Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di...

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Page 1: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

Adelchi BaratonoLe due facce di Carlo Marx

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Le due facce di Carlo MarxAUTORE: Baratono, AdelchiTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Le due facce di Carlo Marx : economismo eromanticismo : breve corso di critica marxista / diAdelchi Baratono. - Genova : Di Stefano, 1946. - 220p. ; 21 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 14 giugno 2018

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1

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0: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI019000 FILOSOFIA / Politica

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4AVVERTENZA..............................................................8ILE DUE SORGENTIDEL MATERIALISMO STORICO.............................10IIL' ECONOMISMO POLITICO....................................24IIIREVISIONISMO MARXISTA....................................31IVLE LEGGI ECONOMICHE DI TENDENZA.............43VLE LEGGI POLITICHE DI TENDENZA...................54VIDALL'UNO ALL'ALTRO MARX...............................67VIIMARX E L'IDEALISMO ROMANTICO...................78VIIIMARX E LA SINISTRA HEGELIANA......................90IXLE GLOSSE AL FEUERBACH................................104XLA CRITICA DEL MARXISMO...............................118XISULLE ORME DI MARX.........................................132

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4AVVERTENZA..............................................................8ILE DUE SORGENTIDEL MATERIALISMO STORICO.............................10IIL' ECONOMISMO POLITICO....................................24IIIREVISIONISMO MARXISTA....................................31IVLE LEGGI ECONOMICHE DI TENDENZA.............43VLE LEGGI POLITICHE DI TENDENZA...................54VIDALL'UNO ALL'ALTRO MARX...............................67VIIMARX E L'IDEALISMO ROMANTICO...................78VIIIMARX E LA SINISTRA HEGELIANA......................90IXLE GLOSSE AL FEUERBACH................................104XLA CRITICA DEL MARXISMO...............................118XISULLE ORME DI MARX.........................................132

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XIILA MAGNA CARTA DEL SOCIALISMO...............144XIIIPER UNA FILOSOFIA DEL SOCIALISMO............165

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XIILA MAGNA CARTA DEL SOCIALISMO...............144XIIIPER UNA FILOSOFIA DEL SOCIALISMO............165

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LE DUE FACCEDI CARLO MARX

(ECONOMISMO E ROMANTICISMO)

———

BREVE CORSO DI CRITICA MARXISTA

DI

ADELCHI BARATONO

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LE DUE FACCEDI CARLO MARX

(ECONOMISMO E ROMANTICISMO)

———

BREVE CORSO DI CRITICA MARXISTA

DI

ADELCHI BARATONO

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AVVERTENZA

Le pagine che seguono sono state scelte e redatte so-pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso dilezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università di Genova. E noi lepubblichiamo per corrispondere al desiderio e alle pre-mure di molti discepoli e uditori, e di una quantità di al-tre persone che non hanno potuto assistere alle lezioni.Siamo certi che questo Saggio di Critica marxista verràapprezzato da un largo pubblico curioso o studioso dellamateria, il quale vi troverà quella novità e profondità divedute che caratterizzano il pensiero del nostro Autore.

Questi tuttavia desidera che il lettore venga prima av-vertito della estemporaneità di tale redazione, nella qua-le egli non è intervenuto. Essa certamente presenta il di-fetto e il pregio di simili scritti, collazionati sulla vivavoce di un Maestro; essi appariscono sempre formal-mente deboli e sciatti, perdendo il calore della parolasenza acquistare il rigore e la concisione dell'opera stil-lata a tavolino; ma in compenso presentano quella chia-rezza divulgativa, che si chiede appunto dal lettore co-

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AVVERTENZA

Le pagine che seguono sono state scelte e redatte so-pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso dilezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università di Genova. E noi lepubblichiamo per corrispondere al desiderio e alle pre-mure di molti discepoli e uditori, e di una quantità di al-tre persone che non hanno potuto assistere alle lezioni.Siamo certi che questo Saggio di Critica marxista verràapprezzato da un largo pubblico curioso o studioso dellamateria, il quale vi troverà quella novità e profondità divedute che caratterizzano il pensiero del nostro Autore.

Questi tuttavia desidera che il lettore venga prima av-vertito della estemporaneità di tale redazione, nella qua-le egli non è intervenuto. Essa certamente presenta il di-fetto e il pregio di simili scritti, collazionati sulla vivavoce di un Maestro; essi appariscono sempre formal-mente deboli e sciatti, perdendo il calore della parolasenza acquistare il rigore e la concisione dell'opera stil-lata a tavolino; ma in compenso presentano quella chia-rezza divulgativa, che si chiede appunto dal lettore co-

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mune. Facciamo quindi forza alla ritrosia del prof. Bara-tono; e vivamente ringraziamo il suo Assistente di Filo-sofia Teoretica, prof. Giuseppe Dagnino, di essersi sob-barcato alla intelligente fatica di scelta e di compilazio-ne.

L'Editore

Genova, giugno 1946.

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mune. Facciamo quindi forza alla ritrosia del prof. Bara-tono; e vivamente ringraziamo il suo Assistente di Filo-sofia Teoretica, prof. Giuseppe Dagnino, di essersi sob-barcato alla intelligente fatica di scelta e di compilazio-ne.

L'Editore

Genova, giugno 1946.

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ILE DUE SORGENTI

DEL MATERIALISMO STORICO

Filosofia e politica, che non di rado ci apparisconmolto lontane, se non opposte fra loro, son poi legate in-sieme da vincoli così numerosi, che alla fine sotto ognidottrina politica giace sempre un indirizzo filosofico.Della teoria, che oggi di nuovo si agita nelle riviste e neigiornali e s'intitola il materialismo storico, trovi gl'incu-naboli proprio nel fuoco di due opposte correnti di pen-siero: da una parte, il positivismo che già si annuncianella prima metà del secolo XIX, dall'altra, l'hegelismoche ancora trionfa in Germania. Il padre del materiali-smo storico, Carlo Marx, vi si trovò appunto nel mezzo,prima, proprio materialmente, nella sua patria renana,fra il pensiero germanico e quello francese, poi, ambien-talmente, fra orientamenti di tipo profondamente ideolo-gico, al punto che da principio egli pensava proprio difondar la filosofia del proletariato (la medesima che piùtardi l'Engels chiamò la filosofia della miseria), asseren-do in una sua lettera, che essa non avrebbe potuto trion-

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ILE DUE SORGENTI

DEL MATERIALISMO STORICO

Filosofia e politica, che non di rado ci apparisconmolto lontane, se non opposte fra loro, son poi legate in-sieme da vincoli così numerosi, che alla fine sotto ognidottrina politica giace sempre un indirizzo filosofico.Della teoria, che oggi di nuovo si agita nelle riviste e neigiornali e s'intitola il materialismo storico, trovi gl'incu-naboli proprio nel fuoco di due opposte correnti di pen-siero: da una parte, il positivismo che già si annuncianella prima metà del secolo XIX, dall'altra, l'hegelismoche ancora trionfa in Germania. Il padre del materiali-smo storico, Carlo Marx, vi si trovò appunto nel mezzo,prima, proprio materialmente, nella sua patria renana,fra il pensiero germanico e quello francese, poi, ambien-talmente, fra orientamenti di tipo profondamente ideolo-gico, al punto che da principio egli pensava proprio difondar la filosofia del proletariato (la medesima che piùtardi l'Engels chiamò la filosofia della miseria), asseren-do in una sua lettera, che essa non avrebbe potuto trion-

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fare, se non a traverso una simultanea attuazione dei finidel proletariato, e questo a sua volta non sarebbe mairiuscito nel suo intento, se non mediante il trionfo d'unaconcezione filosofica. S'intende, ch'eravam nel climadel primo romanticismo, quando la filosofia era il panedi tutti e da ogni parte insorgeva l'esaltazione dei valoridel pensiero e dello spirito, mentre s'opponevan fra lorola concezione idealistica, di cui Giorgio Hegel è il prin-cipale rappresentante, e quella materialistica, e più stret-tamente sociologia, che trovò in Augusto Comte il fon-datore non soltanto del positivismo in opposizione al'idealismo, ma anche della sociologia come scienza ge-nerale, ossia fondamentale. Di questa sociologia comtia-na e di quell'ispirazione filosofica è nutrito il marxismo,tant'è vero, che riesaminandone le fonti più da vicino,comprenderemo anche meglio la stretta unità di Marx,da una parte con Augusto Comte e con tutto il pensierofrancese, dall'altra con Hegel e la scuola della sinistrahegeliana, cui egli aveva appartenuto in Germania.

A traverso una prima ricognizione, introduttiva a unacritica più approfondita e scientifica, dobbiamo vedere,aventi tutto, che cosa significa materialismo storico peri suoi fondatori, e qual'è intanto la sua parte più concre-ta, sulla quale oggi torna a riaccendersi la discussione.Ho accennato, che si tratta d'una teoria di tipo sociologi-co, sociologia essendo la scienza che concerne l'unitàsociale e che il Comte sostituiva alla psicologia prece-dente, riguardante invece l'individualità sociale, ossial'individuo con le sue attività pratiche e teoretiche. Ne-

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fare, se non a traverso una simultanea attuazione dei finidel proletariato, e questo a sua volta non sarebbe mairiuscito nel suo intento, se non mediante il trionfo d'unaconcezione filosofica. S'intende, ch'eravam nel climadel primo romanticismo, quando la filosofia era il panedi tutti e da ogni parte insorgeva l'esaltazione dei valoridel pensiero e dello spirito, mentre s'opponevan fra lorola concezione idealistica, di cui Giorgio Hegel è il prin-cipale rappresentante, e quella materialistica, e più stret-tamente sociologia, che trovò in Augusto Comte il fon-datore non soltanto del positivismo in opposizione al'idealismo, ma anche della sociologia come scienza ge-nerale, ossia fondamentale. Di questa sociologia comtia-na e di quell'ispirazione filosofica è nutrito il marxismo,tant'è vero, che riesaminandone le fonti più da vicino,comprenderemo anche meglio la stretta unità di Marx,da una parte con Augusto Comte e con tutto il pensierofrancese, dall'altra con Hegel e la scuola della sinistrahegeliana, cui egli aveva appartenuto in Germania.

A traverso una prima ricognizione, introduttiva a unacritica più approfondita e scientifica, dobbiamo vedere,aventi tutto, che cosa significa materialismo storico peri suoi fondatori, e qual'è intanto la sua parte più concre-ta, sulla quale oggi torna a riaccendersi la discussione.Ho accennato, che si tratta d'una teoria di tipo sociologi-co, sociologia essendo la scienza che concerne l'unitàsociale e che il Comte sostituiva alla psicologia prece-dente, riguardante invece l'individualità sociale, ossial'individuo con le sue attività pratiche e teoretiche. Ne-

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gando che la psicologia possa assurgere al ruolo discienza fondamentale, per es. come la fisica la chimicala biologia, perchè non ha un suo proprio obietto reale,dal momento che il pensiero umano è sociale e non indi-viduale, il Comte fece una delle sue più ardite afferma-zioni: ossia, che il mio pensiero, come quello di ciascunaltro, non è soltanto mio, ma è invece un risultato socia-le, che non ci sarebbe senza la società. Per cui, sottoogni idea etica ci son delle correnti di pensiero che ap-partengono alla società, in quanto ne risultano, e non cisarebbero nel solo individuo. Se quindi dalle scienzedella natura saliamo a quelle dello spirito, o scienze mo-rali, troviam che a loro fondamento non va posta la psi-cologia, che rimane invece una parte della biologia, os-sia della scienza riguardante la vita, bensì la sociologia,la quale ci consente di stabilire delle leggi (sociologi-che) che divengono il fondamento del nostro giudiziosui fatti storici e quindi ci avviano a comprender la sto-ria.

Il Comte vedeva la società come l'insieme delle atti-vità che diciamo sociali in quanto c'è scambio di servizifra uomini uniti per un fine comune: a cominciardall'economia, riguardante i fenomeni della produzione,dello scambio e della distribuzione della ricchezza (iquali fin dal '700 erano stati enucleati dagli altri fatti so-ciali e studiati a sé dall'economismo inglese trionfantenell'economia pura e nell'economia politica, special-mente con Ricardo, James Mill e Thomas Hodgskin),per venire al fatto della famiglia, il quale diventa un isti-

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gando che la psicologia possa assurgere al ruolo discienza fondamentale, per es. come la fisica la chimicala biologia, perchè non ha un suo proprio obietto reale,dal momento che il pensiero umano è sociale e non indi-viduale, il Comte fece una delle sue più ardite afferma-zioni: ossia, che il mio pensiero, come quello di ciascunaltro, non è soltanto mio, ma è invece un risultato socia-le, che non ci sarebbe senza la società. Per cui, sottoogni idea etica ci son delle correnti di pensiero che ap-partengono alla società, in quanto ne risultano, e non cisarebbero nel solo individuo. Se quindi dalle scienzedella natura saliamo a quelle dello spirito, o scienze mo-rali, troviam che a loro fondamento non va posta la psi-cologia, che rimane invece una parte della biologia, os-sia della scienza riguardante la vita, bensì la sociologia,la quale ci consente di stabilire delle leggi (sociologi-che) che divengono il fondamento del nostro giudiziosui fatti storici e quindi ci avviano a comprender la sto-ria.

Il Comte vedeva la società come l'insieme delle atti-vità che diciamo sociali in quanto c'è scambio di servizifra uomini uniti per un fine comune: a cominciardall'economia, riguardante i fenomeni della produzione,dello scambio e della distribuzione della ricchezza (iquali fin dal '700 erano stati enucleati dagli altri fatti so-ciali e studiati a sé dall'economismo inglese trionfantenell'economia pura e nell'economia politica, special-mente con Ricardo, James Mill e Thomas Hodgskin),per venire al fatto della famiglia, il quale diventa un isti-

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tuto regolato da leggi, che servono appunto a definire irapporti sociali; al diritto, che non esiste nella societàprimitiva e si vien formando via via che le civiltà defi-nendosi si distinguono, e poi all'attività politica, rego-lante la società dentro certe leggi, risalendo fino alla vitamorale, all'arte, alla religione, alla scienza, tutti fenome-ni che rientrano in una sfera superiore della vita sociale.Allora balzò fuori il difficile problema, concernente lanatura del rapporto che collega fra loro tutte queste atti-vità e, ciò che sopra tutto premeva spiegare, quelle eco-nomiche (produzione, scambio, distribuzione dei beni)con le sovrastrutture di tipo superiore, che diciamo poli-tiche (la regolazione della società) difatti, mentre sem-bra che le attività economiche vengan prima di tutte lealtre e ne sian per lo meno la condizione fondamentale(come nell'individuo le funzioni riguardanti la nutrizio-ne e in generale la conservazione dell'organismo, tant'èvero, che se un uomo non si nutre e non si conserva, nonsarà nemmeno attivo in nessun altro modo, ossia nonpotrà agire secondo delle norme, né far dell'arte, né pen-sare, ecc.); viceversa l'attività politica, che è regolativadi tutte le altre, e in dipendenza di questa l'attività giuri-dica, sembran poi superiori a quelle economiche, che ciapparvero già le più importanti, perchè son esse inveceche spingon la società a divenire, regolando anche il fat-to economico mediante leggi emanate da un governo.Per ciò il Comte, nel formar la serie dei fenomeni socia-li per cercarne il legame e definirne il rapporto, allo sco-po di stabilire una legge generale per comprendere i fatti

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tuto regolato da leggi, che servono appunto a definire irapporti sociali; al diritto, che non esiste nella societàprimitiva e si vien formando via via che le civiltà defi-nendosi si distinguono, e poi all'attività politica, rego-lante la società dentro certe leggi, risalendo fino alla vitamorale, all'arte, alla religione, alla scienza, tutti fenome-ni che rientrano in una sfera superiore della vita sociale.Allora balzò fuori il difficile problema, concernente lanatura del rapporto che collega fra loro tutte queste atti-vità e, ciò che sopra tutto premeva spiegare, quelle eco-nomiche (produzione, scambio, distribuzione dei beni)con le sovrastrutture di tipo superiore, che diciamo poli-tiche (la regolazione della società) difatti, mentre sem-bra che le attività economiche vengan prima di tutte lealtre e ne sian per lo meno la condizione fondamentale(come nell'individuo le funzioni riguardanti la nutrizio-ne e in generale la conservazione dell'organismo, tant'èvero, che se un uomo non si nutre e non si conserva, nonsarà nemmeno attivo in nessun altro modo, ossia nonpotrà agire secondo delle norme, né far dell'arte, né pen-sare, ecc.); viceversa l'attività politica, che è regolativadi tutte le altre, e in dipendenza di questa l'attività giuri-dica, sembran poi superiori a quelle economiche, che ciapparvero già le più importanti, perchè son esse inveceche spingon la società a divenire, regolando anche il fat-to economico mediante leggi emanate da un governo.Per ciò il Comte, nel formar la serie dei fenomeni socia-li per cercarne il legame e definirne il rapporto, allo sco-po di stabilire una legge generale per comprendere i fatti

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storici, finì con il metter l'attività politica prima fra tutte,come la più importante, perchè ne dipendono e ne sonregolate anche tutte le altre. Analogamente, potremmodire dell'individuo: senza il cervello, il quale ne regolatutte le funzioni, non vi sarebbe neppur quella di nutrirsie di conservarsi, perchè è appunto il nostro cervello checi pone i fini e i mezzi per nutrirci e conservarci.

Da questa esigenza di ricercare il nesso fra le attivitàsociali, per fondarne la gerarchia e dedurne un criterioidoneo a giudicar l'insieme dei fatti storici, deriva il po-sitivismo sociologico, contemporaneo al materialismostorico, pensato proprio nello stesso tempo tanto dalMarx quanto da Federico Engels, che si conobbero nel1844 e strinsero allora quella grande amicizia che duròtutta la vita. Il materialismo storico, come poi fu dettacomunemente la dottrina che l'Engels chiamava mate-rialismo sociologico o dialettico e il Marx intitolavateoria materialistica della storia, mentre si riallaccia alsociologismo di Comte ed è il risultato della stessa ri-cerca d'una legge collegante fra loro i fatti sociali, capo-volge la posizione comtiana, acquistando la più grandeimportanza e suscitando il più largo interesse, in quantorisveglia il mondo con lo scandalo del verbo nuovo, chemette l'attività economica a fondamento di tutte le altre,rovesciando i termini del rapporto, com'eran dati nellacoscienza comune e consolidati da una tradizione anti-chissima di pensiero. Allora la storia va guardata comeil risultato di ragioni d'ordine economico, che la spingo-no a divenire modificando nel suo svolgimento gl'istituti

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storici, finì con il metter l'attività politica prima fra tutte,come la più importante, perchè ne dipendono e ne sonregolate anche tutte le altre. Analogamente, potremmodire dell'individuo: senza il cervello, il quale ne regolatutte le funzioni, non vi sarebbe neppur quella di nutrirsie di conservarsi, perchè è appunto il nostro cervello checi pone i fini e i mezzi per nutrirci e conservarci.

Da questa esigenza di ricercare il nesso fra le attivitàsociali, per fondarne la gerarchia e dedurne un criterioidoneo a giudicar l'insieme dei fatti storici, deriva il po-sitivismo sociologico, contemporaneo al materialismostorico, pensato proprio nello stesso tempo tanto dalMarx quanto da Federico Engels, che si conobbero nel1844 e strinsero allora quella grande amicizia che duròtutta la vita. Il materialismo storico, come poi fu dettacomunemente la dottrina che l'Engels chiamava mate-rialismo sociologico o dialettico e il Marx intitolavateoria materialistica della storia, mentre si riallaccia alsociologismo di Comte ed è il risultato della stessa ri-cerca d'una legge collegante fra loro i fatti sociali, capo-volge la posizione comtiana, acquistando la più grandeimportanza e suscitando il più largo interesse, in quantorisveglia il mondo con lo scandalo del verbo nuovo, chemette l'attività economica a fondamento di tutte le altre,rovesciando i termini del rapporto, com'eran dati nellacoscienza comune e consolidati da una tradizione anti-chissima di pensiero. Allora la storia va guardata comeil risultato di ragioni d'ordine economico, che la spingo-no a divenire modificando nel suo svolgimento gl'istituti

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economici esistenti. Di qui Marx passò poi a formular lalegge della lotta di classe; ma restiamo per ora al con-cetto generale di questo sociologismo, che intanto pos-siam dire un economismo politico, perchè fonda il dive-nire sociale su l'attività economica, di cui tutte le altre,inclusa quella politica, appariscono come i risultati:onde le ragioni d'una guerra o della modificazione d'unqualsiasi istituto politico (per es., il passaggio daun'autocrazia a una democrazia) andrebbero cercate inquelle forze economiche, che spingono la storia. Econo-mismo, quindi, politico, perchè ciò che in ultimo preme-va capire eran proprio i risultati politici delle ragionieconomiche, mediante un criterio capace di spiegarliguardando alla struttura economica della società. Difatti,quando codesta teoria cercherà di attuarsi e alla fine del1847 Marx scriverà, insieme con Engels, quel famosoManifesto dei comunisti, saremo proprio alla vigilia del-la rivoluzione del'48, che in Europa ha un carattere euna finalità squisitamente politica, diretta a rovesciare ilconservatorismo della Santa Alleanza.

Questo è il contenuto concreto del materialismo stori-co, che ancor oggi è in discussione e ci ripresenta il me-desimo problema, riguardante il rapporto che stringe ifattori d'ordine economico con gli altri fattori sociali especialmente con quello politico. L'importanzadell'ideologia marxista è testimoniata dalla polemicastessa che ne nasce. In fondo, nella parola materialismoc'è già una spinta polemica in senso contrario all'ideali-smo. Ossia: c'è tutta una corrente idealistica (a cui s'ispi-

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economici esistenti. Di qui Marx passò poi a formular lalegge della lotta di classe; ma restiamo per ora al con-cetto generale di questo sociologismo, che intanto pos-siam dire un economismo politico, perchè fonda il dive-nire sociale su l'attività economica, di cui tutte le altre,inclusa quella politica, appariscono come i risultati:onde le ragioni d'una guerra o della modificazione d'unqualsiasi istituto politico (per es., il passaggio daun'autocrazia a una democrazia) andrebbero cercate inquelle forze economiche, che spingono la storia. Econo-mismo, quindi, politico, perchè ciò che in ultimo preme-va capire eran proprio i risultati politici delle ragionieconomiche, mediante un criterio capace di spiegarliguardando alla struttura economica della società. Difatti,quando codesta teoria cercherà di attuarsi e alla fine del1847 Marx scriverà, insieme con Engels, quel famosoManifesto dei comunisti, saremo proprio alla vigilia del-la rivoluzione del'48, che in Europa ha un carattere euna finalità squisitamente politica, diretta a rovesciare ilconservatorismo della Santa Alleanza.

Questo è il contenuto concreto del materialismo stori-co, che ancor oggi è in discussione e ci ripresenta il me-desimo problema, riguardante il rapporto che stringe ifattori d'ordine economico con gli altri fattori sociali especialmente con quello politico. L'importanzadell'ideologia marxista è testimoniata dalla polemicastessa che ne nasce. In fondo, nella parola materialismoc'è già una spinta polemica in senso contrario all'ideali-smo. Ossia: c'è tutta una corrente idealistica (a cui s'ispi-

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rano anche i manuali che si studiano a scuola), secondola quale il divenire storico dipende da ragioni d'ordinemorale e spirituale, perchè la volontà che spinge l'uomoad agire, così individualmente come socialmente, èmossa da idee e diretta da un pensiero, che rappresentala sua stessa spiritualità; se invece si asserisce che lastoria è un derivato, quasi un destino fatale, imposto danecessità d'ordine strettamente economico e alla fine or-ganico, si rovescia un concetto, che ha radici profonde elontane nella tradizione, ponendosi contro tutta la cor-rente di tipo hegeliano, coll'opporre a l'idealismo stori-co, spiritualizzante, una dottrina economistica, cheun'esigenza polemica costrinse proprio a chiamare ma-terialismo! È la medesima opposizione fra materia e spi-rito, che si rinnova anche nei confronti dell'individuo: oil corpo è tutto e lo spirito non è altro che un risultato diprocessi organici, riducendosi l'agire umano a un com-portamento istintivo; o viceversa il corpo stesso non èche una rappresentazione, un contenuto dell'attività pen-sante, per cui alla fine l'uomo si regola secondo il suopensiero e il mondo va sempre secondo i concetti. Ora,dalla parte di Comte e del positivismo francese, troviamquesto materialismo, che finisce con il porre la ragionedi tutti i fatti storici nell'economia; dall'altra parte, lospiritualismo della coscienza comune e specialmente lacorrente di Hegel, che afferma il contrario: la storia èl'attuarsi del pensiero umano, per ciò quelli che noi chia-miamo fatti sono a lor volta l'oggettivazione delle nostreidee. Tutto ciò che esiste è idea, perchè non potremmo

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rano anche i manuali che si studiano a scuola), secondola quale il divenire storico dipende da ragioni d'ordinemorale e spirituale, perchè la volontà che spinge l'uomoad agire, così individualmente come socialmente, èmossa da idee e diretta da un pensiero, che rappresentala sua stessa spiritualità; se invece si asserisce che lastoria è un derivato, quasi un destino fatale, imposto danecessità d'ordine strettamente economico e alla fine or-ganico, si rovescia un concetto, che ha radici profonde elontane nella tradizione, ponendosi contro tutta la cor-rente di tipo hegeliano, coll'opporre a l'idealismo stori-co, spiritualizzante, una dottrina economistica, cheun'esigenza polemica costrinse proprio a chiamare ma-terialismo! È la medesima opposizione fra materia e spi-rito, che si rinnova anche nei confronti dell'individuo: oil corpo è tutto e lo spirito non è altro che un risultato diprocessi organici, riducendosi l'agire umano a un com-portamento istintivo; o viceversa il corpo stesso non èche una rappresentazione, un contenuto dell'attività pen-sante, per cui alla fine l'uomo si regola secondo il suopensiero e il mondo va sempre secondo i concetti. Ora,dalla parte di Comte e del positivismo francese, troviamquesto materialismo, che finisce con il porre la ragionedi tutti i fatti storici nell'economia; dall'altra parte, lospiritualismo della coscienza comune e specialmente lacorrente di Hegel, che afferma il contrario: la storia èl'attuarsi del pensiero umano, per ciò quelli che noi chia-miamo fatti sono a lor volta l'oggettivazione delle nostreidee. Tutto ciò che esiste è idea, perchè non potremmo

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parlar di nulla che non sia contenuto della nostra cono-scenza. Il mondo stesso nel suo svolgersi attua la leggedel pensiero e non della natura bruta, ossia la legge dia-lettica del sì e del no, dell'opporsi di volta in volta d'unatesi e d'un'antitesi, per trovare alla fine una soluzione inuna sintesi che le unifica entrambe. S'apre allora il nuo-vo orizzonte d'una prospettiva storica di tipo idealistico,dove si attuano dialetticamente le idee degli uomini,così che anche la vita politica dello Stato ci appare comela realizzazione del pensiero nel suo svolgimento. È inquesta assoluta, radicale opposizione, di due correnti fi-losofiche, l'una positivistica e l'altra spiritualistica equindi anche idealistica, che si riaccendono il problemae la disputa intorno al materialismo storico.

Se non che, nello stesso economismo marxista, tro-viamo anche gli elementi di Hegel! Ossia: questo mate-rialismo, mentre parte dal concetto che le attività econo-miche sono fondamentali e ci dan ragione di tutti glieventi umani, ne considera poi lo svolgimento da unpunto di vista hegeliano, come una lotta fondata sul con-tinuo antagonismo fra le due classi economicamente op-poste, e quindi come un processo di tesi e d'antitesi, dalcui contrasto vien fuori la sintesi che spinge il progressostorico. Soltanto di qui si può trarre il concetto della lot-ta di classe, che dovrebbe dedursi da quello generaled'un economismo politico, a cui si riduce il materiali-smo storico (cioè d'un'economia che regola anche i fattipolitici), perchè son proprio le attività economiche adapparirci dialettiche, in quanto si attuano nell'opposizio-

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parlar di nulla che non sia contenuto della nostra cono-scenza. Il mondo stesso nel suo svolgersi attua la leggedel pensiero e non della natura bruta, ossia la legge dia-lettica del sì e del no, dell'opporsi di volta in volta d'unatesi e d'un'antitesi, per trovare alla fine una soluzione inuna sintesi che le unifica entrambe. S'apre allora il nuo-vo orizzonte d'una prospettiva storica di tipo idealistico,dove si attuano dialetticamente le idee degli uomini,così che anche la vita politica dello Stato ci appare comela realizzazione del pensiero nel suo svolgimento. È inquesta assoluta, radicale opposizione, di due correnti fi-losofiche, l'una positivistica e l'altra spiritualistica equindi anche idealistica, che si riaccendono il problemae la disputa intorno al materialismo storico.

Se non che, nello stesso economismo marxista, tro-viamo anche gli elementi di Hegel! Ossia: questo mate-rialismo, mentre parte dal concetto che le attività econo-miche sono fondamentali e ci dan ragione di tutti glieventi umani, ne considera poi lo svolgimento da unpunto di vista hegeliano, come una lotta fondata sul con-tinuo antagonismo fra le due classi economicamente op-poste, e quindi come un processo di tesi e d'antitesi, dalcui contrasto vien fuori la sintesi che spinge il progressostorico. Soltanto di qui si può trarre il concetto della lot-ta di classe, che dovrebbe dedursi da quello generaled'un economismo politico, a cui si riduce il materiali-smo storico (cioè d'un'economia che regola anche i fattipolitici), perchè son proprio le attività economiche adapparirci dialettiche, in quanto si attuano nell'opposizio-

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ne di forze che si combatton fra loro e combattendosigiungono a un risultato nuovo, che altrimenti non ci sa-rebbe mai e che trascende il puro fatto economico. Do-vremo ritornarvi sopra, ma ci basta per ora metter a suoposto nel tempo la filosofia di Marx e di Engels, fral'idealismo germanico e il sociologismo francese, e poianche fra tutti quei movimenti politici che fioriscononella prima metà dell' '800, cospirando a fondare il ma-terialismo storico, e si possono chiamar socialismo, nelsenso lato di questa parola: in parte è un rinascer d'ideegià vive nella rivoluzione francese e soffocate poi dallareazione dei governi, in parte è invece un orientarsi diquei concetti radicalmente rivoluzionari in un più largosenso sociale, spesso a dirittura verso quel romanticismonazionale, così evidente in Italia ed in Germania, il qua-le, d'accordo con questo socialismo in senso ampio, con-durrà alle unificazioni politiche che sopravvennero ap-punto nella seconda metà del secolo XIX.

Insomma, c'è da per tutto un rimescolio di concetti eun agitarsi di valori politici, da cui fioriscono anche teo-rie sociali (non sociologiche, come quella che il Marxvoleva fondare), vagheggianti un miglioramento dellasocietà, con tendenza ora verso l'economismo, ora versoil politicismo, per la solita opposizione. In Inghilterra,per es., troviam dei movimenti come quello di RobertoOwen, ispirato a un criterio sostanzialmente economista(miglioramento delle condizioni economiche delle classimeno abbienti, ossia delle classi lavoratrici) e proceden-te di pari passo con il Cartismo inglese, ch'era invece di

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ne di forze che si combatton fra loro e combattendosigiungono a un risultato nuovo, che altrimenti non ci sa-rebbe mai e che trascende il puro fatto economico. Do-vremo ritornarvi sopra, ma ci basta per ora metter a suoposto nel tempo la filosofia di Marx e di Engels, fral'idealismo germanico e il sociologismo francese, e poianche fra tutti quei movimenti politici che fioriscononella prima metà dell' '800, cospirando a fondare il ma-terialismo storico, e si possono chiamar socialismo, nelsenso lato di questa parola: in parte è un rinascer d'ideegià vive nella rivoluzione francese e soffocate poi dallareazione dei governi, in parte è invece un orientarsi diquei concetti radicalmente rivoluzionari in un più largosenso sociale, spesso a dirittura verso quel romanticismonazionale, così evidente in Italia ed in Germania, il qua-le, d'accordo con questo socialismo in senso ampio, con-durrà alle unificazioni politiche che sopravvennero ap-punto nella seconda metà del secolo XIX.

Insomma, c'è da per tutto un rimescolio di concetti eun agitarsi di valori politici, da cui fioriscono anche teo-rie sociali (non sociologiche, come quella che il Marxvoleva fondare), vagheggianti un miglioramento dellasocietà, con tendenza ora verso l'economismo, ora versoil politicismo, per la solita opposizione. In Inghilterra,per es., troviam dei movimenti come quello di RobertoOwen, ispirato a un criterio sostanzialmente economista(miglioramento delle condizioni economiche delle classimeno abbienti, ossia delle classi lavoratrici) e proceden-te di pari passo con il Cartismo inglese, ch'era invece di

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carattere più strettamente politico. In Francia abbiamlarghe correnti che provengono dal Saint-Simon, for-mando il così detto Saint-simonismo, e dal Fourier, en-trambi socialisti in senso largo, cioè riformatori, dellasocietà, miranti a tradur le loro teorie nella prassi dellavita e della propaganda politica, quella del Saint-Simonispirata a un indirizzo molto spiritualistico e assai vicinaalla propaganda mazziniana dell'Italia (avanti tutto, rie-ducar lo spirito!), quella del Fourier orientata invece inun senso più economistico, cioè verso il tentativo di for-mare delle società economiche ugualitarie dove la ric-chezza fosse equamente distribuita, e insieme pervasada uno spirito religioso, s'intende non in senso confes-sionale. Correnti sociali dunque, che avevano i loro fau-tori nell'ordine politico in Fourier, Proudhon, L. Blanc,Sismondi e Mazzini. In Germania c'è il Lassalle, conorientamento di tipo socialista, e legato anch'essoall'idealismo specialmente hegeliano.

Da questi riformatori della società, che escono da pertutto perchè corrispondono a un bisogno del tempo ealle esigenze romantiche, tutte quante più o meno spiri-tualizzanti, salta fuori Marx, combattendoli e chiaman-doli gli utopisti del socialismo, ma essendosene nutrito;e in mezzo a queste correnti continuano a vivere e ope-rare Marx ed Engels, che s'incontrarono a Parigi nel1844 e a loro volta si unirono, pur venendo da opposteesperienze: il Marx dalla scuola di Hegel, ossiadall'ideologia più astratta, alla quale credeva ancorapensando che si dovesse fondare una filosofia da cui sa-

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carattere più strettamente politico. In Francia abbiamlarghe correnti che provengono dal Saint-Simon, for-mando il così detto Saint-simonismo, e dal Fourier, en-trambi socialisti in senso largo, cioè riformatori, dellasocietà, miranti a tradur le loro teorie nella prassi dellavita e della propaganda politica, quella del Saint-Simonispirata a un indirizzo molto spiritualistico e assai vicinaalla propaganda mazziniana dell'Italia (avanti tutto, rie-ducar lo spirito!), quella del Fourier orientata invece inun senso più economistico, cioè verso il tentativo di for-mare delle società economiche ugualitarie dove la ric-chezza fosse equamente distribuita, e insieme pervasada uno spirito religioso, s'intende non in senso confes-sionale. Correnti sociali dunque, che avevano i loro fau-tori nell'ordine politico in Fourier, Proudhon, L. Blanc,Sismondi e Mazzini. In Germania c'è il Lassalle, conorientamento di tipo socialista, e legato anch'essoall'idealismo specialmente hegeliano.

Da questi riformatori della società, che escono da pertutto perchè corrispondono a un bisogno del tempo ealle esigenze romantiche, tutte quante più o meno spiri-tualizzanti, salta fuori Marx, combattendoli e chiaman-doli gli utopisti del socialismo, ma essendosene nutrito;e in mezzo a queste correnti continuano a vivere e ope-rare Marx ed Engels, che s'incontrarono a Parigi nel1844 e a loro volta si unirono, pur venendo da opposteesperienze: il Marx dalla scuola di Hegel, ossiadall'ideologia più astratta, alla quale credeva ancorapensando che si dovesse fondare una filosofia da cui sa-

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rebbe dipeso anche il miglioramento sociale; lo Engels,spirito più quieto, positivo e direi quasi più modesto, ve-nendo invece da un'esperienza diretta ch'egli facevagiorno per giorno, essendo figlio d'un grande industria-le, che aveva fabbriche di tessuti in Germania e in In-ghilterra, e direttore egli stesso a Manchester, dove pote-va studiare le forze attive della produzione e veder se cifosse davvero l'elemento dialettico che poi venne enu-cleato nella lotta di classe fra operai e capitalisti. Così loEngels portò all'amico un corredo di preziose osserva-zioni raccolte proprio sul fatto economico in concreto,che Marx non conosceva. Ecco un altro elemento percomprender la genesi del materialismo storico, il qualenon sarebbe forse venuto fuori senza l'ambiente in cuinacque il Marx, la Francia, dove s'era spostato, e il con-tributo di materiale portato da Engels. Quando l'annodopo i due amici scrissero insieme un libro intitolatoL'idéologie Allemande (1845-46), combattendo a spadatratta l'hegelismo nel suo assieme e finalmente chiaman-do utopistiche le teorie che non derivassero dall'osserva-zione concreta dei fatti economici, si trovaron d'accordoappunto perchè avevan fuse le loro esperienze e i loroprincipi, il Marx portando l'esigenza filosofica di spie-gar il mondo con una legge, che per lui alla fine è quelladella lotta di classe, posta come legge economica; lo En-gels recando il nutrimento dei fatti, sui quali si fondaro-no poi per dimostrare la verità della legge stessa. Sem-pre in quest'anno 1845, nel medesimo tempo che giàmeditava insieme con Engels il loro tipico positivismo,

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rebbe dipeso anche il miglioramento sociale; lo Engels,spirito più quieto, positivo e direi quasi più modesto, ve-nendo invece da un'esperienza diretta ch'egli facevagiorno per giorno, essendo figlio d'un grande industria-le, che aveva fabbriche di tessuti in Germania e in In-ghilterra, e direttore egli stesso a Manchester, dove pote-va studiare le forze attive della produzione e veder se cifosse davvero l'elemento dialettico che poi venne enu-cleato nella lotta di classe fra operai e capitalisti. Così loEngels portò all'amico un corredo di preziose osserva-zioni raccolte proprio sul fatto economico in concreto,che Marx non conosceva. Ecco un altro elemento percomprender la genesi del materialismo storico, il qualenon sarebbe forse venuto fuori senza l'ambiente in cuinacque il Marx, la Francia, dove s'era spostato, e il con-tributo di materiale portato da Engels. Quando l'annodopo i due amici scrissero insieme un libro intitolatoL'idéologie Allemande (1845-46), combattendo a spadatratta l'hegelismo nel suo assieme e finalmente chiaman-do utopistiche le teorie che non derivassero dall'osserva-zione concreta dei fatti economici, si trovaron d'accordoappunto perchè avevan fuse le loro esperienze e i loroprincipi, il Marx portando l'esigenza filosofica di spie-gar il mondo con una legge, che per lui alla fine è quelladella lotta di classe, posta come legge economica; lo En-gels recando il nutrimento dei fatti, sui quali si fondaro-no poi per dimostrare la verità della legge stessa. Sem-pre in quest'anno 1845, nel medesimo tempo che giàmeditava insieme con Engels il loro tipico positivismo,

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economistico, il Marx scrisse anche le sue uniche pagi-ne da vero filosofiche, cioè le Glosse al Feuerbach.

Chiarendo così la genesi del materialismo storico daquesto ricco movimento d'idee sociali e filosofiche, nelcontrasto fra l'idealismo di tipo tedesco e il positivismodi tipo francese e nell'accordo fra Marx e l'amico En-gels, ci si avvia anche a comprendere di qual prudenzabisogna armarsi per giudicare questa dottrina, che ètroppo strettamente legata all'esperienza del '48, per po-ter diventare, sic et simpliciter, una teoria generalissimache spieghi il mondo umano e i fatti storici; mentre oc-corre definirne il valore nei limiti di spazio e di tempoin cui è stata concepita ed espressa, sopra tutto nel Ma-nifesto dei comunisti, scritto alla vigilia del '48, che tro-va il Marx a Parigi e poi immediatamente in Germania,appena la rivoluzione vi s'è propagata per esservi subitosoffocata nel sangue, rimanendone solo il germe che ri-fiorirà più tardi. È vero che Marx scriverà assai dopo, inInghilterra, le sue opere maggiori e più teoriche, ma ilmaterialismo storico è già tutto nel Manifesto dei comu-nisti, con i suoi valori più pratici e la complessa ricchez-za attinta all'ambiente da cui scaturisce.

Concludendo, questa dottrina sorge dalla confluenzadi due mentalità, di due filosofie di due mondi: dellamentalità germanica, che dal primo romanticismo giun-ge a l'ideologia hegeliana (e alla scuola di questo hegeli-smo si formarono i due amici), e di quella francese,dove il romanticismo prende un'altra forma e si svolgenel positivismo, che a sua volta discende dalla filosofia

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economistico, il Marx scrisse anche le sue uniche pagi-ne da vero filosofiche, cioè le Glosse al Feuerbach.

Chiarendo così la genesi del materialismo storico daquesto ricco movimento d'idee sociali e filosofiche, nelcontrasto fra l'idealismo di tipo tedesco e il positivismodi tipo francese e nell'accordo fra Marx e l'amico En-gels, ci si avvia anche a comprendere di qual prudenzabisogna armarsi per giudicare questa dottrina, che ètroppo strettamente legata all'esperienza del '48, per po-ter diventare, sic et simpliciter, una teoria generalissimache spieghi il mondo umano e i fatti storici; mentre oc-corre definirne il valore nei limiti di spazio e di tempoin cui è stata concepita ed espressa, sopra tutto nel Ma-nifesto dei comunisti, scritto alla vigilia del '48, che tro-va il Marx a Parigi e poi immediatamente in Germania,appena la rivoluzione vi s'è propagata per esservi subitosoffocata nel sangue, rimanendone solo il germe che ri-fiorirà più tardi. È vero che Marx scriverà assai dopo, inInghilterra, le sue opere maggiori e più teoriche, ma ilmaterialismo storico è già tutto nel Manifesto dei comu-nisti, con i suoi valori più pratici e la complessa ricchez-za attinta all'ambiente da cui scaturisce.

Concludendo, questa dottrina sorge dalla confluenzadi due mentalità, di due filosofie di due mondi: dellamentalità germanica, che dal primo romanticismo giun-ge a l'ideologia hegeliana (e alla scuola di questo hegeli-smo si formarono i due amici), e di quella francese,dove il romanticismo prende un'altra forma e si svolgenel positivismo, che a sua volta discende dalla filosofia

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dell'illuminismo inglese. Marx ed Engels si trovan dun-que a riunire questi due mondi, il Marx in ispecie, ilquale per il suo stesso temperamento è quello che negasempre e quindi critica gli uni e gli altri, così la filosofiatedesca come l'economismo inglese e il positivismodella Francia, pur ricevendone gli elementi ch'egli fasuoi e riunifica insieme, in modo però che la critica po-steriore sempre più s'è potuta accorgere che c'eran duefacce dentro di lui, come due anime o due atteggiamen-ti, per cui l'uno può diventare il fondamento della criticadell'altro. Questa unificazione Marx ed Engels la chia-marono anche il materialismo dialettico; dove dialetticoè proprio sinonimo di storico, e il primo (dicevamo)l'intitolò la teoria materialistica della storia, intendendoper storia, hegelianamente, il progresso umano a traver-so la dialettica delle opposizioni verso una sintesi, che idue amici credevano sarebbe stata prima o poi inevita-bilmente raggiunta: il comunismo «critico» che devecondurre alla società comunista.

Tal concezione, che Marx ed Engels si formarono in-dipendentemente l'un dall'altro prima del '45, informapoi, si può dire, tutta la loro vita e tutta la loro opera,quindi anche il capolavoro di Marx, il famoso Capitale(1° volume del 1867, 2° e 3° postumi, curati dallo En-gels); ma si trova già completamente affermata nel Ma-nifesto della fine del '47. Chi volesse conoscer meglio lavita di lui e informarsi circa le sue opere, potrebbe con-sultare l'ottimo volume di Otto Rühle (Karl Marx, sa vieet son oeuvre). Del resto, è la vita d'un agitatore, d'un

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dell'illuminismo inglese. Marx ed Engels si trovan dun-que a riunire questi due mondi, il Marx in ispecie, ilquale per il suo stesso temperamento è quello che negasempre e quindi critica gli uni e gli altri, così la filosofiatedesca come l'economismo inglese e il positivismodella Francia, pur ricevendone gli elementi ch'egli fasuoi e riunifica insieme, in modo però che la critica po-steriore sempre più s'è potuta accorgere che c'eran duefacce dentro di lui, come due anime o due atteggiamen-ti, per cui l'uno può diventare il fondamento della criticadell'altro. Questa unificazione Marx ed Engels la chia-marono anche il materialismo dialettico; dove dialetticoè proprio sinonimo di storico, e il primo (dicevamo)l'intitolò la teoria materialistica della storia, intendendoper storia, hegelianamente, il progresso umano a traver-so la dialettica delle opposizioni verso una sintesi, che idue amici credevano sarebbe stata prima o poi inevita-bilmente raggiunta: il comunismo «critico» che devecondurre alla società comunista.

Tal concezione, che Marx ed Engels si formarono in-dipendentemente l'un dall'altro prima del '45, informapoi, si può dire, tutta la loro vita e tutta la loro opera,quindi anche il capolavoro di Marx, il famoso Capitale(1° volume del 1867, 2° e 3° postumi, curati dallo En-gels); ma si trova già completamente affermata nel Ma-nifesto della fine del '47. Chi volesse conoscer meglio lavita di lui e informarsi circa le sue opere, potrebbe con-sultare l'ottimo volume di Otto Rühle (Karl Marx, sa vieet son oeuvre). Del resto, è la vita d'un agitatore, d'un

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uomo politico, più che d'uno scienziato. Le date più im-portanti son queste: ho detto dell'incontro con Engels,intorno al 1844; l'anno seguente, il Marx viene espulsoda Parigi per intromissione del governo prussiano, chegià lo considerava un sovversivo, e si reca a Bruxelles,dove fonda la famosa Lega Comunista, che è una tra-sformazione della Federazione dei Giusti e per cui redi-ge il Manifesto dei comunisti, che divien poi il vessillodella rivoluzione del '48. In quest'anno, il governo prov-visorio di Parigi lo chiama di nuovo in Francia, doveperò si ferma poco perchè la rivoluzione trapassa inGermania e in Italia, e naturalmente Marx fa ritorno inpatria. Nel '49 è espulso di nuovo dalla Prussia, ritorna aParigi, donde è costretto a riallontanarsi, e prende allorala via di Londra, la Madre degli esiliati, dove poi fonde-rà, nel 1864, la Prima Internazionale dei Lavoratori, chevive pochi anni, lacerata dalle liti interne sopra tutto fraMarx e i lassalliani, da una parte, fra Marx e il trade-unionismo inglese, dall'altra, nonché fra Marx e Bakou-nin, ed estinta poi dopo il '71, ossia dopo il secondo fal-limento del metodo insurrezionale marxista. A Londra ilMarx visse assai modestamente, impiegato al BritishMuseum, e tristemente, avendo perso l'unico figlio diappena nove anni.

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uomo politico, più che d'uno scienziato. Le date più im-portanti son queste: ho detto dell'incontro con Engels,intorno al 1844; l'anno seguente, il Marx viene espulsoda Parigi per intromissione del governo prussiano, chegià lo considerava un sovversivo, e si reca a Bruxelles,dove fonda la famosa Lega Comunista, che è una tra-sformazione della Federazione dei Giusti e per cui redi-ge il Manifesto dei comunisti, che divien poi il vessillodella rivoluzione del '48. In quest'anno, il governo prov-visorio di Parigi lo chiama di nuovo in Francia, doveperò si ferma poco perchè la rivoluzione trapassa inGermania e in Italia, e naturalmente Marx fa ritorno inpatria. Nel '49 è espulso di nuovo dalla Prussia, ritorna aParigi, donde è costretto a riallontanarsi, e prende allorala via di Londra, la Madre degli esiliati, dove poi fonde-rà, nel 1864, la Prima Internazionale dei Lavoratori, chevive pochi anni, lacerata dalle liti interne sopra tutto fraMarx e i lassalliani, da una parte, fra Marx e il trade-unionismo inglese, dall'altra, nonché fra Marx e Bakou-nin, ed estinta poi dopo il '71, ossia dopo il secondo fal-limento del metodo insurrezionale marxista. A Londra ilMarx visse assai modestamente, impiegato al BritishMuseum, e tristemente, avendo perso l'unico figlio diappena nove anni.

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IIL' ECONOMISMO POLITICO

Come vedremo meglio più tardi, il marxismo, inquanto filosofia, ripete le sue origini dall'ideologia hege-liana, di cui Marx rimane il figlio, benché vi si opponga,tanto che il suo è stato detto un hegelismo nascosto. Co-munque, il titolo di materialismo storico indica già chia-ramente una filosofia, perchè materialismo è una parola(equivocissima) che ci riporta a problemi d'ordine meta-fisico e per ciò più profondo che non sarebbe una sem-plice concezione sociologica. Basta pensare al materiali-smo come teoria dell'essere riducibile a materia: Epicu-ro, per es., dice che il mondo è costituito di atomi mate-riali, di cui i più piccoli e sottili, sparsi da per tutto nelnostro organismo, formano anche quello che noi chia-miamo lo spirito. Questa è dunque una teoria d'ordinemetafisico, che riguarda l'essenza stessa di qualunquecosa e risolve tutta la realtà nella materia. Ma già nellafilosofia greca v'è un altro significato del materialismo,che si suol chiamare etico, riguardante la pratica e ridu-cibile alla concezione unilaterale, per cui tutte le nostre

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IIL' ECONOMISMO POLITICO

Come vedremo meglio più tardi, il marxismo, inquanto filosofia, ripete le sue origini dall'ideologia hege-liana, di cui Marx rimane il figlio, benché vi si opponga,tanto che il suo è stato detto un hegelismo nascosto. Co-munque, il titolo di materialismo storico indica già chia-ramente una filosofia, perchè materialismo è una parola(equivocissima) che ci riporta a problemi d'ordine meta-fisico e per ciò più profondo che non sarebbe una sem-plice concezione sociologica. Basta pensare al materiali-smo come teoria dell'essere riducibile a materia: Epicu-ro, per es., dice che il mondo è costituito di atomi mate-riali, di cui i più piccoli e sottili, sparsi da per tutto nelnostro organismo, formano anche quello che noi chia-miamo lo spirito. Questa è dunque una teoria d'ordinemetafisico, che riguarda l'essenza stessa di qualunquecosa e risolve tutta la realtà nella materia. Ma già nellafilosofia greca v'è un altro significato del materialismo,che si suol chiamare etico, riguardante la pratica e ridu-cibile alla concezione unilaterale, per cui tutte le nostre

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azioni son determinate da bisogni organici e dunque infondo sensibili, ossia da istinti e non da idee che guidinoil volere ad essere arbitro secondo una libertà di pensie-ro: la sensibilità rimane dunque al fondo della nostravita anche morale e spirituale. Allora il materialismo ac-quista un nuovo significato nell'ordine pratico, quello diedonismo, temperato in Epicuro dal calcolo intelligentedei piaceri. Comunque si adoperi il termine, nell'uno onell'altro senso, nella storia del pensiero indica sempreun punto di vista filosofico.

Se invece consideriamo il Marx in quanto discendedal pensiero francese e si colloca poi nella vita politicadella Francia, troviamo un'ideologia arditissima, chemanca in Germania: nell'atmosfera di Parigi, dove ac-canto al positivismo, c'è un rivoluzionarismo continuo,cui Marx attinge l'elemento pratico, politico, rivoluzio-nario della sua dottrina, questa la dobbiam chiamare conun altro appellativo, economismo politico, del quale perprima cosa ci occupiamo perchè è il nocciolo della teo-ria marxista, epurata da quell'alone ideologico che servìal Marx soltanto d'ispirazione e di spinta per comporre ilsuo Manifesto.

Specialmente da tutta la serie degli economisti ingle-si, fra cui, per es., il Malthus, egli riceve un concetto, dicui s'innamora: che si possa fondar una scienza dei fattieconomici, riducendoli dentro leggi scientifiche, rigoro-se, cioè tali per cui, date le premesse, devon seguirne leconseguenze secondo,un rapporto necessario. Infatti,che cosa insegnava l'economia politica, nata su suolo

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azioni son determinate da bisogni organici e dunque infondo sensibili, ossia da istinti e non da idee che guidinoil volere ad essere arbitro secondo una libertà di pensie-ro: la sensibilità rimane dunque al fondo della nostravita anche morale e spirituale. Allora il materialismo ac-quista un nuovo significato nell'ordine pratico, quello diedonismo, temperato in Epicuro dal calcolo intelligentedei piaceri. Comunque si adoperi il termine, nell'uno onell'altro senso, nella storia del pensiero indica sempreun punto di vista filosofico.

Se invece consideriamo il Marx in quanto discendedal pensiero francese e si colloca poi nella vita politicadella Francia, troviamo un'ideologia arditissima, chemanca in Germania: nell'atmosfera di Parigi, dove ac-canto al positivismo, c'è un rivoluzionarismo continuo,cui Marx attinge l'elemento pratico, politico, rivoluzio-nario della sua dottrina, questa la dobbiam chiamare conun altro appellativo, economismo politico, del quale perprima cosa ci occupiamo perchè è il nocciolo della teo-ria marxista, epurata da quell'alone ideologico che servìal Marx soltanto d'ispirazione e di spinta per comporre ilsuo Manifesto.

Specialmente da tutta la serie degli economisti ingle-si, fra cui, per es., il Malthus, egli riceve un concetto, dicui s'innamora: che si possa fondar una scienza dei fattieconomici, riducendoli dentro leggi scientifiche, rigoro-se, cioè tali per cui, date le premesse, devon seguirne leconseguenze secondo,un rapporto necessario. Infatti,che cosa insegnava l'economia politica, nata su suolo

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britannico dal positivismo humiano che porta la filoso-fia inglese a considerare i fatti umani nello stesso modoche Newton considerava i fatti della gravitazione cele-ste, ossia a cercarne le leggi naturali? Intanto questo:che i fatti economici si prestano a venir studiati indipen-dentemente da tutti gli altri fattori sociali. Ossia: dei fe-nomeni riguardanti la produzione, lo scambio e la distri-buzione della ricchezza, si può parlare senza bisogno ditener conto dei fatti giuridici e politici, per es., o dellafamiglia e della guerra, e tanto meno delle sovrastrutturesociali, come sarebber la morale, la religione, la scienzae l'arte. L'economia politica, cioè sociale (perchèl'aggettivo conserva il significato greco), diventa in In-ghilterra una scienza vera e propria (economia pura),che tocca il suo apice appunto con il Ricardo e lo StuartMill e ha le sue leggi necessarie, che le attività di tiposuperiore non possono mutare.

Di questa forza delle leggi economiche vedete unesempio quotidiano nel mercato nero, che troviam sem-pre, tutte le volte che c'è una forma di carestia, per unaragione qualunque, senza che nessuna legge riesca maiad impedirlo, perchè è inevitabile, da un punto di vistaeconomico, che io cerchi di ricavar l'utile maggiore daun oggetto che vendo, obbedendo solo alla legge delladomanda e dell'offerta che ne determina il prezzo sulmercato. Per quanto la politica rifletta su questo feno-meno e vi reagisca, soltanto la forza reale, ossia quelladel soldato, può sopprimerlo. Dunque ci son delle legginell'economia, analoghe a quelle della natura e altrettan-

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britannico dal positivismo humiano che porta la filoso-fia inglese a considerare i fatti umani nello stesso modoche Newton considerava i fatti della gravitazione cele-ste, ossia a cercarne le leggi naturali? Intanto questo:che i fatti economici si prestano a venir studiati indipen-dentemente da tutti gli altri fattori sociali. Ossia: dei fe-nomeni riguardanti la produzione, lo scambio e la distri-buzione della ricchezza, si può parlare senza bisogno ditener conto dei fatti giuridici e politici, per es., o dellafamiglia e della guerra, e tanto meno delle sovrastrutturesociali, come sarebber la morale, la religione, la scienzae l'arte. L'economia politica, cioè sociale (perchèl'aggettivo conserva il significato greco), diventa in In-ghilterra una scienza vera e propria (economia pura),che tocca il suo apice appunto con il Ricardo e lo StuartMill e ha le sue leggi necessarie, che le attività di tiposuperiore non possono mutare.

Di questa forza delle leggi economiche vedete unesempio quotidiano nel mercato nero, che troviam sem-pre, tutte le volte che c'è una forma di carestia, per unaragione qualunque, senza che nessuna legge riesca maiad impedirlo, perchè è inevitabile, da un punto di vistaeconomico, che io cerchi di ricavar l'utile maggiore daun oggetto che vendo, obbedendo solo alla legge delladomanda e dell'offerta che ne determina il prezzo sulmercato. Per quanto la politica rifletta su questo feno-meno e vi reagisca, soltanto la forza reale, ossia quelladel soldato, può sopprimerlo. Dunque ci son delle legginell'economia, analoghe a quelle della natura e altrettan-

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to necessarie, appunto perchè definiscono l'istinto natu-rale che determina l'uomo necessariamente a realizzareil suo maggior profitto.

Concludendo all'esistenza d'un'economia scientifica ecercando poi di provare che l'insieme delle attività uma-ne dipende dal fattore economico, che le condiziona tut-te e se ne può enucleare fino a diventar l'obietto d'unascienza autonoma, il Marx si poté illudere di fondarvisopra la sua sociologia, intesa come un sapere esplicati-vo del divenire sociale mediante leggi oggettive (econo-miche), togliendo all'utopia spiritualista l'impero di cre-dere che i fatti sociali discendano dalle idee, mentre ob-bediscono a delle leggi necessarie (naturali), sopra cui ifenomeni d'ordine spirituale non esercitano nessuna effi-cacia. A veder bene, il Marx prende molto da Ricardo ecerca d'imitarlo nella sua sociologia, risentendo pure lar-gamente del pensiero comtiano e in generale del sociali-smo francese, che si svolgeva anch'esso dall'illuminismoprecedente e s'imponeva ogni giorno di più. Nel positi-vismo comtiano il Marx trovava che dunque c'è una so-ciologia riducibile a scienza, dove però non si considerapiù il fatto economico da solo, ma sopra tutto nei suoirapporti con gli altri fattori sociali, in primo luogo con ildiritto e con la politica, che il Comte poneva a fonda-mento della società e il Marx, correggendolo, pospone-va all'economia, fino a metter capo alla conclusioneestrema, che i fatti politici non sono che lo specchio deibisogni economici. Allora, per es., il governo d'un paeserappresenta la classe che ha il dominio economico, e ne

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to necessarie, appunto perchè definiscono l'istinto natu-rale che determina l'uomo necessariamente a realizzareil suo maggior profitto.

Concludendo all'esistenza d'un'economia scientifica ecercando poi di provare che l'insieme delle attività uma-ne dipende dal fattore economico, che le condiziona tut-te e se ne può enucleare fino a diventar l'obietto d'unascienza autonoma, il Marx si poté illudere di fondarvisopra la sua sociologia, intesa come un sapere esplicati-vo del divenire sociale mediante leggi oggettive (econo-miche), togliendo all'utopia spiritualista l'impero di cre-dere che i fatti sociali discendano dalle idee, mentre ob-bediscono a delle leggi necessarie (naturali), sopra cui ifenomeni d'ordine spirituale non esercitano nessuna effi-cacia. A veder bene, il Marx prende molto da Ricardo ecerca d'imitarlo nella sua sociologia, risentendo pure lar-gamente del pensiero comtiano e in generale del sociali-smo francese, che si svolgeva anch'esso dall'illuminismoprecedente e s'imponeva ogni giorno di più. Nel positi-vismo comtiano il Marx trovava che dunque c'è una so-ciologia riducibile a scienza, dove però non si considerapiù il fatto economico da solo, ma sopra tutto nei suoirapporti con gli altri fattori sociali, in primo luogo con ildiritto e con la politica, che il Comte poneva a fonda-mento della società e il Marx, correggendolo, pospone-va all'economia, fino a metter capo alla conclusioneestrema, che i fatti politici non sono che lo specchio deibisogni economici. Allora, per es., il governo d'un paeserappresenta la classe che ha il dominio economico, e ne

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tutela gl'interessi. A questa illazione esagerata, che citoccherà criticare e cui il Marx è portato dalla sua stessateoria subordinante il fatto politico a quello economico,fa riscontro l'altra, che anche la guerra sia sempre deter-minata da ragioni economiche, per es., dalla rivalità peri mercati fra i grandi monopoli capitalistici delle diversenazioni. Son questi i risultati unilaterali del teorizzare diMarx, che mentre chiama utopisti tutti quelli che intornoa lui cercavano un miglioramento sociale muovendodagl'ideali di tipo romantico, cade poi subito nello stes-so idealismo, quando prende come assolute certe leggi,che invece troviam soltanto nell'astratta sociologia.

Essa gli offriva ancora un altro concetto, a cui ancora-re il suo economismo politico: che sia finito il tempodella filosofia e che l'attività del pensiero conoscente,dallo stadio religioso dove il mondo si spiega mediantemiti, a traverso lo stadio filosofico, dove il sapere sisvolge da ipotesi concettuali, finalmente sia approdata aquello delle scienze esatte, le quali si fondano sopral'esperienza. Il Marx fa suo questo concetto e si vantacontinuamente di fondar la sua scienza sopra i fatti eco-nomici studiati oggettivamente nell'esperienza sociale.Quindi la sua vuol essere una scienza non solo esatta nelsenso dell'economia pura di tipo inglese, che arriva poi(per es. col Pareto) a divenire una scienza matematicacon metodo razionale, ma anche sperimentale nel sensodella fisica, che cerca il nutrimento dei fatti. Allora sicapisce, perchè il Marx s'ingegna di rifar una storia checonvalidi il suo economismo, per cui una società avanti

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tutela gl'interessi. A questa illazione esagerata, che citoccherà criticare e cui il Marx è portato dalla sua stessateoria subordinante il fatto politico a quello economico,fa riscontro l'altra, che anche la guerra sia sempre deter-minata da ragioni economiche, per es., dalla rivalità peri mercati fra i grandi monopoli capitalistici delle diversenazioni. Son questi i risultati unilaterali del teorizzare diMarx, che mentre chiama utopisti tutti quelli che intornoa lui cercavano un miglioramento sociale muovendodagl'ideali di tipo romantico, cade poi subito nello stes-so idealismo, quando prende come assolute certe leggi,che invece troviam soltanto nell'astratta sociologia.

Essa gli offriva ancora un altro concetto, a cui ancora-re il suo economismo politico: che sia finito il tempodella filosofia e che l'attività del pensiero conoscente,dallo stadio religioso dove il mondo si spiega mediantemiti, a traverso lo stadio filosofico, dove il sapere sisvolge da ipotesi concettuali, finalmente sia approdata aquello delle scienze esatte, le quali si fondano sopral'esperienza. Il Marx fa suo questo concetto e si vantacontinuamente di fondar la sua scienza sopra i fatti eco-nomici studiati oggettivamente nell'esperienza sociale.Quindi la sua vuol essere una scienza non solo esatta nelsenso dell'economia pura di tipo inglese, che arriva poi(per es. col Pareto) a divenire una scienza matematicacon metodo razionale, ma anche sperimentale nel sensodella fisica, che cerca il nutrimento dei fatti. Allora sicapisce, perchè il Marx s'ingegna di rifar una storia checonvalidi il suo economismo, per cui una società avanti

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tutto è società economica e soltanto dopo politica. Quin-di egli prende dal positivismo il suo sociologismo, cioèl'idea d'una scienza che abbraccia tutte le attività socialimettendole fra loro in un rapporto caratterizzato dallafondamentalità del fatto economico rispetto a tutti gli al-tri, perfino a quello scientifico e artistico, e anchel'istanza antimetafisica, che non si debba più fare dellafilosofia, ma della scienza naturale. Così la sociologiadiventa una scienza della natura. Troviam qui un Marxche divorzia del tutto dall'ideologia germanica, tantoch'ebbe a scusarsi del suo giovanile hegelismo e si com-piacque d'essersi epurato di quel veleno.

Da codesto scientismo discende anche il carattere de-terministico della sociologia di Marx, perchè fondandosisull'economia e quindi riuscendo oggettiva e rigorosanelle sue leggi, essa ci consente di determinare a-prioriil divenire sociale, proprio come l'astronomo prevedel'eclissi di sole o di luna, calcolando su certi elementi difatto mediante leggi di rigore matematico. Allo stessomodo il Marx pretende che la sua scienza possa prede-terminare il processo della società, come se questo sisvolgesse in un senso lineare e non patisse eccezioni.Quindi già nel Manifesto dei comunisti lo sorprendiamonell'atteggiamento del profeta scienziato, che guarda nelfuturo dell'umanità, perchè conosce le leggi economicheche porteranno fatalmente a certe conseguenze sociali,che per lui si riassumono nella forma comunista dellasocietà economica, in una parola, nel comunismo criti-co: comunismo essendo il prodotto d'una forza sociale

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tutto è società economica e soltanto dopo politica. Quin-di egli prende dal positivismo il suo sociologismo, cioèl'idea d'una scienza che abbraccia tutte le attività socialimettendole fra loro in un rapporto caratterizzato dallafondamentalità del fatto economico rispetto a tutti gli al-tri, perfino a quello scientifico e artistico, e anchel'istanza antimetafisica, che non si debba più fare dellafilosofia, ma della scienza naturale. Così la sociologiadiventa una scienza della natura. Troviam qui un Marxche divorzia del tutto dall'ideologia germanica, tantoch'ebbe a scusarsi del suo giovanile hegelismo e si com-piacque d'essersi epurato di quel veleno.

Da codesto scientismo discende anche il carattere de-terministico della sociologia di Marx, perchè fondandosisull'economia e quindi riuscendo oggettiva e rigorosanelle sue leggi, essa ci consente di determinare a-prioriil divenire sociale, proprio come l'astronomo prevedel'eclissi di sole o di luna, calcolando su certi elementi difatto mediante leggi di rigore matematico. Allo stessomodo il Marx pretende che la sua scienza possa prede-terminare il processo della società, come se questo sisvolgesse in un senso lineare e non patisse eccezioni.Quindi già nel Manifesto dei comunisti lo sorprendiamonell'atteggiamento del profeta scienziato, che guarda nelfuturo dell'umanità, perchè conosce le leggi economicheche porteranno fatalmente a certe conseguenze sociali,che per lui si riassumono nella forma comunista dellasocietà economica, in una parola, nel comunismo criti-co: comunismo essendo il prodotto d'una forza sociale

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che si attua fatalmente a traverso la lotta, critico signifi-cando che si tratta appunto del risultato d'una coscienzacritica della maturità della crisi sociale. Vengon fuori ledue leggi che ci spiegheranno l'evoluzione sociale, quel-la della lotta di classe, che ci dà l'aspetto politicodell'economismo di Marx e l'altra del plus valore, che cene dà l'aspetto economico, per le quali in tutto il mondo,a un certo momento, l'odierno sistema capitalistico do-vrà necessariamente rovesciarsi nel suo opposto.

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che si attua fatalmente a traverso la lotta, critico signifi-cando che si tratta appunto del risultato d'una coscienzacritica della maturità della crisi sociale. Vengon fuori ledue leggi che ci spiegheranno l'evoluzione sociale, quel-la della lotta di classe, che ci dà l'aspetto politicodell'economismo di Marx e l'altra del plus valore, che cene dà l'aspetto economico, per le quali in tutto il mondo,a un certo momento, l'odierno sistema capitalistico do-vrà necessariamente rovesciarsi nel suo opposto.

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IIIREVISIONISMO MARXISTA

L'aspetto scientifico del materialismo storico, sul qua-le tanto poggiarono Marx ed Engels per derivarne alleleggi sociologiche, chiamate leggi di tendenza, rigorescientifico e necessità determinante, discende, dunque,dall'economismo specialmente inglese, apparendo pro-prio come un'illazione dell'economia pura e dell'econo-mia politica. Bisogna adesso vedere fino a che punto ciòsia legittimo, perchè le scienze economiche rientranonel più largo cerchio delle discipline sociali o storiche omorali in genere, che a lor volta si distinguono dallescienze della natura. Queste difatti riguardar degli og-getti, che son dati già come esistenti e non dipendonoaffatto dal volere umano; mentre le scienze morali, cheimplicano l'uomo, han per loro obietto non una cosa oun fatto, ma sempre un valore, ossia una finalità umana,perchè una cosa qualunque, che di per sé esiste soltanto,vale per noi in quanto ce la poniamo come fine. Esem-pio: l'oro, che il naturalista studia analizzandone le qua-lità e determinandolo quindi come un metallo che ha

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IIIREVISIONISMO MARXISTA

L'aspetto scientifico del materialismo storico, sul qua-le tanto poggiarono Marx ed Engels per derivarne alleleggi sociologiche, chiamate leggi di tendenza, rigorescientifico e necessità determinante, discende, dunque,dall'economismo specialmente inglese, apparendo pro-prio come un'illazione dell'economia pura e dell'econo-mia politica. Bisogna adesso vedere fino a che punto ciòsia legittimo, perchè le scienze economiche rientranonel più largo cerchio delle discipline sociali o storiche omorali in genere, che a lor volta si distinguono dallescienze della natura. Queste difatti riguardar degli og-getti, che son dati già come esistenti e non dipendonoaffatto dal volere umano; mentre le scienze morali, cheimplicano l'uomo, han per loro obietto non una cosa oun fatto, ma sempre un valore, ossia una finalità umana,perchè una cosa qualunque, che di per sé esiste soltanto,vale per noi in quanto ce la poniamo come fine. Esem-pio: l'oro, che il naturalista studia analizzandone le qua-lità e determinandolo quindi come un metallo che ha

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peso specifico, densità, durezza propri ecc., viceversadall'economista non è più riguardato come puro esisten-te, di cui formiamo la conoscenza mediante l'analisi e lasintesi delle sue qualità, ma in quanto ha acquistato unvalore (economico) dalla volontà umana, che se ne ser-ve di tallone, cioè di misura, per determinare il prezzodegli oggetti. Benché ci sia questa differenza fra lescienze della natura (riguardanti gli oggetti) e quelledello spirito (implicanti il soggetto), fra le quali rientra-no le scienze economiche, queste però hanno in comunecon le prime il metodo positivo, giacché possono astrar-re da ogni finalità subiettiva, per considerare il loro og-getto in se stesso. L'economia pura è una scienzaastraente del tipo delle matematiche e appunto per ciòrigorosa. Come la matematica astrae da tutti i contenutie universalizza i rapporti quantitativi, considerandolinella loro purezza (che uno più uno sia eguale a due, èuna verità obiettiva, di cui tutti dobbiam convenire;mentre se dite, per es., un bue più una pecora,quell'uguaglianza non val più!), così fa lo stesso l'econo-mia pura, la quale riduce tutti i valori umani a quelloeconomico, che non ripone più in una finalità subiettiva,ma in una misura quantitativa che è il prezzo, il qualediventa per l'economismo l'unico valore d'una cosa. Per-chè lo può fare? Perchè tutti i valori, ossia tutte le finali-tà umane, hanno in comune l'aspetto economico: unastatua di Prassitele come un vaso di coccio acquistanosul mercato un nuovo valore (il prezzo), che li pareggiacon tutte le altre merci e misura anche la finalità artisti-

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peso specifico, densità, durezza propri ecc., viceversadall'economista non è più riguardato come puro esisten-te, di cui formiamo la conoscenza mediante l'analisi e lasintesi delle sue qualità, ma in quanto ha acquistato unvalore (economico) dalla volontà umana, che se ne ser-ve di tallone, cioè di misura, per determinare il prezzodegli oggetti. Benché ci sia questa differenza fra lescienze della natura (riguardanti gli oggetti) e quelledello spirito (implicanti il soggetto), fra le quali rientra-no le scienze economiche, queste però hanno in comunecon le prime il metodo positivo, giacché possono astrar-re da ogni finalità subiettiva, per considerare il loro og-getto in se stesso. L'economia pura è una scienzaastraente del tipo delle matematiche e appunto per ciòrigorosa. Come la matematica astrae da tutti i contenutie universalizza i rapporti quantitativi, considerandolinella loro purezza (che uno più uno sia eguale a due, èuna verità obiettiva, di cui tutti dobbiam convenire;mentre se dite, per es., un bue più una pecora,quell'uguaglianza non val più!), così fa lo stesso l'econo-mia pura, la quale riduce tutti i valori umani a quelloeconomico, che non ripone più in una finalità subiettiva,ma in una misura quantitativa che è il prezzo, il qualediventa per l'economismo l'unico valore d'una cosa. Per-chè lo può fare? Perchè tutti i valori, ossia tutte le finali-tà umane, hanno in comune l'aspetto economico: unastatua di Prassitele come un vaso di coccio acquistanosul mercato un nuovo valore (il prezzo), che li pareggiacon tutte le altre merci e misura anche la finalità artisti-

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ca, cui obbedì lo scultore, o il piacere di far bene il suovaso, che potè perseguir l'artigiano.

L'oro viene poi assunto come misura comune, cui siriferiscon tutti i prezzi, perchè è un bene piuttosto raro efacilmente monopolizzabile: difatti, perchè una mercecosti, bisogna che manchi (il valore economico è il valo-re del bisogno!). Allora, all'economia pura basta questorapporto economico, che è quello dello scambio, per fis-sar nel prezzo il valore di qualsiasi oggetto, a qualunquealtro fine esso possa soddisfare e ubbidire. Nel prezzod'una merce l'economia parifica anche il valore di tuttigli altri fattori che han contribuito a produrla, dalla ma-teria prima e dagli strumenti di lavoro fino al capitaleanticipato e al lavoratore stesso, così che anche il lavoroviene ad essere una merce, che ha un prezzo sul merca-to: per es., nel costo d'un sacco di farina entra pure il sa-lario del contadino che ha lavorato la terra.

Quindi il valore economico, epurandosi da tutti gli al-tri, divien l'obietto d'una scienza (l'economia pura), cheper il suo processo astraente, mentre approda a un mate-matismo che la mette alla pari delle scienze naturali, conproprie leggi altrettanto rigorose, nello stesso tempo tra-scura tutti gli altri valori, spingendo il pensiero moder-no, che s'è svolto parallelamente ad essa dal Ricardo inpoi, a pensare che quel valore sia assoluto (mentre è unvalore relativo), ossia a porre l'oro come ciò che importae vale davvero, essendo la misura del prezzo. C'è statoappena un sospetto, in Ricardo, che il valore economiconon risieda nel prezzo, ma stia invece nel lavoro. Marx

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ca, cui obbedì lo scultore, o il piacere di far bene il suovaso, che potè perseguir l'artigiano.

L'oro viene poi assunto come misura comune, cui siriferiscon tutti i prezzi, perchè è un bene piuttosto raro efacilmente monopolizzabile: difatti, perchè una mercecosti, bisogna che manchi (il valore economico è il valo-re del bisogno!). Allora, all'economia pura basta questorapporto economico, che è quello dello scambio, per fis-sar nel prezzo il valore di qualsiasi oggetto, a qualunquealtro fine esso possa soddisfare e ubbidire. Nel prezzod'una merce l'economia parifica anche il valore di tuttigli altri fattori che han contribuito a produrla, dalla ma-teria prima e dagli strumenti di lavoro fino al capitaleanticipato e al lavoratore stesso, così che anche il lavoroviene ad essere una merce, che ha un prezzo sul merca-to: per es., nel costo d'un sacco di farina entra pure il sa-lario del contadino che ha lavorato la terra.

Quindi il valore economico, epurandosi da tutti gli al-tri, divien l'obietto d'una scienza (l'economia pura), cheper il suo processo astraente, mentre approda a un mate-matismo che la mette alla pari delle scienze naturali, conproprie leggi altrettanto rigorose, nello stesso tempo tra-scura tutti gli altri valori, spingendo il pensiero moder-no, che s'è svolto parallelamente ad essa dal Ricardo inpoi, a pensare che quel valore sia assoluto (mentre è unvalore relativo), ossia a porre l'oro come ciò che importae vale davvero, essendo la misura del prezzo. C'è statoappena un sospetto, in Ricardo, che il valore economiconon risieda nel prezzo, ma stia invece nel lavoro. Marx

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ha subito còlto questo concetto, traendone poi un argo-mento importantissimo per le sue leggi di tendenza; main Ricardo ci sarebbe stata contradizione, se vi avesseinsistito. Quindi i critici di Marx diranno, che il valorenon può star solo nel lavoro. Ma non anticipiamo!

L'economia politica, che torna a guardare il fatto eco-nomico nel complesso delle forme e delle funzioni so-ciali, a sua volta spinge il pensiero moderno verso unsociologismo svolto in senso utilitaristico, d'accordoproprio con l'èra borghese che accompagna lo sviluppodi questa scienza, fondata sul concetto implicito che leforme e i rapporti economici siano fondamentali rispettoa tutti gli altri fenomeni sociali, allo stesso modo (dice-vamo) per cui sono fondamentali la nutrizione e la con-servazione dell'organismo rispetto a tutte le altre attivitàumane. Il Marx ha sempre insistito su questo concetto,ribadendo la subordinazione delle altre attività socialiall'economia, che ne diviene il fine e dunque ci appari-sce fondamentale non solo nel fatto, ma anche ideal-mente, come finalità verso cui tutte le altre cospirano.C'è un'attività giuridica, che prendendo per fine l'econo-mia, ne stabilisce il giure e quindi l'inibizione socialecorrispondente, sancendo, per es., il diritto di proprietà(ch'è già un termine giuridico e non economico). Cosìanche la politica farà delle leggi destinate a regolarl'economia, la quale dunque diviene davvero il fine delleattività superiori. Qui s'ingenera un'illazione esagerata,che induce noi a riaprire il problema sui rapporti fral'economia, che di fatto è fondamentale, e gli altri feno-

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ha subito còlto questo concetto, traendone poi un argo-mento importantissimo per le sue leggi di tendenza; main Ricardo ci sarebbe stata contradizione, se vi avesseinsistito. Quindi i critici di Marx diranno, che il valorenon può star solo nel lavoro. Ma non anticipiamo!

L'economia politica, che torna a guardare il fatto eco-nomico nel complesso delle forme e delle funzioni so-ciali, a sua volta spinge il pensiero moderno verso unsociologismo svolto in senso utilitaristico, d'accordoproprio con l'èra borghese che accompagna lo sviluppodi questa scienza, fondata sul concetto implicito che leforme e i rapporti economici siano fondamentali rispettoa tutti gli altri fenomeni sociali, allo stesso modo (dice-vamo) per cui sono fondamentali la nutrizione e la con-servazione dell'organismo rispetto a tutte le altre attivitàumane. Il Marx ha sempre insistito su questo concetto,ribadendo la subordinazione delle altre attività socialiall'economia, che ne diviene il fine e dunque ci appari-sce fondamentale non solo nel fatto, ma anche ideal-mente, come finalità verso cui tutte le altre cospirano.C'è un'attività giuridica, che prendendo per fine l'econo-mia, ne stabilisce il giure e quindi l'inibizione socialecorrispondente, sancendo, per es., il diritto di proprietà(ch'è già un termine giuridico e non economico). Cosìanche la politica farà delle leggi destinate a regolarl'economia, la quale dunque diviene davvero il fine delleattività superiori. Qui s'ingenera un'illazione esagerata,che induce noi a riaprire il problema sui rapporti fral'economia, che di fatto è fondamentale, e gli altri feno-

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meni sociali, mentre spinse Marx ed Engels a fondarvisu risolutamente il loro materialismo storico, per cui lasocietà si svolge secondo ragioni d'ordine economicoche divengono il fine di tutte le altre, compresa la politi-ca, anch'essa regolativa dei fatti economici e quindi cor-rispondente ai bisogni e alle forze economiche vigenti,tanto che il governo d'un paese apparrebbe un comitatodi affari della classe economicamente privilegiata e perciò politicamente dominante, mentre qualunque muta-mento della struttura politica e sociale dovrebbe semprericondursi a forze d'ordine economico, per es., alla crisid'una forma economica esistente, che nel suo svolgi-mento dà luogo fatalmente a una forma nuova, per unalegge di tipo scientifico, secondo Marx, perfettamenteoggettiva.

Qui s'inserisce la prima critica, mossa dal più fedeledei discepoli spirituali di Marx e da uno dei più genialiprosecutori dell'opera marxista, Antonio Labriola, chefu professore dall' '86 all'Università di Roma e fece co-noscere in Italia il Materialismo storico con le sue ope-re, pubblicate quindi per interessamento di BenedettoCroce, che ne fu discepolo e fervido ammiratore ne ri-corda le lezioni come le sole che gl'insegnassero nonsoltanto dei pensieri, ma sopra tutto a pensare1. Infatti il

1 Cfr. i tre Saggi sulla concezione materialistica della Storia(Laterza 1946 2.a); gli Scritti vari di Filosofia e Politica (id.1906); e Discorrendo di Socialismo e di Filosofia (id. 1946 3.a),importante anche per i rapporti col Sorel, altro discepolo del La-briola.

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meni sociali, mentre spinse Marx ed Engels a fondarvisu risolutamente il loro materialismo storico, per cui lasocietà si svolge secondo ragioni d'ordine economicoche divengono il fine di tutte le altre, compresa la politi-ca, anch'essa regolativa dei fatti economici e quindi cor-rispondente ai bisogni e alle forze economiche vigenti,tanto che il governo d'un paese apparrebbe un comitatodi affari della classe economicamente privilegiata e perciò politicamente dominante, mentre qualunque muta-mento della struttura politica e sociale dovrebbe semprericondursi a forze d'ordine economico, per es., alla crisid'una forma economica esistente, che nel suo svolgi-mento dà luogo fatalmente a una forma nuova, per unalegge di tipo scientifico, secondo Marx, perfettamenteoggettiva.

Qui s'inserisce la prima critica, mossa dal più fedeledei discepoli spirituali di Marx e da uno dei più genialiprosecutori dell'opera marxista, Antonio Labriola, chefu professore dall' '86 all'Università di Roma e fece co-noscere in Italia il Materialismo storico con le sue ope-re, pubblicate quindi per interessamento di BenedettoCroce, che ne fu discepolo e fervido ammiratore ne ri-corda le lezioni come le sole che gl'insegnassero nonsoltanto dei pensieri, ma sopra tutto a pensare1. Infatti il

1 Cfr. i tre Saggi sulla concezione materialistica della Storia(Laterza 1946 2.a); gli Scritti vari di Filosofia e Politica (id.1906); e Discorrendo di Socialismo e di Filosofia (id. 1946 3.a),importante anche per i rapporti col Sorel, altro discepolo del La-briola.

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Labriola era uno spirito profondo e un ingegno persona-le, che trovando nel Marx il fondamento d'una filosofiasociale faceva sua la missione di dare una filosofia alsocialismo nascente, di cui militava nelle file fin dal1886. Quando s'accinse a dimostrare, che la dottrina ma-terialistica della storia è in fondo la teoria obiettiva dellerivoluzioni sociali, fu subito obbligato a criticare ilMarx sul punto dell'assoluta fondamentalità dell'econo-mia di fronte alle altre attività sociali. Al Labriola nonpoteva sfuggire, che nel mondo non c'è soltanto la fina-lità economica (sarebbe come dire che un animale ha ilsolo fine di cibarsi), ma tutte le attività umane diventanoa lor volta, almeno temporaneamente, finali, a cominciarda quella che può servire a migliorare le condizioni e glistrumenti per cibarsi. Se il maestro parlasse dalla catte-dra solamente con lo scopo di prender lo stipendio allafin del mese, non avrebbe che una finalità economica;ma qual è il maestro che non si pone invece per fine di-retto la scienza stessa che insegna? Ossia: nel mondoogni attività si finalizza e si rende autonoma da tutte lealtre. Ci voleva proprio l'entusiasmo di Marx e direiquasi il suo fanatismo, per non vedere che la politicanon è solamente strumentale ai fini dell'economia equindi rivolta a convalidarne le forme esistenti, ma a uncerto punto vi reagisce con una sua propria finalità: peres. il nazionalismo, nella vita politica contemporanea, difronte all'internazionalismo che sarebbe proprio dellaborghesia capitalista (salvo a trarre vantaggio dalla garadegli armamenti e dalla guerra stessa).

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Labriola era uno spirito profondo e un ingegno persona-le, che trovando nel Marx il fondamento d'una filosofiasociale faceva sua la missione di dare una filosofia alsocialismo nascente, di cui militava nelle file fin dal1886. Quando s'accinse a dimostrare, che la dottrina ma-terialistica della storia è in fondo la teoria obiettiva dellerivoluzioni sociali, fu subito obbligato a criticare ilMarx sul punto dell'assoluta fondamentalità dell'econo-mia di fronte alle altre attività sociali. Al Labriola nonpoteva sfuggire, che nel mondo non c'è soltanto la fina-lità economica (sarebbe come dire che un animale ha ilsolo fine di cibarsi), ma tutte le attività umane diventanoa lor volta, almeno temporaneamente, finali, a cominciarda quella che può servire a migliorare le condizioni e glistrumenti per cibarsi. Se il maestro parlasse dalla catte-dra solamente con lo scopo di prender lo stipendio allafin del mese, non avrebbe che una finalità economica;ma qual è il maestro che non si pone invece per fine di-retto la scienza stessa che insegna? Ossia: nel mondoogni attività si finalizza e si rende autonoma da tutte lealtre. Ci voleva proprio l'entusiasmo di Marx e direiquasi il suo fanatismo, per non vedere che la politicanon è solamente strumentale ai fini dell'economia equindi rivolta a convalidarne le forme esistenti, ma a uncerto punto vi reagisce con una sua propria finalità: peres. il nazionalismo, nella vita politica contemporanea, difronte all'internazionalismo che sarebbe proprio dellaborghesia capitalista (salvo a trarre vantaggio dalla garadegli armamenti e dalla guerra stessa).

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Il Marx tende sempre a ridurre una guerra al suo con-tenuto economico, spiegandola come il risultato di con-correnze fra le plutocrazie nazionali, mentre è evidenteche accanto ai fini economici ve ne sono anche degli al-tri (patriottismi, sovranità nazionali ecc.) che non ne di-pendono o almeno insorgono con propri fini e vi reagi-scono. Le guerre, che per secoli e secoli han travagliatol'umanità, non sono riducibili a puri motivi economici:per es. quelle del feudalesimo, dovute a spirito di con-quista e dove l'elemento economico entra solo in sottor-dine, o le guerre onde uscirono i grandi reami, mosse daun fine imperialistico, che poi reagì a sua volta sullecondizioni economiche, contribuendo a dissolvere il si-stema feudale. Così anche le guerre di religione, puravendo un loro substrato economico, non si posson ri-durre a pure ragioni economiche. Ho fatto l'esempio del-la guerra, perchè è il più clamoroso di tutti i fenomenipolitici; ma in genere, come si può negare che nel mon-do si pongano continuamente nuovi fini, oltre quellieconomici, ed entrino tutti in un doppio rapporto fraloro d'azione e reazione? Il Labriola vede bene ciò equindi corregge il Marx, dicendo che le attività superio-ri, che il Marx chiamava le sovrastrutture sociali e face-va dipendere dai fatti economici come effetti da cause,per lo meno vi reagiscon sopra, nel momento che diven-gono i fini di attività particolari, specificandosi e distin-guendosi da quelle economiche.

Sulla medesima via, il prof. Alfonso Asturaro, che fuinsegnante nell'Università di Genova, ha cercato di chia-

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Il Marx tende sempre a ridurre una guerra al suo con-tenuto economico, spiegandola come il risultato di con-correnze fra le plutocrazie nazionali, mentre è evidenteche accanto ai fini economici ve ne sono anche degli al-tri (patriottismi, sovranità nazionali ecc.) che non ne di-pendono o almeno insorgono con propri fini e vi reagi-scono. Le guerre, che per secoli e secoli han travagliatol'umanità, non sono riducibili a puri motivi economici:per es. quelle del feudalesimo, dovute a spirito di con-quista e dove l'elemento economico entra solo in sottor-dine, o le guerre onde uscirono i grandi reami, mosse daun fine imperialistico, che poi reagì a sua volta sullecondizioni economiche, contribuendo a dissolvere il si-stema feudale. Così anche le guerre di religione, puravendo un loro substrato economico, non si posson ri-durre a pure ragioni economiche. Ho fatto l'esempio del-la guerra, perchè è il più clamoroso di tutti i fenomenipolitici; ma in genere, come si può negare che nel mon-do si pongano continuamente nuovi fini, oltre quellieconomici, ed entrino tutti in un doppio rapporto fraloro d'azione e reazione? Il Labriola vede bene ciò equindi corregge il Marx, dicendo che le attività superio-ri, che il Marx chiamava le sovrastrutture sociali e face-va dipendere dai fatti economici come effetti da cause,per lo meno vi reagiscon sopra, nel momento che diven-gono i fini di attività particolari, specificandosi e distin-guendosi da quelle economiche.

Sulla medesima via, il prof. Alfonso Asturaro, che fuinsegnante nell'Università di Genova, ha cercato di chia-

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rire con esattezza i rapporti che passano fra l'economia egli altri fattori sociali, costruendone a dirittura la serie2.Subito, e qui è stato forse il più geniale dei nostri socio-logi, gli sono apparsi tre ordini di rapporti da distinguerfra loro. Nel Marx c'è confusione fra quella che nellescienze naturali si chiama la causa efficiente e quellache è soltanto la condizione: altro è dire che i fatti eco-nomici sono fondamentali in quanto sono le condizionireali di tutti gli altri, altro è dire invece che sono fonda-mentali in quanto ne son le cause genetiche, ossia pro-ducenti. Nel primo caso soltanto rimane vera la leggedell'economismo politico, che se non ci fosse un sub-strato economico non ci sarebbe neppur società; senzatuttavia che questa condizionalità implichi nessuna cau-salità, ossia discendenza effettuale del fatto superiore daquello inferiore, come viceversa intendeva il Marx. Èvero che ci può essere questo rapporto, che, per es., laclasse dei ricchi acquisti anche il dominio politico, at-tuando un regime plutocratico; ma ci può essere inveceun'aristocrazia del sangue o della milizia. Ossia: non tut-ti i fatti politici derivano geneticamente da quelli econo-mici e, quando pure ne derivano, ad un certo momentodiventano autonomi, perchè acquistano un proprio finecon propri mezzi e con forma di attività diversa da quel-la economica. È evidente, che già in questa distinzionefra cause genetiche e condizioni troviamo uno strumen-

2 Cfr., Il materialismo storico, 1904, La sociologia, i suoi me-todi e le sue scoperte, 1.a ed. 1897, La Sociologia politica, 1911.

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rire con esattezza i rapporti che passano fra l'economia egli altri fattori sociali, costruendone a dirittura la serie2.Subito, e qui è stato forse il più geniale dei nostri socio-logi, gli sono apparsi tre ordini di rapporti da distinguerfra loro. Nel Marx c'è confusione fra quella che nellescienze naturali si chiama la causa efficiente e quellache è soltanto la condizione: altro è dire che i fatti eco-nomici sono fondamentali in quanto sono le condizionireali di tutti gli altri, altro è dire invece che sono fonda-mentali in quanto ne son le cause genetiche, ossia pro-ducenti. Nel primo caso soltanto rimane vera la leggedell'economismo politico, che se non ci fosse un sub-strato economico non ci sarebbe neppur società; senzatuttavia che questa condizionalità implichi nessuna cau-salità, ossia discendenza effettuale del fatto superiore daquello inferiore, come viceversa intendeva il Marx. Èvero che ci può essere questo rapporto, che, per es., laclasse dei ricchi acquisti anche il dominio politico, at-tuando un regime plutocratico; ma ci può essere inveceun'aristocrazia del sangue o della milizia. Ossia: non tut-ti i fatti politici derivano geneticamente da quelli econo-mici e, quando pure ne derivano, ad un certo momentodiventano autonomi, perchè acquistano un proprio finecon propri mezzi e con forma di attività diversa da quel-la economica. È evidente, che già in questa distinzionefra cause genetiche e condizioni troviamo uno strumen-

2 Cfr., Il materialismo storico, 1904, La sociologia, i suoi me-todi e le sue scoperte, 1.a ed. 1897, La Sociologia politica, 1911.

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to epistemologico per criticare il puro determinismo po-litico nel senso del materialismo storico, o meglio per ri-condurlo nei propri confini.

Il materialismo storico, nel modo che l'enunciavanoMarx ed Engels, riduce tutto all'economia. Ora questa èun'interpretazione parziale del mondo umano: per es.,l'istituto della famiglia ha certo un contenuto economi-co, in quanto entrano a costituirlo dei fatti patrimoniali,ma poi si autonomizza con valori e finalità proprie, at-tuandosi in rapporti che sono appunto familiari e nonpiù solamente economici. L'Asturaro soggiunge, che c'èsempre un rapporto condizionale che lega fra loro tuttele attività sociali e va assunto come criterio per costruir-ne la serie (come tentò lo Spencer), mettendo al fondol'economia, a cui seguiranno la famiglia, il giure, la poli-tica e le loro sovrastrutture, come l'etica, l'arte, la scien-za, la religione. Non potrebbe darsi, per es., un'attivitàsquisitamente politica, ossia di regolazione sociale, senon ce ne fosse prima un'altra di tipo giuridico, riguar-dante le inibizioni sociali, la quale vien poi controllatada un governo rappresentante così il potere legislativocome quello esecutivo. In questo senso tutte le attivitàsociali sono subordinate condizionalmente al fatto eco-nomico; ma son legate poi fra loro anche da un nessod'altro tipo (teleologico), che tanto gli economisti quan-to il Marx han veduto, considerandolo però in manieraunilaterale. Se tutti i fatti sociali son fatti morali, riguar-danti i fini che spingono il volere, allora c'è un teleolo-gismo (un rapporto finale) che li stringe fra loro e rove-

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to epistemologico per criticare il puro determinismo po-litico nel senso del materialismo storico, o meglio per ri-condurlo nei propri confini.

Il materialismo storico, nel modo che l'enunciavanoMarx ed Engels, riduce tutto all'economia. Ora questa èun'interpretazione parziale del mondo umano: per es.,l'istituto della famiglia ha certo un contenuto economi-co, in quanto entrano a costituirlo dei fatti patrimoniali,ma poi si autonomizza con valori e finalità proprie, at-tuandosi in rapporti che sono appunto familiari e nonpiù solamente economici. L'Asturaro soggiunge, che c'èsempre un rapporto condizionale che lega fra loro tuttele attività sociali e va assunto come criterio per costruir-ne la serie (come tentò lo Spencer), mettendo al fondol'economia, a cui seguiranno la famiglia, il giure, la poli-tica e le loro sovrastrutture, come l'etica, l'arte, la scien-za, la religione. Non potrebbe darsi, per es., un'attivitàsquisitamente politica, ossia di regolazione sociale, senon ce ne fosse prima un'altra di tipo giuridico, riguar-dante le inibizioni sociali, la quale vien poi controllatada un governo rappresentante così il potere legislativocome quello esecutivo. In questo senso tutte le attivitàsociali sono subordinate condizionalmente al fatto eco-nomico; ma son legate poi fra loro anche da un nessod'altro tipo (teleologico), che tanto gli economisti quan-to il Marx han veduto, considerandolo però in manieraunilaterale. Se tutti i fatti sociali son fatti morali, riguar-danti i fini che spingono il volere, allora c'è un teleolo-gismo (un rapporto finale) che li stringe fra loro e rove-

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scia quel determinismo delle cause efficienti, che trovia-mo nelle scienze della natura.

Ora è qui, specialmente, che si capisce come i fattid'ordine superiore acquistino autonomia di fronte aquelli d'ordine inferiore: d'accordo, che un fenomenogiuridico o politico si può porre per fine le forme e irapporti economici, ma è pur vero che vi può reagire eanzi servirsene per raggiungere una sua propria finalitàspecifica. Ossia, tra i fattori sociali c'è un'azione e unareazione continua nell'ordine di mezzo a fine, per cuisempre quelli d'ordine superiore reagiscon sopra gli altrie a lor volta li subordinano per i loro propri fini. Insegnala storia, che una guerra si può muovere anche solo peruno scopo politico (perchè il paese vicino s'è impadroni-to di qualche lembo di terra), che in questo caso subor-dina a sé anche quello inferiore: basti pensare al sacrifi-cio economico che costa una guerra!

Tutto ciò non annulla il concetto fondamentaledell'economia politica di Marx e di Engels e quindi delloro materialismo storico, ma ne limita l'illazione esage-rata, la quale poteva apparirci legittima in un puro eco-nomismo, ma si svuota di valore in una sociologia gene-rale, che debba tener conto di tutti i fattori. Infatti, quan-do Marx ci vuol dire che fra le leggi di tendenza c'èquella di rivoluzionare l'economia, onde una forma eco-nomica ad un certo momento si rovescia dialetticamentenel suo opposto, che ragione ce ne potrebbe fornire, senon la cercasse in un finalismo, che solo può giustificareil rovesciamento della prassi? Anche di questo s'era già

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scia quel determinismo delle cause efficienti, che trovia-mo nelle scienze della natura.

Ora è qui, specialmente, che si capisce come i fattid'ordine superiore acquistino autonomia di fronte aquelli d'ordine inferiore: d'accordo, che un fenomenogiuridico o politico si può porre per fine le forme e irapporti economici, ma è pur vero che vi può reagire eanzi servirsene per raggiungere una sua propria finalitàspecifica. Ossia, tra i fattori sociali c'è un'azione e unareazione continua nell'ordine di mezzo a fine, per cuisempre quelli d'ordine superiore reagiscon sopra gli altrie a lor volta li subordinano per i loro propri fini. Insegnala storia, che una guerra si può muovere anche solo peruno scopo politico (perchè il paese vicino s'è impadroni-to di qualche lembo di terra), che in questo caso subor-dina a sé anche quello inferiore: basti pensare al sacrifi-cio economico che costa una guerra!

Tutto ciò non annulla il concetto fondamentaledell'economia politica di Marx e di Engels e quindi delloro materialismo storico, ma ne limita l'illazione esage-rata, la quale poteva apparirci legittima in un puro eco-nomismo, ma si svuota di valore in una sociologia gene-rale, che debba tener conto di tutti i fattori. Infatti, quan-do Marx ci vuol dire che fra le leggi di tendenza c'èquella di rivoluzionare l'economia, onde una forma eco-nomica ad un certo momento si rovescia dialetticamentenel suo opposto, che ragione ce ne potrebbe fornire, senon la cercasse in un finalismo, che solo può giustificareil rovesciamento della prassi? Anche di questo s'era già

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accorto il Labriola e ne aveva concluso, che la filosofiadell'azione marxista rimane il midollo del materialismostorico e introduce un valore nuovo (finale) nel purogiuoco delle forze e forme economiche, le quali si rove-scian le une su le altre perchè vi sta sotto una volontàche muove verso un fine.

Se restassimo al materialismo storico nella sua formapiù rigida, come tante volte sembra che vi resti il Marx,ne verrebbe un determinismo economico, il quale vante-rebbe leggi altrettanto necessarie che le leggi della natu-ra, ma di per sé insufficienti a spiegar qualunque pro-fonda modificazione sociale, senza ricorrere a nuovi va-lori. Dir che la società, in quanto ha una certa strutturaeconomica (per es., il capitalismo contemporaneo) deb-ba giungere fatalmente a una crisi (di sovraproduzione),donde esca la nuova forma economica (il comunismo), èaffidarsi a un'illusione, che la storia s'incarica di smenti-re! L'economismo capitalistico ha sempre risolto con lesole sue forze, e rimanendo sè stesso, le sue crisi di so-vraproduzione, mediante accordi internazionali o apren-dosi nuovi mercati, alla peggio con una guerra. Senzadubbio, anch'esso si trasforma, perchè tutto cangia ognigiorno, ma sempre sullo stesso piano. Invece la rivolu-zione marxista vuole a dirittura capovolgere le formesociali esistenti, vuol essere proprio una prassi che si ro-vescia: allora debbono intervenire degli elementi nuovi.Lo stesso dovremo ripetere della lotta di classe, la qualenon nasce solo dall'esserci delle classi di fatto. Se dun-que a un certo momento insorge una rivoluzione, che in-

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accorto il Labriola e ne aveva concluso, che la filosofiadell'azione marxista rimane il midollo del materialismostorico e introduce un valore nuovo (finale) nel purogiuoco delle forze e forme economiche, le quali si rove-scian le une su le altre perchè vi sta sotto una volontàche muove verso un fine.

Se restassimo al materialismo storico nella sua formapiù rigida, come tante volte sembra che vi resti il Marx,ne verrebbe un determinismo economico, il quale vante-rebbe leggi altrettanto necessarie che le leggi della natu-ra, ma di per sé insufficienti a spiegar qualunque pro-fonda modificazione sociale, senza ricorrere a nuovi va-lori. Dir che la società, in quanto ha una certa strutturaeconomica (per es., il capitalismo contemporaneo) deb-ba giungere fatalmente a una crisi (di sovraproduzione),donde esca la nuova forma economica (il comunismo), èaffidarsi a un'illusione, che la storia s'incarica di smenti-re! L'economismo capitalistico ha sempre risolto con lesole sue forze, e rimanendo sè stesso, le sue crisi di so-vraproduzione, mediante accordi internazionali o apren-dosi nuovi mercati, alla peggio con una guerra. Senzadubbio, anch'esso si trasforma, perchè tutto cangia ognigiorno, ma sempre sullo stesso piano. Invece la rivolu-zione marxista vuole a dirittura capovolgere le formesociali esistenti, vuol essere proprio una prassi che si ro-vescia: allora debbono intervenire degli elementi nuovi.Lo stesso dovremo ripetere della lotta di classe, la qualenon nasce solo dall'esserci delle classi di fatto. Se dun-que a un certo momento insorge una rivoluzione, che in-

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nova radicalmente la società, essa dipenderà da una co-scienza e da un valore nuovo, i quali prima non c'eranoe si son venuti formando. Questa è la seconda criticache fu mossa al materialismo storico e c'indica la viache dovrà condurci all'altra faccia di Marx.

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nova radicalmente la società, essa dipenderà da una co-scienza e da un valore nuovo, i quali prima non c'eranoe si son venuti formando. Questa è la seconda criticache fu mossa al materialismo storico e c'indica la viache dovrà condurci all'altra faccia di Marx.

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IVLE LEGGI ECONOMICHE DI

TENDENZA

Per ora dobbiam rimanere all'aspetto scientifico delmaterialismo storico, il quale ripete le sue originidall'economismo inglese, nato e progredito di pari passocon l'individualismo razionalista e con l'èra che divente-rà a poco a poco industriale. Dicevamo che Marx ed En-gels credono di tenersi fedeli allo scientismo di questascuola, che riduce i fattori e i valori sociali a un denomi-natore comune, trattandoli come beni, che si possonvendere e comprare, ossia riunificandoli tutti dentro ilvalore economico, il quale viene epurato dagli altri perfarne il contenuto d'una scienza vera e propria, che ha lesue leggi obiettive e tende a un matematismo, comequello raggiunto, per es., dall'economia del Pareto. Vi-ceversa, pur prendendo le mosse di qui, Marx ed Engelsvollero fare una sociologia intesa come una filosofiadella storia, cioè una dottrina fondamentale per com-prendere i fatti storici e prevederne gli sviluppi, illuden-dosi proprio di poter dedurre dai loro principi dottrinari

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IVLE LEGGI ECONOMICHE DI

TENDENZA

Per ora dobbiam rimanere all'aspetto scientifico delmaterialismo storico, il quale ripete le sue originidall'economismo inglese, nato e progredito di pari passocon l'individualismo razionalista e con l'èra che divente-rà a poco a poco industriale. Dicevamo che Marx ed En-gels credono di tenersi fedeli allo scientismo di questascuola, che riduce i fattori e i valori sociali a un denomi-natore comune, trattandoli come beni, che si possonvendere e comprare, ossia riunificandoli tutti dentro ilvalore economico, il quale viene epurato dagli altri perfarne il contenuto d'una scienza vera e propria, che ha lesue leggi obiettive e tende a un matematismo, comequello raggiunto, per es., dall'economia del Pareto. Vi-ceversa, pur prendendo le mosse di qui, Marx ed Engelsvollero fare una sociologia intesa come una filosofiadella storia, cioè una dottrina fondamentale per com-prendere i fatti storici e prevederne gli sviluppi, illuden-dosi proprio di poter dedurre dai loro principi dottrinari

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Page 44: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

delle leggi chiamate di tendenza, che fossero idonee apredeterminare il divenire della storia. Partendo dal con-cetto fondamentale, che il solo rapporto economico de-cide dell'insieme dei rapporti sociali, che ne sono il ri-flesso, e in particolar modo di quello politico, intesocome l'espressione del dominio sociale corrispondentealle forme vigenti dell'economia (un governo, dicevamo,sarebbe il comitato della classe economicamente piùforte), il Marx cerca di formulare delle leggi che ci con-sentano di prevedere la curva economica d'un qualsiasiperiodo storico, come se fosse determinabile con leggisociali di pura ragione economica.

Di qui è nato l'equivoco di trascurare tutti gli altri fat-tori sociali, giuridici politici e via dicendo (che hanno illoro valore in se stessi e anzi reagiscono sopra il fattoeconomico), facendo credere che le guerre, per es., o gliopposti nazionalismi non siano altro che i risultati di ri-valità puramente economiche, e contradicendosi in ciò,che l'avvento della grande industria porterebbe invece aun internazionalismo pacifista (come ha dimostrato loSpencer), perchè l'interesse d'una società industriale èquello d'internazionalizzare la ricchezza e trovar mercatilontani, e non l'opposto di vivere nell'ostilità fra nazionee nazione. Per se stessa, un'epoca industriale do-vrebb'essere pacifista, se obbedisse solamente al biso-gno economico, perchè è evidente che la guerra, pur ali-mentando certe industrie, è distruttrice di valori econo-mici e sperpera un'enorme ricchezza nell'economia ge-nerale d'un paese. Partendo invece da uno stretto mate-

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delle leggi chiamate di tendenza, che fossero idonee apredeterminare il divenire della storia. Partendo dal con-cetto fondamentale, che il solo rapporto economico de-cide dell'insieme dei rapporti sociali, che ne sono il ri-flesso, e in particolar modo di quello politico, intesocome l'espressione del dominio sociale corrispondentealle forme vigenti dell'economia (un governo, dicevamo,sarebbe il comitato della classe economicamente piùforte), il Marx cerca di formulare delle leggi che ci con-sentano di prevedere la curva economica d'un qualsiasiperiodo storico, come se fosse determinabile con leggisociali di pura ragione economica.

Di qui è nato l'equivoco di trascurare tutti gli altri fat-tori sociali, giuridici politici e via dicendo (che hanno illoro valore in se stessi e anzi reagiscono sopra il fattoeconomico), facendo credere che le guerre, per es., o gliopposti nazionalismi non siano altro che i risultati di ri-valità puramente economiche, e contradicendosi in ciò,che l'avvento della grande industria porterebbe invece aun internazionalismo pacifista (come ha dimostrato loSpencer), perchè l'interesse d'una società industriale èquello d'internazionalizzare la ricchezza e trovar mercatilontani, e non l'opposto di vivere nell'ostilità fra nazionee nazione. Per se stessa, un'epoca industriale do-vrebb'essere pacifista, se obbedisse solamente al biso-gno economico, perchè è evidente che la guerra, pur ali-mentando certe industrie, è distruttrice di valori econo-mici e sperpera un'enorme ricchezza nell'economia ge-nerale d'un paese. Partendo invece da uno stretto mate-

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rialismo deterministico, verrebbe di conseguenza chenon si potrebbe nemmen più spiegare quel fatto politicocome avvenuto storicamente!

C'era poi l'altra contradizione interna a questa dottri-na: secondo Marx ed Engels, la coscienza che accompa-gna una forma economica (perchè tutte le attività umanehanno la loro etica) non è nient'altro che il riflettersi, ap-punto come coscienza, di condizioni economiche di fat-to: per es., si forma una coscienza borghese corrispon-dente all'industrialismo borghese dell'èra contempora-nea. Se questo è vero, sorge un problema: come sperareche ad un certo momento questa coscienza si antinomiz-zi a sè stessa, divenendo rivoluzionaria e modificando leforme sociali esistenti? Il Marx dovrà cercar la rispostanello svolgimento delle forme stesse economiche, chesboccano fatalmente in una crisi e portano di conse-guenza la coscienza stessa economica a rovesciarsi so-pra la forma producente e ad esercitarvi una forza insenso rivoluzionario. Importantissimo era per Marx que-sto punto, perchè, secondo lui, la scienza non dev'esseresoltanto contemplativa (un puro sapere teoretico), masopra tutto pratica, cioè tale da spingere all'azione. Dun-que la dottrina del materialismo storico, secondo i suoifondatori, dovrebbe servire a innovare le forme econo-miche esistenti. Per ciò la chiamarono anche materiali-smo critico, volendo significare che se si forma una co-scienza critica, cioè capace di conoscere le condizionieconomiche d'un certo momento storico, questa diverràanche una coscienza attiva, pratica, rivoluzionaria, che

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rialismo deterministico, verrebbe di conseguenza chenon si potrebbe nemmen più spiegare quel fatto politicocome avvenuto storicamente!

C'era poi l'altra contradizione interna a questa dottri-na: secondo Marx ed Engels, la coscienza che accompa-gna una forma economica (perchè tutte le attività umanehanno la loro etica) non è nient'altro che il riflettersi, ap-punto come coscienza, di condizioni economiche di fat-to: per es., si forma una coscienza borghese corrispon-dente all'industrialismo borghese dell'èra contempora-nea. Se questo è vero, sorge un problema: come sperareche ad un certo momento questa coscienza si antinomiz-zi a sè stessa, divenendo rivoluzionaria e modificando leforme sociali esistenti? Il Marx dovrà cercar la rispostanello svolgimento delle forme stesse economiche, chesboccano fatalmente in una crisi e portano di conse-guenza la coscienza stessa economica a rovesciarsi so-pra la forma producente e ad esercitarvi una forza insenso rivoluzionario. Importantissimo era per Marx que-sto punto, perchè, secondo lui, la scienza non dev'esseresoltanto contemplativa (un puro sapere teoretico), masopra tutto pratica, cioè tale da spingere all'azione. Dun-que la dottrina del materialismo storico, secondo i suoifondatori, dovrebbe servire a innovare le forme econo-miche esistenti. Per ciò la chiamarono anche materiali-smo critico, volendo significare che se si forma una co-scienza critica, cioè capace di conoscere le condizionieconomiche d'un certo momento storico, questa diverràanche una coscienza attiva, pratica, rivoluzionaria, che

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spingerà gli uomini ad agire.Allora si trattava di dare a questa conoscenza critica il

suo fondamento scientifico, ossia spiegare perchè la co-scienza borghese deve diventare anti-borghese. Sappia-mo già che per il Marx le vigenti forme economiche(come la nuova scienza e poi il suo Capitale avrebberodovuto chiarire alle menti degli uomini) incorrerannofatalmente, durante il loro sviluppo, in una crisi, di dovenuove forze risorgeranno (sempre economiche!) rove-sciando le vecchie strutture. Ne deriverà la prima e piùimportante delle sue leggi di tendenza, quella che cideve far prevedere il momento in cui l'economia bor-ghese verrà in crisi, producendo necessariamente unaforza antinomica, destinata a rovesciarla. È tuttaun'ideologia che deve servir di fondamento a dei princi-pi politici rivoluzionari e si chiama comunismo critico.

Diciamo subito che c'è una contradizione in questocomunismo critico, il quale deve obbedire a due opposteesigenze. Da una parte, lo scientismo di Marx porta aconcludere, che la storia si fa da sé, a traverso un fatalesvolgimento di ragioni puramente economiche, e di con-seguenza a respinger nei cieli dell'utopia e delle idee tut-te le vecchie teorie socialiste d'ispirazione romantica,come vagheggiamenti d'un pensiero e d'un sentimentoche hanno il torto di non poggiare sopra una critica deifatti; sostituendovi invece una dottrina fondata sull'eco-nomia e divenuta consapevole che il pensiero e le spe-ranze degli uomini non approdano a nulla, se non si mi-surano nella concretezza delle condizioni effettuali.

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spingerà gli uomini ad agire.Allora si trattava di dare a questa conoscenza critica il

suo fondamento scientifico, ossia spiegare perchè la co-scienza borghese deve diventare anti-borghese. Sappia-mo già che per il Marx le vigenti forme economiche(come la nuova scienza e poi il suo Capitale avrebberodovuto chiarire alle menti degli uomini) incorrerannofatalmente, durante il loro sviluppo, in una crisi, di dovenuove forze risorgeranno (sempre economiche!) rove-sciando le vecchie strutture. Ne deriverà la prima e piùimportante delle sue leggi di tendenza, quella che cideve far prevedere il momento in cui l'economia bor-ghese verrà in crisi, producendo necessariamente unaforza antinomica, destinata a rovesciarla. È tuttaun'ideologia che deve servir di fondamento a dei princi-pi politici rivoluzionari e si chiama comunismo critico.

Diciamo subito che c'è una contradizione in questocomunismo critico, il quale deve obbedire a due opposteesigenze. Da una parte, lo scientismo di Marx porta aconcludere, che la storia si fa da sé, a traverso un fatalesvolgimento di ragioni puramente economiche, e di con-seguenza a respinger nei cieli dell'utopia e delle idee tut-te le vecchie teorie socialiste d'ispirazione romantica,come vagheggiamenti d'un pensiero e d'un sentimentoche hanno il torto di non poggiare sopra una critica deifatti; sostituendovi invece una dottrina fondata sull'eco-nomia e divenuta consapevole che il pensiero e le spe-ranze degli uomini non approdano a nulla, se non si mi-surano nella concretezza delle condizioni effettuali.

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D'altra parte, il comunismo critico deve proprio servirea svegliare e formare la nuova coscienza rivoluzionaria.Come si conciliano questi due aspetti? Il Marx tenterà diaccordarli, ricorrendo al concetto della lotta di classe,nel quale si concreta anche la sua legge di tendenza eco-nomica. Appunto per farne una legge obiettiva della suascienza sociologica, egli intanto è costretto, nella primaparte del Manifesto, a ricostruire la storia del mondo sulprincipio della fondamentalità del fatto economico ri-spetto a tutti gli altri e quindi mediante la lotta (econo-mica) di classe, che avrebbe sempre spinto la storia asvolgersi, passando dalla schiavitù antica al feudalesimoe da questo all'artigianato e poi alla forma sociale dellapiccola borghesia, fino al grande capitalismo industriale.Nella prima parte del Manifesto, c'è proprio un quadrodella storia del mondo, ridotta alla lotta di classe intesacome lotta economica, ossia determinata da ragioni eco-nomiche e diretta verso fini sempre economici, conesclusione d'ogni altro fattore. È vero che questa lotta simanifesta a traverso un'attività politica (oggi svolta, peres., dai partiti politici di classe), ma si tratta ancora dellamedesima lotta di classe, divenuta una forza politica at-tiva nello Stato, pur rimanendo in essenza di ragioneeconomica.

Ma si può domandare: perchè ad un certo, momentonon esisterebbe più la forma economica borghese, cioèil capitalismo privato, garantito da tutto un diritto e dife-so quindi da una politica di classe? Perchè ad un certomomento questo regime economico, il quale coincide

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D'altra parte, il comunismo critico deve proprio servirea svegliare e formare la nuova coscienza rivoluzionaria.Come si conciliano questi due aspetti? Il Marx tenterà diaccordarli, ricorrendo al concetto della lotta di classe,nel quale si concreta anche la sua legge di tendenza eco-nomica. Appunto per farne una legge obiettiva della suascienza sociologica, egli intanto è costretto, nella primaparte del Manifesto, a ricostruire la storia del mondo sulprincipio della fondamentalità del fatto economico ri-spetto a tutti gli altri e quindi mediante la lotta (econo-mica) di classe, che avrebbe sempre spinto la storia asvolgersi, passando dalla schiavitù antica al feudalesimoe da questo all'artigianato e poi alla forma sociale dellapiccola borghesia, fino al grande capitalismo industriale.Nella prima parte del Manifesto, c'è proprio un quadrodella storia del mondo, ridotta alla lotta di classe intesacome lotta economica, ossia determinata da ragioni eco-nomiche e diretta verso fini sempre economici, conesclusione d'ogni altro fattore. È vero che questa lotta simanifesta a traverso un'attività politica (oggi svolta, peres., dai partiti politici di classe), ma si tratta ancora dellamedesima lotta di classe, divenuta una forza politica at-tiva nello Stato, pur rimanendo in essenza di ragioneeconomica.

Ma si può domandare: perchè ad un certo, momentonon esisterebbe più la forma economica borghese, cioèil capitalismo privato, garantito da tutto un diritto e dife-so quindi da una politica di classe? Perchè ad un certomomento questo regime economico, il quale coincide

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con l'individualismo liberale di cui attua il principio, checiascuno può essere proprietario e disporre come vuoledella sua proprietà, dovrà fatalmente rovesciarsi in unaforma economica di tipo opposto, cioè comunista? Sitrattava di stabilir questo. Nella prima parte del Manife-sto dei comunisti, per giustificar la fine dell'economiaborghese e dimostrare l'immancabilità della lotta di clas-se dal suo punto di vista economistico, il Marx è obbli-gato a stabilire questa prima legge: che la ricchezza in-dividuale va sempre più verso un concentramento, ossiache il ricco diventerà sempre più ricco e il povero sem-pre più povero, per cui il sistema capitalistico porterànecessariamente verso una sempre più grande proleta-rizzazione del lavoro. I lavoratori, che il capitalista ado-pera come strumento di profitto, comprandoli come unamerce qualsiasi, diventeranno sempre più poveri quantopiù numerosi, perchè aumenteranno l'offerta di lavorocon il risultato di vederne diminuire il prezzo e di offrireal capitalista la possibilità di prenderli con la miseria,pagandoli sempre meno.

D'altra parte, la ricchezza si andrà concentrando inpochissime mani, per cui alla fine l'enorme maggioranzadella popolazione, divenuta sempre più povera, saràcontrapposta all'esiguo manipolo dei ricchi: sarà quelloil momento in cui l'immenso proletariato potrà rovescia-re il capitale dal suo trono.

Questa legge di Marx contiene una grande verità; latendenza del capitale a diventar monopolio. Se nel mon-do ci fosse ricchezza per tutti, i problemi sociali sareb-

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con l'individualismo liberale di cui attua il principio, checiascuno può essere proprietario e disporre come vuoledella sua proprietà, dovrà fatalmente rovesciarsi in unaforma economica di tipo opposto, cioè comunista? Sitrattava di stabilir questo. Nella prima parte del Manife-sto dei comunisti, per giustificar la fine dell'economiaborghese e dimostrare l'immancabilità della lotta di clas-se dal suo punto di vista economistico, il Marx è obbli-gato a stabilire questa prima legge: che la ricchezza in-dividuale va sempre più verso un concentramento, ossiache il ricco diventerà sempre più ricco e il povero sem-pre più povero, per cui il sistema capitalistico porterànecessariamente verso una sempre più grande proleta-rizzazione del lavoro. I lavoratori, che il capitalista ado-pera come strumento di profitto, comprandoli come unamerce qualsiasi, diventeranno sempre più poveri quantopiù numerosi, perchè aumenteranno l'offerta di lavorocon il risultato di vederne diminuire il prezzo e di offrireal capitalista la possibilità di prenderli con la miseria,pagandoli sempre meno.

D'altra parte, la ricchezza si andrà concentrando inpochissime mani, per cui alla fine l'enorme maggioranzadella popolazione, divenuta sempre più povera, saràcontrapposta all'esiguo manipolo dei ricchi: sarà quelloil momento in cui l'immenso proletariato potrà rovescia-re il capitale dal suo trono.

Questa legge di Marx contiene una grande verità; latendenza del capitale a diventar monopolio. Se nel mon-do ci fosse ricchezza per tutti, i problemi sociali sareb-

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bero risolti: l'aria è la cosa più necessaria per noi, chenon vivremmo neppure un istante se ci mancasse l'ossi-geno, eppure non ha nessun valore economico, perchène abbiamo tutti in abbondanza e non faremo mai la lot-ta di classe per conquistarcela; se fosse lo stesso dellaterra e poi di tutte le materie prime, esse servirebbero atutti egualmente e non avrebbero un valore economico.Invece se ne può far monopolio, ossia possono diventareproprietà individuale, ed in questo senso acquistano unvalore importantissimo perchè diventano la condizionedi tutti gli altri. Lo stesso si può dire dell'oro, il qualesimboleggia proprio il valore economico e ne funge datallone. Ebbene, il Marx aveva ragione d'osservare chela ricchezza tende ad accentrarsi in poche mani, appuntomonopolizzandosi, tant'è vero che tutta l'industria con-temporanea è andata sempre più verso la monopolizza-zione, la quale è figlia proprio del suo opposto, cioè del-la libertà economica. Questo fenomeno è accaduto unpo' in tutti i rami dell'industrialismo moderno, conden-sando il capitale in poche grandissime industrie, chevincendo tutte le concorrenze son divenute padrone delmercato. Il liberismo economico porta proprio alla con-seguenza opposta ai suoi principi, perchè c'è semprel'industriale più forte e più ricco che alla fine vince sututti gli altri e ne esclude l'iniziativa. Basta guardare agliStati Uniti d'America, il paese più industriale del mon-do, dove a poco a poco le grandi industrie si son formatemonopolizzandosi, a detrimento dei piccoli artigiani chedebbon chiuder bottega, perchè non possono reggere

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bero risolti: l'aria è la cosa più necessaria per noi, chenon vivremmo neppure un istante se ci mancasse l'ossi-geno, eppure non ha nessun valore economico, perchène abbiamo tutti in abbondanza e non faremo mai la lot-ta di classe per conquistarcela; se fosse lo stesso dellaterra e poi di tutte le materie prime, esse servirebbero atutti egualmente e non avrebbero un valore economico.Invece se ne può far monopolio, ossia possono diventareproprietà individuale, ed in questo senso acquistano unvalore importantissimo perchè diventano la condizionedi tutti gli altri. Lo stesso si può dire dell'oro, il qualesimboleggia proprio il valore economico e ne funge datallone. Ebbene, il Marx aveva ragione d'osservare chela ricchezza tende ad accentrarsi in poche mani, appuntomonopolizzandosi, tant'è vero che tutta l'industria con-temporanea è andata sempre più verso la monopolizza-zione, la quale è figlia proprio del suo opposto, cioè del-la libertà economica. Questo fenomeno è accaduto unpo' in tutti i rami dell'industrialismo moderno, conden-sando il capitale in poche grandissime industrie, chevincendo tutte le concorrenze son divenute padrone delmercato. Il liberismo economico porta proprio alla con-seguenza opposta ai suoi principi, perchè c'è semprel'industriale più forte e più ricco che alla fine vince sututti gli altri e ne esclude l'iniziativa. Basta guardare agliStati Uniti d'America, il paese più industriale del mon-do, dove a poco a poco le grandi industrie si son formatemonopolizzandosi, a detrimento dei piccoli artigiani chedebbon chiuder bottega, perchè non possono reggere

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alla concorrenza.Viceversa, la previsione di Marx è fallita su

quest'altro punto: che il progressivo concentramentodella ricchezza avrebbe messo capo in fine alla contrap-posizione della sparuta schiera dei ricchi, divenuti i pa-droni dell'industria, all'enorme popolo degli sfruttati, ri-dotto a una miseria sempre maggiore. Qui la storia gliha dato torto, perchè se per un verso il capitale si è an-dato accentrando per mezzo del monopolio, per un altroè tornato a discentrarsi: lo stesso capitale industriale,unificato nel monopolio delle grandi associazionidell'industria, si è poi discentrato nel senso che è dive-nuto capitale azionario, atomizzandosi fra un grande nu-mero d'azionisti, che dividon fra loro i profittidell'azienda, perchè l'individuo non avrebbe potuto vin-cer da solo la concorrenza degli avversari e conquistareil monopolio: dunque, concentramento nel senso del ca-pitale monopolizzato, discentramento invece riguardoalla quantità di persone che posseggono questo capitale.Non solo, ma mentre si monopolizzava la grande indu-stria, sul tipo, per es., d'una Ford, là dove invece nonc'era questa concorrenza del grande capitale prosperava-no a lato un numero sempre maggiore di produttori pic-coli e medi. Ossia: non è morta la piccola e media indu-stria e sopra tutto non è venuta meno l'iniziativa indivi-duale, specialmente riguardo all'industria e al commer-cio; anzi i commercianti si sono moltiplicati e si posso-no considerare come piccoli capitalisti, che costituisco-no una classe di proprietari individualisti, non di salaria-

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alla concorrenza.Viceversa, la previsione di Marx è fallita su

quest'altro punto: che il progressivo concentramentodella ricchezza avrebbe messo capo in fine alla contrap-posizione della sparuta schiera dei ricchi, divenuti i pa-droni dell'industria, all'enorme popolo degli sfruttati, ri-dotto a una miseria sempre maggiore. Qui la storia gliha dato torto, perchè se per un verso il capitale si è an-dato accentrando per mezzo del monopolio, per un altroè tornato a discentrarsi: lo stesso capitale industriale,unificato nel monopolio delle grandi associazionidell'industria, si è poi discentrato nel senso che è dive-nuto capitale azionario, atomizzandosi fra un grande nu-mero d'azionisti, che dividon fra loro i profittidell'azienda, perchè l'individuo non avrebbe potuto vin-cer da solo la concorrenza degli avversari e conquistareil monopolio: dunque, concentramento nel senso del ca-pitale monopolizzato, discentramento invece riguardoalla quantità di persone che posseggono questo capitale.Non solo, ma mentre si monopolizzava la grande indu-stria, sul tipo, per es., d'una Ford, là dove invece nonc'era questa concorrenza del grande capitale prosperava-no a lato un numero sempre maggiore di produttori pic-coli e medi. Ossia: non è morta la piccola e media indu-stria e sopra tutto non è venuta meno l'iniziativa indivi-duale, specialmente riguardo all'industria e al commer-cio; anzi i commercianti si sono moltiplicati e si posso-no considerare come piccoli capitalisti, che costituisco-no una classe di proprietari individualisti, non di salaria-

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Page 51: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

ti, attorno alla quale s'è venuta formando tutta una classemedia di piccola borghesia, per così dire, diventata sem-pre più importante anche politicamente, perchè la politi-ca europea di quest'ultimo secolo, come politica in sen-so proprio, è stata fatta sopra tutto dalla piccola e mediaborghesia e non dal grande capitalismo, il quale se n'èoccupato solo in funzione dei suoi interessi. Dunque lalegge di tendenza fissata da Marx è stata smentita dallastoria, pur rimanendo giusta la previsione che il capitalesarebbe andato verso il monopolio e quindi in senso op-posto ai principi dell'economismo borghese. Ma non èneppur vero, che alla fine si trovi la ricchezza tuttaquanta ridotta in pochissime mani e un'infinita miseriadall'altra parte. Al contrario, essendo cresciuta la ric-chezza totale, è aumentata relativamente anche quelladel salariato, il quale è venuto via via migliorando le suecondizioni, perchè lo stesso industrialismo e gli stessigoverni son venuti incontro alle esigenze degli operai,aumentando le paghe. Lo stesso Marx, esortando glioperai a unirsi, forniva loro un'arma potente per miglio-rare le loro condizioni. Chi direbbe che oggi l'operaiosta peggio di un secolo fa? Le sue condizioni non soncerto più le medesime ch'erano al tempo di Marx. Madovremo ritornare anche su questa prima legge di ten-denza, che la storia stessa ha in parte smentito.

Rimane l'altro punto, secondo Marx, in cui la curvaeconomica si rovescia e da una forma esistente scaturi-sce una forza contraria. Il Marx riduceva la crisi dentrolimiti strettamente economici: verrà il momento in cui la

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ti, attorno alla quale s'è venuta formando tutta una classemedia di piccola borghesia, per così dire, diventata sem-pre più importante anche politicamente, perchè la politi-ca europea di quest'ultimo secolo, come politica in sen-so proprio, è stata fatta sopra tutto dalla piccola e mediaborghesia e non dal grande capitalismo, il quale se n'èoccupato solo in funzione dei suoi interessi. Dunque lalegge di tendenza fissata da Marx è stata smentita dallastoria, pur rimanendo giusta la previsione che il capitalesarebbe andato verso il monopolio e quindi in senso op-posto ai principi dell'economismo borghese. Ma non èneppur vero, che alla fine si trovi la ricchezza tuttaquanta ridotta in pochissime mani e un'infinita miseriadall'altra parte. Al contrario, essendo cresciuta la ric-chezza totale, è aumentata relativamente anche quelladel salariato, il quale è venuto via via migliorando le suecondizioni, perchè lo stesso industrialismo e gli stessigoverni son venuti incontro alle esigenze degli operai,aumentando le paghe. Lo stesso Marx, esortando glioperai a unirsi, forniva loro un'arma potente per miglio-rare le loro condizioni. Chi direbbe che oggi l'operaiosta peggio di un secolo fa? Le sue condizioni non soncerto più le medesime ch'erano al tempo di Marx. Madovremo ritornare anche su questa prima legge di ten-denza, che la storia stessa ha in parte smentito.

Rimane l'altro punto, secondo Marx, in cui la curvaeconomica si rovescia e da una forma esistente scaturi-sce una forza contraria. Il Marx riduceva la crisi dentrolimiti strettamente economici: verrà il momento in cui la

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Page 52: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

produzione, ormai affidata al capitale privato, incorreràin una crisi di sovraproduzione (la storia dell'industriali-smo contemporaneo ce ne fornisce una quantità diesempi, come quello recente del grande capitalismoamericano), quando cioè il capitalista produrrà troppo,senza riuscire a smaltire i prodotti sul mercato perchènon ci saranno consumatori, e sarà costretto a svendere,fino al fallimento. Quella sarà l'ora per i lavoratori diprender le redini detronizzando il capitale. Ma anchequesta previsione non s'è avverata, perchè il capitalismoha trovato sempre nelle sue stesse forze il rimedio dellecrisi, aprendosi un nuovo mercato all'estero, internazio-nalizzando il capitale mediante accordi con i produttorid'altri paesi, formandosi dei mercati internazionali, cheequilibrano la produzione al consumo, o dei trusts cheriuniscono più organismi industriali capitalistici, impe-gnandoli a prestarsi reciproco aiuto a traverso un siste-ma bancario per cui l'uno dà all'altro quello di cui ha bi-sogno. Lo stesso Marx, nel III volume del Capitale, am-metteva che lo sviluppo del mercato mondiale e l'operadei trusts elidono le vecchie cause delle crisi di produ-zione.

Concludendo: le leggi economiche di tendenza, fon-date sopra un puro economismo di tipo scientifico, alloscopo di prevedere l'evoluzione storica e stabilire la ne-cessità d'un rovesciamento delle forme di produzione,non si sono avverate storicamente e non si possono av-verare. Quando avremo dovuto concluder lo stesso ri-guardo alle leggi politiche di tendenza, bisognerà intro-

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produzione, ormai affidata al capitale privato, incorreràin una crisi di sovraproduzione (la storia dell'industriali-smo contemporaneo ce ne fornisce una quantità diesempi, come quello recente del grande capitalismoamericano), quando cioè il capitalista produrrà troppo,senza riuscire a smaltire i prodotti sul mercato perchènon ci saranno consumatori, e sarà costretto a svendere,fino al fallimento. Quella sarà l'ora per i lavoratori diprender le redini detronizzando il capitale. Ma anchequesta previsione non s'è avverata, perchè il capitalismoha trovato sempre nelle sue stesse forze il rimedio dellecrisi, aprendosi un nuovo mercato all'estero, internazio-nalizzando il capitale mediante accordi con i produttorid'altri paesi, formandosi dei mercati internazionali, cheequilibrano la produzione al consumo, o dei trusts cheriuniscono più organismi industriali capitalistici, impe-gnandoli a prestarsi reciproco aiuto a traverso un siste-ma bancario per cui l'uno dà all'altro quello di cui ha bi-sogno. Lo stesso Marx, nel III volume del Capitale, am-metteva che lo sviluppo del mercato mondiale e l'operadei trusts elidono le vecchie cause delle crisi di produ-zione.

Concludendo: le leggi economiche di tendenza, fon-date sopra un puro economismo di tipo scientifico, alloscopo di prevedere l'evoluzione storica e stabilire la ne-cessità d'un rovesciamento delle forme di produzione,non si sono avverate storicamente e non si possono av-verare. Quando avremo dovuto concluder lo stesso ri-guardo alle leggi politiche di tendenza, bisognerà intro-

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Page 53: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

durre un nuovo elemento per giustificare la rivoluzionesociale.

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durre un nuovo elemento per giustificare la rivoluzionesociale.

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VLE LEGGI POLITICHE DI

TENDENZA

Esaminando la più notevole delle leggi economichedi tendenza, riguardante il progressivo concentramentodel capitale e l'accrescersi della classe proletaria, dentrocui a poco a poco precipiterebbero anche le così detteclassi medie degl'impiegati, dei tecnici e degli stessi di-rigenti in quanto impiegati di aziende, secondo una pre-visione che nuovi sviluppi dei fatti economici impediro-no che s'avverasse, s'è fatto cenno a un'altra legge impli-cita nella prima e detta legge di bronzo del salario, se-condo la quale il lavoro sarà ricompensato con un sala-rio sempre inferiore, fino a quel limite che è dato dalminimo necessario per la vita dell'operaio e coincidecon l'interesse del capitalista a pagare il meno possibile isuoi lavoratori. Anch'essa, come tutti sanno, è stata poismentita dai fatti. La ricchezza degli uni ha portato an-che ad un maggior benessere degli altri, al che ha contri-buito l'organizzazione dei salariati nei sindacati econo-mici, la quale ha impedito il gioco del libero scambio,

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VLE LEGGI POLITICHE DI

TENDENZA

Esaminando la più notevole delle leggi economichedi tendenza, riguardante il progressivo concentramentodel capitale e l'accrescersi della classe proletaria, dentrocui a poco a poco precipiterebbero anche le così detteclassi medie degl'impiegati, dei tecnici e degli stessi di-rigenti in quanto impiegati di aziende, secondo una pre-visione che nuovi sviluppi dei fatti economici impediro-no che s'avverasse, s'è fatto cenno a un'altra legge impli-cita nella prima e detta legge di bronzo del salario, se-condo la quale il lavoro sarà ricompensato con un sala-rio sempre inferiore, fino a quel limite che è dato dalminimo necessario per la vita dell'operaio e coincidecon l'interesse del capitalista a pagare il meno possibile isuoi lavoratori. Anch'essa, come tutti sanno, è stata poismentita dai fatti. La ricchezza degli uni ha portato an-che ad un maggior benessere degli altri, al che ha contri-buito l'organizzazione dei salariati nei sindacati econo-mici, la quale ha impedito il gioco del libero scambio,

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Page 55: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

ponendo delle condizioni uguali per tutti i lavoratori eopponendosi a quello che si suol chiamare il crumirag-gio. Quindi la storia ha dimostrato, che aumentando laricchezza totale della società è cresciuto anche il benes-sere delle classi operaie, le quali anzi hanno trovato poinella legislazione sociale delle garanzie che han miglio-rato sempre più le loro condizioni. Del resto, abbiam ve-duto che anche la crisi di produzione prevista dal Marx,cioè, il fatto che il capitalismo gonfiasse sempre più ead un certo momento arrivasse ad una tale sovraprodu-zione da non trovar la possibilità dello scambio sopra imercati e da rimaner quindi soffocato dalla sua stessaricchezza, non s'è avverata, perchè gli accordi fra i capi-talisti, i trusts, i cartelli ecc., tutte queste forme di colla-borazione fra i capitalisti o i gruppi capitalistici dentro efuori della loro nazione, han fatto in modo che si apris-ser loro sempre nuovi mercati.

Di qui si passa alla legge di previsione che possiamchiamare politica, per la quale ad un certo momento sicapovolge la posizione delle classi sociali e i proletaris'impadroniscono del potere politico per rovesciare leforme economiche esistenti, spodestando i capitalisti eprivandoli della proprietà privata. Questa legge di previ-sione politica si risolve, secondo Marx, nella lotta diclasse. Con l'aumentare della povertà e l'accrescersi delproletariato insorge a un certo punto lo spirito di rivolta.Secondo Marx, nella storia della società c'è stata semprequesta lotta, che in fondo è l'urto fra i ricchi e i poveri,ma ad un certo momento prende coscienza di sé, trasfor-

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ponendo delle condizioni uguali per tutti i lavoratori eopponendosi a quello che si suol chiamare il crumirag-gio. Quindi la storia ha dimostrato, che aumentando laricchezza totale della società è cresciuto anche il benes-sere delle classi operaie, le quali anzi hanno trovato poinella legislazione sociale delle garanzie che han miglio-rato sempre più le loro condizioni. Del resto, abbiam ve-duto che anche la crisi di produzione prevista dal Marx,cioè, il fatto che il capitalismo gonfiasse sempre più ead un certo momento arrivasse ad una tale sovraprodu-zione da non trovar la possibilità dello scambio sopra imercati e da rimaner quindi soffocato dalla sua stessaricchezza, non s'è avverata, perchè gli accordi fra i capi-talisti, i trusts, i cartelli ecc., tutte queste forme di colla-borazione fra i capitalisti o i gruppi capitalistici dentro efuori della loro nazione, han fatto in modo che si apris-ser loro sempre nuovi mercati.

Di qui si passa alla legge di previsione che possiamchiamare politica, per la quale ad un certo momento sicapovolge la posizione delle classi sociali e i proletaris'impadroniscono del potere politico per rovesciare leforme economiche esistenti, spodestando i capitalisti eprivandoli della proprietà privata. Questa legge di previ-sione politica si risolve, secondo Marx, nella lotta diclasse. Con l'aumentare della povertà e l'accrescersi delproletariato insorge a un certo punto lo spirito di rivolta.Secondo Marx, nella storia della società c'è stata semprequesta lotta, che in fondo è l'urto fra i ricchi e i poveri,ma ad un certo momento prende coscienza di sé, trasfor-

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mandosi in lotta politica di classe. Anche qui bisogna ri-cordare il concetto fondamentale del materialismo stori-co, secondo cui la società, è un fatto economico, di cuiquello politico, riguardante la regolazione sociale, il do-minio di una classe sulle altre e il governo che la rappre-senta, non è più che un risultato. Per ciò, come è veroper il Marx che i governi, i quali si succedono in unoStato, rappresentano la classe dominante e quindi, in re-gime borghese, non sono altro che il comitato esecutivodella classe capitalistica, così pure è vero, che un movi-mento dovuto allo squilibrio economico finisce con ilprendere un aspetto politico, quando la classe degli op-pressi diventa una forza politica che deve impossessarsidel potere con la violenza per rovesciare gli oppressori.

Chi spinge questa lotta di classe, secondo Marx, nonè altro che la miseria. Qui c'è un ondeggiamento nelpensiero marxista, ma questa legge è data più volte consicurezza, ossia che la sempre maggiore miseria, quandola misura sia colma, spingerà la classe proletaria a impa-dronirsi della cosa pubblica. La differenza fra il marxi-smo e l'insurrezionalismo, diciam così, spontaneo, sta inquesto: che per il secondo, com'era il caso degli anarchi-ci che discutevan con Marx e più tardi anche dei sinda-calisti, il proletariato, formandosi una coscienza di clas-se e organizzandosi in partito politico, grazie alla forzache gli viene dal numero e dalla possibilità di fermar laproduzione incrociando le braccia, potrebbe decidere, inqualunque momento, della rivoluzione sociale. Vicever-sa, per il Marx (che per ciò chiama critica la sua scienza

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mandosi in lotta politica di classe. Anche qui bisogna ri-cordare il concetto fondamentale del materialismo stori-co, secondo cui la società, è un fatto economico, di cuiquello politico, riguardante la regolazione sociale, il do-minio di una classe sulle altre e il governo che la rappre-senta, non è più che un risultato. Per ciò, come è veroper il Marx che i governi, i quali si succedono in unoStato, rappresentano la classe dominante e quindi, in re-gime borghese, non sono altro che il comitato esecutivodella classe capitalistica, così pure è vero, che un movi-mento dovuto allo squilibrio economico finisce con ilprendere un aspetto politico, quando la classe degli op-pressi diventa una forza politica che deve impossessarsidel potere con la violenza per rovesciare gli oppressori.

Chi spinge questa lotta di classe, secondo Marx, nonè altro che la miseria. Qui c'è un ondeggiamento nelpensiero marxista, ma questa legge è data più volte consicurezza, ossia che la sempre maggiore miseria, quandola misura sia colma, spingerà la classe proletaria a impa-dronirsi della cosa pubblica. La differenza fra il marxi-smo e l'insurrezionalismo, diciam così, spontaneo, sta inquesto: che per il secondo, com'era il caso degli anarchi-ci che discutevan con Marx e più tardi anche dei sinda-calisti, il proletariato, formandosi una coscienza di clas-se e organizzandosi in partito politico, grazie alla forzache gli viene dal numero e dalla possibilità di fermar laproduzione incrociando le braccia, potrebbe decidere, inqualunque momento, della rivoluzione sociale. Vicever-sa, per il Marx (che per ciò chiama critica la sua scienza

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economica), non è vero che la rivoluzione possa farsi inqualsiasi momento; è vero invece il contrario, che si dansolo certi momenti nella storia sociale in cui diventapossibile. Comunismo critico vuol dire proprio quel co-munismo tempista, che dall'esame cosciente dello statoeconomico della società attende l'ora della sua rivolu-zione, la quale fuor di tempo riuscirebbe anche vana.Ma rimane pur sempre, in fondo alla lotta di classe mar-xista, questo concetto: esser la miseria quella che formala coscienza di classe e spinge la classe all'azione, ba-stando da sola a compiere la rivoluzione sociale, chenon sarebbe quindi se non una rivoluzione economica,fatta da quelli che stan male e vorrebbero migliorare leloro condizioni sociali. È così forte quest'illusione, cheritorna più volte, non solo nel Manifesto dei comunisti,ma anche in altri scritti di Marx, nel Capitale e nella suapropaganda privata, rinnovando un concetto assai piùantico di lui e pur troppo così vago che la storia l'hasempre smentito, perchè la miseria produce l'effetto op-posto, d'abbrutire i poveri al punto da non permetter loronessuna vera coscienza. Per esempio, in una lettera del1846, riguardante gli scritti di Hermann Grieg, ricorrequesto passo che è tipico per caratterizzare l'illusionemarxista: «Cette nécessité de fer donnera aux efforts so-cialistes une force d'expansion et des partisans actifs etpuissants, et fraiera le chemin aux réformes socialistesen transformant les relations économiques actuelles,bien mieux que tout l'amour qui embrase tant les coeurssensibles du monde»; ancora una volta deridendo quel

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economica), non è vero che la rivoluzione possa farsi inqualsiasi momento; è vero invece il contrario, che si dansolo certi momenti nella storia sociale in cui diventapossibile. Comunismo critico vuol dire proprio quel co-munismo tempista, che dall'esame cosciente dello statoeconomico della società attende l'ora della sua rivolu-zione, la quale fuor di tempo riuscirebbe anche vana.Ma rimane pur sempre, in fondo alla lotta di classe mar-xista, questo concetto: esser la miseria quella che formala coscienza di classe e spinge la classe all'azione, ba-stando da sola a compiere la rivoluzione sociale, chenon sarebbe quindi se non una rivoluzione economica,fatta da quelli che stan male e vorrebbero migliorare leloro condizioni sociali. È così forte quest'illusione, cheritorna più volte, non solo nel Manifesto dei comunisti,ma anche in altri scritti di Marx, nel Capitale e nella suapropaganda privata, rinnovando un concetto assai piùantico di lui e pur troppo così vago che la storia l'hasempre smentito, perchè la miseria produce l'effetto op-posto, d'abbrutire i poveri al punto da non permetter loronessuna vera coscienza. Per esempio, in una lettera del1846, riguardante gli scritti di Hermann Grieg, ricorrequesto passo che è tipico per caratterizzare l'illusionemarxista: «Cette nécessité de fer donnera aux efforts so-cialistes une force d'expansion et des partisans actifs etpuissants, et fraiera le chemin aux réformes socialistesen transformant les relations économiques actuelles,bien mieux que tout l'amour qui embrase tant les coeurssensibles du monde»; ancora una volta deridendo quel

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socialismo che egli chiama utopistico, il socialismo delsentimento: è la miseria quella che spingerà le masse la-voratrici a prendere nelle mani il potere e rovesciare ilcapitalismo.

Ma, dicevo, vi sono ondeggiamenti di pensiero suquesto punto, perchè altre volte, nello stesso Manifestodei comunisti, il Marx medesimo, insieme con l'amicoEngels, ci fornisce un'altra ragione per giustificare la ri-voluzione sociale, accorgendosi, in certo modo, cheun'insurrezione non può nascere soltanto dalla miseriadi tanti individui sparpagliati e discesi sempre più inbasso nella scala sociale. «Quanto all'insieme deglistraccioni e della canaglia (dice pure il Manifesto), che èciò che rappresenta la putrefazione passiva degli stratiinfimi della società, può darsi che qua e là, e cioè in par-te, possa esser trascinato dentro al movimento di una ri-voluzione proletaria, ma il suo abituale genere di vita lorende più disposto a farsi comprare, e a farsi mettere inservizio delle mene reazionarie». Inoltre, se anche cifosse un'insurrezione di questo genere, non potrebbe di-ventar mai una forza politica perchè la miseria non puòimprovvisare un governo, formando una classe vera-mente politica che divenga regolatrice delle altre. Sed'un tratto si affidasse agli operai d'una fabbrica la suaamministrazione, essi probabilmente non saprebberoche fare, riadagiandosi inerti nella loro miseria! Ci vuoldunque una preparazione e un'organizzazione economi-ca e politica della classe lavoratrice: il Marx prevede an-che questo, cioè comprende che gli operai si debbon ra-

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socialismo che egli chiama utopistico, il socialismo delsentimento: è la miseria quella che spingerà le masse la-voratrici a prendere nelle mani il potere e rovesciare ilcapitalismo.

Ma, dicevo, vi sono ondeggiamenti di pensiero suquesto punto, perchè altre volte, nello stesso Manifestodei comunisti, il Marx medesimo, insieme con l'amicoEngels, ci fornisce un'altra ragione per giustificare la ri-voluzione sociale, accorgendosi, in certo modo, cheun'insurrezione non può nascere soltanto dalla miseriadi tanti individui sparpagliati e discesi sempre più inbasso nella scala sociale. «Quanto all'insieme deglistraccioni e della canaglia (dice pure il Manifesto), che èciò che rappresenta la putrefazione passiva degli stratiinfimi della società, può darsi che qua e là, e cioè in par-te, possa esser trascinato dentro al movimento di una ri-voluzione proletaria, ma il suo abituale genere di vita lorende più disposto a farsi comprare, e a farsi mettere inservizio delle mene reazionarie». Inoltre, se anche cifosse un'insurrezione di questo genere, non potrebbe di-ventar mai una forza politica perchè la miseria non puòimprovvisare un governo, formando una classe vera-mente politica che divenga regolatrice delle altre. Sed'un tratto si affidasse agli operai d'una fabbrica la suaamministrazione, essi probabilmente non saprebberoche fare, riadagiandosi inerti nella loro miseria! Ci vuoldunque una preparazione e un'organizzazione economi-ca e politica della classe lavoratrice: il Marx prevede an-che questo, cioè comprende che gli operai si debbon ra-

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dunare per trovare in un'organizzazione che li stringa fraloro la preparazione indispensabile per formare un gior-no il governo della classe stessa proletaria. Questo con-cetto ingrandisce dal principio alla fine del Manifesto eritorna poi in tanti altri scritti di Marx, dove si insistesulla necessità dell'organizzazione operaia, sostituendoalla tattica insurrezionista, secondo cui a un bel momen-to la classe sfruttata insorge e s'impadronisce con la vio-lenza del governo rovesciando il capitalismo e iniziandouna nuova èra economica, quest'altra, della lenta e pro-gressiva organizzazione dei lavoratori, che li renda fortidi questa loro solidarietà e li prepari al governo a traver-so un partito e una tattica politica: per cui tutte e due legrandi tendenze, le quali poi si svolgeranno dal marxi-smo, quella insurrezionista e l'altra che fu chiamata in-vece socialdemocratica, ossia mirante all'organizzazionedegli operai per la difesa dei loro interessi e per la loropreparazione al governo della cosa pubblica, le troviamogià l'una accanto all'altra nello stesso Manifesto dei co-munisti.

Ma questa medesima organizzazione finì poi con losmentire la legge di tendenza del progressivo pauperi-smo della classe proletaria, il quale anzi diminuì, perchègli operai trassero forza dalla loro unione per esigere unmiglioramento delle condizioni economiche. Nella sto-ria troviamo, al solito, una risultante media delle duetendenze politiche: alla tattica insurrezionista, che avevasempre condotto gli operai alla sconfitta (specialmentedopo la Comune di Parigi) e quindi era venuta perdendo

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dunare per trovare in un'organizzazione che li stringa fraloro la preparazione indispensabile per formare un gior-no il governo della classe stessa proletaria. Questo con-cetto ingrandisce dal principio alla fine del Manifesto eritorna poi in tanti altri scritti di Marx, dove si insistesulla necessità dell'organizzazione operaia, sostituendoalla tattica insurrezionista, secondo cui a un bel momen-to la classe sfruttata insorge e s'impadronisce con la vio-lenza del governo rovesciando il capitalismo e iniziandouna nuova èra economica, quest'altra, della lenta e pro-gressiva organizzazione dei lavoratori, che li renda fortidi questa loro solidarietà e li prepari al governo a traver-so un partito e una tattica politica: per cui tutte e due legrandi tendenze, le quali poi si svolgeranno dal marxi-smo, quella insurrezionista e l'altra che fu chiamata in-vece socialdemocratica, ossia mirante all'organizzazionedegli operai per la difesa dei loro interessi e per la loropreparazione al governo della cosa pubblica, le troviamogià l'una accanto all'altra nello stesso Manifesto dei co-munisti.

Ma questa medesima organizzazione finì poi con losmentire la legge di tendenza del progressivo pauperi-smo della classe proletaria, il quale anzi diminuì, perchègli operai trassero forza dalla loro unione per esigere unmiglioramento delle condizioni economiche. Nella sto-ria troviamo, al solito, una risultante media delle duetendenze politiche: alla tattica insurrezionista, che avevasempre condotto gli operai alla sconfitta (specialmentedopo la Comune di Parigi) e quindi era venuta perdendo

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terreno fin dallo scioglimento della prima Internaziona-le, subentrò l'azione di partiti politici, i quali formaronquella che fu chiamata la socialdemocrazia della secon-da Internazionale e cercaron di andare al governo dellacosa pubblica con metodi parlamentari e di migliorar lecondizioni degli operai, facendone una forza sempre piùnumerosa e compatta e reclamando per loro delle rifor-me sociali. Quindi il marxismo di tipo riformista, più vi-cino alla corrente lassalliana, durò molto più a lungo,cioè fino alla precedente guerra del '14, precisamentefino al congresso di Kienthal. Allora ci fu una riformadel marxismo, secondo la quale le leggi di tendenza an-drebbero intese in questo modo: che non contano in sestesse, perchè quello che conta nella storia è il movi-mento stesso di tutto il proletariato stretto in una colla-borazione solidale e orientato verso la sua unificazione,prima sul piano nazionale e poi su quello internazionale,allo scopo d'imporre la politica dei lavoratori, trascen-dente ogni nazionalismo in una internazionale del lavo-ro che arrivi al governo di tutti gli Stati confederati.

La storia in fondo ha seguito le risultanze di ambeduequeste forze della previsione politica, sia quella di tipoinsurrezionale sia quella di tipo riformista, mentre leleggi di tendenza sono apparse sempre più dei miti, os-sia delle speranze prese come realtà necessarie nella sto-ria, mentre ne divengono una forza attiva proprio inquanto son degli idoli accolti nell'opinione comune.Questa è specialmente l'ipotesi del Sorel, il quale pensa-va che la classe operaia, organizzandosi strettamente nei

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terreno fin dallo scioglimento della prima Internaziona-le, subentrò l'azione di partiti politici, i quali formaronquella che fu chiamata la socialdemocrazia della secon-da Internazionale e cercaron di andare al governo dellacosa pubblica con metodi parlamentari e di migliorar lecondizioni degli operai, facendone una forza sempre piùnumerosa e compatta e reclamando per loro delle rifor-me sociali. Quindi il marxismo di tipo riformista, più vi-cino alla corrente lassalliana, durò molto più a lungo,cioè fino alla precedente guerra del '14, precisamentefino al congresso di Kienthal. Allora ci fu una riformadel marxismo, secondo la quale le leggi di tendenza an-drebbero intese in questo modo: che non contano in sestesse, perchè quello che conta nella storia è il movi-mento stesso di tutto il proletariato stretto in una colla-borazione solidale e orientato verso la sua unificazione,prima sul piano nazionale e poi su quello internazionale,allo scopo d'imporre la politica dei lavoratori, trascen-dente ogni nazionalismo in una internazionale del lavo-ro che arrivi al governo di tutti gli Stati confederati.

La storia in fondo ha seguito le risultanze di ambeduequeste forze della previsione politica, sia quella di tipoinsurrezionale sia quella di tipo riformista, mentre leleggi di tendenza sono apparse sempre più dei miti, os-sia delle speranze prese come realtà necessarie nella sto-ria, mentre ne divengono una forza attiva proprio inquanto son degli idoli accolti nell'opinione comune.Questa è specialmente l'ipotesi del Sorel, il quale pensa-va che la classe operaia, organizzandosi strettamente nei

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sindacati, riuniti in federazioni unificate a lor volta inconfederazioni e queste in altre maggiori, avrebbe eser-citato una pressione sempre crescente, fino a raggiungerd'un tratto un risultato rivoluzionario, con un'arma chedunque è quella del puro proletariato e senza dividere ilpotere politico o collaborare in qualsiasi altro modo coni partiti delle classi borghesi, in vista di miglioramentisociali. A rovescio del riformismo, il sindacalismo delSorel è anzi astensionista, confidando che se tutti i lavo-ratori incrociassero le braccia simultaneamente, ciò ba-sterebbe da solo a provocar la caduta del regime prece-dente. È il mito dello sciopero generale, di cui il Sorelriconosce per primo il carattere utopistico, nel senso chedi fatto resta impossibile ottenere questa unità dellaclasse operaia e lo sciopero generale rimane sempre par-ziale; ma la sua concezione, che va di pari passo con tut-to lo svolgersi del pensiero contemporaneo, lo porta aquesta considerazione: basta che l'operaio creda nelmito e pensi che con lo sciopero otterrà la rivoluzione,perchè questa avvenga. Il Sorel stesso però, in un puntodei suoi scritti, confessa che anche ciò ha valore fino ache la classe dei capitalisti e il governo che la rappre-senta abbian paura dei proletari, perchè il giorno in cuinon li temano più, vinceranno, avendo il potere politicoe la forza pubblica a lor disposizione3.

È a questo punto che il marxismo va guardato sotto

3 Cfr., Réflexions sur la violence, Librairie de «Pages libres»,Paris, 1908.

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sindacati, riuniti in federazioni unificate a lor volta inconfederazioni e queste in altre maggiori, avrebbe eser-citato una pressione sempre crescente, fino a raggiungerd'un tratto un risultato rivoluzionario, con un'arma chedunque è quella del puro proletariato e senza dividere ilpotere politico o collaborare in qualsiasi altro modo coni partiti delle classi borghesi, in vista di miglioramentisociali. A rovescio del riformismo, il sindacalismo delSorel è anzi astensionista, confidando che se tutti i lavo-ratori incrociassero le braccia simultaneamente, ciò ba-sterebbe da solo a provocar la caduta del regime prece-dente. È il mito dello sciopero generale, di cui il Sorelriconosce per primo il carattere utopistico, nel senso chedi fatto resta impossibile ottenere questa unità dellaclasse operaia e lo sciopero generale rimane sempre par-ziale; ma la sua concezione, che va di pari passo con tut-to lo svolgersi del pensiero contemporaneo, lo porta aquesta considerazione: basta che l'operaio creda nelmito e pensi che con lo sciopero otterrà la rivoluzione,perchè questa avvenga. Il Sorel stesso però, in un puntodei suoi scritti, confessa che anche ciò ha valore fino ache la classe dei capitalisti e il governo che la rappre-senta abbian paura dei proletari, perchè il giorno in cuinon li temano più, vinceranno, avendo il potere politicoe la forza pubblica a lor disposizione3.

È a questo punto che il marxismo va guardato sotto

3 Cfr., Réflexions sur la violence, Librairie de «Pages libres»,Paris, 1908.

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un altro aspetto, perchè sotto quello puramente econo-mista non resiste alla critica, come non resiste all'espe-rienza storica dei fatti. Si dovrebbe concludere ch'è unmito e che se mai la sua forza consiste in questa speran-za universalmente sentita e non dunque in una ragionestrettamente economica. Ma la lotta di classe non pog-gia soltanto sopra una considerazione scientifica e obiet-tiva, come credeva Marx, o meglio: le sue considerazio-ni scientifiche racchiudon dentro di sé un altro elementoche non è più scientifico. Spieghiamoci meglio: in fine,su che cosa Marx può fondare la sua lotta di classe? Se èlotta, bisogna che dipenda da una coscienza di classe.Egli sa bene che ci furon sempre delle classi sfruttate, lequali tuttavia non si ribellarono mai, perchè è esperienzadi tutti i giorni, che un domestico si crede inferiore alsuo padrone. Affinché si formi una coscienza di classe,non basta la sperequazione sociale, ma ci vuol ancheuna ragione che si potrebbe dire di giustizia sociale, cheper il Marx è la giustizia distributiva, ossia riguardantela distribuzione della ricchezza. Dei tre fatti dell'econo-mia, la produzione, lo scambio e la distribuzione deibeni, donde risulta la sperequazione della ricchezza so-ciale, è su quest'ultimo che il Marx fonda la ragionestessa della lotta di classe mediante la formazione d'unacoscienza sociale che porge un'arma agli sfruttati, laquale non è più d'ordine strettamente economico. Se noninsorge questo concetto di giustizia sociale, non si formanemmeno una coscienza e quindi una lotta di classe.Questa rimane dunque fondata su ragioni economiche,

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un altro aspetto, perchè sotto quello puramente econo-mista non resiste alla critica, come non resiste all'espe-rienza storica dei fatti. Si dovrebbe concludere ch'è unmito e che se mai la sua forza consiste in questa speran-za universalmente sentita e non dunque in una ragionestrettamente economica. Ma la lotta di classe non pog-gia soltanto sopra una considerazione scientifica e obiet-tiva, come credeva Marx, o meglio: le sue considerazio-ni scientifiche racchiudon dentro di sé un altro elementoche non è più scientifico. Spieghiamoci meglio: in fine,su che cosa Marx può fondare la sua lotta di classe? Se èlotta, bisogna che dipenda da una coscienza di classe.Egli sa bene che ci furon sempre delle classi sfruttate, lequali tuttavia non si ribellarono mai, perchè è esperienzadi tutti i giorni, che un domestico si crede inferiore alsuo padrone. Affinché si formi una coscienza di classe,non basta la sperequazione sociale, ma ci vuol ancheuna ragione che si potrebbe dire di giustizia sociale, cheper il Marx è la giustizia distributiva, ossia riguardantela distribuzione della ricchezza. Dei tre fatti dell'econo-mia, la produzione, lo scambio e la distribuzione deibeni, donde risulta la sperequazione della ricchezza so-ciale, è su quest'ultimo che il Marx fonda la ragionestessa della lotta di classe mediante la formazione d'unacoscienza sociale che porge un'arma agli sfruttati, laquale non è più d'ordine strettamente economico. Se noninsorge questo concetto di giustizia sociale, non si formanemmeno una coscienza e quindi una lotta di classe.Questa rimane dunque fondata su ragioni economiche,

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mosse però da un elemento interno di natura morale equindi poi giuridica, ossia dalla volontà di attuare unamaggior giustizia distributiva.

Ora, se siam costretti ad uscire dal campo del puroeconomismo per superarlo in quello del giure e dell'eti-ca, si dovrà cercare una ragione non più di fatto, bensìdi diritto, la quale ci spieghi il divenire sociale. Marxtenta ancora di fondarla economisticamente sopra la fa-mosa teoria del plus-valore (o sovraprezzo), che vienesvolta largamente nel Capitale, mentre è appena accen-nata nel Manifesto dei comunisti, e può ridursi a questo:il salario percepito dall'operaio implica uno sfruttamentodel lavoro da parte del capitalista. Mentre questi paga allavoratore un certo salario, vende poi sul mercato il pro-dotto del lavoro a un prezzo maggiore (sovraprezzo). Ilmargine, che va a profitto del capitalista, secondo Marxè lavoro rubato. Se l'operaio guadagna dieci e il prodottoè venduto a venti, il capitalista ruba dieci, perchè mentrel'operaio lavora dieci ore, è rimunerato solamente percinque. Le rimanenti (non pagate) costituiscono appuntolo sfruttamento del lavoro da parte del capitale.

Questa legge del plus-valore, che in fondo era il pila-stro dell'economia marxista, è stata anch'essa criticata eoggi può dirsi crollata, per una ragione semplicissima:che il valore di un prodotto non è dato dal lavoro soltan-to, ma da tutti i fattori concorrenti alla produzione, pri-ma di tutto dalla terra o dalla materia prima che se nepuò ricavare (per es. i metalli), poi dal capitale, comericchezza che il proprietario rischia per anticipare il sa-

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mosse però da un elemento interno di natura morale equindi poi giuridica, ossia dalla volontà di attuare unamaggior giustizia distributiva.

Ora, se siam costretti ad uscire dal campo del puroeconomismo per superarlo in quello del giure e dell'eti-ca, si dovrà cercare una ragione non più di fatto, bensìdi diritto, la quale ci spieghi il divenire sociale. Marxtenta ancora di fondarla economisticamente sopra la fa-mosa teoria del plus-valore (o sovraprezzo), che vienesvolta largamente nel Capitale, mentre è appena accen-nata nel Manifesto dei comunisti, e può ridursi a questo:il salario percepito dall'operaio implica uno sfruttamentodel lavoro da parte del capitalista. Mentre questi paga allavoratore un certo salario, vende poi sul mercato il pro-dotto del lavoro a un prezzo maggiore (sovraprezzo). Ilmargine, che va a profitto del capitalista, secondo Marxè lavoro rubato. Se l'operaio guadagna dieci e il prodottoè venduto a venti, il capitalista ruba dieci, perchè mentrel'operaio lavora dieci ore, è rimunerato solamente percinque. Le rimanenti (non pagate) costituiscono appuntolo sfruttamento del lavoro da parte del capitale.

Questa legge del plus-valore, che in fondo era il pila-stro dell'economia marxista, è stata anch'essa criticata eoggi può dirsi crollata, per una ragione semplicissima:che il valore di un prodotto non è dato dal lavoro soltan-to, ma da tutti i fattori concorrenti alla produzione, pri-ma di tutto dalla terra o dalla materia prima che se nepuò ricavare (per es. i metalli), poi dal capitale, comericchezza che il proprietario rischia per anticipare il sa-

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Page 64: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

lario e comprar gli strumenti di lavoro e con il fine di ri-cavarne un profitto che sia il compenso del rischio (chése invece è un altro che ha prestato il denaro, questi nevorrà un interesse, l'altro fattore tipicamente capitalisti-co della produzione); infine dal salario e da tutte leeventuali spese di produzione. Per cui in ultimo l'impre-sario ha un costo globale, dove il lavoro è soltanto unaparte e a cui egli aggiunge quello che intende profittare,esitando il prodotto sul mercato, dove il prezzo, dal pun-to di vista della pura economia, ne misura il valore. Sulmercato, un quadro di Raffaello come una pentola dicoccio diventano merci, di cui il valore (economico) èmisurato nel prezzo, che dipende a sua volta non dalrapporto fra capitale e lavoro, ma da quello fra il costodi produzione e la possibilità d'acquisto da parte delconsumatore, determinandosi secondo il variare delladomanda e dell'offerta. Dunque, in economia pura, valo-re non può voler dire nient'altro che prezzo.

Come mai il Marx può esser caduto in quest'equivococosì grossolano, di creder che il prezzo rappresenti il la-voro, quello pagato e quello non pagato? Dal punto divista strettamente marxista, ossia economistico, il lavoronon è che uno degli elementi del costo di una merce, equindi è ben naturale che sia pagato sempre come unmezzo, allo stesso modo della macchina o della materiaprima. In un puro economismo, l'impresario ha tutte leragioni di trattare il lavoro come una merce che ha il suovalore (il suo prezzo), perchè la legge dell'economia èappunto... economica, ossia è quella per cui ognuno ten-

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lario e comprar gli strumenti di lavoro e con il fine di ri-cavarne un profitto che sia il compenso del rischio (chése invece è un altro che ha prestato il denaro, questi nevorrà un interesse, l'altro fattore tipicamente capitalisti-co della produzione); infine dal salario e da tutte leeventuali spese di produzione. Per cui in ultimo l'impre-sario ha un costo globale, dove il lavoro è soltanto unaparte e a cui egli aggiunge quello che intende profittare,esitando il prodotto sul mercato, dove il prezzo, dal pun-to di vista della pura economia, ne misura il valore. Sulmercato, un quadro di Raffaello come una pentola dicoccio diventano merci, di cui il valore (economico) èmisurato nel prezzo, che dipende a sua volta non dalrapporto fra capitale e lavoro, ma da quello fra il costodi produzione e la possibilità d'acquisto da parte delconsumatore, determinandosi secondo il variare delladomanda e dell'offerta. Dunque, in economia pura, valo-re non può voler dire nient'altro che prezzo.

Come mai il Marx può esser caduto in quest'equivococosì grossolano, di creder che il prezzo rappresenti il la-voro, quello pagato e quello non pagato? Dal punto divista strettamente marxista, ossia economistico, il lavoronon è che uno degli elementi del costo di una merce, equindi è ben naturale che sia pagato sempre come unmezzo, allo stesso modo della macchina o della materiaprima. In un puro economismo, l'impresario ha tutte leragioni di trattare il lavoro come una merce che ha il suovalore (il suo prezzo), perchè la legge dell'economia èappunto... economica, ossia è quella per cui ognuno ten-

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de a guadagnar più che può, servendosi anche del lavorodegli altri come d'uno strumento. Allora, quando Marxparlava di plus-valore affermando che nel prezzo d'unamerce c'è più del salario che si dà al lavoratore e sog-giungendo che questa differenza è lavoro rubato, eglipartiva, evidentemente, da un altro criterio, che non èpiù quello del puro economismo, ma c'introduce in unmondo nuovo, per comprendere il quale bisognerà vede-re un Marx filosofo, lasciando il puro economista, cheabbiam trovato fin qui. Cioè dovremo rifarci al Marxche frequentava la scuola della sinistra hegeliana e argo-mentava intorno a valori sociali e a concetti di Stato, in-tendendo con gli hegeliani che il mondo procede perun'antitesi perenne, onde sempre gli è poi rimasto que-sto concetto di lotta non più d'ordine strettamente eco-nomico, ma implicante un valore spirituale. Se guardia-mo quest'altra faccia del marxismo, comprenderemo al-lora la legge di tendenza della lotta sociale, uscendodall'equivoco di volerla fondare sopra una teoria stretta-mente economica. Rimanendo su questo piano, è assur-do dir che il valore d'una merce è in parte lavoro rubato,e coloro che han criticato Marx in questo campo hannoavuto facile ragione. Se il marxismo si fondasse sullateoria del valore, intesa in senso strettamente economi-stico, oggi ci apparirebbe un errore, perchè non c'è nes-suna ragione (economica) di ribellarsi a questo concetto,che l'impresario adoperi il lavoro come uno strumento.Del resto, già lo stesso Marx, giunto fra esitazioni e con-tradizioni al III volume del Capitale, aveva modificato

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de a guadagnar più che può, servendosi anche del lavorodegli altri come d'uno strumento. Allora, quando Marxparlava di plus-valore affermando che nel prezzo d'unamerce c'è più del salario che si dà al lavoratore e sog-giungendo che questa differenza è lavoro rubato, eglipartiva, evidentemente, da un altro criterio, che non èpiù quello del puro economismo, ma c'introduce in unmondo nuovo, per comprendere il quale bisognerà vede-re un Marx filosofo, lasciando il puro economista, cheabbiam trovato fin qui. Cioè dovremo rifarci al Marxche frequentava la scuola della sinistra hegeliana e argo-mentava intorno a valori sociali e a concetti di Stato, in-tendendo con gli hegeliani che il mondo procede perun'antitesi perenne, onde sempre gli è poi rimasto que-sto concetto di lotta non più d'ordine strettamente eco-nomico, ma implicante un valore spirituale. Se guardia-mo quest'altra faccia del marxismo, comprenderemo al-lora la legge di tendenza della lotta sociale, uscendodall'equivoco di volerla fondare sopra una teoria stretta-mente economica. Rimanendo su questo piano, è assur-do dir che il valore d'una merce è in parte lavoro rubato,e coloro che han criticato Marx in questo campo hannoavuto facile ragione. Se il marxismo si fondasse sullateoria del valore, intesa in senso strettamente economi-stico, oggi ci apparirebbe un errore, perchè non c'è nes-suna ragione (economica) di ribellarsi a questo concetto,che l'impresario adoperi il lavoro come uno strumento.Del resto, già lo stesso Marx, giunto fra esitazioni e con-tradizioni al III volume del Capitale, aveva modificato

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la sua teoria del valore in un semplice concetto direttivoe, per così dire, d'assieme (considerando la somma tota-le di tutta la produzione rispetto alla somma dei valori discambio); e l'Engels, in un articolo della Neue Zeit del1896, ammetteva che la famosa teoria marxista abbia unvalore economico soltanto per i fenomeni dello scambioanteriori al secolo XV, ossia precapitalistici! Dunque,per entrare nella teoria rivoluzionaria di Marx, nel suocomunismo, bisogna passar da un'altra parte, che è ap-punto quella filosofica della dottrina marxista.

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la sua teoria del valore in un semplice concetto direttivoe, per così dire, d'assieme (considerando la somma tota-le di tutta la produzione rispetto alla somma dei valori discambio); e l'Engels, in un articolo della Neue Zeit del1896, ammetteva che la famosa teoria marxista abbia unvalore economico soltanto per i fenomeni dello scambioanteriori al secolo XV, ossia precapitalistici! Dunque,per entrare nella teoria rivoluzionaria di Marx, nel suocomunismo, bisogna passar da un'altra parte, che è ap-punto quella filosofica della dottrina marxista.

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VIDALL'UNO ALL'ALTRO MARX.

Prima di procedere, riassumiamo in brevissime parolei passi che abbiam fatto. Siamo partiti dal Marx inteso acostruire a dirittura una filosofia sociale sopra unascienza ridotta a pura economia, offrendoci un quadrosecondo cui la storia si può spiegar soltanto con il giocodelle forze e delle forme economiche, di cui tutte le altreattività sociali non sono che riflessi e sovrastrutture, inispecial modo l'attività politica, che ci apparisce come ilrisultato degl'interessi economici della classe dominan-te. Ne veniva un economismo politico (il materialismostorico), donde si trae come conseguenza il comunismocritico, ossia consapevole delle condizioni economichenelle quali esso può operare e vincer la sua battaglia. Daquel concetto rigidamente economistico si deducon poile leggi di tendenza, economiche e politiche: fra le pri-me, principalissima è quella della graduale e progressivadepauperazione del proletariato e del corrispondenteconcentramento del capitale, per cui si prevede comenecessaria la rivoluzione sociale, dovuta alla crisi del si-

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VIDALL'UNO ALL'ALTRO MARX.

Prima di procedere, riassumiamo in brevissime parolei passi che abbiam fatto. Siamo partiti dal Marx inteso acostruire a dirittura una filosofia sociale sopra unascienza ridotta a pura economia, offrendoci un quadrosecondo cui la storia si può spiegar soltanto con il giocodelle forze e delle forme economiche, di cui tutte le altreattività sociali non sono che riflessi e sovrastrutture, inispecial modo l'attività politica, che ci apparisce come ilrisultato degl'interessi economici della classe dominan-te. Ne veniva un economismo politico (il materialismostorico), donde si trae come conseguenza il comunismocritico, ossia consapevole delle condizioni economichenelle quali esso può operare e vincer la sua battaglia. Daquel concetto rigidamente economistico si deducon poile leggi di tendenza, economiche e politiche: fra le pri-me, principalissima è quella della graduale e progressivadepauperazione del proletariato e del corrispondenteconcentramento del capitale, per cui si prevede comenecessaria la rivoluzione sociale, dovuta alla crisi del si-

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stema capitalistico; delle seconde, la principale è quelladella lotta di classe, mediante la quale Marx ed il suoamico Engels cercan di spiegarci tutta la storia. Abbiamcriticato questo rigido economismo, mostrandone lavuota astrattezza e l'insufficienza a giustificar le sue leg-gi, prima fra tutte la lotta di classe. S'è poi rovesciatoanche l'altro pilastro del marxismo economistico, la leg-ge del plus-valore, secondo cui al lavoratore si rubereb-be una parte del suo lavoro che andrebbe a crescere ilcapitale, perchè dentro i limiti d'una pura economia ilvalore d'un prodotto è il risultato di molti fattori, fra cuiuno è il lavoro, e si misura sempre nel prezzo, che a suavolta non risulta dal lavoro, ma dal rapporto fra produt-tore e consumatore, ossia dalla capacità d'acquisto delmercato. Concludendo: una teoria di tipo comunista,fondata solamente sopra un puro economismo, non con-durrebbe a nessuna di quelle conseguenze che il Marxprevedeva.

Vien da sé l'osservazione, che se fosse vera questafaccia strettamente economistica del marxismo, la lottadi classe, come lotta economica, in fondo si dovrebbeattuare nella società non fra il lavoratore salariato e ilcapitale, ma fra il produttore e il consumatore, l'uno cer-cando di profittare il più possibile e l'altro di spendermeno che può. Qui c'è un vero contrasto d'interessi eco-nomici, il quale poi si riflette largamente e sopra tuttosulla classe operaia, perché questa forma la maggioran-za dei consumatori ed è quella su cui vengono a pesaretutti gli aggravi e le pretese dei capitale produttore, per-

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stema capitalistico; delle seconde, la principale è quelladella lotta di classe, mediante la quale Marx ed il suoamico Engels cercan di spiegarci tutta la storia. Abbiamcriticato questo rigido economismo, mostrandone lavuota astrattezza e l'insufficienza a giustificar le sue leg-gi, prima fra tutte la lotta di classe. S'è poi rovesciatoanche l'altro pilastro del marxismo economistico, la leg-ge del plus-valore, secondo cui al lavoratore si rubereb-be una parte del suo lavoro che andrebbe a crescere ilcapitale, perchè dentro i limiti d'una pura economia ilvalore d'un prodotto è il risultato di molti fattori, fra cuiuno è il lavoro, e si misura sempre nel prezzo, che a suavolta non risulta dal lavoro, ma dal rapporto fra produt-tore e consumatore, ossia dalla capacità d'acquisto delmercato. Concludendo: una teoria di tipo comunista,fondata solamente sopra un puro economismo, non con-durrebbe a nessuna di quelle conseguenze che il Marxprevedeva.

Vien da sé l'osservazione, che se fosse vera questafaccia strettamente economistica del marxismo, la lottadi classe, come lotta economica, in fondo si dovrebbeattuare nella società non fra il lavoratore salariato e ilcapitale, ma fra il produttore e il consumatore, l'uno cer-cando di profittare il più possibile e l'altro di spendermeno che può. Qui c'è un vero contrasto d'interessi eco-nomici, il quale poi si riflette largamente e sopra tuttosulla classe operaia, perché questa forma la maggioran-za dei consumatori ed è quella su cui vengono a pesaretutti gli aggravi e le pretese dei capitale produttore, per-

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chè non è in grado, come la classe dei ricchi, di far fron-te a tutte le esigenze del mercato. Oggi vediamo benequesto fatto, che davvero, se c'è lotta economica di clas-se, si combatte fra chi consuma e chi produce e fra que-sto e il venditore, che a sua volta trova il suo margine afar da intermediario. Questa è una lotta di classe stretta-mente economica, e non l'altra cui allude il Marx, tant'èvero che il suo linguaggio, specialmente nel Manifestodei comunisti, non è di tipo propriamente economistico:quand'egli parla di lavoro rubato e di sfruttamento daparte del capitale, già queste parole ci mettono in guar-dia dal credere che si tratti d'un fatto strettamente eco-nomico. Che cosa può intendere il Marx con questa pa-rola sfruttamento? Non può intender che il capitalesfrutti l'operaio solamente perchè lo paga a salario e loadopera come una merce qualsiasi, allo stesso modocome adopererebbe la macchina, perchè questa è la leg-ge economica della produzione: per cui, se oggi inven-tiamo una macchina che può sostituire l'operaio, abbia-mo tutto il diritto di sostituirlo. Come si può rimprove-rare ad un produttore, dal punto di vista strettamenteeconomico, di adoperare una macchina invece deglioperai, se la macchina lavora con maggior economia,producendo di più e costando di meno? Rimproveri epretese di questo genere nel campo economico non sene possono muover e quegli stessi che si lamentano a lorvolta non farebbero diversamente!

Dunque, parlar di sfruttamento implica già un ele-mento nuovo, di tipo morale, che salta fuori a un certo

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chè non è in grado, come la classe dei ricchi, di far fron-te a tutte le esigenze del mercato. Oggi vediamo benequesto fatto, che davvero, se c'è lotta economica di clas-se, si combatte fra chi consuma e chi produce e fra que-sto e il venditore, che a sua volta trova il suo margine afar da intermediario. Questa è una lotta di classe stretta-mente economica, e non l'altra cui allude il Marx, tant'èvero che il suo linguaggio, specialmente nel Manifestodei comunisti, non è di tipo propriamente economistico:quand'egli parla di lavoro rubato e di sfruttamento daparte del capitale, già queste parole ci mettono in guar-dia dal credere che si tratti d'un fatto strettamente eco-nomico. Che cosa può intendere il Marx con questa pa-rola sfruttamento? Non può intender che il capitalesfrutti l'operaio solamente perchè lo paga a salario e loadopera come una merce qualsiasi, allo stesso modocome adopererebbe la macchina, perchè questa è la leg-ge economica della produzione: per cui, se oggi inven-tiamo una macchina che può sostituire l'operaio, abbia-mo tutto il diritto di sostituirlo. Come si può rimprove-rare ad un produttore, dal punto di vista strettamenteeconomico, di adoperare una macchina invece deglioperai, se la macchina lavora con maggior economia,producendo di più e costando di meno? Rimproveri epretese di questo genere nel campo economico non sene possono muover e quegli stessi che si lamentano a lorvolta non farebbero diversamente!

Dunque, parlar di sfruttamento implica già un ele-mento nuovo, di tipo morale, che salta fuori a un certo

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punto nel Manifesto dei comunisti, come il vero fattoredella lotta di classe. La pretesa di Marx di far della purascienza, del puro economismo, alla fine ci apparisceastratta, perchè non sarebbe mai sorta una vera e proprialotta di classe per il solo dislivello fra capitale e lavoro.Occorre invece un valore umano, che non è il lavoro inquanto misurabile ad ore, ma in quanto è sofferenza, vo-lontà e attività sociale. Se ci mettiamo da quest'altra par-te, ossia da una posizione etica e non più strettamenteeconomica, subito si apre un altro orizzonte, si giustificala lotta di classe e se ne comprendono la forza, le inten-zioni e il fine politico. Allora s'intende che lo sfrutta-mento marxista non riguarda il fatto strettamente econo-mico della produzione e dello scambio delle merci, maquello della distribuzione della ricchezza sociale. La co-scienza di classe, di cui parla Marx, non è quella del suomaterialismo critico, la quale starebbe ad osservareobiettivamente la crisi possibile dell'economia capitali-stica, ma divien critica nel senso etico della parola,quando s'accorge che c'è una iniqua distribuzione dellaricchezza. Dicendo iniqua, introduciamo subito un valo-re nuovo, che non è più strettamente economico.

Che cos'è iniquo allora? Il reddito del capitale? Checos'è il capitale, l'abbiam detto. Riducendolo alla suapiù semplice espressione: è valore economico misurabi-le con il tallone oro; è danaro, si può dire, con il quale sicomperano la materia prima, la terra, gli strumenti di la-voro e si paga il lavoratore, anticipando tutte le spese diproduzione. Ora, il capitale inteso in questo senso, come

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punto nel Manifesto dei comunisti, come il vero fattoredella lotta di classe. La pretesa di Marx di far della purascienza, del puro economismo, alla fine ci apparisceastratta, perchè non sarebbe mai sorta una vera e proprialotta di classe per il solo dislivello fra capitale e lavoro.Occorre invece un valore umano, che non è il lavoro inquanto misurabile ad ore, ma in quanto è sofferenza, vo-lontà e attività sociale. Se ci mettiamo da quest'altra par-te, ossia da una posizione etica e non più strettamenteeconomica, subito si apre un altro orizzonte, si giustificala lotta di classe e se ne comprendono la forza, le inten-zioni e il fine politico. Allora s'intende che lo sfrutta-mento marxista non riguarda il fatto strettamente econo-mico della produzione e dello scambio delle merci, maquello della distribuzione della ricchezza sociale. La co-scienza di classe, di cui parla Marx, non è quella del suomaterialismo critico, la quale starebbe ad osservareobiettivamente la crisi possibile dell'economia capitali-stica, ma divien critica nel senso etico della parola,quando s'accorge che c'è una iniqua distribuzione dellaricchezza. Dicendo iniqua, introduciamo subito un valo-re nuovo, che non è più strettamente economico.

Che cos'è iniquo allora? Il reddito del capitale? Checos'è il capitale, l'abbiam detto. Riducendolo alla suapiù semplice espressione: è valore economico misurabi-le con il tallone oro; è danaro, si può dire, con il quale sicomperano la materia prima, la terra, gli strumenti di la-voro e si paga il lavoratore, anticipando tutte le spese diproduzione. Ora, il capitale inteso in questo senso, come

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danaro accumulato che si può quindi adoperar come sivuole e con il quale si possono anticipar le spese, haquesto carattere, che è il fattore essenziale dell'economi-smo vigente: ricchezza che frutta altra ricchezza. È ve-rissimo, che ci son tanti capitalisti, i quali lavorano perla loro azienda e diventano dei dirigenti o dei tecnici equindi meriterebbero in ogni caso una retribuzionecome qualsiasi lavoratore; ma dobbiam prescindere daquesta, che è tutt'un'altra quistione, e rimane al sistemacapitalistico preso nella sua forma più semplice. Per es.,io ho del danaro, lo presto e ne ricevo un reddito: il da-naro dà ricchezza solo perchè era ricchezza. Ora ci av-viamo a comprendere che lo sfruttamento sta nell'iniquadistribuzione della ricchezza, per cui alcuni l'hanno ac-cumulata, mentre gli altri non vi riusciranno mai, perchèvivono con il salario, il quale tende a livellarsi ai biso-gni della vita e a non lasciare nessun margine. L'iniquitàè tutta qui: che un lavoratore non potrà mai far quelloche faccio io, solo perchè ho del denaro in tasca. Chinon ha denaro non ne avrà mai! Il Gide si domandava:che cos'è il reddito allora? e qual'è la sua funzione equindi la sua giustificazione sociale? Chi dice che è ilpremio dei sacrifici affrontati dal risparmiatore, chi delrischio corso dall'impresa, chi d'un merito acquisito dalcapitale, perchè il proprietario l'ha rivolto ai fini dellaproduzione, anzi che goderne in altro modo meno utilesocialmente; ma son tutti concetti molto labili e non reg-gono a una critica profonda, tanto che il Gide finisce perdire, che il reddito è un terno al lotto, che può esser vin-

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danaro accumulato che si può quindi adoperar come sivuole e con il quale si possono anticipar le spese, haquesto carattere, che è il fattore essenziale dell'economi-smo vigente: ricchezza che frutta altra ricchezza. È ve-rissimo, che ci son tanti capitalisti, i quali lavorano perla loro azienda e diventano dei dirigenti o dei tecnici equindi meriterebbero in ogni caso una retribuzionecome qualsiasi lavoratore; ma dobbiam prescindere daquesta, che è tutt'un'altra quistione, e rimane al sistemacapitalistico preso nella sua forma più semplice. Per es.,io ho del danaro, lo presto e ne ricevo un reddito: il da-naro dà ricchezza solo perchè era ricchezza. Ora ci av-viamo a comprendere che lo sfruttamento sta nell'iniquadistribuzione della ricchezza, per cui alcuni l'hanno ac-cumulata, mentre gli altri non vi riusciranno mai, perchèvivono con il salario, il quale tende a livellarsi ai biso-gni della vita e a non lasciare nessun margine. L'iniquitàè tutta qui: che un lavoratore non potrà mai far quelloche faccio io, solo perchè ho del denaro in tasca. Chinon ha denaro non ne avrà mai! Il Gide si domandava:che cos'è il reddito allora? e qual'è la sua funzione equindi la sua giustificazione sociale? Chi dice che è ilpremio dei sacrifici affrontati dal risparmiatore, chi delrischio corso dall'impresa, chi d'un merito acquisito dalcapitale, perchè il proprietario l'ha rivolto ai fini dellaproduzione, anzi che goderne in altro modo meno utilesocialmente; ma son tutti concetti molto labili e non reg-gono a una critica profonda, tanto che il Gide finisce perdire, che il reddito è un terno al lotto, che può esser vin-

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to da chi possiede il capitale, speculandovi sopra fino araddoppiarlo e oltre!

Ci allontaniamo sempre più dal concetto marxista delplus-valore. Difatti non è questa la quistione che si puòrifar oggi, bensì l'altra, riguardante l'iniquità nella distri-buzione della ricchezza e la possibilità di moltiplicare ilcapitale indipendentemente dal lavoro. Bisogna pene-trarvi fino in fondo. Se io possiedo un pezzo di terra eprendo un contadino a mezzadria, ossia convenendo didividere il prodotto fra me che non lavoro e lui che la-vora, dir che gli rubo la metà del suo lavoro non è unaparola da economista, perchè quello era il contratto! Sul'istituto della mezzadria non v'è proprio nulla da obiet-tare, tranne che non si risalga da un criterio economico aun criterio morale, eseguendo il medesimo passaggio,che ci conduce a capire anche l'altro problema della lot-ta di classe. Questa, dicevamo, non è soltanto un fattoeconomico, bensì anche politico. Il Marx pure ne con-viene, ma è sempre schiavo di quella sua opinione, chela politica non sia altro che un riflesso dell'economia,mentre invece ci appare qualche cosa di più, direi qual-cosa d'eterogeneo dal puro economismo. La classe pura-mente economica, che si stringe in difesa dentro i suoisindacati, quando non abbia che un fine economico, peres., l'aumento dei salari, non è neppure un fatto politico,ma semplicemente sindacale (economico); mentre ilpartito politico, a cui Marx affida nientemeno che lafunzione di rovesciare a un certo momento l'economiasociale, impadronendosi con la violenza del governo,

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to da chi possiede il capitale, speculandovi sopra fino araddoppiarlo e oltre!

Ci allontaniamo sempre più dal concetto marxista delplus-valore. Difatti non è questa la quistione che si puòrifar oggi, bensì l'altra, riguardante l'iniquità nella distri-buzione della ricchezza e la possibilità di moltiplicare ilcapitale indipendentemente dal lavoro. Bisogna pene-trarvi fino in fondo. Se io possiedo un pezzo di terra eprendo un contadino a mezzadria, ossia convenendo didividere il prodotto fra me che non lavoro e lui che la-vora, dir che gli rubo la metà del suo lavoro non è unaparola da economista, perchè quello era il contratto! Sul'istituto della mezzadria non v'è proprio nulla da obiet-tare, tranne che non si risalga da un criterio economico aun criterio morale, eseguendo il medesimo passaggio,che ci conduce a capire anche l'altro problema della lot-ta di classe. Questa, dicevamo, non è soltanto un fattoeconomico, bensì anche politico. Il Marx pure ne con-viene, ma è sempre schiavo di quella sua opinione, chela politica non sia altro che un riflesso dell'economia,mentre invece ci appare qualche cosa di più, direi qual-cosa d'eterogeneo dal puro economismo. La classe pura-mente economica, che si stringe in difesa dentro i suoisindacati, quando non abbia che un fine economico, peres., l'aumento dei salari, non è neppure un fatto politico,ma semplicemente sindacale (economico); mentre ilpartito politico, a cui Marx affida nientemeno che lafunzione di rovesciare a un certo momento l'economiasociale, impadronendosi con la violenza del governo,

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non è più soltanto una realtà economica, perchè in talcaso non avverrebbe mai questa famosa rivoluzione, masi avrebbe invece una transazione, una risultante storicadelle varie forze concorrenti fra loro. Dice Marx, che ilpartito politico è la coscienza della classe economica eperciò è un partito classista, esercitante un'attività criticain quanto è realistico, ossia comprende le condizioni difatto e non si butta in una cieca avventura. Ma anchequesto insurrezionismo marxista, secondo il quale baste-rebbe la miseria a esasperare il proletariato spingendoloall'azione rivoluzionaria, è pur esso insufficiente a giu-stificare il comunismo che dovrebbe risultarne e invecenon succederebbe mai. Si potrebbe dir anche così:un'insurrezione, cioè una violenta presa di possesso delpotere politico a uno scopo soltanto economico, non puòriuscire ad altro che a diventar terroristica (è un'osserva-zione di Arturo Labriola) e a preparare immediatamenteuna classe di nuovi ricchi. Allora il potere politico cheservisse solo a questo fine economico, riflettendo un bi-sogno della maggioranza della popolazione e arrivandoal governo sotto la spinta della fame, non potrebbe at-tuare nessun comunismo, limitandosi a un'opera negati-va; mentre il Marx, al contrario (e giustamente!), attri-buisce una funzione positiva al partito politico dellaclasse operaia. Difatti egli non crede nel puro sindacali-smo, cioè che le organizzazioni del lavoro per la difesadei salariati bastino da sole a produrre il comunismo,perchè capisce che a questo scopo occorrono un partitoe una coscienza di classe. Ma possiamo aggiungere, che

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non è più soltanto una realtà economica, perchè in talcaso non avverrebbe mai questa famosa rivoluzione, masi avrebbe invece una transazione, una risultante storicadelle varie forze concorrenti fra loro. Dice Marx, che ilpartito politico è la coscienza della classe economica eperciò è un partito classista, esercitante un'attività criticain quanto è realistico, ossia comprende le condizioni difatto e non si butta in una cieca avventura. Ma anchequesto insurrezionismo marxista, secondo il quale baste-rebbe la miseria a esasperare il proletariato spingendoloall'azione rivoluzionaria, è pur esso insufficiente a giu-stificare il comunismo che dovrebbe risultarne e invecenon succederebbe mai. Si potrebbe dir anche così:un'insurrezione, cioè una violenta presa di possesso delpotere politico a uno scopo soltanto economico, non puòriuscire ad altro che a diventar terroristica (è un'osserva-zione di Arturo Labriola) e a preparare immediatamenteuna classe di nuovi ricchi. Allora il potere politico cheservisse solo a questo fine economico, riflettendo un bi-sogno della maggioranza della popolazione e arrivandoal governo sotto la spinta della fame, non potrebbe at-tuare nessun comunismo, limitandosi a un'opera negati-va; mentre il Marx, al contrario (e giustamente!), attri-buisce una funzione positiva al partito politico dellaclasse operaia. Difatti egli non crede nel puro sindacali-smo, cioè che le organizzazioni del lavoro per la difesadei salariati bastino da sole a produrre il comunismo,perchè capisce che a questo scopo occorrono un partitoe una coscienza di classe. Ma possiamo aggiungere, che

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se questa coscienza riguardasse soltanto dei vantaggieconomici, non basterebbe neppur essa a formare un co-munismo, ossia una nuova società, ma porterebbe al go-verno degli uomini nuovi, ugualmente desiderosid'arricchire e solleciti a imborghesirsi. Allora bisognamodificare il concetto della lotta di classe, in questosenso: che la coscienza di classe, diventando politica, sipone come fine la necessaria elevazione del proletariato,per farne una classe politica in grado di regolare la so-cietà (salvo poi sempre l'equivoco di creder che la poli-tica non sarebbe altro se non economia).

Ci riavviciniamo a Proudhon. Il Marx, che ne respin-geva l'utopismo, quasi senza volerlo e per una necessitàintrinseca viene sul medesimo piano dell'elevazione del-la coscienza (dello spirito), ritrovandosi in una sfera divalori morali, che son poi quelli del romanticismo, siapur corretto in senso realistico: la volontà politica nonpuò essere spinta che da un'idealità, ossia dalla ricercad'un meglio ideale. Quindi, mentre nella prima parte delManifesto dei comunisti la classe è un fatto che troviamsempre nella storia, man mano che si procede verso lafine, specialmente nell'ultima parte, ci appare invececome un valore che si fa, e si fa appunto come coscienzae volontà di classe. Vien fuori un volontarismo in stri-dente contradizione con quell'economismo fatalista, chedecideva di tutto il divenire sociale mediante le leggiobiettive dell'economia, e rovescia il determinismopseudo-scientifico in un finalismo etico. La semplice in-feriorità economica non può costituire questa forza nuo-

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se questa coscienza riguardasse soltanto dei vantaggieconomici, non basterebbe neppur essa a formare un co-munismo, ossia una nuova società, ma porterebbe al go-verno degli uomini nuovi, ugualmente desiderosid'arricchire e solleciti a imborghesirsi. Allora bisognamodificare il concetto della lotta di classe, in questosenso: che la coscienza di classe, diventando politica, sipone come fine la necessaria elevazione del proletariato,per farne una classe politica in grado di regolare la so-cietà (salvo poi sempre l'equivoco di creder che la poli-tica non sarebbe altro se non economia).

Ci riavviciniamo a Proudhon. Il Marx, che ne respin-geva l'utopismo, quasi senza volerlo e per una necessitàintrinseca viene sul medesimo piano dell'elevazione del-la coscienza (dello spirito), ritrovandosi in una sfera divalori morali, che son poi quelli del romanticismo, siapur corretto in senso realistico: la volontà politica nonpuò essere spinta che da un'idealità, ossia dalla ricercad'un meglio ideale. Quindi, mentre nella prima parte delManifesto dei comunisti la classe è un fatto che troviamsempre nella storia, man mano che si procede verso lafine, specialmente nell'ultima parte, ci appare invececome un valore che si fa, e si fa appunto come coscienzae volontà di classe. Vien fuori un volontarismo in stri-dente contradizione con quell'economismo fatalista, chedecideva di tutto il divenire sociale mediante le leggiobiettive dell'economia, e rovescia il determinismopseudo-scientifico in un finalismo etico. La semplice in-feriorità economica non può costituire questa forza nuo-

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va, che spinge la storia: pertanto, la missione del partitosarà quella d'istituire i nuovi organismi proletari condelle capacità etiche e quindi politiche. Ci balza incon-tro il nuovo valore, che è ancora il lavoro, ma non intesopiù come valore strettamente economico, riducibile auna parte del costo di produzione e misurabile a ore, in-dipendentemente dalla sua qualificazione. Se da tutta laserie dei fattori della produzione tiriam fuori l'operaio elo valutiamo per sé, appunto in quanto lavoratore che siattua nel suo lavoro, se ne fa responsabile e si pone perfine la produzione allo stesso modo del capitalista: eccoche si rovescia l'orizzonte sociale, si comprende la fun-zione politica di quei partiti che rappresentano il lavoro,e si trova giusta la loro pretesa di conquistare il governodella cosa pubblica per regolare la società.

Marx ed Engels non sono lontani da quest'orizzonte, eanzi ci si avviano quasi per forza: il tramite dalla loroposizione a questa nostra conclusione va cercato nellascoperta fatta da Marx fin dal tempo del Manifesto, chela produzione non è un fatto individuale ma sociale, os-sia nell'osservazione ch'egli fa a proposito del capitale,dicendo che non è un fatto strettamente individuale, ri-guardante il singolo come privato e la sua proprietà, per-chè quando codesta proprietà è capitale, cioè deve servi-re alla produzione, come ricchezza che sol per esseretale può produrre altre ricchezze, è divenuta già un fattosociale, che dunque interessa tutti. È questa una vera ri-voluzione che si compie nel pensiero filosofico (sebbe-ne resti alquanto vaga nel Manifesto dei comunisti) dalla

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va, che spinge la storia: pertanto, la missione del partitosarà quella d'istituire i nuovi organismi proletari condelle capacità etiche e quindi politiche. Ci balza incon-tro il nuovo valore, che è ancora il lavoro, ma non intesopiù come valore strettamente economico, riducibile auna parte del costo di produzione e misurabile a ore, in-dipendentemente dalla sua qualificazione. Se da tutta laserie dei fattori della produzione tiriam fuori l'operaio elo valutiamo per sé, appunto in quanto lavoratore che siattua nel suo lavoro, se ne fa responsabile e si pone perfine la produzione allo stesso modo del capitalista: eccoche si rovescia l'orizzonte sociale, si comprende la fun-zione politica di quei partiti che rappresentano il lavoro,e si trova giusta la loro pretesa di conquistare il governodella cosa pubblica per regolare la società.

Marx ed Engels non sono lontani da quest'orizzonte, eanzi ci si avviano quasi per forza: il tramite dalla loroposizione a questa nostra conclusione va cercato nellascoperta fatta da Marx fin dal tempo del Manifesto, chela produzione non è un fatto individuale ma sociale, os-sia nell'osservazione ch'egli fa a proposito del capitale,dicendo che non è un fatto strettamente individuale, ri-guardante il singolo come privato e la sua proprietà, per-chè quando codesta proprietà è capitale, cioè deve servi-re alla produzione, come ricchezza che sol per esseretale può produrre altre ricchezze, è divenuta già un fattosociale, che dunque interessa tutti. È questa una vera ri-voluzione che si compie nel pensiero filosofico (sebbe-ne resti alquanto vaga nel Manifesto dei comunisti) dalla

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concezione individualistica, propria del capitalismo, allanostra concezione socialistica. Il capitalismo borghese,dal 700 in poi, ha come suo contenuto dottrinario l'indi-vidualismo atomizzante la società, del quale è figlio illiberalismo economico, secondo cui ciascuno è affattolibero delle sue iniziative e può imprender ciò che vuol,la società risultando da un patto fra tanti individui,ognun dei quali rimane al centro dell'insieme sociale,che si costituisce appunto con il fine di salvaguardare ilsingolo. Quando Marx dice che la produzione è un fattosociale e quindi il capitale è un valore sociale perchèproduttivo, rovescia quella vecchia concezione e c'intro-duce in un ordine di considerazioni morali, che ci co-stringono alla fine a comprendere quest'altro concetto,che proprio per lo stesso motivo il lavoro che producediventa valore sociale.

Appunto questa sarà la tesi veramente originale delcomunismo critico di Marx; non il materialismo storicoe nemmen più la lotta di classe intesa come pura e sem-plice lotta economica, ma quel finalismo volontarista,che vien fuori dal Manifesto e rimette il Marx nellagrande corrente del romanticismo contemporaneo, spin-gendolo a porre la società al posto degl'individui, fino aquell'ultima idea luminosa che scoppia alla fine del Ma-nifesto: il lavoratore liberando se stesso libera la socie-tà! Come verrebbe fuori questa conclusione dal puroeconomismo? Il lavoratore liberandosi guadagnerebbedi più e starebbe meglio; invece, liberando se stesso li-bera tutta la società, nel senso che la libertà di ciascuno

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concezione individualistica, propria del capitalismo, allanostra concezione socialistica. Il capitalismo borghese,dal 700 in poi, ha come suo contenuto dottrinario l'indi-vidualismo atomizzante la società, del quale è figlio illiberalismo economico, secondo cui ciascuno è affattolibero delle sue iniziative e può imprender ciò che vuol,la società risultando da un patto fra tanti individui,ognun dei quali rimane al centro dell'insieme sociale,che si costituisce appunto con il fine di salvaguardare ilsingolo. Quando Marx dice che la produzione è un fattosociale e quindi il capitale è un valore sociale perchèproduttivo, rovescia quella vecchia concezione e c'intro-duce in un ordine di considerazioni morali, che ci co-stringono alla fine a comprendere quest'altro concetto,che proprio per lo stesso motivo il lavoro che producediventa valore sociale.

Appunto questa sarà la tesi veramente originale delcomunismo critico di Marx; non il materialismo storicoe nemmen più la lotta di classe intesa come pura e sem-plice lotta economica, ma quel finalismo volontarista,che vien fuori dal Manifesto e rimette il Marx nellagrande corrente del romanticismo contemporaneo, spin-gendolo a porre la società al posto degl'individui, fino aquell'ultima idea luminosa che scoppia alla fine del Ma-nifesto: il lavoratore liberando se stesso libera la socie-tà! Come verrebbe fuori questa conclusione dal puroeconomismo? Il lavoratore liberandosi guadagnerebbedi più e starebbe meglio; invece, liberando se stesso li-bera tutta la società, nel senso che la libertà di ciascuno

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è libertà di tutti, ossia: se il diritto e la responsabilitàd'ognuno son quelli di produrre, il vero fine del lavorodiventa la produzione e non più il guadagno, che invecene sarà una conseguenza. È questo che ora bisogna giu-stificare storicamente, come salti fuori il Marx romanti-co e volontarista dal crollo della sua economia pseudo-scientifica: dobbiam risalire all'altra sorgente (filosofica)del marxismo, la quale scaturisce dal romanticismo te-desco.

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è libertà di tutti, ossia: se il diritto e la responsabilitàd'ognuno son quelli di produrre, il vero fine del lavorodiventa la produzione e non più il guadagno, che invecene sarà una conseguenza. È questo che ora bisogna giu-stificare storicamente, come salti fuori il Marx romanti-co e volontarista dal crollo della sua economia pseudo-scientifica: dobbiam risalire all'altra sorgente (filosofica)del marxismo, la quale scaturisce dal romanticismo te-desco.

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VIIMARX E L'IDEALISMO ROMANTICO

Fin dal principio trovammo il Marx e l'amico Engelsche voltavan le spalle alla scuola hegeliana, dopo averlafrequentata fin verso il '45, e la rompevano con l'hegeli-smo e con tutta la filosofia tedesca per volgersi verso lascienza positiva, l'economismo inglese e il positivismonascente in Francia, dichiarando che solo da questa par-te si poteva raggiungere una verità. Li abbiam seguiti inquesta ricerca, nella loro ricostruzione storica e sociolo-gica del mondo umano, nella pretesa definizione delleleggi di tendenza e nel conseguente comunismo critico;ma alla fine ci siamo accorti, che c'era un malinteso inquesto scientismo, perchè l'economismo, con le sue leg-gi cercate obiettivamente (positivamente), non bastavaaffatto a spiegar la lotta di classe e nemmeno la conce-zione sociologica di Marx e la sua parte pratica (la suatattica). Allora ci siam proposti di rifare il cammino a ri-troso, per vedere se dentro al marxismo, almeno fino aun certo punto, non persista un pensiero di tipo hegelia-no, se cioè quell'hegelismo, che i suoi amici credevano

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VIIMARX E L'IDEALISMO ROMANTICO

Fin dal principio trovammo il Marx e l'amico Engelsche voltavan le spalle alla scuola hegeliana, dopo averlafrequentata fin verso il '45, e la rompevano con l'hegeli-smo e con tutta la filosofia tedesca per volgersi verso lascienza positiva, l'economismo inglese e il positivismonascente in Francia, dichiarando che solo da questa par-te si poteva raggiungere una verità. Li abbiam seguiti inquesta ricerca, nella loro ricostruzione storica e sociolo-gica del mondo umano, nella pretesa definizione delleleggi di tendenza e nel conseguente comunismo critico;ma alla fine ci siamo accorti, che c'era un malinteso inquesto scientismo, perchè l'economismo, con le sue leg-gi cercate obiettivamente (positivamente), non bastavaaffatto a spiegar la lotta di classe e nemmeno la conce-zione sociologica di Marx e la sua parte pratica (la suatattica). Allora ci siam proposti di rifare il cammino a ri-troso, per vedere se dentro al marxismo, almeno fino aun certo punto, non persista un pensiero di tipo hegelia-no, se cioè quell'hegelismo, che i suoi amici credevano

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d'aver potuto rifiutare, non fosse invece, a loro insaputa,l'intimo elemento dinamico che solo ne avrebbe potutogiustificare la concezione politica.

Dunque, non fidiamoci delle loro parole e vediam checosa può esser rimasto della filosofia tedesca nel comu-nismo economistico di Marx. Non conduciamo da soliquesta ricerca, perchè il problema si è venuto facendovia via più evidente agli occhi di tutta la critica marxi-sta, che specialmente in quest'ultimi decenni v'ha lavo-rato attorno, tranne che in Russia, dove s'è applicato sol-tanto il marxismo economista, con una fedeltà di tipodogmatico che si risolve in un'infedeltà di fatto. A partequesta corrente marxista pura, come pretende definirsi,la critica filosofica non pregiudicata è andata ricono-scendo sempre più nel marxismo un elemento, che orabisognerà mettere in evidenza e che ha le sue radici pro-prio nella filosofia germanica, di cui Marx s'era nutritoda giovane. Il principale interprete di Marx in senso he-geliano è Johan Plenge di Tubinga, il quale ha cercato diprovare che il Marx rimane un «cripto hegeliano», unhegeliano latente e inconsapevole, mascherato da eco-nomista oggettivistico alla maniera francese e britanni-ca. Chi volesse addentrarsi in quest'argomento di studio,dovrebbe riveder tutta la sinistra hegeliana, cioè il grup-po di quei giovani della «Montagna» hegeliana (la He-gelei), che prolungarono la dottrina del maestro, spin-gendola verso un dinamismo rivoluzionario, all'oppostodi quelle che furono le ultime concezioni di Hegel, ilquale invece diventò un conservatore, come tutti sanno

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d'aver potuto rifiutare, non fosse invece, a loro insaputa,l'intimo elemento dinamico che solo ne avrebbe potutogiustificare la concezione politica.

Dunque, non fidiamoci delle loro parole e vediam checosa può esser rimasto della filosofia tedesca nel comu-nismo economistico di Marx. Non conduciamo da soliquesta ricerca, perchè il problema si è venuto facendovia via più evidente agli occhi di tutta la critica marxi-sta, che specialmente in quest'ultimi decenni v'ha lavo-rato attorno, tranne che in Russia, dove s'è applicato sol-tanto il marxismo economista, con una fedeltà di tipodogmatico che si risolve in un'infedeltà di fatto. A partequesta corrente marxista pura, come pretende definirsi,la critica filosofica non pregiudicata è andata ricono-scendo sempre più nel marxismo un elemento, che orabisognerà mettere in evidenza e che ha le sue radici pro-prio nella filosofia germanica, di cui Marx s'era nutritoda giovane. Il principale interprete di Marx in senso he-geliano è Johan Plenge di Tubinga, il quale ha cercato diprovare che il Marx rimane un «cripto hegeliano», unhegeliano latente e inconsapevole, mascherato da eco-nomista oggettivistico alla maniera francese e britanni-ca. Chi volesse addentrarsi in quest'argomento di studio,dovrebbe riveder tutta la sinistra hegeliana, cioè il grup-po di quei giovani della «Montagna» hegeliana (la He-gelei), che prolungarono la dottrina del maestro, spin-gendola verso un dinamismo rivoluzionario, all'oppostodi quelle che furono le ultime concezioni di Hegel, ilquale invece diventò un conservatore, come tutti sanno

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sopra tutto dalla sua ultima opera. Un sintetico studio diB. Groethuysen, che conosce di prima mano la letteratu-ra dei Giovani hegeliani, nonché di Marx ed Engels, etien conto delle ricerche di David Koigen, di GustavMayer e d'altri intorno al movimento della estrema sini-stra hegeliana e alle origini del socialismo in Germania,espone nettamente il punto di vista storico della questio-ne.

Intorno al '42, Marx ed Engels appartenevano a que-sta sinistra hegeliana e nutrivan la fervida speranza difondare una filosofia anche pratica (politica), la filosofiadella rivoluzione, di cui credevano di possedere i fonda-menti proprio in quella dottrina hegeliana, che viceversaappariva ormai come la roccaforte del conservatorismoretrogrado della Prussia monarchica e militarista di Fe-derico Guglielmo IV. Questo era il progetto, che univaintorno a Marx quei giovani entusiasti, fra cui MosesHess, il quale portava dalla Francia (dov'era vissuto)quel socialismo rivoluzionario che mancava alla Germa-nia, con la speranza, condivisa da Marx, di unire insie-me il contenuto rivoluzionario francese con la forma fi-losofica e contemplativa della Germania. Ma il grupposi divise: i più, che in fondo non erano che degli intellet-tuali aristocratici, come Arnold Ruge, i due fratelliBauer, il Buhl ed Eduard Meyer, si dichiararono contrarial socialismo, specialmente dopo le prime persecuzionidel governo prussiano contro questa giovinezza troppoinquieta; invece il Marx e l'Engels, con Moses Hess eKarl Grün, vi si gettarono dentro con ardore, trovandovi

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sopra tutto dalla sua ultima opera. Un sintetico studio diB. Groethuysen, che conosce di prima mano la letteratu-ra dei Giovani hegeliani, nonché di Marx ed Engels, etien conto delle ricerche di David Koigen, di GustavMayer e d'altri intorno al movimento della estrema sini-stra hegeliana e alle origini del socialismo in Germania,espone nettamente il punto di vista storico della questio-ne.

Intorno al '42, Marx ed Engels appartenevano a que-sta sinistra hegeliana e nutrivan la fervida speranza difondare una filosofia anche pratica (politica), la filosofiadella rivoluzione, di cui credevano di possedere i fonda-menti proprio in quella dottrina hegeliana, che viceversaappariva ormai come la roccaforte del conservatorismoretrogrado della Prussia monarchica e militarista di Fe-derico Guglielmo IV. Questo era il progetto, che univaintorno a Marx quei giovani entusiasti, fra cui MosesHess, il quale portava dalla Francia (dov'era vissuto)quel socialismo rivoluzionario che mancava alla Germa-nia, con la speranza, condivisa da Marx, di unire insie-me il contenuto rivoluzionario francese con la forma fi-losofica e contemplativa della Germania. Ma il grupposi divise: i più, che in fondo non erano che degli intellet-tuali aristocratici, come Arnold Ruge, i due fratelliBauer, il Buhl ed Eduard Meyer, si dichiararono contrarial socialismo, specialmente dopo le prime persecuzionidel governo prussiano contro questa giovinezza troppoinquieta; invece il Marx e l'Engels, con Moses Hess eKarl Grün, vi si gettarono dentro con ardore, trovandovi

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un contenuto pratico per il loro idealismo teorico, e inun primo tempo sperando (come dicevo) di fondere feli-cemente il socialismo d'azione francese, mancante di fi-losofia, con la filosofia tedesca vuota d'azione.

Che Marx ed Engels fossero fervidi ammiratori e se-guaci della Hegelei, è dimostrato dai concetti svolti neilavori pubblicati in questi anni, dal '42 al '45: del Marxla Critica della filosofia del Diritto di Hegel, dello En-gels la Sacra Famiglia e l'Anti-Dühring, diretto contro ilfilosofo Dühring; frutto della collaborazione d'ambedue,quel libretto d'avanguardia, per il suo tempo (1845), chem'è capitato già di citare e s'intitola in francese L'idéo-logie Allemnande, oltre, s'intende, alle famose UndiciTesi di Marx, delle quali ci dovremo occupare a parte.Qui troviamo i due amici ancora imbevuti di filosofiatedesca, al punto che si leggono in Engels, per es., que-ste parole: «La fede nella onnipotenza dell'idea, la cre-denza che la verità eterna debba trionfare, la sicura cer-tezza che essa non potrà mai subire scosse o rinuncie,neppure se il mondo intero le si rivoltasse contro, eccola religione di ogni vera filosofia, ecco il fondamentodella vera filosofia positiva (cioè, concreta), della filo-sofia della storia universale!». Salta fuori il concettofondamentale, comune anche al Marx e allo Hess: «Otutto lo sforzo filosofico tedesco, da Kant a Hegel, è sta-to men che inutile (scrive lo Engels) o esso deve culmi-nare nel comunismo». Del pari il Marx, nella sua Criti-ca della filosofia del Diritto di Hegel, afferma che il co-munismo debba esser la necessaria conclusione della fi-

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un contenuto pratico per il loro idealismo teorico, e inun primo tempo sperando (come dicevo) di fondere feli-cemente il socialismo d'azione francese, mancante di fi-losofia, con la filosofia tedesca vuota d'azione.

Che Marx ed Engels fossero fervidi ammiratori e se-guaci della Hegelei, è dimostrato dai concetti svolti neilavori pubblicati in questi anni, dal '42 al '45: del Marxla Critica della filosofia del Diritto di Hegel, dello En-gels la Sacra Famiglia e l'Anti-Dühring, diretto contro ilfilosofo Dühring; frutto della collaborazione d'ambedue,quel libretto d'avanguardia, per il suo tempo (1845), chem'è capitato già di citare e s'intitola in francese L'idéo-logie Allemnande, oltre, s'intende, alle famose UndiciTesi di Marx, delle quali ci dovremo occupare a parte.Qui troviamo i due amici ancora imbevuti di filosofiatedesca, al punto che si leggono in Engels, per es., que-ste parole: «La fede nella onnipotenza dell'idea, la cre-denza che la verità eterna debba trionfare, la sicura cer-tezza che essa non potrà mai subire scosse o rinuncie,neppure se il mondo intero le si rivoltasse contro, eccola religione di ogni vera filosofia, ecco il fondamentodella vera filosofia positiva (cioè, concreta), della filo-sofia della storia universale!». Salta fuori il concettofondamentale, comune anche al Marx e allo Hess: «Otutto lo sforzo filosofico tedesco, da Kant a Hegel, è sta-to men che inutile (scrive lo Engels) o esso deve culmi-nare nel comunismo». Del pari il Marx, nella sua Criti-ca della filosofia del Diritto di Hegel, afferma che il co-munismo debba esser la necessaria conclusione della fi-

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losofia idealistica tedesca. Va bene che un po' più tardiromperanno i ponti con l'hegelismo, volgendosidall'altra parte, e sembrerà che si sian contentati di «ci-vettare» con esso; ma si tratta proprio di vedere se lecose andarono, così, o se invece questo hegelismo, sucui tanto fondavano la loro giovanile speranza, non siarimasto nel sangue stesso di Marx, come un fermentointerno della sua filosofia, quello che ci permetterà dicomprendere anche la coscienza e la lotta di classe nelsenso che il Marx le intendeva.

Tutti conoscono l'importanza della filosofia di Hegelin Germania e poi in tutto il mondo. Certo essa fu l'ulti-mo fiore di quella pianta così vegeta e feconda, che èstata la filosofia germanica dell'ultimo '700 e dei primidecenni dell' '800, appunto quello che si suol chiamare ilromanticismo filosofico tedesco. Ciascuno ha intuito,dalle sue letture, che ci fu allora un fervido movimentodi spiriti, il quale, nello stesso tempo, suscitò tanti poetiin tutti i paesi del mondo, dalla Germania all'Inghilterrae alla nostra Italia, dove il romanticismo comincia con ilFoscolo e culmina nel Manzoni. Lo stesso movimentotroviamo non solo nell'arte e nella poesia, risultato, sipuò dire, della Rivoluzione Francese, ma anche (e sopratutto) nel campo filosofico e anzi in tutte le sferedell'attività umana, che in questo momento son fra lorostrettamente mescolate. Da noi, per es., si vede bene,come la rinascita religiosa, non d'una confessione parti-colare, ma d'una religiosità intima, profonda, d'una esi-genza che muove il romanticismo italiano da Mazzini a

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losofia idealistica tedesca. Va bene che un po' più tardiromperanno i ponti con l'hegelismo, volgendosidall'altra parte, e sembrerà che si sian contentati di «ci-vettare» con esso; ma si tratta proprio di vedere se lecose andarono, così, o se invece questo hegelismo, sucui tanto fondavano la loro giovanile speranza, non siarimasto nel sangue stesso di Marx, come un fermentointerno della sua filosofia, quello che ci permetterà dicomprendere anche la coscienza e la lotta di classe nelsenso che il Marx le intendeva.

Tutti conoscono l'importanza della filosofia di Hegelin Germania e poi in tutto il mondo. Certo essa fu l'ulti-mo fiore di quella pianta così vegeta e feconda, che èstata la filosofia germanica dell'ultimo '700 e dei primidecenni dell' '800, appunto quello che si suol chiamare ilromanticismo filosofico tedesco. Ciascuno ha intuito,dalle sue letture, che ci fu allora un fervido movimentodi spiriti, il quale, nello stesso tempo, suscitò tanti poetiin tutti i paesi del mondo, dalla Germania all'Inghilterrae alla nostra Italia, dove il romanticismo comincia con ilFoscolo e culmina nel Manzoni. Lo stesso movimentotroviamo non solo nell'arte e nella poesia, risultato, sipuò dire, della Rivoluzione Francese, ma anche (e sopratutto) nel campo filosofico e anzi in tutte le sferedell'attività umana, che in questo momento son fra lorostrettamente mescolate. Da noi, per es., si vede bene,come la rinascita religiosa, non d'una confessione parti-colare, ma d'una religiosità intima, profonda, d'una esi-genza che muove il romanticismo italiano da Mazzini a

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Page 83: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

Gioberti e a Manzoni, sia unita strettamente con unanuova concezione della vita e del mondo, con un mododi sentire che si chiama idealistico, perchè pone i valorioltre il sensibile, oltre la materia, oltre il limite della no-stra esperienza, in qualcosa di più alto e profondo, chedunque ha un valore in fondo metafisico, o almeno tra-scendentale, certamente religioso, in quella unità dei va-lori (poesia, religione e filosofia), cui aspira tutto il ro-manticismo. Difatti la grande poesia d'uno Shelley,d'uno Hölderlin o d'un Hugo è tutta piena di questi con-tenuti filosofici e religiosi e di queste generose aspira-zioni, che gonfiano le vele del primo romanticismo e in-vadono ogni piano e ogni forma della cultura, modellan-do tutti gli atteggiamenti dello spirito umano, sotto laspinta che nella filosofia viene dal Kant e più indietrodal Lessing e prima ancora dall'illuminismo del '700, ilquale aveva trasportato nell'interiorità del soggetto queivalori che la filosofia fino a tutto il '600 aveva cercatofuori dell'io.

Il lavoro di critica roditrice, svolto lungo il '700, ave-va portato a concludere che i supremi valori che si cer-cavano fuori di noi, Dio, sostanza e causa di tutto, e poiil bene, il bello ecc., non erano invece che nostri valori enon si potevano trovare che dentro di noi, con un esameinterno della nostra coscienza. Perfino i valori reali,come sostanza e causa, su cui si fondano le leggi dellascienza, ormai il criticismo del '700 li aveva posti tuttidentro il soggetto. La sostanza, per es., è un modo di af-fermare un'identità che l'esperienza non ci dà mai, quin-

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Gioberti e a Manzoni, sia unita strettamente con unanuova concezione della vita e del mondo, con un mododi sentire che si chiama idealistico, perchè pone i valorioltre il sensibile, oltre la materia, oltre il limite della no-stra esperienza, in qualcosa di più alto e profondo, chedunque ha un valore in fondo metafisico, o almeno tra-scendentale, certamente religioso, in quella unità dei va-lori (poesia, religione e filosofia), cui aspira tutto il ro-manticismo. Difatti la grande poesia d'uno Shelley,d'uno Hölderlin o d'un Hugo è tutta piena di questi con-tenuti filosofici e religiosi e di queste generose aspira-zioni, che gonfiano le vele del primo romanticismo e in-vadono ogni piano e ogni forma della cultura, modellan-do tutti gli atteggiamenti dello spirito umano, sotto laspinta che nella filosofia viene dal Kant e più indietrodal Lessing e prima ancora dall'illuminismo del '700, ilquale aveva trasportato nell'interiorità del soggetto queivalori che la filosofia fino a tutto il '600 aveva cercatofuori dell'io.

Il lavoro di critica roditrice, svolto lungo il '700, ave-va portato a concludere che i supremi valori che si cer-cavano fuori di noi, Dio, sostanza e causa di tutto, e poiil bene, il bello ecc., non erano invece che nostri valori enon si potevano trovare che dentro di noi, con un esameinterno della nostra coscienza. Perfino i valori reali,come sostanza e causa, su cui si fondano le leggi dellascienza, ormai il criticismo del '700 li aveva posti tuttidentro il soggetto. La sostanza, per es., è un modo di af-fermare un'identità che l'esperienza non ci dà mai, quin-

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di è un nostro modo di costruire il mondo. Tanto più sepassiamo dal campo della scienza reale a quello della fi-losofia morale e poi religiosa: quel Dio, che prima si po-neva nell'Empireo, in un mondo trascendente, la filoso-fia del '700 avverte che non si può incontrare che dentrodi noi. Si comprende allora Emanuele Kant, il qualeesce da questo ambiente e interpreta la direzione in cuis'era messo il pensiero filosofico, concludendo che ifondamenti di tutte le attività umane, i principi dellascienza, della morale, della metafisica, non sono cheesigenze del nostro spirito, esigenze trascendentalidell'io stesso pensante, posto al centro del mondo e ditutti i valori.

Questa fu la rivoluzione operata dal Kant. Alloras'intende che cos'è il romanticismo filosofico: quellaspinta trascendentale dello spirito umano verso valoriche si superano all'infinito, senza trovar mai un limite,perchè non son più realtà sostanziali (cose o fattidell'esperienza), ma principi che debbono essere, regoleriguardanti così il nostro metodo scientifico come la no-stra condotta morale. Lo stesso Kant, che provò critica-mente l'inutilità di voler dimostrare l'esistenza di questivalori, come fosser cose o fatti (appunto perchè son va-lori che noi stessi poniamo), è poi un religioso per ec-cellenza, perchè tutta la sua filosofia pratica si fonda sul'aspirazione dello spirito umano ad ascender sempre piùverso un mondo di pure idee. Anzi quest'esigenza etico-religiosa si rovescia sulla scienza stessa, perchè noi co-noscendo vogliamo trascender l'esperienza in unifica-

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di è un nostro modo di costruire il mondo. Tanto più sepassiamo dal campo della scienza reale a quello della fi-losofia morale e poi religiosa: quel Dio, che prima si po-neva nell'Empireo, in un mondo trascendente, la filoso-fia del '700 avverte che non si può incontrare che dentrodi noi. Si comprende allora Emanuele Kant, il qualeesce da questo ambiente e interpreta la direzione in cuis'era messo il pensiero filosofico, concludendo che ifondamenti di tutte le attività umane, i principi dellascienza, della morale, della metafisica, non sono cheesigenze del nostro spirito, esigenze trascendentalidell'io stesso pensante, posto al centro del mondo e ditutti i valori.

Questa fu la rivoluzione operata dal Kant. Alloras'intende che cos'è il romanticismo filosofico: quellaspinta trascendentale dello spirito umano verso valoriche si superano all'infinito, senza trovar mai un limite,perchè non son più realtà sostanziali (cose o fattidell'esperienza), ma principi che debbono essere, regoleriguardanti così il nostro metodo scientifico come la no-stra condotta morale. Lo stesso Kant, che provò critica-mente l'inutilità di voler dimostrare l'esistenza di questivalori, come fosser cose o fatti (appunto perchè son va-lori che noi stessi poniamo), è poi un religioso per ec-cellenza, perchè tutta la sua filosofia pratica si fonda sul'aspirazione dello spirito umano ad ascender sempre piùverso un mondo di pure idee. Anzi quest'esigenza etico-religiosa si rovescia sulla scienza stessa, perchè noi co-noscendo vogliamo trascender l'esperienza in unifica-

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Page 85: Le due facce di Carlo Marx - Liber Liber...pra gli appunti presi dagli uditori di un breve Corso di lezioni sul Marxismo, tenuto quest'anno dal prof. Adel-chi Baratono presso l'Università

zioni sempre più alte, fino a raggiunger quella cosa insé, che non si potrà mai conoscere, ma ci dev'esserecome principio della conoscenza stessa. Dunque trovia-mo la medesima aspirazione trascendentale così nelcampo della scienza come in quello della morale (per-chè l'eticità kantiana è dovere, che non si dimostra, maci dev'essere perchè ci sia moralità) e della religione: ilDio di Kant non è più definibile come reale, con unasede nello spazio e nel tempo, ma ci dev'essere come or-dine morale, valore supremo riunificante tutti gli altri(così il bene come il vero) e principio di ognuno (perchèci sieno verità moralità santità). È come un'ispirazionedi tipo poetico questa che spinge il primo romanticismo,il quale dunque ha per centro l'uomo che si sforza di su-perar la propria empiricità per universalizzarsi, ma cheparte sempre da se stesso. Quindi è giusto dire che il ro-manticismo è soggettivismo, perchè in fondo esprimeun'esigenza, un bisogno, insomma un postulato della co-scienza. È la forma stessa della religione mazziniana: cidev'essere una Provvidenza, un progresso, un'immortali-tà; tutto non può finire, dal momento che noi nella vitane abbiamo solo come una promessa. Questo medesimoansito forma il primo romanticismo e diventa insiemepoesia, religione e pensiero.

Per la via aperta da Kant si mette poi, come un impe-tuoso torrente, la filosofia successiva, che si rovesciagiù per l'800, conservando il proprio slancio anchequando diviene puramente teoretica e di tipo logicocome in Hegel. Oggi ci potremmo chiedere, perchè que-

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zioni sempre più alte, fino a raggiunger quella cosa insé, che non si potrà mai conoscere, ma ci dev'esserecome principio della conoscenza stessa. Dunque trovia-mo la medesima aspirazione trascendentale così nelcampo della scienza come in quello della morale (per-chè l'eticità kantiana è dovere, che non si dimostra, maci dev'essere perchè ci sia moralità) e della religione: ilDio di Kant non è più definibile come reale, con unasede nello spazio e nel tempo, ma ci dev'essere come or-dine morale, valore supremo riunificante tutti gli altri(così il bene come il vero) e principio di ognuno (perchèci sieno verità moralità santità). È come un'ispirazionedi tipo poetico questa che spinge il primo romanticismo,il quale dunque ha per centro l'uomo che si sforza di su-perar la propria empiricità per universalizzarsi, ma cheparte sempre da se stesso. Quindi è giusto dire che il ro-manticismo è soggettivismo, perchè in fondo esprimeun'esigenza, un bisogno, insomma un postulato della co-scienza. È la forma stessa della religione mazziniana: cidev'essere una Provvidenza, un progresso, un'immortali-tà; tutto non può finire, dal momento che noi nella vitane abbiamo solo come una promessa. Questo medesimoansito forma il primo romanticismo e diventa insiemepoesia, religione e pensiero.

Per la via aperta da Kant si mette poi, come un impe-tuoso torrente, la filosofia successiva, che si rovesciagiù per l'800, conservando il proprio slancio anchequando diviene puramente teoretica e di tipo logicocome in Hegel. Oggi ci potremmo chiedere, perchè que-

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sta filosofia abbia avuto tanta importanza e abbia trasci-nato il mondo con sé, divenendo il cuore pulsante di tut-ta la civiltà europea del suo tempo: perchè l'idealismocelebrante l'io come creatore dell'oggetto interpreta l'esi-genza profonda di tutto il movimento romantico, met-tendo in valore un elemento già vivo e operante nella fi-losofia precedente. Fin dal Lessing c'era la coscienza,che l'uomo valesse per la sua tendenza trascendentale,indirizzata oltre l'individualità empirica e oltre i sensi,verso un dover essere posto come meta mai raggiungibi-le, ma sempre perseguibile. Nello Schopenhauer risen-tiamo la medesima spinta, quando ci dice, allo stessomodo, che l'io è volere, cioè forza attiva che pone le suestesse rappresentazioni oggettive. Insomma, la forza diquesta filosofia (ciò che alla mente positiva e comunepare un assurdo) era insita nel valore dato al pensierocome pensiero, il quale veramente attua tutti quei valoriche si dicon realtà, moralità, santità, bellezza ecc., pro-prio perchè trova in sè stesso queste finalità. Se fossimospecchio d'una realtà data fuori di noi, saremmo sempreal di sotto della realtà stessa, la quale non progredirebbeaffatto. Quindi si capisce, che sotto una filosofia post-kantiana, celebrante il volere e il pensiero come gli arte-fici dei valori, ci fosse quest'impeto romantico, il qualecontinua ad esercitare su di noi la sua grande forza disuggestione ed è lo stesso che ci ha dato la grande poe-sia dell' '800.

Ora, lo Hegel ebbe il grande vantaggio, specialmenteper gli spiriti tedeschi così amanti delle costruzioni or-

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sta filosofia abbia avuto tanta importanza e abbia trasci-nato il mondo con sé, divenendo il cuore pulsante di tut-ta la civiltà europea del suo tempo: perchè l'idealismocelebrante l'io come creatore dell'oggetto interpreta l'esi-genza profonda di tutto il movimento romantico, met-tendo in valore un elemento già vivo e operante nella fi-losofia precedente. Fin dal Lessing c'era la coscienza,che l'uomo valesse per la sua tendenza trascendentale,indirizzata oltre l'individualità empirica e oltre i sensi,verso un dover essere posto come meta mai raggiungibi-le, ma sempre perseguibile. Nello Schopenhauer risen-tiamo la medesima spinta, quando ci dice, allo stessomodo, che l'io è volere, cioè forza attiva che pone le suestesse rappresentazioni oggettive. Insomma, la forza diquesta filosofia (ciò che alla mente positiva e comunepare un assurdo) era insita nel valore dato al pensierocome pensiero, il quale veramente attua tutti quei valoriche si dicon realtà, moralità, santità, bellezza ecc., pro-prio perchè trova in sè stesso queste finalità. Se fossimospecchio d'una realtà data fuori di noi, saremmo sempreal di sotto della realtà stessa, la quale non progredirebbeaffatto. Quindi si capisce, che sotto una filosofia post-kantiana, celebrante il volere e il pensiero come gli arte-fici dei valori, ci fosse quest'impeto romantico, il qualecontinua ad esercitare su di noi la sua grande forza disuggestione ed è lo stesso che ci ha dato la grande poe-sia dell' '800.

Ora, lo Hegel ebbe il grande vantaggio, specialmenteper gli spiriti tedeschi così amanti delle costruzioni or-

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ganiche del pensiero, di sistematizzare il romanticismo,che in Kant troviamo ancora alla sorgiva vergine. Qui siafferma il valore sempre in antitesi con qualcos'altro:vale il pensiero, in quanto si oppone al pensato; la scien-za, in quanto la cosa in sé, che ci dev'essere in fondoalla molteplicità dell'esperienza, si oppone alla semplicesensazione; la morale, in quanto il dovere si oppone allecondizioni empiriche; Dio, in quanto è valore assolutoin contrapposto con tutte le limitazioni del mondo. Èquesta una filosofia attivistica, volontaristica (romanti-ca), e quindi reca in sé una dualità (opposizione) di sog-getto e oggetto, di cui l'antinomia ha un valore soltantopratico, perchè l'esigenza teoretica è invece quella diconciliar tutte le opposizioni, riunificando il reale. He-gel fa suoi questi contenuti romantici, teoricizzandoli inuna filosofia, che è una ricostruzione totale del mondo,il quale non è più inteso, staticamente, come essere, almodo di tutta la filosofia classica, ma dinamicamentecome divenire. Egli parte proprio dal concetto, che ilmondo è guerra e si attua nella lotta perenne fra posizio-ni che continuamente si oppongono fra loro, per cui tut-to diviene e nulla rimane uguale a se stesso. È evidenteche la logica antica, fondata sul principio d'identità, erainsufficiente a spiegar la realtà, dove tutto invece è con-tradizione. Hegel prende l'antitesi stessa come legge delmondo, che non è più possibile considerare come unasostanza che rimane uguale a se stessa, ma come unarealtà che si fa (diviene), in un perenne contrasto di tesie di antitesi che a lor volta sboccano in una sintesi, la

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ganiche del pensiero, di sistematizzare il romanticismo,che in Kant troviamo ancora alla sorgiva vergine. Qui siafferma il valore sempre in antitesi con qualcos'altro:vale il pensiero, in quanto si oppone al pensato; la scien-za, in quanto la cosa in sé, che ci dev'essere in fondoalla molteplicità dell'esperienza, si oppone alla semplicesensazione; la morale, in quanto il dovere si oppone allecondizioni empiriche; Dio, in quanto è valore assolutoin contrapposto con tutte le limitazioni del mondo. Èquesta una filosofia attivistica, volontaristica (romanti-ca), e quindi reca in sé una dualità (opposizione) di sog-getto e oggetto, di cui l'antinomia ha un valore soltantopratico, perchè l'esigenza teoretica è invece quella diconciliar tutte le opposizioni, riunificando il reale. He-gel fa suoi questi contenuti romantici, teoricizzandoli inuna filosofia, che è una ricostruzione totale del mondo,il quale non è più inteso, staticamente, come essere, almodo di tutta la filosofia classica, ma dinamicamentecome divenire. Egli parte proprio dal concetto, che ilmondo è guerra e si attua nella lotta perenne fra posizio-ni che continuamente si oppongono fra loro, per cui tut-to diviene e nulla rimane uguale a se stesso. È evidenteche la logica antica, fondata sul principio d'identità, erainsufficiente a spiegar la realtà, dove tutto invece è con-tradizione. Hegel prende l'antitesi stessa come legge delmondo, che non è più possibile considerare come unasostanza che rimane uguale a se stessa, ma come unarealtà che si fa (diviene), in un perenne contrasto di tesie di antitesi che a lor volta sboccano in una sintesi, la

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quale riunisce i contrari e produce un risultato nuovo.Questa concezione dialettica del reale, intelligentissima,è come una chiave che apre tutte le porte, ma in fondonon soddisfa più della filosofia precedente, se non pro-prio in quanto ci fornisce questa chiave.

Dunque, il mondo è il divenire delle antitesi. Ora que-sto è proprio il processo del pensiero, che non sta maiun istante fermo su se stesso, ma appena raggiunge uncapo subito si getta verso il capo opposto, risorgendosempre inquieto dalle sue soluzioni e riaprendo i proble-mi in una perpetua lotta di concetti, la quale muta conti-nuamente la prospettiva del vero. Ne vien la costruzionedell'hegelismo dialettico. Partendo dal risultato raggiun-to dal Kant, che tutti i valori, anche di verità (realtà),son valori del nostro pensiero, della nostra attività, laquale si svolge in un eterno contrasto dialettico, fra ciòche si vuole e ciò che già si possiede, fra quel che si è equel che si deve essere, fra ciò che il valore ha illumina-to di sé e ciò che rimane oscuro, si mette capo a un idea-lismo assoluto, superante pur l'eticismo fichtiano (l'ioche crea il non io) e teoricizzante l'identità del pensieroe del reale. Ossia: il pensiero non crea in un certo mo-mento (ideale) un quid eterogeneo, che sarebbe la realtàsensibile; no, per lo Hegel spirito e materia son la stessarealtà: tutto ciò che è reale è ideale a tutto ciò che èideale è reale. Se si considera il divenire della realtà dal-la parte del pensiero, in quanto attività del soggetto, tut-to è spirito; ma dalla parte dell'obietto, tutto quel che di-ciamo pensiero è anche cosa. Ecco perchè ci potrà esse-

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quale riunisce i contrari e produce un risultato nuovo.Questa concezione dialettica del reale, intelligentissima,è come una chiave che apre tutte le porte, ma in fondonon soddisfa più della filosofia precedente, se non pro-prio in quanto ci fornisce questa chiave.

Dunque, il mondo è il divenire delle antitesi. Ora que-sto è proprio il processo del pensiero, che non sta maiun istante fermo su se stesso, ma appena raggiunge uncapo subito si getta verso il capo opposto, risorgendosempre inquieto dalle sue soluzioni e riaprendo i proble-mi in una perpetua lotta di concetti, la quale muta conti-nuamente la prospettiva del vero. Ne vien la costruzionedell'hegelismo dialettico. Partendo dal risultato raggiun-to dal Kant, che tutti i valori, anche di verità (realtà),son valori del nostro pensiero, della nostra attività, laquale si svolge in un eterno contrasto dialettico, fra ciòche si vuole e ciò che già si possiede, fra quel che si è equel che si deve essere, fra ciò che il valore ha illumina-to di sé e ciò che rimane oscuro, si mette capo a un idea-lismo assoluto, superante pur l'eticismo fichtiano (l'ioche crea il non io) e teoricizzante l'identità del pensieroe del reale. Ossia: il pensiero non crea in un certo mo-mento (ideale) un quid eterogeneo, che sarebbe la realtàsensibile; no, per lo Hegel spirito e materia son la stessarealtà: tutto ciò che è reale è ideale a tutto ciò che èideale è reale. Se si considera il divenire della realtà dal-la parte del pensiero, in quanto attività del soggetto, tut-to è spirito; ma dalla parte dell'obietto, tutto quel che di-ciamo pensiero è anche cosa. Ecco perchè ci potrà esse-

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re un Hegel di destra e un Hegel di sinistra, ossia un He-gel idealista e un Hegel che è invece il fenomenologodello spirito, per il quale cioè il pensiero vale nei parti-colari in cui si attua, cominciando da una semplice sen-sazione.

Concludendo (per ora): un Hegel non preso ad litte-ram, ma sentito e vissuto nel suo tempo, rimane dentroquel fervido romanticismo, che va dal primo '800 finoalla caduta della Comune. Allora si capisce, che possasussistere un fermento hegeliano sotto la lotta di classemarxista, cioè sotto la capacità dell'uomo pensante areagire all'ambiente, di cui pure è figlio; insomma sottol'idea d'una prassi rivoluzionaria, dovuta alla coscienzacritica del lavoratore e mirante a una meta posta al di làdel presente. Questo non è più il materialismo di chicerca un guadagno maggiore, ma è a dirittura il concettodella trasformazione del mondo: qui c'è un romantici-smo che seguita ad agire.

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re un Hegel di destra e un Hegel di sinistra, ossia un He-gel idealista e un Hegel che è invece il fenomenologodello spirito, per il quale cioè il pensiero vale nei parti-colari in cui si attua, cominciando da una semplice sen-sazione.

Concludendo (per ora): un Hegel non preso ad litte-ram, ma sentito e vissuto nel suo tempo, rimane dentroquel fervido romanticismo, che va dal primo '800 finoalla caduta della Comune. Allora si capisce, che possasussistere un fermento hegeliano sotto la lotta di classemarxista, cioè sotto la capacità dell'uomo pensante areagire all'ambiente, di cui pure è figlio; insomma sottol'idea d'una prassi rivoluzionaria, dovuta alla coscienzacritica del lavoratore e mirante a una meta posta al di làdel presente. Questo non è più il materialismo di chicerca un guadagno maggiore, ma è a dirittura il concettodella trasformazione del mondo: qui c'è un romantici-smo che seguita ad agire.

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VIIIMARX E LA SINISTRA HEGELIANA

Dicevo, che anche quello di Hegel è un sistema a duefacce, per cui si capisce come se ne dipartano una destrae una sinistra opposte fra loro. Vediamo meglio: non sitratta d'un parallelismo di tipo spinoziano fra idea ecosa, perchè questi son due nomi della stessa realtà, os-sia dello stesso valore, che noi scopriamo sempre nelpensiero perchè è impossibile trovar qualcosa che nonsia un contenuto del pensiero. Questo è il punto di par-tenza hegeliano. Anche se si parla d'un oggetto che cadesotto i nostri sensi, quest'oggetto è percepito, quindi èun'idea, nel senso più generale di questa parola, e natu-ralmente non si potrebbe pensare fuori del pensiero.S'intende, che questo di Hegel non è un relativismo del-la cosa al soggetto, per cui si possa dire che nel mondotutto è subiettivo; la vera posizione hegeliana è un idea-lismo assoluto, dove ciò di cui parliamo è allora la leggedel pensiero che è la legge stessa delle cose, perchè perlo Hegel non c'è un essere sostanziale che permangaidentico a sé, ma reale è quello che noi pensiamo, cioè

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VIIIMARX E LA SINISTRA HEGELIANA

Dicevo, che anche quello di Hegel è un sistema a duefacce, per cui si capisce come se ne dipartano una destrae una sinistra opposte fra loro. Vediamo meglio: non sitratta d'un parallelismo di tipo spinoziano fra idea ecosa, perchè questi son due nomi della stessa realtà, os-sia dello stesso valore, che noi scopriamo sempre nelpensiero perchè è impossibile trovar qualcosa che nonsia un contenuto del pensiero. Questo è il punto di par-tenza hegeliano. Anche se si parla d'un oggetto che cadesotto i nostri sensi, quest'oggetto è percepito, quindi èun'idea, nel senso più generale di questa parola, e natu-ralmente non si potrebbe pensare fuori del pensiero.S'intende, che questo di Hegel non è un relativismo del-la cosa al soggetto, per cui si possa dire che nel mondotutto è subiettivo; la vera posizione hegeliana è un idea-lismo assoluto, dove ciò di cui parliamo è allora la leggedel pensiero che è la legge stessa delle cose, perchè perlo Hegel non c'è un essere sostanziale che permangaidentico a sé, ma reale è quello che noi pensiamo, cioè

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un continuo fluire. La realtà in sé è la realtà stessa delpensiero, quando lo obiettiviamo, proiettandolo fuor dinoi, nel suo momento oggettivo, il quale però ne attendeun altro, che riporti nel pensiero quel che ne avevamoestraniato. Dunque, la legge dialettica del pensiero è lalegge della realtà. Qui Hegel va contro tutta la filosofiaprecedente, la quale invece tendeva a fondar la realtà so-pra una sostanza immobile e identica a sé e quindi aporre come legge fondamentale del pensiero il rapportod'identità e di non contradizione. Ossia: è realtà ciò chepermane identico a sé, onde la ragione per giudicar delreale deve partire dal principio d'identità e quindi dalprincipio di non contradizione. Viceversa, per Hegel, lacontradizione è il principio stesso della realtà intesacome mobilità continua (negatività), ossia del pensieroche si attua nella dialettica delle opposizioni, preceden-do per tesi e antitesi, risorgenti di continuo: non si puòaffermar l'essere, se non in quanto si definisce sortendodal non essere. Quindi la legge hegeliana del pensiero èquella del continuo mutarsi in un eterno pòlemos di tipoeracliteo, in una perpetua antitesi che si chiama la dia-lettica e forma la legge stessa del divenire, appunto per-chè legge del pensiero.

La compattezza del pensiero hegeliano, il quale cor-regge le incoerenze di quello kantiano, sta proprio inciò, che in quest'unica legge rientra tutto il divenire,senza che nulla vi sfugga: tutto si può concatenare inquesta logica illogica del pensiero che è la dialettica! Sedunque il mondo procede per tesi e antitesi, che portano

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un continuo fluire. La realtà in sé è la realtà stessa delpensiero, quando lo obiettiviamo, proiettandolo fuor dinoi, nel suo momento oggettivo, il quale però ne attendeun altro, che riporti nel pensiero quel che ne avevamoestraniato. Dunque, la legge dialettica del pensiero è lalegge della realtà. Qui Hegel va contro tutta la filosofiaprecedente, la quale invece tendeva a fondar la realtà so-pra una sostanza immobile e identica a sé e quindi aporre come legge fondamentale del pensiero il rapportod'identità e di non contradizione. Ossia: è realtà ciò chepermane identico a sé, onde la ragione per giudicar delreale deve partire dal principio d'identità e quindi dalprincipio di non contradizione. Viceversa, per Hegel, lacontradizione è il principio stesso della realtà intesacome mobilità continua (negatività), ossia del pensieroche si attua nella dialettica delle opposizioni, preceden-do per tesi e antitesi, risorgenti di continuo: non si puòaffermar l'essere, se non in quanto si definisce sortendodal non essere. Quindi la legge hegeliana del pensiero èquella del continuo mutarsi in un eterno pòlemos di tipoeracliteo, in una perpetua antitesi che si chiama la dia-lettica e forma la legge stessa del divenire, appunto per-chè legge del pensiero.

La compattezza del pensiero hegeliano, il quale cor-regge le incoerenze di quello kantiano, sta proprio inciò, che in quest'unica legge rientra tutto il divenire,senza che nulla vi sfugga: tutto si può concatenare inquesta logica illogica del pensiero che è la dialettica! Sedunque il mondo procede per tesi e antitesi, che portano

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a una sintesi superiore, non c'è più nessun valore dato,ma il valore si fa, non è: il valore di realtà si attua nelcontinuo costruire che il pensiero fa dei valori oggettivi,per cui non c'è il vero e il falso, ma c'è sempre il vero,che diventa falso domani, spingendo verso una nuovasintesi. Allo stesso modo, non c'è bene e male nella vitapratica, perchè quello che poi si chiamerà il male, eracreduto il bene nell'atto in cui, veniva compiuto. Quindila realtà si risolverebbe in un continuo movimento, chenon avrebbe mai fine. Il Nietzsche diceva con spirito,che secondo Hegel tutto diviene continuamente senzamai fine, a meno di porre il perfetto, cioè il punto d'arri-vo, nello stesso Hegel, a Berlino!

Allora si comprende come sia giusta l'osservazione diEngels, che l'hegelismo contiene in sé una sola, intimacontradizione, la quale concerne il sistema stesso:d'esser (come fu) conservatore! Difatti Hegel, a traversoil continuo superarsi del pensiero, giunge alla fine a sta-bilire i valori nel senso più conservatore, a far dello Sta-to di tipo prussiano il risultato perfetto del progresso po-litico e della sua filosofia il punto d'arrivo del processodel pensiero puro, che muove dal soggetto (l'arte) perobiettivarsi in una realtà assoluta (la religione) e ritorna-re infine a rifletter sopra se stesso (l'autocoscienza). Vi-ceversa, notava Engels, è il metodo di Hegel che è rivo-luzionario! Ecco perchè dalla filosofia hegeliana son po-tute uscire una destra, la quale va sempre più verso de-stra in tutti i campi, nella politica come nella scienza,pensando che il mondo proceda verso valori sempre

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a una sintesi superiore, non c'è più nessun valore dato,ma il valore si fa, non è: il valore di realtà si attua nelcontinuo costruire che il pensiero fa dei valori oggettivi,per cui non c'è il vero e il falso, ma c'è sempre il vero,che diventa falso domani, spingendo verso una nuovasintesi. Allo stesso modo, non c'è bene e male nella vitapratica, perchè quello che poi si chiamerà il male, eracreduto il bene nell'atto in cui, veniva compiuto. Quindila realtà si risolverebbe in un continuo movimento, chenon avrebbe mai fine. Il Nietzsche diceva con spirito,che secondo Hegel tutto diviene continuamente senzamai fine, a meno di porre il perfetto, cioè il punto d'arri-vo, nello stesso Hegel, a Berlino!

Allora si comprende come sia giusta l'osservazione diEngels, che l'hegelismo contiene in sé una sola, intimacontradizione, la quale concerne il sistema stesso:d'esser (come fu) conservatore! Difatti Hegel, a traversoil continuo superarsi del pensiero, giunge alla fine a sta-bilire i valori nel senso più conservatore, a far dello Sta-to di tipo prussiano il risultato perfetto del progresso po-litico e della sua filosofia il punto d'arrivo del processodel pensiero puro, che muove dal soggetto (l'arte) perobiettivarsi in una realtà assoluta (la religione) e ritorna-re infine a rifletter sopra se stesso (l'autocoscienza). Vi-ceversa, notava Engels, è il metodo di Hegel che è rivo-luzionario! Ecco perchè dalla filosofia hegeliana son po-tute uscire una destra, la quale va sempre più verso de-stra in tutti i campi, nella politica come nella scienza,pensando che il mondo proceda verso valori sempre

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meno relativi, o sempre più assoluti e più universali, percui l'ultimo risultato raggiunto è quello che supera tuttigli altri e s'avvicina di più all'esito definitivo e perfetto;e una sinistra, la quale invece si getta dalla parte oppo-sta, perchè prende da Hegel il metodo dialettico del pen-siero pensante, che trascende all'infinito i contenuti, incui si cristallizza, e ha tutto il diritto di lacerare il valorecostruito e di negare la verità e il bene di ieri.

Dunque, dal contrasto intimo dell'hegelismo saltanfuori le due opposte correnti, di cui c'interessa sopra tut-to quella dei Liberi di sinistra, quei giovani audaci cheattrassero nella loro orbita Marx ed Engels. Primeggianoin questo gruppo il Feuerbach, assai importante ancheper il nostro studio, come termine di passaggio fra He-gel e Marx, e dopo di lui lo Stirner, che lavorano neglistessi anni, fra il '40 e il '45, in cui Marx ed Engels fre-quentavano la Hegelei. In fondo, il Feuerbach rovesciail sistema hegeliano servendosi d'un mezzo hegeliano.Per ciò, comprendendo lui, ci avviamo a comprendereMarx, perchè anche questi, mentre credeva di voltar lespalle a Hegel, non faceva che rovesciarlo, adoperandouno strumento hegeliano e conservando ancora un'animahegeliana. Il Feuerbach mette fine completamente allafilosofia classica, cioè a qualunque filosofia che volessefissare un valore per costruirvi sopra un vero e propriosistema. In fondo, aveva diritto lo Hegel di sistematizza-re la sua filosofia? Mentre tutto si muove senza sosta ela guerra regna sovrana nel mondo, com'è possibile fis-sare un concetto, un valore? Il Feuerbach concludeva in

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meno relativi, o sempre più assoluti e più universali, percui l'ultimo risultato raggiunto è quello che supera tuttigli altri e s'avvicina di più all'esito definitivo e perfetto;e una sinistra, la quale invece si getta dalla parte oppo-sta, perchè prende da Hegel il metodo dialettico del pen-siero pensante, che trascende all'infinito i contenuti, incui si cristallizza, e ha tutto il diritto di lacerare il valorecostruito e di negare la verità e il bene di ieri.

Dunque, dal contrasto intimo dell'hegelismo saltanfuori le due opposte correnti, di cui c'interessa sopra tut-to quella dei Liberi di sinistra, quei giovani audaci cheattrassero nella loro orbita Marx ed Engels. Primeggianoin questo gruppo il Feuerbach, assai importante ancheper il nostro studio, come termine di passaggio fra He-gel e Marx, e dopo di lui lo Stirner, che lavorano neglistessi anni, fra il '40 e il '45, in cui Marx ed Engels fre-quentavano la Hegelei. In fondo, il Feuerbach rovesciail sistema hegeliano servendosi d'un mezzo hegeliano.Per ciò, comprendendo lui, ci avviamo a comprendereMarx, perchè anche questi, mentre credeva di voltar lespalle a Hegel, non faceva che rovesciarlo, adoperandouno strumento hegeliano e conservando ancora un'animahegeliana. Il Feuerbach mette fine completamente allafilosofia classica, cioè a qualunque filosofia che volessefissare un valore per costruirvi sopra un vero e propriosistema. In fondo, aveva diritto lo Hegel di sistematizza-re la sua filosofia? Mentre tutto si muove senza sosta ela guerra regna sovrana nel mondo, com'è possibile fis-sare un concetto, un valore? Il Feuerbach concludeva in

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un reale Humanismus: non c'è, che un principio, l'iostesso cosciente, che solo vive nelle mutazioni continuedel divenire, in quanto attività e quindi volere. Entriamonel volontarismo contemporaneo, appoggiante il valoreall'io voglio, invece che all'io penso (e tanto meno all'iosono!). Mentre Hegel non era un relativista, perchè met-teva come assoluto il divenire stesso, il Feuerbach ritor-na a un radicale subiettivismo, relativizzante tutti i valo-ri all'io voglio, all'io particolare e alla fine empirico. Daun mondo d'idee, le quali s'andavan svolgendo l'unasull'altra in un continuo superamento, secondo una con-cezione idealistica che riporta l'hegelismo a una speciedi platonismo dinamizzato (diventato eracliteo), ci si ro-vescia con il Feuerbach nell'individualità particolare edempirica, cioè nella soggettività vera e propria.

Dati i tempi in cui si trovavano a lavorare e dato spe-cialmente l'autoritarismo prussiano di Federico Gugliel-mo IV, intollerantissimo delle idee liberali (diceva: nonmettetemi mai un foglio di carta scritta fra me e Dio!),piuttosto che rodere il problema politico, il che era peri-coloso perchè portava diritto a un liberalismo, questigiovani preferiron discutere sul problema religioso, pro-vando qui la nuova teoria di sinistra. Che cos'è la reli-gione? Tutta la filosofia classica avrebbe condotto apoggiar la religione sopra un valore oggettivo, posto aldi fuori dell'io, o nel senso d'una realtà trascendente onel senso d'un valore posto dal pensiero (ossia del pen-siero oggettivatosi in un'ipostasi); invece il Feuerbach,con la coerenza estremista della sinistra hegeliana, ribat-

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un reale Humanismus: non c'è, che un principio, l'iostesso cosciente, che solo vive nelle mutazioni continuedel divenire, in quanto attività e quindi volere. Entriamonel volontarismo contemporaneo, appoggiante il valoreall'io voglio, invece che all'io penso (e tanto meno all'iosono!). Mentre Hegel non era un relativista, perchè met-teva come assoluto il divenire stesso, il Feuerbach ritor-na a un radicale subiettivismo, relativizzante tutti i valo-ri all'io voglio, all'io particolare e alla fine empirico. Daun mondo d'idee, le quali s'andavan svolgendo l'unasull'altra in un continuo superamento, secondo una con-cezione idealistica che riporta l'hegelismo a una speciedi platonismo dinamizzato (diventato eracliteo), ci si ro-vescia con il Feuerbach nell'individualità particolare edempirica, cioè nella soggettività vera e propria.

Dati i tempi in cui si trovavano a lavorare e dato spe-cialmente l'autoritarismo prussiano di Federico Gugliel-mo IV, intollerantissimo delle idee liberali (diceva: nonmettetemi mai un foglio di carta scritta fra me e Dio!),piuttosto che rodere il problema politico, il che era peri-coloso perchè portava diritto a un liberalismo, questigiovani preferiron discutere sul problema religioso, pro-vando qui la nuova teoria di sinistra. Che cos'è la reli-gione? Tutta la filosofia classica avrebbe condotto apoggiar la religione sopra un valore oggettivo, posto aldi fuori dell'io, o nel senso d'una realtà trascendente onel senso d'un valore posto dal pensiero (ossia del pen-siero oggettivatosi in un'ipostasi); invece il Feuerbach,con la coerenza estremista della sinistra hegeliana, ribat-

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te che se l'essere si scioglie nel divenire del pensiero, in-teso come coscienza soggettiva, anche la religione è unprodotto dell'io; e non vien mai quel momento, in cui lapossiam staccare dal cordone ombelicale che la unisceal nostro pensiero, ossia non c'è nessun momento in cuisia legittimo dire: quel Dio che pongo fuori di me è fuo-ri di me, perchè son sempre io che l'affermo!

Allora il Feuerbach, specialmente nella famosa operadel '41, L'essenza del Cristianesimo, che fece tanto ru-more perchè portava il nuovo metodo d'indagine sgreto-latrice di tutte le credenze sopra un terreno così delicato,dimostrava che la religione cristiana si riduce a un an-tropomorfismo, in cui proiettiamo fuori di noi nient'altroche un nostro bisogno, ricorrendo a un mito foggiatosulla nostra particolarissima esperienza. La Sacra Fami-glia non è più che la famiglia umana, che portiam fuoridi noi attribuendole i caratteri della massima perfezione:la Madre è madre per eccellenza, il rapporto tra Lei e ilFiglio è il rapporto che noi vorremmo tra madre e figlio.Allora la Famiglia Celeste è la proiezione subiettivad'un sentimento, d'un'esigenza e d'un'esperienza del tut-to umane. Quando l'uomo dice d'amar Dio, in fondo nonama che se stesso! Oggi diremmo, che questo è a dirittu-ra una specie di narcisismo. Tutto il deismo filosofistaaveva posto Dio nella natura, ma Feuerbach risponde:per trovare un Dio nella natura, bisogna avercelo messo!Andiamo dunque verso un soggettivismo a dirittura em-piricista, relativizzante tutti i valori non all'io trascen-dentale di tipo kantiano, ma all'io empirico, con i suoi

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te che se l'essere si scioglie nel divenire del pensiero, in-teso come coscienza soggettiva, anche la religione è unprodotto dell'io; e non vien mai quel momento, in cui lapossiam staccare dal cordone ombelicale che la unisceal nostro pensiero, ossia non c'è nessun momento in cuisia legittimo dire: quel Dio che pongo fuori di me è fuo-ri di me, perchè son sempre io che l'affermo!

Allora il Feuerbach, specialmente nella famosa operadel '41, L'essenza del Cristianesimo, che fece tanto ru-more perchè portava il nuovo metodo d'indagine sgreto-latrice di tutte le credenze sopra un terreno così delicato,dimostrava che la religione cristiana si riduce a un an-tropomorfismo, in cui proiettiamo fuori di noi nient'altroche un nostro bisogno, ricorrendo a un mito foggiatosulla nostra particolarissima esperienza. La Sacra Fami-glia non è più che la famiglia umana, che portiam fuoridi noi attribuendole i caratteri della massima perfezione:la Madre è madre per eccellenza, il rapporto tra Lei e ilFiglio è il rapporto che noi vorremmo tra madre e figlio.Allora la Famiglia Celeste è la proiezione subiettivad'un sentimento, d'un'esigenza e d'un'esperienza del tut-to umane. Quando l'uomo dice d'amar Dio, in fondo nonama che se stesso! Oggi diremmo, che questo è a dirittu-ra una specie di narcisismo. Tutto il deismo filosofistaaveva posto Dio nella natura, ma Feuerbach risponde:per trovare un Dio nella natura, bisogna avercelo messo!Andiamo dunque verso un soggettivismo a dirittura em-piricista, relativizzante tutti i valori non all'io trascen-dentale di tipo kantiano, ma all'io empirico, con i suoi

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sentimenti e i suoi bisogni. Questo è appunto il realeHumanismus, cui mette capo il Feuerbach e che divieneil ponte di passaggio al Marx. Lo stesso relativismo ra-dicale fu portato dal Bauer anche nel campo della politi-ca, il che suscitò immediatamente delle persecuzioni, lequali gettaron lo spavento nel piccolo gruppo di amici,proprio come una pietra lanciata dentro uno stagno pie-no di ranocchi. Il Marx ne fu disgustato, perchè, comesappiamo, avrebbe voluto unire l'attivismo rivoluziona-rio della Francia con il pensiero germanico, per dare unafilosofia al rivoluzionarismo francese.

Marx ed Engels risposero al Feuerbach con la SacraFamiglia, che recava come sottotitolo Ovvero la criticadell'ideologia tedesca ed era rivolta specialmente controil Bauer, il quale s'era occupato dell'aspetto politico diquesto relativismo. I due amici voglion correggere ilFeuerbach in senso vie più radicale, rimproverandogli dirimanere ancora in un'astrazione, pur mentre accusavad'astrattezza l'idealismo della destra hegeliana, quandoriduceva l'uomo a semplice individualità empirica. Difatto non c'è mai una coscienza individuale, come nonc'è l'idea di Hegel, perchè il mondo reale è il mondo so-ciale della convivenza umana, dove la coscienza riflettesubiettivamente delle condizioni generali: l'uomo èl'uomo della sociologia, figlio e membro della società.Qui ci s'incontra con un concetto di Comte: le idee sonoil riflesso di valori sociali, ossia non nascono da un purosforzo individuale, ma sono un risultato di condizioni difatto generali (economiche, diranno Marx ed Engels).

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sentimenti e i suoi bisogni. Questo è appunto il realeHumanismus, cui mette capo il Feuerbach e che divieneil ponte di passaggio al Marx. Lo stesso relativismo ra-dicale fu portato dal Bauer anche nel campo della politi-ca, il che suscitò immediatamente delle persecuzioni, lequali gettaron lo spavento nel piccolo gruppo di amici,proprio come una pietra lanciata dentro uno stagno pie-no di ranocchi. Il Marx ne fu disgustato, perchè, comesappiamo, avrebbe voluto unire l'attivismo rivoluziona-rio della Francia con il pensiero germanico, per dare unafilosofia al rivoluzionarismo francese.

Marx ed Engels risposero al Feuerbach con la SacraFamiglia, che recava come sottotitolo Ovvero la criticadell'ideologia tedesca ed era rivolta specialmente controil Bauer, il quale s'era occupato dell'aspetto politico diquesto relativismo. I due amici voglion correggere ilFeuerbach in senso vie più radicale, rimproverandogli dirimanere ancora in un'astrazione, pur mentre accusavad'astrattezza l'idealismo della destra hegeliana, quandoriduceva l'uomo a semplice individualità empirica. Difatto non c'è mai una coscienza individuale, come nonc'è l'idea di Hegel, perchè il mondo reale è il mondo so-ciale della convivenza umana, dove la coscienza riflettesubiettivamente delle condizioni generali: l'uomo èl'uomo della sociologia, figlio e membro della società.Qui ci s'incontra con un concetto di Comte: le idee sonoil riflesso di valori sociali, ossia non nascono da un purosforzo individuale, ma sono un risultato di condizioni difatto generali (economiche, diranno Marx ed Engels).

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Invece la sinistra hegeliana s'orientava sempre più versoun puro individualismo, nel medesimo senso in cui simise poi tanta filosofia contemporanea, specialmentecon lo Stirner, l'autore dell'Unico, dove a dirittura si fi-niva col porre ogni valore nell'unicità stessa dell'io, conil risultato d'annullar tutti i valori, disperdendone ogniconsistenza e ogni slancio a superarsi tesaurizzando ilpassato, e di restituirli tutti a una loro genuinità e primi-tività native, come fiori che sbocciano sulla stessa indi-vidualità. Si approda a un totale anarchismo, mentreMarx ed Engels si fermano a un socialismo che si collo-ca tra il Feuerbach e lo Stirner.

Riepilogando e concludendo su Lodovico Feuerbach,il quale dunque è importantissimo per capire il passag-gio da Hegel a Marx: ormai è chiaro, in che senso eglicrede di rovesciare lo Hegel, il quale a sua volta si pre-sterebbe al rovesciamento perchè ci mostra quelle duefacce, l'una, per cui tutto ciò che è reale è razionale, ri-solvendo il divenire di fatto nella dialettica della ragione(e questo è lo Hegel più ortodosso e genuino, che vaverso destra); l'altra, per cui è anche vero l'opposto, chetutto ciò che è razionale è reale, ossia il pensiero si scio-glie nella realtà di fatto, riportandoci verso un radicaleempirismo, di tipo soggettivistico, perchè restiamo pursempre nell'ambito d'un idealismo: ossia, anche ciò chediciamo realtà di fatto sarà sempre spirito, ma reale ap-punto nel divenire inteso come divenire fenomenico,senza più un'idea di tipo platonico, che ne rappresenti ilvalore unificatorio. Alla fine, come si vede nell'attuali-

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Invece la sinistra hegeliana s'orientava sempre più versoun puro individualismo, nel medesimo senso in cui simise poi tanta filosofia contemporanea, specialmentecon lo Stirner, l'autore dell'Unico, dove a dirittura si fi-niva col porre ogni valore nell'unicità stessa dell'io, conil risultato d'annullar tutti i valori, disperdendone ogniconsistenza e ogni slancio a superarsi tesaurizzando ilpassato, e di restituirli tutti a una loro genuinità e primi-tività native, come fiori che sbocciano sulla stessa indi-vidualità. Si approda a un totale anarchismo, mentreMarx ed Engels si fermano a un socialismo che si collo-ca tra il Feuerbach e lo Stirner.

Riepilogando e concludendo su Lodovico Feuerbach,il quale dunque è importantissimo per capire il passag-gio da Hegel a Marx: ormai è chiaro, in che senso eglicrede di rovesciare lo Hegel, il quale a sua volta si pre-sterebbe al rovesciamento perchè ci mostra quelle duefacce, l'una, per cui tutto ciò che è reale è razionale, ri-solvendo il divenire di fatto nella dialettica della ragione(e questo è lo Hegel più ortodosso e genuino, che vaverso destra); l'altra, per cui è anche vero l'opposto, chetutto ciò che è razionale è reale, ossia il pensiero si scio-glie nella realtà di fatto, riportandoci verso un radicaleempirismo, di tipo soggettivistico, perchè restiamo pursempre nell'ambito d'un idealismo: ossia, anche ciò chediciamo realtà di fatto sarà sempre spirito, ma reale ap-punto nel divenire inteso come divenire fenomenico,senza più un'idea di tipo platonico, che ne rappresenti ilvalore unificatorio. Alla fine, come si vede nell'attuali-

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smo del Gentile, l'idealismo coincide con un empirismostoricistico, dove si chiama pensiero la pura e semplicestoria dei fatti e dove quindi il pensiero è tutto e niente.

Chi guarda a quest'aspetto empiricista di Hegel, capi-sce che il passaggio del Feuerbach non è nemmeno unrovesciamento. Si veda anche la sua ultima opera, Iprincipii di filosofia dell'avvenire (1843). Ci troviam difronte a un filosofo, il quale, coerente con il suo hegeli-smo di sinistra, riporta tutto nel soggetto empirico, se-condo un materialismo che intende l'uomo come indivi-dualità fenomenica (corpo), e perciò come sentimentobisogno volere, anzi che come idea. Dunque si capisceche questa concezione e materialista nel senso che ponenell'io stesso pensante, come individuo particolarissimoe alla fine come corpo, come organismo, tutti i valoriche lo Hegel e i suoi scolari di destra ponevano invecenell'idea. Se vogliam caratterizzare questo materialismo,potremmo chiamarlo nominalista. Il nominalismo è sta-to sempre quella corrente empiricista, la quale ha datovalore al concreto e ha chiamato nomi le idee, togliendoloro ogni altra realtà, tranne quella d'esser parole. Que-sta critica dell'idealismo, fondata sulla critica del lin-guaggio, s'è chiamata sempre nominalismo, dal MedioEvo in poi. Già i nominalisti medievali, che ritornaronoal soggetto inteso come sentimento e praticità, chiama-van nomina le famose idee di tipo platonico. Anche ilFeuerbach dice lo stesso, che la realtà è l'uomo nella suacorporeità, come ci è dato nella nostra esperienza. Allo-ra le sue idee, intese come concetti e quindi come valori,

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smo del Gentile, l'idealismo coincide con un empirismostoricistico, dove si chiama pensiero la pura e semplicestoria dei fatti e dove quindi il pensiero è tutto e niente.

Chi guarda a quest'aspetto empiricista di Hegel, capi-sce che il passaggio del Feuerbach non è nemmeno unrovesciamento. Si veda anche la sua ultima opera, Iprincipii di filosofia dell'avvenire (1843). Ci troviam difronte a un filosofo, il quale, coerente con il suo hegeli-smo di sinistra, riporta tutto nel soggetto empirico, se-condo un materialismo che intende l'uomo come indivi-dualità fenomenica (corpo), e perciò come sentimentobisogno volere, anzi che come idea. Dunque si capisceche questa concezione e materialista nel senso che ponenell'io stesso pensante, come individuo particolarissimoe alla fine come corpo, come organismo, tutti i valoriche lo Hegel e i suoi scolari di destra ponevano invecenell'idea. Se vogliam caratterizzare questo materialismo,potremmo chiamarlo nominalista. Il nominalismo è sta-to sempre quella corrente empiricista, la quale ha datovalore al concreto e ha chiamato nomi le idee, togliendoloro ogni altra realtà, tranne quella d'esser parole. Que-sta critica dell'idealismo, fondata sulla critica del lin-guaggio, s'è chiamata sempre nominalismo, dal MedioEvo in poi. Già i nominalisti medievali, che ritornaronoal soggetto inteso come sentimento e praticità, chiama-van nomina le famose idee di tipo platonico. Anche ilFeuerbach dice lo stesso, che la realtà è l'uomo nella suacorporeità, come ci è dato nella nostra esperienza. Allo-ra le sue idee, intese come concetti e quindi come valori,

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non sono reali. Ecco la sinistra che si oppone alla de-stra! Esse non sono che le nostre stesse finalità, quandoprestiamo loro una realtà oggettiva, con il risultato discambiar poi la realtà con il fine, l'essere con il doveressere, quello che è con quel che desideriamo che sia.Allora per il Feuerbach l'idea diventa l'illusione dellanatura, come ha cercato di provare specialmente rispettoal problema di Dio, nell'Essenza del Cristianesimo.L'idea rappresenta il perfetto di quei che è imperfettonell'esperienza, il tipo di ciò che dovrebb'essere. Quindirimane un'illusione, perchè nel fatto non si trova questaperfezione, ma soltanto l'imperfetto, come sarebbe la fa-miglia terrena rispetto a quella celeste.

Ne discende, specialmente nell'ultima opera, una con-seguenza di tipo etico, che ci riporta al kantismo: sicco-me l'uomo per un processo d'autoalienazione proiettafuor di sé il suo sentimento e perfeziona la sua finalità,formando un idolo che la simboleggi, quest'idolo hadunque un valore morale, perchè rappresenta quello chenoi vorremmo essere, cioè il dover essere, il perfetto(per es., Dio), il quale, alla fine, serve di meta alla no-stra attività: l'uomo diventa virtuoso, in quanto si propo-ne di attuare quelle idee che sono soltanto dei fini. Nevien quella filosofia, la quale in tempi più recenti s'èchiamata la filosofia del come se e in fondo muove dalKant, per concludere che non importa l'esistenza reale diDio e di tutti gli altri valori, ma basta che siano pensabi-li e divengano i fini della volontà: è virtuoso chi agiscecome se ci fosse Dio, ecc. Ora, a dire il vero, Marx non

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non sono reali. Ecco la sinistra che si oppone alla de-stra! Esse non sono che le nostre stesse finalità, quandoprestiamo loro una realtà oggettiva, con il risultato discambiar poi la realtà con il fine, l'essere con il doveressere, quello che è con quel che desideriamo che sia.Allora per il Feuerbach l'idea diventa l'illusione dellanatura, come ha cercato di provare specialmente rispettoal problema di Dio, nell'Essenza del Cristianesimo.L'idea rappresenta il perfetto di quei che è imperfettonell'esperienza, il tipo di ciò che dovrebb'essere. Quindirimane un'illusione, perchè nel fatto non si trova questaperfezione, ma soltanto l'imperfetto, come sarebbe la fa-miglia terrena rispetto a quella celeste.

Ne discende, specialmente nell'ultima opera, una con-seguenza di tipo etico, che ci riporta al kantismo: sicco-me l'uomo per un processo d'autoalienazione proiettafuor di sé il suo sentimento e perfeziona la sua finalità,formando un idolo che la simboleggi, quest'idolo hadunque un valore morale, perchè rappresenta quello chenoi vorremmo essere, cioè il dover essere, il perfetto(per es., Dio), il quale, alla fine, serve di meta alla no-stra attività: l'uomo diventa virtuoso, in quanto si propo-ne di attuare quelle idee che sono soltanto dei fini. Nevien quella filosofia, la quale in tempi più recenti s'èchiamata la filosofia del come se e in fondo muove dalKant, per concludere che non importa l'esistenza reale diDio e di tutti gli altri valori, ma basta che siano pensabi-li e divengano i fini della volontà: è virtuoso chi agiscecome se ci fosse Dio, ecc. Ora, a dire il vero, Marx non

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ha capito il Feuerbach; però tanto lui quanto Engels fu-ron fortemente commossi dalla sua filosofia, appuntoperchè rovesciava, in certo modo, lo Hegel di destra o,se preferite, spingeva lo Hegel di sinistra alle sue estre-me conseguenze. Difatti, in un'opera scritta dopo lamorte di Marx e intitolata Lodovico Feuerbach e il pun-to di approdo della filosofia classica tedesca (1886),Engels considera il Feuerbach come il punto estremodella filosofia germanica partita dal Kant.

Prima d' esaminar le Glosse al Feuerbach, dobbiamtirare una conclusione generale su l'hegelismo di Marx.La dialettica hegeliana, questo venire l'essere dal nonessere, questo nascer di qualcosa dal nulla, rimane lachiave per capire quella famosa lotta di classe, nonchéle leggi politiche di tendenza, le quali non si potevanspiegare con il puro economismo di tipo inglese. InMarx troviamo, che ciò che spinge l'umanità a diveniree quindi muove la storia, è un ciclo hegeliano fra storiae uomo, fra dati di fatto e nuova coscienza che si fa, inuno sviluppo per antitesi che è appunto il divenire peropposizione. Esistono delle forme sociali e v'è una co-scienza che le riflette, la quale non viene prima di que-ste forme, (come diceva anche Hegel), ma è l'ultima adapparire, appunto perchè è la subiettività stessa di ciòche esiste. Gli uomini seguono l'ambiente, di cui sonparticelle non separate le une dalle altre, ma strettamen-te connesse fra loro come le cellule in un tessuto, equindi compartecipi degli stessi bisogni. Per ciò si capi-sce, per es., che data la classe, si formi una coscienza di

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ha capito il Feuerbach; però tanto lui quanto Engels fu-ron fortemente commossi dalla sua filosofia, appuntoperchè rovesciava, in certo modo, lo Hegel di destra o,se preferite, spingeva lo Hegel di sinistra alle sue estre-me conseguenze. Difatti, in un'opera scritta dopo lamorte di Marx e intitolata Lodovico Feuerbach e il pun-to di approdo della filosofia classica tedesca (1886),Engels considera il Feuerbach come il punto estremodella filosofia germanica partita dal Kant.

Prima d' esaminar le Glosse al Feuerbach, dobbiamtirare una conclusione generale su l'hegelismo di Marx.La dialettica hegeliana, questo venire l'essere dal nonessere, questo nascer di qualcosa dal nulla, rimane lachiave per capire quella famosa lotta di classe, nonchéle leggi politiche di tendenza, le quali non si potevanspiegare con il puro economismo di tipo inglese. InMarx troviamo, che ciò che spinge l'umanità a diveniree quindi muove la storia, è un ciclo hegeliano fra storiae uomo, fra dati di fatto e nuova coscienza che si fa, inuno sviluppo per antitesi che è appunto il divenire peropposizione. Esistono delle forme sociali e v'è una co-scienza che le riflette, la quale non viene prima di que-ste forme, (come diceva anche Hegel), ma è l'ultima adapparire, appunto perchè è la subiettività stessa di ciòche esiste. Gli uomini seguono l'ambiente, di cui sonparticelle non separate le une dalle altre, ma strettamen-te connesse fra loro come le cellule in un tessuto, equindi compartecipi degli stessi bisogni. Per ciò si capi-sce, per es., che data la classe, si formi una coscienza di

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classe, la quale non è altro che la classe stessa nel suoessere. Ma c'è poi qualche cosa di più, c'è il rovesciarsidella prassi, ossia una spinta volontaria, la quale attiviz-za questa stessa coscienza e ne fa una forza capace dimodificare le forme esistenti, attuandosi in una lotta dia-lettica che è l'opposto dell'idilliaco concetto classico, se-condo cui il mondo progredirebbe grazie alla tradizioneche ogni giorno sedimenta su se stessa.

Chi ha messo in evidenza da noi quest'aspetto delmarxismo è stato Tullio Colucci, in articoli che apparve-ro, nel '12, sulla Critica Sociale, diretta da Filippo Tura-ti. Il Colucci, in una forma letteraria e drammatica, mo-strava proprio un Marx in cui c'è una lotta continua frala coscienza che si fa e la coscienza che c'è, fra la volon-tà che si accende come forza e le forme esistenti di pro-duzione. L'interessante di queste critiche è appuntod'aver posto il dito sulla dialettica hegeliana, implicitanelle leggi marxiste; al che io farei soltanto un'obiezio-ne. D'accordo, che dentro al Marx, magari a sua insapu-ta o magari contro la sua volontà, permanga un hegeli-smo, evidente in questo modo d'intender la storia comemovimento dialettico; ma come si concilia questo fattocon la sua deliberata volontà di abbandonare completa-mente Hegel e il fanatismo delle vuote idee, inutili per-chè puro pensiero, per darsi invece alla scienza? Dun-que ci sarebbe in lui la deliberata quanto vana volontà dilasciare lo Hegel, il quale viceversa lo incanterebbecome Medusa! Com'è possibile questa contradizione inun autore penetrante conce il Marx? E come cerca lui

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classe, la quale non è altro che la classe stessa nel suoessere. Ma c'è poi qualche cosa di più, c'è il rovesciarsidella prassi, ossia una spinta volontaria, la quale attiviz-za questa stessa coscienza e ne fa una forza capace dimodificare le forme esistenti, attuandosi in una lotta dia-lettica che è l'opposto dell'idilliaco concetto classico, se-condo cui il mondo progredirebbe grazie alla tradizioneche ogni giorno sedimenta su se stessa.

Chi ha messo in evidenza da noi quest'aspetto delmarxismo è stato Tullio Colucci, in articoli che apparve-ro, nel '12, sulla Critica Sociale, diretta da Filippo Tura-ti. Il Colucci, in una forma letteraria e drammatica, mo-strava proprio un Marx in cui c'è una lotta continua frala coscienza che si fa e la coscienza che c'è, fra la volon-tà che si accende come forza e le forme esistenti di pro-duzione. L'interessante di queste critiche è appuntod'aver posto il dito sulla dialettica hegeliana, implicitanelle leggi marxiste; al che io farei soltanto un'obiezio-ne. D'accordo, che dentro al Marx, magari a sua insapu-ta o magari contro la sua volontà, permanga un hegeli-smo, evidente in questo modo d'intender la storia comemovimento dialettico; ma come si concilia questo fattocon la sua deliberata volontà di abbandonare completa-mente Hegel e il fanatismo delle vuote idee, inutili per-chè puro pensiero, per darsi invece alla scienza? Dun-que ci sarebbe in lui la deliberata quanto vana volontà dilasciare lo Hegel, il quale viceversa lo incanterebbecome Medusa! Com'è possibile questa contradizione inun autore penetrante conce il Marx? E come cerca lui

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d'unificare questi, che diventano due sensi opposti dellasua teoria? Evidentemente, non gli è sfuggita l'opposi-zione, perchè erano in due a studiare questi problemi e ascambiarsi le loro obiezioni.

Direi, che non tanto in Hegel viveva il Marx, quantopiuttosto in quel volontarismo che c'è in Kant e in tuttoil romanticismo e costringe Marx a spiegar la storiamercè l'intervento d'un fattore volontario ed attivo, ilquale a un certo punto rivoluziona lo stato di fatto. Lacoscienza stessa di questa prassi che si rovescia si spie-ga non tanto perchè Marx contenesse lo Hegel o lo colti-vasse dentro di sè, mentre proprio l'aveva voluto espel-lere, ma perchè di Hegel gli è rimasto quel che c'era an-che prima, cioè il romanticismo del '48, il quale è pro-prio di tutto il tempo e abbraccia Marx come Mazzini ecome Lassalle, e reca con sé questa forza idealistica evolontaristica, che nemmeno il positivismo francese nonispegneva, pur fermandosi alla sociologia come scienza,essendo il metodo dello studio scientifico delle cose edei fatti. Però un mondo di puri valori inconoscibili ri-mane anche in Comte e in tutta la filosofia francese, laquale ci presenta. questo curioso spettacolo: nel tempostesso che è positivista e tutta rivolta all'esperienza ealle idee chiare e distinte, viceversa coltiva sempreun'aspirazione spiritualistica. In tutti gli autori dell' '800francese, dal Comte al Bergson, troviam questa comuneesigenza spiritualistica risorgente sopra un comune posi-tivismo. Non ci meravigliamo allora di trovare anche inMarx questo doppio valore, questo doppio senso del

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d'unificare questi, che diventano due sensi opposti dellasua teoria? Evidentemente, non gli è sfuggita l'opposi-zione, perchè erano in due a studiare questi problemi e ascambiarsi le loro obiezioni.

Direi, che non tanto in Hegel viveva il Marx, quantopiuttosto in quel volontarismo che c'è in Kant e in tuttoil romanticismo e costringe Marx a spiegar la storiamercè l'intervento d'un fattore volontario ed attivo, ilquale a un certo punto rivoluziona lo stato di fatto. Lacoscienza stessa di questa prassi che si rovescia si spie-ga non tanto perchè Marx contenesse lo Hegel o lo colti-vasse dentro di sè, mentre proprio l'aveva voluto espel-lere, ma perchè di Hegel gli è rimasto quel che c'era an-che prima, cioè il romanticismo del '48, il quale è pro-prio di tutto il tempo e abbraccia Marx come Mazzini ecome Lassalle, e reca con sé questa forza idealistica evolontaristica, che nemmeno il positivismo francese nonispegneva, pur fermandosi alla sociologia come scienza,essendo il metodo dello studio scientifico delle cose edei fatti. Però un mondo di puri valori inconoscibili ri-mane anche in Comte e in tutta la filosofia francese, laquale ci presenta. questo curioso spettacolo: nel tempostesso che è positivista e tutta rivolta all'esperienza ealle idee chiare e distinte, viceversa coltiva sempreun'aspirazione spiritualistica. In tutti gli autori dell' '800francese, dal Comte al Bergson, troviam questa comuneesigenza spiritualistica risorgente sopra un comune posi-tivismo. Non ci meravigliamo allora di trovare anche inMarx questo doppio valore, questo doppio senso del

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mondo, quello positivistico e quello idealistico (subietti-vo volontaristico romantico), chiamati ambedue a spie-garci la storia.

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mondo, quello positivistico e quello idealistico (subietti-vo volontaristico romantico), chiamati ambedue a spie-garci la storia.

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IXLE GLOSSE AL FEUERBACH.

Nell'introduzione al libro citato sopra (LudovicoFeuerbach e il punto d'approdo della filosofia classicatedesca), Engels narra che nel '45, quando lui e Marx sistaccarono dall'hegelismo, scrissero due volumi sopra lafilosofia hegeliana, sotto l'impressione fortissima cheaveva fatto su di loro il Feuerbach (specialmentel'Essenza del Cristianesimo). Questi volumi, che non fu-ron mai pubblicati e anzi, confessa Engels, vennero ab-bandonati alla critica roditrice dei topi, contenevano leosservazioni di Marx a Hegel e al Feuerbach e special-mente quelle famose undici Tesi o Glosse al Feuerbach,che lo Engels pubblicò in appendice a questo medesimolibro. Le Tesi del 1844 son l'unico scritto di Marxd'argomento strettamente filosofico, senza la collabora-zione di Engels e senza preoccupazioni per le quistionid'ordine sociologico, politico ed economico, verso lequali s'orienta di solito l'attenzione di Marx. Quindisono importantissime per noi, perchè ci consentono didedurne i fondamenti di quella filosofia marxista, che

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IXLE GLOSSE AL FEUERBACH.

Nell'introduzione al libro citato sopra (LudovicoFeuerbach e il punto d'approdo della filosofia classicatedesca), Engels narra che nel '45, quando lui e Marx sistaccarono dall'hegelismo, scrissero due volumi sopra lafilosofia hegeliana, sotto l'impressione fortissima cheaveva fatto su di loro il Feuerbach (specialmentel'Essenza del Cristianesimo). Questi volumi, che non fu-ron mai pubblicati e anzi, confessa Engels, vennero ab-bandonati alla critica roditrice dei topi, contenevano leosservazioni di Marx a Hegel e al Feuerbach e special-mente quelle famose undici Tesi o Glosse al Feuerbach,che lo Engels pubblicò in appendice a questo medesimolibro. Le Tesi del 1844 son l'unico scritto di Marxd'argomento strettamente filosofico, senza la collabora-zione di Engels e senza preoccupazioni per le quistionid'ordine sociologico, politico ed economico, verso lequali s'orienta di solito l'attenzione di Marx. Quindisono importantissime per noi, perchè ci consentono didedurne i fondamenti di quella filosofia marxista, che

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sta dietro la dottrina del materialismo storico, e di vederse questo è una trasformazione del materialismo che ab-biam chiamato nominalistico del Feuerbach. Qui Marxdefinisce una sua posizione filosofica, la quale ha comeprecedente un hegelismo di sinistra passato a traverso ilFeuerbach, ch'egli ora critica, per non averlo compreso abastanza.

La prima Tesi dice: «Il difetto capitale di tutto il ma-terialismo passato – compreso quello del Feuerbach – èche il termine del pensiero, la realtà, il sensibile (in fon-do, la realtà è ciò che esiste sensibilmente), è stato con-cepito sotto la forma di oggetto o di intuizione; e nongià come attività sensitiva umana, come praxis, non su-biettivamente». Ossia: il Feuerbach e tutti i materialistidel passato son partiti da questo: che l'obietto del nostropensiero, l'esistenza di cui ci occupiamo pensando, è unoggetto intuito come reale indipendentemente da noi.(Con la parola intuizione intendiamo il dato stesso im-mediato della conoscenza, mentre lo chiameremo poipercezione, concetto ecc., quando verrà elaborato dallastessa attività conoscitiva). Cioè, il materialismo è sem-pre partito da questa premessa realistica, che ci sia unarealtà oggettiva già data immediatamente a noi, e che lanostra conoscenza sia la passività del sentimento, il qua-le riceve, come una tavola liscia, le impressioni che glioggetti vi scrivon sopra, imprimendovi la loro realtà.Marx vuole opporre, che già l'impressione (questo bian-co della pagina) è l'effetto d'un'attività umana, perchè ilsoggetto che conosce non è passività, rispetto a qualcosa

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sta dietro la dottrina del materialismo storico, e di vederse questo è una trasformazione del materialismo che ab-biam chiamato nominalistico del Feuerbach. Qui Marxdefinisce una sua posizione filosofica, la quale ha comeprecedente un hegelismo di sinistra passato a traverso ilFeuerbach, ch'egli ora critica, per non averlo compreso abastanza.

La prima Tesi dice: «Il difetto capitale di tutto il ma-terialismo passato – compreso quello del Feuerbach – èche il termine del pensiero, la realtà, il sensibile (in fon-do, la realtà è ciò che esiste sensibilmente), è stato con-cepito sotto la forma di oggetto o di intuizione; e nongià come attività sensitiva umana, come praxis, non su-biettivamente». Ossia: il Feuerbach e tutti i materialistidel passato son partiti da questo: che l'obietto del nostropensiero, l'esistenza di cui ci occupiamo pensando, è unoggetto intuito come reale indipendentemente da noi.(Con la parola intuizione intendiamo il dato stesso im-mediato della conoscenza, mentre lo chiameremo poipercezione, concetto ecc., quando verrà elaborato dallastessa attività conoscitiva). Cioè, il materialismo è sem-pre partito da questa premessa realistica, che ci sia unarealtà oggettiva già data immediatamente a noi, e che lanostra conoscenza sia la passività del sentimento, il qua-le riceve, come una tavola liscia, le impressioni che glioggetti vi scrivon sopra, imprimendovi la loro realtà.Marx vuole opporre, che già l'impressione (questo bian-co della pagina) è l'effetto d'un'attività umana, perchè ilsoggetto che conosce non è passività, rispetto a qualcosa

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che esiste fuor di noi, ma è praticità (attività), che giànella stessa sensazione va incontro agli oggetti, sce-gliendo fra le impressioni le più convenienti ai suoi bi-sogni subiettivi. È un concetto che poi diverrà comunis-simo nella filosofia posteriore, ma riesce nuovo al tem-po di Marx, e quindi depone a favore del suo ingegno fi-losofico, anche s'egli poi non proseguì in questi studi.La punta estrema si trova in Bergson, per il quale il no-stro è un mondo di immagini, dove l'uomo, che in fondoè praticità, sceglie continuamente quegli aspetti, quelleforme, che gli servono perchè corrispondono ai suoi bi-sogni. Dunque, il mondo della conoscenza sensibile ègià un mondo nostro e non in sé: ecco il nuovo punto divista d'un praticismo, il quale intende anche l'attivitàsensitiva umana come praxis, ossia come un fare, unprodurre. Quindi l'oggetto è oggetto, perchè noi lo po-niamo: in questo Marx ritorna verso Hegel, per il qualel'oggettività non è che una posizione del soggetto,quand'esso si estrania da sé in un oggetto esterno.D'altra parte il soggetto, per il Marx, è essenzialmentepratico: qui avvertiamo più tosto un ritorno verso Kant eun allontanamento dallo Hegel di destra, che invecepone come valori assoluti i valori di realtà.

«Quindi è avvenuto (prosegue la 1a Glossa), che illato dell'attività fu sviluppato dall'idealismo in opposi-zione al materialismo, ma solo in astratto, perchè natu-ralmente l'idealismo non sa nulla dell'attività reale sensi-tiva, come tale». Hegel ha svolto il concetto, che il pen-siero sia attività, in opposizione al materialismo, il quale

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che esiste fuor di noi, ma è praticità (attività), che giànella stessa sensazione va incontro agli oggetti, sce-gliendo fra le impressioni le più convenienti ai suoi bi-sogni subiettivi. È un concetto che poi diverrà comunis-simo nella filosofia posteriore, ma riesce nuovo al tem-po di Marx, e quindi depone a favore del suo ingegno fi-losofico, anche s'egli poi non proseguì in questi studi.La punta estrema si trova in Bergson, per il quale il no-stro è un mondo di immagini, dove l'uomo, che in fondoè praticità, sceglie continuamente quegli aspetti, quelleforme, che gli servono perchè corrispondono ai suoi bi-sogni. Dunque, il mondo della conoscenza sensibile ègià un mondo nostro e non in sé: ecco il nuovo punto divista d'un praticismo, il quale intende anche l'attivitàsensitiva umana come praxis, ossia come un fare, unprodurre. Quindi l'oggetto è oggetto, perchè noi lo po-niamo: in questo Marx ritorna verso Hegel, per il qualel'oggettività non è che una posizione del soggetto,quand'esso si estrania da sé in un oggetto esterno.D'altra parte il soggetto, per il Marx, è essenzialmentepratico: qui avvertiamo più tosto un ritorno verso Kant eun allontanamento dallo Hegel di destra, che invecepone come valori assoluti i valori di realtà.

«Quindi è avvenuto (prosegue la 1a Glossa), che illato dell'attività fu sviluppato dall'idealismo in opposi-zione al materialismo, ma solo in astratto, perchè natu-ralmente l'idealismo non sa nulla dell'attività reale sensi-tiva, come tale». Hegel ha svolto il concetto, che il pen-siero sia attività, in opposizione al materialismo, il quale

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commetteva l'errore di credere che ci sia un mondo dioggetti dati, di cui il soggetto sarebbe lo specchio passi-vo; ma cade poi a sua volta nell'errore opposto, inten-dendo questa attività solo come attività del pensieropuro, che pone l'oggetto nel senso che lo crea (lo tirafuori da sé), il che è un'astrazione. Ci troviam di fronte adue punti astratti d'una verità, i quali andrebbero riunitiinsieme. «Il Feuerbach vuole distinti realmente gli og-getti sensibili dagl'intelligibili; ma egli non concepiscel'attività stessa umana come attività che ponga l'ogget-to». Ossia: il Feuerbach a sua volta vuol distinguere unmondo reale da un mondo delle idee, il quale sarebbe unriflesso del primo e dove noi proietteremmo, perfezio-nandole, quelle stesse esperienze che conosciamo nelmondo reale; ma neppur lui concepisce l'attività stessaumana come attività che ponga l'oggetto, l'uomo comeprassi. Invece, per il Marx, il conoscere è già un'attivitàche pone l'oggetto, potrei dire, che dà un valoreall'oggetto: perchè tutte le nostre impressioni (il puroesistere) non sarebbero niente, se tutti i valori non ve limettessimo noi, a cominciar da quello di realtà (teoreti-co), formulando un giudizio di valore reale (c'è questobianco), fino a quelli riguardanti le nostre finalità prati-che (l'utile, il bene ecc.). In questo, Marx si riaccosta alKant, il quale intendeva la conoscenza come un risultatodel pensiero attivo (e in fondo sempre pratico) ches'accorda con i contenuti (il dato, il quale per sé non sa-rebbe né vero né falso: un puro esistere) in una sintesiche attua il valore reale. Teniàmo ben presente questo ri-

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commetteva l'errore di credere che ci sia un mondo dioggetti dati, di cui il soggetto sarebbe lo specchio passi-vo; ma cade poi a sua volta nell'errore opposto, inten-dendo questa attività solo come attività del pensieropuro, che pone l'oggetto nel senso che lo crea (lo tirafuori da sé), il che è un'astrazione. Ci troviam di fronte adue punti astratti d'una verità, i quali andrebbero riunitiinsieme. «Il Feuerbach vuole distinti realmente gli og-getti sensibili dagl'intelligibili; ma egli non concepiscel'attività stessa umana come attività che ponga l'ogget-to». Ossia: il Feuerbach a sua volta vuol distinguere unmondo reale da un mondo delle idee, il quale sarebbe unriflesso del primo e dove noi proietteremmo, perfezio-nandole, quelle stesse esperienze che conosciamo nelmondo reale; ma neppur lui concepisce l'attività stessaumana come attività che ponga l'oggetto, l'uomo comeprassi. Invece, per il Marx, il conoscere è già un'attivitàche pone l'oggetto, potrei dire, che dà un valoreall'oggetto: perchè tutte le nostre impressioni (il puroesistere) non sarebbero niente, se tutti i valori non ve limettessimo noi, a cominciar da quello di realtà (teoreti-co), formulando un giudizio di valore reale (c'è questobianco), fino a quelli riguardanti le nostre finalità prati-che (l'utile, il bene ecc.). In questo, Marx si riaccosta alKant, il quale intendeva la conoscenza come un risultatodel pensiero attivo (e in fondo sempre pratico) ches'accorda con i contenuti (il dato, il quale per sé non sa-rebbe né vero né falso: un puro esistere) in una sintesiche attua il valore reale. Teniàmo ben presente questo ri-

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torno al Kant.«Perciò (termina la Glossa) nell'Essenza del Cristia-

nesimo il solo contenuto teoretico egli (il Feuerbach)considera come schiettamente umano; laddove la praxisvien concepita e fissata soltanto nelle sordide forme giu-daiche. Perciò egli non intende il significato che i rivo-luzionari dànno all'attività pratico-critica». (Un recenteautore inglese trovava in Marx, il quale nella vita è sem-pre così stizzoso e polemico, l'espressione d'una razzache per aver troppo sofferto nel mondo ed essersi sentitasempre umiliata, si rifà accusando; ora qui il Marx sa-rebbe l'accusatore di se stesso!). Il Feuerbach dunque,dopo aver distinto la conoscenza sensitiva e la cono-scenza ideale, fa poi anche un'altra distinzione errata, fral'attività teoretica e la praxis (fraintesa nel senso più ba-nale della parola), giudicando nobile la prima e ignobilela seconda, appunto perchè concepita come ricercadell'utile particolare. Ecco dunque un altro errore, che ilMarx gli rimprovera: d'esser rimasto su questa posizio-ne, non ancora abbastanza materialistica, di pensare chel'uomo sia uomo in quanto pensiero (conoscenza); men-tre in quanto agisce, sarebbe come gli animali, un esserepuramente utilitario (pratico). Al contrario, i rivoluzio-nari non dànno all'attività pratica un valore soltanto uti-litario, nel senso che il Feuerbach chiama ironicamenteebraico, ma un valore pratico-critico (conoscitivo). Pra-tica, per il Marx, è quella fondamentale attività umana,che fa proprio in quanto conosce, cioè si serve della ra-gione per agire. (È un ritorno a dirittura a una tesi del

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torno al Kant.«Perciò (termina la Glossa) nell'Essenza del Cristia-

nesimo il solo contenuto teoretico egli (il Feuerbach)considera come schiettamente umano; laddove la praxisvien concepita e fissata soltanto nelle sordide forme giu-daiche. Perciò egli non intende il significato che i rivo-luzionari dànno all'attività pratico-critica». (Un recenteautore inglese trovava in Marx, il quale nella vita è sem-pre così stizzoso e polemico, l'espressione d'una razzache per aver troppo sofferto nel mondo ed essersi sentitasempre umiliata, si rifà accusando; ora qui il Marx sa-rebbe l'accusatore di se stesso!). Il Feuerbach dunque,dopo aver distinto la conoscenza sensitiva e la cono-scenza ideale, fa poi anche un'altra distinzione errata, fral'attività teoretica e la praxis (fraintesa nel senso più ba-nale della parola), giudicando nobile la prima e ignobilela seconda, appunto perchè concepita come ricercadell'utile particolare. Ecco dunque un altro errore, che ilMarx gli rimprovera: d'esser rimasto su questa posizio-ne, non ancora abbastanza materialistica, di pensare chel'uomo sia uomo in quanto pensiero (conoscenza); men-tre in quanto agisce, sarebbe come gli animali, un esserepuramente utilitario (pratico). Al contrario, i rivoluzio-nari non dànno all'attività pratica un valore soltanto uti-litario, nel senso che il Feuerbach chiama ironicamenteebraico, ma un valore pratico-critico (conoscitivo). Pra-tica, per il Marx, è quella fondamentale attività umana,che fa proprio in quanto conosce, cioè si serve della ra-gione per agire. (È un ritorno a dirittura a una tesi del

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Rinascimento italiano, la quale poneva nell'intelletto lacapacità pratica di agire, per cui conoscere significafare). Ecco dunque il legame fra azione e pensiero, frapratica e teoretica: c'è una prassi che riguarda la teoria.Arriveremo al famoso materialismo critico inteso comeazione pratico-politica (rivoluzionaria), illuminata dallaconoscenza, ossia al concetto che ci possa essere unaconoscenza, la quale non ci fa solo conoscere, ben sì an-che agire.

Dunque, riepilogando, Marx introduce questi concet-ti: l'uomo è un essere attivo, che si definisce secondouna praxis. Questa praticità è il fondamento dell'uomo(e della stessa teoreticità, che dunque non è da intenderecome passività di fronte al mondo), ma non va concepitasoltanto come attività del pensiero puro (Hegel), bensìcome una prassi presente già nella stessa sensazione,cioè nella più immediata delle conoscenze, perchè la co-noscenza è già un'attività che pone un suo oggetto comeun fine (reale) della vita. Dunque, prassi (attività) criti-ca (giudicatrice), ossia: il nostro agire implica ancheun'attività critica (teoretica) e alla fine filosofica. Questoè il primo concetto in cui Marx si opporrebbe al Feuer-bach. Infatti la 2.a Tesi aggiunge: «La questione, comeal pensiero umano pervenga la verità oggettiva, non èuna questione teoretica, ma pratica. Nella praxis puòl'uomo provare la verità, cioè la realtà e potenza, la og-gettività del proprio pensiero. La discussione sulla realtào irrealtà di un pensiero, che si isoli dalla praxis, è unaquestione puramente accademica», cioè priva di valore

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Rinascimento italiano, la quale poneva nell'intelletto lacapacità pratica di agire, per cui conoscere significafare). Ecco dunque il legame fra azione e pensiero, frapratica e teoretica: c'è una prassi che riguarda la teoria.Arriveremo al famoso materialismo critico inteso comeazione pratico-politica (rivoluzionaria), illuminata dallaconoscenza, ossia al concetto che ci possa essere unaconoscenza, la quale non ci fa solo conoscere, ben sì an-che agire.

Dunque, riepilogando, Marx introduce questi concet-ti: l'uomo è un essere attivo, che si definisce secondouna praxis. Questa praticità è il fondamento dell'uomo(e della stessa teoreticità, che dunque non è da intenderecome passività di fronte al mondo), ma non va concepitasoltanto come attività del pensiero puro (Hegel), bensìcome una prassi presente già nella stessa sensazione,cioè nella più immediata delle conoscenze, perchè la co-noscenza è già un'attività che pone un suo oggetto comeun fine (reale) della vita. Dunque, prassi (attività) criti-ca (giudicatrice), ossia: il nostro agire implica ancheun'attività critica (teoretica) e alla fine filosofica. Questoè il primo concetto in cui Marx si opporrebbe al Feuer-bach. Infatti la 2.a Tesi aggiunge: «La questione, comeal pensiero umano pervenga la verità oggettiva, non èuna questione teoretica, ma pratica. Nella praxis puòl'uomo provare la verità, cioè la realtà e potenza, la og-gettività del proprio pensiero. La discussione sulla realtào irrealtà di un pensiero, che si isoli dalla praxis, è unaquestione puramente accademica», cioè priva di valore

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filosofico, un'astrazione. Tutte le discussioni di questogenere, che si posson fare in campo teoretico, sonoastratte, perchè, realmente, l'uomo non è soltanto teore-tico; pur quando pone una realtà, è lui che la pone. Os-sia, la seconda Tesi ribadisce la prima: quando studiamocome ci perviene la realtà oggettiva, di solito ne faccia-mo una questione teoretica, mentre bisogna farne unaquistione pratica. L'uomo ha bisogno di conoscere peragire: è nella praxis dell'uomo che si trova la sua realtà.Anche qui si ritorna verso quella tesi apparsa in Italiafin dalla fine del Rinascimento, quando G. B. Vico dice-va: per conoscere bisogna fare, perchè il vero e il fatto siequivalgono e si relativizzano l'uno all'altro. È un con-cetto arditissimo per i tempi di Marx, perchè era statodimenticato da tutto il razionalismo. Per questo, dunque,la discussione sulla realtà o irrealtà di un pensiero, chesi isola dalla praxis, è una questione puramente accade-mica e in fondo oziosa per un rivoluzionario, come vuolessere il Marx.

«La dottrina materialistica, che gli uomini sono ilprodotto dell'ambiente e dell'educazione (come dicevaanche Hegel), e variano col variare dell'ambiente edell'educazione, dimentica che l'ambiente viene mutatoappunto dagli uomini, e che l'educatore stesso deve es-ser educato» (3.a Glossa). Qui Marx, lungi dal conveni-re nell'opinione materialistica, che l'uomo sia il figliodell'ambiente, cioè l'effetto di cause che lo precedono –come invece sembra credere la maggior parte di coloroche oggi parlan di lui –, a dirittura la confuta, perchè

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filosofico, un'astrazione. Tutte le discussioni di questogenere, che si posson fare in campo teoretico, sonoastratte, perchè, realmente, l'uomo non è soltanto teore-tico; pur quando pone una realtà, è lui che la pone. Os-sia, la seconda Tesi ribadisce la prima: quando studiamocome ci perviene la realtà oggettiva, di solito ne faccia-mo una questione teoretica, mentre bisogna farne unaquistione pratica. L'uomo ha bisogno di conoscere peragire: è nella praxis dell'uomo che si trova la sua realtà.Anche qui si ritorna verso quella tesi apparsa in Italiafin dalla fine del Rinascimento, quando G. B. Vico dice-va: per conoscere bisogna fare, perchè il vero e il fatto siequivalgono e si relativizzano l'uno all'altro. È un con-cetto arditissimo per i tempi di Marx, perchè era statodimenticato da tutto il razionalismo. Per questo, dunque,la discussione sulla realtà o irrealtà di un pensiero, chesi isola dalla praxis, è una questione puramente accade-mica e in fondo oziosa per un rivoluzionario, come vuolessere il Marx.

«La dottrina materialistica, che gli uomini sono ilprodotto dell'ambiente e dell'educazione (come dicevaanche Hegel), e variano col variare dell'ambiente edell'educazione, dimentica che l'ambiente viene mutatoappunto dagli uomini, e che l'educatore stesso deve es-ser educato» (3.a Glossa). Qui Marx, lungi dal conveni-re nell'opinione materialistica, che l'uomo sia il figliodell'ambiente, cioè l'effetto di cause che lo precedono –come invece sembra credere la maggior parte di coloroche oggi parlan di lui –, a dirittura la confuta, perchè

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essa non tien conto, che l'ambiente vien mutato a suavolta dall'uomo. «Essa finisce, quindi, per necessità, coldividere la società in due parti, l'una delle quali è conce-pita come soprastante all'altra (per es. in RobertoOwen)» (3.a Glossa). Allora ci sarebbe un sostrato so-ciale e un uomo. che ne risulta, perchè ne subisce l'effi-cacia. Marx obietta: se è vero che l'uomo è fattodall'ambiente, è anche vero che l'uomo a sua volta fal'ambiente; se è vero che l'uomo viene educato da altriuomini, è pur vero che l'educatore a sua volta fu educatoda qualcuno. Quindi il rapporto fra l'uomo e l'ambienteè da pensare come un continuo rovesciamento dellaprassi: ora l'uomo è fatto dall'ambiente (e in questo sen-so è vera la teoria materialista), ora è l'uomo che modifi-ca l'ambiente, il quale a sua volta tornerà a reagire su dilui (e in quest'altro senso è vera la teoria opposta), se-condo un rapporto dialettico di tipo hegeliano, trasporta-to però dal campo del pensiero in quello della storia. «Ilcoincidere del variar dell'ambiente e dell'attività umanapuò essere concepito e inteso razionalmente soltantocome praxis che si rovescia» (3.a glos.), come la corren-te elettrica alternata! L'azione che l'uomo fa sull'ambien-te, si rovescia poi dall'ambiente sull'uomo. Quindi è soloun continuo fluire d'azione e reazione, d'evoluzione e ri-voluzione, che ci può spiegare la storia degli uomini.4

4 Cfr. anche l'ottava Tesi: «La vita sociale è essenzialmentepratica. Tutti i misteri, che sospingono le teorie al misticismo,trovano la loro spiegazione razionale nella praxis umana enell'intelligenza di questa praxis».

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essa non tien conto, che l'ambiente vien mutato a suavolta dall'uomo. «Essa finisce, quindi, per necessità, coldividere la società in due parti, l'una delle quali è conce-pita come soprastante all'altra (per es. in RobertoOwen)» (3.a Glossa). Allora ci sarebbe un sostrato so-ciale e un uomo. che ne risulta, perchè ne subisce l'effi-cacia. Marx obietta: se è vero che l'uomo è fattodall'ambiente, è anche vero che l'uomo a sua volta fal'ambiente; se è vero che l'uomo viene educato da altriuomini, è pur vero che l'educatore a sua volta fu educatoda qualcuno. Quindi il rapporto fra l'uomo e l'ambienteè da pensare come un continuo rovesciamento dellaprassi: ora l'uomo è fatto dall'ambiente (e in questo sen-so è vera la teoria materialista), ora è l'uomo che modifi-ca l'ambiente, il quale a sua volta tornerà a reagire su dilui (e in quest'altro senso è vera la teoria opposta), se-condo un rapporto dialettico di tipo hegeliano, trasporta-to però dal campo del pensiero in quello della storia. «Ilcoincidere del variar dell'ambiente e dell'attività umanapuò essere concepito e inteso razionalmente soltantocome praxis che si rovescia» (3.a glos.), come la corren-te elettrica alternata! L'azione che l'uomo fa sull'ambien-te, si rovescia poi dall'ambiente sull'uomo. Quindi è soloun continuo fluire d'azione e reazione, d'evoluzione e ri-voluzione, che ci può spiegare la storia degli uomini.4

4 Cfr. anche l'ottava Tesi: «La vita sociale è essenzialmentepratica. Tutti i misteri, che sospingono le teorie al misticismo,trovano la loro spiegazione razionale nella praxis umana enell'intelligenza di questa praxis».

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E questa storia è spiegata meglio nella glossa seguen-te (4.a): «Il Feuerbach procede dal fatto della autoalie-nazione religiosa, della duplicazione del mondo in unmondo religioso rappresentativo e un mondo reale. (Os-sia: l'uomo è religioso, in quanto si autoaliena, cioèproietta fuor di sé, ipostatizzandolo, quel che è dentrodi lui. Per ciò il mondo si sdoppia in un mondo reale ein un mondo religioso, dove la rappresentazione è l'ideadi qualcos'altro). E la sua opera (del Feuerbach) consi-ste in ciò: risolvere il mondo religioso (che il razionali-smo del '600 aveva tentato di porre fuori dell'io) nel suosostrato terreno (nella sua sorgente umana). A lui sfuggeperò, che compiuta quest'opera (cioè dopo aver capitoche il mondo religioso è una proiezione del nostro mon-do umano), resta ancora da fare la cosa principale. Il fat-to appunto che tale sostrato terreno si separa da sè stessoe si fissa come un regno indipendente nelle nuvole, è daspiegarsi poi solo per mezzo della autolacerazione inte-riore di tal sostrato e della contradizione in cui entra conse stesso (e per cui si scinde nell'opposizione fra quelche siamo e quel che desideriamo e poniamo come no-stro ideale). Esso adunque deve essere prima inteso nel-la sua contradizione, e poi praticamente interiore di talsostrato e della contradizione stessa». Quindi c'è undramma interiore di natura etica, per cui abbiamo un'esi-genza religiosa, nel tempo stesso che viviamo una vitaempirica. Secondo Marx, è questa contradizione internache spingerà l'uomo a superarsi, a rivoluzionarel'ambiente, a rovesciar la sua prassi, reagendo, anzi che

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E questa storia è spiegata meglio nella glossa seguen-te (4.a): «Il Feuerbach procede dal fatto della autoalie-nazione religiosa, della duplicazione del mondo in unmondo religioso rappresentativo e un mondo reale. (Os-sia: l'uomo è religioso, in quanto si autoaliena, cioèproietta fuor di sé, ipostatizzandolo, quel che è dentrodi lui. Per ciò il mondo si sdoppia in un mondo reale ein un mondo religioso, dove la rappresentazione è l'ideadi qualcos'altro). E la sua opera (del Feuerbach) consi-ste in ciò: risolvere il mondo religioso (che il razionali-smo del '600 aveva tentato di porre fuori dell'io) nel suosostrato terreno (nella sua sorgente umana). A lui sfuggeperò, che compiuta quest'opera (cioè dopo aver capitoche il mondo religioso è una proiezione del nostro mon-do umano), resta ancora da fare la cosa principale. Il fat-to appunto che tale sostrato terreno si separa da sè stessoe si fissa come un regno indipendente nelle nuvole, è daspiegarsi poi solo per mezzo della autolacerazione inte-riore di tal sostrato e della contradizione in cui entra conse stesso (e per cui si scinde nell'opposizione fra quelche siamo e quel che desideriamo e poniamo come no-stro ideale). Esso adunque deve essere prima inteso nel-la sua contradizione, e poi praticamente interiore di talsostrato e della contradizione stessa». Quindi c'è undramma interiore di natura etica, per cui abbiamo un'esi-genza religiosa, nel tempo stesso che viviamo una vitaempirica. Secondo Marx, è questa contradizione internache spingerà l'uomo a superarsi, a rivoluzionarel'ambiente, a rovesciar la sua prassi, reagendo, anzi che

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subire, appunto per adeguare quel valore ideale. Ho det-to che qui il Marx critica il Feuerbach senz'averlo capitofino in fondo, perchè questi, in verità, era arrivato allostesso modo d'intender l'etica. L'uomo prima deve capi-re, che cos'è il mondo nella sua contradizione interna, epoi rovesciarlo praticamente per la rimozione della con-tradizione stessa: ecco il rivoluzionarismo. Se capiscoche c'è questa lotta interna nella società, quest'autolace-razione della coscienza sociale, ho già lo strumento pertogliere questa contradizione, rovesciando la prassi ereagendo sopra il mondo e sopra me stesso, per adeguarl'idea, invece di contentarmi di rimanere quel che sono.«Così, per es., dopo avere svelato il mistero della sacrafamiglia con la famiglia terrena, questa deve essere teo-ricamente criticata (il che ci serve a criticar noi stessi),e praticamente rovesciata» (4.a glos.). La famiglia terre-na è difettosa: questo ci spinge a riformarla, per renderlaperfetta. La stessa, del resto, era già la tesi del Feuerba-ch.

La quinta Glossa è una concisa ripetizione della pri-ma: «Il Feuerbach, non soddisfatto del pensiero astratto(di tipo hegeliano) si appella alla intuizione sensibile(Ossia: è materialista in questo senso, che per lui le co-noscenze sono intuizioni sensibili); ma egli non concepi-sce la sensibilità come attività umano-sensitiva pratica.(Viceversa l'uomo è attivo, pratico, fin dal primo istantedella sua conoscenza. Restiamo sempre nell'atmosferakantiana)».

Mentre dunque questa Tesi conferma la prima, la se-

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subire, appunto per adeguare quel valore ideale. Ho det-to che qui il Marx critica il Feuerbach senz'averlo capitofino in fondo, perchè questi, in verità, era arrivato allostesso modo d'intender l'etica. L'uomo prima deve capi-re, che cos'è il mondo nella sua contradizione interna, epoi rovesciarlo praticamente per la rimozione della con-tradizione stessa: ecco il rivoluzionarismo. Se capiscoche c'è questa lotta interna nella società, quest'autolace-razione della coscienza sociale, ho già lo strumento pertogliere questa contradizione, rovesciando la prassi ereagendo sopra il mondo e sopra me stesso, per adeguarl'idea, invece di contentarmi di rimanere quel che sono.«Così, per es., dopo avere svelato il mistero della sacrafamiglia con la famiglia terrena, questa deve essere teo-ricamente criticata (il che ci serve a criticar noi stessi),e praticamente rovesciata» (4.a glos.). La famiglia terre-na è difettosa: questo ci spinge a riformarla, per renderlaperfetta. La stessa, del resto, era già la tesi del Feuerba-ch.

La quinta Glossa è una concisa ripetizione della pri-ma: «Il Feuerbach, non soddisfatto del pensiero astratto(di tipo hegeliano) si appella alla intuizione sensibile(Ossia: è materialista in questo senso, che per lui le co-noscenze sono intuizioni sensibili); ma egli non concepi-sce la sensibilità come attività umano-sensitiva pratica.(Viceversa l'uomo è attivo, pratico, fin dal primo istantedella sua conoscenza. Restiamo sempre nell'atmosferakantiana)».

Mentre dunque questa Tesi conferma la prima, la se-

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sta invece c'introduce al concetto marxista di società: «IlFeuerbach risolve l'essenza della religione nell'essenzapropria dell'uomo. Ma non v'ha essenza umana, quasi unastratto inerente all'individuo particolare. (Non si puònemmeno parlare d'un'essenza umana astrattamenteconcepita). Nella sua realtà essa non è che l'insieme del-le relazioni sociali. (Un concetto che si trova per la pri-ma volta nel Comte)». Dunque il Marx nega che ci siaun'individualità psichica, che si possa parlare d'una realepsiche dell'individuo. Questi appartiene alla società enella sua concretezza non è che l'insieme delle relazionisociali. Le sue idee sono il riflesso subiettivo di rapportisociali. È un'affermazione nuova, che apre il ciclo delsocialismo e c'introduce nella sociologia. «Il Feuerbach,non arrivando alla critica di questa essenza reale (socia-le, dell'uomo), è quindi costretto: 1°, ad astrarre dal pro-cesso storico e fissare per sé il sentimento religioso, edarci un individuo umano astratto-isolato. (Così quandoparla della religione di questo individuo, parte da unpresupposto sbagliato, che la religione sia un fatto indi-viduale; mentre chi fosse nato in una landa deserta, onon avesse avuto vicino a sé una madre che gl'insegnas-se a pregare, o comunque non fosse cresciuto in un am-biente religioso, non si sarebbe formato una religione.La settima Tesi dirà: «Il Feuerbach quindi non vede cheil sentimento religioso stesso è un prodotto sociale, e,che l'individuo astratto, ch'egli analizza, appartiene inrealtà a una determinata forma sociale»); 2°, perciò inlui (nel Feuerbach) l'essenza umana può essere intesa

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sta invece c'introduce al concetto marxista di società: «IlFeuerbach risolve l'essenza della religione nell'essenzapropria dell'uomo. Ma non v'ha essenza umana, quasi unastratto inerente all'individuo particolare. (Non si puònemmeno parlare d'un'essenza umana astrattamenteconcepita). Nella sua realtà essa non è che l'insieme del-le relazioni sociali. (Un concetto che si trova per la pri-ma volta nel Comte)». Dunque il Marx nega che ci siaun'individualità psichica, che si possa parlare d'una realepsiche dell'individuo. Questi appartiene alla società enella sua concretezza non è che l'insieme delle relazionisociali. Le sue idee sono il riflesso subiettivo di rapportisociali. È un'affermazione nuova, che apre il ciclo delsocialismo e c'introduce nella sociologia. «Il Feuerbach,non arrivando alla critica di questa essenza reale (socia-le, dell'uomo), è quindi costretto: 1°, ad astrarre dal pro-cesso storico e fissare per sé il sentimento religioso, edarci un individuo umano astratto-isolato. (Così quandoparla della religione di questo individuo, parte da unpresupposto sbagliato, che la religione sia un fatto indi-viduale; mentre chi fosse nato in una landa deserta, onon avesse avuto vicino a sé una madre che gl'insegnas-se a pregare, o comunque non fosse cresciuto in un am-biente religioso, non si sarebbe formato una religione.La settima Tesi dirà: «Il Feuerbach quindi non vede cheil sentimento religioso stesso è un prodotto sociale, e,che l'individuo astratto, ch'egli analizza, appartiene inrealtà a una determinata forma sociale»); 2°, perciò inlui (nel Feuerbach) l'essenza umana può essere intesa

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soltanto come specie, come universalità non dispiegata,muta, che leghi solo naturalmente i molti individui» (6.aglos.). Ossia: il Feuerbach considera l'uomo come unanimale, di cui la psiche fosse la sua natura, consideratain se stessa (universale solo in quanto naturale). Per ciòl'uomo viene ad essere adeguato a una semplice indivi-dualità animale, perchè la specie non è la società, ma lanatura in quanto natura (non in quanto relazione fra gliuomini).

«Il grado più alto al quale abbia condotto il materiali-smo intuizionista, cioè il materialismo che non concepi-sce la sensibilità come attività pratica (ma come passivi-tà, per es. quello del Feuerbach), è l'intuizione di singoliindividui nella società borghese» (9.a glos.). Ossia:dall'aver concepito l'attività sensitiva come intuizionepassiva d'una realtà per sé stante, è venuto fuori l'indivi-dualismo del Feuerbach, cioè il concetto che anche lasocietà non sia altro che un complesso atomico di tantiindividui avvicinati l'uno all'altro. La società concepitaindividualisticamente, come la somma degl'individui, èappunto la società borghese, la quale ha fatto suo il con-trattualismo individualista dei secoli precedenti, secon-do cui la società sarebbe il risultato d'un patto sociale,stipulato fra individui che vengon prima della societàstessa e pattuiscono fra loro allo scopo di soddisfare ipropri particolari bisogni. Ora questo individualismo èla concezione del liberalismo borghese, nato in Inghil-terra, nel '600, proprio da quest'ideologia, dove chi valeè l'individuo, mentre lo Stato stesso non dev'essere

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soltanto come specie, come universalità non dispiegata,muta, che leghi solo naturalmente i molti individui» (6.aglos.). Ossia: il Feuerbach considera l'uomo come unanimale, di cui la psiche fosse la sua natura, consideratain se stessa (universale solo in quanto naturale). Per ciòl'uomo viene ad essere adeguato a una semplice indivi-dualità animale, perchè la specie non è la società, ma lanatura in quanto natura (non in quanto relazione fra gliuomini).

«Il grado più alto al quale abbia condotto il materiali-smo intuizionista, cioè il materialismo che non concepi-sce la sensibilità come attività pratica (ma come passivi-tà, per es. quello del Feuerbach), è l'intuizione di singoliindividui nella società borghese» (9.a glos.). Ossia:dall'aver concepito l'attività sensitiva come intuizionepassiva d'una realtà per sé stante, è venuto fuori l'indivi-dualismo del Feuerbach, cioè il concetto che anche lasocietà non sia altro che un complesso atomico di tantiindividui avvicinati l'uno all'altro. La società concepitaindividualisticamente, come la somma degl'individui, èappunto la società borghese, la quale ha fatto suo il con-trattualismo individualista dei secoli precedenti, secon-do cui la società sarebbe il risultato d'un patto sociale,stipulato fra individui che vengon prima della societàstessa e pattuiscono fra loro allo scopo di soddisfare ipropri particolari bisogni. Ora questo individualismo èla concezione del liberalismo borghese, nato in Inghil-terra, nel '600, proprio da quest'ideologia, dove chi valeè l'individuo, mentre lo Stato stesso non dev'essere

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nient'altro che uno strumento degli individui, il qualegarantisca a ciascuno la libertà completa delle sue ini-ziative. Durante il '600 e il '700, fino al Rousseau, tro-viam sempre questo concetto del patto sociale, da cuivien fuori un liberalismo di tipo nazionalista. Allora icosiddetti rapporti sociali non sarebber nemmeno pro-priamente sociali, ma più tosto interindividuali.

Decima Tesi: «Il punto di vista dell'antico materiali-smo è la società borghese (perchè tutto il vecchio mate-rialismo mette capo a una concezione atomistica dellasocietà, dove ciascun individuo si pone come il centro);il punto di vista del nuovo (materialismo!) è la societàumana o l'umanità consociata». È chiaro, che al vocabo-lo umana il Marx non dà lo stesso significato astrattodel Feuerbach, ma quello concreto di socialità. Questodiviene il pensiero veramente fondamentale di tutto ilsocialismo.

L'ultima Tesi ribadisce la prima, sotto un nuovoaspetto, ed è forse la più importante di tutte: «I filosofihanno soltanto variamente interpretato il mondo; ma sitratta di cangiarlo». Fin qui la filosofia è stata sempreintesa come una conoscenza teoretica (contemplativa),l'interpretazione di un mondo già dato come esistente; aquesta filosofia, il Marx vuole opporre la sua, che sipropone invece di cambiare il mondo: ossia, c'è un pen-siero che non aspira a interpretare la realtà, bensì a mo-dificarla; non a scoprire qualche cosa che c'è, ma a pro-durre, a creare nuove forme sociali. Su questo fonda-mento si comprendono meglio la sociologia e il materia-

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nient'altro che uno strumento degli individui, il qualegarantisca a ciascuno la libertà completa delle sue ini-ziative. Durante il '600 e il '700, fino al Rousseau, tro-viam sempre questo concetto del patto sociale, da cuivien fuori un liberalismo di tipo nazionalista. Allora icosiddetti rapporti sociali non sarebber nemmeno pro-priamente sociali, ma più tosto interindividuali.

Decima Tesi: «Il punto di vista dell'antico materiali-smo è la società borghese (perchè tutto il vecchio mate-rialismo mette capo a una concezione atomistica dellasocietà, dove ciascun individuo si pone come il centro);il punto di vista del nuovo (materialismo!) è la societàumana o l'umanità consociata». È chiaro, che al vocabo-lo umana il Marx non dà lo stesso significato astrattodel Feuerbach, ma quello concreto di socialità. Questodiviene il pensiero veramente fondamentale di tutto ilsocialismo.

L'ultima Tesi ribadisce la prima, sotto un nuovoaspetto, ed è forse la più importante di tutte: «I filosofihanno soltanto variamente interpretato il mondo; ma sitratta di cangiarlo». Fin qui la filosofia è stata sempreintesa come una conoscenza teoretica (contemplativa),l'interpretazione di un mondo già dato come esistente; aquesta filosofia, il Marx vuole opporre la sua, che sipropone invece di cambiare il mondo: ossia, c'è un pen-siero che non aspira a interpretare la realtà, bensì a mo-dificarla; non a scoprire qualche cosa che c'è, ma a pro-durre, a creare nuove forme sociali. Su questo fonda-mento si comprendono meglio la sociologia e il materia-

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lismo storico (critico) di Marx e di Engels, i quali nonvoglion più fare i filosofi teoretici e voltano le spalleallo Hegel, perchè cercano invece una filosofia la qualeinsegni a mutare il mondo, fondata sulla prassi che è an-che la vera conoscenza (verum et factum inter se con-vertuntur!). Questa prassi non è un ideale utopistico,perchè in fondo gli uomini cangiano continuamente larealtà. Allora si comprende, come su questi fondamentifilosofici, quantunque troppo scarsi, si sia formato ilconcetto della lotta di classe (la prassi che si rovescia),illuminata dall'intelligenza: in questo mondo umano, di-viso in classi, sopraggiunge il momento in cui la classedominata diventa dominatrice. Esso può venir determi-nato mediante la teoria del materialismo critico (cono-scitivo), che guarda alle condizioni reali della società.Quindi l'intelligenza, per il Marx, non è superflua allarivoluzione dei lavoratori.

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lismo storico (critico) di Marx e di Engels, i quali nonvoglion più fare i filosofi teoretici e voltano le spalleallo Hegel, perchè cercano invece una filosofia la qualeinsegni a mutare il mondo, fondata sulla prassi che è an-che la vera conoscenza (verum et factum inter se con-vertuntur!). Questa prassi non è un ideale utopistico,perchè in fondo gli uomini cangiano continuamente larealtà. Allora si comprende, come su questi fondamentifilosofici, quantunque troppo scarsi, si sia formato ilconcetto della lotta di classe (la prassi che si rovescia),illuminata dall'intelligenza: in questo mondo umano, di-viso in classi, sopraggiunge il momento in cui la classedominata diventa dominatrice. Esso può venir determi-nato mediante la teoria del materialismo critico (cono-scitivo), che guarda alle condizioni reali della società.Quindi l'intelligenza, per il Marx, non è superflua allarivoluzione dei lavoratori.

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XLA CRITICA DEL MARXISMO

La Glosse del Marx al Feuerbach sbozzano in undicibrevi punti una filosofia del materialismo storico, attor-no alla quale s'è poi esercitata la critica filosofica,all'estero e in Italia, dove Rodolfo Mondolfo (già pro-fessore di storia della filosofia a Bologna e ora inse-gnante in una Università americana) si può dir colui checercò proprio di sviluppare la teoria di Marx, con inten-zioni di filosofo e con amore di discepolo. Egli però erastato preceduto dagli studi di Giovanni Gentile, che perprimo aveva posto l'occhio sopra queste glosse scono-sciute fra noi e le aveva rivelate. Il Gentile a sua voltaha come precedente il Croce, il quale, come sappiamo,era stato in rapporto con il Sorel, oltre che con il suomaestro, Antonio Labriola.

Adesso, prima d'esaminare l'acuta critica di BenedettoCroce, dobbiam tornare un momento sopra il Sorel, cuis'era accennato soltanto di passaggio. La sua è una teo-ria dedotta dallo spirito marxista, più che dalla forma.Abbiamo visto, che ci son due facce del marxismo,

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XLA CRITICA DEL MARXISMO

La Glosse del Marx al Feuerbach sbozzano in undicibrevi punti una filosofia del materialismo storico, attor-no alla quale s'è poi esercitata la critica filosofica,all'estero e in Italia, dove Rodolfo Mondolfo (già pro-fessore di storia della filosofia a Bologna e ora inse-gnante in una Università americana) si può dir colui checercò proprio di sviluppare la teoria di Marx, con inten-zioni di filosofo e con amore di discepolo. Egli però erastato preceduto dagli studi di Giovanni Gentile, che perprimo aveva posto l'occhio sopra queste glosse scono-sciute fra noi e le aveva rivelate. Il Gentile a sua voltaha come precedente il Croce, il quale, come sappiamo,era stato in rapporto con il Sorel, oltre che con il suomaestro, Antonio Labriola.

Adesso, prima d'esaminare l'acuta critica di BenedettoCroce, dobbiam tornare un momento sopra il Sorel, cuis'era accennato soltanto di passaggio. La sua è una teo-ria dedotta dallo spirito marxista, più che dalla forma.Abbiamo visto, che ci son due facce del marxismo,

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quella dell'economismo, la quale porta il Marx pratico(politico) a cercare nell'organizzazione economica deilavoratori la forza sociale che modifichi la società; el'altra, del romanticismo quarantottesco, più strettamen-te rivoluzionaria e orientata verso la presa di possessoviolenta del potere politico. Ora, il Sorel le vuol riunireinsieme, perchè, secondo lui, nell'appello finale del Ma-nifesto dei comunisti, «Proletari di tutto il mondo unite-vi!», v'è già nella sua interezza la prassi rivoluzionariacomunista: difatti, se gli operai si organizzassero tuttiinsieme sul piano internazionale, formerebbero, astratta-mente parlando, una forza immensa, capace d'imporsialle forze regolari dei vari Stati, con la sua sola esisten-za. Ossia: non bisogna dividere il fatto economico daquello politico, come se questo ne fosse un riflesso sog-gettivo (la coscienza); al contrario, bisogna intendereche l'organizzazione economica (sindacale) dei lavorato-ri di tutto il mondo sarebbe già di per sé un organismopolitico, efficace al fine rivoluzionario. In tal caso,l'arma adeguata all'organizzazione del lavoro non sareb-be più la presa di possesso violenta dei poteri pubblici,ma lo sciopero generale. Dicevamo già, che se tutti i la-voratori del mondo fossero uniti e d'accordo per incro-ciar le braccia nello stesso momento, onde opporsi allaclasse dominante e succederle, sarebbero in grado difermar d'un colpo la vita sociale: la rivoluzione sarebbecompiuta!

Bisogna però, che si avveri storicamente l'ipotesi del-lo sciopero generale. Anche il Sorel comprende che

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quella dell'economismo, la quale porta il Marx pratico(politico) a cercare nell'organizzazione economica deilavoratori la forza sociale che modifichi la società; el'altra, del romanticismo quarantottesco, più strettamen-te rivoluzionaria e orientata verso la presa di possessoviolenta del potere politico. Ora, il Sorel le vuol riunireinsieme, perchè, secondo lui, nell'appello finale del Ma-nifesto dei comunisti, «Proletari di tutto il mondo unite-vi!», v'è già nella sua interezza la prassi rivoluzionariacomunista: difatti, se gli operai si organizzassero tuttiinsieme sul piano internazionale, formerebbero, astratta-mente parlando, una forza immensa, capace d'imporsialle forze regolari dei vari Stati, con la sua sola esisten-za. Ossia: non bisogna dividere il fatto economico daquello politico, come se questo ne fosse un riflesso sog-gettivo (la coscienza); al contrario, bisogna intendereche l'organizzazione economica (sindacale) dei lavorato-ri di tutto il mondo sarebbe già di per sé un organismopolitico, efficace al fine rivoluzionario. In tal caso,l'arma adeguata all'organizzazione del lavoro non sareb-be più la presa di possesso violenta dei poteri pubblici,ma lo sciopero generale. Dicevamo già, che se tutti i la-voratori del mondo fossero uniti e d'accordo per incro-ciar le braccia nello stesso momento, onde opporsi allaclasse dominante e succederle, sarebbero in grado difermar d'un colpo la vita sociale: la rivoluzione sarebbecompiuta!

Bisogna però, che si avveri storicamente l'ipotesi del-lo sciopero generale. Anche il Sorel comprende che

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questa è una condizione inattuabile, perchè un'organiz-zazione del lavoro, tale da produr davvero una forza chearresti d'un tratto le attività sociali, e non solo nell'ambi-to d'una singola nazione, ma a dirittura sul piano inter-nazionale, non s'è mai raggiunta, né sembra che vi sia lapossibilità di raggiungerla. Le vicende dell'ultimo mez-zo secolo, l'han dimostrato ad usura: allo scoppiar dellaprima come della seconda guerra mondiale, le organiz-zazioni operaie si smembrarono e ciascun gruppo preseparte alla guerra a fianco della sua patria. Lo scioperogenerale diventa un mito. Vero è che il Sorel non s'illu-de, perchè era uomo intelligente e di studio; ma si slan-cia, con il suo ingegno paradossale, per la nuova stradache gli si apre dinanzi e le riconduce a una teoria dellaviolenza, fondata sopra un'interpretazione originale delmarxismo, il quale ne vien modificato nel senso d'un vo-lontarismo squisitamente moderno, che s'allontana daquello di Marx, più quarantottesco, idealistico e in fon-do orientato verso una forma di attività alta e disinteres-sata, per avvicinarsi al volontarismo men ricco di pen-siero e di finalità universali, men positivo e più distrutti-vo, che caratterizza l'ultimo romanticismo, per es. d'unNietzsche, dove la volontà è fine a se stessa e volere si-gnifica aprire alla propria personalità le vie del fare,dell'azione, le quali son tutte buone, dovunque vadano,purché conducano a rivoluzionare il mondo.

Insomma, che cos'è il comunismo critico, se non unmito? Basta mettere Sorel dentro questo movimentodell'ultimo romanticismo, per comprendere come al cri-

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questa è una condizione inattuabile, perchè un'organiz-zazione del lavoro, tale da produr davvero una forza chearresti d'un tratto le attività sociali, e non solo nell'ambi-to d'una singola nazione, ma a dirittura sul piano inter-nazionale, non s'è mai raggiunta, né sembra che vi sia lapossibilità di raggiungerla. Le vicende dell'ultimo mez-zo secolo, l'han dimostrato ad usura: allo scoppiar dellaprima come della seconda guerra mondiale, le organiz-zazioni operaie si smembrarono e ciascun gruppo preseparte alla guerra a fianco della sua patria. Lo scioperogenerale diventa un mito. Vero è che il Sorel non s'illu-de, perchè era uomo intelligente e di studio; ma si slan-cia, con il suo ingegno paradossale, per la nuova stradache gli si apre dinanzi e le riconduce a una teoria dellaviolenza, fondata sopra un'interpretazione originale delmarxismo, il quale ne vien modificato nel senso d'un vo-lontarismo squisitamente moderno, che s'allontana daquello di Marx, più quarantottesco, idealistico e in fon-do orientato verso una forma di attività alta e disinteres-sata, per avvicinarsi al volontarismo men ricco di pen-siero e di finalità universali, men positivo e più distrutti-vo, che caratterizza l'ultimo romanticismo, per es. d'unNietzsche, dove la volontà è fine a se stessa e volere si-gnifica aprire alla propria personalità le vie del fare,dell'azione, le quali son tutte buone, dovunque vadano,purché conducano a rivoluzionare il mondo.

Insomma, che cos'è il comunismo critico, se non unmito? Basta mettere Sorel dentro questo movimentodell'ultimo romanticismo, per comprendere come al cri-

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ticismo freddo e obiettivante di Marx, secondo cui biso-gna conoscer le condizioni sociali per poter agire sullasocietà, mentre sarebbe inopportuno e utopistico pensardi raggiungere il fine rivoluzionario prima del tempo ofuori del tempo, si possa sostituire quest'altro concetto,che la classe operaia, solo perchè organizzata, è già ri-voluzionaria per se stessa, con uno strumento che è losciopero generale, da non intendere come un fatto stori-co, ma come un mito, il quale suscita un'azione, sol per-chè suscita una fede. Qui il sentimento (romantico, nelsenso d'un volontarismo puro) si sostituisce alla ragione.Basta che la classe dei lavoratori creda nel mito e ne siaspinta all'azione, perchè a un certo momento raggiungala sua meta, pur a traverso gli sforzi sempre rinnovati e isacrifici sempre patiti. All'opposto, in certo modo, delcomunismo critico di Marx e del suo economismo, tro-viam questo marxismo divenuto mitologico, il qualeprende come fine un'idealità pura (il mito che spinge laclasse operaia), ritornando a un romanticismo che ilMarx economista s'illudeva d'aver superato, mentre nonv'era riuscito del tutto, se il Sorel ne ha potuto dedurrequesta posizione etica e sociologica. Ripeto, che la de-duzione è fatta con intelligenza chiara del carattere pu-ramente ideale del mito che muove la classe operaia. C'èun punto, dove il Sorel soggiunge: d'accordo, che l'ope-raio creda nel mito dello sciopero generale e ne sia spin-to all'azione; ma tutto questo vale fino al momento incui vi credano anche gli avversari del comunismo e neabbian paura, perchè, viceversa, quando il mito non è

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ticismo freddo e obiettivante di Marx, secondo cui biso-gna conoscer le condizioni sociali per poter agire sullasocietà, mentre sarebbe inopportuno e utopistico pensardi raggiungere il fine rivoluzionario prima del tempo ofuori del tempo, si possa sostituire quest'altro concetto,che la classe operaia, solo perchè organizzata, è già ri-voluzionaria per se stessa, con uno strumento che è losciopero generale, da non intendere come un fatto stori-co, ma come un mito, il quale suscita un'azione, sol per-chè suscita una fede. Qui il sentimento (romantico, nelsenso d'un volontarismo puro) si sostituisce alla ragione.Basta che la classe dei lavoratori creda nel mito e ne siaspinta all'azione, perchè a un certo momento raggiungala sua meta, pur a traverso gli sforzi sempre rinnovati e isacrifici sempre patiti. All'opposto, in certo modo, delcomunismo critico di Marx e del suo economismo, tro-viam questo marxismo divenuto mitologico, il qualeprende come fine un'idealità pura (il mito che spinge laclasse operaia), ritornando a un romanticismo che ilMarx economista s'illudeva d'aver superato, mentre nonv'era riuscito del tutto, se il Sorel ne ha potuto dedurrequesta posizione etica e sociologica. Ripeto, che la de-duzione è fatta con intelligenza chiara del carattere pu-ramente ideale del mito che muove la classe operaia. C'èun punto, dove il Sorel soggiunge: d'accordo, che l'ope-raio creda nel mito dello sciopero generale e ne sia spin-to all'azione; ma tutto questo vale fino al momento incui vi credano anche gli avversari del comunismo e neabbian paura, perchè, viceversa, quando il mito non è

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più creduto dagli uni o dagli altri, o da nessuno dei due,ed invece è giudicato irraggiungibile, ossia è conosciutoappunto come un mito, allora si svuota d'ogni efficaciapratica.

Sappiamo già, che da questo pensiero del Sorel vennefuori una corrente politica, la quale ebbe il suo grandemomento di fortuna e si chiamò sindacalismo, perchèponeva l'attività politica non in un metodo politico, nè ditipo democratico né di tipo rivoluzionario, ma nell'orga-nizzazione stessa del lavoro, la quale è già di per sé unfatto politico: la politica di classe coincide con la sua or-ganizzazione sindacale. Ne consegue il più completoastensionismo dal metodo elettorale e dalla vita parla-mentare, che non gioverebbero alla causa degli operai,secondo il sindacalismo, mentre alla fine riescirebbe de-cisiva nella storia la continua spinta che viene dalla pro-spettiva mitica d'uno sciopero generale.

Benedetto Croce ha pubblicato le sue lettere al Sorel,dove sono elaborati e criticati questi concetti, e poi haripreso anche la quistione generale del materialismo sto-rico5. Qual'è il punto essenziale della critica di Croce?Secondo Marx ed Engels (e specialmente secondo ilCapitale), a fondamento di tutta la loro economia socio-logica, c'è questo postulato: l'uguaglianza di valore eco-nomico e lavoro. Abbiam già esaminato questa legge(che il valore economico sia il valore corrispondente al

5 Cfr.: Materialismo storico ed economia marxista, special-mente il saggio I (1896) e il III (1897).

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più creduto dagli uni o dagli altri, o da nessuno dei due,ed invece è giudicato irraggiungibile, ossia è conosciutoappunto come un mito, allora si svuota d'ogni efficaciapratica.

Sappiamo già, che da questo pensiero del Sorel vennefuori una corrente politica, la quale ebbe il suo grandemomento di fortuna e si chiamò sindacalismo, perchèponeva l'attività politica non in un metodo politico, nè ditipo democratico né di tipo rivoluzionario, ma nell'orga-nizzazione stessa del lavoro, la quale è già di per sé unfatto politico: la politica di classe coincide con la sua or-ganizzazione sindacale. Ne consegue il più completoastensionismo dal metodo elettorale e dalla vita parla-mentare, che non gioverebbero alla causa degli operai,secondo il sindacalismo, mentre alla fine riescirebbe de-cisiva nella storia la continua spinta che viene dalla pro-spettiva mitica d'uno sciopero generale.

Benedetto Croce ha pubblicato le sue lettere al Sorel,dove sono elaborati e criticati questi concetti, e poi haripreso anche la quistione generale del materialismo sto-rico5. Qual'è il punto essenziale della critica di Croce?Secondo Marx ed Engels (e specialmente secondo ilCapitale), a fondamento di tutta la loro economia socio-logica, c'è questo postulato: l'uguaglianza di valore eco-nomico e lavoro. Abbiam già esaminato questa legge(che il valore economico sia il valore corrispondente al

5 Cfr.: Materialismo storico ed economia marxista, special-mente il saggio I (1896) e il III (1897).

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lavoro necessario per produrre un oggetto) e l'abbiamcriticata, dimostrando che quella non è un'eguaglianzaeconomica, perchè in un puro economismo il valored'una merce è dato solo dal prezzo, che si determina asua volta nel rapporto fra consumatore e produttore e li-vella in sé tutti gli elementi del costo, fra i quali viencomputato anche il lavoro (come salario). Per il Marx,invece, tutto quello che nel prezzo, cioè nel costo d'unamerce sul mercato, c'è in più del lavoro, è lavoro rubato(sopravalore).

La critica di questa teoria era facile, anche per chinon fosse un economista. Difatti il Croce ne vede subitoil punto debole. Sarebbe vera l'equazione di valore e la-voro, se ci fosse una società economica in se stessa, laquale considerasse come valore soltanto la produzionedi sempre nuovi beni; ma questa è un'astrazione, perchènella società in concreto il rapporto economico è taleper cui nel prezzo d'una merce si unificano molti altrielementi oltre il lavoro produttivo, cominciando dal ca-pitale inteso come monopolio, cioè come proprietà pri-vata, che si vuoi far fruttare. Allora, conclude il Croce,tutta la ricerca di Marx consiste nel mostrare con qualidivergenze da questa misura strettamente economista,data nell'uguaglianza di valore e lavoro e valida in unasocietà astrattamente pensata come società economicalavoratrice (cosa diversa anche dai lavoratori come clas-se), si formino i prezzi e come la stessa forza del lavoroacquisti un prezzo e divenga una merce nella societàreale. Il problema di Marx non è dunque un problema

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lavoro necessario per produrre un oggetto) e l'abbiamcriticata, dimostrando che quella non è un'eguaglianzaeconomica, perchè in un puro economismo il valored'una merce è dato solo dal prezzo, che si determina asua volta nel rapporto fra consumatore e produttore e li-vella in sé tutti gli elementi del costo, fra i quali viencomputato anche il lavoro (come salario). Per il Marx,invece, tutto quello che nel prezzo, cioè nel costo d'unamerce sul mercato, c'è in più del lavoro, è lavoro rubato(sopravalore).

La critica di questa teoria era facile, anche per chinon fosse un economista. Difatti il Croce ne vede subitoil punto debole. Sarebbe vera l'equazione di valore e la-voro, se ci fosse una società economica in se stessa, laquale considerasse come valore soltanto la produzionedi sempre nuovi beni; ma questa è un'astrazione, perchènella società in concreto il rapporto economico è taleper cui nel prezzo d'una merce si unificano molti altrielementi oltre il lavoro produttivo, cominciando dal ca-pitale inteso come monopolio, cioè come proprietà pri-vata, che si vuoi far fruttare. Allora, conclude il Croce,tutta la ricerca di Marx consiste nel mostrare con qualidivergenze da questa misura strettamente economista,data nell'uguaglianza di valore e lavoro e valida in unasocietà astrattamente pensata come società economicalavoratrice (cosa diversa anche dai lavoratori come clas-se), si formino i prezzi e come la stessa forza del lavoroacquisti un prezzo e divenga una merce nella societàreale. Il problema di Marx non è dunque un problema

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storico, a dirittura d'economia concreta, com'egli crede-va, ma è un problema astratto, riguardante una societàcome lui se la finge, dove davvero lavoro e valore si so-stituissero sempre l'uno all'altro, e quindi fosse reale laloro uguaglianza. Questa pertanto non è che uno stru-mento per misurare proprio nelle società storiche, quan-to il valore economico diverga da questo stretto valoremarxista del lavoro.

In fondo, si scopre in Marx un criterio non più stretta-mente economistico, ma d'ordine morale: cioè, il valoreè il lavoro, inteso però come forza di lavoro, che diventapoi incongruo ridurre a ore di lavoro. Vuoi dire che ilplus-valore e il sopra-lavoro corrispondente non sonoconoscenze storiche, ma concetti differenziali, sul para-gone di due tipi di società economica, per stabilire unalegge puramente ideale. Per il Croce, la legge marxistadel valore non è una legge reale (che spieghi il fatto) eneppure una legge etica, perchè, secondo lui, non ri-sponde ad una vera e propria idealità: difatti Marx la dàcome vera, non come buona. Dunque la teoria espostanel Capitale e implicita nel Manifesto, non è una dottri-na storica, perchè ricerca astratta, e neppur di scienzaeconomica, perchè si limita alla particolare società capi-talistica. Quello di Marx non è nemmeno un idealismo,il quale fondi una filosofia della storia, perchè non defi-nisce alcuna legge universale necessaria, e si contenta diregistrare, come disse lo Engels, la «legge interna dellecose» stesse nel loro svolgersi; al contrario, appuntoperchè resta legato al bisogno di rendersi conto d'una

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storico, a dirittura d'economia concreta, com'egli crede-va, ma è un problema astratto, riguardante una societàcome lui se la finge, dove davvero lavoro e valore si so-stituissero sempre l'uno all'altro, e quindi fosse reale laloro uguaglianza. Questa pertanto non è che uno stru-mento per misurare proprio nelle società storiche, quan-to il valore economico diverga da questo stretto valoremarxista del lavoro.

In fondo, si scopre in Marx un criterio non più stretta-mente economistico, ma d'ordine morale: cioè, il valoreè il lavoro, inteso però come forza di lavoro, che diventapoi incongruo ridurre a ore di lavoro. Vuoi dire che ilplus-valore e il sopra-lavoro corrispondente non sonoconoscenze storiche, ma concetti differenziali, sul para-gone di due tipi di società economica, per stabilire unalegge puramente ideale. Per il Croce, la legge marxistadel valore non è una legge reale (che spieghi il fatto) eneppure una legge etica, perchè, secondo lui, non ri-sponde ad una vera e propria idealità: difatti Marx la dàcome vera, non come buona. Dunque la teoria espostanel Capitale e implicita nel Manifesto, non è una dottri-na storica, perchè ricerca astratta, e neppur di scienzaeconomica, perchè si limita alla particolare società capi-talistica. Quello di Marx non è nemmeno un idealismo,il quale fondi una filosofia della storia, perchè non defi-nisce alcuna legge universale necessaria, e si contenta diregistrare, come disse lo Engels, la «legge interna dellecose» stesse nel loro svolgersi; al contrario, appuntoperchè resta legato al bisogno di rendersi conto d'una

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particolare configurazione sociale, esistente, rimane unmaterialismo (positivismo) storico, che non è nemmenodialettico, nel senso d'un hegelismo nascosto, perchènon si tratta d'un'opposizione di concetti, ma d'un alter-narsi di condizioni (economiche) di fatto, osservato aposteriori. Di conseguenza, dal punto di vista del suoaspetto pratico, non si tratta neppure, sempre secondo ilCroce, d'un moralismo, perchè non ci dà delle norme, nèd'un relativismo etico, che stabilisca un rapporto moraledell'uomo alla cosa; ma soltanto d'una legge, la qualeserve di misura (di criterio) per interpretare certi fattieconomici, astratti dalla società reale, e per mostrare levariazioni che subiscono nelle diverse organizzazionieconomiche della società. Quindi è un cànone (non unanorma!) per l'interpretazione dei fatti economici, ossiaun certo modo di vedere le cose. Il grande merito dellateoria marxista rimane quello d'aver messo in evidenzal'importanza del fatto economico, il che, del resto, avevai suoi precedenti, come sappiamo, in tutto il movimentodell'economismo inglese.

Il Croce conviene anche sull'importanza storica dellaricerca intorno al rapporto economico di capitale e lavo-ro in una società di tipo capitalistico, come quella che siforma nell'evo moderno. Alla fine, per il fatto che ilMarx guarda al rapporto economico e tenta di stabilireun cànone per giudicarlo, fondandosi sulla legge del va-lore così come lui la pone, il Croce lo chiama «il Ma-chiavelli del proletariato», meravigliandosi anzi comenessuno si sia ancora accorto che proprio Marx è «il più

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particolare configurazione sociale, esistente, rimane unmaterialismo (positivismo) storico, che non è nemmenodialettico, nel senso d'un hegelismo nascosto, perchènon si tratta d'un'opposizione di concetti, ma d'un alter-narsi di condizioni (economiche) di fatto, osservato aposteriori. Di conseguenza, dal punto di vista del suoaspetto pratico, non si tratta neppure, sempre secondo ilCroce, d'un moralismo, perchè non ci dà delle norme, nèd'un relativismo etico, che stabilisca un rapporto moraledell'uomo alla cosa; ma soltanto d'una legge, la qualeserve di misura (di criterio) per interpretare certi fattieconomici, astratti dalla società reale, e per mostrare levariazioni che subiscono nelle diverse organizzazionieconomiche della società. Quindi è un cànone (non unanorma!) per l'interpretazione dei fatti economici, ossiaun certo modo di vedere le cose. Il grande merito dellateoria marxista rimane quello d'aver messo in evidenzal'importanza del fatto economico, il che, del resto, avevai suoi precedenti, come sappiamo, in tutto il movimentodell'economismo inglese.

Il Croce conviene anche sull'importanza storica dellaricerca intorno al rapporto economico di capitale e lavo-ro in una società di tipo capitalistico, come quella che siforma nell'evo moderno. Alla fine, per il fatto che ilMarx guarda al rapporto economico e tenta di stabilireun cànone per giudicarlo, fondandosi sulla legge del va-lore così come lui la pone, il Croce lo chiama «il Ma-chiavelli del proletariato», meravigliandosi anzi comenessuno si sia ancora accorto che proprio Marx è «il più

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insigne continuatore dell'italiano Nicolò Machiavelli»,di cui il Croce è così fervido ammiratore, ch'egli stesso,in un suo scritto più recente, intitolato «Politica in nuce»e incluso poi nel volume Etica e Politica (Laterza, 3a

ed., 1945), finisce per intendere anche l'attività politicacome iniziativa privata. Allora il fatto politico, ridottonei termini d'un'impresa individuale, diretta a raggiun-gere il dominio sociale a traverso il potere del Governo,si livella all'impresa d'ordine economico, in cui non vigaaltro valore e non domini altra legge che quella dell'eco-nomia, cioè dell'interesse privato (individuale). Eccoperchè il Croce finisce col trovar questa rassomiglianzafra Machiavelli e Marx, dimenticando solo una cosasemplice, che il Machiavelli si occupa d'una politica in-dividualistica, cioè della politica del principe che vuoleimpossessarsi dello Stato.

Dunque l'apprezzamento del Croce contiene un picco-lo equivoco: la politica teorizzata nel Principe èun'astrazione, perchè il fatto politico, in quanto tale, im-plica una sua eticità, cioè un rapporto sociale, almenodel principe, sia pure in quanto principe, rispetto allacollettività, allo Stato. Il principe di Machiavelli, studia-to come puro individuo, di cui analizziamo le qualità(d'esser ambizioso, avido ecc.) riguarda la psicologia;mentre far della politica vuol dire proporsi dei fini, cor-rispondenti ai bisogni o agl'interessi almeno della classedominante (d'un'aristocrazia), se non a dirittura d'unademocrazia. Altrimenti, nessun uomo di governo rimar-rebbe un sol giorno al potere! Ossia, c'è sempre, attorno

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insigne continuatore dell'italiano Nicolò Machiavelli»,di cui il Croce è così fervido ammiratore, ch'egli stesso,in un suo scritto più recente, intitolato «Politica in nuce»e incluso poi nel volume Etica e Politica (Laterza, 3a

ed., 1945), finisce per intendere anche l'attività politicacome iniziativa privata. Allora il fatto politico, ridottonei termini d'un'impresa individuale, diretta a raggiun-gere il dominio sociale a traverso il potere del Governo,si livella all'impresa d'ordine economico, in cui non vigaaltro valore e non domini altra legge che quella dell'eco-nomia, cioè dell'interesse privato (individuale). Eccoperchè il Croce finisce col trovar questa rassomiglianzafra Machiavelli e Marx, dimenticando solo una cosasemplice, che il Machiavelli si occupa d'una politica in-dividualistica, cioè della politica del principe che vuoleimpossessarsi dello Stato.

Dunque l'apprezzamento del Croce contiene un picco-lo equivoco: la politica teorizzata nel Principe èun'astrazione, perchè il fatto politico, in quanto tale, im-plica una sua eticità, cioè un rapporto sociale, almenodel principe, sia pure in quanto principe, rispetto allacollettività, allo Stato. Il principe di Machiavelli, studia-to come puro individuo, di cui analizziamo le qualità(d'esser ambizioso, avido ecc.) riguarda la psicologia;mentre far della politica vuol dire proporsi dei fini, cor-rispondenti ai bisogni o agl'interessi almeno della classedominante (d'un'aristocrazia), se non a dirittura d'unademocrazia. Altrimenti, nessun uomo di governo rimar-rebbe un sol giorno al potere! Ossia, c'è sempre, attorno

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a chi fa della politica, un'eticità, un valore morale, chedunque non riguarda soltanto il suo particolarissimo eindividuale interesse. Pur quando, per es., il principeusasse solamente la violenza come strumento di gover-no, bisognerebbe tuttavia ammettere che abbia un certoconsenso, sia pure limitatissimo, magari soltanto la pas-sività degli altri o il facile e superficiale entusiasmo del-le folle correnti sempre dietro al carro dei vincitori. In-somma, bisogna opporre al Croce, che il fatto politiconon si potrebbe neppur definire, se non implicandovi unfatto etico, cioè sociale. Ora, nel concetto sociologico diMarx è invece implicito questo fatto morale, perchè perlui l'uomo è sociale e l'azione politica si definisce comeetica, non solo perchè riguarda tutte le classi, ma perchèalla fine il trionfo della classe lavoratrice deve coincide-re con la liberazione di tutta la società, come preannun-zia il Manifesto. Quindi chiamare Marx il Machiavellidel proletariato, perchè s'è occupato del fatto economi-co, senza guardare al moralismo che respingeva comeutopistico, è un equivoco, il quale diminuisce il conte-nuto del marxismo e anzi ne capovolge il senso.

Concludendo, il Croce, col suo senso storicistico tuttoparticolare, vuol restituire Marx al suo posto, ossia alposto ch'egli s'era dato; e rimettere il materialismo stori-co nei confini che lo possono giustificare, definendolonon come scienza economica generale e tanto meno fi-losofia, ma «come economia sociologica comparativache si aggira intorno ad un problema, il quale è, per lavita storica e sociale, di primario interesse». Se non che,

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a chi fa della politica, un'eticità, un valore morale, chedunque non riguarda soltanto il suo particolarissimo eindividuale interesse. Pur quando, per es., il principeusasse solamente la violenza come strumento di gover-no, bisognerebbe tuttavia ammettere che abbia un certoconsenso, sia pure limitatissimo, magari soltanto la pas-sività degli altri o il facile e superficiale entusiasmo del-le folle correnti sempre dietro al carro dei vincitori. In-somma, bisogna opporre al Croce, che il fatto politiconon si potrebbe neppur definire, se non implicandovi unfatto etico, cioè sociale. Ora, nel concetto sociologico diMarx è invece implicito questo fatto morale, perchè perlui l'uomo è sociale e l'azione politica si definisce comeetica, non solo perchè riguarda tutte le classi, ma perchèalla fine il trionfo della classe lavoratrice deve coincide-re con la liberazione di tutta la società, come preannun-zia il Manifesto. Quindi chiamare Marx il Machiavellidel proletariato, perchè s'è occupato del fatto economi-co, senza guardare al moralismo che respingeva comeutopistico, è un equivoco, il quale diminuisce il conte-nuto del marxismo e anzi ne capovolge il senso.

Concludendo, il Croce, col suo senso storicistico tuttoparticolare, vuol restituire Marx al suo posto, ossia alposto ch'egli s'era dato; e rimettere il materialismo stori-co nei confini che lo possono giustificare, definendolonon come scienza economica generale e tanto meno fi-losofia, ma «come economia sociologica comparativache si aggira intorno ad un problema, il quale è, per lavita storica e sociale, di primario interesse». Se non che,

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rimane sempre fuori da questi termini l'altro Marx, quel-lo della filosofia della pratica e del mito rivoluzionario.Non appena la mano esperta del Gentile lo risuscita dal-le brevi glosse sul Feuerbach, il temperamento filosofi-co di Marx apparisce come il movente di tutta la suadottrina e ce ne spiega anche gli equivoci.

A differenza del Croce, il Gentile, nei due saggi del'99, pubblicati sotto il titolo La filosofia di Marx, si rial-laccia alle brevi glosse al Feuerbach, per risuscitarneuna filosofia della pratica che integra il materialismostorico in senso vie più hegeliano (che io direi piuttostokantiano) e quindi serve a dimostrare che Marx è il fi-gliuol prodigo dell'idealismo assoluto, perchè discendeda Hegel senza rovesciamenti e ne porta con sé un hege-lismo che il Gentile naturalmente considera la parte vivadel suo pensiero, secondo il modo consueto della storio-grafia idealistica, che mentre ebbe il merito di risveglia-re gli studi storici, ebbe poi il torto di rifar la storia daun punto di vista parziale, costringendola dentro deglischemi astratti e preconcetti, con lo scopo di far conver-gere il divenire del pensiero verso l'idealismo assoluto,che ne sarebbe l'ultimo e il più bel fiore.

In che senso dunque Marx sarebbe il figliol prodigodell'idealismo assoluto? Osserva giustamente il Gentile,che la filosofia di Marx è, prima di tutto, una filosofiadella prassi. Il Marx chiama «praxis» il concreto rappor-to di azione e reazione fra l'uomo e il suo ambiente sto-rico-sociale, riducibile alle condizioni economiche.Questo rapporto – che è un modo particolare del rappor-

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rimane sempre fuori da questi termini l'altro Marx, quel-lo della filosofia della pratica e del mito rivoluzionario.Non appena la mano esperta del Gentile lo risuscita dal-le brevi glosse sul Feuerbach, il temperamento filosofi-co di Marx apparisce come il movente di tutta la suadottrina e ce ne spiega anche gli equivoci.

A differenza del Croce, il Gentile, nei due saggi del'99, pubblicati sotto il titolo La filosofia di Marx, si rial-laccia alle brevi glosse al Feuerbach, per risuscitarneuna filosofia della pratica che integra il materialismostorico in senso vie più hegeliano (che io direi piuttostokantiano) e quindi serve a dimostrare che Marx è il fi-gliuol prodigo dell'idealismo assoluto, perchè discendeda Hegel senza rovesciamenti e ne porta con sé un hege-lismo che il Gentile naturalmente considera la parte vivadel suo pensiero, secondo il modo consueto della storio-grafia idealistica, che mentre ebbe il merito di risveglia-re gli studi storici, ebbe poi il torto di rifar la storia daun punto di vista parziale, costringendola dentro deglischemi astratti e preconcetti, con lo scopo di far conver-gere il divenire del pensiero verso l'idealismo assoluto,che ne sarebbe l'ultimo e il più bel fiore.

In che senso dunque Marx sarebbe il figliol prodigodell'idealismo assoluto? Osserva giustamente il Gentile,che la filosofia di Marx è, prima di tutto, una filosofiadella prassi. Il Marx chiama «praxis» il concreto rappor-to di azione e reazione fra l'uomo e il suo ambiente sto-rico-sociale, riducibile alle condizioni economiche.Questo rapporto – che è un modo particolare del rappor-

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to di soggetto (ossia di «spirito») a oggetto (ossia «ma-teria») – non è concreto nel senso di particolare (o em-pirico) in quanto cioè riguarda un particolar contenuto(economico): è concreto nel senso che per il Marx,come aveva intuito il Labriola, l'uomo e il suo ambienteformano un'unica realtà e non due cose esterne unaall'altra. L'uomo non è altro che «bisogno» e «attività»economico-sociale. Il rapporto, quindi, fra soggetto eoggetto è tutto quanto interno.

La «praxis» dunque è concretezza, la quale escludeogni dualismo, il che riavvicina la posizione di Marx aquella di Hegel, affermante l'identità d'ideale e reale. In-vece, il torto di Marx sarà d'aver posto il principiodell'operare nell'attività sensitiva, che per Hegel era unmomento del pensiero, produttivo non come senso, macome pensiero. In Marx, l'organismo del pensiero èl'organismo di un'attività originaria sensitiva («incon-scia», dice il Gentile) a cui, si deve far capo. D'accordo,dunque, che il Marx non ha inteso l'attività sensitivacome passività dell'uomo rispetto a un oggetto dato,bensì come un porre l'oggetto; però qui devia dallo spi-ritualismo hegeliano, perchè pone l'attività (pratica) nel-la sensibilità, la quale non è che il primo grado della co-scienza fenomenologica. Evidentemente, Marx ha il tor-to di non essere Hegel!

Comunque, il materialismo marxista, secondo il Gen-tile, è pur sempre storico, nel senso dell'idealismo, per-chè riguarda un dover essere, l'idea comunista, che ètale a condizione di realizzarsi, e si deve attuare, perchè

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to di soggetto (ossia di «spirito») a oggetto (ossia «ma-teria») – non è concreto nel senso di particolare (o em-pirico) in quanto cioè riguarda un particolar contenuto(economico): è concreto nel senso che per il Marx,come aveva intuito il Labriola, l'uomo e il suo ambienteformano un'unica realtà e non due cose esterne unaall'altra. L'uomo non è altro che «bisogno» e «attività»economico-sociale. Il rapporto, quindi, fra soggetto eoggetto è tutto quanto interno.

La «praxis» dunque è concretezza, la quale escludeogni dualismo, il che riavvicina la posizione di Marx aquella di Hegel, affermante l'identità d'ideale e reale. In-vece, il torto di Marx sarà d'aver posto il principiodell'operare nell'attività sensitiva, che per Hegel era unmomento del pensiero, produttivo non come senso, macome pensiero. In Marx, l'organismo del pensiero èl'organismo di un'attività originaria sensitiva («incon-scia», dice il Gentile) a cui, si deve far capo. D'accordo,dunque, che il Marx non ha inteso l'attività sensitivacome passività dell'uomo rispetto a un oggetto dato,bensì come un porre l'oggetto; però qui devia dallo spi-ritualismo hegeliano, perchè pone l'attività (pratica) nel-la sensibilità, la quale non è che il primo grado della co-scienza fenomenologica. Evidentemente, Marx ha il tor-to di non essere Hegel!

Comunque, il materialismo marxista, secondo il Gen-tile, è pur sempre storico, nel senso dell'idealismo, per-chè riguarda un dover essere, l'idea comunista, che ètale a condizione di realizzarsi, e si deve attuare, perchè

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sintesi necessaria delle antitesi storiche immanenti allasocietà (il comunismo è la sintesi della lotta di classe).Da questo dover essere, d'ordine spirituale, il marxismotrae la sua forza, caratterizzandosi come una filosofiadella prassi, che pone un rapporto fra spirito e materia,dove la materia è posta dallo spirito, ossia un rapportoconcreto, perchè interno all'attività stessa dell'uomo so-ciale, di cui la natura è quell'artificio (ossia quel fattovolontario) ch'è la storia, in cui egli agisce modificandola natura; agisce, perchè è obbligato ad agire, appunto,trovandosi in un'unità sociale. La «praxis» implica so-cietà e corso storico. L'individuo concreto è necessaria-mente pratico, onde la necessità storica e la possibilepredeterminazione dello sviluppo della storia. Difatti, la«praxis» implica finalismo, per cui v'è nella storia e nel-la società un'immanente finalità di sviluppo. Società esvolgimento storico come realtà umana, sono due con-cetti che riavvicinano Marx ad Hegel perchè concreti;solo che l'idealismo idealizzava la storia, mentre Marxla obiettivizza nelle cause materiali.

Il Gentile si diffonde più lungamente sul comunismocritico, implicante la conoscenza della realtà economica,quale strumento per modificarla, e trova giustamenteche la coscienza attiva in quanto critica rientra nella«praxis» per affrettare la soluzione delle antitesi critica-te (salvo sempre, secondo il Gentile, l'equivoco di Marx,che il soggetto sia sensitivo, cioè «inconscio» nel sensohegeliano). Dunque il mondo si deve spiegare mediantela prassi che si rovescia: le circostanze formano l'uomo

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sintesi necessaria delle antitesi storiche immanenti allasocietà (il comunismo è la sintesi della lotta di classe).Da questo dover essere, d'ordine spirituale, il marxismotrae la sua forza, caratterizzandosi come una filosofiadella prassi, che pone un rapporto fra spirito e materia,dove la materia è posta dallo spirito, ossia un rapportoconcreto, perchè interno all'attività stessa dell'uomo so-ciale, di cui la natura è quell'artificio (ossia quel fattovolontario) ch'è la storia, in cui egli agisce modificandola natura; agisce, perchè è obbligato ad agire, appunto,trovandosi in un'unità sociale. La «praxis» implica so-cietà e corso storico. L'individuo concreto è necessaria-mente pratico, onde la necessità storica e la possibilepredeterminazione dello sviluppo della storia. Difatti, la«praxis» implica finalismo, per cui v'è nella storia e nel-la società un'immanente finalità di sviluppo. Società esvolgimento storico come realtà umana, sono due con-cetti che riavvicinano Marx ad Hegel perchè concreti;solo che l'idealismo idealizzava la storia, mentre Marxla obiettivizza nelle cause materiali.

Il Gentile si diffonde più lungamente sul comunismocritico, implicante la conoscenza della realtà economica,quale strumento per modificarla, e trova giustamenteche la coscienza attiva in quanto critica rientra nella«praxis» per affrettare la soluzione delle antitesi critica-te (salvo sempre, secondo il Gentile, l'equivoco di Marx,che il soggetto sia sensitivo, cioè «inconscio» nel sensohegeliano). Dunque il mondo si deve spiegare mediantela prassi che si rovescia: le circostanze formano l'uomo

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e ne sono formate, perchè l'uomo è già uomo sociale;l'effetto reagisce sulla causa e il loro rapporto si rovescia(«praxis» rovesciata) in una sintesi di causa-effetto. Sicostituisce in tal modo il ritmo dialettico, che può ser-virci a definir l'hegelismo permanente dentro la filosofiamarxista: soggetto (attività pratica) – tesi; circostanze,educazione-antitesi; soggetto modificato – sintesi. Ilsoggetto nega sé ponendo l'oggetto (determinazione sin-gola della sua attività, dove l'oggetto è il «non essere» diHegel), e da ciò il divenire del soggetto modificatodall'oggetto. S'applica alla materia il concetto hegelianodello spirito. La società stessa, quindi (e non un'ideaastratta), risolve le sue contradizioni. Il Marx non ha cri-ticato il concetto di prassi applicata alla materia, qualeforma di questo contenuto. Idealista nato, credette dipassare dalla trascendenza all'immanenza, stimando cheil soggetto non sia spirito, attività ideale, ma senso, atti-vità materiale; e che il tutto che diviene sia materia. Eglicolse il più bel fiore dell'idealismo e del materialismo,ma sboccò nella contradizione fra contenuto e forma,«eclettismo di elementi contradditorii».

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e ne sono formate, perchè l'uomo è già uomo sociale;l'effetto reagisce sulla causa e il loro rapporto si rovescia(«praxis» rovesciata) in una sintesi di causa-effetto. Sicostituisce in tal modo il ritmo dialettico, che può ser-virci a definir l'hegelismo permanente dentro la filosofiamarxista: soggetto (attività pratica) – tesi; circostanze,educazione-antitesi; soggetto modificato – sintesi. Ilsoggetto nega sé ponendo l'oggetto (determinazione sin-gola della sua attività, dove l'oggetto è il «non essere» diHegel), e da ciò il divenire del soggetto modificatodall'oggetto. S'applica alla materia il concetto hegelianodello spirito. La società stessa, quindi (e non un'ideaastratta), risolve le sue contradizioni. Il Marx non ha cri-ticato il concetto di prassi applicata alla materia, qualeforma di questo contenuto. Idealista nato, credette dipassare dalla trascendenza all'immanenza, stimando cheil soggetto non sia spirito, attività ideale, ma senso, atti-vità materiale; e che il tutto che diviene sia materia. Eglicolse il più bel fiore dell'idealismo e del materialismo,ma sboccò nella contradizione fra contenuto e forma,«eclettismo di elementi contradditorii».

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XISULLE ORME DI MARX

A differenza dei filosofi, che lo han preceduto, ilMondolfo non si preoccupa tanto di criticare negativa-mente il Marx, quanto più tosto di ricostruire, sopra leGlosse al Feuerbach e quegli altri passi di Marx, che siprestino allo scopo, una filosofia marxista, la quale di-verrebbe la filosofia del socialismo, che non esistevaprima e veramente non è esistita neppur dopo, se nonvagamente6. È possibile costruire sul Marx una filosofiasocialista? In fondo, è questo il problema del Mondolfo,il quale è dunque subito d'accordo con il Croce e colGentile, nonché con il Labriola, nel riconoscere, che ilMarx ha una sua filosofia, almeno abbozzata, come ungerme che si può sviluppare. Anche il Mondolfo riallac-cia il fondamento di questa filosofia all'hegelismo, per-chè ritrova in Marx, prima di tutto, la legge dialettica, laquale però non è più la legge del pensiero astratto, maanzi è il ritmo della filosofia solo in quanto «riproduce ilritmo della realtà che diviene», avendo Marx capovolto

6 Cfr. i due volumi, Sulle orme di Marx, III ed., 1923.

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XISULLE ORME DI MARX

A differenza dei filosofi, che lo han preceduto, ilMondolfo non si preoccupa tanto di criticare negativa-mente il Marx, quanto più tosto di ricostruire, sopra leGlosse al Feuerbach e quegli altri passi di Marx, che siprestino allo scopo, una filosofia marxista, la quale di-verrebbe la filosofia del socialismo, che non esistevaprima e veramente non è esistita neppur dopo, se nonvagamente6. È possibile costruire sul Marx una filosofiasocialista? In fondo, è questo il problema del Mondolfo,il quale è dunque subito d'accordo con il Croce e colGentile, nonché con il Labriola, nel riconoscere, che ilMarx ha una sua filosofia, almeno abbozzata, come ungerme che si può sviluppare. Anche il Mondolfo riallac-cia il fondamento di questa filosofia all'hegelismo, per-chè ritrova in Marx, prima di tutto, la legge dialettica, laquale però non è più la legge del pensiero astratto, maanzi è il ritmo della filosofia solo in quanto «riproduce ilritmo della realtà che diviene», avendo Marx capovolto

6 Cfr. i due volumi, Sulle orme di Marx, III ed., 1923.

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il concetto dell'idealismo assoluto: reale non è il pensie-ro, ma l'uomo sociale. Vuol dire che, secondo il Mon-dolfo, il pensiero marxista si potrebbe risolvere in uncriticismo, cioè in una filosofia critica, perchè rendeconsapevole la dialettica della storia.

Il mondo umano, guardato con gli occhi di Marx, ciapparisce come un'opposizione, la quale si ripeteall'infinito dentro qualsiasi istituto, che non appena co-mincia a svilupparsi, subito tende a scindersi in una de-stra e in una sinistra opposte fra loro. La realtà è antitesisempre risorgente fra passato e avvenire, tradizione e ri-voluzione, storia e antistoria: è storia, in quanto ognifatto ha delle condizioni che lo precedono e lo ricollega-no a un divenire già divenuto; ed è antistoria, in quantone insorge sempre una forza nuova, che si oppone alpassato e rivoluziona le condizioni esistenti, per formarquindi la storia di domani. Come da per tutto, in ogniistituto, e tanto più negl'istituti politici, a un'esigenzaconservatrice e quindi reazionaria s'oppone un'esigenzainnovatrice e rivoluzionaria. Il Marx pensava, che nelladialettica concreta degli opposti, trasportata dal mondoideale di Hegel al mondo reale, storico e sociale, isolan-do uno solo dei due momenti, la tesi o l'antitesi, la de-stra o la sinistra, per costruirvi sopra una teoria dellastoria (come di solito si fa), non si può che metter capoa una teoria parziale, la quale certamente peccherà diastrattezza. Tutte le ideologie precedenti, anche sociali-ste, per il Marx sono astratte (utopistiche) proprio perquesto, che han teorizzato soltanto l'elemento rivoluzio-

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il concetto dell'idealismo assoluto: reale non è il pensie-ro, ma l'uomo sociale. Vuol dire che, secondo il Mon-dolfo, il pensiero marxista si potrebbe risolvere in uncriticismo, cioè in una filosofia critica, perchè rendeconsapevole la dialettica della storia.

Il mondo umano, guardato con gli occhi di Marx, ciapparisce come un'opposizione, la quale si ripeteall'infinito dentro qualsiasi istituto, che non appena co-mincia a svilupparsi, subito tende a scindersi in una de-stra e in una sinistra opposte fra loro. La realtà è antitesisempre risorgente fra passato e avvenire, tradizione e ri-voluzione, storia e antistoria: è storia, in quanto ognifatto ha delle condizioni che lo precedono e lo ricollega-no a un divenire già divenuto; ed è antistoria, in quantone insorge sempre una forza nuova, che si oppone alpassato e rivoluziona le condizioni esistenti, per formarquindi la storia di domani. Come da per tutto, in ogniistituto, e tanto più negl'istituti politici, a un'esigenzaconservatrice e quindi reazionaria s'oppone un'esigenzainnovatrice e rivoluzionaria. Il Marx pensava, che nelladialettica concreta degli opposti, trasportata dal mondoideale di Hegel al mondo reale, storico e sociale, isolan-do uno solo dei due momenti, la tesi o l'antitesi, la de-stra o la sinistra, per costruirvi sopra una teoria dellastoria (come di solito si fa), non si può che metter capoa una teoria parziale, la quale certamente peccherà diastrattezza. Tutte le ideologie precedenti, anche sociali-ste, per il Marx sono astratte (utopistiche) proprio perquesto, che han teorizzato soltanto l'elemento rivoluzio-

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nario (l'antistoria), senza tener conto della tradizione (lastoria). La novità del marxismo starebbe nel suo hegeli-smo di sinistra che rovescia lo Hegel, negando le astrat-tezze e dimostrando che il divenire storico è la dialetticadella tesi e dell'antitesi, intesa concretamente come pras-si che si rovescia, ossia come azione dell'uomosull'ambiente e reazione dell'ambiente sull'uomo.

Qui ci appare il primo grande carattere, che secondoil Mondolfo si può attribuire positivamente alla filosofianascosta sotto il Marx. Il secondo è strettamente connes-so con il primo, e anzi v'è implicito: la filosofia delMarx, a differenza di tutte le precedenti teorie e scuolepolitiche, ch'egli aveva criticate, non ha un fondamentoteoretico, cioè non deduce i suoi principii da fondamentidi tipo teoretico, perchè non vuole averlo. Quando Marxdice di non voler fare della filosofia, ha perfettamenteragione, perchè infatti non ne fa; ma la sua filosofia daesterna diventa interna al metodo stesso adottato perl'azione politica. Ossia: la sua non è una filosofia dellapratica, ma una filosofia pratica. Non vuole solo inter-pretare, vuole cangiare (11.a Glossa). Anzi, il Mondolfointende quest'ultima glossa di Marx, trasformandolacosì: solo chi si prefigge di cangiare il mondo lo sa in-terpretare. Il pensiero, per il Marx, è azione. Su ciò ilMondolfo fonda il principio volontarista e attivista dellaconcezione critico-pratica di Marx, accostandosi al Gen-tile. È il punto più delicato della filosofia marxista.

Questa interpretazione del Mondolfo fa dunque appa-rire nella storia del pensiero una filosofia (marxista) del

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nario (l'antistoria), senza tener conto della tradizione (lastoria). La novità del marxismo starebbe nel suo hegeli-smo di sinistra che rovescia lo Hegel, negando le astrat-tezze e dimostrando che il divenire storico è la dialetticadella tesi e dell'antitesi, intesa concretamente come pras-si che si rovescia, ossia come azione dell'uomosull'ambiente e reazione dell'ambiente sull'uomo.

Qui ci appare il primo grande carattere, che secondoil Mondolfo si può attribuire positivamente alla filosofianascosta sotto il Marx. Il secondo è strettamente connes-so con il primo, e anzi v'è implicito: la filosofia delMarx, a differenza di tutte le precedenti teorie e scuolepolitiche, ch'egli aveva criticate, non ha un fondamentoteoretico, cioè non deduce i suoi principii da fondamentidi tipo teoretico, perchè non vuole averlo. Quando Marxdice di non voler fare della filosofia, ha perfettamenteragione, perchè infatti non ne fa; ma la sua filosofia daesterna diventa interna al metodo stesso adottato perl'azione politica. Ossia: la sua non è una filosofia dellapratica, ma una filosofia pratica. Non vuole solo inter-pretare, vuole cangiare (11.a Glossa). Anzi, il Mondolfointende quest'ultima glossa di Marx, trasformandolacosì: solo chi si prefigge di cangiare il mondo lo sa in-terpretare. Il pensiero, per il Marx, è azione. Su ciò ilMondolfo fonda il principio volontarista e attivista dellaconcezione critico-pratica di Marx, accostandosi al Gen-tile. È il punto più delicato della filosofia marxista.

Questa interpretazione del Mondolfo fa dunque appa-rire nella storia del pensiero una filosofia (marxista) del

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tutto nuova, che nega se stessa come filosofia per porsicome vita, come pratica, cioè una filosofia vivente, cheè il fare stesso: il conoscere è il fare! Partendo dall'unicapremessa, che troviamo nella storia della filosofia, d'unconoscere coincidente con l'agire (Vico), potremmo arri-vare solo con un salto, a traverso tutto l'illuminismo e ilromanticismo, ad una filosofia, la quale finalmente met-terebbe in pratica quel concetto vichiano, del convertirsifra loro del conoscere e del fare.

Questo, in brevissimi termini, è il pensiero del Mon-dolfo, che poi si mette al seguito di Marx per divenirnel'epigono e dare al socialismo una filosofia, la qualeavrebbe questo carattere singolarissimo, d'essere nonsolo filosofia dell'azione, ma sopra tutto azione, il che èfacile poi capovolgere. Allora, a giudizio del Mondolfo,non ci rimane che metterci d'accordo sopra una parola.Marx avrebbe sempre chiamato critico il suo materiali-smo, volendo significare che la prassi rivoluzionaria nonè cieca, che la rivoluzione non è fatta dagli scamiciati,mossi soltanto dalla miseria. Mentre in una lettera giàcitata aveva detto che la miseria è una grandissima forzadella storia, invece nel Manifesto corregge il suo giudi-zio, riconoscendo che in tal caso la prassi sarebbe mossaunicamente dal sentimento e quindi rimarrebbe cieca.Viceversa, noi sappiamo che, per il Marx, la prassi rivo-luzionaria è mossa sempre dalla conoscenza della crisiattraversata dalle istituzioni economiche vigenti, e quin-di da una coscienza critica e appunto per ciò capace disuscitare un movimento di tipo politico, il quale rappre-

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tutto nuova, che nega se stessa come filosofia per porsicome vita, come pratica, cioè una filosofia vivente, cheè il fare stesso: il conoscere è il fare! Partendo dall'unicapremessa, che troviamo nella storia della filosofia, d'unconoscere coincidente con l'agire (Vico), potremmo arri-vare solo con un salto, a traverso tutto l'illuminismo e ilromanticismo, ad una filosofia, la quale finalmente met-terebbe in pratica quel concetto vichiano, del convertirsifra loro del conoscere e del fare.

Questo, in brevissimi termini, è il pensiero del Mon-dolfo, che poi si mette al seguito di Marx per divenirnel'epigono e dare al socialismo una filosofia, la qualeavrebbe questo carattere singolarissimo, d'essere nonsolo filosofia dell'azione, ma sopra tutto azione, il che èfacile poi capovolgere. Allora, a giudizio del Mondolfo,non ci rimane che metterci d'accordo sopra una parola.Marx avrebbe sempre chiamato critico il suo materiali-smo, volendo significare che la prassi rivoluzionaria nonè cieca, che la rivoluzione non è fatta dagli scamiciati,mossi soltanto dalla miseria. Mentre in una lettera giàcitata aveva detto che la miseria è una grandissima forzadella storia, invece nel Manifesto corregge il suo giudi-zio, riconoscendo che in tal caso la prassi sarebbe mossaunicamente dal sentimento e quindi rimarrebbe cieca.Viceversa, noi sappiamo che, per il Marx, la prassi rivo-luzionaria è mossa sempre dalla conoscenza della crisiattraversata dalle istituzioni economiche vigenti, e quin-di da una coscienza critica e appunto per ciò capace disuscitare un movimento di tipo politico, il quale rappre-

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senti la coscienza della classe operaia e spinga questaclasse alla rivoluzione.

Prima dì concludere, apponiamo qualche breve osser-vazione generalissima a questi critici di Marx. La primaquestione: c'è dunque una filosofia (una teoria) sotto ilmetodo rivoluzionario marxista della lotta di classe? IlMarx, in qualche punto, dice di no: il comunismo nonha idee, non è scaturito dal cervello d'un uomo; sì benemuove dall'osservazione dei fatti, e appunto per ciò nonè utopistico. In tal caso, ci dovremmo limitare a parlardi Marx solamente come d'un uomo politico, al qualespetterebbe un posto nella storia, perchè avrebbe dettatoun certo programma a certi partiti, e nient'altro. Ma i fi-losofi si son subito accorti, che dentro al marxismo sinasconde una filosofia. Difatti, per quanto Marx lo ne-ghi, egli fa continuamente della teoria: dal Manifestofino al Capitale, v'imbattete da per tutto in un teoricodella politica, della sociologia e anche in un critico dellafilosofia stessa. Questo pensiero che si vuoi negare,nell'atto stesso in cui si nega, pensa e forma così un si-stema, chiamato poi realistico e contrapposto a quella fi-losofia, che il Marx respinge come utopistica.

Dunque, esaminiamo qual è il contenuto teoretico delmarxismo, riassumendo, intanto, quel che già sappiamo.Prima di tutto, questo: il pensiero teoretico di Marx co-mincia dal momento in cui egli volge le spalle allo He-gel, si pente perfino d'aver «cocotteggiato» con lui efonda la sua sociologia sopra la materia, ossia i bisogni,le attività e i fatti economici. La società, in quel momen-

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senti la coscienza della classe operaia e spinga questaclasse alla rivoluzione.

Prima dì concludere, apponiamo qualche breve osser-vazione generalissima a questi critici di Marx. La primaquestione: c'è dunque una filosofia (una teoria) sotto ilmetodo rivoluzionario marxista della lotta di classe? IlMarx, in qualche punto, dice di no: il comunismo nonha idee, non è scaturito dal cervello d'un uomo; sì benemuove dall'osservazione dei fatti, e appunto per ciò nonè utopistico. In tal caso, ci dovremmo limitare a parlardi Marx solamente come d'un uomo politico, al qualespetterebbe un posto nella storia, perchè avrebbe dettatoun certo programma a certi partiti, e nient'altro. Ma i fi-losofi si son subito accorti, che dentro al marxismo sinasconde una filosofia. Difatti, per quanto Marx lo ne-ghi, egli fa continuamente della teoria: dal Manifestofino al Capitale, v'imbattete da per tutto in un teoricodella politica, della sociologia e anche in un critico dellafilosofia stessa. Questo pensiero che si vuoi negare,nell'atto stesso in cui si nega, pensa e forma così un si-stema, chiamato poi realistico e contrapposto a quella fi-losofia, che il Marx respinge come utopistica.

Dunque, esaminiamo qual è il contenuto teoretico delmarxismo, riassumendo, intanto, quel che già sappiamo.Prima di tutto, questo: il pensiero teoretico di Marx co-mincia dal momento in cui egli volge le spalle allo He-gel, si pente perfino d'aver «cocotteggiato» con lui efonda la sua sociologia sopra la materia, ossia i bisogni,le attività e i fatti economici. La società, in quel momen-

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to, gli appare come società economica. Tutti gl'istitutisociali, non solo giuridici e politici, ma anche morali ereligiosi, non si posson spiegare che mediante il bisognoeconomico. La politica, in ispecie, e poi anche l'eticitàdegli uomini (per es. la formulazione d'imperativi mora-li) non sono altro che il riflettersi nella coscienza di con-dizioni economiche di fatto. Per es., un partito politico èla forza stessa economica, che agisce politicamente.Quindi, in fondo, la scienza sociologica e storica sareb-be l'economia. Viceversa, la critica che abbiamo mossaal Marx, ci ha condotti a una conclusione opposta. Ab-biam veduto, che l'economismo marxista non è nemme-no un economismo! Tutte le volte che Marx fa dell'eco-nomia, e tanto più nel Capitale, troviam delle teorie, chenon corrispondono minimamente ai fatti economici equindi gli economisti han potuto sempre mettere in di-sparte, come se non fossero. Valga l'esempio della famo-sa legge del plus-valore, che non risponde, come ilMarx pretenderebbe, a nessuna osservazione di fatto,ma ad un principio d'ordine morale, che il lavoro sia ele-mento fondamentale dell'economia e debba venir remu-nerato non come uno strumento del capitalista, ma comeun valore finale. Questa non è la constatazione d'un fattoeconomico, bensì l'affermazione d'un ideale che speria-mo di raggiungere un giorno, ma che finora non è statoraggiunto. Noi sappiamo che il prezzo, sul mercato, sidefinisce nel rapporto fra chi produce e chi consuma. Inun mondo puramente economico, come quello in cuivorrebbe rimanere il Marx, la quistione del plus-valore e

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to, gli appare come società economica. Tutti gl'istitutisociali, non solo giuridici e politici, ma anche morali ereligiosi, non si posson spiegare che mediante il bisognoeconomico. La politica, in ispecie, e poi anche l'eticitàdegli uomini (per es. la formulazione d'imperativi mora-li) non sono altro che il riflettersi nella coscienza di con-dizioni economiche di fatto. Per es., un partito politico èla forza stessa economica, che agisce politicamente.Quindi, in fondo, la scienza sociologica e storica sareb-be l'economia. Viceversa, la critica che abbiamo mossaal Marx, ci ha condotti a una conclusione opposta. Ab-biam veduto, che l'economismo marxista non è nemme-no un economismo! Tutte le volte che Marx fa dell'eco-nomia, e tanto più nel Capitale, troviam delle teorie, chenon corrispondono minimamente ai fatti economici equindi gli economisti han potuto sempre mettere in di-sparte, come se non fossero. Valga l'esempio della famo-sa legge del plus-valore, che non risponde, come ilMarx pretenderebbe, a nessuna osservazione di fatto,ma ad un principio d'ordine morale, che il lavoro sia ele-mento fondamentale dell'economia e debba venir remu-nerato non come uno strumento del capitalista, ma comeun valore finale. Questa non è la constatazione d'un fattoeconomico, bensì l'affermazione d'un ideale che speria-mo di raggiungere un giorno, ma che finora non è statoraggiunto. Noi sappiamo che il prezzo, sul mercato, sidefinisce nel rapporto fra chi produce e chi consuma. Inun mondo puramente economico, come quello in cuivorrebbe rimanere il Marx, la quistione del plus-valore e

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del plus-lavoro corrispondente, inteso come il furto per-petrato dal capitale ai danni del lavoro, non avrebbe nes-suna ragion d'essere, appunto perchè non è una quistio-ne d'economia. Dunque non possiamo caratterizzare ilsistema marxista come un sistema economistico e quin-di non possiamo nemmeno chiamarlo materialismo, per-chè questa parola implica una presunzione puramentepolemica, che l'uomo sia soltanto un uomo economico ein fondo non esplichi nessun'altra attività e quindi nonabbia altra coscienza. Questa sarebbe la più grandeastrazione, cui si potrebbe metter capo, tipicizzando, senon proprio l'individualismo economico della borghesia,per lo meno quell'essere umano che si pone per unicofine il guadagno economico.

Quanto al secondo principio, della lotta di classe, an-che qui s'è toccato più volte il problema, sempre conquesta pregiudiziale critica. Vogliamo parlare, come cre-de di parlare il Marx, d'un fatto sociale? Allora va rico-nosciuto subito, che la lotta di classe non è un fatto sto-rico costante. Nei paesi più poveri non c'è lotta di classe,perchè l'affamato, quanto più ha fame, tanto più si umi-lia davanti al suo padrone. Se mai è un fatto particolare,limitato a un certo momento storico e a un certo tipo disocietà, come sarebbe quella borghese in una certa fasedel suo sviluppo (quella di cui si occupa il Marx), quan-do cioè dalla piccola borghesia si viene al grande capita-lismo monopolizzatore e azionario, che prende in manole redini anche della cosa pubblica e domina la societàdel suo tempo, muovendone tutte le fila al solo scopo

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del plus-lavoro corrispondente, inteso come il furto per-petrato dal capitale ai danni del lavoro, non avrebbe nes-suna ragion d'essere, appunto perchè non è una quistio-ne d'economia. Dunque non possiamo caratterizzare ilsistema marxista come un sistema economistico e quin-di non possiamo nemmeno chiamarlo materialismo, per-chè questa parola implica una presunzione puramentepolemica, che l'uomo sia soltanto un uomo economico ein fondo non esplichi nessun'altra attività e quindi nonabbia altra coscienza. Questa sarebbe la più grandeastrazione, cui si potrebbe metter capo, tipicizzando, senon proprio l'individualismo economico della borghesia,per lo meno quell'essere umano che si pone per unicofine il guadagno economico.

Quanto al secondo principio, della lotta di classe, an-che qui s'è toccato più volte il problema, sempre conquesta pregiudiziale critica. Vogliamo parlare, come cre-de di parlare il Marx, d'un fatto sociale? Allora va rico-nosciuto subito, che la lotta di classe non è un fatto sto-rico costante. Nei paesi più poveri non c'è lotta di classe,perchè l'affamato, quanto più ha fame, tanto più si umi-lia davanti al suo padrone. Se mai è un fatto particolare,limitato a un certo momento storico e a un certo tipo disocietà, come sarebbe quella borghese in una certa fasedel suo sviluppo (quella di cui si occupa il Marx), quan-do cioè dalla piccola borghesia si viene al grande capita-lismo monopolizzatore e azionario, che prende in manole redini anche della cosa pubblica e domina la societàdel suo tempo, muovendone tutte le fila al solo scopo

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d'arricchirsi. Può esserci allora una lotta di classe, inquanto la classe si forma unificandosi a mezzo dell'orga-nizzazione sindacale. Per ciò, quando si parla di classe,e di lotta, si parla d'una classe che non c'è, ma si fa, ed'una lotta che non esiste, ma che noi facciamo esistere,dando alla classe una coscienza politica: per cui si supe-ra l'economismo puro e semplice in una prassi riflettenteun benessere a venire, che si cerca di attuare a traversouna propaganda di tipo politico. C'è lotta di classe, dalmomento in cui sorgono dei partiti classisti, i quali l'hanproprio per loro programma. La lotta di classe marxistaè dunque quella che il Marx vuole e chiede alle classidei lavoratori, per una trasformazione sociale. Il che ro-vescia la posizione d'un puro economismo, riguardantela conoscenza scientifica di condizioni economiche difatto, in una posizione di tipo romantico o almeno vo-lontaristico, che diviene spinta all'azione. L'uomo, ilquale prima era in quella coscienza che reagivaall'ambiente (le condizioni di fatto), da cui egli era do-minato, ora diventa protagonista della storia con la suavolontà di dominare.

Son posizioni così diverse, che portan poi, anche poli-ticamente, a risultati molto differenti. Se partiamo dalprimo Marx (economista), il risultato sarà questo: quan-do la lotta di classe abbia conseguito il suo fine, ossia ilavoratori abbiano rivoluzionato la società, detronizzan-do il capitale e prendendo possesso della cosa pubblica,non ci sarà più politica, dal momento che la politica nonsarebbe che l'azione delle stesse forze economiche, per

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d'arricchirsi. Può esserci allora una lotta di classe, inquanto la classe si forma unificandosi a mezzo dell'orga-nizzazione sindacale. Per ciò, quando si parla di classe,e di lotta, si parla d'una classe che non c'è, ma si fa, ed'una lotta che non esiste, ma che noi facciamo esistere,dando alla classe una coscienza politica: per cui si supe-ra l'economismo puro e semplice in una prassi riflettenteun benessere a venire, che si cerca di attuare a traversouna propaganda di tipo politico. C'è lotta di classe, dalmomento in cui sorgono dei partiti classisti, i quali l'hanproprio per loro programma. La lotta di classe marxistaè dunque quella che il Marx vuole e chiede alle classidei lavoratori, per una trasformazione sociale. Il che ro-vescia la posizione d'un puro economismo, riguardantela conoscenza scientifica di condizioni economiche difatto, in una posizione di tipo romantico o almeno vo-lontaristico, che diviene spinta all'azione. L'uomo, ilquale prima era in quella coscienza che reagivaall'ambiente (le condizioni di fatto), da cui egli era do-minato, ora diventa protagonista della storia con la suavolontà di dominare.

Son posizioni così diverse, che portan poi, anche poli-ticamente, a risultati molto differenti. Se partiamo dalprimo Marx (economista), il risultato sarà questo: quan-do la lotta di classe abbia conseguito il suo fine, ossia ilavoratori abbiano rivoluzionato la società, detronizzan-do il capitale e prendendo possesso della cosa pubblica,non ci sarà più politica, dal momento che la politica nonsarebbe che l'azione delle stesse forze economiche, per

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conquistare un dominio inteso soltanto come strumentodella forza economica. Appunto questo risultato i Russicredono d'aver raggiunto. Secondo un rigido e coerenteeconomismo, non v'è più ragione d'un dominio politicodella società e in generale d'una vita e di una lotta politi-ca, dopo che il Partito ha vinto e rovesciato la parte op-posta. Per cui, una votazione politica in Russia non è unfatto politico, ma, direi quasi, amministrativo, come puòsuccedere in un'azienda, dove tutti sian d'accordo circail direttore. Ciò spiega, perchè i Russi ci dànno oggil'esempio di votazioni al cento per cento! La vita politi-ca ricomincia nei rapporti con l'estero, dove non si siaancora realizzato un comunismo mondiale. Se invecepartiamo dal secondo Marx (romantico, volontarista),che sembra ignorare se stesso, allora si capovolge laprospettiva: quando l'attività politica avrà raggiunto unnuovo rapporto di produzione, ritorneranno ancora i par-titi politici, perchè essi non rappresentano lo stato di fat-to, ma un avvenire migliore, mentre nessuno potrà maidire all'uomo: Fermati, oggi sei pago, oggi sei felice!

E non vedo nemmeno lo storicismo, su cui han tantoinsistito i critici di Marx, e dal quale sarebbe venutofuori a dirittura un determinismo economico: perchè, seper storia intendiamo la conoscenza degli avvenimentiriguardanti la società umana, è impossibile uno storici-smo come sistema (una filosofia della storia); la storia èla storia! Non c'è ragione di spiegarla, riportandola a unfondamento. Ma nel Marx non v'è neppure una ricostru-zione e una valutazione obiettiva del fatto storico; al

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conquistare un dominio inteso soltanto come strumentodella forza economica. Appunto questo risultato i Russicredono d'aver raggiunto. Secondo un rigido e coerenteeconomismo, non v'è più ragione d'un dominio politicodella società e in generale d'una vita e di una lotta politi-ca, dopo che il Partito ha vinto e rovesciato la parte op-posta. Per cui, una votazione politica in Russia non è unfatto politico, ma, direi quasi, amministrativo, come puòsuccedere in un'azienda, dove tutti sian d'accordo circail direttore. Ciò spiega, perchè i Russi ci dànno oggil'esempio di votazioni al cento per cento! La vita politi-ca ricomincia nei rapporti con l'estero, dove non si siaancora realizzato un comunismo mondiale. Se invecepartiamo dal secondo Marx (romantico, volontarista),che sembra ignorare se stesso, allora si capovolge laprospettiva: quando l'attività politica avrà raggiunto unnuovo rapporto di produzione, ritorneranno ancora i par-titi politici, perchè essi non rappresentano lo stato di fat-to, ma un avvenire migliore, mentre nessuno potrà maidire all'uomo: Fermati, oggi sei pago, oggi sei felice!

E non vedo nemmeno lo storicismo, su cui han tantoinsistito i critici di Marx, e dal quale sarebbe venutofuori a dirittura un determinismo economico: perchè, seper storia intendiamo la conoscenza degli avvenimentiriguardanti la società umana, è impossibile uno storici-smo come sistema (una filosofia della storia); la storia èla storia! Non c'è ragione di spiegarla, riportandola a unfondamento. Ma nel Marx non v'è neppure una ricostru-zione e una valutazione obiettiva del fatto storico; al

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contrario! Vi sono idee generalissime, gettate con gran-de fantasia e deformanti la storia. Questo storicismo, in-somma, o dovrebbe riguardare la forma (il pensiero) eallora dovrebbe tener conto di tutte le idee, mentre Marxtien conto d'una sola (il comunismo critico), così che sa-rebbe parzialissimo questo sistema formale d'una storiafondata sul solo principio rivoluzionario della lotta diclasse; o dovrebbe riguardare il contenuto, ma non èvero neppur questo, perchè i contenuti reali non interes-sano il Marx, se non in quanto la constatazione di certifatti, per es., delle terribili condizioni in cui si trovavanoi tessitori inglesi di allora, gli servono per spingere inquel momento alla lotta sociale.

Non si tratta neppure d'un materialismo storico, per-chè abbiam veduto che non regge alla critica (non c'èmezzo che per l'uomo non diventi un fine), e nemmenod'un hegelismo o d'un cripto-hegelismo, perchè, nono-stanti tutte le concatenazioni genetiche con lo Hegel,tuttavia abbiam visto, come il Marx abbia ragione didire che il suo non è un sistema hegeliano. Si è dettoperò che è un idealismo – chiamando così il suo volon-tarismo fondato sul bisogno e non sull'idea –, ossia unacostruzione del pensiero, la quale s'impone a un certomomento nell'azione; ma rimane pur sempre un ideali-smo soggettivo, mentre quello di Hegel è oggettivo.Concluderemo dunque, che il fondamento del pensieromarxista è l'attivismo, cui crede il Mondolfo, insiemecon il Gentile? Stando alle glosse, non parrebbe; e menoancora se ci riferiamo al comunismo critico. Conoscere

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contrario! Vi sono idee generalissime, gettate con gran-de fantasia e deformanti la storia. Questo storicismo, in-somma, o dovrebbe riguardare la forma (il pensiero) eallora dovrebbe tener conto di tutte le idee, mentre Marxtien conto d'una sola (il comunismo critico), così che sa-rebbe parzialissimo questo sistema formale d'una storiafondata sul solo principio rivoluzionario della lotta diclasse; o dovrebbe riguardare il contenuto, ma non èvero neppur questo, perchè i contenuti reali non interes-sano il Marx, se non in quanto la constatazione di certifatti, per es., delle terribili condizioni in cui si trovavanoi tessitori inglesi di allora, gli servono per spingere inquel momento alla lotta sociale.

Non si tratta neppure d'un materialismo storico, per-chè abbiam veduto che non regge alla critica (non c'èmezzo che per l'uomo non diventi un fine), e nemmenod'un hegelismo o d'un cripto-hegelismo, perchè, nono-stanti tutte le concatenazioni genetiche con lo Hegel,tuttavia abbiam visto, come il Marx abbia ragione didire che il suo non è un sistema hegeliano. Si è dettoperò che è un idealismo – chiamando così il suo volon-tarismo fondato sul bisogno e non sull'idea –, ossia unacostruzione del pensiero, la quale s'impone a un certomomento nell'azione; ma rimane pur sempre un ideali-smo soggettivo, mentre quello di Hegel è oggettivo.Concluderemo dunque, che il fondamento del pensieromarxista è l'attivismo, cui crede il Mondolfo, insiemecon il Gentile? Stando alle glosse, non parrebbe; e menoancora se ci riferiamo al comunismo critico. Conoscere

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e fare s'identificano proprio? Il Marx distingueva frapensiero e atto. Il soggetto conosce l'oggetto in quantolo «pone», dice Marx; e lo pone in quanto opera. Porrel'oggetto non vuol dire creare l'oggetto. Apprendere fa-cendo non significa altro, se non che noi conosciamo glioggetti in quanto siamo attivi verso di loro: attività cherimane teoretica, se bene subordinata ai fini pratici: tan-to vero che Marx non esclude un'attività teoretica pura,un conoscere per conoscere, quantunque lo lasci da par-te come d'importanza solo dottrinale e scolastica.

Ecco dunque perchè si può chiamare un criticismo ilpensiero di Marx, il quale di fatti dice critico il suo ma-terialismo, perchè adopera l'attività conoscitiva e in fon-do la ragione come strumento dell'azione (come mezzoper agire). Egli afferma che la conoscenza è tale, se ser-ve ad agire; ma non conclude, come invece lo spinge aconcludere il Mondolfo, che la conoscenza è l'azione.Insomma, le glosse dicono, che il soggetto, invece di at-tender passivamente gli oggetti e di riceverli per «intui-zione» o contemplazione, che non si saprebbe come siaoriginata (non avendo l'oggetto in sé alcun valore), valoro incontro, ossia li pone, e li pone perchè sono i finidelle sue azioni. E anche l'ultima glossa non dice, cheper interpretare il mondo bisogna cangiarlo; dice che,oltre che interpretare, si tratta di cangiare ossia, interpre-tiamo per cangiare. La conoscenza è, sì, un modo dellavita pratica, alla quale serve di strumento, ma non siconfonde con essa: tanto vero, che la sua funzione èproprio quella di trasformarsi da mezzo in fine, ponendo

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e fare s'identificano proprio? Il Marx distingueva frapensiero e atto. Il soggetto conosce l'oggetto in quantolo «pone», dice Marx; e lo pone in quanto opera. Porrel'oggetto non vuol dire creare l'oggetto. Apprendere fa-cendo non significa altro, se non che noi conosciamo glioggetti in quanto siamo attivi verso di loro: attività cherimane teoretica, se bene subordinata ai fini pratici: tan-to vero che Marx non esclude un'attività teoretica pura,un conoscere per conoscere, quantunque lo lasci da par-te come d'importanza solo dottrinale e scolastica.

Ecco dunque perchè si può chiamare un criticismo ilpensiero di Marx, il quale di fatti dice critico il suo ma-terialismo, perchè adopera l'attività conoscitiva e in fon-do la ragione come strumento dell'azione (come mezzoper agire). Egli afferma che la conoscenza è tale, se ser-ve ad agire; ma non conclude, come invece lo spinge aconcludere il Mondolfo, che la conoscenza è l'azione.Insomma, le glosse dicono, che il soggetto, invece di at-tender passivamente gli oggetti e di riceverli per «intui-zione» o contemplazione, che non si saprebbe come siaoriginata (non avendo l'oggetto in sé alcun valore), valoro incontro, ossia li pone, e li pone perchè sono i finidelle sue azioni. E anche l'ultima glossa non dice, cheper interpretare il mondo bisogna cangiarlo; dice che,oltre che interpretare, si tratta di cangiare ossia, interpre-tiamo per cangiare. La conoscenza è, sì, un modo dellavita pratica, alla quale serve di strumento, ma non siconfonde con essa: tanto vero, che la sua funzione èproprio quella di trasformarsi da mezzo in fine, ponendo

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l'oggetto dell'attività pratica. Porre significa valutare,criticamente. Marx è tutto qui.

Riepilogando e concludendo: non si può parlare, circail pensiero marxista, né di materialismo né di hegelismoin senso proprio, ma più tosto d'una filosofia dell'azionepolitica, anche questa non intesa però (con il Mondolfo)come una filosofia pratica, ma proprio come una filoso-fia della prassi. Difatti, quello di Marx non si può chia-mare un attivismo, per la ragione detta di sopra: per luiil pensiero è prima di tutto critico, è una valutazione chespinge la volontà verso la meta che ci siam posti. Per-tanto, la sua filosofia rimane nell'ambito d'un criticismoalla maniera di Kant: egli chiama comunismo criticoquell'azione che si fonda sopra la critica dei fatti(dell'esperienza) ed è spinta da un'idealità, ossia da unvalore d'ordine etico, proprio come in fondo era il succodel pensiero kantiano. Anche il documento più impor-tante, che si suol portare a riprova dell'attivismo marxi-sta, il famoso Manifesto dei comunisti pubblicato nel,'48, finisce invece col riconfermare il nostro modo divedere, perchè questo manifesto non si può chiamare néun documento scientifico, né d'altra parte una mitologiautopistica (nel senso di Marx), ma si colloca fra l'uno el'altra: è un rovesciare sopra l'analisi dell'esperienza unaposizione di tipo pratico, la quale è il vero fondamentodel pensiero marxista e che io chiamerei la sua etica dellavoro.

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l'oggetto dell'attività pratica. Porre significa valutare,criticamente. Marx è tutto qui.

Riepilogando e concludendo: non si può parlare, circail pensiero marxista, né di materialismo né di hegelismoin senso proprio, ma più tosto d'una filosofia dell'azionepolitica, anche questa non intesa però (con il Mondolfo)come una filosofia pratica, ma proprio come una filoso-fia della prassi. Difatti, quello di Marx non si può chia-mare un attivismo, per la ragione detta di sopra: per luiil pensiero è prima di tutto critico, è una valutazione chespinge la volontà verso la meta che ci siam posti. Per-tanto, la sua filosofia rimane nell'ambito d'un criticismoalla maniera di Kant: egli chiama comunismo criticoquell'azione che si fonda sopra la critica dei fatti(dell'esperienza) ed è spinta da un'idealità, ossia da unvalore d'ordine etico, proprio come in fondo era il succodel pensiero kantiano. Anche il documento più impor-tante, che si suol portare a riprova dell'attivismo marxi-sta, il famoso Manifesto dei comunisti pubblicato nel,'48, finisce invece col riconfermare il nostro modo divedere, perchè questo manifesto non si può chiamare néun documento scientifico, né d'altra parte una mitologiautopistica (nel senso di Marx), ma si colloca fra l'uno el'altra: è un rovesciare sopra l'analisi dell'esperienza unaposizione di tipo pratico, la quale è il vero fondamentodel pensiero marxista e che io chiamerei la sua etica dellavoro.

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XIILA MAGNA CARTA DEL SOCIALISMO.

Non ci rimane che rileggere insieme qualche paginadel Manifesto, scritto in collaborazione dal Marx e dalloEngels. Anzi, a questo proposito ci sarebbe da fare unostudio, assai fine e delicato, per vedere dove stia lamano dell'uno e dove quella dell'altro: senza dubbio c'èanche la mano di Engels, ma vi si sovrappone sempre ilrimaneggiamento di Marx, salvo qualche punto che ri-mane scoperto. È come un canto a due voci, che nonvan sempre d'accordo. In certo modo, lo Engelsdev'esser stato suggestionato dalla forza, dalla vivacità edall'acume dell'ingegno di Marx.

La prima parte (Borghesia e proletariato) dovrebbeconsistere nel famoso esame storico della borghesia enella deduzione scientifica, secondo Marx, della neces-sità della lotta di classe fra borghesia e proletariato, dicui l'opposizione caratterizzerebbe la società presente(di cent'anni fa!). A traverso un riassunto storico, assaivivace e sommario, Marx vuol dimostrare, che ci sareb-be sempre stata una lotta di classe, la quale tuttavia si

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XIILA MAGNA CARTA DEL SOCIALISMO.

Non ci rimane che rileggere insieme qualche paginadel Manifesto, scritto in collaborazione dal Marx e dalloEngels. Anzi, a questo proposito ci sarebbe da fare unostudio, assai fine e delicato, per vedere dove stia lamano dell'uno e dove quella dell'altro: senza dubbio c'èanche la mano di Engels, ma vi si sovrappone sempre ilrimaneggiamento di Marx, salvo qualche punto che ri-mane scoperto. È come un canto a due voci, che nonvan sempre d'accordo. In certo modo, lo Engelsdev'esser stato suggestionato dalla forza, dalla vivacità edall'acume dell'ingegno di Marx.

La prima parte (Borghesia e proletariato) dovrebbeconsistere nel famoso esame storico della borghesia enella deduzione scientifica, secondo Marx, della neces-sità della lotta di classe fra borghesia e proletariato, dicui l'opposizione caratterizzerebbe la società presente(di cent'anni fa!). A traverso un riassunto storico, assaivivace e sommario, Marx vuol dimostrare, che ci sareb-be sempre stata una lotta di classe, la quale tuttavia si

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sarebbe acuita progressivamente, per assumere soltantooggi il suo aspetto veramente genuino, come noi l'osser-viamo. Benché, in un certo senso, ci sia stata anche pri-ma tanta più miseria e tanta più ricchezza, se ricchezzavuol proprio dire agio goduto in ozio, la vera e proprialotta di classe insorgerebbe soltanto dalla presente socie-tà borghese. Secondo Marx, l'intera società si va scin-dendo ogni giorno di più in due campi nemici, in dueclassi direttamente opposte, la borghesia e il proletaria-to, che divengon gli attori della storia di oggi.

La borghesia contemporanea si è formata per evolu-zione dalla piccola borghesia manifatturiera e artigiana,che a sua volta aveva i suoi precedenti nelle corporazio-ni medioevali. Ma quando dalla piccola borghesia si svi-luppa la grande borghesia industriale, ecco che il mondosi trasforma e il Marx si fa poeta. Mentre vuol esseresempre freddo e analitico, qui s'accende d'un'ammirazio-ne, che è strano non sia stata osservata prima d'ora, nelpresentarci la borghesia con un sentimento di meravigliaper il prodigio ch'essa ha saputo operare nella società,uscendo dal piccolo centro locale, industriale paesanorurale, e aprendosi le vie e i mercati del mondo, aumen-tando i suoi capitali e quindi la sua forza e respingendosempre più indietro, nella sua celere marcia, quelle resi-due classi medioevali, da cui s'era generata e che ormairappresentano solo un ostacolo al suo progresso, un ne-mico dalla parte del passato, mentre ne sorge un altrodalla parte dell'avvenire: il proletariato industriale.

Di conseguenza, anche l'attività politica si rinnova e

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sarebbe acuita progressivamente, per assumere soltantooggi il suo aspetto veramente genuino, come noi l'osser-viamo. Benché, in un certo senso, ci sia stata anche pri-ma tanta più miseria e tanta più ricchezza, se ricchezzavuol proprio dire agio goduto in ozio, la vera e proprialotta di classe insorgerebbe soltanto dalla presente socie-tà borghese. Secondo Marx, l'intera società si va scin-dendo ogni giorno di più in due campi nemici, in dueclassi direttamente opposte, la borghesia e il proletaria-to, che divengon gli attori della storia di oggi.

La borghesia contemporanea si è formata per evolu-zione dalla piccola borghesia manifatturiera e artigiana,che a sua volta aveva i suoi precedenti nelle corporazio-ni medioevali. Ma quando dalla piccola borghesia si svi-luppa la grande borghesia industriale, ecco che il mondosi trasforma e il Marx si fa poeta. Mentre vuol esseresempre freddo e analitico, qui s'accende d'un'ammirazio-ne, che è strano non sia stata osservata prima d'ora, nelpresentarci la borghesia con un sentimento di meravigliaper il prodigio ch'essa ha saputo operare nella società,uscendo dal piccolo centro locale, industriale paesanorurale, e aprendosi le vie e i mercati del mondo, aumen-tando i suoi capitali e quindi la sua forza e respingendosempre più indietro, nella sua celere marcia, quelle resi-due classi medioevali, da cui s'era generata e che ormairappresentano solo un ostacolo al suo progresso, un ne-mico dalla parte del passato, mentre ne sorge un altrodalla parte dell'avvenire: il proletariato industriale.

Di conseguenza, anche l'attività politica si rinnova e

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si accentua: il potere politico, nello Stato moderno, pas-sa nelle mani d'una giunta amministrativa degli affaricomuni di tutta la classe borghese. Ossia: il fatto politi-co perde il suo significato propriamente politico, cheaveva avuto durante il feudalesimo, di acquisizione delpotere e di conquista del dominio da parte dei monarchi,dei feudatari e delle classi privilegiate, e ne acquista unonuovo di più stretta aderenza alle condizioni economi-che. Per ciò la borghesia appare agli occhi di Marxcome una classe rivoluzionaria per sua natura, la qualeha esercitato nella storia un'azione profondamente inno-vatrice, rompendola con tutte le tradizioni e travolgendoogni ostacolo. rifiutando tutti i preconcetti e respingen-do ogni autorità, figlia soltanto di sè stessa e della suaspregiudicata attività, col risultato di scioglier la societàdai vecchi legami, per fondarla esclusivamente sopra ilrapporto economico. Appunto in questo economismo,che dunque sarebbe il frutto della borghesia, il Marxstringe anche la lotta di classe comunista, il che riducesubito la portata filosofica, storica e sociologica dellasua teoria.

«Dovunque è giunta al dominio essa (la borghesia) hadistrutto tutte quelle condizioni di vita, che eran feudali,patriarcali, idilliache. Essa ha distrutti senza pietà tuttiquei legami multicolori, che nel regime feudale avvince-van gli uomini ai loro naturali superiori, e non ha lascia-to fra uomo ed uomo altri vincoli da quelli in fuori delnudo interesse, e dello spietato pagamento in contanti(Ossia: distruggendo le vecchie classi privilegiate, le

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si accentua: il potere politico, nello Stato moderno, pas-sa nelle mani d'una giunta amministrativa degli affaricomuni di tutta la classe borghese. Ossia: il fatto politi-co perde il suo significato propriamente politico, cheaveva avuto durante il feudalesimo, di acquisizione delpotere e di conquista del dominio da parte dei monarchi,dei feudatari e delle classi privilegiate, e ne acquista unonuovo di più stretta aderenza alle condizioni economi-che. Per ciò la borghesia appare agli occhi di Marxcome una classe rivoluzionaria per sua natura, la qualeha esercitato nella storia un'azione profondamente inno-vatrice, rompendola con tutte le tradizioni e travolgendoogni ostacolo. rifiutando tutti i preconcetti e respingen-do ogni autorità, figlia soltanto di sè stessa e della suaspregiudicata attività, col risultato di scioglier la societàdai vecchi legami, per fondarla esclusivamente sopra ilrapporto economico. Appunto in questo economismo,che dunque sarebbe il frutto della borghesia, il Marxstringe anche la lotta di classe comunista, il che riducesubito la portata filosofica, storica e sociologica dellasua teoria.

«Dovunque è giunta al dominio essa (la borghesia) hadistrutto tutte quelle condizioni di vita, che eran feudali,patriarcali, idilliache. Essa ha distrutti senza pietà tuttiquei legami multicolori, che nel regime feudale avvince-van gli uomini ai loro naturali superiori, e non ha lascia-to fra uomo ed uomo altri vincoli da quelli in fuori delnudo interesse, e dello spietato pagamento in contanti(Ossia: distruggendo le vecchie classi privilegiate, le

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caste chiuse, cui s'apparteneva di padre in figlio, hacreato fra gli uomini un'uguaglianza che prima nonc'era, mettendoli fra loro in un rapporto sociale uguali-tario per tutti, quello appunto «del nudo interesse». Seda una parte si avverte un disprezzo – illogico in Marx!– per questa borghesia, dall'altra, traspare pur sempreuna certa ammirazione). Essa ha spento i santi timoridell'estasi religiosa, l'entusiasmo cavalleresco, e la senti-mentalità del piccolo borghese dalle limitate abitudini,immergendo il tutto nell'acqua gelida del calcolo egoi-stico. Ha risolta la dignità personale in un semplice va-lore di scambio; ed alle molte e varie libertà bene acqui-site e consacrate in documenti, essa ha sostituito la solaed unica libertà del commercio, di dura e spietata co-scienza (È la sola libertà veramente democratica! Per-chè nel mondo borghese, anche l'ultimo venuto può di-ventare un capitalista, pur che abbia iniziativa). Al po-sto, in una parola, dello sfruttamento velato di illusionireligiose e politiche, essa ha messo lo sfruttamento aper-to, senza pudori, diretto e brutale.

«La borghesia ha spogliato della loro aureola le pro-fessioni, che per l'innanzi eran tenute per onorande e de-gne di rispetto. Essa ha fatto del medico, del giurista,del prete, del poeta, dello scienziato i suoi salariati.

«La borghesia ha messo in chiaro come la brutale ma-nifestazione della forza, che i nostri reazionarii ammira-no nel medioevo, avesse il suo appropriato complemen-to nella più dozzinale poltroneria. Essa per la prima hadimostrato cosa possa l'attività umana. Essa ha creato

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caste chiuse, cui s'apparteneva di padre in figlio, hacreato fra gli uomini un'uguaglianza che prima nonc'era, mettendoli fra loro in un rapporto sociale uguali-tario per tutti, quello appunto «del nudo interesse». Seda una parte si avverte un disprezzo – illogico in Marx!– per questa borghesia, dall'altra, traspare pur sempreuna certa ammirazione). Essa ha spento i santi timoridell'estasi religiosa, l'entusiasmo cavalleresco, e la senti-mentalità del piccolo borghese dalle limitate abitudini,immergendo il tutto nell'acqua gelida del calcolo egoi-stico. Ha risolta la dignità personale in un semplice va-lore di scambio; ed alle molte e varie libertà bene acqui-site e consacrate in documenti, essa ha sostituito la solaed unica libertà del commercio, di dura e spietata co-scienza (È la sola libertà veramente democratica! Per-chè nel mondo borghese, anche l'ultimo venuto può di-ventare un capitalista, pur che abbia iniziativa). Al po-sto, in una parola, dello sfruttamento velato di illusionireligiose e politiche, essa ha messo lo sfruttamento aper-to, senza pudori, diretto e brutale.

«La borghesia ha spogliato della loro aureola le pro-fessioni, che per l'innanzi eran tenute per onorande e de-gne di rispetto. Essa ha fatto del medico, del giurista,del prete, del poeta, dello scienziato i suoi salariati.

«La borghesia ha messo in chiaro come la brutale ma-nifestazione della forza, che i nostri reazionarii ammira-no nel medioevo, avesse il suo appropriato complemen-to nella più dozzinale poltroneria. Essa per la prima hadimostrato cosa possa l'attività umana. Essa ha creato

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ben altre meraviglie, che non le piramidi egiziane, gliacquedotti romani e le cattedrali gotiche; essa ha con-dotto ben altre imprese che non le migrazioni dei barba-ri o le crociate. (Qui ritorna viva l'ammirazione: la bor-ghesia ha spogliato i ricchi e i signori di quei falsi valo-ri ancor feudali, che son l'ozio e la forza. L’opera diguerra, per es., era tenuta in grande onore nel MedioEvo).

«La borghesia non può esistere se non a patto di rivo-luzionare di continuo gl'istrumenti della produzione, ilche vuol dire i modi e rapporti della produzione, ossia,in ultima analisi, tutto l'insieme dei rapporti sociali(Dunque la borghesia è un fermento, che innova di con-tinuo la società, invece di proseguire passivamente sullastrada già solcata dai padri). La immutata conservazio-ne dell'antica maniera del produrre era la prima condi-zione di esistenza delle antecedenti classi industriali.Cotesto continuato sovvertimento della produzione, co-testo ininterrotto scuotimento delle condizioni sociali,cotesto moto perpetuo, con la insicurezza che assidual'accompagna, contraddistingue l'epoca borghese da tut-te le altre che la precedettero. Tutti gli antichi e irrugini-ti rapporti della vita, con tutto il loro seguito di opinionie credenze ricevute e venerate per tradizione, si dissol-vono; e i nuovi rapporti che subentrano passano fra leanticaglie, prima che abbiano avuto tempo di fissarsi edi consolidarsi. Tutto ciò che avea carattere di stabile erispondente a gerarchia di ceto si svapora, tutto ciò cheera sacro si laicizza, e gli uomini si trovano da ultimo a

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ben altre meraviglie, che non le piramidi egiziane, gliacquedotti romani e le cattedrali gotiche; essa ha con-dotto ben altre imprese che non le migrazioni dei barba-ri o le crociate. (Qui ritorna viva l'ammirazione: la bor-ghesia ha spogliato i ricchi e i signori di quei falsi valo-ri ancor feudali, che son l'ozio e la forza. L’opera diguerra, per es., era tenuta in grande onore nel MedioEvo).

«La borghesia non può esistere se non a patto di rivo-luzionare di continuo gl'istrumenti della produzione, ilche vuol dire i modi e rapporti della produzione, ossia,in ultima analisi, tutto l'insieme dei rapporti sociali(Dunque la borghesia è un fermento, che innova di con-tinuo la società, invece di proseguire passivamente sullastrada già solcata dai padri). La immutata conservazio-ne dell'antica maniera del produrre era la prima condi-zione di esistenza delle antecedenti classi industriali.Cotesto continuato sovvertimento della produzione, co-testo ininterrotto scuotimento delle condizioni sociali,cotesto moto perpetuo, con la insicurezza che assidual'accompagna, contraddistingue l'epoca borghese da tut-te le altre che la precedettero. Tutti gli antichi e irrugini-ti rapporti della vita, con tutto il loro seguito di opinionie credenze ricevute e venerate per tradizione, si dissol-vono; e i nuovi rapporti che subentrano passano fra leanticaglie, prima che abbiano avuto tempo di fissarsi edi consolidarsi. Tutto ciò che avea carattere di stabile erispondente a gerarchia di ceto si svapora, tutto ciò cheera sacro si laicizza, e gli uomini si trovano da ultimo a

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dover considerare le loro condizioni di esistenza con oc-chi liberi d a ogni illusione».

Questa pagina ha un duplice senso: è l'esaltazionedell'operosità sempre nuova della borghesia, e di questovalore umano che si attua continuamente nella storia;ma nello stesso tempo è un atto d'accusa contro questaborghesia, la quale ha ripudiato tutti i valori e non rico-nosce altro Dio che l'oro. L'ammirazione dello storicocontrasta con la critica dell'uomo, che dunque ha unasua etica senza cui non l'avrebbe fatta. Marx continuanel suo esame, per innestare sui caratteri della borghesiaquelli del proletariato. La borghesia industriale non la-vora più su basi nazionali, ma su basi internazionali, su-perando anche i confini delle nazioni, allargando in tuttoil mondo i suoi mercati e allacciando le comunicazionifra tutti i paesi della terra. Come accade per i prodottimateriali, di cui si cercan le materie prime oltre i confininazionali, così è dei prodotti intellettuali, che da pro-prietà d'ogni singola nazione divengono proprietà di tut-ti. Questo però non implica, per il Marx, che non vi siapiù imperialismo: al contrario! «Per via del rapido per-fezionamento di tutti gl'istrumenti della produzione, eper le comunicazioni divenute infinitamente più facili,essa trascina per forza nella corrente della civiltà anchele nazioni più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sonla pesante artiglieria, con la quale atterra tutte le mura-glie cinesi, e con la quale ha fatto capitolare i barbaripiù induriti nell'odio dello straniero. Costringe tutte lenazioni ad adottare le forme della produzione borghese,

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dover considerare le loro condizioni di esistenza con oc-chi liberi d a ogni illusione».

Questa pagina ha un duplice senso: è l'esaltazionedell'operosità sempre nuova della borghesia, e di questovalore umano che si attua continuamente nella storia;ma nello stesso tempo è un atto d'accusa contro questaborghesia, la quale ha ripudiato tutti i valori e non rico-nosce altro Dio che l'oro. L'ammirazione dello storicocontrasta con la critica dell'uomo, che dunque ha unasua etica senza cui non l'avrebbe fatta. Marx continuanel suo esame, per innestare sui caratteri della borghesiaquelli del proletariato. La borghesia industriale non la-vora più su basi nazionali, ma su basi internazionali, su-perando anche i confini delle nazioni, allargando in tuttoil mondo i suoi mercati e allacciando le comunicazionifra tutti i paesi della terra. Come accade per i prodottimateriali, di cui si cercan le materie prime oltre i confininazionali, così è dei prodotti intellettuali, che da pro-prietà d'ogni singola nazione divengono proprietà di tut-ti. Questo però non implica, per il Marx, che non vi siapiù imperialismo: al contrario! «Per via del rapido per-fezionamento di tutti gl'istrumenti della produzione, eper le comunicazioni divenute infinitamente più facili,essa trascina per forza nella corrente della civiltà anchele nazioni più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sonla pesante artiglieria, con la quale atterra tutte le mura-glie cinesi, e con la quale ha fatto capitolare i barbaripiù induriti nell'odio dello straniero. Costringe tutte lenazioni ad adottare le forme della produzione borghese,

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se pure non vogliono perire, e le forza a ricevere ciò chedicesi civilizzazione, ossia a farsi borghesi. A dirla inuna sola espressione, crea un mondo a immagine e simi-litudine sua».

Altro carattere della civiltà borghese è l'urbanesimo,per cui gran parte della popolazione rurale vien sottrattaalla campagna, per trasformarsi nel proletariato dellacittà, col risultato di produrre degli enormi conglomeratiumani, racchiusi nelle mura cittadine, condizione chedivien poi importantissima per comprendere il formarsid'una classe proletaria opposta alla classe borghese; fin-ché il proletariato era disseminato nel mondo, non avevala possibilità di unirsi in associazioni. Anche questo, infondo, è stato reso possibile dalla borghesia, la quale hacentralizzato i mezzi di produzione e raccolto in pochemani la proprietà, centralizzando di conseguenza ancheil potere politico. Giova ripetere, che pur questa leggemarxista di tendenza a centralizzare la produzione, èstata poi smentita, almeno in parte, dagli avvenimenti diquesto secolo: oggi vediamo che le industrie tendononuovamente ad evadere dalle mura cittadine. È vero chele proprietà tendono ad accentrarsi in grandi proprietà,riducendosi in poche mani, ma è anche vero che si pro-duce il fenomeno opposto, dell'atomizzarsi della ric-chezza nel capitalismo azionario. Del pari, non è veroche il formarsi della grande industria verticale abbia im-pedito il prosperare anche delle piccole industrie,dell'artigianato, il quale invece ha seguitato a fiorire. Sequalche piccola iniziativa è stata troncata dalla concor-

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se pure non vogliono perire, e le forza a ricevere ciò chedicesi civilizzazione, ossia a farsi borghesi. A dirla inuna sola espressione, crea un mondo a immagine e simi-litudine sua».

Altro carattere della civiltà borghese è l'urbanesimo,per cui gran parte della popolazione rurale vien sottrattaalla campagna, per trasformarsi nel proletariato dellacittà, col risultato di produrre degli enormi conglomeratiumani, racchiusi nelle mura cittadine, condizione chedivien poi importantissima per comprendere il formarsid'una classe proletaria opposta alla classe borghese; fin-ché il proletariato era disseminato nel mondo, non avevala possibilità di unirsi in associazioni. Anche questo, infondo, è stato reso possibile dalla borghesia, la quale hacentralizzato i mezzi di produzione e raccolto in pochemani la proprietà, centralizzando di conseguenza ancheil potere politico. Giova ripetere, che pur questa leggemarxista di tendenza a centralizzare la produzione, èstata poi smentita, almeno in parte, dagli avvenimenti diquesto secolo: oggi vediamo che le industrie tendononuovamente ad evadere dalle mura cittadine. È vero chele proprietà tendono ad accentrarsi in grandi proprietà,riducendosi in poche mani, ma è anche vero che si pro-duce il fenomeno opposto, dell'atomizzarsi della ric-chezza nel capitalismo azionario. Del pari, non è veroche il formarsi della grande industria verticale abbia im-pedito il prosperare anche delle piccole industrie,dell'artigianato, il quale invece ha seguitato a fiorire. Sequalche piccola iniziativa è stata troncata dalla concor-

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renza della grande industria, altre iniziative artigianesono sorte, o almeno aziende private specializzate nellaproduzione di pochi oggetti ben lavorati, con gusto(l'Italia, per es., ha questa capacità artigiana di produrreuna merce scelta); mentre di solito la grande industriaha preferito fare un lavoro largamente produttivo, se-guendo la convenienza di produr molto e guadagnaresopra un piccolo margine. Quindi la storia ci ha mostra-to, che le leggi marxiste di tendenza son vere solo perun aspetto, perchè di fatto s'è attuata una risultante me-dia (il terzo escluso di Marx!) tra le forme e le forze op-poste che avrebber dovuto escludersi a vicenda.

«Nel suo dominio di classe, che dura appena da unsecolo, la borghesia ha messo in essere delle forze pro-duttive, il cui numero e la cui portata colossale superaquanto avesser mai fatto le passate generazioni tutte in-sieme. Aggiogamento delle forze naturali, le macchine,l'applicazione della chimica alla industria e all'agricoltu-ra, la navigazione a vapore, le ferrovie, il telegrafo elet-trico, la messa a cultura d'interi continenti, i fiumi resinavigabili, delle popolazioni intere sorte quasi miracolo-samente dal suolo: – ma quale dei secoli antecedentiavrebbe mai presentito che tali forze produttive giaces-sero latenti in seno al lavoro sociale?». Adesso rifaccia-mo un passo indietro, per dimostrare che la borghesia havoluto schiantare le precedenti condizioni feudali, to-gliendo via le barriere che dividevano paese da paese.Secondo Marx, questo è avvenuto per ragioni d'interesseeconomico, di fronte alle quali la borghesia non ha più

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renza della grande industria, altre iniziative artigianesono sorte, o almeno aziende private specializzate nellaproduzione di pochi oggetti ben lavorati, con gusto(l'Italia, per es., ha questa capacità artigiana di produrreuna merce scelta); mentre di solito la grande industriaha preferito fare un lavoro largamente produttivo, se-guendo la convenienza di produr molto e guadagnaresopra un piccolo margine. Quindi la storia ci ha mostra-to, che le leggi marxiste di tendenza son vere solo perun aspetto, perchè di fatto s'è attuata una risultante me-dia (il terzo escluso di Marx!) tra le forme e le forze op-poste che avrebber dovuto escludersi a vicenda.

«Nel suo dominio di classe, che dura appena da unsecolo, la borghesia ha messo in essere delle forze pro-duttive, il cui numero e la cui portata colossale superaquanto avesser mai fatto le passate generazioni tutte in-sieme. Aggiogamento delle forze naturali, le macchine,l'applicazione della chimica alla industria e all'agricoltu-ra, la navigazione a vapore, le ferrovie, il telegrafo elet-trico, la messa a cultura d'interi continenti, i fiumi resinavigabili, delle popolazioni intere sorte quasi miracolo-samente dal suolo: – ma quale dei secoli antecedentiavrebbe mai presentito che tali forze produttive giaces-sero latenti in seno al lavoro sociale?». Adesso rifaccia-mo un passo indietro, per dimostrare che la borghesia havoluto schiantare le precedenti condizioni feudali, to-gliendo via le barriere che dividevano paese da paese.Secondo Marx, questo è avvenuto per ragioni d'interesseeconomico, di fronte alle quali la borghesia non ha più

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guardato a confini e ha ripudiato gl'ideali del passato,pur di aprirsi le nuove strade. «Sotto i nostri occhi si vacompiendo un processo analogo». La borghesia deve ce-dere a sua volta perchè è giunta, dice Marx, al suo puntocritico. Essa «rassomiglia allo stregone che si trovi im-potente a dominare le potenze sotterranee che lui stessoabbia evocate». Questa potenza sotterranea è il proleta-riato, il quale attende il momento per reagire con la suaprassi rivoluzionaria. sopra la classe borghese. Qualesarà questo momento? La crisi commerciale. Per la suastessa forza di produzione, per la sua stessa attività fer-vida e mai sazia, per il suo inesausto desiderio di guada-gno, di capitale accumulato, la borghesia va contro adelle crisi e specialmente a quella che si chiama la crisidella sovraproduzione. «Ma la borghesia non ha soltantoammanito le armi, che devono recarle la morte; perchèessa ha anche prodotto gli uomini che quelle armi handa portare, e sono gli operai moderni, i proletarii». Conquesta parola, Marx intende la classe dei lavoratori chenon posseggono nulla, tranne la loro famiglia.

Che succede allora del lavoratore? L'operaio tende aritornare all'artigianato, perchè l'artigiano è un uomo e ilsuo lavoro reca un'impronta personale, che divieneanch'essa un elemento di stima sul mercato. Difatti,chiamando un artigiano ad arredare una casa, non se nepaga il lavoro come se fosse quello d'una macchina, masecondo la valutazione del suo gusto e della sua capaci-tà, tanto vero, che si preferisce un artigiano a un altro,come accadeva nelle botteghe medievali. Invece la gran-

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guardato a confini e ha ripudiato gl'ideali del passato,pur di aprirsi le nuove strade. «Sotto i nostri occhi si vacompiendo un processo analogo». La borghesia deve ce-dere a sua volta perchè è giunta, dice Marx, al suo puntocritico. Essa «rassomiglia allo stregone che si trovi im-potente a dominare le potenze sotterranee che lui stessoabbia evocate». Questa potenza sotterranea è il proleta-riato, il quale attende il momento per reagire con la suaprassi rivoluzionaria. sopra la classe borghese. Qualesarà questo momento? La crisi commerciale. Per la suastessa forza di produzione, per la sua stessa attività fer-vida e mai sazia, per il suo inesausto desiderio di guada-gno, di capitale accumulato, la borghesia va contro adelle crisi e specialmente a quella che si chiama la crisidella sovraproduzione. «Ma la borghesia non ha soltantoammanito le armi, che devono recarle la morte; perchèessa ha anche prodotto gli uomini che quelle armi handa portare, e sono gli operai moderni, i proletarii». Conquesta parola, Marx intende la classe dei lavoratori chenon posseggono nulla, tranne la loro famiglia.

Che succede allora del lavoratore? L'operaio tende aritornare all'artigianato, perchè l'artigiano è un uomo e ilsuo lavoro reca un'impronta personale, che divieneanch'essa un elemento di stima sul mercato. Difatti,chiamando un artigiano ad arredare una casa, non se nepaga il lavoro come se fosse quello d'una macchina, masecondo la valutazione del suo gusto e della sua capaci-tà, tanto vero, che si preferisce un artigiano a un altro,come accadeva nelle botteghe medievali. Invece la gran-

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de industria borghese livella tutti i lavoratori fra loro, ri-ducendoli a macchine e quindi a merce. Allora l'attivitàdell'operaio perde ogni impronta personale, ogni caratte-re d'indipendenza e per ciò anche ogni attrattiva: l'ope-raio sostituisce una leva, il che s'è andato avverando inquesto secolo, in particolare col taylorismo, ossia con laproduzione del lavoro a serie, specialmente nel NordAmerica; oppure l'operaio diventa accessorio della mac-china e non conta più niente per sè stesso e per la suacapacità. Quindi anche la rimunerazione del lavoratoredeve calare a quel limite che è valutato semplicementecome convenienza del costo. Ne veniva, di conseguen-za, quell'altra legge marxista di tendenza: il salario vasempre più livellandosi ai semplici mezzi di sussistenza,proprio perchè l'operaio tende, secondo Marx, a diventa-re semplice strumento di lavoro. Il livellamento delprezzo della merce-lavoro ai mezzi di sussistenza, pro-duce il proletariato vero e proprio. Conseguenza impor-tantissima: si costituisce nella fabbrica un rapporto didominio del padrone sul lavoratore, e viceversa di su-bordinazione assoluta del secondo al primo, del tutto si-mile a quella del militare che obbedisce agli ordini delsuperiore e non ha nessuna responsabilità, perchè è sol-tanto un esecutore meccanico, e quindi moralmente li-mitato, d'una volontà altrui.

Altra legge di tendenza: le piccole e medie classi, so-pravvissute alla distruzione del passato regime pre-bor-ghese, ora si proletarizzano, cioè tendono a livellarsialla vita dell'operaio, perchè anch'esse diventano salaria-

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de industria borghese livella tutti i lavoratori fra loro, ri-ducendoli a macchine e quindi a merce. Allora l'attivitàdell'operaio perde ogni impronta personale, ogni caratte-re d'indipendenza e per ciò anche ogni attrattiva: l'ope-raio sostituisce una leva, il che s'è andato avverando inquesto secolo, in particolare col taylorismo, ossia con laproduzione del lavoro a serie, specialmente nel NordAmerica; oppure l'operaio diventa accessorio della mac-china e non conta più niente per sè stesso e per la suacapacità. Quindi anche la rimunerazione del lavoratoredeve calare a quel limite che è valutato semplicementecome convenienza del costo. Ne veniva, di conseguen-za, quell'altra legge marxista di tendenza: il salario vasempre più livellandosi ai semplici mezzi di sussistenza,proprio perchè l'operaio tende, secondo Marx, a diventa-re semplice strumento di lavoro. Il livellamento delprezzo della merce-lavoro ai mezzi di sussistenza, pro-duce il proletariato vero e proprio. Conseguenza impor-tantissima: si costituisce nella fabbrica un rapporto didominio del padrone sul lavoratore, e viceversa di su-bordinazione assoluta del secondo al primo, del tutto si-mile a quella del militare che obbedisce agli ordini delsuperiore e non ha nessuna responsabilità, perchè è sol-tanto un esecutore meccanico, e quindi moralmente li-mitato, d'una volontà altrui.

Altra legge di tendenza: le piccole e medie classi, so-pravvissute alla distruzione del passato regime pre-bor-ghese, ora si proletarizzano, cioè tendono a livellarsialla vita dell'operaio, perchè anch'esse diventano salaria-

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ti del patronato e quindi rimunerate il meno possibile. Ilche, osserva Marx, le getta nelle file del proletariato;con la riserva però, che queste classi entrano a far partedella famiglia proletaria pur sempre per dei fini oltre-passati dalla storia, cioè per una tendenza a tornare in-dietro, anzi che far procedere avanti la società verso unaforma sempre più economistica e quindi, in certo senso,sempre più borghese, dove però la borghesia verrebbepoi sostituita nella sua funzione attiva di produzione daun'iniziativa statale che succederebbe all'iniziativa indi-viduale.

Qui s'innesta l'altra configurazione storica: quando ilproletariato comincia ad unirsi, formando un grandeesercito, rimane pur sempre alle dipendenze, del capita-lismo e al servizio degli interessi borghesi, per i qualifarebbe anche la sua rivoluzione proletaria, quando vienmesso in moto dalla borghesia in lotta contro i valori so-ciali del vecchio mondo feudale, la monarchia, le aristo-crazie del sangue e della milizia, e via dicendo, a comin-ciare dalla Rivoluzione Francese, la quale è stata fattacon il concorso del proletariato, unito nella comune mi-seria, e tuttavia si caratterizza come una rivoluzione ti-picamente borghese: la lotta del Terzo stato contro ilfeudalismo. Però il proletariato impara a lottare a questascuola di rivoluzione, conseguendo di tanto in tanto an-che le sue proprie vittorie e conquistandosi, secondoMarx, la coscienza di classe, per cui la sua stessa lotta diclasse diventa una lotta politica, così che alla fine la bor-ghesia è in guerra su tutti i fronti: da una parte con il

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ti del patronato e quindi rimunerate il meno possibile. Ilche, osserva Marx, le getta nelle file del proletariato;con la riserva però, che queste classi entrano a far partedella famiglia proletaria pur sempre per dei fini oltre-passati dalla storia, cioè per una tendenza a tornare in-dietro, anzi che far procedere avanti la società verso unaforma sempre più economistica e quindi, in certo senso,sempre più borghese, dove però la borghesia verrebbepoi sostituita nella sua funzione attiva di produzione daun'iniziativa statale che succederebbe all'iniziativa indi-viduale.

Qui s'innesta l'altra configurazione storica: quando ilproletariato comincia ad unirsi, formando un grandeesercito, rimane pur sempre alle dipendenze, del capita-lismo e al servizio degli interessi borghesi, per i qualifarebbe anche la sua rivoluzione proletaria, quando vienmesso in moto dalla borghesia in lotta contro i valori so-ciali del vecchio mondo feudale, la monarchia, le aristo-crazie del sangue e della milizia, e via dicendo, a comin-ciare dalla Rivoluzione Francese, la quale è stata fattacon il concorso del proletariato, unito nella comune mi-seria, e tuttavia si caratterizza come una rivoluzione ti-picamente borghese: la lotta del Terzo stato contro ilfeudalismo. Però il proletariato impara a lottare a questascuola di rivoluzione, conseguendo di tanto in tanto an-che le sue proprie vittorie e conquistandosi, secondoMarx, la coscienza di classe, per cui la sua stessa lotta diclasse diventa una lotta politica, così che alla fine la bor-ghesia è in guerra su tutti i fronti: da una parte con il

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mondo di ieri, e dall'altra con il mondo di domani. Quelproletariato ch'era già il suo esercito, oggi le si rivolgecontro e la borghesia s'affanna invano a ricacciarlo in-dietro, mentre esso cresce di numero e di forza, con lasua organizzazione, e cresce anche, per il Marx, di co-scienza, cioè diviene consapevole d'essere oggetto disfruttamento e d'esser diventato una merce qualunque,ond'è spinto a superare le forme economiche borghesi,aprendosi una via di salvezza.

«Le condizioni di esistenza della vecchia società soncome distrutte nelle condizioni di esistenza del proleta-riato. Il proletariato è senza proprietà; i suoi rapporti conla moglie e coi figliuoli non hanno più nulla di comunecoi rapporti borghesi della famiglia... Le leggi, la mora-le, la religione diventan per esso tanti pregiudizi borghe-si, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi bor-ghesi (Come la borghesia, per suo conto, aveva tolto dimezzo tutti i valori, così adesso il proletariato, per essersolo proletariato, si trova, a sua volta, a non averne piùnessuno)... I proletarii non han nulla di proprio da assi-curare, essi han solo da abolire ogni sicurtà privata, edogni privata guarentigia. (È tutto un mondo che rovesciala scala dei valori!).

«Tutti i movimenti avvenuti fin qui furon di minoran-ze, o nell'interesse delle minoranze. Il movimento prole-tario è il movimento spontaneo della gran maggioranza,nell'interesse della gran maggioranza. Il proletariato, in-fimo strato della società attuale, non può sollevarsi, nonpuò levarsi ritto, senza che tutti i sovrapposti strati della

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mondo di ieri, e dall'altra con il mondo di domani. Quelproletariato ch'era già il suo esercito, oggi le si rivolgecontro e la borghesia s'affanna invano a ricacciarlo in-dietro, mentre esso cresce di numero e di forza, con lasua organizzazione, e cresce anche, per il Marx, di co-scienza, cioè diviene consapevole d'essere oggetto disfruttamento e d'esser diventato una merce qualunque,ond'è spinto a superare le forme economiche borghesi,aprendosi una via di salvezza.

«Le condizioni di esistenza della vecchia società soncome distrutte nelle condizioni di esistenza del proleta-riato. Il proletariato è senza proprietà; i suoi rapporti conla moglie e coi figliuoli non hanno più nulla di comunecoi rapporti borghesi della famiglia... Le leggi, la mora-le, la religione diventan per esso tanti pregiudizi borghe-si, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi bor-ghesi (Come la borghesia, per suo conto, aveva tolto dimezzo tutti i valori, così adesso il proletariato, per essersolo proletariato, si trova, a sua volta, a non averne piùnessuno)... I proletarii non han nulla di proprio da assi-curare, essi han solo da abolire ogni sicurtà privata, edogni privata guarentigia. (È tutto un mondo che rovesciala scala dei valori!).

«Tutti i movimenti avvenuti fin qui furon di minoran-ze, o nell'interesse delle minoranze. Il movimento prole-tario è il movimento spontaneo della gran maggioranza,nell'interesse della gran maggioranza. Il proletariato, in-fimo strato della società attuale, non può sollevarsi, nonpuò levarsi ritto, senza che tutti i sovrapposti strati della

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società ufficiale vadano in frantumi». D'altra parte, laborghesia, a un certo momento, si mostra incapace di re-gnare la società non può più vivere sotto il suo dominio:l'esistenza dell'una è incompatibile con quella dell'altra.«Essa (la borghesia) innanzi tutto produce i suoi propribecchini. La rovina della borghesia e la vittoria del pro-letariato son del pari inevitabili».

Questa prima parte del Manifesto del '48, la MagnaCarta del socialismo e del comunismo, è di gran lungala più importante, per la critica e per la storia, e dunqueconsiste in una specie di quadro storico a tinte dramma-tiche della società borghese, ammirata dal Marx, inquanto è diretta da una classe attiva e libera da precon-cetti e tradizioni, la quale apre il campo della produttivi-tà a qualsiasi individuo che non manchi d'iniziativa, sen-za tenere in nessun conto i vecchi privilegi del sangue edella milizia, e schiude tutte le vie dei mondo all'attivitàeconomica; viceversa odiata e maledetta, in quanto èportata dalla sua esigenza strettamente economista atrattare il lavoro umano come merce, avvilendolo in unacondizione di sfruttamento sempre maggiore, fino apauperizzare del tutto la classe operaia. Drammaticocontrasto, dove la borghesia apparirebbe, ripetiamo,come lo stregone che ha suscitato gli spiriti e non puòpiù domarli! Essa avrebbe allevato nel suo stesso senola forza che deve ucciderla.

Nelle altre parti del Manifesto, si parla invece dellacritica, come viene intesa dal Marx, ossia della tattica diquel partito comunista, che sarebbe la coscienza critica

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società ufficiale vadano in frantumi». D'altra parte, laborghesia, a un certo momento, si mostra incapace di re-gnare la società non può più vivere sotto il suo dominio:l'esistenza dell'una è incompatibile con quella dell'altra.«Essa (la borghesia) innanzi tutto produce i suoi propribecchini. La rovina della borghesia e la vittoria del pro-letariato son del pari inevitabili».

Questa prima parte del Manifesto del '48, la MagnaCarta del socialismo e del comunismo, è di gran lungala più importante, per la critica e per la storia, e dunqueconsiste in una specie di quadro storico a tinte dramma-tiche della società borghese, ammirata dal Marx, inquanto è diretta da una classe attiva e libera da precon-cetti e tradizioni, la quale apre il campo della produttivi-tà a qualsiasi individuo che non manchi d'iniziativa, sen-za tenere in nessun conto i vecchi privilegi del sangue edella milizia, e schiude tutte le vie dei mondo all'attivitàeconomica; viceversa odiata e maledetta, in quanto èportata dalla sua esigenza strettamente economista atrattare il lavoro umano come merce, avvilendolo in unacondizione di sfruttamento sempre maggiore, fino apauperizzare del tutto la classe operaia. Drammaticocontrasto, dove la borghesia apparirebbe, ripetiamo,come lo stregone che ha suscitato gli spiriti e non puòpiù domarli! Essa avrebbe allevato nel suo stesso senola forza che deve ucciderla.

Nelle altre parti del Manifesto, si parla invece dellacritica, come viene intesa dal Marx, ossia della tattica diquel partito comunista, che sarebbe la coscienza critica

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della classe operaia e quindi dovrebbe guidarla alla rivo-luzione sociale. Il comunismo, secondo Marx, non ènemmeno un partito, come poi è divenuto, ma una parte,una frazione, un'ala dei partiti avanzati progressisti. Di-fatti, la seconda parte s'intitola Proletarii e Comunisti.La differenza è perspicua: proletari sono tutti coloro iquali son caduti nella condizione d'esser alimentatiquanto basta perchè possano continuare a produrre; i co-munisti costituirebbero invece quella parte, la quale do-vrebbe dare a tutto il proletariato la coscienza del mo-mento opportuno per la sua redenzione. «I comunistison dunque, in pratica, quella frazione di tutti i partitioperai di tutti i paesi, che è la più decisa, e che più spin-ge ad avanzare: ed essi poi s'avvantaggiano teoretica-mente su la rimanente massa del proletariato per viadell'intendimento netto che hanno, così delle condizionie dell'andamento, come dei resultati generali del movi-mento proletario».

Quindi si pone il programma riguardante l'espropria-zione del capitale, monopolizzato ai fini d'una produzio-ne a esclusivo vantaggio individuale; mentre il capitale,osserva profondamente il Marx, è per sua natura socialee quindi non può restare proprietà individuale. Ho giàdetto, che questo è un punto fondamentale del marxi-smo. Si tratta di due concezioni opposte fra loro. Vedia-mo meglio: «Esser capitalista non vuol dire soltanto chesi occupi una semplice posizione privata, ma che anzi sitiene una posizione sociale nel sistema della produzione.Il capitale è un prodotto collettivo, e non può esser mes-

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della classe operaia e quindi dovrebbe guidarla alla rivo-luzione sociale. Il comunismo, secondo Marx, non ènemmeno un partito, come poi è divenuto, ma una parte,una frazione, un'ala dei partiti avanzati progressisti. Di-fatti, la seconda parte s'intitola Proletarii e Comunisti.La differenza è perspicua: proletari sono tutti coloro iquali son caduti nella condizione d'esser alimentatiquanto basta perchè possano continuare a produrre; i co-munisti costituirebbero invece quella parte, la quale do-vrebbe dare a tutto il proletariato la coscienza del mo-mento opportuno per la sua redenzione. «I comunistison dunque, in pratica, quella frazione di tutti i partitioperai di tutti i paesi, che è la più decisa, e che più spin-ge ad avanzare: ed essi poi s'avvantaggiano teoretica-mente su la rimanente massa del proletariato per viadell'intendimento netto che hanno, così delle condizionie dell'andamento, come dei resultati generali del movi-mento proletario».

Quindi si pone il programma riguardante l'espropria-zione del capitale, monopolizzato ai fini d'una produzio-ne a esclusivo vantaggio individuale; mentre il capitale,osserva profondamente il Marx, è per sua natura socialee quindi non può restare proprietà individuale. Ho giàdetto, che questo è un punto fondamentale del marxi-smo. Si tratta di due concezioni opposte fra loro. Vedia-mo meglio: «Esser capitalista non vuol dire soltanto chesi occupi una semplice posizione privata, ma che anzi sitiene una posizione sociale nel sistema della produzione.Il capitale è un prodotto collettivo, e non può esser mes-

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so in movimento se non per l'attività concorrente dimolti membri della società, e poi, in ultima istanza, soloper mezzo dell'attività combinata di tutti i membri dellasocietà stessa.

«Il capitale non è una potenza personale: esso è unapotenza sociale.

«Se il capitale, dunque, vien trasformato in proprietàcomune, che appartenga a tutti i membri della società,non avviene già perciò che una proprietà personale ven-ga a trasformarsi in una proprietà sociale. Gli è solo ilcarattere sociale della proprietà che si cambia. Essa per-de il carattere di proprietà di classe».

Su questo concetto si basa la necessità, e anche lagiustizia, di espropriare il capitale privato, affinché ven-ga messo a disposizione di tutti, cioè dello Stato. Allora,la parte rimanente di questo secondo capitolo del Mani-festo contiene la polemica contro il capitalismo e i crite-ri e le ragioni ch'esso porta a difesa dei suoi privilegi. Laquestione più grossa riguarda la proprietà, la qualenell'ideologia borghese, come già in quella feudale e re-ligiosa, è considerata un diritto dell'individuo. Anche ilMazzini, per es., è ancora dell'opinione, che la proprietàsia naturalmente individuale. Il Marx e lo Engels obiet-tano, che non si tratta di abolire la proprietà come dirittodi ciascuno a disporre d'un certo numero di beni, i qualisono il corrispondente d'un merito sociale del lavoro,che producendo arricchisce la società. Anzi, proprioperchè questa proprietà dev'essere garantita a tutti, biso-gna espropriare il capitalismo privato! E dunque, per

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so in movimento se non per l'attività concorrente dimolti membri della società, e poi, in ultima istanza, soloper mezzo dell'attività combinata di tutti i membri dellasocietà stessa.

«Il capitale non è una potenza personale: esso è unapotenza sociale.

«Se il capitale, dunque, vien trasformato in proprietàcomune, che appartenga a tutti i membri della società,non avviene già perciò che una proprietà personale ven-ga a trasformarsi in una proprietà sociale. Gli è solo ilcarattere sociale della proprietà che si cambia. Essa per-de il carattere di proprietà di classe».

Su questo concetto si basa la necessità, e anche lagiustizia, di espropriare il capitale privato, affinché ven-ga messo a disposizione di tutti, cioè dello Stato. Allora,la parte rimanente di questo secondo capitolo del Mani-festo contiene la polemica contro il capitalismo e i crite-ri e le ragioni ch'esso porta a difesa dei suoi privilegi. Laquestione più grossa riguarda la proprietà, la qualenell'ideologia borghese, come già in quella feudale e re-ligiosa, è considerata un diritto dell'individuo. Anche ilMazzini, per es., è ancora dell'opinione, che la proprietàsia naturalmente individuale. Il Marx e lo Engels obiet-tano, che non si tratta di abolire la proprietà come dirittodi ciascuno a disporre d'un certo numero di beni, i qualisono il corrispondente d'un merito sociale del lavoro,che producendo arricchisce la società. Anzi, proprioperchè questa proprietà dev'essere garantita a tutti, biso-gna espropriare il capitalismo privato! E dunque, per

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una ragione d'ordine morale, cioè per il meglio stessodella società, in quanto la proprietà capitalistica privataconduce a crisi e a un'anarchia sociale che tornano asvantaggio di tutti. Allo stesso modo, si polemizza con-tro le accuse mosse dal capitalismo borghese al comuni-smo, come al distruttore della famiglia e della coltura.Ormai siamo tutti ben convinti, che nessun partito ditipo comunistico possa andar contro questi dirittidegl'individui. Poteva rimanere un malinteso a propositodel concetto di patria, ma anche questo si scioglie. Il ca-pitalismo rimprovera al comunismo di abolire l'ideolo-gia di patria e distruggere la nazionalità. Il Marx si giu-stifica: «Gli operai non hanno patria (perchè finisconocol non poter riconoscere una patria, che a loro non dàniente, e col volerle invece unificar tutte nell'unità deilavoratori). Non si può toglier loro ciò che non hanno.Ma come il proletariato d'ogni paese deve innanzi tuttoconquistare il potere politico, deve elevarsi a classe na-zionale e deve costituirsi in nazione, così esso è e rima-ne ancora nazionale, sebbene sia tale in un senso affattodiverso da quello della borghesia (Per il lavoratore, nel-la società borghese non v'è altra patria che la sua clas-se!).

«Le delimitazioni e gli antagonismi dei popoli vannovia via sparendo, per lo stesso sviluppo della borghesia,per la libertà del commercio, per l'azione del mercatomondiale, per la uniformità della produzione industrialee per le condizioni di esistenza che da essa derivano.

«Quelle differenze e quegli antagonismi spariranno

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una ragione d'ordine morale, cioè per il meglio stessodella società, in quanto la proprietà capitalistica privataconduce a crisi e a un'anarchia sociale che tornano asvantaggio di tutti. Allo stesso modo, si polemizza con-tro le accuse mosse dal capitalismo borghese al comuni-smo, come al distruttore della famiglia e della coltura.Ormai siamo tutti ben convinti, che nessun partito ditipo comunistico possa andar contro questi dirittidegl'individui. Poteva rimanere un malinteso a propositodel concetto di patria, ma anche questo si scioglie. Il ca-pitalismo rimprovera al comunismo di abolire l'ideolo-gia di patria e distruggere la nazionalità. Il Marx si giu-stifica: «Gli operai non hanno patria (perchè finisconocol non poter riconoscere una patria, che a loro non dàniente, e col volerle invece unificar tutte nell'unità deilavoratori). Non si può toglier loro ciò che non hanno.Ma come il proletariato d'ogni paese deve innanzi tuttoconquistare il potere politico, deve elevarsi a classe na-zionale e deve costituirsi in nazione, così esso è e rima-ne ancora nazionale, sebbene sia tale in un senso affattodiverso da quello della borghesia (Per il lavoratore, nel-la società borghese non v'è altra patria che la sua clas-se!).

«Le delimitazioni e gli antagonismi dei popoli vannovia via sparendo, per lo stesso sviluppo della borghesia,per la libertà del commercio, per l'azione del mercatomondiale, per la uniformità della produzione industrialee per le condizioni di esistenza che da essa derivano.

«Quelle differenze e quegli antagonismi spariranno

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ancor di più per effetto della supremazia del proletaria-to. L'azione combinata, per lo meno dei proletarii deipaesi civilizzati, è una delle condizioni prime della libe-razione del proletariato.

«A misura che verrà abolito lo sfruttamento dell'indi-viduo, verrà anche meno lo sfruttamento di una nazioneper mezzo di un'altra.

«Caduto che sia il contrasto delle classi nell'internodelle nazioni, finirà anche l'antagonismo fra le nazionistesse».

Seguono la breve enunciazione del programma e laconclusione di questa seconda parte: «Quando nel corsodegli eventi le differenze di classe saranno sparite, e tut-ti i mezzi di produzione saran venuti nelle mani degli in-dividui associati, il potere pubblico avrà naturalmenteperduto ogni carattere politico (Sappiamo già, che que-sto concetto deriva dall'altro, che il fatto politico non èche il riflesso delle forze economiche, e quindi il domi-nio politico è il dominio della classe economicamentesuperiore. Per ciò, quando non esista più una classe diquesto tipo, non vi sarà nemmeno più fatto politico). Ilpotere politico, nel senso vero e proprio della parola,non è se non il potere organizzato di una classe per laoppressione di un'altra. Ora se il proletariato nella lottacontro la borghesia è forzato a raccogliersi in classe, ese fattosi poscia per mezzo della rivoluzione classe do-minante distrugge violentemente gli antichi rapporti del-la produzione, esso per tal modo abolendo cotali rappor-ti abolisce le condizioni di esistenza dell'antagonismo di

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ancor di più per effetto della supremazia del proletaria-to. L'azione combinata, per lo meno dei proletarii deipaesi civilizzati, è una delle condizioni prime della libe-razione del proletariato.

«A misura che verrà abolito lo sfruttamento dell'indi-viduo, verrà anche meno lo sfruttamento di una nazioneper mezzo di un'altra.

«Caduto che sia il contrasto delle classi nell'internodelle nazioni, finirà anche l'antagonismo fra le nazionistesse».

Seguono la breve enunciazione del programma e laconclusione di questa seconda parte: «Quando nel corsodegli eventi le differenze di classe saranno sparite, e tut-ti i mezzi di produzione saran venuti nelle mani degli in-dividui associati, il potere pubblico avrà naturalmenteperduto ogni carattere politico (Sappiamo già, che que-sto concetto deriva dall'altro, che il fatto politico non èche il riflesso delle forze economiche, e quindi il domi-nio politico è il dominio della classe economicamentesuperiore. Per ciò, quando non esista più una classe diquesto tipo, non vi sarà nemmeno più fatto politico). Ilpotere politico, nel senso vero e proprio della parola,non è se non il potere organizzato di una classe per laoppressione di un'altra. Ora se il proletariato nella lottacontro la borghesia è forzato a raccogliersi in classe, ese fattosi poscia per mezzo della rivoluzione classe do-minante distrugge violentemente gli antichi rapporti del-la produzione, esso per tal modo abolendo cotali rappor-ti abolisce le condizioni di esistenza dell'antagonismo di

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classe, e cioè abolisce le classi in generale e il suo pro-prio dominio di classe (Anche questo concetto l'abbiamgià criticato, nel senso che ha un valore strettamenteparticolare, come tutti quei concetti di Marx, di cui, lavalidità è limitata dentro i confini della società borghe-se considerata con metodo astraente, cioè prendendonesoltanto l'aspetto economistico, come se ne fossel'aspetto esclusivo)».

La terza parte è dedicata alla critica di tutte le altreteorie socialiste, ormai sorpassate e utopistiche, allequali vien contrapposto il socialismo dei partiti comuni-sti, i quali, com'è detto chiaramente nell'ultima parte,non seguono un'idea (un mito), appunto perchè son rea-listici cioè critici, ossia vivono concretamente la vita deltempo e conformano la loro azione alle condizioni difatto. Ciò conferma la nostra conclusione, che la visionecosì detta storicistica del Marx è però sempre limitata auna storia particolare, nella quale s'inquadrano anche isuoi concetti politici e quindi la sua tattica di tipo rivo-luzionario. Egli risponde alle ragioni e alle forze dellaborghesia con ragioni e con forze che rientrano pur sem-pre nei limiti della società borghese: la sua rivoluzionedi tipo proletario e comunistico è condizionata dallaborghesia, né quindi le si può attribuire, come s'è cerca-to, un valore universalistico. Non sarebbe inutile dimo-strare storicamente, come l'aver preso alla lettera alcuneparti di Marx abbia poi condotto la politica successivadei partiti comunisti a delle aberrazioni, come son quel-le del comunismo russo.

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classe, e cioè abolisce le classi in generale e il suo pro-prio dominio di classe (Anche questo concetto l'abbiamgià criticato, nel senso che ha un valore strettamenteparticolare, come tutti quei concetti di Marx, di cui, lavalidità è limitata dentro i confini della società borghe-se considerata con metodo astraente, cioè prendendonesoltanto l'aspetto economistico, come se ne fossel'aspetto esclusivo)».

La terza parte è dedicata alla critica di tutte le altreteorie socialiste, ormai sorpassate e utopistiche, allequali vien contrapposto il socialismo dei partiti comuni-sti, i quali, com'è detto chiaramente nell'ultima parte,non seguono un'idea (un mito), appunto perchè son rea-listici cioè critici, ossia vivono concretamente la vita deltempo e conformano la loro azione alle condizioni difatto. Ciò conferma la nostra conclusione, che la visionecosì detta storicistica del Marx è però sempre limitata auna storia particolare, nella quale s'inquadrano anche isuoi concetti politici e quindi la sua tattica di tipo rivo-luzionario. Egli risponde alle ragioni e alle forze dellaborghesia con ragioni e con forze che rientrano pur sem-pre nei limiti della società borghese: la sua rivoluzionedi tipo proletario e comunistico è condizionata dallaborghesia, né quindi le si può attribuire, come s'è cerca-to, un valore universalistico. Non sarebbe inutile dimo-strare storicamente, come l'aver preso alla lettera alcuneparti di Marx abbia poi condotto la politica successivadei partiti comunisti a delle aberrazioni, come son quel-le del comunismo russo.

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Segue la quarta, brevissima parte, che definisce la tat-tica: «In una parola i comunisti appoggiano da per tuttoogni movimento rivoluzionario, che sia diretto contro ilpresente stato di cose politico e sociale». Essi «lavoranoall'intesa ed all'unione dei partiti democratici d'ogni pae-se». Questa dunque è la tattica dell'ala più avanzatad'ogni partito progressista, che si ponga dalla parte dellaclasse operaia. Subito dopo però vien quell'altra affer-mazione a tinta forte, mille volte ripetuta: «I comunistidisdegnano di celare le loro vedute e i loro intendimenti.Essi confessano apertamente, che i loro intenti non pos-sono esser raggiunti se non per via della violenta sov-versione del tradizionale ordinamento sociale. Che leclassi dominanti paventino lo scoppio di una rivoluzionecomunistica. I proletarii non ci han da perdere che leloro catene. Hanno da guadagnarci tutto un mondo».Cioè, la tattica del comunismo dovrebb'essere unica-mente rivoluzionaria, non nel senso d'una rivoluzionepacifica e graduale, ma nel senso della violenta soppres-sione della classe capitalistica. Già in un altro punto,Marx aveva parlato di presa di possesso violenta del po-tere. Segue l'appello finale: PROLETARI DI TUTTO ILMONDO UNITEVI!

C'è dunque un'antitesi, in questo modo d'intenderl'opera del comunismo, ora come comunismo democra-tico, che lavora all'unione dei partiti democratici d'ognipaese, per raggiungere in fine l'unione di tutti i proletaridel mondo in un'azione internazionale; ora invece cometattica extra-legale, e quindi non democratica, il che por-

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Segue la quarta, brevissima parte, che definisce la tat-tica: «In una parola i comunisti appoggiano da per tuttoogni movimento rivoluzionario, che sia diretto contro ilpresente stato di cose politico e sociale». Essi «lavoranoall'intesa ed all'unione dei partiti democratici d'ogni pae-se». Questa dunque è la tattica dell'ala più avanzatad'ogni partito progressista, che si ponga dalla parte dellaclasse operaia. Subito dopo però vien quell'altra affer-mazione a tinta forte, mille volte ripetuta: «I comunistidisdegnano di celare le loro vedute e i loro intendimenti.Essi confessano apertamente, che i loro intenti non pos-sono esser raggiunti se non per via della violenta sov-versione del tradizionale ordinamento sociale. Che leclassi dominanti paventino lo scoppio di una rivoluzionecomunistica. I proletarii non ci han da perdere che leloro catene. Hanno da guadagnarci tutto un mondo».Cioè, la tattica del comunismo dovrebb'essere unica-mente rivoluzionaria, non nel senso d'una rivoluzionepacifica e graduale, ma nel senso della violenta soppres-sione della classe capitalistica. Già in un altro punto,Marx aveva parlato di presa di possesso violenta del po-tere. Segue l'appello finale: PROLETARI DI TUTTO ILMONDO UNITEVI!

C'è dunque un'antitesi, in questo modo d'intenderl'opera del comunismo, ora come comunismo democra-tico, che lavora all'unione dei partiti democratici d'ognipaese, per raggiungere in fine l'unione di tutti i proletaridel mondo in un'azione internazionale; ora invece cometattica extra-legale, e quindi non democratica, il che por-

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ta a una concezione opposta, non soltanto per la contra-dizione fra violenza e democrazia, bensì anche perl'altra contradizione fra la rivoluzione, intesa comel'opera d'un'élite, necessaria per il conseguimento d'unarivoluzione violenta, e la rivoluzione intesa come l'operacollettiva d'una classe e quindi, in fondo, pacifica. Tuttele esperienze, da un secolo a questa parte, han dimostra-to, che rivoluzione affidata all'unità del proletariato e ri-voluzione con metodo violento non si conciliano, per lasemplice ragione che il lavoratore, appunto perchè tale,è pacifico per natura; mentre solo le organizzazioni mi-litari possono adottare il metodo della violenza. Quindici vorrebbe, nel caso d'una tattica anti-democratica,un'élite, la quale formasse delle squadre d'azione e si va-lesse della loro forza per operare la sovversione violentadell'ordine costituito, magari poi domandando a tutto ilproletariato il favore e l'investitura del potere.

Son proprio due concezioni opposte, il che si puòspiegare anche con il fatto, che nel Manifesto dei comu-nisti, come in tutta la dottrina di Marx, s'alternan sempredue facce: l'una sarebbe quella del freddo economismo,il quale, come spinge il Marx ad ammirare la società ditipo borghese per i risultati che ha saputo raggiungerefondandosi sul puro fatto economico, così dovrebbe an-che portarlo, sul piano politico, a un democratismo fon-dato sull'organizzazione degli operai in forma pacifica equindi ancora iscritto dentro il sistema della società ca-pitalistica borghese, e pertanto pacifico, perchè sappia-mo che in fondo le società di tipo industriale dovrebbero

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ta a una concezione opposta, non soltanto per la contra-dizione fra violenza e democrazia, bensì anche perl'altra contradizione fra la rivoluzione, intesa comel'opera d'un'élite, necessaria per il conseguimento d'unarivoluzione violenta, e la rivoluzione intesa come l'operacollettiva d'una classe e quindi, in fondo, pacifica. Tuttele esperienze, da un secolo a questa parte, han dimostra-to, che rivoluzione affidata all'unità del proletariato e ri-voluzione con metodo violento non si conciliano, per lasemplice ragione che il lavoratore, appunto perchè tale,è pacifico per natura; mentre solo le organizzazioni mi-litari possono adottare il metodo della violenza. Quindici vorrebbe, nel caso d'una tattica anti-democratica,un'élite, la quale formasse delle squadre d'azione e si va-lesse della loro forza per operare la sovversione violentadell'ordine costituito, magari poi domandando a tutto ilproletariato il favore e l'investitura del potere.

Son proprio due concezioni opposte, il che si puòspiegare anche con il fatto, che nel Manifesto dei comu-nisti, come in tutta la dottrina di Marx, s'alternan sempredue facce: l'una sarebbe quella del freddo economismo,il quale, come spinge il Marx ad ammirare la società ditipo borghese per i risultati che ha saputo raggiungerefondandosi sul puro fatto economico, così dovrebbe an-che portarlo, sul piano politico, a un democratismo fon-dato sull'organizzazione degli operai in forma pacifica equindi ancora iscritto dentro il sistema della società ca-pitalistica borghese, e pertanto pacifico, perchè sappia-mo che in fondo le società di tipo industriale dovrebbero

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esser pacifiste – è vero che tante volte sono scoppiateguerre, dove sono intervenuti pur gl'interessi industriali;ma è anche vero, che vi sono intervenuti soltanto indi-rettamente, per la solita anarchia del capitalismo indivi-duale, il quale non bada alle conseguenze ultime del suoprodur per produrre, incurante delle crisi di sovraprodu-zione –; l'altra faccia è quella opposta, che abbiam chia-mato romantica, della lotta, dell'antitesi, della dialetticadi tipo hegeliano, trasportata sul piano della storia con-creta a rovesciare le forme sociali esistenti, sotto la spin-ta d'una coscienza critica.

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esser pacifiste – è vero che tante volte sono scoppiateguerre, dove sono intervenuti pur gl'interessi industriali;ma è anche vero, che vi sono intervenuti soltanto indi-rettamente, per la solita anarchia del capitalismo indivi-duale, il quale non bada alle conseguenze ultime del suoprodur per produrre, incurante delle crisi di sovraprodu-zione –; l'altra faccia è quella opposta, che abbiam chia-mato romantica, della lotta, dell'antitesi, della dialetticadi tipo hegeliano, trasportata sul piano della storia con-creta a rovesciare le forme sociali esistenti, sotto la spin-ta d'una coscienza critica.

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XIIIPER UNA FILOSOFIA DEL SOCIALISMO.

Guardando poi nel suo insieme questo Manifesto, cheha avuto un'importanza politica così grande, bisogna an-cor fare una critica, prima di concludere. V'è, nel Mani-festo, una posizione unilaterale, per le ragioni che hodetto, ossia perchè davanti agli occhi di Marx non c'erase non la lotta fra il capitalismo e i salariati, cioè unaspeciale concezione storica, la quale riguarda la grandeindustria borghese, sopra tutto nel passaggio dalla pic-cola alla grande borghesia, al grande capitale monopo-lizzatore e industrializzatore, quando la società è tuttaassorta nelle sue ragioni strettamente economiche e nel-le leggi di ferro dell'economia. Ma è sempre un'astrazio-ne! Se ci mettiamo dal punto di vista storico, per risalirepoi a quello filosofico, dal quale Marx discendeva, dob-biam rilevare questo carattere astraente del pensieromarxista, che ci appare allora come un pensiero roman-tico a forti chiaroscuri, sbalzanti in grande rilievo sol-tanto un aspetto della società borghese, lasciandone in-vece del tutto in ombra un altro carattere, che pur le

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XIIIPER UNA FILOSOFIA DEL SOCIALISMO.

Guardando poi nel suo insieme questo Manifesto, cheha avuto un'importanza politica così grande, bisogna an-cor fare una critica, prima di concludere. V'è, nel Mani-festo, una posizione unilaterale, per le ragioni che hodetto, ossia perchè davanti agli occhi di Marx non c'erase non la lotta fra il capitalismo e i salariati, cioè unaspeciale concezione storica, la quale riguarda la grandeindustria borghese, sopra tutto nel passaggio dalla pic-cola alla grande borghesia, al grande capitale monopo-lizzatore e industrializzatore, quando la società è tuttaassorta nelle sue ragioni strettamente economiche e nel-le leggi di ferro dell'economia. Ma è sempre un'astrazio-ne! Se ci mettiamo dal punto di vista storico, per risalirepoi a quello filosofico, dal quale Marx discendeva, dob-biam rilevare questo carattere astraente del pensieromarxista, che ci appare allora come un pensiero roman-tico a forti chiaroscuri, sbalzanti in grande rilievo sol-tanto un aspetto della società borghese, lasciandone in-vece del tutto in ombra un altro carattere, che pur le

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compete storicamente: il liberalismo!La borghesia, formatasi già prima della Rivoluzione

Francese, giunge qui a proclamare tutti i diritti umani,fondandoli sopra la libertà, il valore nuovo, che primanon c'era, e opposto al privilegio feudale: tutti gli uomi-ni han gli stessi diritti per il solo fatto d'esser uomini,ossia perchè la dignità umana si attinge appuntonell'esercizio della propria libera iniziativa. Tra feudale-simo e borghesia la vera differenza radicale non è l'eco-nomismo borghese, ma questo liberalismo, che politica-mente significa democrazia, cioè uno Stato concepitonel senso che ciascun individuo vi ha garantite tutte lefacoltà e può esercitarle liberamente. Dal liberalismo èpoi sorto il liberismo economico, il quale da principio fuanch'esso una teoria di libertà, contradetta poi dalle sueconseguenze storiche (il monopolio), che il Marx criticaappunto perchè son l'opposto del liberalismo, ossia per-chè quella libertà si è risolta di fatto nel suo contrario.Quindi, bisogna tener presente questo principio della li-bertà, il quale cresce insieme con la borghesia, che dun-que non si può criticare condannandola in blocco comefosse male per sé, anzi che solo per gli aspetti economi-ci in cui ha contradetto il principio di libertà, quando s'èrovesciata sopra se stessa. Anzi, riscattare questo princi-pio di libertà significa restituire all'iniziativa individualetutto il suo valore e tutto il suo merito; combattere laborghesia in questo senso, vuol dir combattere il nuovofeudalesimo borghese!

Che il Marx non abbia tenuto conto (perchè non volle

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compete storicamente: il liberalismo!La borghesia, formatasi già prima della Rivoluzione

Francese, giunge qui a proclamare tutti i diritti umani,fondandoli sopra la libertà, il valore nuovo, che primanon c'era, e opposto al privilegio feudale: tutti gli uomi-ni han gli stessi diritti per il solo fatto d'esser uomini,ossia perchè la dignità umana si attinge appuntonell'esercizio della propria libera iniziativa. Tra feudale-simo e borghesia la vera differenza radicale non è l'eco-nomismo borghese, ma questo liberalismo, che politica-mente significa democrazia, cioè uno Stato concepitonel senso che ciascun individuo vi ha garantite tutte lefacoltà e può esercitarle liberamente. Dal liberalismo èpoi sorto il liberismo economico, il quale da principio fuanch'esso una teoria di libertà, contradetta poi dalle sueconseguenze storiche (il monopolio), che il Marx criticaappunto perchè son l'opposto del liberalismo, ossia per-chè quella libertà si è risolta di fatto nel suo contrario.Quindi, bisogna tener presente questo principio della li-bertà, il quale cresce insieme con la borghesia, che dun-que non si può criticare condannandola in blocco comefosse male per sé, anzi che solo per gli aspetti economi-ci in cui ha contradetto il principio di libertà, quando s'èrovesciata sopra se stessa. Anzi, riscattare questo princi-pio di libertà significa restituire all'iniziativa individualetutto il suo valore e tutto il suo merito; combattere laborghesia in questo senso, vuol dir combattere il nuovofeudalesimo borghese!

Che il Marx non abbia tenuto conto (perchè non volle

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tenerne) di questo secondo carattere della civiltà borghe-se, torna a dimostrarci ancor meglio che dunque il suopensiero non è uno storicismo, perchè manca d'esattezzastorica; allo stesso modo, come non è neppure una filo-sofia di tipo materialistico, perchè è invece l'astrazionedi un verismo in fondo romantico. Allora diciamo che lasua è una teoria d'ordine morale, perchè ha tutti i carat-teri della filosofia morale. Quando si entra nell'ordinepratico, si acquista tutto il diritto di dimenticar quelloche non serve, di affermare radicalmente una tesi, di at-testare un'istanza, di esagerare e deformare quanto si vo-glia, di violentare anche la verità storica, se si crede chela tesi sia giusta. Quella di Marx è una posizione etica eha il grande merito d'aver iniziato una vera e propria eti-ca del lavoro, ossia una concezione morale universaledella società, dove il lavoro, da prezzo che era, facenteparte del costo della produzione, prende valore e acqui-sta la sua dignità, perchè ha un merito sociale, in quantoil lavoro di ciascuno si riversa nel beneficio di tutti. Illavoro così inteso, come il nuovo valore sociale, giusti-fica eticamente la rivoluzione, mediante cui il proleta-riato liberandosi libera tutta la società dallo sfruttamen-to, sostituendo all'appropriazione privata del capitale illavoro associato e il controllo sociale. La classe ha perfine la società. In tal senso è classe politica, partito. È laconclusione che scoppia alla fine della seconda parte delManifesto: «Alla società borghese, con le sue classi ecoi suoi antagonismi di classe, subentrerà un'associazio-ne, nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la con-

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tenerne) di questo secondo carattere della civiltà borghe-se, torna a dimostrarci ancor meglio che dunque il suopensiero non è uno storicismo, perchè manca d'esattezzastorica; allo stesso modo, come non è neppure una filo-sofia di tipo materialistico, perchè è invece l'astrazionedi un verismo in fondo romantico. Allora diciamo che lasua è una teoria d'ordine morale, perchè ha tutti i carat-teri della filosofia morale. Quando si entra nell'ordinepratico, si acquista tutto il diritto di dimenticar quelloche non serve, di affermare radicalmente una tesi, di at-testare un'istanza, di esagerare e deformare quanto si vo-glia, di violentare anche la verità storica, se si crede chela tesi sia giusta. Quella di Marx è una posizione etica eha il grande merito d'aver iniziato una vera e propria eti-ca del lavoro, ossia una concezione morale universaledella società, dove il lavoro, da prezzo che era, facenteparte del costo della produzione, prende valore e acqui-sta la sua dignità, perchè ha un merito sociale, in quantoil lavoro di ciascuno si riversa nel beneficio di tutti. Illavoro così inteso, come il nuovo valore sociale, giusti-fica eticamente la rivoluzione, mediante cui il proleta-riato liberandosi libera tutta la società dallo sfruttamen-to, sostituendo all'appropriazione privata del capitale illavoro associato e il controllo sociale. La classe ha perfine la società. In tal senso è classe politica, partito. È laconclusione che scoppia alla fine della seconda parte delManifesto: «Alla società borghese, con le sue classi ecoi suoi antagonismi di classe, subentrerà un'associazio-ne, nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la con-

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dizione del libero sviluppo di tutti», o meglio, a rove-scio: il libero sviluppo di tutti sarà la condizione del li-bero sviluppo di ciascuno!

Fermiamoci brevemente su questa conclusione, perriepilogare e chiarir meglio. Il comunismo marxista,quantunque si dichiarasse «critico», non criticò a fondoil concetto medesimo di «valore», ereditato dal liberi-smo utilitario nato e cresciuto insieme con l'economiaborghese, e sperò di combatterla sul suo stesso terreno(la lotta economica di classe). Ma per giustificare criti-camente la rivoluzione classista non basta la conoscenzaobbiettiva delle forme e delle forze economiche, né ba-sta lo stato di miseria d'una classe di fronte all'opulenzadell'altra. Opponendo soltanto poveri e ricchi, ma rima-nendo nella sfera dell'economismo utilitario, sarà suffi-ciente che i ricchi (com'è avvenuto in America), aumen-tando la loro ricchezza con la concentrazione monopoli-stica del capitale, aumentino anche quella dei lavoratori,per evitare la rivoluzione sociale. Era invece nell'etica diquesta economia che si doveva cercare (e quindi porrepoliticamente) la molla che ridèsti una coscienza eun'azione di classe.

Con l'etica individualista il rapporto sociale non è, infondo, che un rapporto inter-individuale per la necessa-ria divisione del lavoro; un «contratto» in cui vige il dout des, e si tratta di prendere il più possibile dando ilmeno possibile. Tutto discende a valore economico, mail valore economico a sua volta discende al livello di unmezzo utile per appagare i bisogni personali e familiari:

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dizione del libero sviluppo di tutti», o meglio, a rove-scio: il libero sviluppo di tutti sarà la condizione del li-bero sviluppo di ciascuno!

Fermiamoci brevemente su questa conclusione, perriepilogare e chiarir meglio. Il comunismo marxista,quantunque si dichiarasse «critico», non criticò a fondoil concetto medesimo di «valore», ereditato dal liberi-smo utilitario nato e cresciuto insieme con l'economiaborghese, e sperò di combatterla sul suo stesso terreno(la lotta economica di classe). Ma per giustificare criti-camente la rivoluzione classista non basta la conoscenzaobbiettiva delle forme e delle forze economiche, né ba-sta lo stato di miseria d'una classe di fronte all'opulenzadell'altra. Opponendo soltanto poveri e ricchi, ma rima-nendo nella sfera dell'economismo utilitario, sarà suffi-ciente che i ricchi (com'è avvenuto in America), aumen-tando la loro ricchezza con la concentrazione monopoli-stica del capitale, aumentino anche quella dei lavoratori,per evitare la rivoluzione sociale. Era invece nell'etica diquesta economia che si doveva cercare (e quindi porrepoliticamente) la molla che ridèsti una coscienza eun'azione di classe.

Con l'etica individualista il rapporto sociale non è, infondo, che un rapporto inter-individuale per la necessa-ria divisione del lavoro; un «contratto» in cui vige il dout des, e si tratta di prendere il più possibile dando ilmeno possibile. Tutto discende a valore economico, mail valore economico a sua volta discende al livello di unmezzo utile per appagare i bisogni personali e familiari:

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per meglio dire, è un valore strumentale (e quindi unnon valore morale) che diviene scopo temporaneo dirapporti economici e in ciò soltanto si socializza.Nell'etica borghese, riflettente il razionalismo, i valorimorali stanno dalla parte opposta a quella della solida-rietà sociale (per es. cristiana o socialista); stanno nellaricchezza privata, comunque acquistata (non olet!), op-pure (e insieme) nella cultura e nei cosiddetti valori del-lo spirito. Perciò il fine utilitario è al tempo stesso spre-giato moralmente e perseguito praticamente fino allospasimo. Cacciato fuori della sfera etica, il valore eco-nomico si doveva ridurre al prezzo sopra un mercatosenza scrupoli. L'oro, anche se bagnato di fango o disangue, è la misura più conveniente per barattare qua-lunque altro valore: con quell'oro si può poi affermare inaltri campi la personalità morale (magari con la benefi-cenza). La giustificazione logica d'un tale sdoppiamentoetico sta, infine, nella persuasione che «gli affari sonoaffari» e che nel mondo del tallone-oro l'eticità sarebbeantieconomica, turbatrice anzi dell'economia complessi-va della società, che deve seguire le inesorabili leggi giàricordate. È il ragionamento che il Machiavelli portavain politica quando appunto intendeva il governo delloStato come un'impresa privata del Principe, epurandonel'attività sociale da ogni valore morale per considerarlaunicamente come strumentale rispetto ai fini ultimi postinell'individuo.

Il Marx e lo Engels, partendo da quella più concretarealtà che essi ponevano nell'uomo sociale (e non

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per meglio dire, è un valore strumentale (e quindi unnon valore morale) che diviene scopo temporaneo dirapporti economici e in ciò soltanto si socializza.Nell'etica borghese, riflettente il razionalismo, i valorimorali stanno dalla parte opposta a quella della solida-rietà sociale (per es. cristiana o socialista); stanno nellaricchezza privata, comunque acquistata (non olet!), op-pure (e insieme) nella cultura e nei cosiddetti valori del-lo spirito. Perciò il fine utilitario è al tempo stesso spre-giato moralmente e perseguito praticamente fino allospasimo. Cacciato fuori della sfera etica, il valore eco-nomico si doveva ridurre al prezzo sopra un mercatosenza scrupoli. L'oro, anche se bagnato di fango o disangue, è la misura più conveniente per barattare qua-lunque altro valore: con quell'oro si può poi affermare inaltri campi la personalità morale (magari con la benefi-cenza). La giustificazione logica d'un tale sdoppiamentoetico sta, infine, nella persuasione che «gli affari sonoaffari» e che nel mondo del tallone-oro l'eticità sarebbeantieconomica, turbatrice anzi dell'economia complessi-va della società, che deve seguire le inesorabili leggi giàricordate. È il ragionamento che il Machiavelli portavain politica quando appunto intendeva il governo delloStato come un'impresa privata del Principe, epurandonel'attività sociale da ogni valore morale per considerarlaunicamente come strumentale rispetto ai fini ultimi postinell'individuo.

Il Marx e lo Engels, partendo da quella più concretarealtà che essi ponevano nell'uomo sociale (e non

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nell'astratto individuo del Feuerbach), avrebbero dovutoseguire il criterio opposto. Come il valore politico d'unatto di governo non sta nell'ambizione o nell'interessepersonale del principe che lo compie (questo sarebbe undisvalore), ma nel fine sociale ch'egli si propone inquanto principe che deve governare (sia pure che gli tor-ni conto per i propri scopi), ond'è che il giudizio politicoriguarda l'eticità dell'atto (l'utile dello Stato) e nonl'intenzione e quindi l'utile del principe stesso (ciò cheappartiene alla biografia o psicologia, non alla storia po-litica); così il criterio economico riguarda la forma so-ciale di produzione e di scambio, che, per esser sociale,implica l'utile di tutti, o di una classe, e comunquedell'altro da me, e vale o disvale in proporzione dellasua universalità pratica. La socialità implica semprel'eticità (in senso proprio). Allora, qualunque attività so-lidale prende un valore umano, economico, politico e ci-vile, e perciò appunto diviene una forza morale, che puòreagire sulle forme esistenti, come qualunque forma,cosa, prodotto, istituto vale o disvale secondo che attuao no le finalità collettive.

La lotta di classe marxista, intesa come lotta econo-mica per la fondamentalità data alle attività economiche,è tuttavia mossa da una coscienza etica, perchè sociale,e infatti si muove secondo fini di maggior giustizia di-stributiva e si esplica in un'azione di partiti politici chehanno lo scopo di attuare socialmente questi fini. Ora, èda questo punto di vista che la produzione come rappor-to fra capitale e lavoro, lo scambio come rapporto fra

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nell'astratto individuo del Feuerbach), avrebbero dovutoseguire il criterio opposto. Come il valore politico d'unatto di governo non sta nell'ambizione o nell'interessepersonale del principe che lo compie (questo sarebbe undisvalore), ma nel fine sociale ch'egli si propone inquanto principe che deve governare (sia pure che gli tor-ni conto per i propri scopi), ond'è che il giudizio politicoriguarda l'eticità dell'atto (l'utile dello Stato) e nonl'intenzione e quindi l'utile del principe stesso (ciò cheappartiene alla biografia o psicologia, non alla storia po-litica); così il criterio economico riguarda la forma so-ciale di produzione e di scambio, che, per esser sociale,implica l'utile di tutti, o di una classe, e comunquedell'altro da me, e vale o disvale in proporzione dellasua universalità pratica. La socialità implica semprel'eticità (in senso proprio). Allora, qualunque attività so-lidale prende un valore umano, economico, politico e ci-vile, e perciò appunto diviene una forza morale, che puòreagire sulle forme esistenti, come qualunque forma,cosa, prodotto, istituto vale o disvale secondo che attuao no le finalità collettive.

La lotta di classe marxista, intesa come lotta econo-mica per la fondamentalità data alle attività economiche,è tuttavia mossa da una coscienza etica, perchè sociale,e infatti si muove secondo fini di maggior giustizia di-stributiva e si esplica in un'azione di partiti politici chehanno lo scopo di attuare socialmente questi fini. Ora, èda questo punto di vista che la produzione come rappor-to fra capitale e lavoro, lo scambio come rapporto fra

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produttore e consumatore, e il valore stesso come prez-zo di scambio, pur senza uscire dalla sfera economica,riacquistano quel significato concreto e positivo implici-to nel termine «valore», che include i bisogni e le finali-tà etiche e politiche, dalle quali l'economia poteva farastrazione, ma che la Sociologia deve lor restituire. Sot-to questo aspetto, della collettività sociale, dietro il pro-dotto appare il lavoratore che produce, dietro la merce ilconsumatore che ne ha bisogno, e il prezzo dev'esserestimato, non più nel rapporto quantitativo fra la necessi-tà di chi lavora (salario) e la capacità di chi compra (ric-chezza), ma, viceversa, fra la capacità del lavoro (suaqualificazione) e le necessità del consumo: Nel primocaso, il dislivello (plusvalore) è a solo vantaggio delprofitto capitalistico, nel secondo, remunera il meritodel lavoratore.

Si obietterà che tutto ciò non è scientifico nel sensomarxista, perchè non riflette una realtà di fatto; e impli-cando invece una valutazione morale, diviene, marxisti-camente, utopistico. Però il Marx fu dei primi ad affer-mare, nelle Glosse al Feuerbach, che una dottrina deveinsegnare a fare, cioè a cangiare le forme della realtà, enon soltanto a conoscerle, a contemplarle. Utopistico in-vero è un comunismo su fondamento astrattamente eco-nomico, in cui non c'è ragione di criticare il salario, ch'èil prezzo più economico del lavoro. Nel regno dell'eco-nomia individualistica, fra il capitalista che padroneggiail lavoro per ridurlo al minimo costo e il lavoratore ches'impossessa del capitale per aumentare il guadagno,

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produttore e consumatore, e il valore stesso come prez-zo di scambio, pur senza uscire dalla sfera economica,riacquistano quel significato concreto e positivo implici-to nel termine «valore», che include i bisogni e le finali-tà etiche e politiche, dalle quali l'economia poteva farastrazione, ma che la Sociologia deve lor restituire. Sot-to questo aspetto, della collettività sociale, dietro il pro-dotto appare il lavoratore che produce, dietro la merce ilconsumatore che ne ha bisogno, e il prezzo dev'esserestimato, non più nel rapporto quantitativo fra la necessi-tà di chi lavora (salario) e la capacità di chi compra (ric-chezza), ma, viceversa, fra la capacità del lavoro (suaqualificazione) e le necessità del consumo: Nel primocaso, il dislivello (plusvalore) è a solo vantaggio delprofitto capitalistico, nel secondo, remunera il meritodel lavoratore.

Si obietterà che tutto ciò non è scientifico nel sensomarxista, perchè non riflette una realtà di fatto; e impli-cando invece una valutazione morale, diviene, marxisti-camente, utopistico. Però il Marx fu dei primi ad affer-mare, nelle Glosse al Feuerbach, che una dottrina deveinsegnare a fare, cioè a cangiare le forme della realtà, enon soltanto a conoscerle, a contemplarle. Utopistico in-vero è un comunismo su fondamento astrattamente eco-nomico, in cui non c'è ragione di criticare il salario, ch'èil prezzo più economico del lavoro. Nel regno dell'eco-nomia individualistica, fra il capitalista che padroneggiail lavoro per ridurlo al minimo costo e il lavoratore ches'impossessa del capitale per aumentare il guadagno,

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non c'è differenza che di forza quantitativa o di violen-za; in un'economia socialista, e quindi etica, entra ingiuoco il merito (sociale) del lavoro, confrontato, comedicevo, all'oro (simbolo del capitale), ed e questa valuta-zione che autorizza il Marx a giudicare il capitale comeun furto al lavoro, di cui il valore dovrebbe esser limita-to unicamente dalle cause sociali (dal consumo).

A chi tuttavia opponesse, che l'introdurre elementid'ordine morale nel calcolo economico lo renderebbe ir-razionale e fluttuante secondo i sentimenti che ispiranola valutazione etica, rispondiamo che di nuovo si equi-voca fra un'etica subiettiva individualista e un'etica so-cialista e reale. Si può parlare di un'etica individualista?Il discorso ci porterebbe troppo lontano. Una filosofiaetica è una filosofia dei valori; ma ciò che vale non puòesser mai un puro soggetto (un sentimento, un desiderio,un volere), sì bene quel volere che si obbiettiva in unfine e si realizza in un oggetto che trascendono la merasubiettività dell'io empirico, e tanto più quanto più ilfine si universalizza nella famiglia, nella società,nell'umanità, nel cosmo, e si realizza in una cosa, in unprodotto, in un istituto, in un rito. L'etica razionalista,perchè individualista, non riuscì a porre il Bene che nel-la felicità personale oppure nell'obbedienza a una leggedivina. L'etica socialista lo cerca invece nelle forme del-le cose e degli istituti sociali in cui si realizza l'attivitàindividuale (lo si chiami pure un positivismo).

Ora – per restringerci al nostro obbietto, ch'è il valoreeconomico, tralasciando tutti gli altri che vi si soprap-

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non c'è differenza che di forza quantitativa o di violen-za; in un'economia socialista, e quindi etica, entra ingiuoco il merito (sociale) del lavoro, confrontato, comedicevo, all'oro (simbolo del capitale), ed e questa valuta-zione che autorizza il Marx a giudicare il capitale comeun furto al lavoro, di cui il valore dovrebbe esser limita-to unicamente dalle cause sociali (dal consumo).

A chi tuttavia opponesse, che l'introdurre elementid'ordine morale nel calcolo economico lo renderebbe ir-razionale e fluttuante secondo i sentimenti che ispiranola valutazione etica, rispondiamo che di nuovo si equi-voca fra un'etica subiettiva individualista e un'etica so-cialista e reale. Si può parlare di un'etica individualista?Il discorso ci porterebbe troppo lontano. Una filosofiaetica è una filosofia dei valori; ma ciò che vale non puòesser mai un puro soggetto (un sentimento, un desiderio,un volere), sì bene quel volere che si obbiettiva in unfine e si realizza in un oggetto che trascendono la merasubiettività dell'io empirico, e tanto più quanto più ilfine si universalizza nella famiglia, nella società,nell'umanità, nel cosmo, e si realizza in una cosa, in unprodotto, in un istituto, in un rito. L'etica razionalista,perchè individualista, non riuscì a porre il Bene che nel-la felicità personale oppure nell'obbedienza a una leggedivina. L'etica socialista lo cerca invece nelle forme del-le cose e degli istituti sociali in cui si realizza l'attivitàindividuale (lo si chiami pure un positivismo).

Ora – per restringerci al nostro obbietto, ch'è il valoreeconomico, tralasciando tutti gli altri che vi si soprap-

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pongono e reagiscono sul fatto economico, costituendoaltre forme e forze sociali trascurate dal marxismo chenon ne vide l'autonomia rispetto ai bisogni economici:come ridurre, per es., il nazionalismo a pura difesa delcapitalismo privato? la religione, l'arte, la scienza a stru-menti dell'economia?! – un prodotto, come sarebbe unpezzo di pane od un pezzo di macchina, dovuti all'attivi-tà che si chiama lavoro, è una merce se la si vàlutaquantitativamente mettendo sull'altro piatto della bilan-cia un peso corrispondente a un pezzettino d'oro greg-gio, che vale soltanto subiettivamente perchè altrettantodesiderato dal compratore quanto lo è il lavorodall'impresario del forno o dell'officina. Ma se si valutaqualitativamente, il valore economico viene a dipenderedal fatto che quell'oggetto si è finalizzato perchèquell'attività che l'ha prodotto si è autonomizzata. Il la-voro è divenuto un fine, quindi un valore anche morale:ciò che non ha diminuito, anzi, perfezionando l'opera,specializzandosi la tecnica, nobilitandosi il lavoratore,ha aumentato, per non dire a dirittura formato, il valoreeconomico-sociale del prodotto. Il solo fatto che un'atti-vità si finalizza basta a perfezionarla e a renderla social-mente più utile, mentre innalza la persona umana confe-rendole un «diritto» in cui sta il fondamento della sua li-bertà. Considerato in questa prospettiva etica, comedeve fare una scienza sociale, un prodotto non è più unarealtà misurabile col solo prezzo, e il produttore non èpiù una merce o strumento di lavoro. Il lavoro, che du-rante le passate civiltà fu tenuto a vile rispetto ai valori

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pongono e reagiscono sul fatto economico, costituendoaltre forme e forze sociali trascurate dal marxismo chenon ne vide l'autonomia rispetto ai bisogni economici:come ridurre, per es., il nazionalismo a pura difesa delcapitalismo privato? la religione, l'arte, la scienza a stru-menti dell'economia?! – un prodotto, come sarebbe unpezzo di pane od un pezzo di macchina, dovuti all'attivi-tà che si chiama lavoro, è una merce se la si vàlutaquantitativamente mettendo sull'altro piatto della bilan-cia un peso corrispondente a un pezzettino d'oro greg-gio, che vale soltanto subiettivamente perchè altrettantodesiderato dal compratore quanto lo è il lavorodall'impresario del forno o dell'officina. Ma se si valutaqualitativamente, il valore economico viene a dipenderedal fatto che quell'oggetto si è finalizzato perchèquell'attività che l'ha prodotto si è autonomizzata. Il la-voro è divenuto un fine, quindi un valore anche morale:ciò che non ha diminuito, anzi, perfezionando l'opera,specializzandosi la tecnica, nobilitandosi il lavoratore,ha aumentato, per non dire a dirittura formato, il valoreeconomico-sociale del prodotto. Il solo fatto che un'atti-vità si finalizza basta a perfezionarla e a renderla social-mente più utile, mentre innalza la persona umana confe-rendole un «diritto» in cui sta il fondamento della sua li-bertà. Considerato in questa prospettiva etica, comedeve fare una scienza sociale, un prodotto non è più unarealtà misurabile col solo prezzo, e il produttore non èpiù una merce o strumento di lavoro. Il lavoro, che du-rante le passate civiltà fu tenuto a vile rispetto ai valori

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detti spirituali, come la cultura e la religione, perchè in-fatti fu reso vile e strumentale ai fini del profitto capita-listico e del valore-oro, appare degno di diventare ilvero protagonista della produzione, a mano a mano chesi eticizza qualificandosi e tecnicizzandosi in competen-za e in bravura, come già avvenne nel nostro artigianato,e continua ad essere agli occhi dell'estero.

So anch'io che il salario e lo stipendio oggi remunera-no solamente delle ore-lavoro, restie a proporzionarsi alvalore del prodotto e del servizio; ond'è che l'operaio oil tecnico capace e innamorato del suo lavoro è pagatocome il neghittoso e utilitario; che il giudiceche cerca difare giustizia riceve il medesimo stipendio del collegache attende il 27 del mese ecc., e tutti al di sotto del me-rito sociale comune; ma non è perciò utopistico, proprioperchè sarebbe essenzialmente più economico e social-mente più utile, il proporre che s'inverta il criterio dellamisura, sostituendo all'inerte e spregevole tallone-orodell'utilitarismo privato e del profitto capitalista il tallo-ne del valore produttivo, che ormai nella coscienza delmondo è asceso alla dignità di un diritto morale basatosu l'efficienza sociale del lavoro.

Dunque, il materialismo storico e l'economismo mar-xista svaniscono al primo soffio d'una critica profonda,rimanendo soltanto come contenuti oggettivi e storici,perciò rivedibili, della coscienza di classe, la quale sieleva posandosi sopra la base di una nuova etica: la di-gnità del lavoro. Marx rimane, perchè in fondo questo, esoltanto questo, egli ha cercato nella economia e nella

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detti spirituali, come la cultura e la religione, perchè in-fatti fu reso vile e strumentale ai fini del profitto capita-listico e del valore-oro, appare degno di diventare ilvero protagonista della produzione, a mano a mano chesi eticizza qualificandosi e tecnicizzandosi in competen-za e in bravura, come già avvenne nel nostro artigianato,e continua ad essere agli occhi dell'estero.

So anch'io che il salario e lo stipendio oggi remunera-no solamente delle ore-lavoro, restie a proporzionarsi alvalore del prodotto e del servizio; ond'è che l'operaio oil tecnico capace e innamorato del suo lavoro è pagatocome il neghittoso e utilitario; che il giudiceche cerca difare giustizia riceve il medesimo stipendio del collegache attende il 27 del mese ecc., e tutti al di sotto del me-rito sociale comune; ma non è perciò utopistico, proprioperchè sarebbe essenzialmente più economico e social-mente più utile, il proporre che s'inverta il criterio dellamisura, sostituendo all'inerte e spregevole tallone-orodell'utilitarismo privato e del profitto capitalista il tallo-ne del valore produttivo, che ormai nella coscienza delmondo è asceso alla dignità di un diritto morale basatosu l'efficienza sociale del lavoro.

Dunque, il materialismo storico e l'economismo mar-xista svaniscono al primo soffio d'una critica profonda,rimanendo soltanto come contenuti oggettivi e storici,perciò rivedibili, della coscienza di classe, la quale sieleva posandosi sopra la base di una nuova etica: la di-gnità del lavoro. Marx rimane, perchè in fondo questo, esoltanto questo, egli ha cercato nella economia e nella

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storia: il posto che il lavoro deve avere. Gli errori, dun-que, giustificabilissimi e naturalissimi, gli possono veni-re tutti perdonati. La sua è una religione. Egli avrebberifiutato questa caratteristica; viceversa, non solo nelManifesto, ma in tutti i suoi scritti, incluso il Capitale,nel quale deforma le teorie economiche per il bisogno dimettere in valore il lavoro sol perchè è lavoro, circolaun'atmosfera morale e religiosa, per cui il Marx si collo-ca nel posto veramente degno e grande, che gli competenella storia del pensiero come della vita politica.

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storia: il posto che il lavoro deve avere. Gli errori, dun-que, giustificabilissimi e naturalissimi, gli possono veni-re tutti perdonati. La sua è una religione. Egli avrebberifiutato questa caratteristica; viceversa, non solo nelManifesto, ma in tutti i suoi scritti, incluso il Capitale,nel quale deforma le teorie economiche per il bisogno dimettere in valore il lavoro sol perchè è lavoro, circolaun'atmosfera morale e religiosa, per cui il Marx si collo-ca nel posto veramente degno e grande, che gli competenella storia del pensiero come della vita politica.

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