificato, nei settori dei lavori delle 5P (precari, pesanti, pericolosi, poco

pagati e penalizzati socialmente), può effettivamente rallentare l’impatto della crisi sui lavoratori

immigrati, fino a che la crisi non comporta riduzione di personale e chiusura proprio di quelle

piccole imprese in cui gli immigrati prevalentemente lavorano. Fenomeno a cui si è assistito

nelle tre province, come nel resto d’Italia a conferma di come i tre casi piemontesi non

rappresentino degli esempi sui generis, ma si inseriscano in dinamiche comuni ad altre realtà

territoriali del paese, evidenziando temi generali su cui intervenire. Ma il perdurare della

congiuntura negativa ha scosso anche le posizioni apparentemente più salde, facendo aumentare

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l’utenza straniera presso gli sportelli. A questo proposito può essere utile riportare il dato dei

Cantieri di lavoro del Comune di Torino. Tale opportunità lavorativa ha conosciuto, per gli

utenti stranieri, il passaggio da 428 domande del 2008 a 1.961 nel 2010. Le domande degli

italiani sono passate dalle 2.501 proposte di candidatura del 2008 alle 3.064 proposte del 201032.

Qui allo sportello abbiamo anche ricevuto un numero di italiani, in crescita rispetto agli anni

scorsi, che si lamentavano del fatto che agli stranieri si offre il lavoro, mentre a loro niente. E’

difficile spiegare che ci sono dei requisiti e che spesso non è una questione di cittadinanza, ma di

condizioni peggiori in cui si vive. Qualche anno fa era diverso: era l’epoca delle Olimpiadi e dei

grandi cantieri, avevamo bisogno di lavoratori per occupazioni davvero terribili, che sono stati

svolti da cittadini immigrati. Allora nessuno si è lamentato. I tempi erano però diversi. Vi erano

più opportunità. Con questo non si vuol negare che anche in passato vi fossero dei casi critici fra

gli italiani, ma le risorse erano maggiori e si poteva accedere a varie forme di aiuto e di

sostegno. Oggi un po’ tutti i servizi di assistenza sono in difficoltà e il bisogno è aumentato

(operatore del settore lavoro, Comune di Torino).

Un’altra paura, che torna con forza alla ribalta, è l’ansia con cui si guarda alle generazioni più

giovani e agli arrivi più recenti. In una società che non ha più bisogno di manodopera per le

industrie pesanti ma di braccia per muovere le carrozzelle, le seconde generazioni e i figli della

transizione economica dell’Europa dell’Est non sono graditi: saranno loro disponibili a

occuparsi di anziani non più autosufficienti? O forse aspireranno a smarcarsi dall’integrazione

subalterna dei genitori e/o di fratelli maggiori e altri parenti? In un periodo di gravi difficoltà

economiche, occuparsi (e preoccuparsi) di altri giovani che non siano quelli con sangue italiano

rappresenta, secondo molti, un onere eccessivo. Sia per i nativi sia per i migranti. Infatti, le

giovani leve non sono apprezzate dagli italiani, per cui rappresentano l’emblema della

concorrenza nell’accesso alle scarse risorse dei sussidi economici. Ma anche per gli stessi

connazionali o parenti. Emerge qui un elemento controintuitivo, ovvero l’indebolimento del

capitale sociale etnico, anche se familiare. Le fragilità e la vulnerabilità socio-economica,

aggravate dalla precarietà giuridica, in cui numerose famiglie si sono venute a trovare, creano

tensioni all’interno delle stesse famiglie e ne irrigidiscono le relazioni. Ci si chiude a riccio su se

stessi. Storie di difficoltà, che talora sfociano nell’incredibile, sono state raccolte e rimandano a

precarietà emotive che in momenti simili possono trasformarsi in barriere insormontabili.

32 Nello specifico, fra gli italiani, per cui le opportunità di lavoro come cantieristi sono suddivise per fascia di età,fra i nati nel decennio 1957-1967 si è registrato l’incremento più significativo, passando da 772 a 1.119 domandenei tre anni considerati.

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3.2 Giovani generazioni: spettatori inermi?

Prima di entrare nel merito del paragrafo, è opportuno chiarire di chi stiamo parlando. La fig. 2

presenta due dati: 1) il peso progressivo che avranno i figli dell’immigrazione e 2) la quota

significativa di giovani stranieri o di origine straniera che vive nella regione. Due dati che

intrecciati fra loro spiegano l’attenzione che da tempo gli economisti dedicano al tema

dell’immigrazione, nell’ottica di ricordare come in questo segmento della popolazione si trovi

una parte significativa del capitale umano del sistema Italia.

Fig. 2. Incidenza per fasce di età della popolazione immigrata in Piemonte. Confronto su due anni.

Fonte: Banca Dati Demografica Evolutiva della Regione Piemonte (BDDE).

Nel tempo l’incidenza degli immigrati è cresciuta in tutte le fasce di età della popolazione, ma è

soprattutto quella che riguarda le fasce giovanili che ci lascia prevedere quale potrà essere il

contributo degli stranieri alla composizione delle forze lavoro della regione. Un contributo

tutt’altro che irrilevante, ma che in quest’ultimo anno è messo duramente alla prova nei suoi

percorsi formativi e lavorativi dall’effetto congiunto delle difficoltà dell’economia (e delle

imprese) e dei messaggi politico-mediatici.

3.2.1 Adolescenti oggi in Italia, adulti domani dove?

Fra gli spettatori della crisi vi sono i figli adolescenti delle famiglie immigrate. Arrivati

soprattutto attraverso il ricongiungimento familiare, e solo in misura minore nati in Italia.

0,0 2,0 4,0 6,0 8,0 10,0 12,0 14,0 16,0 18,0 20,0

Da 0 a 4

Da 5 a 9

Da 10 a 14

Da 15 a 19

Da 20 a 24

Da 25 a 29

Da 30 a 34

Da 35 a 39

Da 40 a 44

Da 45 a 49

Da 50 a 54

2002

2008

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Per loro la crisi può rappresentare un nuovo elemento critico nel percorso di vita. Infatti, per

coloro che hanno attraversato la parabola discendente, passando da figli di emigranti (e quindi in

una situazione di relativo benessere dovuto alle rimesse) a figli di immigrati, per poi scoprirsi

figli di stranieri, la crisi può rappresentare, anche a livello simbolico, un nuovo passo indietro.

Nell’immaginario degli italiani i figli dell’immigrazione sono le avanguardie del processo di

sostituzione che conoscerà il mercato del lavoro: le madri lasceranno il posto di assistente

familiare alle loro giovani figlie e i padri saranno sostituiti nei lavori più pesanti e dequalificati

dai figli, per questo studenti degli istituti professionali o dei corsi di formazione professionale.

Ma, fra i figli dell’immigrazione, a cui è toccata questa sorte, per forza e non per scelta, per

amore (dei genitori) e non per desiderio (proprio), le reazioni possono essere diverse. Si può

decidere di mimetizzarsi, di mettersi dalla parte dei più forti (o della maggioranza) e quindi di

“farsi passare per italiani”, abbandonando e occultando l’impatto delle “3 A” (ascendenza,

aspetto e accento). Certo in alcuni casi è più facile rispetto ad altri. Taluni possono invece

decidere di esasperare le specificità della provenienza, quasi in un atteggiamento di sfida nei

confronti dei genitori e della società in generale. Sono coloro che cercano nell’identificazione

etnica un rifugio e un conforto per poter reagire e inter-agire con il nuovo contesto di vita. Vi

sono poi coloro che finiscono ai margini, incapaci di relazionarsi, da un lato, con la famiglia

ritrovata e dall’altra con i nuovi coetanei. Ultima possibilità è quella, superato lo shock iniziale,

di trovare nelle nuove relazioni forza e fiducia per massimizzare gli effetti di un percorso

migratorio in Italia e di un bagaglio di conoscenze – soprattutto linguistiche – precedenti.

Questa fotografia è stata modificata dalla crisi? L’osservatorio privilegiato per cogliere gli

eventuali cambiamenti è sicuramente quello della scuola. Ad ogni livello. Nelle scuole primarie

sono le difficoltà economiche delle famiglie a riverberarsi negativamente sulla possibilità di

usufruire dei servizi essenziali per una positiva e proficua relazione con la scuola: il bus per

raggiungere la sede della scuola, l’acquisto dei materiali didattici, il pagamento del servizio

mensa, l’accesso alle attività di socializzazione proposte dalle scuole. L’incremento delle

domande di aiuto economico presentate alle scuole (talora indebitamente) e ai servizi sociali

sono un indicatore della sofferenza economica delle famiglie.

L’anno scorso e quest’anno, abbiamo notato una riduzione dei bambini che si fermano a pranzo

nella scuola dell’infanzia, mettendo anche a rischio i posti, perché viene a mancare la frequenza

nel pomeriggio. E’ un indicatore, molti non lavorano, non riescono a pagare la mensa, altri

hanno i padri a casa perché hanno perso il lavoro (insegnante istituto comprensivo, Bra).

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Quest’anno (ndr 2009/10) non abbiamo registrato abbandoni scolastici da parte di studenti

stranieri. C’è da dire che il Comune è molto attento a sostenere le famiglie nell’acquisto dei libri

di testo e dei buoni mensa. Abbiamo registrato un aumento di famiglie che chiedono aiuto alla

scuola per farne domanda, questo si” (insegnante scuola media inferiore di Asti).

Il risvolto negativo di queste difficoltà si toccherà con mano nei prossimi anni con peggiori

performances scolastiche se non addirittura con un incremento degli abbandoni. A livello di

scuola secondaria, sia di I sia di II grado, gli effetti sono più difficili da rilevare. Un dato è certo:

chi è a scuola, vi rimane. Sono pochi i casi, rilevati attraverso le voci dei testimoni privilegiati e

delle famiglie, di ragazzi e ragazze a cui viene chiesto di abbandonare la scuola per dedicarsi ad

un lavoro. Nei fatti, esclusi i pochi casi di rientri in patria, la scuola non si abbandona e la

prospettiva del ritorno assume i contorni di un mito.

Controtendenza, meno iscritti stranieri. I ragazzi delle prime medie attuali non hanno più nessun

ragazzino da alfabetizzare. La settimana scorsa abbiamo consegnato le pagelle e molti genitori ci

hanno annunciato l’intenzione di ritirare i figli per tornare a casa, nel paese d’origine. Si tratta

di genitori qui da molti anni, impiegati nei dintorni, che dicono “finché riusciamo stiamo qua”.

Di fatto però i veri rientri si contano sulle dita di una mano. Alcuni valutavamo l’ipotesi di

lasciare qui i figli, affidandoli a qualcuno, parenti o connazionali. Fra i ragazzi stranieri non

abbiamo notato tensioni e disagi dovuti come effetto di situazioni di deprivazione materiale

grave, quanto piuttosto di sofferenza, di paura di restare soli qua in Italia per proseguire gli

studi, mentre i genitori rientrano in patria (insegnante istituto comprensivo, Bra).

L’investimento in istruzione è considerato dalle famiglie come prezioso, da non mettere a

rischio. E’ per questo che a scuola si continua ad andare. Importante è però valutare le

condizioni in cui questo diritto viene esercitato e gli esiti in termini di profitto. Sul primo

versante, l’effetto annuncio del “Pacchetto sicurezza”, così come i successivi provvedimenti,

hanno creato, in alcuni istituti, un clima di tensione, a cui si sono aggiunte esigenze di una parte

del corpo docente di meglio approfondire la materia, al fine di rispondere in maniera adeguata

alle istanze degli studenti e delle famiglie e attrezzarsi per far fronte ai dubbi di legittimità e ai

timori di quella parte del corpo docente più timoroso e meno competente in materia di

immigrazione, tutela dei diritti dei minori e obblighi scolastici. Tale clima di tensione si è

stemperato nei primi mesi del 2010, lasciando però la scena ai problemi derivanti dalle difficoltà

economiche delle famiglie33. Alle figlie si chiede di prendersi carico della famiglia e dei fratelli,

33 Alcuni insegnanti e operatori dei servizi sociali hanno sottolineato le condizioni di famiglie di allievi che nonpossono permettersi il costo del trasporto pubblico, della mensa, dell’acquisto del minimo corredo scolastico. A

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aumentando gli oneri domestici; ai figli, d’altro canto, si richiedono risultati brillanti nello

studio. Raramente si pretende da parte loro, come già detto, di abbandonare il percorso

formativo o di spostarsi verso la formazione professionale. Quando lo si fa, lo si fa spesso in

maniera incauta. Ecco allora che si abbandona la scuola per andarsi a iscrivere al Centro per

l’Impiego, dove si scopre che andare a scuola sino a 16 anni è un obbligo. Sul secondo versante,

quello dei risultati, ad oggi poco si può dire. Gli esiti si coglieranno in questo anno scolastico,

ma alcuni insegnanti già ipotizzano che il proseguimento della carriera scolastica può diventare

a rischio per le ragazze, il cui peso dell’attività domestica può diventare eccessivo, con ricadute

negative in termini di partecipazione scolastica.

Interessante è lo spaccato della formazione professionale, dove si confermano considerazioni

note: serietà e validità dei percorsi degli studenti di origine straniera, risultati in termini

comparativi migliori di molti coetanei italiani. E’ chiaro che la natura del percorso di

formazione professionale più da vicino si intreccia con quelle che sono le dinamiche del mercato

del lavoro locale: le opportunità di stage e di formazione sul campo, infatti, sono anch’esse

vincolate alla disponibilità di ditte. Situazione più difficile rispetto a quella delle altre due

province considerate nel contesto torinese, dove alla scarsità dell’offerta si registra un

incremento nella selettività dei soggetti da accogliere in tirocinio. Qualche interlocutore ha

rilevato il ritorno di processi di “discriminazione”, che colpiscono gli allievi stranieri a

vantaggio di quelli italiani.

Trattando di giovani generazioni un accenno non può mancare a quei bambini e ragazzi che

hanno sperimentato il rientro in patria. Di loro poco sappiamo, se non per racconti di terzi, sia

testimoni privilegiati sia famiglie intervistate, in particolare per il caso dei rientri in Marocco.

Ma quello che si ricava disegna uno scenario di preoccupazione: si tratta di ragazzi che vivono

un doppio sradicamento. In Italia e in Marocco. Il loro inserimento nelle scuole marocchine è,

nelle parole di due insegnanti marocchine, “disastroso, si sentono come stranieri, non

conoscono la lingua e sono in difficoltà con i programmi”34. Il ritorno in patria è percepito e

considerato da chi è rimasto in Italia come qualcosa “da evitare, da non fare, perché ci sono i

bambini. Diverso è per chi ha i bambini piccoli. Loro si abituano, ma gli altri no” (N. 44. M,

Marocco).

questo si aggiungono, in alcuni casi, gli arretrati dell’affitto o delle rate del mutuo, le utenze, elementi che certo nonconcorrono a definire un clima familiare sereno.34 Incontro organizzato dalle associazioni Meic e Il nostro pianeta a Torino, 23 gennaio 2010.

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3.2.2. Giovani adulti, nuovi migranti

Sono qui da cinque anni. Sono venuta dalla Romania perché lì con una laurea non hai un futuro,

non puoi pensare di migliorare la tua condizione. Siamo in tanti ad essere laureati. Qui mi sono

inserita grazie ad un’amica. Ho cominciato come badante il sabato e la domenica. Così facciamo

tutte, o non so, comunque molte. Ma sapevo che era così e ho accettato. Ho fatto poi un corso di

italiano: per fortuna conoscevo la lingua un po’ e la famiglia dove andavo mi ha preso bene. Così

mi hanno aiutato, si sono informati e mi hanno detto un giorno: “Perché non fai la mediatrice

culturale? Sei brava”. E’ strano perché sento di storie di altre donne con padroni cattivi, che non

lasciano neanche usare l’acqua o il bagno. Io ho trovato una buona famiglia e forse anche per

questo resistevo ai miei genitori che mi dicevano di tornare, perché in Romania si stavano

creando posti di lavoro. Io avevo deciso: la mia vita era ed è l’Italia […] l’anno scorso è venuto

mio fratello, ha vent’anni. Non si è trovato bene: all’inizio sembrava in vacanza. Ha girato un

po’, voleva conoscere la città, andare in giro. Poi dopo un mese gli ho detto: “Se vuoi restare con

me trovati un lavoro”. Lui ha iniziato a cercare da connazionali, ma trovava solo lavori manuali

e lui è viziato: certi lavori non li vuole fare. Ha deciso di tornare in Romania, lì ci sono mamma e

papà che lo mantengono e poi se avrà bisogno magari tornerà […] molti dei nostri giovani sono

così: i loro genitori hanno fatto un po’ di fortuna con i figli grandi all’estero o con loro stessi in

Italia, Austria, Germania e ora stanno bene. Ma anche lì le cose stanno cambiando. E i più

giovani, come mio fratello, avranno una brutta sorpresa: loro pensano di vivere così, senza

pensieri, ma la vita diventa sempre più cara e loro non sono pronti a sacrificarsi (N. 13, F.,

Romania).

L’intervista introduce il tema dei giovani adulti, cresciuti in Italia o in arrivo dall’estero. Fra i

rumeni i termini della questione sono noti: “L’emigrazione ormai costa molto meno di prima;

grazie alle politiche comunitarie sulla libera circolazione i rumeni non hanno più bisogno di

viaggiare tra l’Italia e la Romania. Perfino i migranti irregolari hanno la possibilità di

ritornare a fare visita ai familiari, senza restrizione alcuna. E benché negli ultimi anni in

Romania sia emersa una certa carenza di offerta di lavoro per effetto dell’emigrazione di

massa, la gente continua a coltivare il desiderio di partire” (Angel, 2008: 45). L’investimento è

minimo, sia dal punto di vista finanziario sia da quello psicologico. Ecco allora che si tenta.

Spesso senza un progetto preciso, senza un’idea dei network da attivare né delle speranze da

realizzare.

Anche fra i marocchini vi sono giovani adulti. Questi sembrano dividersi in due categorie. Da un

lato vi sono coloro che si direbbero “ben integrati”, ovvero attrezzati a seguire

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Le orme di coetanei italiani, che faticano a risparmiare e a gestire le risorse economiche in modo

oculato, lasciandosi abbagliare dalle proposte delle finanziarie, senza curarsi dei sacrifici dei

genitori. Loro non si sentono immigrati, si sentono figli della nostra cultura (intervista direttore

banca).

Vi sono poi gli altri.

Come G., 26 anni, laureata, che cerca di aiutare la famiglia a Torino dal 1996. Lei, un fratello, il padre

e la madre sono parte integrante e integrata di San Salvario. Il fratello ha frequentato la scuola

professionale e ora cerca lavoro, lei si è laureata in servizio sociale, ma nel mentre ha aiutato la

famiglia con vari lavori interinali. Adesso è a casa e per sostenere l’economia familiare sta cercando di

aprire un’attività in proprio, una gastronomia, dove lavorerà la madre, con l’aiuto del padre, adesso in

cassa integrazione. La madre non parla bene l’italiano (è qui da circa 14 anni) e non se la sente di

frequentare il corso di formazione professionale (alimentarista), richiesto obbligatoriamente dalla

normativa regionale per chi sia addetto alla produzione e/o vendita di prodotti alimentari. Tocca a G.

allora frequentare il corso35.

Chissà se prima o poi lavorerà in un ambito coerente con i suoi studi. Intanto lei sta cercando di

aiutare la famiglia, e se stessa, a non cadere, dopo tanti anni, nell’irregolarità.

35 La storia è relativa all’intervista n. 6, allegato 1.

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4. RITORNARE, RESISTERE, REAGIRE:

QUALE STRATEGIA SCEGLIERE?

Abdellah e Khalid sono tornati dopo due anni di lavoroin Italia. “Avevamo trovato un posto a Torino inun'azienda di riciclaggio di pneumatici, guadagnavamo25 euro al giorno - ha detto Khalid - a causa della crisiil salario si è dimezzato, abbiamo preferito tornareperché il costo della vita è alto e temevamo di spenderetutti i nostri risparmi”. Con ciò che hanno messo daparte con il lavoro in Europa alcuni aprono piccoleattività come autolavaggi, piccoli caffè o centritelefonici, una possibilità che hanno solo i più anzianicon più anni di lavoro alle spalle e qualche risparmio inpiù.

(http://www.italianainmarocco.com)

Già la crisi degli anni Settanta lo aveva evidenziato: in momenti di difficoltà economica non si

torna indietro, anzi ci si aggrappa il più possibile e con maggiore tenacia a quello che si è

“conquistato”, rendendolo più solido con l’arrivo della famiglia. Per diversi motivi. Innanzitutto

perché rientrare non è sempre facile: gli strumenti di controllo dell’immigrazione, in particolare

di quella irregolare, riducono la probabilità che gli immigrati lascino i loro paesi di inserimento

per poi tentare un ritorno difficile, memori di un passato non troppo lontano né dimenticato.

Anzi, in genere, come l’esperienza del rapporto fra la Repubblica Federale Tedesca e i Turchi ha

dimostrato, i processi di radicamento si irrobustiscono. Si ritorna a casa da quei paesi dove si

permette una mobilità senza restrizioni o in virtù di uno statuto particolare. E’ il caso dei

Polacchi in Gran Bretagna, per i quali la situazione economica della madrepatria in netto

miglioramento ha favorito ritorni che potrebbero anche non essere definitivi.

La Polonia e la Slovacchia saranno le economie Ue che cresceranno più rapidamente nel 2010. Stando

alle stime della Commissione, il Pil dei due paesi dovrebbe aumentare rispettivamente dell’1,8 e 1,9 per

cento, ben oltre la media europea dello 0,7 per cento. “Il sistema bancario polacco è uscito indenne dalla

crisi, contribuendo a sostenere i consumi privati” spiega Mark Allen, responsabile dell’ufficio del Fmi in

Polonia. Secondo Allen le esportazioni e i consumi potrebbero spingere l’aumento del Pil oltre il 2 per

cento. I Polacchi dovranno però affrontare i problemi dovuti a un deficit che dovrebbe raggiungere il 7,5

per cento del Pil e a una disoccupazione che potrebbe passare dall’attuale 7,5 al 9,9 per cento della

popolazione attiva.

Fonte: www.presseurop.eu.

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Altri paesi hanno varato delle misure per favorire/incentivare il ritorno, ad esempio la

Repubblica Ceca e la Spagna. Ma il rientro in patria sembra una strada poco praticata.

Tab. 1. Politiche di ingresso. Recenti modificazioni.

Cambiamenti nelle politiche di ingresso. Paesi

Revisione delle cifre per le quote diingresso.

Australia, Canada, Italia, Sud Corea, Spagna.

Limitazioni alla possibilità di conversionee rinnovo del permesso di soggiorno.

Canada, Irlanda, Italia, Malesia, Spagna, Gran Bretagna, Usa

Programmi di rientro. Giappone, Spagna, Repubblica Ceca

Test per l’ingresso sul mercato del lavoropiù rigidi / revisione delle liste didisponibilità.

Nuova Zelanda, Australia, Canada, Irlanda, Italia, Spagna Svezia,Gran Bretagna, USA

Fonte: Ocse, 2009.

Le difficoltà incontrate nei paesi di emigrazione non sempre sono superiori a quelle che si

dovrebbero fronteggiare in patria. Ad esempio, la situazione economica della Romania appare

pesantemente colpita dalla recessione. La gravità della situazione è confermata dal varo di un

piano di austerità del Governo, sostenuto da un prestito del Fondo Monetario Internazionale.

“Non ho più un lavoro”. Questo è il grido di disperazione di centinaia di migliaia di romeni che sono già

stati tragicamente colpiti dalla crisi economica. E purtroppo è solo l’inizio, mentre per la fine dell’anno

quasi un milione di persone potrebbero trovarsi disoccupate. In molte città ci sono fabbriche che

chiudono e persone mandate a casa da un giorno all'altro con la stessa spiegazione: “C'è la crisi”. E

nient’altro.

L’incertezza e la paura della disoccupazione incidono inevitabilmente sull'economia reale. Chi è in cassa

integrazione cambia le proprie abitudini di vita: compra alimenti più economici, rinuncia a una nuova TV

sperando che la vecchia funzioni ancora per un po’, ci pensa due volte a mandare il figlio all’università,

guarda con disperazione al mutuo da pagare. La situazione è drammatica quando marito e moglie

lavorano in una stessa fabbrica che all'improvviso decide di chiudere. Questo accade frequentemente

nelle zone mono-industriali come Arges, Mioveni - dove c’è la Dacia - oppure Galati dove c’è il cuore

della siderurgia. Non sta meglio nemmeno Timis, la meta preferita dagli imprenditori italiani. Se fino a

poco tempo fa era una contea a piena occupazione e gli imprenditori importavano manodopera da altre

città, ora interi paesi sono disoccupati. In alcuni negozi alimentari, le commesse scrivono in un quaderno

i beni che “vendono”, ma i soldi li incasseranno solo quando gli operai riceveranno la cassa integrazione.

Secondo il quotidiano “Evenimentul Zilei”, a Timisoara alcuni genitori mandano i figli fra i 3 e i 9 anni a

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un dopo-scuola dove imparano “tecniche per abituarsi e reagire agli effetti della crisi mondiale”: per due

ore settimanali i bambini imparano cosa sono i soldi e il loro valore, e soprattutto come spenderli, perché

“il cibo è più importante dei giocattoli”.

Fonte: http://www.balcanicaucaso.org

Viceversa, per quanto riguarda il Marocco la situazione economica sembra più favorevole, come

emerge dalla tabella n. 2, in cui si mettono a confronto alcuni indicatori economici.

Tab. 2. Situazione economica di Romania e Marocco: confronto su alcuni indicatori. Anno 2009.

Romania Indicatore Marocco

Riduzione del 7% nel 2009 PilCrescita del 5% nel 2009, sostenuto da unavigorosa domanda interna e da misuregovernative.Investimenti pubblici per un totale di 135miliardi di DH (circa 1,2 miliardi di euro).Assistenza del Fondo Monetario

Internazionale per l’implementazione diun programma di economia politica chefavorisca riforme nel campo dellagovernance fiscale

Misure a sostegnodell’economia Allocazione di 11 miliardi di euro per lo

sviluppo infrastrutturale e sociale.

-----

Creazione di un’agenziaper gli investimenti (perattrarre impresedall’estero)

Potenziamento del fondo Hassan al fine diagevolare la creazione di nuove imprese,ovvero sovvenzione a fondo perdutosull’acquisizione della strutturaimmobiliare strumentale, terreno efabbricati relativi.

1) Rallentamento nel settore dell’ediliziaprivata;2) Riduzione delle rimesse.

Rischi e timori riduzione dell’arrivo divaluta pregiata

1) Caduta del turismo;2) Riduzione delle rimesse.

Fonte: sito web del governo del Marocco.

Lo sguardo ai paesi di provenienza richiama il tema delle rimesse, un indicatore utile per leggere

il legame che l’immigrato mantiene con il paese d’origine. Due sono le prospettive attraverso

cui analizzare tale rapporto: quella micro-economica (effetto sui familiari e sulla loro capacità di

spesa) e quella macroeconomica (effetto sulle bilance dei pagamenti dei paesi riceventi).

E’ quest’ultimo aspetto che di recente ha assunto maggiore rilevanza, soprattutto in un momento

di difficoltà economica, in cui il rischio è una contrazione, se non addirittura una brusca frenata,

di un flusso monetario significativo.

Ecco allora che diversi paesi “esportatori di manodopera”36 si sono affrettati a varare norme di

agevolazione per l’invio di rimesse da parte dei propri cittadini all’estero, come nel caso del

36 Fra le altre comunità, si cita il caso delle Filippine, per il cui approfondimento si rimanda a Zosa e Orbeta, 2009.

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Marocco che ha sviluppato delle politiche a favore dei suoi connazionali residenti all’estero

(MRE) al fine di implementarne l’invio delle rimesse. I risultati sembrano essere stati positivi.

Tab. 4. Misure dedicate ai MRE varate dal governo marocchino nel corso del 2009.

Finalità Misure

Sostegno agli investimenti

Sovvenzione statale per il 10% del progetto di investimento Credito bancario per il 65% del progetto d’investimento.

Condizioni:- importo tra 1 e 5 milioni di DH- apporto fondi propri e in valuta >25%- necessaria istruttoria bancaria.

Sostegno all’accesso ai mutui Estensione della garanzia “Damane Assakane”

Riduzione del costo dei trasferimenti indenaro

Commissione di trasferimento gratuita tramite banchemarocchine

Rinegoziazione delle convenzioni fra banche marocchine eistituti di money transfert

Fonte: Ministero della Comunità Marocchina Residente all’Estero, International Colloquium, 12-13 ottobre 2009,Rabat.

Fig. 2. Piemonte. Rimesse degli immigrati verso l’estero. Confronto fra le tre province.

Fonte: elaborazioni su dati della Banca d'Italia.

Le rimesse, anche in un anno di crisi, sono aumentate (Fig. 2) in termini assoluti (oltre 298

milioni di euro in Piemonte, su un totale nazionale di 6,75 miliardi di euro), con un tasso di

crescita tendenziale rimasto sostanzialmente invariato nel 2008 e 2009, sebbene in leggero calo

rispetto al triennio precedente.

-

50.000

100.000

150.000

200.000

250.000

300.000

350.000

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Asti Cuneo Torino Piemonte

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Il denaro inviato è al tempo stesso simbolo di un progetto migratorio riuscito, di un vincolo genitoriale e

di un rimborso spese per chi è rimasto a prendersi cura della prole. Una simbologia che se nel caso delle

donne rumene assume i risvolti più pesanti in termini psicologici (talvolta l’affetto dei figli appare

persino vincolato e condizionato dal volume delle rimesse), per molti uomini provenienti sia dal Nord sia

dal Centro Africa prende invece i contorni di un dovere filiale. Le modalità dell’invio sono varie e sulla

scena si incontrano molti attori, che contribuiscono al flusso di denaro all’interno di circuiti

transnazionali sempre più articolati. Innanzitutto, vi sono singoli, che direttamente spostano denaro

attraverso i loro viaggi.

Vi sono poi le agenzie specializzate, con le loro varie diramazioni, in grado di garantire talora un servizio

molto capillare: elemento su cui le banche non possono competere. Infatti, sebbene anche gli istituti di

credito abbiano sviluppato negli ultimi tempi dei prodotti dedicati a questo servizio, ammettono di non

riuscire a soddisfare le varie esigenze poste dalle numerose nazionalità: occorre un accordo, un

protocollo di intesa, con banche nei paesi d’origine, e anche in questo caso non si garantisce la copertura

totale del territorio.

Nel tempo si è articolato anche il corpus normativo di riferimento, per favorire un maggiore controllo del

denaro, delle sue fonti e dei suoi canali di trasferimento. In particolare, l’articolo 17 della L. 94/2009,

ovvero il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, che impone la richiesta del permesso di soggiorno a tutte le

agenzie che fanno operazioni di money transfer, sembra aver favorito, come ricorda un’operatrice

intervistata “l’utilizzo di canali di invio di denaro paralleli. Non vi è solo un ritorno all’invio di denaro

attraverso connazionali, ma soprattutto attraverso agenzie nate ad hoc, che applicano commissioni

esorbitanti”. Alcuni, pur in difficoltà, non smettono di mandare soldi a casa: il prezzo da pagare per il

crollo dell’immagine dell’emigrante di successo sembra troppo alto. Come fare? Richiesta di prestiti ad

amici, connazionali e, quando si è alle strette, si arriva agli usurai. E’ questo l’allarme lanciato da alcuni

operatori di associazioni etniche.

Gli elementi sopra-citati contribuiscono a irrobustire (o indebolire) le progettualità di eventuali

rientri. Si tratta, come vedremo, soprattutto di riflessioni, che prendono forma, all’interno di un

contesto giuridico inasprito dalle recenti normative e dove “le forze neoconservatrici si sono

fatte imprenditrici della paura, inserendo in un solo tableau ideologico la sicurezza nelle città,

l’immigrazione clandestina, la «minaccia» islamica, l’altezza dei minareti, la concorrenza degli

immigrati sul lavoro, un preteso ordine sociale attribuito alla volontà delle maggioranze

silenziose” (Berselli, 2010: 7).

Dalle storie di vita sulle strategie delle famiglie immigrate di fronte a processi di mobilità

sociale discendente si possono individuare tre strategie: 1) il ritorno o una nuova migrazione; 2)

la ridefinizione del proprio progetto di vita, sia ri-orientando il proprio inserimento lavorativo

verso altri settori (ovvero principalmente verso l’agricoltura e il settore domestico e

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dell’assistenza) sia passando all’attività in proprio e 3) il rinvio delle speranze di mobilità

sociale in attesa di tempi migliori, scommettendo sull’istruzione dei figli (Gans, 2009).

Il ritorno al paese d’origine è forse la conseguenza più radicale della crisi economica su ogni

processo migratorio, ma rimane sullo sfondo rispetto ai tentativi di andare avanti e di rimandare

ogni sogno di miglioramento sociale alla generazione successiva. In questo senso,

l’investimento in istruzione, ovvero la scelta di sostenere i percorsi scolastici dei figli, senza

interruzioni o brusche virate, sembra comportamento diffuso. I più dotati di capitale economico

e di un “profilo giuridico inattaccabile” si transnazionalizzano, cercando altre strade, portino

esse ad un investimento imprenditoriale in patria o verso una nuova migrazione, dove giocare la

carta dell’esperienza italiana, e soprattutto quella della cittadinanza italiana, e quindi europea.

4.1 Il ritorno, un mito intramontabile

Chi è arrivato in Europa, ha superato le difficoltà dell’inserimento, ha realizzato una parte del

proprio progetto migratorio attraverso un lavoro, una casa, il ricongiungimento famigliare,

preferisce resistere e cercare di reagire. Sullo sfondo, certo, rimane, come extrema ratio, l’idea

del ritorno, del rifugio in una madrepatria che si pensa possa garantire una vita a costi più bassi e

dove, soprattutto, non ci si sente ospite:

Lì almeno sono a casa mia. Nessuno mi può dire che rubo un posto all’asilo, una casa popolare a

qualcun altro. Lì siamo tutti marocchini, anche noi che siamo andati via per un po’ di tempo,

restiamo sempre marocchini, restiamo sempre di quella terra (N. 12, M., Marocco).

Eppure il progetto non diventa realtà: il brusio, il rumore di fondo che si percepisce intorno

all’idea del ritorno raramente si traduce in azioni concrete. E questo appare un dato importante

che, in linea con quanto le esperienze di altri periodi di crisi economica, i dati raccolti e le

percezioni degli operatori evidenziano. Vale a dire che il costo del rientro è forse più alto di

quello del restare. E allora se la decisione è quella di restare in Europa, in Italia, la domanda

diventa come “sopravvivere” e reagire ad una situazione di progressivo impoverimento e di

difficoltà occupazionale.

Le informazioni sul rientro in patria sono contraddittorie. Sembra si tratti più di un’idea che non

di pianificazioni e realizzazioni precise. Anzitutto è bene precisare che di ritorni si parla, si

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vocifera (e talora si agisce) soprattutto fra gli immigrati maghrebini. Nel caso dei rumeni, la

possibilità di muoversi liberamente forse allontana l’idea di un rientro definitivo.

Le storie raccolte direttamente o attraverso la mediazione di conoscenti/parenti raccontano di

condizioni lavorative peggiori di quelle italiane, di costi della vita ormai simili a quelli del paese

in cui si è emigrati, da affrontare però con stipendi più bassi e con un ancor più debole potere

d’acquisto della valuta locale.

L’anno scorso tanti sono tornati indietro poi sono tornati qua perché in Romania la situazione è

peggiorata tantissimo. Gli scorsi anni quando andavamo d’estate vedevamo sempre dei piccoli

miglioramenti, nell’ultimo anno invece abbiamo visto che le cose sono sempre più difficili. Le

persone vivono male, soprattutto in città. Gli stipendi sono sempre più bassi e la vita è troppo

cara, i prezzi sono quasi come qua. Anche io lo scorso anno avevo deciso di fermarmi lì, anche

per poter seguire meglio le mie figlie che sono adolescenti e che ho lasciato in Romania per farle

studiare. Avevo trovato un lavoro in un locale tipo ristorante, lavoravo dal mattino alle 7 fino

alla sera, dovevo fare le pulizie nei bagni fino a cucinare, come una serva, e queste cose non si

fanno. La paga era niente, un lavoro da fame. Dopo qualche mese sono tornata da mia sorella in

Italia, che aveva già fatto un progetto per me: mi sono iscritta al corso OSS e al corso per

prendere la patente (N. 30, F., Romania).

Se fra gli adulti rumeni, ovvero la prima generazione di migranti la strategia del ritorno è di fatto

assente dall’orizzonte delle proposte valutabili per affrontare il periodo di sofferenza economica

e sociale, fra i marocchini la situazione sembra più articolata.

Dai colloqui realizzati e dalle informazioni raccolte da operatori pubblici e del privato sociale,

dalle organizzazioni di categoria, così come da membri delle associazioni etnico-culturali, si

possono distinguere quattro gruppi.

Tab. 3. Tipologie di strategie degli stranieri di fronte all’idea di ritorno.

Ritorno Relazioni conmadrepatria Relazione con Italia

Radicati NO SCARSE FORTE

Indecisi FORSE STABILI DEBOLE

PendolariSI’, DI PARTE DELLA

FAMIGLIASTABILI PRECARIA

Rientrati SI ASSENTI FUNZIONALE

Migranti NO ASSENTI FUNZIONALE

Fonte: elaborazione su dati raccolti nella ricerca.

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I radicati sono coloro che al ritorno non pensano, e non hanno mai pensato. In questo gruppo

rientrano le famiglie che, per ora, navigano tranquillamente nelle acque tumultuose della crisi.

Mia moglie lavora in una casa di cura per anziani e io in una fabbrica vicino Chivasso. Ho fatto

un po’ di cassa integrazione, ma adesso abbiamo ripreso a lavorare […] non ci lamentiamo

perché conosciamo tante famiglie dove lui ha perso il lavoro e lei è a casa con due o tre bambini.

E’ difficile per tutti qui, adesso anche giù lo sanno perché sono tornati molti dalla Spagna. Ma per

chi non è qui non sa cosa vuol dire vivere in un altro paese quando i cittadini perdono il lavoro.

Da me qualcuno lo dice: voi avete il lavoro e ci sono degli italiani che stanno a casa. Io cerco di

non rispondere […] è più dura per i miei figli, anche loro a scuola sentono questi discorsi e io

dico loro che noi siamo italiani, abbiamo la cittadinanza e il diritto di stare qui, con il lavoro o

senza (N. 14, M., Marocco).

Sono famiglie dove un impiego continua ad esserci, dove il marito o entrambi i coniugi

lavorano, dove il mutuo della casa si riesce a pagarlo e non si è ceduto alle lusinghe delle

finanziarie. Certo, magari si riducono alcune spese, ma la condizione non è di fragilità, né

economica né giuridica.

In questo gruppo però rientrano anche alcuni intervistati che non sono al riparo dal rischio di

perdita del lavoro o da un impoverimento progressivo. Si tratta forse di fatalisti? Probabilmente

di realisti, soggetti temprati da un difficile inserimento nella società italiana, il cui costo in un

eventuale tentativo di rientro potrebbe essere troppo alto.

Fra i costi vi è anche quello del presente e del futuro dei figli, soprattutto se già inseriti nelle

scuole italiane. Come hanno più volte ribadito insegnanti e operatori dei servizi sociali, la

preoccupazione di chi sta meditando un eventuale rientro è forte per i figli che, nati in Italia o

per maggior parte della loro vita qui cresciuti, sarebbero ”costretti” a gestire una migrazione, in

un eventuale rientro nella patria dei genitori.

Per chi fa parte di questo gruppo, l’orizzonte di riferimento è ormai l’Italia.

Da noi vengono molte donne a dirci che sono senza soldi, che il marito ha perso il lavoro, che

non riescono a pagare il mutuo. Cercano lavoro, non vogliono tornare indietro. Molte hanno i

bambini a scuola, altre non si abituerebbero più a vivere in Marocco. Inoltre, se non sei qui hai

problemi a rinnovare il permesso di soggiorno, perdi anche la possibilità di avere dei sussidi di

essere aiutata (operatore associazione interculturale, Torino).

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Alcuni studi sulla condizione delle donne turche in ritorno in patria dalla Germania evidenziano

come il loro ritorno a casa metta “in moto processi acquisitivi di beni di consumo durevole e

innalzamenti di status appariscente anche se spesso effimeri, con effetti di attrito e di

conflittualità con la comunità di origine: è difficile che i loro punti di vista si diffondano

praticamente pacificamente senza incontrare reazioni” (Day e Icduygu, cit. in Gozzini, 2005:

97). Tale dato sembra lontano dalla realtà delle donne marocchine incontrate. Piuttosto il

contrario, secondo quanto emerge da alcune operatrici sociali marocchine che hanno sottolineato

le difficoltà che le donne marocchine ritornate in patria incontrano nell’interagire con una

società più avanzata di quanto loro ricordassero37. In questo caso, sarebbero le emigrate di

ritorno ad essere le custodi di antiche tradizioni, comportamenti e valori in una società dove

atteggiamenti più progressisti vanno prendendo piede.

Una seconda categoria è quella degli indecisi, ovvero uomini e donne che hanno reti sociali

precarie, un reddito familiare ridotto da mesi di disoccupazione, difficoltà crescenti nel pagare

utenze e affitti, nel gestire la quotidianità domestica. Non si è solo in dubbio sul partire, ma

anche su chi debba partire e su dove andare. In questa categoria rientrano sia coloro che pensano

ad un rientro di parte della famiglia, quella che si considera più debole nell’interazione con il

mercato del lavoro, ovvero le donne e i minori, sia coloro che pensano ad un rientro di tutta la

famiglia. In questi progetti, la condizione delle donne, e la loro opinione, ha un peso

significativo.

Per molte donne del mio paese è difficile lavorare adesso. Sono qui da anni, ma i mariti le hanno

confinate in casa, ad occuparsi della famiglia, dei figli. Adesso sono forse le più fragili di tutte,

perché non sanno come fare per chiedere aiuto, per andare ai servizi. Forse questo sarà il

momento in cui si daranno da fare e impareranno ad essere autonome. La colpa è di quei mariti

che hanno pensato solo a lavorare, a guadagnare e non al bene della famiglia. Io lo dico sempre

alle donne che incontro: dovete imparare la lingua, andare a scuola, così potete aiutare i vostri

figli e anche voi stesse. Alcune mi dicono che ho ragione, altre che non hanno bisogno perché i

figli o il marito parlano l’italiano. Io cerco di far capire loro che così non va bene, devono

diventare autonome (N. 16, F., Marocco).

Un’allieva al corso mi ha detto che il marito vuole mandarla indietro, ma lei non vuole. Lei ha

paura che poi il marito la lascerà a casa e lui tornerà in Italia. La paura è che poi non manderà

più soldi a casa, non si preoccuperà più di lei e del bambino. [Come è finita?] Da luglio, quando

37 Cfr. relazioni presentate durante l’incontro organizzato dalle associazioni Meic e Il nostro pianeta a Torino, 23gennaio 2010.

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abbiamo avuto l’ultima lezione ad oggi [22 settembre] non l’abbiamo ancora vista. Al cellulare

non risponde nessuno. La nostra paura è che sia partita. Sappiamo di altri casi di donne

accompagnate in Marocco e lasciate lì con i figli: i mariti ritornano indietro e tornano a vivere

insieme ad altri connazionali, così hanno meno spese. Un po’ come succedeva una volta: si

ritrovano fra uomini, con un posto letto e cercano lavoro. Alcuni vanno anche in altre regioni.

Molti sono andati questa estate a lavorare nei campi nel Sud, ma di questo sappiamo poco […]

C’è molta resistenza a parlare da parte delle donne […] sì, anche qui dove siamo tutte donne,

tutte maghrebine. C’è paura di farsi vedere in difficoltà, addirittura dagli stessi parenti. Una

donna mi ha detto la scorsa settimana “mio marito ha perso il lavoro e io non so come fare, non

abbiamo molti soldi. Dove posso andare? Per favore non dire niente a nessuno qui, perché c’è

mia cognata e mio marito non vuole dire niente alla sua famiglia”. E’ una cosa nuova per la

nostra cultura. La famiglia, l’aiuto della famiglia è importante, ma adesso l’immigrazione, la

crisi, la paura ci ha fatto cambiare (N. 19, F., Marocco).

Se molti sono ancora indecisi sul da farsi, vi sono coloro che hanno scelto una soluzione

intermedia. Sono i pendolari, ovvero coloro con un permesso di soggiorno in regola o in corso

di rinnovo che fanno la spola fra l’Italia e il Marocco, nella speranza di ridurre i costi del

mantenimento e, allo stesso tempo, di non rinunciare del tutto a delle opportunità italiane. Il

rischio però è che talune opportunità si possano cogliere solo se presenti sul territorio, come

l’accesso alla “formazione per riqualificazione” o a “sussidi socio-assistenziali”. Se in un primo

tempo si poteva pensare di affidare almeno i minori alle cure di nonni e altri parenti per avere

maggiore possibilità di movimento e di libertà nella ricerca del lavoro, la richiesta, a partire da

gennaio 2010, della presenza degli infra quattordicenni al momento del rinnovo del permesso di

soggiorno dei genitori ha scompigliato i piani di molti.

Ci siamo accorti che alcune famiglie avevano mandato i figli a casa perché al momento del

rinnovo del permesso di soggiorno, in cui dovevano presentarsi con i figli in Questura, i minori

effettivamente non c’erano. Alcune famiglie non avevano pensato a questo problema, che

comporta poi la scomparsa dei minori dal permesso di soggiorno [i minori vengono cancellati dal

Pds dei genitori, ndr] e quindi la necessità di dover ricominciare le pratiche per il

ricongiungimento famigliare dei figli (operatrice sportello informativo per immigrati).

Tra i pendolari rientrano anche alcuni casi di famiglie rumene che, potendo contare sulla libertà

di circolazione tra Italia e Romania, in un momento di crisi o di perdita del lavoro hanno deciso

di tentare di tornare per un periodo nel proprio paese, in attesa di cambiamenti o nuove

opportunità. Secondo le persone intervistate, molte sono già tornate indietro dopo essersi

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scontrate con la situazione locale ancora più difficile in patria; altre hanno optato per una

permanenza in Romania da parte di marito e figli – a causa della difficoltà maggiore degli

uomini a trovare nuove opportunità occupazionali – e un rientro solo della moglie, facilitato

dalle offerte nel settore dell’assistenza familiare.

Da ultimo, vi è chi va via dall’Italia definitivamente. Si tratta di due gruppi, che rappresentano le

due facce di ogni processo migratorio. Da un lato i rientrati, ovvero i migranti di ritorno, coloro

che hanno coltivato più di altri il sogno del rientro in patria e approfittano del momento difficile

per realizzarlo, anche correndo il rischio di ritornare da perdenti.

Mio fratello è tornato in Marocco qualche mese fa. E’ sposato, hanno due bambini, uno di cinque

e uno di tre anni. Lo capisco: lui e la moglie non si sono mai abituati a vivere a Torino e quando

ha perso il lavoro, lavorava come operaio in una fabbrica vicino a Cuneo, non è stato capace di

trovarsi un altro lavoro e anche la moglie non poteva aiutarlo con due bambini. Doveva pagare

l’affitto, le bollette, mantenere la moglie, i bambini e qui tutto costa di più e poi la famiglia può

fare poco, perché siamo tutti un po’ nei guai. Non possiamo tanto aiutarci fra di noi, perché

abbiamo tutti poco. Io gli ho detto di chiedere aiuto, a Torino ci sono tante associazioni che

aiutano gli immigrati. [E la moschea?]… beh, c’è un po’ di vergogna a farsi vedere poveri,

soprattutto quando ci sono persone dello stesso paese. Allora si va a pregare il venerdì e basta

[…] hanno deciso di tornare a casa, lì ci sono altri fratelli, i genitori che possono aiutarli. Ma

per loro è facile, i bambini non vanno a scuola, vivevano in una casa in affitto, non hanno il

mutuo da pagare, non avevano ancora deciso di stare tutta la vita in Italia come tanti altri di noi.

Noi sappiamo che la nostra vita è qui: ci diciamo che torneremo, ma in fondo non ci crediamo. Se

andiamo via di qua, sarà difficile tornare: il permesso di soggiorno quando ce l’hai non lo lasci

più scappare: è troppo difficile vivere senza, vivere da fantasma, senza dignità (N. 20, M.,

Marocco).

Vi sono poi gli altri, i migranti, ovvero coloro che decidono di scommettere su una nuova

migrazione e lasciano l’Italia per altri paesi europei: con la carta di soggiorno di lungo periodo o

con la cittadinanza italiana, un lavoro, le rate del mutuo regolarmente pagate. Questi ultimi

volgono lo sguardo altrove: Francia, Belgio, Olanda. Paesi dove vi sono reti parentali o di

connazionali, dove il mercato del lavoro magari non è poi così diverso da quello italiano, ma il

sistema di welfare è percepito (sulla base di racconti di parenti e connazionali) come più

garantista, con più opportunità in tempi duri per uomini, donne e minori. Un fenomeno che è

confermato dalle organizzazioni sindacali che si occupano di stranieri ma di cui non si hanno

ancora dati certi: le stime sono probabilmente in difetto e sicuramente sono destinate ad

aumentare considerevolmente nei prossimi mesi. Se non sono ancora disponibili i numeri

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ufficiali, non mancano però le storie personali. Racconti che riguardano quasi sempre giovani e

adulti e che invitano ad una riflessione: quando finalmente questa crisi lascerà spazio ad una

ripresa dell’economia, quale sarà il livello di impoverimento dell’offerta di lavoro straniera

presente nel nostro Paese?

Tra quelli che conosciamo sono molte le famiglie che stanno pensando di tornare in Marocco ma

per ora solo una l’ha davvero fatto. E’ una scelta difficile, la madre e i 2 figli sono andati per le

vacanze estive e non sono più tornati. I figli sono nati in Italia, sono sempre andati a scuola qui,

chissà che fatica per loro andare a scuola là, parlano poco la lingua. Mohammed (il marito) ha

perso il lavoro e ha lasciato il Paese crediamo per andare da conoscenti in Francia ma non

sappiamo più nulla. Non sappiamo più niente di loro, non credo si siano sistemati tanto bene

perché altrimenti ci avrebbero detto qualcosa (N. 45, F., Marocco).

Ho 32 anni, sono diplomato perito chimico in Marocco e sono in Italia da 4 anni. Ho sempre fatto

il muratore ma senza essere messo in regola, con la crisi si è allontanata credo per sempre la

possibilità. Lavoravo per 50 euro al giorno, adesso per 30 e solo 2 o 3 giorni alla settimana. Se

non cambia qualcosa il prossimo anno provo ad andare in Francia, ho dei conoscenti, mi dicono

che la situazione non è tanto migliore ma riescono a sopravvivere, io qui faccio davvero fatica

(N. 46, M., Marocco).

Al di là della dimensione effettiva del fenomeno, si è di fronte a perdite di capitale umano per il

sistema Italia. E secondo le lezioni classiche della sociologia delle migrazioni, si perde quel

capitale umano meglio attrezzato: che conosce l’italiano, si è inserito nelle maglie del tessuto

sociale del Paese, ha acquisito (o recuperato) competenze e professionalità.

S., insegnante in Marocco e mediatrice culturale e Operatrice Socio Sanitaria in Italia, e suo

marito M., imprenditore con doppia cittadinanza, hanno deciso di trasferirsi in Francia a seguito

della rottura di M. con il proprio socio in affari. S. e M. hanno un figlio con problemi di

handicap e un fratello gravemente malato da mantenere e fare curare. In Francia si aspettano di

trovare nel sistema di welfare delle risposte più efficaci rispetto ai problemi di salute che devono

affrontare, e soprattutto un clima sociale più sereno e accogliente. Durante il nostro incontro

raccontano con entusiasmo i primi anni di inserimento sociale, caratterizzati da incontri

significativi con italiani e altri stranieri, da partecipazione civica e ottimismo per il futuro, e al

contempo lamentano il cambiamento di atteggiamento delle persone, sempre più chiuse e

diffidenti, e di peggioramento dei servizi.

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Quando siamo arrivati ci siamo trovati benissimo. Tanti ci hanno aiutato, ci siamo fatti tanti

amici… Adesso la mentalità è schifosa, pensano che gli stranieri sono tutti criminali. La gente si

è fatta influenzare, non so perché. Questo Stato ha creato una legge di discriminazione. Altri no.

Questo Stato è razzista. Io non ho paura di dire... Adesso c’è diffidenza, le persone sono chiuse.

Vai al mercato, per strada, con i vicini e senti che hanno paura, non ti guardano negli occhi, non

si avvicinano… Mio marito ha la cittadinanza italiana. Adesso che ha perso lavoro va a cercare

in Francia. Stiamo pensando di trasferirci. Con mio figlio e mio fratello abbiamo bisogno di tanto

sostegno. Io non posso più lavorare perché devo seguire tutti e due per i problemi di salute.

Avevo un contratto a tempo indeterminato, ma dovevo stare troppe volte a casa per seguire le

operazioni del bambino, le visite di mio fratello. Alla fine al lavoro mi hanno fatto capire che non

erano contenti, che creavo problemi e io alla fine mi sono licenziata. In Francia anche c’è crisi

ma c’è un welfare diverso e almeno ti senti più accettato (N. 23, F., Marocco).

Tratto comune alle diverse categorie è un nuovo rapporto con il più antico dei legami

transnazionali, ovvero quello delle rimesse.

4.2 Le strategie per sopravvivere

A. e la moglie, 37 e 27 anni, si sono conosciuti e sposati in Italia qualche anno fa. Entrambi di famiglie

benestanti in Marocco, lei laureata in Giurisprudenza e lui quasi laureato in Matematica, hanno deciso

di partire verso l’Italia in momenti differenti, ma accomunati dall’idea di trovare buone opportunità di

lavoro coerenti con i propri studi e da uno spirito di avventura verso la possibilità di inventarsi un futuro

diverso da quello già previsto per loro in Marocco. Seguendo il classico percorso dalla precarietà a una

relativa stabilità, A. è vissuto in varie città italiane, ha fatto qualsiasi tipo di lavoro - sia in nero sia

come interinale sia come lavoratore a progetto - nell’edilizia, nella meccanica, ma senza ancora

approdare a un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Si è stabilito in una media città della

provincia per motivi casuali legati a reti amicali e opportunità di lavoro. Lì ha conosciuto M., che aveva

invece raggiunto la sorella, sognava di fare valere i propri studi nel lavoro e si è trovata invece a fare la

badante. Dal luglio dello scorso anno lui lavora come operaio in una piccola azienda alimentare con un

contratto a progetto di un anno, lei tiene compagnia a una signora anziana per 7 ore al giorno per 100

euro a settimana. Vengono fuori da un periodo difficile legato alle conseguenze della crisi: A. è stato

licenziato nel 2008 da una media azienda dell’indotto dell’auto che, a seguito delle prime riduzioni di

commesse, ha lasciato a casa i lavoratori con contratti temporanei. E’ rimasto disoccupato per un anno,

di cui quattro mesi senza alcuna indennità e con il mutuo della casa da pagare. Lei cerca lavoro e

accetta la condizione attuale di “quasi sfruttamento”, lui si arrangia con alcuni lavoretti in nero,

pensando eventualmente di aprire una partita iva per rinnovare il permesso di soggiorno. Fino a quando

esce fuori una nuova occasione di lavoro grazie al contatto con un amico italiano, e la vita bene o male

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riparte. Molto attivi nell’associazionismo, inseriti in solide reti di amici italiani e marocchini, nel

periodo di maggiore difficoltà riescono a fare affidamento da una parte sull’aiuto delle persone vicine -

che ogni tanto portano la spesa, fanno un invito a cena, prestano soldi per pagare le bollette e

soprattutto il mutuo della casa - e dall’altra sulla capacità di risparmiare su tutte le spese possibili, a

partire dall’automobile. Intraprendenti e con uno stile di vita occidentale, anche se oggi sono in una

situazione di relativa stabilità, per il futuro sognano di fare crescere i propri figli in Marocco, più per

motivi di disagio legato al clima politico e sociale, che per paura dei problemi economici (storia di A. e

M., Marocco)38.

Dalla storia di A. e M. emergono molti dei temi chiave delle strategie che le famiglie, in

particolare marocchine ma non solo, hanno messo in atto per fare fronte alle situazioni di crisi.

Nuclei famigliari che, dopo avere superato il percorso a ostacoli del primo inserimento sociale e

lavorativo, si trovavano in una situazione di stabilità con un lavoro reputato sicuro, l’avvio

dell’acquisto di una casa, il permesso di soggiorno facilmente rinnovabile, la possibilità di fare

qualche investimento in patria e di inviare regolarmente le rimesse alla famiglia, e che di colpo o

quasi si trovano a dover gestire la perdita del lavoro. Che fare? Prima di tutto comprimere

quanto più possibile le spese, poi ridurre fortemente o interrompere ogni tipo di risparmio e di

investimento in Italia e all’estero, fare la scelta di cercare un lavoro per la moglie nel settore di

cura, meno colpito dalla crisi occupazionale, appoggiarsi – se e quando possibile – sul supporto

delle reti famigliari, etniche e amicali e, nei casi in cui lo stato di disoccupazione persiste,

ricorrere ai servizi sociali e al volontariato per mantenere la famiglia, con il timore dello scadere

del permesso di soggiorno.

4.2.1 Dalla riduzione delle spese al ricorso ai servizi

Secondo il Rapporto sulla povertà dell’Istat (2010c), l'anno scorso il reddito delle famiglie ha

accusato una contrazione del 2,7%, il potere d'acquisto ha perso il 2,5%, è scesa la propensione

al risparmio dell'8,7%, l'economia ha perso quasi 400 mila posti di lavoro eppure l’indicatore

sintetico della deprivazione è rimasto invariato tra l’inizio del 2008 e lo stesso periodo del 2009.

Ma la condizione economica è difficile per molte famiglie: una su sei ricade nell'area del disagio

e cioè non riesce a sostenere spese impreviste, non può permettersi un pasto sufficiente almeno

ogni due giorni, lamenta arretrati (mutui, prestiti e bollette) e non può riscaldare adeguatamente

la casa.

38 Sintesi dell’intervista n. 21, allegato 1.

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La situazione è particolarmente pesante per le famiglie con cinque componenti e più (25,5 per

cento), residenti nel Mezzogiorno (25,3 per cento), con tre o più minori (29,4 per cento) e tra le

famiglie che vivono in affitto (31,4 per cento). Inoltre, la quota di famiglie che nel 2008 non

manifestavano segnali di difficoltà economica, ma che nel 2009 entrano in situazioni di disagio,

varia a seconda del ruolo famigliare di chi ha perso il lavoro, con quote più elevate se riguarda

un genitore piuttosto che un figlio. L’azione congiunta del ricorso alla Cig e il consueto ruolo di

ammortizzatore sociale svolto dalla famiglia, ha mitigato almeno per il momento gli effetti della

crisi e l’ingresso in situazioni di deprivazione.

Dal lavoro sul campo, considerando che nella popolazione immigrata ad oggi sono più frequenti

le famiglie numerose e monoreddito rispetto a quelle italiane, e minori gli ammortizzatori sociali

su cui contare, si può confermare che la crisi ha spesso prodotto nelle famiglie di origine

straniera conseguenze più gravi di disagio economico e di deprivazione, non solo in casi di

disoccupazione vera e propria, ma anche di Cig a singhiozzo, di passaggio da un tempo pieno a

quello parziale, con differenze importanti a seconda delle provenienze e della partecipazione al

mercato del lavoro.

Nel corso degli incontri con le famiglie, e attraverso le parole degli operatori dei servizi,

abbiamo riscontrato situazioni diverse – di stabilità, precarietà, marginalità – in gran parte

collegate alla condizione lavorativa dei componenti famigliari e alle modalità di evoluzione

degli effetti della crisi sul gruppo familiare, con le relative conseguenze sul piano della vita

quotidiana, sulle relazioni intrattenute con il paese d’origine, sulle aspettative e i progetti futuri.

Sulla base delle informazioni raccolte, abbiamo quindi cercato di operare una sintesi rispetto alle

possibili tipologie familiari incontrate. Il risultato è la tipologia di seguito illustrata. Non si tratta

ovviamente di definizioni granitiche e impermeabili al cambiamento. Anzi. La perdita del

lavoro, laddove prolungata nel tempo, può rendere le famiglie da stabili a precarie e addirittura

marginali quando la situazione diventa insostenibile dal punto di vista delle spese da sostenere.

E viceversa, nelle maglie delle possibilità presenti nel mercato del lavoro, può accadere che si

ritrovi una stabilità magari da tempo perduta.

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Tab. 5. Un tentativo di sintesi della situazione delle famiglie immigrate.

CONDIZIONE

EFFETTI SU

FAMIGLIE

IN ITALIA

EFFETTI SU

FAMIGLIE IN

PATRIA

PROSPETTIVE

FUTURE

STRATEGIA

SUL PIANO

DELLA

MOBILITA’

STABILI Mantenimento

del lavoro

Lieve

contrazione

dei consumi e

dei risparmi

Mantenimento delle

rimesse ma con

maggiore attenzione e

oculatezza

Mantenimento dei

progetti familiari in

corso

RADICATI

MIGRANTI IN

EUROPA

PENDOLARIPRECARI

Cig – Cigs

Lavoro a

singhiozzo

Perdita del

lavoro di uno tra

i componenti

della famiglia

Forte

riduzione dei

consumi

Utilizzo dei

risparmi

Richiesta di

aiuto a

parenti,

comunità e

amici

Interruzione degli

investimenti (casa,

avvio attività)

Riduzione/interruzione

delle rimesse

Timore per il

futuro/Ampliamento

delle prospettive

INDECISI

MARGINALI

Perdita del

lavoro di tutti i

componenti

della famiglia

che

contribuiscono

al reddito

Morosità nel

pagamento di

affitto o

mutuo della

casa, utenze,

finanziarie

Rischio o

realtà di

sfratto

Richiesta di

aiuto ai

servizi sociali

e al

volontariato

Interruzione degli

investimenti

Interruzione delle

rimesse

In alcuni casi aiuti

economici dalla

famiglia originaria in

patria

Ipotesi o

realizzazione di

ritorno in patria di

tutta o parte della

famiglia

Assistenza da parte

dei servizi sociali

MIGRANTI DI

RITORNO

RIENTRATI

Le famiglie stabili che per il momento non hanno subito i contraccolpi della crisi economica, e

hanno mantenuto il proprio lavoro, non evidenziano significativi cambiamenti sia in termini di

stili di vita sia di prospettive future, anche se molti lamentano una riduzione dei consumi e una

minore capacità di risparmio e di investimento, sia in Italia sia nel proprio paese.

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A volte rimango sveglia la notte a pensare: devo pagare questo, devo pagare quello… Prima

riuscivo a mettere da parte qualcosa ogni mese, ora niente. La vita è sempre più cara. Certo, noi

non avevamo una volta tutte le esigenze di adesso. In Romania vivevamo di niente, i nostri figli

qua vogliono avere le stesse cose dei coetanei. C’è da pagare internet, i vestiti, il cinema…. ma

tutto calcolato ogni mese (N. 29, F., Romania).

I precari, ovvero persone e famiglie che hanno dovuto accettare una riduzione dell’orario di

lavoro e dello stipendio, la Cig o la mobilità, il passaggio da un lavoro stabile a lavori a

intermittenza, o peggio la perdita del posto da parte di un componente della famiglia (marito,

moglie, figli più grandi) che contribuiva al reddito complessivo, si trovano nel bel mezzo della

crisi ad affrontare i cambiamenti che prima non avevano messo in conto. In questo gruppo

rientrano anche i casi di coloro che per rimanere (o riuscire ad entrare) nel mercato del lavoro

accettano condizioni occupazionali meno tutelate, da cui si erano smarcati da tempo: è

soprattutto il caso di chi formalmente lavora part-time, ma di fatto è ‘costretto’ ad un impegno

full-time, con una parte del compenso “fuori busta”.

La prima strategia di reazione è quella di ridurre il più possibile le spese correnti – dall’auto, a

internet, alla spesa alimentare, fino al riscaldamento – ma anche di interrompere o procrastinare

i propri investimenti: da chi sognava, dopo anni di lavoro, di avviare un mutuo per l’acquisto

della casa in Italia, a chi non riesce a mettere da parte i soldi per continuare la ristrutturazione

dell’immobile comprato in patria, a chi deve fare i conti con l’aspirazione di mandare il figlio

maggiore all’università piuttosto che l’esigenza di ricorrere al suo aiuto per mandare avanti la

famiglia dal punto di vista economico.

Abbiamo smesso di mandare i soldi in Romania. Ci stiamo costruendo una casa, ma non è più

possibile pagare i lavori là e vivere bene qua. Qualche anno fa, costruire in Romania conveniva,

il cambio era favorevole ed è per questo che molti rumeni sono venuti in Italia. Ora la vita là

costa come in Italia. Da quando siamo entrati nell’Unione per molti di noi è stato come ritornare

indietro, tutto è cominciato a aumentare e chi era ancora in Romania e aveva finora resistito ha

cominciato ad andare all’estero. Ora si può andare e venire quando si vuole, è più facile. Non

come all’inizio del 2000, quando sono venuta io in Italia, quando dovevi pagare molti soldi,

venivi con la paura che ti scoprissero. E a rischiare eravamo noi donne, mentre i mariti

restavano a casa, perché per loro qui il lavoro era di meno. Restavano a casa e si occupavano dei

lavori delle nuove case, ma adesso anche loro sono partiti (N. 3, F., Romania).

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Si tratta delle situazioni più delicate, sul crinale tra ripresa e caduta, in cui le famiglie possono

ritornare in una condizione di stabilità, pur se relativa, nel momento in cui il lavoro in qualche

modo riprende o addirittura si sviluppa grazie alla capacità di cogliere delle occasioni del

momento (si veda per esempio il discorso dell’imprenditorialità), oppure scivolare

progressivamente verso condizioni di marginalità, aggravate nei casi in cui interviene anche il

rischio di rientro nell’irregolarità.

Purtroppo la Questura non ci riconosce ancora l’elemento “precariato”. La Questura a noi

chiede i tempi indeterminati, parla di un mondo che non ci appartiene più. Poi ovviamente

accetta il lavoro interinale, però ci danno il permesso di soggiorno solo per un anno. E quindi tu

sei continuamente con l’acqua alla gola. Quindi immagina questa situazione di precarietà in cui

ci sono in particolare le donne, anche se ci sono anche i maschi, ma per le donne è più grave

perché hanno un problema di conciliazione dei tempi di lavoro e di cura che i maschi non hanno.

Quindi non hanno il sostegno per il reddito e in più con questa precarietà non hanno

l’autonomia, anche di restare in questo paese. Credo che la situazione delle donne migranti da

questo punto di vista sia molto grave (Mediatrice culturale, cit. in Alma Mater, 2009: 14).

Le due figure seguenti cercano di tracciare il percorso evolutivo (o forse si dovrebbe dire

involutivo) delle condizioni economiche delle famiglie oggetto della ricerca, mettendo a

confronto le due provenienze considerate. Esistono delle differenze dovute alle storie diverse

di immigrazione, di inserimento socio-professionale? Grazie agli operatori intervistati si sono

delineati dei percorsi di inserimento e degli eventi che ne hanno, lungo l’arco degli ultimi tre

anni, condizionato l’esito. Per tutti, l’indicatore visibile di un percorso di inserimento è

l’acquisto della casa, che per certi versi finisce oggi per essere considerata l’elemento che, a

fronte di una situazione economica peggiorata, ha sfavorito gli immigrati. L’accensione del

mutuo e quindi il doversi confrontare con una rata mensile anche quando il reddito

diminuisce o si azzera ha messo in ginocchio molte famiglie. Emerge qui una solo in parte

una similitudine con le famiglie italiane, che spesso hanno potuto ricorrere al sostegno delle

famiglie d’origine, ai risparmi dei genitori, ai provvedimenti ad hoc (come il già menzionato

accordo Abi), opportunità a cui gli immigrati raramente, per storia famigliare e/o per scarsa

informazione hanno potuto ricorrere.

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Fig. 3a. Prospetto dell’evoluzione della condizione delle famiglie immigrate colpite dalla perdita del lavoro: ilcaso marocchino.

Fonte: elaborazione su dati raccolti nella ricerca.

Fig. 3b. Prospetto dell’evoluzione della condizione delle famiglie immigrate colpite dalla perdita del lavoro: ilcaso rumeno.

Fonte: elaborazione su dati raccolti nella ricerca.

Focalizzando l’attenzione sulle provenienze oggetto della ricerca, si può affermare come sia

tipico il caso della famiglia marocchina monoreddito, che viveva da anni una situazione di

stabilità economica e sociale, grazie al lavoro dell’uomo - spesso con un contratto a tempo

indeterminato come operaio nell’industria o in una cooperativa sociale - che aveva investito

nell’acquisto di una casa e nell’istruzione dei figli, e che si trova di colpo a gestire l’interruzione

o il forte ridimensionamento dell’unico introito familiare, con l’aggravante del vincolo del

permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro. Sono le famiglie monoreddito, rientranti

nella categoria degli indecisi, dove l’idea del rientro in patria è accarezzata.

Parallelamente, fra le famiglie rumene inserite da tempo, in cui più spesso a lavorare sono sia

l’uomo sia la donna, il cui inserimento nel lavoro di cura si è rivelato, sino alla fine del 2009,

una sorta di “assicurazione contro la crisi”, ci si trova di frequente di fronte a situazioni simili a

quelle delle famiglie italiane, in cui – a fronte della perdita del lavoro dell’uomo – più che verso

una deprivazione sociale si scivola verso il rischio dell’impoverimento e di una maggiore

vulnerabilità, che presto si trasforma in marginalità.

Livello di reddito

Acquisto casa MedioAccensione mutuo

Prime avvisaglieEspulsione dal MdLApertura di partita Iva

Basso Cig, Cigs, mobilità/ ingresso delle donne nel MdLContrazione speseAumento richieste ai servizipubblici e del volontariato

Soglia povertà Contrazione delle rimesseInsolvenza dei pagamenti

Zero Sfratti2007 2008 2009 2010 Spezzarsi dei nuclei familiari

Arrivo di denaro dalle famiglie in patria

Livello di reddito

Acquisto casa MedioAccensione mutuo Prime avvisaglieAvvio impresa Espulsione dall'edilizia Cig, Cigs, mobilità

Contrazione spese

Basso Espulsione dal MdL dei servizi alla personaArrivo ai servizi socio-assistenzialiRiduzione/azzeramento delle rimesseCessazione degli investimenti per la costruzione di case in Romania

Soglia povertà

Zero2007 2008 2009 2010

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C’è stata una contrazione nel settore industriale, che è poi soprattutto manifatturiero, ma anche

nei servizi alla salute. Se un italiano perde il lavoro la situazione è drammatica, per uno straniero

è tragica. La perdita del lavoro è collegata alla perdita del soggiorno, alla paura di vedersi

costretti al ritorno nel paese d’origine, che anch’esso è stato colpito dalla crisi e quindi si

tornerebbe nel paese d’origine ancora più provato di quando lo si è lasciato. E questo provoca

anche, nei residenti italiani, una certa forma di xenofobia, che si considera l’immigrato come

portatore di meno diritti e quindi come colui che mina i propri diritti. Colpisce in modo

particolare la popolazione maghrebina, che sono più a rischio di sfratti, con pregressi di mancati

pagamenti di mesi. Quelli dell’Est si rivolgono ora al nostro centro, per chiedere aiuti alimentari,

non vi è un disagio abitativo, né difficoltà nel pagamento delle utenze, né carenze di pagamento

di locazione. Va ricordato che questa è un’emigrazione diversa dal Nord Africa: questi ultimi

sono partiti da un paese senza alcune possibilità, quelli dell’Est sono partiti per avere più

possibilità (operatore centro d’accoglienza, provincia di Cuneo).

Le famiglie vanno avanti attraverso un complesso sistema di utilizzo della rete dei servizi di

supporto pubblici e del volontariato, ad esempio accedendo al sussidio economico del servizio

sociale per il pagamento dell’affitto, al Comune per le spese scolastiche, al banco alimentare

dell’associazione di volontariato per la spesa settimanale, al centro di ascolto della Caritas per

un aiuto nella ricerca del lavoro e un contributo economico una tantum.

Al., marocchina, sposata con un uomo molto più anziano di lei e attualmente in condizione di

parziale invalidità, 3 figli di 16, 12, 10 anni, da quando il marito è diventato inattivo ha sempre

lavorato come colf o badante a ore per mantenere tutta la famiglia. Negli ultimi mesi non riesce

più a trovare un’occupazione, e ci racconta il modo in cui gestisce la famiglia attraverso l’aiuto

dei servizi sociali e delle organizzazioni che frequenta, con la preoccupazione del futuro e la

speranza di realizzare ancora alcuni sogni del proprio progetto migratorio originario. (N. 22, F.,

Marocco).

Io sono a casa da un po’ di mesi, però ho fatto disoccupazione e mi hanno pagato bene, mi hanno

dato di più di quanto prendevo da quella famiglia. Noi siamo in una casa popolare, non

paghiamo tanto, 150 euro al mese di affitto. Poi mio marito ha l’invalidità. Io fino adesso non

sono ancora arrivata alla crisi vera perché riusciamo ad andare avanti. I servizi sociali ci

aiutano a volte con un contributo economico per pagare le bollette, o la casa. Poi vado al banco

alimentare per la spesa della settimana. Io penso che chi ha problemi è perché non ha saputo

risparmiare, e spende troppo per vivere qui. Noi spendiamo solo per le cose necessarie, faccio

sempre attenzione, e anche i miei figli sanno che si deve fare così e non chiedere. (…) Mia figlia

di mezzo vorrebbe fare la pediatra. Se potevo farla studiare io era un sogno e anche di mio

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marito. Solo che è molto caro. Magari il fratello maggiore che ha 16 anni e lavora aiuta la

sorella a studiare, sarebbe bello (N. 22, F., Marocco).

Spesso, secondo gli operatori sociali e del volontariato, a soffrire di più per il forte senso di

vergogna connesso alla necessità di rivolgersi ai servizi e per lo smarrimento legato a un evento

in parte inatteso come la Cig o la disoccupazione sono soprattutto gli italiani rispetto agli

immigrati. E’ possibile che, oltre a una minore vergogna, gli stranieri siano in grado di

approcciarsi ai servizi con più pragmatismo, anche per una maggiore dimestichezza acquistata

durante il percorso di inserimento in Italia verso la stabilizzazione, in cui molti si sono trovati, in

un momento o nell’altro, a dover frequentare delle reti di sostegno. Tuttavia, nelle parole delle

persone intervistate torna spesso questo tema, a dimostrazione del fatto che la crisi

occupazionale porta con sé conseguenze emotive, oltre che pratiche, per tutti coloro che avevano

costruito una vita basata sul lavoro e sulla realizzazione autonoma di sé e della propria famiglia:

Nelle persone che vengono allo sportello riscontro sempre un forte disagio legato al venire meno

del ruolo di capofamiglia, una forte sofferenza nel sentire di non essere più capaci di mantenere

la famiglia, di essere arrivati al punto di doversi rivolgere al servizio, sofferenza che in molti casi

sfocia in una vera e propria depressione, soprattutto tra gli uomini (assistente sociale, focus

group, Cuneo).

Non mi riconosco più … il lavoro è diminuito e sono costretto a stare intere giornate al paese …

mi vergogno ad uscire, non sono mai stato senza lavoro, non sono mai stato in ritardo con i

pagamenti, è così che mi sono guadagnato il rispetto di tutti … adesso rischio di perdere tutto …

non ci dormo alla notte ma non posso mollare, che futuro possono avere i miei figli in Marocco?

(N. 47, M., Marocco)

4.2.2. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro

Tante donne ora cercano lavoro per mantenere la famiglia quando il marito perde il lavoro,

anche se hanno dei figli e prima non hanno mai fatto nessuna esperienza. Si inseriscono come

badanti, baby sitter ma anche operaie. La decisione delle donne di andare a lavorare o no

dipende più dalla cultura di partenza, da dove arrivano dal Marocco. Ci sono donne che

lavorano già in Marocco ed è considerato normale. Anche io prima di partire per l’Italia facevo

la segretaria. Ci sono tante famiglie che scelgono da subito di lavorare entrambi per contribuire

in famiglia. A volte invece per le famiglie, soprattutto quelle che arrivano dalla campagna, il

lavoro delle donne rimane l’unica soluzione, anche se non sono contenti, perché altrimenti non

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sanno come tirare avanti. Ci sono altre famiglie più tradizionali che non sono d’accordo per

niente e non accettano di cambiare idea, piuttosto preferiscono fare il doppio della fatica (N. 21,

F., Marocco).

L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro come strategia di reazione alla situazione di crisi

interessa principalmente le famiglie marocchine monoreddito che, a seguito della perdita o della

riduzione del lavoro da parte dell’uomo, si trovano a considerare tale possibilità, con una varietà

di atteggiamenti e decisioni ben sintetizzati nelle parole di M., e con conseguenze importanti sul

piano personale, famigliare, sociale, occupazionale.

Sia nel 2009 sia nel 2010, nel complesso delle assunzioni avviate in Piemonte di cittadini

marocchini, circa il 36-37%, ha interessato la componente femminile. Considerando la

variazione interannuale tra 2009 e 2010, in uno scenario generale in cui complessivamente le

assunzioni femminili sono scese del 6%, gli avviamenti di donne marocchine hanno registrato

una crescita di circa il 15%, a fronte di una contrazione di quelle rumene del -2,6%, e addirittura

del -32,6% delle Moldave, -38,9% delle ucraine, -27,4% delle peruviane39 (Durando, 2010).

L’intervista citata in apertura di paragrafo rappresenta il caso, ormai discretamente diffuso, di

donna marocchina interessata a lavorare per aspirazione personale oltre che per necessità

familiare, che la situazione di disoccupazione del marito costringe più che altro ad accettare un

lavoro mal retribuito e in nero nel classico settore di cura (come compagnia di una donna

anziana per circa 2 euro all’ora), rinunciando o procrastinando l’opportunità di investire su un

progetto formativo e lavorativo più solido e interessante.

Negli ultimi due anni la crisi economica ha però fatto emergere in modo evidente il fenomeno

delle donne che, da “casalinghe” e dedite alla cura dei figli in base a una scelta famigliare

originaria, spesso legata a convinzioni culturali, sono diventate gioco-forza “soggetti in cerca di

occupazione”, con esiti alterni.

La ricerca del lavoro, sia nelle parole delle famiglie sia in quella degli operatori dei servizi, ha

portato alla luce situazioni diffuse di isolamento domestico, vulnerabilità linguistica e scarsa o

nulla esperienza professionale, rendendo molto difficile dapprima l’inserimento sociale e poi

quello successivo (e auspicato in tempi brevi) nel mercato del lavoro.

Vengono qui da noi perché vogliono imparare l’italiano. Hanno fretta, perché devono trovare un

lavoro. Alcune si vogliono anche iscrivere ai corsi per OSS, ma non si rendono conto di quello

39 E’ interessante citare che l’indagine campionaria sulla popolazione immigrata realizzata in provincia di Cuneonel 2008 faceva emergere il dato poco scontato che, tra le donne marocchine lavoratrici, una su cinque risultavaessere operaia nell’industria (Regione Piemonte, Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro, Provincia di Cuneo,Ires Piemonte, 2008).

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che chiedono e dello scarso livello di italiano che hanno. In più, adesso ai corsi per OSS

[Operatori socio-sanitari, ndr] e agli esami di ammissione vi sono anche gli italiani, uomini e

donne, e avere una buona conoscenza della lingua diventa ancora più necessario (insegnante

Centro Territoriale per l’Educazione Permanente, Torino).

Il problema sono le donne marocchine. Non è una novità, lo diciamo da sempre: ci sono donne

che arrivano in Italia e finiscono confinate in casa, senza relazioni con l’ambiente circostante se

non con altre donne marocchine. Nei nostri corsi di italiano abbiamo donne qui da anni, molte

non conoscono nulla della città: è importante aiutarle a conoscere i servizi. Oggi ancor di più: la

crisi ha accentuato la necessità che loro riescano ad essere autonome. Non vogliono tornare

indietro, perché andrebbero a vivere con la famiglia dei mariti, mentre qui almeno hanno una

loro casa. Quello che chiedono è di essere aiutate a trovare un lavoro, presso una donna anziana

preferibilmente (operatore di associazione di volontariato, Torino).

Se si può considerare positiva la spinta, per necessità, all’attivarsi e al rendersi autonome di

molte donne, d’altra parte vi è l’allarme per la fragilità della condizione di inserimento sociale di

soggetti in Italia da anni, vissute sempre nell’ombra di relazioni intrafamiliari e intra-etniche.

In più, la possibilità che queste donne non riescano a trovare un lavoro in Italia nel breve-medio

periodo può condurre al rischio di dover accettare un ritorno in patria non voluto, ma subito

come decisione del marito e della famiglia, come molte persone incontrate ci raccontano:

Io ho un’amica marocchina che lo scorso anno il marito ha mandato a casa in Marocco insieme

ai figli a vivere dai suoi genitori. Poverina… i suoceri in Marocco vivono in campagna, non è

come qui. Non c’è acqua, non c’è luce. La vita è diversa. Lei non può più fare niente, e anche i

figli…” (N. 22, F., Marocco).

E come confermano alcune indagini sul campo svolte in Marocco tra le donne rientrate in questi

anni a causa dei problemi economici: “I profili più comuni sono di donne partite giovanissime, al

seguito del marito che lavorava già in Europa, e il viaggio ha rappresentato per loro la prima occasione

di muoversi dalla città d’origine. Spaesate, senza parlare la lingua del posto, si sono ritrovate in molti

casi a passare mesi interi senza comunicare con nessuno e senza uscire da casa, vivendo come creature

invisibili nelle città del sud dell’Europa. […] Molte delle donne che rientrano volontariamente, in realtà

sono costrette a farlo perché si trovano in condizioni di debolezza, sia economica che sociale. Una volta

tornate, molto spesso sole in seguito a divorzio e con figli a carico, devono affrontare una situazione

doppiamente dolorosa: da una parte il senso di fallimento del progetto migratorio e matrimoniale,

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dall’altra la vergogna nei confronti della società locale, dalla quale una donna giovane, divorziata e con

figli non è vista di buon occhio” 40.

L’assunzione di un impegno di lavoro da parte delle donne costringe anche a ripensare ai ruoli

familiari, influenzando le dinamiche tra i coniugi e con i figli e modificando gli stili di vita e i

comportamenti. La crisi, dunque, innesca nuove trasformazioni alla famiglia in emigrazione, già

messa a dura prova dal dover gestire “le istanze della società di accoglienza e della società

d’origine […]; tra due o più lingue […] tra i diversi tempi e luoghi […] tra sistemi di valori

diversi che la interrogano e la mettono in discussione arricchendola, o la irrigidiscono o la

confondono; tra le generazioni coinvolte a diverso titolo nel processo migratorio” (Gozzoli e

Regalia, 2005: 70-71).

Talvolta il ribaltamento dei ruoli, per il quale la donna – che non avrebbe mai immaginato prima

della crisi di andare a lavorare – si trova a mantenere tutta la famiglia con la propria attività,

mentre l’uomo è costretto a occuparsi della gestione familiare e dei figli, può inasprire i rapporti

e creare nuove tensioni, soprattutto per l’incapacità del marito di accettare il cambiamento. Se

per le famiglie rumene il ruolo delle madri come “apripista” delle catene migratorie e di perno

attorno a cui si realizza il ricongiungimento famigliare, e spesso il mantenimento economico dei

suoi componenti, è ancora oggi la cifra identificativa dei flussi migratori, per quanto riguarda i

nuclei marocchini, caratterizzati da una migrazione e da un inserimento sociale ancora

prevalentemente maschile, si tratta di un vero e proprio salto di prospettiva, che probabilmente

nel tempo potrà modificare alcuni equilibri consolidati sia tra generi sia tra generazioni41.

Le famiglie marocchine sono molto diverse fra loro. C’è chi si è aperto, quasi non le riconosci. I

loro figli sono integrati, tutti parlano l’italiano, in fondo vogliono essere italiani perché pensano

che così sarà tutto più facile. Io ogni tanto li incontro per strada e sembrano una famiglia

italiana del Sud. Poi ci sono le altre, quelle che stanno un po’ peggio e dove anche le donne

stanno male: parlano poco, passano il tempo fra la casa e l’asilo o la scuola. Io ogni tanto cerco

di avvicinarle davanti alla scuola dove lavoro, ma mi dicono che va tutto bene, che vogliono

imparare la lingua ma non possono, non hanno tempo e non hanno nessuno a chi lasciare i

bambini…ma poi viene fuori che il marito ha paura, e anche loro un po’ hanno paura dell’Italia,

40 http://coopi.wordpress.com.41 Il ribaltamento dei ruoli all’interno della famiglia può anche chiamare in causa i figli. E’ noto come i giovaniacquisiscano competenze culturali e linguistiche più rapidamente dei genitori. Questi ultimi diventano delle figure“costrette al silenzio”: la lingua d’origine è poco valorizzata e bandita in quanto considerata di ostacoloall’apprendimento da parte dei figli di quella del paese d’arrivo. Una lingua che rende nuovamente silenziosi igenitori, poiché spesso la conoscono e la padroneggiano male (Skutnabb-Kangas e Cummins, 1988).

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hanno paura che i loro figli perdano la lingua, la cultura, che non siano più come loro. Io cerco

di dire loro che un po’ cambieranno, perché sono nati qui e crescono qua, che non possono

restare chiusi in casa e vivere solo quando tornano in Marocco (mediatrice culturale).

Sono io che mi occupo della scuola di mio fratello, che vado a parlare con gli insegnanti. Lo

faccio da quando avevo sedici anni. All’inizio è stato un po’ imbarazzante, ma poi mi sono

abituata. Ora mia mamma conosce un po' di più l’italiano, ma mi chiede sempre un consiglio su

cosa fare, su cosa scrivere, su cosa fare negli uffici. Lo stesso capita a volte anche con mio

fratello, ma di lui mia madre si fida di meno, perché dice che ne approfitta e che non le dice

realmente come stanno le cose. Quando vuole ottenere qualcosa dice delle cose difficili, che i

miei genitori non capiscono per ottenere di uscire più spesso, di tornare tardi. Io cerco di non

mettermi in mezzo, anche se so che in fondo lo lasciano fare anche perché è un ragazzo (N. 14,

F., Marocco).

Sarà interessante capire se e come l’ingresso nel mercato del lavoro delle madri, avvenuto più

per pressioni esterne che per convinzioni culturali, contribuirà in qualche modo a modificare

l’immagine e il ruolo delle donne anche nell’ambito della famiglia, sia in relazione ai mariti sia

ai figli.

Spesso infatti il tentativo di ingresso nel mercato del lavoro delle donne, pur evidenziando gli

elementi di vulnerabilità connessi all’isolamento, alla non conoscenza della lingua italiana, alla

dipendenza dal marito, offre delle opportunità di miglioramento e di conquista di autonomia:

Conosco delle famiglie marocchine, residenti qui da molto tempo, che quando hanno preso la

decisione di fare andare a lavorare le mogli si sono attivate: le donne si sono iscritte ai corsi di

italiano, ai corsi per prendere la patente, in modo da riuscire a trovare lavoro più facilmente.

Quando esistono opportunità del territorio, come corsi di lingua, ecc., vedo che le persone ne

approfittano (assistente sociale).

In questo momento la cosa primaria per le famiglie è la necessità economica che supera anche i

problemi culturali, così la donna va a lavorare. Molte famiglie marocchine che vivono qui

arrivano dalla campagna, hanno una mentalità tradizionale, pensano che è un orgoglio che la

moglie non deve lavorare. Ora le donne quando il marito perde il lavoro accettano di andare a

lavorare, ma per me è un bene, almeno escono di casa, diventano più autonome (N. 23, F.,

Marocco).

Ho iniziato perché mio marito non lavora sempre, non è facile perché non parlo tanto bene la

lingua, sono andata a scuola e mia figlia mi aiuta ma il lavoro lo faccio bene, riordino, pulisco e

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stiro… mai pensavo di andare a lavorare ma va bene, così siamo più tranquilli (N. 48, F.,

Marocco).

Le interviste confermano infine il permanere di nuclei famigliari in cui l’ipotesi che la donna

possa lasciare la casa per la ricerca di un lavoro all’esterno non viene neanche presa in

considerazione, scelta che può contribuire ad aggravare le situazioni di deprivazione e di

fallimento del progetto migratorio. Per fortuna, sembra però prevalere un approccio pragmatico

legato alle necessità del momento, che permette anche di modificare le proprie convinzioni in

base alle esperienze. Commenta uno degli animatori di un’associazione culturale collegata a un

centro di preghiera:

In questo periodo come associazione stiamo lavorando con le famiglie per aiutare a cambiare

mentalità e confrontarsi con le situazioni nuove. Ci sono famiglie che sono in grande difficoltà,

ma non si può dare tutta la colpa alla crisi. Magari all’inizio hanno fatto progetti sbagliati, ad

esempio non volendo mandare la moglie a lavorare e pensando di riuscire a mantenere tutta la

famiglia con un solo stipendio. Poi se sono arrivati anche problemi di lavoro per il marito non

sono più riusciti ad andare avanti, ma non hanno lo stesso voluto cambiare idea. Altri, vedendo

che i vicini di casa lavorano entrambi e non ci sono problemi, ci ripensano e iniziano a chiedere

aiuto per trovare un lavoro anche per le mogli (N. 24, M., Marocco).

4.2.3. Il supporto delle reti familiari e amicali

Anche nelle situazioni di crisi le reti parentali ed etniche mostrano elementi ambivalenti di

opportunità e vincolo, già ampiamente discussi in letteratura42.

Le testimonianze raccolte evidenziano percezioni ed esperienze molto differenti rispetto alla

possibilità o meno di ricorrere al supporto dei propri familiari o della comunità di appartenenza

per fare fronte alle difficoltà dovute alla perdita e/o alla precarietà del lavoro.

Se nelle parole dei rumeni tornano spesso le citazioni degli aspetti negativi delle reti etniche -

legate alle situazioni già note di sfruttamento delle necessità o delle debolezze dei connazionali

neo-arrivati o in condizioni di disagio economico e sociale, o alla incapacità della comunità di

garantire forme di sostegno e di solidarietà attive43 - nelle esperienze reali si confermano però le

reti informative e di scambio sulle opportunità di lavoro (soprattutto quelle femminili, parentali

42 Le riflessioni sul capitale etnico di Portes e Zhou (1999) mostrano come il supporto e il senso di familiarità chegli immigrati trovano all’intero delle comunità di origine può trasformarsi in pesante zavorra quando il risvolto ditale “protezione” si trasforma in richiesta di fedeltà ad una condotta di vita propria di un contesto sociale altro. Uncaso di trappola etnica è quella del lavoro domestico (Catanzaro e Colombo, 2009).43 Per approfondimenti si veda, ad esempio, Cingolani, 2008; Angel, 2008; Pittau e Ricci, 2010.

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e amicali, attive in Italia e a livello transnazionale per quanto riguarda il settore di cura),

piuttosto indebolite negli ultimi tempi dalla diminuzione delle offerte in circolazione.

Qui allo sportello arrivano anche donne rumene, sino a qualche tempo fa erano poche, perché si

aggiustavano da sole, tramite il passaparola. Le storie che raccontano sono talora incredibili,

raccontano di connazionali chiamate per una sostituzione che poi accettano compensi orari più

bassi e quindi rubano il posto a chi di fatto le ha fatto entrare nella famiglia, con l’accordo di

una sostituzione temporanea […] quello che viene fuori è, per la prima volta, la debolezza delle

reti etniche, non più in grado di sostenere la ricerca del lavoro. Forse per questo in tante e in

tanti si stanno presentando ai vari sportelli, così come ai centri per l’Impiego (operatore sportello

lavoro, Torino).

Con le famiglie marocchine si fa riferimento alle reti parentali allargate più spesso che alle reti

comunitarie – con vicende alterne rispetto agli esiti delle richieste di aiuto –, anche se non

mancano opinioni discordanti sul ruolo di supporto della comunità di origine a seconda delle

esperienze personali e soprattutto del contesto di riferimento. Se alcune interviste, sia nel

territorio cuneese sia in quello torinese, hanno fatto emergere iniziative promosse da sale di

preghiera locali per la raccolta di beni di consumo e/o di fondi a favore di persone in particolari

situazioni di disagio, altri racconti sottolineano invece la totale mancanza di solidarietà e

supporto tra i connazionali o tra i parenti.

Nel periodo in cui non lavoravo il fratello e la sorella di mia moglie ci hanno aiutato portando la

spesa per mangiare. Amici italiani che mi hanno dato un prestito per pagare le bollette… Tra

marocchini ci si da una mano, c’è la possibilità di trovare un aiuto, un tetto, da mangiare.

Possono esserci problemi di famiglia come avviene in tutte le famiglie, ma non al punto di non

dare una mano. Durante la preghiera in moschea in questo periodo si chiede alla gente di

aggiungere qualcosa durante la spesa per le persone bisognose. Non si riesce a aiutare

economicamente, ma almeno negli aspetti di sopravvivenza (N. 21, M., Marocco).

Purtroppo mia sorella non mi aiuta. Mi è capitato di perdere delle opportunità di lavoro perché

non avevo nessuno che mi guardasse i bambini. Avevo chiesto a mia sorella, ma lei mi ha risposto

che con due bambini non riesce a guardare i miei. Ma se vanno nella stessa scuola, poteva

andarli a prendere e tenerli un po’. E’ davvero una brutta cosa, io ho fatto tanto per lei quando

suo marito è venuto a cercare lavoro qui, l’ho ospitato, gli ho dato una casa. Adesso lei ha una

casa più grande della nostra, ha anche una camera per i bambini, il marito ha un lavoro fisso e

lei si permette di non andare a lavorare. Mio marito lavora in una cooperativa, viene pagato un

mese sì e uno no, io faccio lavoretti come mediatrice ogni tanto, ma sai com’è questo lavoro, devi

andare quando ti chiamano, ma se non hai nessuno che ti aiuta è difficile. Mi spiace perché da

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noi la famiglia è importante, ma qui sembra tutto diverso. Ho anche delle amiche che mi

raccontano la stessa cosa: adesso ognuno pensa alla sua famiglia, pensa a come andare avanti e

non guarda in faccia nessuno, nemmeno i parenti (N. 27, F., Marocco).

Gli aiuti e le reti parentali ed etniche dimostrano nei mesi più recenti i loro limiti strutturali: ad

oggi l’intreccio negativo fra mancanza di lavoro, erosione del minimo patrimonio posseduto,

fatica quotidiana della gestione della povertà, unitamente ai vincoli burocratici, pesanti per chi

ha già dovuto rinnovare il permesso di soggiorno per attesa occupazione, possono condurre a un

ripiegamento dei nuclei famigliari su se stessi, impegnati nel fronteggiamento delle proprie

difficoltà e nella difesa del proprio progetto migratorio.

Diversa è la situazione delle persone e delle famiglie che sono riuscite a tessere, nel percorso di

inserimento sociale reti ampie e diversificate, non solo tra familiari e connazionali ma anche con

italiani, che nel momento del bisogno permettono di usufruire di sostegni multipli a seconda dei

punti di riferimento. Chi ha costruito negli anni una maggiore interazione con la società di

accoglienza, trova spesso il modo di beneficiare di un sostegno concreto (la spesa, l’invito a

pranzo), di un piccolo prestito, soprattutto di nuove proposte di lavoro che permettono di

ripartire.

Al contrario, chi era già inserito in reti povere o prevalentemente di tipo familiare, spesso

aggravate da condizioni allargate di difficoltà rispetto alla crisi economica, ha visto un ulteriore

indebolimento dell’aiuto, anche per problemi di monopolio di talune provenienze dei settori

lavorativi di riferimento e quindi di scarsità di nuove opportunità occupazionali, e un

ripiegamento dei singoli e delle famiglie su se stesse per fare fronte alle necessità primarie.

4.3 La via imprenditoriale

La presenza straniera nel mondo imprenditoriale italiano44 viene normalmente approssimata dal

numero di titolari di ditte individuali nati al di fuori dai confini nazionali. Un dato che sottostima

la realtà, visto che non considera i soci di imprese più strutturate, ma consente di evidenziare un

fenomeno significativo e soprattutto in rapida crescita.

Le rilevazioni Unioncamere-Movimprese (2010) individuano, a livello italiano a fine 2009,

309.000 titolari di imprese individuali con nazionalità straniera, di cui oltre il 77% cittadini

extracomunitari e poco meno del 23% comunitari, su un totale di circa 3.383.000 ditte

individuali (9,13%).

44 Sull’eterogeneità di questo universo, si richiama quanto elaborato da Ambrosini (2008), il quale divide ilavoratori autonomi di origine immigrata nelle seguenti categorie: operatori informali, nuovi entranti, lavoratoriindipendenti, imprenditori (relativamente) autonomi e leader economici.

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Anche la situazione piemontese si riflette in questo scenario: al 30 giugno 2009, il peso

percentuale degli stranieri sul totale degli imprenditori era pari al 6,1%, con una prevalenza di

inserimento nel settore delle costruzioni e un primato della nazionalità rumena (Della Sala,

2009; Fieri 2010). Si tratta di una presenza che nell’ultimo decennio ha acquisito caratteristiche

piuttosto ben delineate; le due nazionalità più presenti sono quelle romena e marocchina, i

settori principali il commercio e l’edilizia, le attività solitamente di piccola dimensione

(microimprese).

Nel territorio astigiano le imprese straniere aumentano tra il 2008 e il 2009 del 5% di cui il 30%

a titolarità di stranieri comunitari e il 70% a titolarità di stranieri extracomunitari. La

composizione dell’imprenditoria straniera distinta tra comunitari ed extracomunitari è rimasta

pressoché inalterata rispetto all’anno precedente. Anche nel mezzo della crisi la vitalità

dell’imprenditoria immigrata appare dunque piuttosto sostenuta, sebbene le difficoltà del

momento abbiano ridimensionato la crescita: il tasso di aumento degli imprenditori

extracomunitari nel 2008 era stato del 9%, nel 2009 del 5,4%. E’ comunque una crescita

interessante soprattutto se rapportata al fatto che nella Provincia di Asti la dinamica demografica

delle imprese fa registrare un saldo negativo (-1,4% di imprese sul territorio rispetto al 2008).

Nel cuneese lo stock annuale delle imprese individuali gestite da titolari di origine extra-

comunitaria ha registrato una crescita anche per il 2009 (+3,8% rispetto all’anno precedente),

arrivando a rappresentare il 4,5% delle imprese individuali cuneesi complessive. Le ditte

individuali di comunitari sono aumentate registrando una variazione percentuale addirittura del

+9%. E’ molto interessante il confronto con la dinamica delle imprese individuali gestite da

italiani che, contrariamente a quelle straniere, hanno subito flessioni costanti degli anni (dal

2005) fino a segnare nell’ultimo anno un calo del -1,7%;

A fine 2009 le posizioni degli imprenditori stranieri in provincia di Torino (titolari, soci,

amministratori, altre cariche di provenienza sia comunitaria sia extracomunitaria) risultavano

28.491, con un incremento del 6,3% nei confronti dell’anno precedente. I dati confermano

alcune specializzazioni imprenditoriali “etniche”, che caratterizzano le attività sulla base della

nazionalità d’origine dell’imprenditore. Ad esempio il 71,7% degli imprenditori rumeni è

specializzato nelle costruzioni, mentre gli imprenditori africani si confermano principalmente

occupati nel settore del commercio (la percentuale è del 59,4% per i marocchini, del 67% tra i

nigeriani e raggiunge ben l’85,9% tra i senegalesi).

Come altri elementi distintivi dell’immigrazione in Italia, l’imprenditoria dei cittadini stranieri si

caratterizza quindi per la velocità con cui cresce, diventando un elemento strutturale del tessuto

imprenditoriale locale, soprattutto nelle aree urbane.

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Si tratta di conseguenza di un insieme di imprese “giovani”, oltre che in molti casi con volumi di

affari assai ridotti, spesso inserite in settori del mercato fortemente sensibili alla fluttuazione

della domanda. Tali aspetti hanno una grande rilevanza dal punto di vista del rapporto con il

contesto economico più generale, e con aspetti fondamentali dell’agire imprenditoriale, come ad

esempio il rapporto con le banche, tanto da potersi considerare gli elementi principali per

leggere le problematiche esistenti nel rapporto fra imprenditori e istituti di credito.

Di tale elemento riferiscono anche funzionari e operatori che si occupano di microcredito: in

particolare nel territorio piemontese è da rilevare la presenza di iniziative legate alla Conferenza

Episcopale Italiana, che nei diversi territori sono affidate a varie fondazioni45, o progetti locali

promossi direttamente dalle stesse fondazioni bancarie in collaborazione con la rete locale. A tal

proposito, nel cuneese, rispetto al progetto di microcredito “Fiducia” avviato dalla Fondazione

Cassa di Risparmio di Cuneo in collaborazione con la Fondazione San Martino, si sottolinea

come “Se relativamente contenuta è la domanda di micro-credito da parte di soggetti in grado,

seppure con difficoltà, di rimborsare, si profila invece in crescita la domanda di quanti del tutto

privi di tutele e di reddito non sono eligibili al “Progetto Fiducia”. E’ in questa area che

tendono a crescere le domande senza che vi siano ancora strumenti adeguati di risposta”

(Centro Studi Fondazione CRC, 2010a). Secondo i dati forniti dalla Fondazione CRC, nel corso

del progetto, tra l’11/11/2008 e il 19/05/2010, i Centri di Ascolto Caritas hanno raccolto 373

domande (in realtà sono pervenute molte più richieste, per cui non si è valutato opportuno aprire

un’istruttoria), e ne hanno accolte 137, di cui 74 di nazionalità italiana e 63 di nazionalità

straniera. A fine maggio, la percentuale di insolvenza si aggirava intorno al 22%. Le

considerazioni riguardanti il progetto “Fiducia” sono simili a quelle raccolte presso la

Fondazione Operti della diocesi di Torino, che gestisce un’analoga iniziativa denominata

progetto “Speranza”. Nella diocesi di Asti, promotrice anch’essa del progetto “Speranza”, il

problema della assenza di requisiti delle persone che hanno fatto richiesta del prestito è stata

causa dell’inutilizzo del fondo.

45 Come si legge nella descrizione diffusa dalle Caritas diocesane “È un progetto di livello nazionale, voluto dallaConferenza Episcopale Italiana con la partnership della Associazione Bancaria Italiana per sostenere le famiglieche, a causa della crisi economica scoppiata nel 2008, si siano trovati in situazione di mancanza di reddito o chesiano rimaste con il solo reddito da Cig. Un sostegno non di natura assistenzialistica ma promozionale […].Pertanto non eroga benefits economici a fondo perduto ma un prestito finanziario che può arrivare finoall’occorrenza di 6.000,00 euro annuali, da iniziare a restituire all’Istituto di Credito erogante passati dodici mesi,con un tasso di interesse pari alla metà di quello normalmente utilizzato”.

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L’imprenditoria etnica e credito, opportunità e difficoltà in tempi di crisi.

La relazione fra credito e impresa è complessa e messa a dura prova in tempo di crisi. Infatti, i

meccanismi del mercato del credito possono far sì che le nuove attività, non dotate di una “storia”

finanziaria a cui fare riferimento, siano penalizzate rispetto ad aziende consolidate. L’accesso al credito

bancario è inoltre sovente condizionato non tanto da stime reali di rischio, quanto piuttosto da valutazioni

delle caratteristiche personali dei nuovi imprenditori, fra le quali può rientrare il luogo di provenienza.

Infine, elemento probabilmente più importante, i criteri utilizzati per la concessione dei finanziamenti

faticano a tener conto delle caratteristiche dell’impresa e delle capacità personali dell’imprenditore,

orientandosi invece su più sicure garanzie personali e reali.

Proprio l’aspetto delle garanzie può rappresentare un importante elemento di differenziazione per

l’imprenditore straniero. Infatti i principali fornitori di garanzie per i piccoli imprenditori sono i

famigliari, soprattutto quelli più stretti. La distanza con il proprio nucleo famigliare (oltre naturalmente

ad oggettive difficoltà finanziarie) può rappresentare una difficoltà in più per l’immigrato che affronti la

sfida imprenditoriale nel paese di arrivo.

Queste considerazioni probabilmente spiegano il dato presentato dal recente rapporto “Finanza e

comportamenti imprenditoriali nell’Italia multietnica”, realizzato da Unioncamere, Nomisma e CRIF

(2010), da cui emerge che meno di un quinto delle imprese gestite da immigrati richiede prestiti al

sistema creditizio, rivolgendosi principalmente all’autofinanziamento ed al sostegno di amici e parenti.

Tale elemento appare più significativo per alcune provenienze, soprattutto quella cinese, i cui rapporti

con gli istituti di credito sono subordinati ad un'importante rete di sostegno finanziario legata alla

“famiglia allargata” dell’imprenditore.

Il sostegno finanziario da parte di parenti o comunque persone della propria comunità può rappresentare

quindi un elemento fondamentale per superare ostacoli di liquidità, soprattutto nella prima fase di vita di

un’impresa. A volte ciò si può intrecciare con le strategie messe in atto da parte delle famiglie per

investire in propri risparmi in beni considerati “sicuri”, soprattutto immobili. Le diffidenze del sistema

bancario tradizionale possono talvolta essere superate rivolgendosi a “iniziative di microcredito. Si tratta

di progetti con caratteristiche assai diverse fra loro, presenti sul territorio nazionale soprattutto nelle aree

del Centro Nord, con una discreta concentrazione in Piemonte soprattutto per quanto riguarda il

capoluogo, anche se per un numero di casi limitato in confronto alle dimensioni del tessuto

imprenditoriale locale” (Borgomeo e Co., 2009).

Il microcredito può essere definito come “la concessione di crediti di piccole entità a persone con basso

reddito e/o che si trovano in una situazione di disagio sociale (ad esempio, micro imprese in fase di start

up, lavoratori atipici, famiglie a basso reddito, immigrati, ecc.)” (Abi-Cespi, 2009: 37).

Va detto che considerando in senso stretto tale definizione, anche nel sistema bancario sono presenti

prodotti che per la ridotta dimensione del credito possono essere considerati “micro”. Gli operatori di

microcredito in senso stretto si caratterizzano tuttavia per la sostituzione di garanzie reali o personali

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fornite dall’imprenditore con Fondi di garanzia, stanziati da soggetti terzi, a fronte di elementi di tipo non

finanziario ma che possano far fede della capacità del soggetto di restituire le somme prese in prestito. Le

garanzie sono solitamente fornite, per una percentuale del credito erogato da un istituto di credito

convenzionato, da enti pubblici, come nel caso della Città di Torino, o fondazioni bancarie, come per il

progetto “Dieci Talenti” finanziato dalla Compagnia di San Paolo e realizzato dalla Diocesi di Torino .

Sovente questi progetti prevedono una forma di accompagnamento di tipo consulenziale per chi intende

richiedere il microcredito, attività che consente tra l’altro di verificare le caratteristiche del soggetto e del

proprio progetto imprenditoriale. Un modello simile, ma con caratteristiche peculiari, è stato

recentemente proposto da Permicro S.p.A., operatore finanziario nato nel 2007 a Torino e a tutti gli

effetti privato (tra i suoi soci figurano una fondazione bancaria, una fondazione legata ad un’importante

famiglia industriale piemontese ed un istituto di credito di livello nazionale). In questo caso la scelta di

concessione del prestito è fatta esclusivamente sulle caratteristiche del richiedente, che in alcuni casi può

sostituire le garanzie finanziarie di tipo tradizionale dimostrando una capacità di restituzione attraverso la

bontà del progetto d’impresa ed il fatto di poter contare su una “rete sociale”, che dia riscontro della

volontà, serietà e capacità del richiedente.

Per i motivi descritti precedentemente, si tratta di una metodologia che può rappresentare elementi di

forte interesse per l’imprenditore immigrato, un aspetto riconosciuto dall’azienda stessa che ha tra l’altro

orientato tutto il suo messaggio promozionale come rivolto agli stranieri. Non è un caso che quasi tutti i

casi di imprese finanziati da Permicro nei primi due anni di attività siano di nuove aziende aperte da

immigrati.

Occorre sottolineare che l’utilizzo dello strumento del microcredito (come anche degli investimenti

diretti da parte di parenti e amici) dovrebbe in prospettiva essere solo il primo passo attraverso il quale

l’azienda comincia la propria attività, dando così all’imprenditore la possibilità di costruire le condizioni

necessarie per divenire un soggetto “bancabile”, ovvero in grado di accedere alle forme tradizionali di

credito.

4.3.1 Imprese da sogno o sogni di impresa?

Come già accennato nell’introduzione del presente capitolo, tra le varie letture del fenomeno

imprenditoriale viene in rilievo quella che presenta l’apertura di una nuova attività come

strategia per coronare aspirazioni di mobilità sociale e professionale, tenuto conto delle

difficoltà e delle discriminazioni incontrate nel lavoro dipendente. Si tende oltre a ciò ad

affermare che il passaggio all’autoimpiego, e a maggior ragione l’avvio di un’impresa più

strutturata (in forma societaria e con l’assunzione di dipendenti), debba leggersi come tappa

all’interno di un percorso di progressiva “stabilizzazione”. Tale lettura pare essere confermata

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dal fatto che gli stranieri che svolgono attività di lavoro indipendente, microimpresa o lavoro

autonomo con apertura di una partita IVA (situazione quest’ultima decisamente meno diffusa)

hanno un’anzianità di presenza in Italia superiore alla media. Essi registrano inoltre valori

decisamente più elevati nell’indice di stabilizzazione e ottengono una netta progressione

retributiva rispetto ai redditi percepiti dagli immigrati che lavorano alle dipendenze (Zanfrini,

2007).

Del resto il dato trova riscontro anche per quanto riguarda i cambiamenti nelle prospettive

occupazionali degli immigrati da più tempo presenti sul nostro territorio, ovvero in base alla

durata della permanenza, secondo quanto da loro indicato in relazione ad una specifica domanda

del questionario Istat sulle Forze Lavoro. Da un’analisi riferita al 2007, emerge come

all’aumentare degli anni trascorsi in Italia ci sia un incremento della quota di coloro che

svolgono un lavoro in forma indipendente sul totale degli occupati: la percentuale passa infatti

dal 12,8 per chi è in Italia da almeno 4 anni ad un’incidenza del 20,5% per chi invece dichiara di

risiedere nel nostro paese da un minimo di 10 anni. Il fenomeno è ancora più evidente

considerando solo gli uomini, che passano da un 13,3% al 22,7% (Cnel 2008).

Nell’incidenza che assume l’attività “in proprio” al crescere dell’anzianità migratoria trova

riscontro il “percorso tipo” che spesso viene citato per spiegare il percorso di vita della persona

immigrata nel mercato del lavoro italiano. Dapprima una permanenza, più o meno lunga,

nell’economia sommersa, in attesa della possibilità di fruire di una sanatoria; quindi una fase di

stabilizzazione occupazionale (tramite lavoro alle dipendenze). In un terzo momento, per i più

intraprendenti, il passaggio ad un’attività imprenditoriale, che di norma si accompagna a una

progressione retributiva.

Non è però questa l’unica motivazione all’ingresso nella realtà imprenditoriale. In altri casi si

diventa imprenditori “per forza”, all’interno di percorsi di outsourcing. Come ricorda Ambrosini

(2005), studi e riflessioni sulle dotazioni culturali specifiche di alcune minoranze immigrate

portano a concentrare l’attenzione sullo svantaggio sociale degli immigrati: questo sarebbe

l’elemento scatenante il bisogno di inventare occasioni di lavoro, come alternativa all’esclusione

sociale.

Che altro potevo fare? L’impresa edile per cui lavoravo ha lasciato a casa tutti, il lavoro è fermo,

ogni tanto viene fuori qualche piccolo lavoro, ma il capo non poteva pagarci per stare a casa. Io

ho bisogno di un lavoro per mantenere il permesso di soggiorno… ho aperto una ditta, che altro

potevo fare? Il mio capo quando può mi chiama e lavoro per lui. Non è facile per me trovare

nuovi lavori da fare, sono in Italia da 10 anni ma ho sempre lavorato sotto padrone, non conosco

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persone, ma per ora non ho altre possibilità, poi vediamo… se riprende il lavoro il capo mi ha

detto che mi riprende a lavorare con lui (N. 49, M., Marocco).

L’impresa diventa una scelta obbligata, a cui si è costretti a guardare, talora anche pesantemente

orientati da datori di lavoro che nell’esternalizzazione (collegata alla debolezza capacità

contrattuale) vedono minori costi e margini di guadagno superiori. Lo spin off aziendale può

però divenire una trappola, laddove si resti vincolati ad un solo cliente e non si sia capaci di

sviluppare attività imprenditoriali e competenze nella gestione e nella vendita.

Ai percorsi di crescita professionale e di stabilizzazione da un lato e di “scelta obbligata”

dall’altra, se ne affianca un altro, che nell’ultimo anno è apparso in crescita, in cui l’attività

autonoma rappresenta un escamotage per evitare l’ingresso in una situazione di irregolarità,

nell’impossibilità di convertire il permesso di soggiorno per attesa occupazione in permesso per

lavoro subordinato. Secondo gli operatori anche questo tipo di scelta si prefigura per molti come

“obbligata” data la situazione normativa46 e contribuisce ad aumentare il numero di soggetti con

permesso per lavoro autonomo47. Emerge quindi una sorta di “determinante burocratica” nella

decisione di intraprendere la via dell’attività in proprio.

L’aumento delle iscrizioni alla Camera di Commercio registrato in Piemonte anche nel 2009 non

dà particolari indicazioni sulle prospettive di queste neo-imprese, ma l’impressione che si ricava

dalle interviste suggerisce una lettura prudenziale della crescita numerica del numero di imprese

in un periodo di crisi generalizzata. L’imprenditorialità immigrata è allora da leggersi nelle due

facce della sua medaglia, ovvero in alcuni casi come via di promozione sociale, in altri come

tentativo di costruirsi un rifugio, spesso precario, da una situazione occupazionale difficile.

Entrambe le situazioni, per la verità, si riscontrano anche per quanto riguarda la nuova

imprenditoria italiana, soprattutto nei casi di avvio di attività di autoimpiego.

I servizi pubblici di sostegno alla creazione d’impresa, come pure gli operatori del privato

sociale che seguono, in collaborazione con fondazioni bancarie, progetti di microcredito,

segnalano un aumento delle domande non sostenibili dal punto di vista della fattibilità del

progetto d’impresa, frutto della mancanza di alternative più che della predisposizione al rischio

imprenditoriale.

Le nuove attività sono solitamente di piccola dimensione, sia commerciali sia artigiane. Il

passaggio al lavoro indipendente è stato osservato soprattutto nel settore edile. Eppure, anche

questo settore è stato colpito pesantemente dalla crisi, a causa del blocco di molti cantieri

46 L’assenza di lavoro consente, allo scadere del permesso di soggiorno, il rinnovo per attesa occupazione per ladurata di sei mesi. Alla fine di tale periodo, senza una risorsa lavorativa, il permesso non è più rinnovabile.47 Il dato statistico sarà rilevabile solo a inizio 2011.

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pubblici e privati e la chiusura di piccole e medie imprese. La riduzione delle commesse e la

maggiore difficoltà nelle relazioni e nelle dinamiche fra aziende appaltanti e sub-appaltanti

fanno venire in rilievo come per gli imprenditori l’elemento etnico sia significativo: emergono

ad esempio forme di discriminazione nelle assunzioni “a giornata”, in cui la preferenza per il

connazionale – italiano o rumeno che sia – supera la valutazione dell’esperienza e delle abilità

professionali. Nulla di nuovo, si tratta spesso di storie già sentite, ma che in un periodo di

difficoltà riemergono, contribuendo ad esasperare situazioni personali (e familiari) già

profondamente compromesse.

4.4 Il lavoro di cura: una risorsa in tempo di crisi?

Nel plasmare il settore della cura a soggetti non autosufficienti, tipicamente femminile, si

intrecciano le mancanze di un sistema di welfare che fatica a rispondere ai bisogni di una

popolazione che invecchia, e la debole formalizzazione di percorsi di certificazione delle

competenze di chi svolge lavori di assistenza domiciliare. Ma pesano anche le difficoltà delle

famiglie italiane e straniere nella congiuntura economica negativa. Le prime rivedono la quota

del bilancio familiare destinato all’assistente familiare (che talvolta viene direttamente sostituita

da un’altra donna, italiana, espulsa dal mercato del lavoro), le seconde sono disposte a tornare a

svolgere assistenza residenziale per salvare un bilancio casalingo ridotto dalla mancanza di

lavoro per gli uomini (AlmaTerra et al. 2009).

Il processo di regolarizzazione dei lavoratori domestici del 2009 ha prodotto qualche sorpresa: le

percentuali di uomini stranieri messi in regola come colf, assistente familiare o collaboratore

domestico e ancor più il numero di datori di lavoro stranieri che hanno usufruito della sanatoria è

davvero alto.

A luglio 2010 il Ministero dell’Interno ha reso noti i dati – per provincia e per nazionalità, non per

genere – delle 295mila domande formalmente rivolte all’emersione dal lavoro irregolare di colf e

assistenti familiari. Di fatto, oltre a ucraini (37mila) e moldavi (26mila), bangladeshi (19mila) e

indiani (18mila), molte domande sono state presentate da marocchini (36mila), cinesi (22mila),

egiziani (16mila) e senegalesi (14mila).

Alcune province come il Trentino hanno già reso pubblici i dati scorporati per genere: il 40% delle

colf e assistenti familiari regolarizzate sono uomini. Non solo, una famiglia su quattro che dà loro

lavoro è straniera, in gran parte asiatica e africana. Dati anomali che portano a pensare che la

sanatoria sia stata sfruttata in modo strumentale da persone in cerca di un permesso di soggiorno.

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Eppure anche all’interno del settore dei lavori di cura vi sono dei distinguo da fare. Per status

giuridico innanzitutto. Da un lato, le donne rumene che, potendo anche essere assunte dalle

strutture pubbliche di assistenza in quanto cittadine comunitarie, hanno maggiori opportunità di

inserimento lavorativo oltre a quello offerto dal mercato privato delle famiglie. In questo caso,

sono spesso sostituite da donne provenienti dall’Ucraina o dalla Moldavia, talora più disponibili

ad accettare le condizioni di lavoro proposte dalle famiglie (sul fronte dell’orario, delle mansioni

e delle retribuzioni). Una disponibilità che deriva soprattutto dal non essere in regola con il

permesso di soggiorno.

Studiare l’inserimento delle donne nei servizi alle persone significa volgere lo sguardo anche al

comparto infermieristico, dove la situazione è mutata nel corso degli ultimi due anni, poiché “a

fine secolo, quando le agenzie non avevano ancora aperto filiali estere e le infermiere si

confondevano con il flusso della migrazione generica, come avviene ancora per le russe e le

moldave, le infermiere pagavano anche 2.000 euro per essere prese in carico da un mediatore

che le portava in Italia e le passava a una cooperativa o a un’agenzia. E le agenzie arrivavano

a pagare 4.000 euro un curriculum. Ora tutto sembra più normale, per chi è entrato

nell’Unione. Non si pagano più tangenti, le agenzie serie fanno formazione, c’è una stabilità

relativa. Cioè, la stabilità consentita dal mercato e dal mutare delle norme. Se le rumene

vincono il concorso, le serbe, che magari hanno ricongiunto la famiglia e hanno le figlie a

scuola, devono fare le valige o arrangiarsi a cambiare mestiere” (Ciafaloni, 2009). La domanda

di personale non si esaurisce all’interno delle strutture pubbliche, dove la presenza rumena ha

sostituito (o spinto fuori) le altre, con assunzione diretta da parte degli ospedali e conseguente

spiazzamento del circuito delle cooperative. Assumono anche le cliniche private, ma offrendo

condizioni di lavoro (e di retribuzioni) che possono rivelare truffe e malcostume (Ires CGIL,

2008).

E’ da rilevare una differenza per provenienza, anche sul mercato del lavoro domestico: le

filippine o le latino-americane continuano ad essere le più ricercate, poiché cattoliche

mediamente ben istruite e (le prime) di lingua inglese. Tre variabili che contribuiscono al

mantenere alte le loro chances di inserimento al di là della concorrenza delle donne dell’Est

Europa, che hanno per contro la disponibilità a lavorare a tempo pieno e a volte qualifiche

professionali elevate.

Sin qui una vecchia storia, che ha tuttavia ancora delle pagine da scrivere. Nell’ultimo anno si è

irrobustito un nuovo fenomeno, quella che si potrebbe definire come “nuova generazione di

assistenti familiari”. Si tratta di donne marocchine, che si affacciano a questo mercato per la

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prima volta, spesso senza qualifica, con scarse competenze linguistiche, disposte ad accettare

qualsiasi compenso orario e condizione di lavoro, anche fissa, giorno e notte.

Ma quello che avviene adesso è il licenziamento automatico delle collaboratrici domestiche, per

assumere magari altre donne straniere di altre nazionalità, con altri stipendi, con altri stipendi

più bassi (operatrice di un’associazione latino americana, focus group Torino).

Se volevo continuare a lavorare dovevo accettare una paga più bassa…la signora mi ha detto che

sue amiche hanno trovato delle marocchine che fanno i lavori in casa per molto meno…cosa

potevo fare? Per ora mi accontento, cerco un altro lavoro ma non si trova niente (N. 50, F.,

Romania).

Non vogliamo più studiare, vogliamo lavorare. Abbiamo bisogno di guadagnare, i nostri mariti

sono senza lavoro. Va bene ogni lavoro, anche stare fissa da una persona anziana. A casa ci sono

i figli e i mariti che possono guardare la casa. Adesso dobbiamo lavorare noi.

D: E cosa ne pensano i vostri mariti?

R: Non sono contenti, ma sanno che è l’unico modo. O è così o niente. Dobbiamo pagare la luce,

l’affitto e poi dobbiamo anche mangiare.

D:vi aiuta qualcuno?

R: No, siamo tutti in difficoltà, ma nessuno lo dice. E’ difficile perché se stai male e dici che non

hai il lavoro pensano che non hai il permesso e ti possono mandare a casa. Molti di noi

rischiano. Non si può parlare in giro. Il clima è cambiato: una volta potevi camminare per

strada, sui tram ed eri tranquilla, adesso devi sempre fare attenzione, hai anche paura di parlare

nella tua lingua (focus group in una classe lingua italiana, Torino).

In questo settore non aumenta soltanto l’offerta straniera. I dati relativi agli ultimi corsi di

formazione per operatrici assistenziali registrano il ritorno di una figura da tempo scomparsa: la

donna italiana, poco istruita, di mezza età, espulsa o comunque fuori dal mercato del lavoro

industriale.

L’inserimento in questi ambiti rappresenta, in tempi di crisi, un porto sicuro per molte donne. E

anche per alcuni uomini. E’ noto da tempo il fenomeno della regolarizzazione attraverso il

lavoro domestico di uomini immigrati: è statisticamente più facile trovare un datore di lavoro

privato che non un imprenditore, anche fra i connazionali, a causa dei minori oneri di

assunzione.

Fra la popolazione immigrata, l’ingresso degli uomini nel mercato del lavoro domestico non è

un fatto nuovo: anzi, ha portato a significativi cambiamenti in quello che da sempre è stato un

settore a quasi esclusivo appannaggio femminile. E tale per altro rimane nel caso dei

collaboratori domestici italiani tra i quali gli uomini hanno sempre rappresentato una quota

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residuale. Tra quelli stranieri invece l’incidenza dei maschi tra il 1991 e il 2001 non è mai scesa

sotto il 20% e, nel 1996 è arrivata a toccare il 31,1% (Sarti, 2004).

In un contesto economico fortemente in crisi, in cui le opportunità di lavoro languono, è naturale

che ricorrere al lavoro domestico rappresenti una strategia per vedersi rinnovare il permesso di

soggiorno. Non è la prima volta nella storia del nostro paese: negli anni Novanta, in un contesto

di limitate possibilità di immigrazione legale, l’impiego nel servizio domestico ha rappresentato

un canale privilegiato per l’accesso nel nostro paese e/o la regolarizzazione. Nel 1991, in deroga

alla legge Martelli, una circolare rimasta in vigore fino al 1995 permise di entrare a lavorare nel

nostro paese i soli cittadini extracomunitari per cui fosse stata fatta richiesta come lavoratori

domestici in Italia. Tale opportunità fu ampiamente sfruttata come dimostrano le alte percentuali

di autorizzazioni all’ingresso per motivi di lavoro domestico sul totale delle autorizzazioni per

motivi di lavoro.

Tab. 5. Autorizzazioni all'ingresso per motivi di lavoro.

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Totale 31.629 23.088 22.474 24.246 16.619 20.739 27.203 36.454 31.629

Lavoro domestico 21.828 14.555 12.420 10.712 2.591 4.816 6.183 6.795 21.828

% 69,0 63,0 55,3 44,2 15,6 23,2 22,7 18,6 69,0Fonte: Ministero del Lavoro, anni vari.Al di là delle false assunzioni, che senza dubbio ci sono state allora e ci saranno nella

regolarizzazione in corso e che comunque riguardano anche donne, il fatto che uomini stranieri

abbiano accettato strumentalmente di svolgere lavori domestici e di cura per regolarizzare la

propria posizione ha un significato preciso. In fondo le stesse motivazioni sono condivise anche

da numerose donne.

Conosco 3 lingue e sono venuta in Italia per poter sostenere economicamente i miei figli, rimasti

in Romania dove stanno frequentando la scuola superiore. Sono arrivata prima che diventassimo

cittadini europei, ho trovato subito lavoro come assistente familiare, mi va bene per ora, questo

impiego mi dà la possibilità di avere un alloggio e di risparmiare quanto serve. Certo, vorrei

sfruttare le mie competenze e magari lavorare nel turismo…ma per adesso non mi lamento (N.

51, F., Romania).

I centri di formazione professionale segnalano come, in controtendenza rispetto all’ultimo

decennio, anche donne italiane e uomini sia italiani che stranieri, in maggioranza romeni o

albanesi che hanno perso il posto nei cantieri, stiano tornando a chiedere di frequentare corsi per

Operatori Socio Sanitari (OSS). Una scommessa non da poco per chi decide di sedersi di nuovo

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sui banchi di scuola, magari a 40 anni, ad imparare una professione complessa soprattutto per le

competenze richieste, occupando oltre 1.000 ore del proprio tempo di cui più della metà di

tirocinio.

I dati relativi agli iscritti ai corsi OSS negli ultimi 3 anni forniti dalla Provincia di Cuneo

mostrano per esempio una crescita continua nel numero dei frequentanti, passati da 495 nel 2008

a 675 nel 2010, con un aumento della componente maschile dall’8 al 13%, in maggioranza

italiani. Se la composizione per nazionalità dei corsi OSS rimane pressoché costante nel tempo,

con una preponderanza di italiani che rappresentano circa il 65-68%, per valutare la

partecipazione alla formazione degli immigrati sono da aggiungere i frequentanti dei corsi

modulari specifici per stranieri relativi all’ambito dell’assistenza familiare. Anche in questo

caso, si registra un aumento considerevole, con un passaggio da 155 iscritti nel 2008 a 234 nel

2010. Se i rumeni crescono numericamente nel tempo sia nei corsi OSS generali (11% del totale

nel 2010) sia in quelli specifici per stranieri (32% nel 2010), rimane ridotta la presenza

marocchina (il 3% negli OSS, il 9% negli altri).

Gli OSS sono diventate figure cardine dell’assistenza, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle

comunità dei disabili, nei diversi servizi territoriali di psichiatria, rivolti ai minori o agli anziani.

Gli insegnanti dei corsi concordano sul fatto che all’inizio, fin dagli anni Ottanta, chi

partecipava ai percorsi per diventare addetto all’assistenza, faceva una scelta chiara e

consapevole, dettata dalle proprie attitudini personali. In seguito, più recentemente, complice

anche la crisi economica, le persone che decidono di conseguire la qualifica di OSS in realtà

cercano la garanzia di un lavoro sicuro che, in linea di massima, c’è, sia per la quantità di posti

di lavoro necessari rispetto al fabbisogno, sia per il ruolo fondamentale di queste figure

professionali negli ambienti di cura ed anche per l’alto turn over che le caratterizza.

La forte domanda di queste tipologie di lavoro rappresenta un aspetto critico che nei prossimi

anni dovremo necessariamente affrontare perché questa formazione richiede, oltre a competenze

di tipo tecnico, anche una buona motivazione, abilità personali di relazione e capacità di operare

in team.

Insomma, il lavoro di cura non può rappresentare “l’ultima spiaggia” dell’occupazione, come

del resto continuano a sottolineare anche gli operatori che si occupano di mediazione fra

domanda e offerta nell’ambito delle colf e delle assistenti familiari e vedono aumentare,

quotidianamente, il numero di italiane e di uomini disponibili a questo tipo di impegno.

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5. SPECIFICITA’ E TENDENZE COMUNI.

UNA VISIONE D’INSIEME

Le ricadute della crisi economica sono ampie e si irrobustiscono nell’alveo di altri processi che

caratterizzano la relazione fra immigrati e società ospitante. E’ per questo che alcuni dei nostri

intervistati, accanto alle condizioni reddituali negative, hanno sottolineato il peggioramento del

clima generale, ovvero le novità introdotte dal “Pacchetto sicurezza”48 e l’esasperarsi di

sentimenti anti-immigrati come l’elemento che più preoccupa in questo periodo, al di là della

perdita del lavoro o di più pesanti difficoltà economico finanziarie. Infatti, come scrive M.

Pastore (2010): “Nel loro insieme, le disposizioni via via adottate (che comprendono anche

svariati interventi di portata generale, soprattutto in campo di diritto e di procedura penale)

incidono fortemente non solo sulla condizione degli immigrati irregolari, ma anche su quella

degli stranieri regolarmente soggiornanti. Nei confronti dei primi, l’intervento è caratterizzato

da un massiccio ricorso a misure di carattere penale, con funzione di supporto allo strumento

dell’espulsione amministrativa […] sono state anche introdotte misure che direttamente

incidono sulla condizione giuridica degli stessi immigrati “regolari”, sia introducendo le

“restrizioni per i ricongiungimenti” che costituivano fin dall’inizio uno degli obiettivi

conclamati del “pacchetto”, sia modificando in diverse parti il testo unico sull’immigrazione, la

legge sulla cittadinanza, il codice civile, il regolamento anagrafico, ecc.”.

Si tratta di provvedimenti che seppure non direttamente hanno inciso sulle famiglie intervistate,

di fatto diffondendo una sensazione di insicurezza e di precarietà fra chi è in Italia da tempo.

Parallelamente, anche a seguito dell’acuirsi degli effetti micro-economici della crisi, fra gli

italiani più fragili e fra quelli che hanno visto peggiorare la loro condizione sociale in un’ottica

di downward mobility l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione è peggiorato. Ecco

dunque che alla crisi economica si affianca quella dei valori, rendendo ancor più difficile il

processo di coesione sociale all’interno delle diverse realtà territoriali.

48 La ricerca si è avviata nel novembre 2009, quando da pochi mesi era entrato in vigore la Legge 15 luglio 2009, n.94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, cd “pacchetto sicurezza”. Ad oggi, al momento dellascrittura del rapporto (novembre 2010), il governo ha varato un nuovo pacchetto sicurezza, oltre alla prossimaentrata in vigore del cd. permesso di soggiorno a punti.

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5.1 Oltre la crisi finanziaria

L’attesa nei corridoi dei servizi sociali, piuttosto che nei centri per l’impiego o in coda presso i

servizi di distribuzione di alimentari del volontariato mette a confronto italiani e stranieri.

Ovvero, li mette in concorrenza per l’accesso a servizi, aiuti socio-assistenziali, opportunità di

lavoro, persino doni da parte di enti caritatevoli. Si tratta di situazioni dove la tensione rischia di

esplodere, facendo riemergere frizioni latenti fra chi è cittadino italiano e chi non lo è. I primi

rivendicano priorità nel trattamento, nella soluzione dei loro bisogni, anche laddove le situazioni

non siano così marginali come quelle di taluni cittadini immigrati. Questi, dal canto loro, siano

donne o uomini, non sempre sono consapevoli dei loro diritti, delle condizioni di accesso ai

servizi sociali e questo rende ancora più esasperante il clima. Infatti, per molti cittadini non

italiani spesso il contatto con il servizio sociale o l’associazione svela, ad esempio, inganni e

irregolarità nel trattamento lavorativo, retributivo, contrattuale, che ipotecano negativamente

l’accesso ad ammortizzatori e aiuti sociali. Da questo punto di vista, l’utente italiano dovrebbe

sentirsi, per certi versi, più al sicuro dagli attacchi al proprio welfare portati dagli immigrati. Di

fatto, però, la linea di separazione che divide nativi e immigrati di fronte ad un peggioramento

delle condizioni economiche negli ultimi due anni si va assottigliando. Aumenta, fra chi accede

ai servizi, il numero degli immigrati lungo soggiornanti, dei cittadini comunitari, o di chi ha

acquistato la cittadinanza italiana: in altre parole, aumenta il numero di coloro che possono

beneficiare di un ventaglio ampio di prestazioni.

In questo periodo la comunità rumena ha un problema suo di un’affluenza fortissima, per cui

logicamente i rumeni che stanno cercando lavoro sono proprio tanti, ma questo forse al di là

della crisi, sono talmente tanti sia donne che uomini che il mercato del lavoro non li può

assorbire tutti. E quindi questi girano, si arrabbiano, si ubriacano. E’ un fenomeno non gestito,

quindi la gente viene, non trova lavoro, poi magari torna per un periodo, poi ritorna qua.

Arrivano qui, dormono fuori dopo un po’. Chi viene con il visto, con un permesso deve avere una

garanzia in un certo senso, questi hanno niente. La situazione più difficile è quella dei rumeni

adesso… L’idea è che la maggior parte di chi non trova lavoro sta qua e vivacchia, si appoggia

agli aiuti del volontariato, fa debiti, le donne fanno un po’ di lavoro a ore in nero. Vengono allo

sportello e ci dicono “Io non lavoro, mia moglie non lavora, abbiamo l’affitto da pagare…”, noi

a volte non riusciamo a capire come vadano avanti (responsabile sportello per immigrati).

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Tab. 1. Effetti della crisi: confronto fra famiglie italiane e straniere.

Effetti della crisi Famiglie Italiane Famiglie Straniere

Riduzione del reddito disponibile

Contrazione delle spese.

Aumento del ricorso al prestito(anche in condizioni di usura).

Contrazione delle spese e dellerimesse.

Aumento del ricorso al prestito(anche in condizioni di usura).

Peggioramento delle condizioni dilavoro

Arrotondamento con lavoretti innero, ma non disponibilitàincondizionata a qualsiasiinserimento.

Disponibilità incondizionata aqualsiasi inserimento.Aumento delle situazioni di lavoromeno tutelate con conseguenze ancheeconomiche (es. contratto part-time).

Perdita del lavoro

Appoggio sulla famiglia di origine(genitori).

Utilizzo di ammortizzatori sociali

Primo arrivo ai servizi sociali persussidio economico e ai servizi delprivato sociale.

Ritorno delle donne italianenell’ambito dei servizi alla persona.

Tentativo di mettersi in proprio.

Contributo/sostegno da parte dellefamiglie in patria flussofinanziario inverso.

Condizioni contrattuali non copertedagli ammortizzatori sociali.

Ricorso (e ritorno dopo anni diinutilizzo) ai servizi sociali e aiservizi del privato sociale.

Ingresso delle donne nel MdL;aumento di uomini nell’ambito deiservizi alla persone.

Tentativo di mettersi in proprio e diottenere un permesso di soggiornoper lavoro autonomo.

Peggioramento delle condizioniabitative

Insolvenza nel pagamento del mutuo sfratto per morosità.

Accesso all’accordo per lasospensione del mutuo (accordoAbi).

Richiesta di aiuto a enti pubblici eprivati.

Insolvenza nel pagamento del mutuo sfratto per morosità.

Solo in parte sospensione del mutuo(difficoltà di traduzione e mancatoaccesso all’informazione).

Richiesta di aiuto a enti pubblici eprivati.

Ripercussioni sulla famiglia

Aumento della conflittualità interna.

Senso di fallimento del progettopersonale

Aumento della conflittualità interna.

Indebolimento delle reti.

Senso di fallimento del progettopersonale e migratorio.

Timore di ricaduta in una condizionegiuridica precaria.

Prospettive futureAttesa in Italia della conclusionedella crisi.

Rientro al paese d’origine, in modopendolare o definitiva.Emigrazione verso altro paeseeuropeo.Attesa della conclusione della crisi.

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Rispetto agli effetti della crisi sulle famiglie italiane e quelle di origine straniera inserite in modo

stabile sul territorio italiano nei comportamenti attuati per fronteggiare la situazione si

riscontrano più frequentemente similitudini: a fronte della riduzione del reddito o di perdita di

lavoro, contrazione delle spese e degli investimenti – con l’aggravante per gli stranieri della

riduzione delle rimesse -, ricerca di lavori in nero o, nei casi migliori, di occupazione nel settore

di cura, o ancora tentativo di avviare un’attività in proprio (per gli immigrati anche come

escamotage per il rinnovo del permesso), accesso ai servizi pubblici e del privato sociale per

ricevere sostegno economico e materiale, difficoltà nel mantenimento della casa che può

sfociare in situazioni di sfratto, aumento della conflittualità in famiglia a causa del senso di

fallimento del proprio progetto di vita. Due sembrano essere le differenze maggiori, sia nelle

condizioni di partenza sia negli esiti. Sul versante delle condizioni di partenza, la famiglia

straniera al di là della perdita del lavoro può essere messa in ginocchio dalla fragilità della

propria condizione giuridica. Il lavoro in nero, spesso, paradossalmente, ancora di salvezza nelle

famiglie italiane, non garantisce ciò che per uno straniero (ovvero non comunitario) è

fondamentale: il permesso di soggiorno. Sull’altro versante, quello degli esiti, fra gli stranieri vi

è più facilità a pensare ad una ricerca di lavoro in altre province o regioni, o a ritornare nel

proprio paese d’origine, così come ad essere disposti ad accettare qualsiasi turno o mansione, o

situazioni di lavoro meno tutelate. Qualche operatore ha, inconsapevolmente, utilizzato un

approccio culturalista nel ricordarci come per gli stranieri l’essere disposti a qualsiasi cosa sta un

po’ nella scelta che hanno fatto nel momento di partire. Quasi a dire che l’attraversamento della

frontiera non solo porti con sé la rinuncia a ciò che si era professionalmente e ai propri sogni di

carriera e soddisfazione lavorativa, ma anche l’incondizionata accettazione di qualsiasi

condizione di lavoro. Questo può essere vero per la prima fase, quella della nuova vita in

emigrazione in cui la regressione sociale e l’accettazione dei lavori dalle 3 D (dirty, dangerours

and demanding) sono messi in conto. Ma dopo anni, dopo una relativa stabilizzazione, cosa

succede di fronte ad un elemento inaspettato (chiusura di una fabbrica, interruzioni dei cantieri,

contrazione delle esternalizzazioni dei servizi pubblici49) e al rischio di un balzo indietro di

anni?. Quali i riflessi anche psicologici su uomini e donne, invecchiati e provati dall’esperienza

migratoria? E quali le ricadute sulle generazioni dei figli? Nuovamente, si alza la barriera fra chi

è cittadino e chi non lo è.

49 La contrazione di risorse ha significato in Piemonte riduzione di corsi di formazione, di finanziamento di sportelliinformativi e di altre varie attività di segretariato sociale in cui molti immigrati erano impiegati, ad esempio comemediatori culturali, come formatori.

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5.1.1. Cittadini, semi-cittadini, immigrati

Diventare italiani non è un sogno, ma una necessità o una tappa per raggiungere un altro

traguardo. Da italiani ci si muove all’estero, in cerca di lavoro, più facilmente. Da italiani non si

ha bisogno di permessi di soggiorno, di osservare quote di ingresso o di visti. La cittadinanza, in

un periodo di crisi, svela maggiormente il suo carattere strumentale. E continua a discriminare.

Chi è cittadino ha l’accesso pieno a tutte le prestazioni di welfare. Chi è cittadino non può essere

mandato via dal proprio paese, anche se senza lavoro e senza reddito. Ma sebbene il numero

delle acquisizioni di cittadinanza siano cresciute nell’ultimo anno (e quelle per naturalizzazione

abbiano superato quelle per matrimonio, secondo i dati Istat), la maggioranza delle famiglie

immigrate incontrate o non ha ancora presentato domanda di cittadinanza o l’ha fatto, senza

alcun esito sinora.

E’ chiaro come la condizione giuridica dello straniero sia un forte elemento di differenziazione

fra nativi e immigrati, ma anche fra gli stessi immigrati. E nel corso della ricerca, il sollievo

delle famiglie rumene dal non doversi preoccupare anche del permesso di soggiorno è emerso

con chiarezza Anche se questo sentimento non è gustato appieno. Molti non si sentono cittadini,

ma solo semi-cittadini. L’ingresso nell’UE, l’essere comunitari, non ha scrollato loro di dosso

l’immagine dell’immigrato, dell’uomo o della donna in Italia per necessità, senza qualifica,

senza prospettive. Numerose ricerche50 hanno dimostrato il contrario, ma è noto come la

percezione della cittadinanza su un tema come è quello dell’immigrazione sia distante dalla

realtà (German Marshall Fund et al., 2010). La cittadinanza europea, artificio giuridico più che

istituto reale, garantisce la permanenza, la libera circolazione, ma non la positiva accettazione da

parte dei nativi, né eguali chances e trattamenti nel mercato del lavoro.

Viceversa, per i marocchini (e soprattutto per coloro che ancora non hanno raggiunto né la

cittadinanza né il soggiorno di lungo periodo) il “Pacchetto sicurezza” ha creato ansie e

preoccupazioni. E’ vero, le famiglie intervistate sono quelle da più tempo in Italia, con un

relativo processo di stabilizzazione alle spalle. Ma è noto come l’uscita dall’irregolarità non sia

un percorso facile e, come hanno più volte ricordato i giuristi, nell’irregolarità si può ritornare.

Ed è questo il timore di molte famiglie marocchine: di non essere al sicuro dopo tanti anni. Di

ritrovarsi dopo varie vicissitudini nella stessa condizione di chi è appena arrivato o in Italia da

poco tempo. E il sentimento di frustrazione, di continuare e sentirsi solo braccia da lavoro e non

persone sembra dipingersi sui volti di uomini e donne che hanno nel loro orizzonte di vita i

comuni del cuneese o la realtà metropolitana del torinese.

50 Cfr. num. monografico Studi emigrazione sulle migrazioni dall’Est Europa; Ricci, 2010; Cingolani, 2008.

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5.2. Lo sguardo al futuro

Molte delle famiglie intervistate hanno, più o meno consapevolmente, interiorizzato come

l’Italia sia il loro orizzonte di vita e che un ritorno nel Paese d’origine non necessariamente

porterebbe benefici né si realizzerebbe con costi umani bassi. Se un nuovo sforzo si deve fare,

questo sembra ammissibile solo nel caso in cui la meta sia un diverso paese europeo, dove

garanzie di migliori welfare e mercato del lavoro possono garantire opportunità per il presente,

ma soprattutto per il futuro dei figli. Sono i figli, ancora una volta, al centro delle

preoccupazioni e delle scelte delle famiglie immigrate. Per molti padri e madri alla base del

progetto migratorio vi è, fra l’altro, l’idea di andare all’estero per poter garantire migliori

opportunità educative ai figli, anche di fronte alle difficoltà i figli sono la cartina di tornasole

attraverso cui leggere i comportamenti delle famiglie.

Rispetto al futuro c’è problema di lavoro ma soprattutto di sentire questa espressione di

xenofobia e discriminazione. Io capisco ancora gli adulti, che sono bombardati dai media, dai

partiti politici, ma quando i messaggi sono trasmessi ai bambini allora diventa pericoloso. I

bambini raccontano che i coetanei a scuola dicono “andate al vostro paese”. Se decidi di fare il

figlio qui, lui non potrà capire, sarà vittima della scelta dei suoi genitori che hanno deciso di

vivere qui. I bambini hanno genitori marocchini ma culturalmente sono italiani. E’ la scuola che

può trasformare la società ma quando questo sentimento arriva ai ragazzini, che non è normale,

allora la società non va bene. Mi piacerebbe fare qualcosa in Marocco ma il problema che non

c’è niente. Noi vorremmo fare nascere nostro figlio in Marocco (N. 21, M, Marocco).

La presenza e il comportamento dei bambini e degli adolescenti figli dell’immigrazione a scuola

rivelano difficoltà economiche familiari, quando non si può più pagare la retta della mensa o del

pulmino per le attività scolastiche in orario pomeridiano. O ancora quando si chiede

all’insegnante un lavoretto extrascolastico da conciliare con lo studio per aiutare la famiglia.

Allo stesso tempo, però, i genitori cercano di comprendere con insegnanti, operatori sociali e del

volontariato quali potrebbero essere le conseguenze di un trasferimento in corso d’anno dei figli

in un’altra scuola. E ancora, quali sostegni poter attivare per non dover rinunciare alla loro

formazione scolastica per i costi elevati. In questo senso, si segnalano le iniziative di soggetti del

privato sociale (ad esempio Ufficio Pio e Fondazione per la Scuola della Compagnia di San

Paolo), che propongono borse di studio e forme di sostegno scolastico per gli studenti più

meritevoli inseriti in famiglie in difficoltà economiche. Di queste iniziative, hanno a volte

beneficiato anche studenti stranieri. Vi sono poi i giovani che a scuola non ci vanno più o che

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sono già troppo grandi. Per chi si è allontanato dalla scuola, emergono preoccupazioni fra gli

operatori, come ricorda un insegnante di un centro di formazione professionale:

“I nostri studenti migliori sono i ragazzi stranieri, sono i più motivati, hanno voglia di imparare,

di lavorare […] di recente però anche qui la crisi si sente. Le aziende fanno fatica a prendere

degli stagisti, a inserire ragazzi in tirocinio. E questo i ragazzi lo capiscono. Si percepisce che fra

di loro serpeggia un senso di paura per un lavoro che forse non ci sarà. Alcuni, ma soprattutto

fra i pochi italiani, non vengono più a scuola. Gli stranieri ancora resistono, ma quello che si

nota rispetto a qualche anno fa è un aumento delle tensioni fra i due gruppi, ma anche fra quelli

dell’Est e i marocchini. E’ un brutto segnale: perché se noi siamo in piccolo quello che è la

società la fuori, allora ci dobbiamo aspettare scontri fra bande, fra italiani e stranieri più poveri

e gli altri, fra ragazzi che non ce la fanno e gli altri” (insegnante centro di formazione

professionale, Cuneo).

Vi sono poi gli altri, i giovani, soprattutto rumeni, che sembrano essere forse il gruppo più

vulnerabile. Vi è infatti chi si è diplomato in Italia si trova di fronte un mercato del lavoro che

discrimina, come racconta la storia di S., diplomato a Torino, con un buon voto, molto

entusiasmo. Avrebbe voluto iscriversi all’università, ma per ora non è stato possibile. A

settembre 2009, ha iniziato a cercare lavoro. Niente, ha trovato solo un lavoretto come garzone

presso un signore che consegna il latte ai bar al mattino. E’ frustrato, sconsolato. Racconta che si

è sentito trattato come l’ultimo immigrato appena arrivato “Qui in Italia pensavo di essere a

casa, ci vivo da quando avevo dieci anni, ma non è così. Se arrivi da straniero, resti sempre uno

straniero. Forse non è così per gli amici, ma loro non ti danno il lavoro, con loro stai bene, ma

quando cerchi lavoro scopri la vera realtà”. S. a gennaio è tornato in Romania per lavorare in

un’impresa italiana. Lo abbiamo incontrato a settembre, di nuovo a Torino. L’esperienza in

Romania è stata deludente: i costi anche in patria sono alti e lo stipendio basta appena e “Per noi

che arriviamo dall’Italia la condizione di lavoro non è buona, i colleghi rumeni non ti

considerano perché pensano che sei italiano, gli altri – i pochi italiani – ti stanno alla larga, ero

troppo giovane, ma soprattutto non abbastanza italiano”. S. oggi è ancora in cerca di lavoro, vive

con la madre, che lavora tre giorni alla settimana in una casa di cura con una cooperativa. Il

padre fa il muratore, lavora in provincia di Alessandria e torna a casa nei fine settimana. A

Torino, S. si occupa della sorella più piccola, che fa la seconda media e sogna di diventare

veterinaria. Lui sognava di diventare ingegnere, adesso vuole solo un lavoro.

La storia di S. è emblematica della condizione di molti giovani stranieri, che in un momento di

difficoltà diventa solo più evidente, ma che di fatto è nota: essere “un pesce fuor d’acqua” in

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entrambi di Paesi di riferimento. E ancor di più in questo momento storico, quando “in Romania

iniziano a farsi sentire gli effetti negativi dell’eccessivo turnover dei lavoratori qualificati

(maggiormente attratti dall’estero e disposti a trattenersi solo per retribuzioni più elevate) ed è

insufficiente la stessa manodopera generica, specialmente nelle costruzioni, dove servirebbero

altri 300 mila operai. Non di rado avviene che i romeni si licenzino in Romania per venire a

lavorare in Italia […] il ritorno di chi è immigrato, e cioè le cosiddette migrazioni circolari o

degli “europendolari”, mostra una minore consistenza rispetto a quanto preventivato anche

perché si è sperimentato che, specialmente in questo periodo di crisi, il “comitato di

accoglienza” per chi torna è costituito da disoccupazione ed emarginazione”. (Pittau, Ricci,

2010: 713).

La storia speculare di S. è quella di altri giovani che vengono in Italia per cercare un lavoro,

forse senza neanche troppo entusiasmo o determinazione, e che di fronte alle prime difficoltà

tornano indietro, senza troppe preoccupazioni. Si riesce a vivacchiare anche là, in attesa della

ripresa delle rimesse e di diventare davvero adulti e quindi chiamati a prendersi delle

responsabilità.

5.3. Quale lezione possibile?

Se è vero che per intervenire su un qualsiasi fenomeno sociale occorre conoscerlo, un dato

significativo che emerge è la mancanza di coordinamento nella raccolta di informazioni, dati,

notizie su cosa stia accadendo nelle varie realtà provinciali per quanto riguarda l’impatto della

crisi sugli immigrati. In tutti e tre i contesti locali si è registrata una pluralità di iniziative e di

attori coinvolti, così come di cosiddetti interventi anti-crisi, che però, ad uno sguardo esterno,

soffrono di mancanza di coordinamento. E’ questo un dato di criticità, già evidenziato da

ricerche precedenti, ma che di fronte ad una generale e corale denuncia di carenza di risorse a

fronte di un aumento di bisogno stride ancora di più. Vi sono in effetti vincoli istituzionali che

frenano lo sviluppo di coordinamenti fattivi. Talora mancano le risorse (umane e finanziarie), il

tempo (gestire l’ordinario diventa più importante dell’attenzione ad un fenomeno straordinario).

Manca inoltre, in molti casi, la consapevolezza della gravità del momento storico e della

pervasività di una crisi che non interessa solo i servizi sociali o quegli enti del privato sociale

che svolgono attività di assistenza socio-economica. E’ per questo che nello svolgimento della

ricerca abbiamo contattato e cercato di coinvolgere nei seminari di aggiornamento/discussione

attori di diversi ambiti della società (dal lavoro all’assistenza sociale, dalla scuola alle

organizzazioni di categoria, dai sindacati all’associazionismo etnico, dai centri di ricerca a chi

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sviluppa politiche). Dalla crisi si può uscire, come ricordava il Presidente Napolitano, se tutti

investiamo le nostre energie migliori. Il nostro sforzo, occorre notarlo, è stato apprezzato, quasi

considerato come una ventata di novità di fronte ai già citati tavoli anti-crisi che da iniziativa di

sistema sono diventati occasione più di lamentatio che di proposizione. Quali raccomandazioni

possibili? Prima di tutto, mettere sul tavolo non solo problematiche, ma anche analisi della

situazione e possibili tentativi di soluzione, offrendo quadri di sintesi dei dati ma anche dei

servizi e degli interventi in corso, presentando situazioni e iniziative di altri territori,

promuovendo la progettazione congiunta con il coinvolgimento di tutti gli attori locali, pubblici

e privati. Per quanto riguarda la componente immigrata, è doveroso ricordare gli sforzi fatti e le

risorse impegnate per promuovere processi di integrazione stabili e duraturi: oggi essi rischiano

di essere vanificati se si pensa al cittadino straniero solo nell’ottica della sua funzionalità

economica e non come una componente strutturale della popolazione e del tessuto socio-

economico di ogni territorio. In tal senso, un’attenzione particolare ci sembra debba essere

garantita alle due categorie che rischiano di subire i contraccolpi maggiori della crisi economica,

sia sul fronte occupazionale sia su quello dell’integrazione sociale: le donne e i giovani. Come

aiutare dunque le donne straniere a realizzare il proprio inserimento occupazionale e sociale,

spesso messo in atto per fronteggiare una situazione familiare di difficoltà? Prima di tutto,

continuare a lavorare per coinvolgere la componente femminile nei processi di integrazione

sociale e spezzare le situazioni di isolamento domestico. Poi potenziare l’offerta formativa, a

partire dalla lingua italiana fino alle competenze tecniche e trasversali (non solo nel lavoro di

cura), organizzare e diffondere servizi di accudimento dei figli51, anche attraverso esperienze di

mutuo aiuto tra famiglie, sviluppare forme di accompagnamento e sostegno ai nuclei familiari

che affrontano cambiamenti così significativi, con una particolare attenzione alla prevenzione

dei conflitti tra i coniugi e con i figli.

Sul fronte dei giovani, è opportuno lavorare per garantire opportunità di informazione e di

formazione pari a quelli di coetanei italiani, i quali possono spesso contare su una rete familiare

e su un capitale sociale da cui i figli dell’immigrazione sono esclusi. Per contro, questi ultimi

rischiano, ancor più in tempi di crisi, di restare intrappolati nelle nicchie dei “lavori da

immigrati”. E in questo senso, la possibilità di ricorrere a reti etniche aumenta tale rischio. Le

politiche attive da mettere in campo, in questo caso, non possono non tener conto di una

generale difficoltà, da parte di istituzioni e privato sociale, nella realizzazione di nuove proposte

51 La recente ricerca-azione sulla provincia di Torino, I lavori delle donne, realizzata da Associazione Almaterra,et.al. (febbraio 2009), ha evidenziato come le politiche di conciliazione e antidiscriminatorie attuate non tengonoancora abbastanza in considerazione la specificità delle “donne migranti, che sono maggiormente colpite dalproblema della conciliazione, a causa della mancanza dell’appoggio della rete familiare e possono subirediscriminazioni multiple” (p. 17).

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rivolte ai giovani, siano essi italiani o stranieri. Tuttavia, la crisi va letta come un forte richiamo

alla centralità della formazione e all’esigenza di aumentare la capacità delle nuove leve di

confrontarsi con una società ed un mercato del lavoro più complesso del passato e in continua

evoluzione.

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Allegato 1 – Prospetto degli intervistati52

N. Provenienza Sesso EtàComposizione

famigliaCondizione

professionaleN. anniin Italia

Condizioneprofessionale

coniuge1 Marocco F 36 Marito, 1 figlio Oss 17 Operaio2 Romania F 45 Marito, 1 figlio Addetta pulizie 12 Facchino

3 Romania F 45Marito, 1 figlio qui

e 1 figlia inRomania

Infermiera 11 Autotrasportatore

4 Marocco M 41 Moglie, due figli Operaio specializzato 18 Casalinga

5 Marocco M 38Moglie, 2 figli + 1

fratelloOperaio 21

Saltuariamenteassistentefamiliare

6 Marocco F 26Madre, padre, 1

fratello

Disoccupata, stacercando di aprire una

gastronomia con lamadre

14-----

7 Marocco F 49 Marito, 2 figliCasalinga,

saltuariamente babysitter

14Operaio e

imbianchino

8 Marocco M 53 Moglie, 2 figli Operaio e imbianchino19

Casalinga,saltuariamente

baby sitter9 Romania F 18 Madre, 1 fratello Studente 5 -----

10 Romania F 42 2 figliAssistente familiare in

casa e nei we inospedale

9-----

11 Romania F 38 2 figliAssistente familiare

per conto di unacooperativa

7-----

12 Marocco M 42 Moglie, 3 figliAutista,

occasionalmentemuratore

21 Casalinga

13 Romania F 35 MaritoMediatrice culturale e

impiegata8 Infermiere

14 Marocco F 24Madre, padre, 1

fratelloDisoccupata, lavorisaltuari c/o pizzeria

10 -------

15 Marocco F 36Marito,

separazione incorso

Operatrice sportelloinformativo

15 Operaio

16 Marocco F 38 Marito, 2 figli Mediatrice culturale 13 Educatore

17 Romania F 32 MaritoResponsabile centro

estetico9

Imprenditoreedile

18 Romania M 35 Moglie Imprenditore edile 11Responsabilecentro estetico

19 Marocco F 39 Marito, 1 figliaMediatrice culturale e

OSS12 Pizzaiolo

20 Marocco M 39 Moglie, 2 figli Operaio specializzato 20 Casalinga

21 Marocco M 37 Moglie, senza figli Operaio 15Assistente alla

compagnia22 Marocco F 40 Marito, tre figli Colf 16 Invalido

23 Marocco F 38Marito, 2 figli,fratello a carico

OSScasalinga

15 Commerciante

24 Marocco M 60Moglie, 4 figli dicui 3 autonomi

Commerciante 35 Colf

25 Marocco M 55 Moglie, tre figli Operaio edile 30 Casalinga26 Marocco M 35 Moglie, 1 figlio Mediatore culturale 16 Casalinga

52 I nuclei familiari sono evidenziati.

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27 Marocco F 36 Marito, 2 figli Mediatrice culturale 12 Operaio

28 Romania F 37Marito, 1 figlio,padre a carico

Commerciante 11 Operaio

29 Romania F 45 2 figli in Italia OSS 1830 Romania F 42 2 figli in Romania Badante 6

31 Romania F 44 Marito, 2 figli colf 14Imprenditore

edile

32 Romania F 32 Marito, 1 figlio colf 5Operaio in

allevamento33 Romania F 31 Marito, 1 figlio colf 4 Operaio34 Romania M 30 Moglie, 1 figlio Operaio in agricoltura 7 Colf35 Romania M 46 Moglie, 3 figli Operaio in Cig 16 Disoccupata36 Marocco M 32 Moglie, 1 figlio Muratore 4 Casalinga

37 Romania F 39Marito, 1 figlio in

RomaniaInfermiera in casa di

cura4 Panificatore

38 Marocco F 36 Marito, 2 figlio Casalinga 10Addetto

montaggioponteggi

39 Marocco M 38 Moglie, 2 figliAddetto montaggio

ponteggi15 Casalinga

40 Marocco M 53Moglie, 2 figli, sicui 1 autonomo

Operaio tecnico 25 Casalinga

41 Marocco M 48 Moglie, 3 figli Catramista 27 Colf ad ore

42 Romania F 34 Marito, 2 figli Impiegata 9Imprenditore

edile43 Romania M 39 Moglie, 2 figli Imprenditore edile 11 Impiegata

44 Marocco M 45 Moglie, due figli Muratore 12 Casalinga45 Marocco F 39 Marito, due figli Casalinga 8 Muratore46 Marocco M Muratore 447 Marocco M 46 Moglie, 1 figlia Muratore 15 Colf a ore48 Marocco F 34 Marito, 1 figlia Colf a ore 10 Muratore49 Marocco M 49 ---------- Muratore 10 ----------

50 Romania F 461 figlio inRomania

Badante 5 ----------

51 Romania F 36 2 figli in Romania Badante 8 ----------52 Romania M 38 Compagna Allevatore di bestiame 5 Operaia

53 Romania F 32 CompagnoOperaia settoremetalmeccanico

10 Allevatore

54 Romania M 40 Moglie e 2 figli Agricoltore 4 Colf55 Romania F 40 Marito e 2 figli Colf 4 Agricoltore56 Romania M > 45 Moglie e 4 figli Fotografo 14 Commessa57 Marocco F 37 Marito Mediatrice culturale 15 Operaio58 Marocco M 43 Moglie Operaio 10 Mediatrice59 Romania F 38 ---------- Ambulante 4 ----------60 Marocco M 39 Moglie Facchinaggio 12 Casalinga61 Romania M 27 ---------- Agricoltore 3 ----------

In aggiunta a queste interviste, sono stati realizzati altri incontri con cittadini marocchini,

rumeni, ma anche di altre provenienze, le cui discussioni hanno fornito importanti informazioni

per la ricerca, ma che si configurano come discussioni all’interno di attività di centri di

formazione, di CTP (Centri Territoriali per l’Educazione Permanente), associazioni.

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