Le cure primarie, la Casa della Salute -...

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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ Le cure primarie, la Casa della Salute Quaderni del socio sanitario n. 6

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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ

Le cure primarie,la Casa della Salute

Quaderni del socio sanitario n. 6

Segreteria di redazione: Velia MaricondaProgetto grafico: Daniela BoccacciniStampa: Tipografia SalemiFinito di stampare nel mese di maggio 2004

Disponibile on line: www.cgil.it/welfare

INDICE

La domanda di salute e di benessere sociale dei cittadini.Le risposte sociosanitarie sul territoriodi Michele Mangano……………………………………………………………….....…....................... 05

Il distretto sociosanitario come area-sistemadi Roberto Polillo…………………………...………………………………………….......................... 15

1. Il Servizio sanitario e la sfida delle crescenti fragilità..……………..................... 152. L’impegno della Who per lo sviluppo delle Cure primarie…….…...................... 173. La definizione di un nuovo modello: il distretto come Area-sistema............................................................................. 194. Il ruolo delle Regioni e dell’Ente locale............................................................... 245. Conclusioni: allocazione delle risorse ed uniformità dei Livelli delle prestazioni........................................................................................ 26

Una nuova proposta per l’Assistenza Primaria: la Casa della Salutedi Maurizio Marchionne……...………………………………………………………............................ 30

La Casa della Salutedi Bruno Benigni.......……………………………………………………………………....................... 37

1. La Casa della Salute: le funzioni/attività distribuite per aree.……....................... 44

Il ruolo degli operatori della sanità per la promozione della salutedi Rossana Dettori…………………………………………………….……………............................... 54

Genova: alcune idee per costruire il distretto socio-sanitariodi Roberta Papi….........………………………………………………………………............................ 58

Distretti e cure primarie in Sardegnadi Elisabetta Perrier………………………...…………………………………………........................... 63

1. La legislazione speciale.................................................……………................... 632. I distretti in Sardegna…...........................................................….…................... 653. Il rapporto fra ospedale e territorio...................................................................... 674. I medici di famiglia.............................................................................................. 685. Le prospettive...................................................................................................... 70

Le cure primariedi Daniela Cappelli………………………………………………………………………........................ 72

Il distretto di domanidi Gavino Maciocco……………………………………………………………………........................... 75

1. Introduzione.................................................…………….................................... 752. Il riequilibrio dell’offerta….....................................................….…..................... 773. Il caso inglese....................................................................................................... 784. Il caso americano.................................................................................................. 805. Il Distretto di domani............................................................................................ 836. Le diverse aree di governo del Distretto................................................................ 857. Gli strumenti per il governo del Distretto............................................................... 87

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LA DOMANDA DI SALUTE E DI BENESSERE SOCIALE DEI CITTADINI. LE RISPOSTE

SOCIOSANITARIE SUL TERRITORIO

di Michele Mangano, Segreteria nazionale Spi Cgil

La sanità e la sicurezza sociale, sono temi che suscitano sempremaggiore interesse tra i cittadini, e richiedono interventi semprepiù adeguati e qualificati da parte dello stato e delle istituzionipubbliche in generale.Oggi, però, le prestazioni sanitarie e sociali vengono erogate piùin relazione alle compatibilità economiche e di bilancio deisoggetti che li erogano, anziché dalla necessità e dai bisogni dichi li chiede.In altri termini, alla centralità della persona si è sostituita lacentralità del mercato, che secondo il pensiero liberistarappresenta l'unico regolatore delle prestazioni sanitarie e socialiin rapporto alle sue compatibilità.Gli stessi livelli essenziali, che sono costituzionalmente garantiti(art. 117 nuova Cost.) vengono subordinati a questa logica cheassume un carattere meramente risarcitorio.Il Governo italiano con la stesura del libro bianco sul welfare, haconsolidato questa filosofia traducendola in atteggiamenti eprovvedimenti che stanno smantellando lo stato sociale nelnostro Paese. Sotto il mirino non c'è solo la previdenza con unariduzione della spesa dello 0,7%, ma anche la scuola,l'assistenza e la sanità. La riduzione annuale del fondo nazionalesociale e la mancata definizione dei livelli essenziali delleprestazioni sociali impediscono di fatto il potenziamento e laqualificazione dei servizi sociali e mettono a dura prova ognipossibile intervento per realizzare l'integrazione socio sanitarianei territori. La sottostima del fondo sanitario nazionale produceun oggettivo indebolimento del servizio sanitario pubblico chein questo momento non è in grado di garantire neppure i livelliessenziali di assistenza.Tutto ciò, incide profondamente sulla offerta pubblica che espinge i cittadini a rivolgersi all’offerta privata. Accanto a questa politica vi sono poi altre difficoltà che nasconodai cambiamenti presenti nella società che pongono problemisulla individuazione il più possibile precisa della domanda disalute e di benessere sociale avanzata dai cittadini.

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Non bisogna sottovalutare il fatto che siamo in presenza di unpassaggio epocale da una "società giovane" ad una "societàsempre più anziana" che richiede un'organizzazione complessadi opportunità modulate nella diversa evoluzione demografica.Quindi anche l'anziano va visto come soggetto che partecipa alcambiamento, e ne influenza gli orientamenti. Nuovi bisogni enuove regole possono promuovere processi economici in cui ilbenessere individuale e collettivo s'intrecciano e costituiscono labase per creare rapporti e scambi tra le generazioni.Appare evidente che anche la domanda di salute e di benesseredei cittadini è collegata alle mutevoli condizioni economiche,sociali dei soggetti e dei territori in cui essi vivono; dagli stili divita che conducono; dalle scelte libere o meno che essi fanno inrelazione alle condizioni ambientali, di lavoro, di formazione edi cultura che hanno.Vi è dunque una forte correlazione tra i fattori ora richiamati e ladomanda di salute, perché da essi dipendono molte patologieordinarie e/o croniche che vengono diagnosticate in medicina.Non è un caso che l'Oms nel progetto "Health 21" sottolineal'esigenza di porre maggiore attenzione alle variabili condizionisociali, sanitarie ed economiche che influiscono sullo stato disalute. Indicando agli stati membri europei la necessità diintervenire in questa direzione.Esistono, infatti, numerose e solide indagini epimiedologicheche dimostrano che a bassi livelli di qualità della vita (livelloeconomico, livello di lavoro, livello di informazione, ecc.)corrisponde un'alta incidenza di patologie gravi e in molti casiinvalidanti.Se a questo aspetto si aggiunge, poi, l’effetto chel'invecchiamento della popolazione produce nei consumi diassistenza, di sanità e di farmaci, si può avere la cartinatornasole dell'andamento della domanda in relazione allenecessità ed ai bisogni della popolazione compresa quellaanziana.Vi è, dunque, una dimensione etica del problema (l'etica dellasalute come ricordava Massimo Cozza nella sua relazioned'insediamento della Cgil Medici) che va affrontata superandointanto le disuguaglianze, ed adottando misure idonee contro lapovertà, la fame e le malattie (soprattutto quelle infettive) edadottando politiche di coesione sociale che aiutino a prevenire lepatologie prima ancora di curarle e sconfiggerle.

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Lo stato socio economico dei cittadini è una condizione"multidimensionale" le cui coordinate principali sonodeterminate dal sapere (istruzione); dal reddito (lavoro); dalsociale (benessere) che sono strutturalmente legate tra loro.Non è un caso che il tasso di mortalità ma anche di malattiedegenerative e/o invalidanti è più basso nelle società dove ladifferenza di reddito sono minori e quindi con un più bassolivello di povertà relativa.Il nostro Paese, comunque, al di là della sua notevolicontraddizioni, è stato considerato fino al 2001 uno dei miglioriPaesi per condizioni di vita e di salute. Segno che nonostante ledifficoltà e le carenze denunciate ha avuto un sistema sanitariopubblico tra i migliori del mondo. Un sistema che rischia però diesplodere per la dissennata politica del governo nazionalerichiamata all'inizio. Oggi, infatti, la situazione è profondamentecambiata rispetto al 2001 e volge decisamente al peggio.Questa diagnosi è confermata da tutti gli osservatori che sioccupano di sanità. L’abbiamo denunciato alla 1° Conferenzasulla Salute a Roma.Lo si legge nel IV rapporto sulle politiche della cronicitàpubblicato dal coordinamento nazionale delle associazioni deimalati, cittadinanza attiva: vi è una lenta ma costante erosionedel Ssn con una riduzione dell'accessibilità ai servizi, unconsolidamento dei tagli alle prestazioni, lunghi ed inaccettabilitempi di attesa per le principali prestazioni di diagnosticastrumentale, ma anche per la radioterapia, un uso disinvoltodella libera professione intramuraria come sistema per aggirare,a spese dei cittadini, i ritardi e le insufficienze del serviziopubblico.Si attuano, in altri termini, politiche governative mirate aprivatizzare il sistema sanitario pubblico per ridurre i costi acarico dello stato.Questa situazione incide sulle condizioni di salute dei cittadiniche denunciano molti nuovi punti di criticità del sistemasanitario pubblico che vanno affrontati e rapidamente rimossi.Eppure nonostante si faccia questa analisi alcune indaginistatistiche fatte sul territorio nazionale evidenziano che inapparenza la generalità dei cittadini, ad eccezione dellapopolazione anziana, non mostra particolari sofferenze.L'ultima indagine multiscopo Istat sulle famiglie (anno 2003)per esempio ha rilevato che la percentuale di persone che

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dichiara di godere di un buono stato di salute è sostanzialmentestabile nel tempo ed è pari a due terzi della popolazione (74,7%nel 2002). Tale percentuale risulta più elevata negli uomini(78,1%) che nelle donne (71,5%).La percezione di buona salute decresce rapidamente al cresceredell'età. Solo il 24,2% degli ultrasessantacinquenni dichiara unbuono stato di salute.In questo contesto lo svantaggio femminile emerge anchedall'analisi dei dati relativi alla quota di popolazione che soffredi almeno una malattia cronica, il 38,9% delle donne si trova inqueste condizioni contro il 33,4% degli uomini. Anche laproporzione di malati cronici che dichiara di stare bene in saluteè più elevata negli uomini (52,6%) che nelle donne (43,3%).Eppure un italiano su tre soffre di almeno una patologia cronica,uno su cinque dichiara di essere afflitto da almeno due patologiecroniche. All'incirca un malato cronico su due dice comunque distare bene. Si tratta di un paradosso che può avere diverseletture: difficoltà a curarsi, difficoltà di accesso alle cure,fragilità economica, disinformazione o semplice negligenza,rassegnazione alla malattia. Non c’è dubbio che il caro vita ed ilcaro prezzi e tariffe hanno inciso profondamente anche suiconsumi sanitari.E tuttavia il problema esiste e va meglio indagato.Approfondendo, invece, fin nel dettaglio le singole malattiecroniche che determinano una variazione della domanda di curae di assistenza, quelle più frequentemente riportate sono:l'artrosi o artriti, l'ipertensione, il diabete, la bronchite cronica,l'osteoporosi, le malattie cardiache, le malattie allergiche, lemalattie nervose, l'ulcera gastrica o duodenale.Vi sono, poi, i malati di Alzheimer (circa 800.000), i nefropatici(39.000), gli affetti da sclerosi multipla (50.000) e i nonautosufficienti (2.800.000).Quello che è certo e che dai dati statistici si rileva una rapidacrescita delle percentuali di persone affette dalle diverse malattiecroniche all'aumentare dell'età, con l'eccezione delle malattieallergiche che, in particolare negli uomini, hanno una prevalenzanell'età giovanile.In relazione a questo quadro d patologie, ma anche più ingenerale, il consumo dei farmaci è medio con il 38,5% al Nord,il 35,1% al Centro e il 30,5% al Sud anche in conseguenza della

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diversa struttura per età che nella prima ripartizione presentaquote più elevate per le persone anziane.Il peso del costo dei farmaci incide molto sulla spesa sanitaria. Etuttavia noi riteniamo che non è con la politica dei ticket che sipossa affrontare il problema. Credo sia utile tornare rapidamentea ragionare sull'appropriatezza delle prescrizioni, sul tema deigenerici, sulle composizioni monodosaggio, sul ruolo dellanuova Agenzia nazionale del farmaco che assorbe la Cuf; masoprattutto confrontarsi con l’idea ormai sempre più diffusa dipensare al cosiddetto farmaco personalizzato che farebbe lafortuna delle case farmaceutiche.Ritornando al tema della cronicità, possiamo dire che esserappresentano uno degli elementi di maggiore sollecitazionedella domanda assistenziale e sanitaria, sia per le dimensioni cheesse hanno sia per i bisogni che esse esprimono in tutto il paese.Lo si può constatare per i soggetti non autosufficienti il cuifenomeno ha raggiunto dimensioni elevatissime con 2.800.000persone colpite dalla nascita o del sopraggiungere di patologieinvalidanti, il 70% dei quali sono anziani ultrasessantacinquenni(1.800.000); il 44% di queste persone rimane confinato in casa,il resto va in RSA o in casa di riposo.(Il fenomeno è dato in costante crescita tanto che l'Istat prevedeche il trend della non autosufficienza avrà nel 2010 un'incidenzadel 6,1% rispetto all'attuale 4,9% per passare nel 2020 al 7,1%con un aumento di oltre un milione di nuovi soggetti nonautosufficienti).Appare evidente che in questo caso la domanda di assistenza edi sanità è fortemente collegata alla necessità ed ai bisogni dellapersona malata e della sua famiglia, ed evidenzia una forteesigenza d'integrazione tra il sociale ed il sanitario (229/99 e328/2000 ed atto d'indirizzo). Lo strumento organizzativo perrendere esigibili le prestazioni socio assistenziali e sociosanitarie è il distretto dal quale deve partire il progetto perl'integrazione, per la costruzione della rete dei servizi, per iprogetti individualizzati indicati dalla UVM, per l'ADI, per iricoveri in RSA o in case protette, per i centri diurni, ecc.Analogo ragionamento va fatto per alcune patologie specificheche stanno dentro il concetto stesso di non autosufficienza.(Demenza senile, Alzheimer, che hanno un'incidenza semprecrescente per i soggetti ultrasessantacinquenni 11,9 di casi su1.000 all'anno di cui 10,3 uomini e 13,3 donne).

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I costi di queste patologie invalidanti, gravano ancoraprevalentemente sulla famiglia e sulle donne. Sono stimatiattorno al 77% dell'intero costo assistenziale. Se il costo totale diogni paziente è stimato per la gestione complessiva a circa50.000 euro l'anno, si può comprendere quanto incide, anche sulpiano economico, tale condizione in ogni famiglia. Ovviamentenon è solo la non autosufficienza a determinare la domanda diassistenza e di sanità. Vi sono molte altre malattie chemeriterebbero una attenta valutazione (allergie, malformazionicongenite, all’asma ecc.) ma per ragioni di tempo richiamerò lavostra attenzione solo su quelle che Oms ha ritenuto dirilevantissimo interesse.Il diabete, per esempio, rappresenta una vera e propria epidemiaglobale. Le ultime stime parlano di 2 milioni di diabetici in Italiae di circa 177.000.000 nel mondo ed il numero è destinato adaumentare addirittura a raddoppiare entro il 2025.Non occorre ricordare ad una platea di esperti cosa significaquesta malattia e gli effetti che essa produce se mal curata otrascurata come spesso avviene: cecità, insufficienza renale,complicazioni cardiovascolari, ulcerazioni e pericoli diamputazioni).Il diabete è una delle malattie che produce uno dei più alti tassidi ricoveri ospedalieri. Anche in questo caso, una maggioreazione di prevenzione e soprattutto la possibilità di accedere conmaggior felicità alla glargine che è un nuovo tipo di insulina alento rilascio in grado di mantenere più stabili la glicemia,potrebbe prevenire almeno il 20% di rischio ipoglicemico eridurre la somministrazione giornaliera di normale insulinanonché i ricoveri ospedalieri.Un'altra patologia che evidenzia una forte richiesta di assistenzaè l'osteoporosi. A tale riguardo si calcola che nel nostro paesealmeno 2 milioni di persone si trovano già nelle condizioni diosteoporosi con elevato rischio di frattura.L'Unione Europea ritiene che ogni anno circa 150.000 personemuoiono a seguito di fratture osteoporotiche di femore o divertebra e che circa un milione e mezzo di lavoratrici elavoratori subiscono analoghe fratture (con costi elevatissimi,circa 17 miliardi di euro l'anno). Eppure anche in questo casonel nostro Paese c’è poca prevenzione e lo stesso esame didensiometria ossea è parzialmente esclusa dai Lea, come

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risultano parzialmente escluse dai Lea l'assistenza odontoiatricache colpisce oltre il 70% della popolazione anziana.Vale la pena, inoltre, richiamare alla nostra attenzione un'altrapatologia che risulta in costante aumento tra i cittadini adulti, miriferisco alla incontinenza urinaria.Anche in questo caso nel nostro Paese si calcola che oltre 3milioni di persone adulte e anziane siano affette da questa formadi malattia che risulta essere invalidante per chi ne soffre.E' importante in questa patologia la conoscenza, i fattori arischio, la diagnosi e la terapia approfondita per dare un aiutoconcreto a chi ne soffre.Non ritengo sia il caso di richiamare molte altre malattie comela cefalea, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (4.000.000di persone) le artriti o artrosi reumatoide che risultanoparticolarmente presenti anche nel nostro Paese e dalle qualiderivano necessità e bisogni ai quali occorre dare risposteadeguate ed efficaci.Mi pare che il quadro fino ad ora richiamato è sufficiente percapire l’evoluzione della domanda di assistenza e di sanità chec’è nel nostro Paese.Le offerte del servizio sanitario pubblico e di quello sociale nonsono, al momento, in grado di rispondere in modo appropriato atale domanda.Recentemente qualcuno ha opportunamente ricordato che nonc’è iniziative nel campo sanitario e/o sociale dove il tema dellaqualità e dell’appropriatezza non venga sollevato.La domanda da porsi è cosa si intende per appropriatezza.Ritengo che la risposta debba essere un servizio sanitariopubblico effettivamente efficace ed efficiente.Ma come può fare un cittadino a sapere che ciò che gli vienesomministrato è davvero utile per la sua salute o per curare lesue patologie. Ecco questa è una sfida sulla quale è giustoimpegnarsi sia come professionisti che come associazioni oforze sociali.La prima Conferenza nazionale della Cgil sulla salute harilevato tra i tanti temi da approfondire e da sviluppare proprioquello della qualità e dell’appropriatezza degli interventi sanitaried assistenziali.Quali risposte bisogna dare, allora, ai cittadini ed alle loronecessità ed ai bisogni di salute e di assistenza che esprimono?Credo che una prima risposta riguarda l’attuazione dei Lea.

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Come Spi-Cgil siamo stati sempre critici sulla lorodeterminazione che oltre ad essere stata definita in modounilaterale dal Governo (fuori dal piano sanitario; senzaconcertazione con le parti sociali e con Dpcm anziché conlegge) presenta significative esclusioni che intercettano bisognisempre crescenti nelle persone soprattutto quelle anziane. Miriferisco alla odontoiatria, alla riabilitazione ed alla medicinanon convenzionale (non tutta, ovviamente, ma su questiargomenti occorrerebbe un ulteriore approfondimento anche tranoi). Tuttavia riteniamo che al momento dato è indispensabilerendere almeno esigibile e garantire in modo omogeneo su tuttoil territorio nazionale i livelli già definiti.In particolare riteniamo sia necessario garantire, potenziare equalificare l’assistenza distrettuale quella erogata dalla Asl e daidistretti sanitari che comprende la medicina di baseambulatoriale e domiciliare, la guardia medica, l’emergenza,l’assistenza farmaceutica, l’assistenza integrativa e quella per lepersone con il diabete mellito, l’assistenza specialistica ediagnostica con particolare riferimento alla eliminazione delleliste di attesa, l’assistenza protesica e domiciliare e tutte leattività rivolte a particolari categorie di persone: i disabili, i nonautosufficienti; tossicodipendenti ecc…Per l’assistenza ospedaliera vanno garantiti il pronto soccorso(eliminando l’assurda pratica dei ticket laddove ci sono); ilricovero ordinario; il day hospital e il day surgery; l’ospedaledomiciliare, la riabilitazione e la lunga degenza per i post-acuti:(forse è necessario rivedere le norme previste dal D. Lgs. 502/92che ha introdotto il sistema dei Drg che stabilisce rigidamente igiorni di ricovero in relazione all’intervento subito. Tale sistemaha particolarmente penalizzato tutte quelle situazione per cui itempi di recupero sono superiori agli standard previsti e nellageneralità dei casi l’assistenza dei post-acuti grava quasiesclusivamente sulle famiglie. E’ necessario realizzare uncollegamento tra le strutture sanitarie residenziali e quelleterritoriali in modo che le dimissioni dall’ospedale siano seguitee protette.Oltre alla garanzia sui Lea, la domanda di salute espressa daicittadini ci porta a chiedere una nuova e più efficaceorganizzazione della medicina nel territorio con l’obiettivo didare continuità assistenziale, presa a carico dei pazienti, larealizzazione di una più incisiva attività di promozione della

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salute e di educazione alla salute; abbattimento delle liste diattesa, riduzione dei ricoveri impropri; attivazione dei percorsiassistenziali anche quelli personalizzati; efficace politicad’integrazione socio-sanitaria. In questi obiettivi e nella loroconcreta attuazione si sostanzia il processo evolutivo della sanitànel territorio che assume una nuova centralità come sedeprimaria di assistenza rispetto ai servizi ospedalieri. In questadirezione il distretto socio-sanitario è per noi lo strumentoorganizzativo più efficace per realizzare questi obiettivi: lacostituzione del nuovo distretto deve essere l’occasione peravviare e sviluppare attraverso la programmazione e laconcertazione il patto di solidarietà per la salute. Il distretto devegarantire al cittadino la presa in carico della sua domanda disalute e deve realizzare la continuità assistenziale. Gli altri attori principali di questo processo diventano il medicodi medicina generale e il pediatra di libera scelta che attraversoun recupero del rapporto diretto con il paziente diventano i primiresponsabili della funzione di analisi e valutazione dei bisogni edi quella d’indirizzo delle migliori modalità per soddisfarli.A loro compete, infatti, la indicazione dell’appropriatezza dellecure e delle prestazioni, dialogare con il distretto; l’ospedale o lealtre strutture di assistenza nel territorio. Interagire con ilmodello organizzativo più in termini professionali cheburocratici (non certo per loro responsabilità dato l’eccessivonumero di certificazioni che sono chiamati a rilasciare per contodella Asl).Interagire inoltre, con le unità di valutazione multidimensionaliche rappresentano nell’ambito del distretto un punto diriferimento importante per la valutazione del caso e per lacostruzione e la presa in carico del percorso assistenziale.Tutto questo significa affrontare con maggiore determinazione itemi relativi alle cure primarie ed alla degenze territoriali nellarete distrettuale in applicazione della legge 229/99 (costituzioneospedali di comunità, casa della salute, società della salute,proposte che bisogna confrontare con le unità territoriali diassistenza proposte in via sperimentale del Ministro dellaSalute).E’ necessario pensare a sviluppare un approccio integrato aipercorsi assistenziali ed alla richiesta di una attenzione diversaper la personalizzazione degli stessi o al bisogno di disporresempre di più della possibilità di essere presi in carico dal

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sistema dei servizi e non di doversi preoccupare in primapersone o attraverso i propri familiari della ricomposizione diciò che il servizio può offrire.In questa direzione e concludo assume un particolare rilievo iltema dell’informazione e della comunicazione.In un recente convegno organizzato da Federsanità Anci eWelfarmed è stato rilevato da fonti autorevoli che lacomunicazione in sanità è uno strumento fondamentale perconsentire agli utenti la fruizione dei servizi offerti; superandole difficoltà di accesso per disinformazione e/o per mancatainformazione.Importante a tal riguardo è la costruzione ed il funzionamentodella carta dei servizi e l’attivazione degli uffici relazioni con ilpubblico previsti nella PA dalla legge 150/2000. Uffici chedevono diffondere in modo chiaro e con linguaggiocomprensibile e semplice la normativa di accesso ed illustrarel’attività delle istituzioni sanitarie.La carta dei servizi in molti casi ha funzionato male perché si ètrasformata in poderosi documenti pieni di nomi e di orari deltutto illeggibile per l’utenza ed in altri casi ancora perché haassunto la caratteristica dell’episodicità e dello scarsoaggiornamento. Per questo motivo e per l’utilità che esse hannonella comunicazione vanno riproposte e riformate.Riteniamo che a tal riguardo occorre raccogliere e realizzare isuggerimenti dati dalla Federazione Europea circa l’alleanza trasistema sanitario e cittadini per costruire insieme tutto ciò che ènecessario per garantire ai cittadini uno dei diritti fondamentalidella Costituzione: il diritto alla salute.

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IL DISTRETTO SOCIOSANITARIO COME AREA-SISTEMA

di Roberto Polillo, Responsabile Politiche della Salute Cgil nazionale

1. Il Servizio sanitario e la sfida delle crescenti fragilità

L’estate appena trascorsa ha evidenziato una fragilità inattesanei servizi sanitari del vecchio continente; decine di migliaia dianziani sono deceduti stroncati dal caldo insopportabile edancora di più dall’indifferenza dei servizi pubblici che li hannoabbandonati, nell’incuria, alla loro solitudine. Il fenomeno èstato particolarmente vistoso in Italia ed in Francia, doverispetto alla prima, sono stati subito disponibili i dati (le mortisono state superiori a 12.000) che hanno a loro voltadeterminato le tempestive dimissioni del Direttore del ministerodella sanità. Nulla di tutto questo è accaduto nel nostro paeseche ha registrato più di 7.000 morti e dove invece il Ministrodella Sanità si è lanciato in un attacco ai Comuni addossandoloro ogni responsabilità, colpevolmente immemore dei tagli deitrasferimenti agli enti locali e regioni perpetrati dal Governo conla Finanziaria 2003 e con la perversa applicazione della legge n.63 ed ora riconfermati nella legge Finanziaria per il 2004.La vicenda è stata tuttavia doppiamente triste: per il carico disofferenze che ha comportato e per la debacle subita dai servizisanitari francese ed italiano, riconosciuti solo tre anni fa dallaOMS nella sua indagine “The world health report 2000. Healthsystems: improving performance” condotta sui 191paesi membricome i due migliori del mondo per performance complessiva(rapporto tra risorse impegnate e risultati, indice di valutazione0.991 e 0.994) ed ora dimostratisi totalmente inadeguati adaffrontare una emergenza sanitaria che poteva essere controllatase fosse stato presente un efficace sistema di cure primarie.

Bernardo Valli tra i tanti giornalisti che si sono occupati delproblema, ha così sintetizzato sul quotidiano La Repubblica del4 settembre 2003 le cause di quanto accaduto in Francia:

sono stati ridotti gli aiuti personalizzati e finalizzati arendere autonomi gli anziani come aveva invece fatto ilprecedente governo;

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sono stati ridotti i finanziamenti complessivi per laterza età;

non è stata compresa tempestivamente la gravità diquanto stava accadendo e non è stato dichiarato in tempoutile lo stato di emergenza sanitaria.

La situazione nel nostro paese non è stata certo dissimile. E seda un lato è innegabile il profondo cambiamento avvenuto dellasocietà con la lacerazione di quelle reti di protezione per cosìdire di “riserva”, che, tessute in casa a proprie spese dallecomunità familiari o dai vicini, rappresentavano un tempo letrincee di seconda linea dove feriti e contusi si rifugiavano acurare i danni riportati nelle battaglie sul fronte del mercato (Z.Bauman: Il disagio della posmodernità Mondadori Milano2000); dall’altro è altrettanto innegabile che si sono dimostrateparimenti inesistenti le reti di intervento che le istituzionidovrebbero stendere a sostegno dei soggetti deboli ed inparticolare degli anziani sempre più soli in questa societàfortemente de-tradizionalizzata.Una società, la nostra, dove l’area della fragilità èprogressivamente cresciuta a partire dalle condizioni di povertàche non investono ora soltanto i senza lavoro, ma al contrario siestendono minacciose a quote crescenti di salariati; è questo cheevidenzia con chiarezza l’ultimo rapporto Istat che stima gliindividui in condizione di povertà assoluta in oltre tre milioni diunità e quelli in povertà relativa in sette milioni (Istat: Rapportosulla povertà, 2003).

In questa battaglia contro l’emarginazione crescente di quoteconsistenti della popolazione, le Regioni e gli Enti Locali sonostati abbandonati dalla Stato che invece di investire, lesina ifinanziamenti necessari allo sviluppo di un coerente sistema diprotezione ed assistenza primaria (mancano alle casse delleregioni per il solo quadriennio 2001-2004 circa 25 miliardi di €tra deficit di cassa per mancati trasferimenti e deficit strutturaleper insufficienti finanziamenti; mancano le risorse per i comuniche hanno visto nel 2004 un taglio nei trasferimenti pari al3,7%); un sistema integrato di cure che va invece rafforzato edin alcuni casi costruito partendo da un assunto fondamentale:sanare la frattura esistente tra intervento sanitario e sociale enell’ambito del primo rivedere il primato tradizionalmente

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attribuito all’ospedale rispetto al territorio. In altre parole questosignifica porre al primo punto la costituzione di una forte retedistrettuale e di strutture dove realizzare: interventi diprevenzione primaria e di educazione finalizzataall’acquisizione per tutti di una effettiva capability (AmarthiaSen); una assistenza sanitaria in grado di affrontare tutte quellecondizioni cliniche che per particolare complessità non possonoessere gestite al di fuori dell’ambiente ospedaliero; una realedomiciliarizzazione ed umanizzazione delle cure attraverso lacostituzione di equipes di intervento multidisciplinari emuntiprofessionali; una definizione puntuale di percorsiassistenziali personalizzati capaci di integrare la fase della curacon quello della riabilitazione e della prevenzione secondaria eterziaria non abbandonando il paziente nell’incertezza.

2. L’impegno della Who per lo sviluppo delle Cure primarie

L’importanza della presenza e dello sviluppo in ogni paese di unefficace sistema di cure primarie è testimoniato dalla stessastoria della Organizzazione Mondiale della Sanità. La Whoinfatti fin dalla sua costituzione, avvenuta nel 1946, ha messocon decisione al centro della sua azione di promozione dellasalute questa idea forte dello sviluppo delle cure primarie,ritenuta l’unico mezzo realmente efficace per il raggiungimentodi effettiva equità tra i cittadini. Con la storica Dichiarazione diAlma Ata del 1978 vennero successivamente elencate lequestioni più significative per garantire la “salute per tutti nel2000”; la dichiarazione muoveva dall’assunzione che lediseguaglianze nello stato di salute tra e all’interno degli statierano “politicamente, socialmente ed economicamenteinaccettabili” e che l’obiettivo di offrire a tutti i cittadini unlivello di cure adeguato ad una vita degna e produttiva potevaessere raggiunto solo tramite lo sviluppo di un sistema di curediffuse.

I principi della Dichiarazione, rimasta purtroppo in molti paesiuna formula vuota o vanificata da una progressivaprivatizzazione dei servizi, sono stati riconfermati nel Worldhealth report 2003; in tale sede è stata ribadita sia la necessità diun forte impegno etico sulla strada dell’equità come fondamento

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su cui costruire il sistema di cure primarie e sia la condivisioneche i servizi per essere realmente efficaci devono essereorientati all’integrazione delle cure, un altro concetto questo sucui ritorneremo.

Questi concetti sono stati ripresi ancora più recentemente in unsaggio sulla più prestigiosa rivista medica (Lee Jong-wook:Global improvement and Who: shaping the future The Lancet,volume 362, numero 9401 del 2003) dall’attuale Direttore delWho in cui l’autore riconferma che gli impegni sottoscritti adAlma Ata lungi dall’essere superati, rimangono ancora oggi unavera priorità per tutti gli Stati; Lee Jong-wook ha anchericordato le azioni che devono essere portate a termine persviluppare concretamente un adeguato sistema di cure primarie:

realizzare, in accordo ai principi di equità costitutividella dichiarazione di Alma Ata, universalità di accesso allecure, partecipazione della comunità e strategie di approcci aiproblemi di tipo multi settoriali;

prendersi carico dei problemi sanitari più importantidella popolazione rafforzando le funzioni sanitarie delsistema pubblico;

creare le condizioni per una effettiva erogazione diservizi a vantaggio dei poveri e dei gruppi sociali piùsvantaggiati;

organizzare un sistema di cure integrato e continuato,collegando strettamente tra loro i momenti della prevenzionecon quelli delle cure della fase acuta e della fase cronica;

impegnarsi e sforzarsi per il miglioramento continuodella performance del sistema.

La costruzione di un sistema basato su queste attività e su unacoraggiosa politica dell’intervento pubblico è dunque per ilDirettore della Who l’elemento indispensabile per elevare illivello di salute delle popolazioni e superare le disuguaglianzeche la società globale tende ad accentuare.Queste considerazioni hanno trovano ampia conferma neglistudi del premio Nobel per l’economia Amarthia Sen che in unsuo libro (“Lo sviluppo è libertà” Mondatori edizioni, 2000)dimostra gli stretti rapporti intercorrenti tra quello che definisce“sviluppo mediato dal sostegno” della società ed effetti sullasalute umana.

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In particolare per Amartya Sen il miglioramento dellecondizioni di vita di una popolazione, misurabile utilizzandocome indicatore complessivo di risultato la riduzione dellamortalità, possono essere rapidamente modificati attraverso duedistinti processi: il primo growth-mediated (mediato dallacrescita) e il secondo support-led (mediato dal sostegno). Mamentre il primo può operare solo attraverso una crescitaeconomica rapida e sostenuta ed è quindi da questa dipendente,il secondo agisce proprio grazie ad un programma ben calibratodi supporto sociale ed assistenza sanitaria, istruzione e altriassetti sociali pertinenti, da questa indipendente ma fortementelegata ad una equa politica di ridistribuzione dei vantaggi socialie di investimento in socialità; questo processo è benesemplificato dalle esperienze di economia dello Sri Lanka,della Cina, del Costa Rica e del Kerala che hanno presentato uncalo della mortalità e un miglioramento delle condizioni di vitarapidissimi senza una grande crescita economica.Nella fattispecie gli abitanti del Kerala, della Cina e dello SriLanka, nonostante i loro bassissimi livelli di reddito (inferiori a500 dollari annui por capite nel 1994) hanno presentato unasperanza di vita enormemente superiore rispetto a quelle dipopolazioni molto più ricche del Brasile del Sudafrica e dellaNamibia con valori corrispondenti per i primi a 73, 71 e 73 annie per i secondi a 61, 62 e 58.Quel che conta dunque non è tanto la ricchezzacomplessivamente prodotta da un paese ma le modalità con cuivengono distribuiti i vantaggi derivanti dalla crescita economica,piccoli o grandi che essi siano; fatto questo che rimanda alprimato della politica e dell’equità delle sue scelte e che togliedi mezzo il pensiero unico neoliberista dimostrandol’infondatezza delle teorie fondate sulle capacità salvifiche delmercato come unico mezzo idoneo al raggiungimento delbenessere collettivo.

3. La definizione di un nuovo modello: il distretto come Area-sistema

E’ ormai fatto acquisito che i contesti sociali dei paesi acapitalismo avanzato sono stati sottoposti negli ultimi anni aduna serie di trasformazioni che hanno esercitato conseguenze di

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rilievo sui sistemi di protezione sociali ed in modo particolare suquello sanitario. Mutamenti particolarmente significativi che,essendo avvenuti negli assetti profondi della società, sono ormaitali da rappresentare una vera sfida con cui confrontarsi ai finianche della sostenibilità complessiva dei sistemi di welfare; traquesti fattori per diversi studiosi sono sicuramente daannoverare: a) il consolidarsi di processo di inflazione medicainteso come l’incremento della spesa sostenuta per la sanità adun ritmo di crescita superiore a quello della ricchezza prodottain termini di Pil; tale processo, verificatosi in quasi tutti i paesieuropei, è tuttavia fondamentalmente mancato nel nostro dove,secondo i dati Ocse del 2002, la spesa sanitaria reale pro capiteriferita all’ultimo decennio (1990-2000) è cresciuta ad un tassodel solo 1,4% del tutto equivalente quindi all’aumento registratonel Pil (tavola 1); dati questi che dimostrano chiaramente comesia infondata la tesi di quanti parlano di una presuntainsostenibilità finanziaria dell’attuale welfare state pubblico; inrealtà costoro utilizzano strumentalmente la crescita dei costieffettivamente registrata negli altri paesi per proporre anche nelnostro caso, come unica soluzione possibile quella di un sistemamisto assicurativo sul modello americano, nonostante questo sisia dimostrato nei fatti assai più costoso, iniquo e assolutamentemeno efficiente;

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b) il processo di iperspecializzazione del sapere medico ovverola progressiva frammentazione e settoralizzazione dellecompetenze sempre più orientate alla parcellizzazione del saperee degli interventi di cura e sempre meno capace di mantenereuna dimensione olistica nella Medicina; c) la transizioneepidemiologica evidenziata dal passaggio da una prevalenza dipatologie di tipo acuto infettivo a quelle di tipo cronicodegenerativo in linea con il progressivo invecchiamento dellapopolazione; d) lo sviluppo del consumerismo come elemento dinuova partecipazione e di affermazione di una maggiorecontrattualità da parte dei cittadini che vogliono ora essereprotagonisti informati e consapevoli delle scelte che riguardanola propria salute (G. Giarelli: in “Trasformazione dei sistemisanitari e sapere sociologico a cura di Costatino Cipolla,Franco Angeli editore, Milano, 2002).

Questi mutamenti investono la globalità del mondoindustrializzato; essi pongono con urgenza delle domande sia intermini di sostenibilità economica dei sistemi e sia in termini diequità sostanziale, universalità, efficacia e capacità di rispostaall’esigenza di partecipazione dei cittadini; per questo, a nostrogiudizio, esse rendono necessario, anche all’interno del nostromodello di assistenza sanitaria, procedere nella definizione di unnuovo paradigma; un cambio importante negli assettiorganizzativi del sistema a partire dalla necessità di una chiaradefinizione delle risorse finanziarie indispensabili al suofunzionamento; una riorganizzazione complessiva che tuttaviaesige, a garanzia di equità e di universalità di accesso, il pienomantenimento della centralità di quell’intervento pubblico chemolti cercano ora mettere in discussione. Contro questa tesi èinvece, all’opposto, ormai definitivamente acclarato che,nell’ambito delle tre diverse tipologie di servizi sanitariesistenti, così come delineate da Martinelli, il servizio sanitariodi tipo pubblico (presente in Italia ed UK) quando raffrontatocon gli altri due il tipo assicurativo obbligatorio (presente inFrancia e Germania) e il tipo assicurativo privato (presente negliStati Uniti) risulta di gran lunga il superiore sia in termini diperformance che in termini di salute effettivamente guadagnatada parte dei cittadini.

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Il sistema sanitario del nostro paese tuttavia, pur avendoraggiunto risultati di grande rilievo, attestati dal fortissimoincremento della attesa di vita alla nascita, ha fortementeprivilegiato finora una visione ospedalocentrica che ha lasciatoalla medicina del territorio e delle cure primarie un ruolosecondario e spesso scarsamente qualificato. Questo sistema nonappare più adeguato tanto alle mutate condizioniepidemiologiche e demografiche che hanno investito il nostropaese e tanto ai cambiamenti nella società e nella vita privata deisingoli cittadini determinati dall’affermazione dellaglobalizzazione. Il cambio di paradigma necessario consistedunque nel ribaltare questa condizione e nell’impegnarsiattivamente nello sviluppare su tutto il territorio nazionaleun’efficiente rete di distretti e di servizi alla persona in grado dirispondere al nuovo contesto sociale e a quell’inedita condizioneesistenziale (solitudine crescente, frammentarietà delle identità,incertezza) tipica delle moderne società senza tradizioni.In questo nuovo scenario il distretto deve acquisire una realecentralità connotandosi come il punto di incontro tra domanda disalute dei cittadini ed offerta di cure, benessere e nuovasocialità; esso deve potersi configurare come una vera area–sistema e ricomprendere quella serie di presidi e servizi, oradispersi, che sono finalizzati a dare risposte territoriali aiproblemi di salute e di cura dei cittadini rendendo finalmentepossibile la piena integrazione tra le attività sanitarie e quelle ditipo sociale. Le attività che devono essere garantite nell’area-distretto sonoquelle che riguardano i bisogni reali dei cittadini e che possonoincidere favorevolmente sulla capacità per ognuno di riuscire asviluppare il proprio progetto esistenziale; queste attivitàriguardano dunque la persona come soggetto consapevole e siestendono dall’educazione sanitaria, alla prevenzione,all’erogazione dell’insieme delle cure che non necessitano delricovero in ambiente ospedaliero per arrivare alla riabilitazione ealle attività socio-sanitarie ad alta integrazione. Il modelloorganizzativo più consono per rispondere a tali esigenze è quellodella rete integrata dei servizi che pone l’utente al centro delcontesto sanitario e che richiede, proprio per rendere effettivaquesta prossimità al cittadino, una idonea strutturazione dello

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spazio distrettuale a partire dalla costituzione di aree elementaricorrispondenti ad uno o più comuni o a un quartiere urbano.Nel distretto dovrà essere coordinata la presenza di undipartimento delle cure primarie di tipo funzionale in cuivengano ricomprese, in un assetto organizzativo a matrice, tuttele funzioni costitutive della medicina territoriale: assistenzamedica di base (medici di medicina generale e pediatri di liberascelta, guardia medica e continuità assistenziale); assistenzaspecialistica ambulatoriale extra-ospedaliera; assistenzadomiciliare (ADI, ADP, assistenza sociale, assistenza a malationcologici e a persone con infezione da HIV); assistenza extra-ospedaliera, residenziale e semiresidenziale; assistenzaconsultoriale, familiare e pediatrica; programmazione degliaccessi all’ospedale di comunità. Nelle aree elementaridistrettuali inoltre dovrà essere avviata la costituzione distrutture polivalenti e funzionali in grado di erogare l’insiemedelle cure primarie e di garantire la piena continuitàassistenziale. In tale senso riteniamo prioritario procedere allaistituzioni di strutture e luoghi di lavoro comune (la “Casa dellaSalute” oggetto del convegno odierno) in cui possano cooperareil personale assegnato al distretto (tecnico-amministrativo,infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento sociale)insieme ai medici di base (che vi eleggeranno il proprio studioassociato) e agli specialisti ambulatoriali. Nella Casa dellaSalute dovrà essere possibile effettuare gli accertamentidiagnostico-strumentali di base e la gestione informatizzata deidati sanitari con il ricorso al teleconsulto e alla telemedicina.L’accesso al web, tramite gli opportuni strumenti messi adisposizione dalla moderna tecnologia, aprirà la possibilità dicomunicare con le altre strutture, di stabilire connessioni in retecon altri centri di pari o superiore livello e di realizzare laformazione continua on line per tutto il personale. Nella Casadella Salute sarà presente inoltre lo sportello unico per tutte leattività sociali ed assistenziali e sarà quindi possibile effettuarela presa in carico del paziente superando la precedenteframmentarietà negli interventi.Nel distretto dovranno trovare completa attuazione le attività diprevenzione non solo relative all’ambiente di vita, ma anchequelle connesse al controllo e alla sorveglianza degli ambienti dilavoro ed al contrasto delle tecnopatie e degli infortuni sullavoro. Su questo campo occorre invertire con urgenza quella

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linea di tendenza ormai prevalente, che vede l’interventopubblico come non necessario e residuale e considera le attivitàdi prevenzione e sorveglianza un ostacolo allo sviluppoindustriale e alla competitività. Fatto ancora più grave ildisimpegno nella prevenzione delle malattie professionali si èora associato allo sviluppo e alla introduzione surrettizia di unaserie di indagini predittive, i test genetici, con i quali si vorrebbescreenare la popolazione lavorativa, identificando i soggetti“predisposti” ad ammalare; la medicina del lavoro si ridurrebbea questo: allontanare dall’ambiente di lavoro i soggetticostituzionalmente meno resistenti, lasciando inalteratal’organizzazione del lavoro e riducendo al minimo gli interventidi bonifica ambientale.

4. Il ruolo delle Regioni e dell’Ente locale

Ai fini di un piena realizzazione di questo modello di retedistrettuale un ruolo fondamentale ed insostituibile rivestel’attività di programmazione e di regolamentazione dicompetenza dei due principali soggetti istituzionali coinvolti: leRegioni e gli Enti locali, ai quali la riforma del Titolo V dellaCostituzione ha assegnato ora nuove prerogative eresponsabilità. Questi soggetti dunque devono svilupparesinergie che si devono concretizzare nell’assunzione deiseguenti atti legislativi:

recepimento dei principi contenuti nella legge 229/99 e nellalegge 328/2000, sviluppandone appieno le potenzialità perassegnare un ruolo e una responsabilità ai Comuni nel PianoAttuativo locale (PAL) e nel programma delle attività territoriali(PAT) intesi entrambi come strumenti di programmazione e dipianificazione degli interventi;

realizzazione del Piano Sanitario Regionale in modocoordinato rispetto al Piano regionale degli interventi e deiservizi sociali con la piena condivisione delle strategie atte arealizzare l’integrazione tra attività sanitarie e sociali;

assegnazioni al distretto di “risorse definite” anche al fine diriequilibrare la spesa tra attività ospedaliera e attività sanitarieterritoriali.

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L’emanazione coordinata di questi atti è dunque finalizzata adefinire una corrispondenza funzionale e sostanziale tra ildistretto (D. Lgs. 229/99) e la zona sociale (D. Lgs. 328/2000)(la cui esatta definizione è ovviamente demandata alle regioni)su cui possano insistere, in parallelo alle competenze propriedelle Regioni, le capacità di programmazione dei Comuni, a cuicompete l’approvazione dei piani di zona, dei piani delle attivitàterritoriali, degli accordi di programma e dei risultati ottenuti.Viene così a risolversi favorevolmente quella condizioneprecedente dovuta al D. Lgs. n. 502 che faceva dell’Ente localeun soggetto passivo privo di capacità di intervento nelladefinizione delle scelte strategiche e nella valutazione di quantoconcretamente realizzato.

Il recepimento coordinato dei principi costitutivi di entrambi iprovvedimenti legislativi significa dunque da un lato renderepossibile lo sviluppo della rete dei distretti e dall’altro diconferire a tali strutture, a cui compete l’organizzazione e lagestione integrata di tutto il sistema delle cure primarie, la pienatitolarità degli strumenti del governo effettivo dell’assistenza edella verifica dei piani e dei risultati ottenuti.

Entrando dunque più nel dettaglio va detto chiaramente chequegli strumenti con cui i distretti possono esercitare un’azionedi governo effettivo (a cui le regioni devono dareindispensabilmente concreta implementazione pena la loronullità) sono di duplice natura: finanziaria e gestionale alcontempo. Questo significa che come elemento prioritario videve essere l’attribuzione all’area sistema di risorse certe sottola forma di budget specifico e rispondente alle regole dellacontabilità analitica; a questo vi deve poi accompagnare ildiretto affidamento della sua gestione a un direttore responsabileprovvisto di idonee capacità gestionale ed infine devono essereprevisti gli idonei strumenti di supporto ovvero la direzionestrategica e il comitato di dipartimento; in conclusione ilmodello organizzativo dell’area-sistema per essere efficace deveessere equivalente a quello dei dipartimenti di tipo strutturale ecome tale essere basato sui principi della programmazione, dellamultidisciplinarietà e del lavoro di team e della valutazione deirisultati ottenuti.

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5. Conclusioni: allocazione delle risorse ed uniformità dei Livelli delle prestazioni

Sviluppare una rete di distretti e potenziare gli interventi diterritorialità significa in conclusione introdurre una discontinuitànel modello finora prevalente di servizio sanitario a partire dauna diversa allocazione delle risorse tra i tre macrolivelli diassistenza previsti dal Piano Sanitario nazionale 1998-2000:prevenzione, assistenza distrettuale ed assistenza ospedaliera;occorre infatti invertire il trend del flusso dei finanziamenti cosìcome è stato autorevolmente evidenziato dalla Corte dei Continella parte della “Relazione sulla gestione finanziaria delleregioni per gli anni 2001 e 2002” dedicata ai livelli essenziali diassistenza erogati e alla ripartizione percentuale delle risorse.

Nell’anno 2000 le percentuali di assorbimento sono staterispettivamente del 3,6% per la prevenzione, del 46,7% per ladistrettuale, del 49,7% per l’ospedaliera, confermando la notatendenza a privilegiare l’intervento ospedaliero. Laconsapevolezza di tale squilibrio è stata doverosamente recepitain sede di Conferenza Stato-Regioni dove nella relazione tecnicadi base all’accordo del 22 novembre 2001 per la definizione deiLea, si è convenuto sulla necessità di un incremento futuro dellacomposizione percentuale da riservare alla prevenzione e alladistrettuale. La prima dovrebbe nel triennio 2002-2004 passaredalla attuale percentuale di composizione del 3,6% a quellamaggiore del 5%, mentre per la distrettuale il valore diriferimento implicherebbe un incremento di peso percentualedall’attuale 46,7% al 49,5%. Specularmente per l’ospedalieral’obiettivo per il triennio 2002-2004 è di una diminuita presenzafinanziaria da contenere entro la percentuale del 45,5%, a frontedell’attuale 49,7%. Questa diversa e più opportuna allocazione delle risorse nonrisolve ovviamente il problema centrale della cronica sottostimadel finanziamento a disposizione del Servizio sanitario;sottostima divenuta ora una vera emergenza che rischia diportare, senza immediati interventi correttivi, al collasso eall’implosione dell’intero sistema come denunciato in piùoccasioni e all’unanimità da parte di tutti i Governatori.

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C’è infine un ultimo problema da affrontare, particolarmentedelicato in virtù delle nuove competenze ora affidate alle regionidal riformato Titolo V della Costituzione; un problema cherichiama il diverso impegno mostrato dalle regioni nellarealizzazione della propria rete distrettuale a cominciare dallaallocazione delle risorse a tal fine necessarie; il dato che emergecon forza, a partire da quanto contenuto nella stessa relazionedella Corte dei Conti, è quello di un andamento fortementedifferenziato a dimostrazione del diverso peso attribuito allepolitiche di riequilibrio da parte delle singole amministrazioni.Assumendo infatti come parametro di analisi la spesaospedaliera, questa, nell’anno 2000, ha presentato la percentualepiù bassa nella composizione del costo totale in quelle regionicome Toscana [42,1%] ed Emilia Romagna [42,4%] che daalmeno 15 anni hanno messo in opera seri interventi diriqualificazione della rete distrettuale e di riorganizzazionedell’offerta ospedaliera. Sopra media al contrario il Lazio conassorbimento da parte dell’ospedaliera di una percentuale dicosto pari al 56,2%, Veneto [52,8%] e Liguria [52,1%] in cuitali politiche sono state perseguite con minore o scarsadeterminazione. In Campania la spesa 2000 per le attivitàdistrettuali è più elevata a confronto del corrispondente datonazionale [42,3%>40,2%], mentre più bassa è la percentualedell’ospedaliera [48,5%<49,1%]. Nell’attività di prevenzione, a fronte della media nazionale del3,3%, emerge il dato della Sardegna con il 5,7%, seguita daCalabria e Umbria [3,9%], Emilia Romagna [3,8%], Lombardia[3,7%].

L’insieme dei dati dunque depongono per una situazione che,con le dovute eccezioni, è ancora lontana dal raggiungimento diun livello ottimale nell’uso delle risorse e nella loro correttaallocazione; per la risoluzione di tale problema e per unaefficace azione di riequilibrio è necessaria ancora una volta unadiscontinuità rispetto al passato congiuntamente ad una nuovaprogettualità.

Alcune regioni tra cui quelle storicamente di sinistra hanno dasempre impostato le loro politiche allo sviluppo dei serviziterritoriali e nonostante questo una delle più rappresentative diesse, la Toscana, ha avviato la sperimentazione di nuovi modelli

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gestionali (le società della salute) tesi a riportare laresponsabilità nella gestione complessiva delle cure primarie,dell’intervento sociale e del personale ad esse dedicato ad ununico e nuovo soggetto giuridico nelle vesti di consorzio tra Asle comuni. Una valutazione sulla reale efficacia di tali scelterichiederà necessariamente un adeguato periodo di osservazioneanche se fin da subito solleviamo critiche alla possibileistituzione di un mercato interno con conseguente “acquisto”delle prestazioni ospedaliere ed altro da parte del consorzio. Daparte nostra non consideriamo tale scelta condivisibile puressendo convinti del fatto che l’ottimizzazione del sistema dellecure primarie rispetto al mutato quadro epidemiologico, imponein ogni caso l’elaborazione di strategie innovative e piùavanzate.

Particolarmente grave è invece che la stessa tensione almiglioramento sia completamente assente in quelle regioni, inparticolare del centro sud, in cui la medicina del territorio èancora oggi una semplice espressione verbale. La ripartizionedelle competenze tra Stato e regioni è ormai tale per cui la sanitàè di fatto competenza concorrente/esclusiva delle regioni e ipoteri di intervento diretto dello Stato, nonostante sia previstonella stessa Costituzione quello sostitutivo verso le regioniinadempienti, risultano ormai sostanzialmente nulli. Tuttoquesto è fonte di ulteriori problemi in quanto nella situazioneattuale, caratterizzata dal forte indebitamento da parte delleregioni, esiste la più che fondata possibilità che quelle in ritardorinuncino ad adeguare il loro sistema sanitario limitandosi allasemplice amministrazione dell’esistente. Un esistente peraltrospesso di scarsa qualità che ha costretto molte volte i residentiad affrontare viaggi e trasferimenti verso le regioni con servizisanitari più efficaci.

C’è dunque il rischio che le diseguaglianze già fortementerappresentate nel nostro paese si accentuino invece di diminuiree che i principi di universalità ed equità vengano fortementecompromessi; affinché questo non avvenga, noi riteniamo chedebbano essere intraprese nuove iniziative e che in ogni casovadano approntati degli standard nazionali di riferimento sullaqualità dei servizi affinché la definizione dei Livelli essenziali di

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assistenza non resti un’altra declamazione di principio priva direale esigibilità.

Il nostro progetto per lo sviluppo di un nuovo sistemasociosanitario, tema del convegno odierno, è anche il tentativodi dare un contributo a queste problematiche che assumono unarilevanza particolare proprio ai fini del miglioramento del nostrosistema di welfare e del rafforzamento dei principi dieguaglianza di tutti i cittadini che noi consideriamo elementifondamentali per lo sviluppo del paese e per il mantenimentodella coesione sociale.

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UNA NUOVA PROPOSTA PER L’ASSISTENZA PRIMARIA: LA CASA DELLA SALUTE

di Maurizio Marchionne, Responsabile Assistenza primaria Fp Cgil Medici

Il momento politico-istituzionale che stiamo attraversando ècaratterizzato, fra l’altro, da una opera sistematica didemolizione del Sistema Sanitario Nazionale che passaattraverso vari atti: la spinta sempre più accentuata verso ladevolution, il sottofinanziamento scientificamente perseguito delsistema, l’indefinita individuazione dei Lea, la spinta verso laprivatizzazione favorita e ricercata nei modi più svariati, latendenza continua verso l’ambito assicurativo, la mancanza diattenzione verso il territorio. In questo contesto si inserisce ilritardo abissale con il quale si stanno muovendo i primi passiper il rinnovo della Convenzione Nazionale scaduta da ormai treanni, a testimonianza del tentativo di ridurne la capitaleimportanza.La Fp Cgil Medici considera il Ssn un patrimonio comune ditutti i cittadini, il sistema migliore attraverso cui assicurare egarantire la tutela della salute, diritto inalienabilecostituzionalmente sancito, ed è impegnata a 360 gradi nelladifesa, salvaguardia e promozione del sistema pubblico, unicocapace di garantire un accesso equo, solidale a tutti i cittadini.La Medicina Generale ed il territorio su cui essa operarappresentano il fronte più delicato su cui si gioca la partita delladifesa e promozione del sistema pubblico.Garantire sul territorio migliori cure primarie, servizi territorialipiù efficienti rappresentano obiettivi irrinunciabili che vannooltre la difesa di singoli interessi professionali corporativi.Occorre una coscienza e una sensibilità della categoria checomprenda come effimeri benefici raggiunti non possonoesistere senza la tenuta dell’intero sistema di cure primarie nelsuo complesso.Oggi il ruolo del MMG è sempre più schiacciato tra unaburocratizzazione che ha raggiunto limiti insostenibili a scapitodell’attività clinica, ma che non accenna a diminuire ed è anzisempre in aumento (vedi ad esempio le nuove incombenzeimposte dal nuovo decreto sulla tutela della privacy) e lamancanza di una valida articolazione del lavoro che consenta diinteragire con le altre entità del territorio (Asl, ospedali,

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università, servizi di continuità assistenziale, emergenzaterritoriale).In questa situazione il MMG riveste un ruolo del tuttomarginale, spesso visto alla stregua di un semplice prescrittore oaddirittura trascrittore di quanto deciso da altri, incapace dicogliere le dimensioni e le implicazioni di natura qualitativa equantitativa del proprio lavoro.La Fp Cgil Medici ritiene, al contrario, indifferibile unavalorizzazione della figura del MMG come asse portante dellamedicina pubblica, primo anello di un circuito che deve offrireai cittadini una risposta ai propri bisogni di salute pronta,efficiente, efficace. Tale recupero deve avvenire attraversol’attenzione all’umanizzazione del rapporto medico-cittadino nelrispetto delle reciproche peculiarità, senza sudditanze a priori daambo le parti, senza condizionamenti di alcun genere, senzapressioni consumistiche di varia fonte (stampa, televisione,aziende farmaceutiche, industrie), al solo scopo di promuovere,mantenere, recuperare lo stato di salute del singolo e dellacomunità.Questa opera di rinascimento della assistenza primaria deveessere legata ad una diversa considerazione ed articolazione delsistema sanitario sul territorio. Fino dalla nascita della legge n.833 si è fatto un gran parlare della centralità del territorio senzache nel corso di questi decenni si sia fatto un reale passo inavanti nella valorizzazione di questa astratta entità.E’ giunto il momento di una definitiva svolta politica che diainizio ad un processo di progressivo spostamento di risorseeconomiche, culturali, professionali dalla visione“ospedalocentrica” che ha sin qui condizionato la sanità nelnostro Paese. L’intento finale non è certo quello di ribaltare talevisione, asservendo ospedali e università alla supremazia dellamedicina del territorio, ma quello piuttosto di esaltare lepeculiarità dei vari comparti, riservando alle struttureospedaliere il compito che è quello loro proprio di centri dieccellenza per la soluzione di problemi più complessi in cuidebbano essere interessate, ad esempio, più avanzate tecnologie.Nel territorio deve essere invece valorizzata la capacità dipresenza capillare, l’attenzione verso il cittadino non comesemplice malato, ma come persona che va seguita edaccompagnata in un percorso che spesso non è tanto o soloquello del recupero dello stato di salute perduto, ma sempre più

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spesso ricerca di una condizione di benessere complessivopsicofisico, spesso alterato dalle condizioni economiche osociali contingenti. Non vanno infatti trascurate leproblematiche introdotte nella società dal progressivoinvecchiamento della popolazione (l’Italia è ormai al secondoposto come aspettativa di vita della popolazione dietro alGiappone e sono già presenti più di 3.000 ultracentenari), i costisociali ed economici legati alla doverosa attenzione verso isoggetti fragili, gli emarginati, gli handicappati.Questo è il terreno di quotidiano impegno dei circa 70.000medici di medicina generale che da sempre, sondaggi alla mano,rappresentano la figura di riferimento dei cittadini quando simanifesta una malattia, quando si cerca un consiglio, unindirizzo utile o semplicemente una parola di comprensione.Troppo spesso però la figura del MMG non ha saputo tenere ilpasso con le mutate condizioni culturali, sociali, tecnologiche,rimanendo ancorato ad una visione paternalistica del propriolavoro, chiuso come la monade hegeliana in un universo ristrettoe confinato alle quattro mura del proprio studio, lontano dalprogresso della società, isolato e diviso dal resto del sistemasanitario con cui spesso è entrato anche involontariamente inurto a causa delle molteplici e cervellotiche normative che sisusseguono a ritmo incessante apparentemente motivate spessodal solo scopo di creare difficoltà ai pazienti ed anche a coloroche li assistono.Sembra quindi arrivato il momento di dare vita a nuove modalitàorganizzative, più moderne, più evolute che siano in grado da unlato di fornire agli utenti risposte cercate in tempi rapidi, inmaniera efficiente ed efficace, nel rispetto di criteri di giustoimpiego delle risorse e dall’altro che permettano agli operatoriimpegnati di sentirsi realizzati dal punto di vista professionale.Da queste considerazioni generali molto grossolane, ma in cui èil nocciolo del problema al di là di disquisizioni filosofiche,nasce la nostra proposta per una nuova strutturazionedell’assistenza primaria: la Casa della Salute.Questa figura tutt’altro che filosofica o teorica, ma realearticolazione architettonica è la condizione con la quale renderepossibile la unitarietà ed integrazione dei livelli assistenzialiattraverso la contiguità spaziale di servizi ed operatori.Le Case della Salute rappresentano delle sottoarticolazionidistrettuali in cui diverse professionalità prestano la propria

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opera allo scopo di fornire quante più possibili risposte aibisogni di salute dei cittadini, in situazioni in cui il distrettocomprende realtà locali troppo ampie in cui il rischio è quelloche si crei una struttura centrale troppo lontana anchepsicologicamente dai bisogni dei cittadini, configurataottimalmente per funzioni di programmazione e coordinamento,ma incapace di fornire in tempi ragionevoli risposte efficienti edefficaci rispetto alle richieste. Strutture in grado di articolarerisposte flessibili a bisogni come quello di assistenzadomiciliare, presso le sedi lavoro o le scuole che faccianoriferimento ad ambiti territoriali che si possono definire areeelementari caratterizzate da una popolazione di circa 10.000persone di cui la Casa della Salute sia il presidio sociosanitariodi riferimento.Le ultime convenzioni nazionali per la medicina generale hannoaffrontato il problema del lavoro di gruppo attraverso ilcosiddetto associazionismo che prevedeva nell’ultimaarticolazione la possibile creazione su base volontaria di tretipologie di associazioni: la medicina di associazione, lamedicina di rete e la medicina di gruppo, ognuna caratterizzatada particolarità legate alla diversa modalità di lavoro(rispettivamente articolata su più studi sul territorio, su un unicostudio in cui operano più medici oppure su studi distaccaticollegati con una rete informatica). Tali associazioni limitate ad un numero massimo di diecioperatori (bacino potenziale massimo di 15.000 utenti) nonhanno generalmente condotto ai benefici che si potevanoauspicare nel senso di una migliore organizzazione del lavoroche assicurasse una continuità assistenziale tale da assicurareprestazioni adeguate dal punto di vista qualitativo e quantitativo,ma hanno troppo spesso rappresentato solo un mezzo attraversocui recuperare quote di compenso accessorio aggiuntivo. Diverse sperimentazioni sono state condotte in varie Regionicon lo scopo di testare differenti modalità operative (citosolamente nel Lazio le UAT, unità assistenza territoriale), manessun progetto organico è stato sin qui adottato in materia,lasciando aperta la strada ad iniziative spontanee della base chehanno dato vita a forme associative o cooperative chedocumentano la spinta ideale alla collaborazione, orfane però diun progetto più generale di ampio respiro proveniente dallestrutture del Ssn.

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Questo ruolo progettuale deve a nostro avviso essere svolto dalDistretto, ambito in cui deve nascere una nuova forma dicoordinamento fra le diverse figure impegnate sul territorio(MMG, PLS, specialisti ambulatoriali, Continuità Assistenziale,Emergenza Territoriale, operatori sociali) che si troveranno acollaborare fisicamente nello stesso ambiente, dando vita allatanto ricercata continuità assistenziale h 24 7 giorni su 7 edinteragendo per svolgere:

attività di prevenzione ed educazione sanitaria;assistenza domiciliare integrata;continuità assistenziale;formazione ed aggiornamento;elaborazione di linee guida diagnostiche e terapeutiche

e di profili di cura;verifica e revisione di qualità, procedure di revisione

fra pari e analisi partecipata della qualità.

Tali attività saranno svolte grazie alla riduzione di partedell’orario di lavoro del MMG e del PLS nel proprio studio chepotrà essere dedicata all’attività nell’ambito del distretto, conrelativa diminuzione del massimale tale da consentire unamigliore gestione del lavoro con maggiore disponibilità perl’attività clinica verso i cittadini.Per evitare che il distretto finisca come si diceva prima perrappresentare una struttura troppo centralizzata e poco agile siinserisce la figura della Casa della Salute, luogo privilegiatodove la volontaria associazione di un numero limitato di mediciconsente di dare vita ad equipe in cui siano presenti e cooperantispecialisti, infermieri, terapisti, operatori sociali, rappresentantidel volontariato. Tali strutture dovranno tradurre in praticaquanto progettato in sede nazionale, regionale ed aziendale,restituendo a tali entità il frutto unico dell’esperienza praticaquotidiana su cui dovranno essere ritarate le progettualità perrenderle più aderenti a quanto rilevato dall’attività di ricerca sulterritorio in campo epidemiologico, demografico e sociale.Nell’ambito della Casa della Salute diverse aree funzionaliforniranno servizi diversificati:

amministrativi (prenotazioni visite ed esami,informazioni, archiviazione cartelle, telerefertazione, presa incarico di bisogni assistenziali, ecc...);

urgenza con postazioni di pronto soccorso mobile;

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preventivo-educazionali (medicina scolastica,prevenzione sui luoghi di lavoro, lotta al fumo, alcoolismo,stupefacenti, screening di salute, consulenza familiare).

Nella Casa della Salute l’assistenza primaria sarà svolta daiMMG e dai PLS che volontariamente chiederanno di farneparte, usufruendo dei benefici connessi all’attività svolta informa associativa che dovrà essere adeguatamente incentivata.Dovrà essere tutelata l’autonomia professionale dei singoli,esaltando nel contempo il beneficio derivante dalle possibilità discambio in tempo reale di informazioni, esperienze econoscenze fra pari e con gli specialisti operanti nella struttura.Massima incentivazione dovrà avere l’informatizzazione dellastruttura, unica via attraverso la quale i medici di assistenzaprimaria possono superare lo storico problema dell’isolamentoprofessionale in cui si trovano ad operare ancora troppi di loro.Attraverso reti telematiche sarà poi necessario arrivare ad uncollegamento stabile con le altre strutture del territorio (Asl,Ospedali, Università), permettendo esperienze di teleconsulto,telerefertazione, teleassistenza e telemonitoraggio checonsentirebbero un salto in avanti epocale dell’assistenza.Nelle Case della Salute si dovrà rendere possibile l’attivazionedi una serie di attività che consentano di evitare il ricorso astrutture di secondo livello:

piccola diagnostica (spirometrie, ecg, ecografie, ecc.);degenze brevi per patologie che richiedono tempi di

ricovero non superiori ai tre giorni;medicina riabilitativa con apposite aree attrezzate.

Queste strutture, grazie ad una efficace turnazione del personalemedico e paramedico in esse operante, rappresentano le sedi piùidonee per la realizzazione della continuità assistenziale h24,disponendo in loco di tutte le informazioni sanitarie degli utentidel territorio in cui insistono le locazioni, unitamente atecnologie di primo livello utili per affrontare le urgenze piùsemplici e immediate dei cittadini.Parte fondamentale delle attività della Casa della Salute è quellarivolta ai servizi sociali con l’Assistenza Domiciliare Integrata,il Centro Diurno e la Residenza Sanitaria Assistenziale, entitàgià operanti in quasi tutte le realtà italiane che dovrannocontinuare ad essere incentivate sempre più a causa dei

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mutamenti sociali e demografici intervenuti e già citati nellanostra popolazione.Su questo progetto riteniamo che ci si debba impegnare a fondo,operando un profondo cambiamento di mentalità che vada nelsenso della cooperazione, della condivisione, dellariunificazione, dell’integrazione fra professionalità, strutture edutenti del sistema. Riteniamo altrettanto che solo una struttura così organizzatapossa garantire una reale attuazione del dettato costituzionaleche afferma il diritto alla salute come bene fondamentale deicittadini e possa anche garantire la possibilità di fornire in tempiaccettabili risposte coerenti, efficaci ed efficienti alle sempremaggiori esigenze di salute della comunità.

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LA CASA DELLA SALUTE

di Bruno Benigni, Spi Cgil

“Un uomo percorre il mondo intero in cerca di ciò che gli servee torna a casa per trovarlo”

G. Moore (Scrittore irlandese, 1852 – 1933)

La Casa della Salute corrisponde ad un’idea semplice, eppure digrande utilità per la riorganizzazione del welfare locale.La Casa della Salute è la sede pubblica in cui la comunità localesi organizza per la promozione della salute e del ben-esseresociale e dove trovano allocazione, in uno stesso spazio fisico, iservizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie e sociali peruna determinata e programmata porzione di popolazione.Un’idea e una proposta semplice, ma tutt’altro che scontata nelpanorama del welfare locale per il fatto che essa non è soloun’aggiunta innovativa, ma è anche, e prima di tutto, unprogetto di cambiamento dell’esistente.Infatti, attivare la Casa della Salute richiede ai cittadini unimpegno collettivo per la salute, quindi una loro più altaresponsabilità; agli operatori una nuova pratica professionale,quindi l’affermazione del valore sociale del lavoro; ai Comuniuna nuova capacità progettuale, quindi una nuova cultura digoverno, per coniugare i compiti e le responsabilità istituzionalicon le diverse forme di espressione della democrazia diretta.Tutto per il fine della salute e del ben-essere sociale deicittadini.Il cammino da percorrere è tutt’altro che agevole, perché la Casadella Salute deve entrare nella cultura progettuale, nelle regoledi programmazione, negli ordinamenti e nei rapporti di lavoro,nel senso comune, perché la Casa della Salute sia sentita anchecome la Casa di tutti i cittadini, come lo è oggi la scuola, ilComune, l’ospedale, il centro sociale.

Le finalitàIn modo più specifico e più diretto per la rete dei serviziterritoriali sociosanitari, la Casa della Salute costituisce unacondizione essenziale per rendere possibile, tramite la contiguitàspaziale dei servizi e degli operatori, la unitarietà e

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l’integrazione dei livelli essenziali delle prestazionisociosanitarie di base.Principi fondamentali, affermati esplicitamente dalla legge229/99 e dalla legge 328/2000, ma che fin qui sono rimastisostanzialmente enunciazioni teoriche, diffuse e reiterate negliatti di indirizzo e di programmazione nazionali e regionali, mascarsamente applicati. Quando si è passati dalla teoria alla pratica, si sono prodotte soloesperienze parziali in alcune aree del Paese e per alcunetipologie sociosanitarie, senza che si sia giunti ad unaapplicazione sistematica dei principi.Da questo punto di vista, la Casa della Salute crea le condizionistrutturali per passare dalle affermazioni di principio allaconcreta realizzazione, dal momento che essa si costituisce perl’appunto come il luogo della ricomposizione delle culture, dellecompetenze e delle responsabilità dei servizi sanitari e socialiterritoriali, nel rispetto dell’unità della persona, considerata nelsuo contesto di vita e di lavoro.

Le aree elementariNon c’è Casa della Salute senza ambito di programmazioneterritoriale, come per altri versi non c’è ospedale senza areaprogrammata e senza regole di riferimento.La Casa della Salute si configura, infatti, come specificazione e,insieme, come contributo alla programmazione della zona-distretto. Come è noto, il distretto, che di norma deve coincidere con laZona sociale, ha trovato nelle leggi nazionali, e in particolarenella legge 229/99, i criteri generali per la sua definizionespaziale. L’aera distrettuale deve comprendere non meno di 60mila abitanti, salvo eccezioni determinate dalla conformazionemorfologica del territorio, dalla densità della popolazione e dalsistema delle comunicazioni per l’accesso ai servizisociosanitari.Si è optato, comunque, per un distretto che dispone di unterritorio ampio e che raccoglie una consistente popolazione permettere a disposizione una quantità e una qualità di risorsefinanziarie, tecnologiche e professionali capaci di soddisfare ladomanda di prestazioni sociosanitarie che possono essere forniteal di fuori dell’ospedale.

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Il distretto si configura, positivamente, come la sede idonea perle funzioni di programmazione e di coordinamento, ma rischiad’essere, negativamente, un’area di accentramento delleprestazioni in luoghi distanti dai cittadini, vanificando ilprincipio della prossimità e della agevole accessibilità alle sedidi erogazione.Al contrario, il servizio pubblico, sia sanitario che sociale, deverecuperare quella flessibilità operativa che lo porta a svelare ladomanda inespressa e ad agire sui contesti sociali, con interventiche dalle sedi formali del Servizio si proiettano in tutte lepossibili sedi informali (il domicilio, il luogo di lavoro, ilquartiere, la scuola, ecc...).Il Servizio va al cittadino e non solo viceversa; il Servizio èdinamico e non si costituisce solo per l’attesa.Un’altra annotazione. Una centralizzazione o una spontaneadispersione delle sedi di erogazione delle prestazioni consente,al massimo, una partecipazione indiretta, solo rappresentativa disecondo e terzo grado, e tagli fuori il contributo diretto dellecomunità che si organizzano nei luoghi naturali del vivere e delconvivere, laddove le prestazioni sono “visibili” a tutti e, cometali, partecipati.Sulla base di queste considerazioni, che recuperano uno deiprincipi ispiratori della riforma del 1978, è necessario che lesedi di erogazione delle prestazioni siano le più vicine possibilial domicilio delle persone, senza perdere in efficacia e qualità.Questo richiede che il distretto sia suddiviso in aree subdistrettuali di dimensioni più contenute per popolazione e perterritorio, ambiti che si possono chiamare aree elementari, nelsenso che esse assumono il ruolo di area di base su cui sicostruiscono le fondamenta dell’impianto del distretto e,conseguentemente, del Servizio sanitario pubblico.A titolo di ipotesi, l’area elementare potrebbe stare in unparametro di popolazione compreso tra i cinque e i quindicimilaabitanti, con variazioni che, come per il distretto, potrebberodipendere dalla conformazione del territorio, dalla densità dellapopolazione e dalla rete delle comunicazioni per l’accesso aiservizi.La Casa della Salute è il presidio sociosanitario dell’areaelementare.

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Leggi e piani per le aree elementariLa legge 299/99 “Riordino del Servizio sanitario nazionale”giustamente non fa menzione del problema delle aree elementarie tanto meno della Casa della Salute. Si ferma al distretto.La ragione sta nel fatto che nell’Ordinamento costituzionaleitaliano le competenze per l’organizzazione del Serviziosanitario e del welfare sono conferite alle Regioni. Spetta allaloro potestà legislativa e programmatica entrare nel meritodell’articolazione spaziale del distretto e della suaorganizzazione strutturale.Pertanto, la definizione dei parametri per le aree elementari e lascelta dei presidi da costituire in esse sono di competenza delleRegioni e degli Enti locali.E’ un fatto, però, che nessuna legge regionale e nessun Pianosanitario delle Regioni ha affrontato questo problema e ildistretto risulta come area indifferenziata su cui le Aziendesanitarie, tramite l’Atto aziendale, sono chiamate ad organizzareliberamente la rete dei servizi.Si manifesta qui uno dei limiti tradizionali della PubblicaAmministrazione, poco attenta ai problemi della gestione delleattività, all’efficienza e all’efficacia dei modelli organizzativi.Almeno per quanto riguarda la sanità e le politiche sociali,invece, è di estrema importanza che la legge regionale e i Pianiregionali e locali stabiliscano regole comuni per costituirequesto tassello basilare del sistema, senza del quale non siraggiungono gli obiettivi della integrazione operativa e diventaaleatoria la stessa esigibilità dei diritti, risulta difficile stabilireuna partecipazione diretta e responsabile dei cittadini.

Lavorare insiemeIl problema del lavoro di gruppo, dell’approcciomultidisciplinare nell’assistenza sanitaria è affrontatoesplicitamente, sul piano dei principi e degli indirizzi,dall’articolo 3-quinquies della legge quadro 229/99, proprioperché esso è considerato decisivo per l’efficienza e l’efficaciadelle prestazioni. Del resto tutta la legge 229/99 è fondata sullavalorizzazione dell’unità della persona, vista nel suo contestosociale, e sulla necessità di garantire un sistema unitario edintegrato di risposte ai bisogni di salute e di cura del cittadino.

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Dopo la “229”, bisognava sviluppare a livello regionaleun’ulteriore creatività legislativa, che invece non c’è stata, perportare in pratica concetti ed indirizzi.Mentre nel sistema ospedaliero il lavoro interdisciplinare hatrovato risposta organizzativa, sia pure con luci ed ombre, nelmodello dipartimentale, nella sanità territoriale l’esigenza dellavoro di gruppo ha trovato un riscontro nell’art. 17-bis dellalegge quadro 229/99 e nella Convenzione per la Medicinagenerale, là dove si prevede di incentivare l’associazionismomedico, naturalmente volontario.

Qualcosa si muoveIn un Servizio sanitario pubblico, che vuol mantenere al centrola persona con l’unitarietà dei suoi bisogni e la globalità dellarisposta, il lavoro collegiale degli operatori è questioneineludibile e costituisce uno degli orizzonti cui si rivolgono glioperatori, della sanità come del sociale, per affermare una nuovae più gratificante professionalità.Nonostante i vantaggi che storicamente sono stati assicurati perl’esercizio individuale e privato delle professioni, ci sonoesperienze di operatori sanitari e sociali che cercano di aprirsi lastrada dell’associazionismo e finanche della cooperazione persuperare l’isolamento delle professioni sanitarie e sociali delterritorio.Si tratta di esperienze interessanti se pur limitate, che sonotestimonianza di un’esigenza insopprimibile di lavoro sociale daparte degli operatori, pur in assenza di un progetto generale chedovrebbe essere proposto e costruito attraverso unacollaborazione tra le Istituzioni del Servizio sanitario nazionalee le Organizzazioni rappresentative degli operatori.Naturalmente l’iniziativa spontanea, per ora dal basso e dallaperiferia, ha un ruolo trainante se riesce a coniugare il valore dellavoro comune degli operatori con il carattere universale epubblico del Servizio sanitario nazionale, evitando deriveprivatistiche e soluzioni non trasferibili in tutti i contesti.La Regione che più si è inoltrata nella definizione di un sistemadi regole per il lavoro dipartimentale nel distretto è l’EmiliaRomagna che ha inserito nel modello organizzativo distrettualeil Dipartimento delle cure primarie con una sua articolazione inNuclei operativi a livello sub distrettuale.

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Recentemente, il Ministero della Salute ha avanzato la propostadi una sperimentazione di Unità Territoriali di AssistenzaPrimaria (UTAP), ma siamo ancora molto lontani da unasoluzione di sistema, incardinata nelle normative, nei Contratti enelle Convenzioni e negli atti di programmazione territoriale.

La Casa della Salute: l’edificioLa Casa della Salute si propone come un modulo di un sistema,capace di unificare le esperienze in atto e di valorizzare ilcomplesso delle risorse professionali e democratiche per il finedella salute.La Casa della Salute, infatti, è un presidio che si può realizzarein tutte le aree elementari, una volta che queste siano statedefinite.La Casa della Salute é il contenitore che rende possibile, inragione della contiguità spaziale, un modello organizzativo diintegrazione dei servizi e delle pratiche operative, anche con lanecessaria gradualità.La Casa della Salute, comprensibilmente, non ha ancora guidetecniche tipizzate. Le soluzioni architettoniche, che dovrannotener conto di evidenti esigenze di flessibilità modulare inrapporto all’interland di riferimento, saranno date dall’incontrocreativo tra la cultura sociale e la cultura progettuale delterritorio, non solo per tarare e progettare il manufatto a misuradei bisogni, ma per inserire la Casa della Salute nel complessodelle relazioni interne ed esterne al distretto, per fare di essa uncentro che annoda e dipana le relazioni tra i cittadini e la rete deiservizi sociosanitari.

Una sede unicaLa Casa della Salute deve insistere preferibilmente in una sedeunica. Solo alcune attività, che hanno una sufficiente autonomiadi gestione, possono essere ubicate eccezionalmente in sedediversa. Si fa l’esempio della Residenza sanitaria assistenziale,dell’hospice o di strutture residenziali che hanno una forteidentità gestionale.E’ possibile che, per ragioni oggettive, dipendenti dallaconformazione del territorio, alcuni studi medici non possanoconsolidarsi in uno stesso edificio per il fatto che è necessariogarantire, comunque, un agevole accesso dei cittadini alle sedidi erogazione delle prestazioni.

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In ogni caso, la Casa della Salute, con l’essenzialità della retedei servizi, con i sistemi informatizzati e con la sua struttura dicoordinamento deve assicurare comunque l’integrazione delleattività nell’area elementare, deve fungere da “volano”dell’integrazione operativa.Da questo punto di vista e per queste finalità sono di particolareutilità quelle scelte programmatiche, già presenti in alcune areedel Paese (vedi città di Roma) che prevedono un Pianoregolatore del distretto socio-sanitario. Per la Casa della Salute si potranno utilizzare strutture sanitariedismesse, da ristrutturare, edifici messi a disposizione deiComuni, ambienti acquisiti dal mercato edilizio, sedispecificamente progettate ed edificate.E’ chiaro che a questa progettazione si giungerà se e quando laCasa della Salute sarà considerata una funzione irrinunciabiledel sistema sociosanitario regionale, parte integrante dellaprogrammazione regionale e locale.A quel punto a questo sistema dei presidi territoriali dovràessere dedicata la stessa attenzione che oggi è riservata agliospedali, sia sul piano della qualità progettuale che su quellodella linea di finanziamento dell’edilizia sociosanitaria.Deve far riflettere il fatto che finora tutte le risorse finanziariedisponibili per investimenti in conto capitale sono stateimpegnate per la rete ospedaliera o comunque per strutture diricovero, quasi per niente per la rete dei servizi sociosanitari delterritorio.La ragione sta nel fatto che nella sanità il territorio a parole ètutto, nella realtà é quasi niente.Le aree elementari con le Case della Salute possono aprire lastrada ad un’inversione di tendenza.

La Casa della Salute: gli obiettiviLa Casa della Salute è una sede fisica ma soprattutto un centroattivo e dinamico della comunità locale per la salute e il ben-essere che raccoglie la domanda dei cittadini e organizza larisposta nelle forme e nei luoghi più appropriati, nell’unità dispazio e di tempo.La Casa della Salute deve consentire:

di operare per programmi condivisi, sulla base delProgramma delle Attività Territoriali del distretto (PAT),mettendo fine all’occasionalità e/o alla routine;

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di promuovere e valorizzare la partecipazione deicittadini, soprattutto delle loro Associazioni, assicurandoforme di gestione sociale nei vari presidi e servizi;

di ricomporre le separazioni storiche esistenti tra leprofessioni sanitarie, di realizzare concretamente l’attivitàinterdisciplinare tra medici, specialisti, infermieri, terapisti edi integrare operativamente le prestazioni sanitarie con quellesociali;

di organizzare e coordinare le risposte da dare alcittadino nelle sedi più idonee, privilegiando il domicilio e ilcontesto sociale delle persone;

di sviluppare programmi di prevenzione, basati suconoscenze epidemiologiche e sulla partecipazione informatadei cittadini;

di favorire il controllo collegiale delle attività, internoed esterno ai servizi;

di offrire occasioni di formazione permanente deglioperatori, con particolare riguardo al lavoro di gruppo.

Si tratta di aspetti rilevanti della questione salute, non ancorarisolti, anche nelle aree più avanzate della realtà sanitariaitaliana.E’ evidente che non basta disporre di una struttura unificante (unedificio) per raggiungere questi obiettivi. Servono nuoveculture, nuovi modelli organizzativi, nuovi istituti contrattuali,nuove culture, uno spostamento consistente di risorse finanziariedall’ospedale al territorio.

1. La Casa della Salute: le funzioni/attività distribuite per aree

Diverse sono le funzioni da allocare nella Casa della Salute,alcune di natura amministrativa, altre di natura sanitaria esociosanitaria ed altre ancora di natura sociale.

Area delle attività amministrativeLa Casa della Salute deve disporre di un’area destinata alleattività amministrative per il governo della struttura, conpersonale adeguato per consistenza e professionalità, perl’informazione e comunicazione con i cittadini, per il supportodelle attività sanitarie e sociali svolte nella Casa della Salute, in

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modo da semplificare i percorsi assistenziali dei cittadini e da“liberare” gli operatori, in particolare i medici di famiglia,dalle incombenze burocratiche che limitano e snaturanol’esercizio della professione.In particolare, si tratta di operazioni di natura economale (ilPresidio deve disporre di un budget e deve funzionare comeCentro di costo), di segreteria degli studi medici, di raccolta deidati, di archiviazione delle informazioni e delle cartelle cliniche,ecc…

Area degli sportelli integrati La Casa della Salute è il punto d’incontro più prossimo tra ilcittadino e il sistema organizzato del Servizio sociosanitario.Nella posizione di più facile accesso, sono collocati gli sportelliintegrati della sanità e dell’assistenza, collegati ai medici dimedicina generale, ai pediatri di libera scelta, al Servizio socialeprofessionale e al Centro Unificato di prenotazione (CUP).Questo è il punto al quale si rivolgono i cittadini per leinformazioni e le prenotazioni, per la presa in carico dei lorobisogni assistenziali e per l’organizzazione di una rispostaadeguata.La Casa della Salute consente, finalmente, di realizzare questaprima ed essenziale funzione del Servizio pubblico checostituisce, sul versante dell’offerta, il primo livello essenzialedelle prestazioni richieste dal comma 4 dell’articolo 22 dellalegge 328/2000.

Area delle prestazioni urgenti, dei prelievi e delle donazioniAlla porta della Casa della Salute è collocato il punto disoccorso mobile dotato di personale medico a bordo presente 24ore su 24.Uno spazio funzionale deve essere destinato alle attività diprelievo con risposte a domicilio entro 24/48 ore sulla base di unAccordo che può essere stipulato tra la Regione e le Posteitaliane. La Casa della Salute offre la possibilità di organizzare l’attivitàdi donazione del sangue con l’impegno e la partecipazione delleAssociazioni del volontariato in modo da valorizzare ilcontributo di solidarietà dei cittadini.

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Un ambulatorio chirurgico deve essere sempre disponibile,aperto nelle ore diurne, per piccoli interventi che nonnecessitano di ricovero in ospedale.

Area della prevenzioneL’area della prevenzione è uno spazio strategico nella Casa dellaSalute. A partire da qui, si costruiscono rapporti dicollaborazione tra Servizi sociosanitari e cittadini, si sviluppanoprogrammi partecipati di intervento sui fattori ambientali, sullecause di malattia, si predispongono e si realizzano gli screeningsulle principali malattie, si impostano i programmi dieducazione alla salute con la scuola, con i Centri sociali deglianziani, con le Associazioni di utenti e di cittadini, con leAssociazioni del volontariato.Bisogna ricordare che la prevenzione è problema complesso checoinvolge non solo gli operatori addetti, ma l’insieme deglioperatori sanitari, le Istituzioni pubbliche (Comune, Scuola,ecc…), le parti sociali, le Associazioni di cittadini.In questa area trovano collocazione le proiezioni funzionali delDipartimento di prevenzione collettiva per attività di sanitàpubblica che devono coinvolgere nei programmi i medici dimedicina generale che dispongono di una mole ingente diinformazioni epidemiologiche e mantengono rapporti quotidianicon i cittadini-utenti.E’ un’area operativa che deve agire per programmi elaboraticollegialmente e democraticamente e deve disporre di spazi perincontri con la popolazione e per gruppi di lavoro, di“laboratori” per la produzione di materiale di informazione,particolarmente per le campagne di promozione di stili correttidi vita (lotta contro il fumo, l’alcool, le sostanze psicotrope,l’uso corretto dei farmaci, ecc…).Le mappe di rischio, il controllo degli ambienti confinati edaperti, le funzioni di solidarietà pubblica e gli screening per ladiagnosi precoce delle principali malattie sono il campo dilavoro diretto di quest’area della sanità pubblica.In quest’area è collocato il Consultorio familiare che deveessere una sede e un’occasione per l’educazione sessuale degliadolescenti, per la preparazione dei giovani alla vitamatrimoniale, per l’educazione della donna al parto, per laprevenzione dei rischi nel campo della maternità e infanzia(aborti bianchi, lotta ai tumori femminili, lotta alle

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malformazioni, ecc...), per la salute della donna, con particolareriguardo alle donne immigrate.

Area delle cure primarieLe cure primarie, come è attestato dalla letteraturainternazionale, coprono intorno al 90% dei bisogni di cura dellapopolazione.Da qui l’importanza di un modello organizzativo che rendaefficiente e qualificata questa area di prestazioni.La Casa della Salute è la chiave di volta per impostare erisolvere il problema. Tutti i medici di medicina generale e i pediatri di libera sceltache lo desiderano devono trovare nella Casa della Salute lospazio per i loro studi medici.I medici di famiglia e i pediatri che si rendono disponibilidevono avere ambulatori propri con sale di attesa, spazi perattività collegiali, servizi di segreteria, disponibilità ditecnologie diagnostiche (Telemedicina e Teleconsulto), serviziinformatici direttamente collegati con il Centro Unificato diPrenotazione (sportello), archivio informatizzato delle cartellecliniche, ecc…La Casa della Salute porta in sede pubblica le varie forme diassociazionismo medico previste dagli articoli 40 e 71 del DPRn. 270 del 28 luglio 2000 (Regolamento di esecuzionedell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporticon i medici di medicina generale) e le relative èquipes possonoconfigurarsi come articolazioni del dipartimento delle cureprimarie da costituire nel distretto ai sensi dell’art. 17-bis dellalegge 229/99.La Casa della Salute è un’opportunità per rendere centrali,autorevoli, efficaci le cure primarie.La presenza dei medici di famiglia e dei pediatri nella Casa dellaSalute è l’occasione per superare, con adeguato modelloorganizzativo, la tradizionale separazione che esiste all’internostesso dei medici di medicina generale, dei medici di famigliarispetto agli specialisti, rispetto all’ospedale, rispetto alle altrefigure sanitarie non mediche e sociali.L’organizzazione dipartimentale delle attività devesalvaguardare l’autonomia professionale di ogni medico difamiglia e pediatra e deve nello stesso tempo mettere a puntotutte quelle possibilità di scambio, di informazione, di

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consulenza, di lavoro comune, di aggiornamento che consentonodi avere nel territorio un’équipe interdisciplinare che si fa caricodella cura delle persone e insieme della salute della comunità.La possibilità che la Casa della Salute offre di una contiguitàoperativa tra tutti i medici di famiglia apre la strada al lavoro digruppo che fino ad oggi è stato un obiettivo tutt’altro cherealizzato.E’ evidente che questa nuova pratica di lavoro dipartimentaledeve essere assunta e valorizzata nella Convenzione tra leRegioni e le Organizzazioni sindacali, anche con incentivieconomici, utilizzando la quota di retribuzione da trattare alivello regionale e aziendale.Nella Casa della Salute trova collocazione la continuitàassistenziale (guardia medica) che potrà essere meglio inseritanell’attività delle cure primarie, con forme di coordinamentooggi difficili da realizzare e praticamente assenti.Gli infermieri assegnati stabilmente all’area sub distrettuale, purmantenendo una propria autonomia professionale, operano instretto rapporto di collaborazione con i medici di medicinagenerale nei moduli operativi integrati: gli ambulatori, iConsultori, l’Unità di Valutazione Multidimensionale, l’ADI, ilCentro diurno, la Residenza Sanitaria Assistenziale, l’Ospedaledi Comunità.

La Casa della Salute: l’informatizzazioneFino a quando i medici di medicina generale resteranno isolatinei propri studi privati, essi, per quanto aperti allamodernizzazione, non potranno giovarsi degli apporti che allamedicina giungono dall’innovazione tecnologica e dai sistemi diinformatizzazione che consentono di stabilire in tempo realerapporti di consulenza e di collaborazione a distanza con centridiagnostici e di alta qualificazione.La comunicazione e lo scambio di informazione medica traoperatori e strutture sanitarie si vanno sempre più diffondendo,sia per supportare meglio e più velocemente la diagnosi e ilconsulto a distanza sia per evitare ricoveri e trattamenti nonindispensabili.Il teleconsulto, la telediagnosi clinica, la teleassistenza e iltelemonitoraggio sono già oggi un sistema di conoscenze allaportata della medicina di base.

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La Casa della Salute offre le condizioni strutturali per evitare siail danno irreparabile dell’isolamento del medico di medicinagenerale che il carico di costi insopportabili per unaggiornamento tutto individuale.Tutti i servizi e tutte le pratiche sociosanitarie che si svolgononella Casa della Salute hanno la possibilità d’essere incluse inun progetto complessivo di informatizzazione e tutte leconoscenze informatizzate possono essere utilizzate per unprogramma coordinato per la salute dei cittadini.

Area delle degenze territorialiA disposizione dei medici di famiglia nella Casa della Salute èpredisposta un’area di degenze territoriali (Ospedale diComunità) con alcuni posti letto nei quali sono ricoveraticittadini per stati patologici che difficilmente possono esserecurati al domicilio, ma che non richiedono neppure ricoveriospedalieri. Si tratta di una struttura con un turno di infermierisulle 24 ore, con operatori sociosanitari, nella quale la tutelamedica è garantita dai medici di famiglia e dagli specialisti,secondo il bisogno.Deve trattarsi di una struttura che non può in alcun modo e pernessuna ragione essere assimilata alla Residenza SanitariaAssistenziale (RSA) e all’Hospice, ma deve avere tutte lecaratteristiche di un presidio per la cura di stati di malattiaprevisti da appositi protocolli, a breve decorso, che nonnecessitano di ricovero ospedaliero.Per affrontare con serietà la questione dei ricoveri impropri inospedale e delle dimissioni protette, bisogna dotare il territoriodi servizi appropriati. L’area delle degenze territoriali può esserela risposta che responsabilizza il medico di medicina generale egarantisce il cittadino per l’appropriatezza delle cure.

Area delle attività specialisticheLa contiguità spaziale che offre la Casa della Salute consentel’integrazione tra le cure primarie e le attività specialistiche.Gli ambulatori specialistici da prevedere, con aree adeguate,possono essere diversi, con diversa frequenza settimanale, sullabase delle esigenze della popolazione, utilizzando sia glispecialisti convenzionati che quelli dipendenti dalla strutturaospedaliera.

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Deve essere predisposto un modello organizzativo che metta inrapporto, sistematicamente, gli studi dei medici di medicinagenerale con gli specialisti che vengono assegnati al Presidio siaattraverso la convenzione sia attraverso la mobilità deglispecialisti ospedalieri.E’ necessario invertire la tendenza che fa del medico dimedicina generale il semplice esecutore delle prescrizionispecialistiche. Il rapporto deve essere paritario, tra competenzeche si integrano, tra operatori che comunicano tra loronell’interesse del cittadino, con la continuità del cicloterapeutico.Una particolare attenzione deve essere dedicata alfunzionamento dell’ambulatorio odontoiatrico, sia per gli spazi ele attrezzature di cui deve essere dotato sia per le figureprofessionali che ne devono far parte.Nell’area delle specialità, con spazi autonomi, ma coordinati conle cure primarie e con i servizi sociali, devono trovarecollocazione le articolazioni del Sert con le attività di auto-aiutoper contrastare la dipendenza da alcool e da sostanze psicotrope,del Servizio di salute mentale e le strutture di assistenza diurnaper disabili e malati di mente.

Area delle tecnologie diagnostiche Per le esigenze diagnostiche dei medici di famiglia, nella Casadella Salute devono trovare collocazione alcune tecnologiediagnostiche semplici, alcune direttamente utilizzate dai medicidi medicina generale, altre da tecnici di radiologia e da radiologiche fanno recapito nella struttura con orari programmati.L’inventario delle tecnologie potrebbe comprendere in via diprima ipotesi: semplici radiologie, ecografi, mammografi (ad es.il mammografo mobile) spirometri, ecodopler, ecc.

Area delle attività riabilitativeNella Casa della Salute uno spazio adeguato, comprensivo dellapalestra ed anche, se possibile, di una micro piscina, è assegnatoalle attività di recupero e riabilitazione funzionale.L’aumento della domanda delle prestazioni riabilitative èconseguenza del mutato quadro delle patologie, con laprevalenza di quelle ad andamento cronico degenerativo. Aquesto corrisponde nella realtà una riduzione delle prestazioni

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previste nei livelli essenziali e una crescita esponenziale degliinterventi erogati da privati, a pagamento totale dei cittadini. La Casa della Salute offre la possibilità di programmare,potenziare e qualificare le prestazioni riabilitative pubbliche, siaper le persone eventualmente ricoverate nella struttura (nel casoin cui essa comprenda una RSA o un Hospice) che per le utenzeesterne (il domicilio, la Casa di riposo, la scuola, ecc.).

Area dei Servizi socialiIl Servizio sociale destinato all’area elementare deve avere unaUnità operativa collocata nella Casa della Salute e gli spazinecessari per attività d’ufficio, per colloqui, per accoglienza persituazioni di estremo bisogno, per il pronto intervento sociale,da attivare con l’apporto delle associazioni del volontariato.La dimensione di questo spazio varia in ragione dellaconsistenza delle attività sociali che possono essere attivate nellaCasa della Salute o tramite la Casa della Salute.

Area delle attività sociosanitarie ad elevata integrazionesanitaria

L’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)Nella Casa della Salute trova collocazione il Nucleo di ADI,come articolazione del Servizio ADI costituito a livello deldistretto-zona. L’ADI deve avere una propria sede e mezzi di trasporto. Leattività sono in gran parte proiettate al domicilio (inteso insenso lato, comprensivo del centro diurno), salvo gli aspettidi programmazione, di coordinamento delle attività, diapprofondimento dei casi che sono svolte nella Casa dellaSalute.L’ADI è un’équipe composta dal Medico di famigliacompetente per il caso, da infermieri, da assistenti sociali, daoperatori sociosanitari, da specialisti che intervengonosecondo le necessità rilevate dall’Unità di ValutazioneMultidimensionale.L’ADI ha un responsabile, un organico multidisciplinare, edopera con modalità di gruppo.L’ADI coordina le imprese sociali senza fini di lucroconvenzionate con la Asl per l'assistenza domiciliare,verifica la qualità delle prestazioni erogate dallecollaboratrici di famiglia (le badanti o colf), provvede

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all’aggiornamento del personale che a vario titolo operanell’assistenza domiciliare.

Il Centro diurnoL’ADI dispone di una struttura di appoggio assistenziale, ilCentro diurno, per persone non autosufficienti che di giornonon possono restare in famiglia.Il Centro diurno costituisce un anello fondamentale della reteterritoriale di assistenza sociosanitaria ad elevataintegrazione sanitaria e pertanto è parte integrante dell’ADI.Il Centro diurno ha una dotazione variabile di posti, inrapporto alla popolazione. Il personale addetto è parte integrante dell’Assistenzadomiciliare Integrata, ma dispone di altre figureprofessionali, quali gli educatori professionali e gli animatoridi comunità, che sono utilizzati anche in altre strutture diaccoglienza, interne o esterne alla Casa della Salute.

La Residenza sanitaria assistenzialeDotata normalmente di un modulo di 20 posti letto, la RSApuò essere inserita nella Casa della Salute, ma può essereubicata in una sede propria, salvo garantire uno strettorapporto di collaborazione e di operatività con il complessodei servizi che sono collocati nella Casa della Salute.Nella stessa area trovano spazio la Commissione divalutazione degli invalidi civili, l’Unità di valutazionemultidimensionale delle persone anziane non autosufficientila cui attività è direttamente collegata alla rete dei servizi.

Dalla dispersione alla ricomposizioneIl progetto della Casa della Salute deve prevedere gli spazinecessari per tutte le attività che la programmazione prevede perciascuna delle aree elementari.Ma poiché il modulo non si iscrive in un foglio bianco ma in unterritorio già occupato da ambulatori, uffici e servizi sorti neltempo, quasi sempre separati gli uni dagli altri, al di fuori di uncriterio di programmazione, la Casa della Salute costituiscel’approdo di una ricomposizione, che può essere anche gradualepurché programmata, di quanto é frantumato e disperso nelterritorio, insieme al potenziamento complessivo di cui habisogno questo basamento del welfare locale.La Casa della Salute non solo integra e facilita i percorsi e irapporti tra i Servizi e i cittadini, ma restituisce alla popolazione

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una visione unitaria del problema della salute, non solo comediritto di ogni cittadino, ma anche come interesse dellacollettività (articolo 32 della Costituzione).

Il modello organizzativo Per una struttura così complessa, in cui operano funzionidiverse, molteplici e alcune anche consistenti, è necessarioprevedere un Responsabile del Presidio al quale siano affidatecompetenze e responsabilità per il funzionamento razionaledell’impianto, per far fronte a tutte le esigenze di promozione edi coordinamento, interne ed esterne, che si possono presentarenella gestione della struttura.Il Responsabile del Presidio potrebbe essere un medico dimedicina generale, nominato dal Direttore del Distretto-zona,sentiti i medici di medicina generale, di concerto con il Comuneinteressato.Il Responsabile si avvale di un Ufficio di coordinamento la cuicomposizione e il cui funzionamento possono essere disciplinatida specifico Regolamento della Casa della Salute.Periodicamente, il Responsabile del presidio indice laConferenza dei servizi, cui partecipano tutti gli operatori, perl’esame delle principali questioni attinenti alla organizzazione eal funzionamento della Casa della Salute.

Il Regolamento della Casa della SaluteSulla base dell’Accordo di programma tra i Comuni della Zona-distretto e l’Azienda sanitaria locale, il Direttore del distretto,sentite le Organizzazioni sindacali e la Conferenza dei Servizi,approva il Regolamento per il funzionamento della Casa dellaSalute che è parte integrante dell’Atto aziendale.In particolare, il Regolamento deve prevedere le responsabilitàdei diversi moduli organizzativi, l’assegnazione degli spazi, itempi di apertura dei servizi, le modalità con le quali i cittadini ele loro Associazioni utilizzano gli spazi assegnati, le forme diintegrazione operativa tra i diversi servizi e tra le diverseprofessionalità, i tempi e i modi per la valutazione delle attivitàsvolte e dei rapporti tra la Casa della Salute e la popolazione.

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IL RUOLO DEGLI OPERATORI DELLA SANITÀ PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE

di Rossana Dettori, Segreteria nazionale Fp Cgil

Penso che noi dovremmo ragionare, in modo approfondito, sullarealizzazione dei distretti. Dalla 833, in Italia, parliamodell’attività distrettuale, dello spostamento dalla centralitàdell’ospedale alla centralità del territorio e sul finanziamentodelle pratiche e delle cure del sociale nel territorio. Purtroppodal ‘78 ad oggi, non ci sono grandi esperienze di spostamento diattività dall’ospedale ai distretti, di potenziamento delle attivitàd’integrazione. Credo che dovremmo anche individuare leresponsabilità, perché se è vero che sono del sistema nazionale,del sistema regionale, del finanziamento, c'è anche una grandeparte di resistenze nel nostro mondo. C'è un problema cheattiene ai medici di famiglia, al ruolo dei medici di famiglia, allacultura che i medici di famiglia devono cominciare a svilupparenel territorio rispetto al loro ruolo. Il medico di famiglia non puòessere, come la maggior parte dei cittadini invece lo percepisce,l’erogatore dei farmaci, delle prestazioni, quello a cui, io utente,chiedo per cortesia di segnarmi una lastra o un’ecografia oquant'altro e lui fa da segnatore "di"; non sono tutti così, è vero,ma drammaticamente sono una grande maggioranza. E’ questala percezione che la maggior parte dei cittadini ha, al punto taleche se vai dal medico di famiglia e gli chiedi di prescrivertiquell'antibiotico, quell’antidolorifico, eccetera, e lui non lo fa,allora spesso il paziente, ricorrendo al principio della libertà discelta, va allo sportello della Asl e cambia medico. E’ vero chec’è un problema di modifica della cultura dei cittadini, ma comesi arriva a modificarla e a far percepire al cittadino qual è il suodiritto di salute? Ci arriviamo iniziando a modificare laformazione dei medici, a partire dall'università, da come lì siformano e in particolare i medici di base. Se il medico di basenon comprende che il suo obiettivo è di salvaguardare la salutedel cittadino nella sua globalità, e non soltanto quello di curare ilsintomo, quindi, soprattutto, quello della prevenzione, deibisogni del cittadino, di capire come la qualità della salute diquell'utente viene garantita, a partire anche dalle sue condizioniprimarie, che sono il lavoro, le condizioni abitative, lecondizioni di vivibilità del quartiere. Facendo questo il medicodiventa una figura che si integra con le altre, che entra in

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relazione con le altre e che lavora con le altre, (questo è il lavorod’equipe), e allora indaga quali siano i problemi di quelterritorio, cerca anche di capire se in quel territorio quellapatologia è legata a quel singolo paziente oppure riguarda unnumero più grande di utenti e quindi su questo poi impostaanche una programmazione. In queste condizioni la centralitàdel distretto è conseguibile, sennò ho paura che continueremo,come avviene dal 78, dalla 833, a parlare di modifica delsistema e poi, a dire come dobbiamo modificare il distretto. Èbellissima l’idea della Casa della Salute, però bisognaconcretizzarla nelle pratiche; bisogna richiamare gli operatori adessere coerenti nelle pratiche. Guardate, se su questo, oltre allapolitica e al sindacato confederale che debbono svolgere il lororuolo, non entra in campo anche il sindacato degli operatori siadel comparto sia dei medici e inizia con loro a svolgere unlavoro culturale, noi corriamo il rischio, anche per gliatteggiamenti di chiusura degli operatori, per la paura che glioperatori hanno di affacciarsi al nuovo, di non riuscire poi arealizzare la progettualità che costruiamo. Ovviamente non èdappertutto così. Abbiamo davanti a noi grandi esperienze dilavoro, in equipe, fra i medici di famiglia e gli infermieri, che inun meccanismo di cooperazione hanno cominciato a capirecome integrare i loro saperi, i loro lavori, la loro formazione, erautile al cittadino, ma anche al loro stesso lavoro. Bisognapensare che anche le altre figure si devono integrare. Neldistretto ci sono una miriade di figure. Sono le figure sociali chepossono avere un compito notevole di percezione del disagio.Spesso è il disagio a determinare la patologia, che può esserepsicologica, con tutto quello che ne consegue, ma ci sonopatologie gastroenterologiche, che sono legate ad unmeccanismo che è quello della violenza in famiglia. Allora, setutta una serie di soggetti, dall’assistente sociale, al medico difamiglia, alle infermiere, all'assistente sanitaria, allo psicologo,non decidono di lavorare insieme, di ragionare insieme su qualisiano i fenomeni patologici che in quel territorio si sviluppano,noi corriamo il rischio, quando parliamo di salute del cittadino, eanche di politica del distretto, di ricadere sempre e comunquesulle cure. Quindi, la nostra attenzione non può essere soloappuntata su come interveniamo con la terapia a domicilio,come interveniamo sul paziente in fase terminale, comeinterveniamo sul disagio, ma come favoriamo una grande parte

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di interventi da svolgere in equipe, con una serie di figureprofessionali che lavorano insieme per prevenire quelle che sonole patologie conseguenti, sia di tipo fisico, sia di tipopsicologico. Con i contratti noi proviamo a dare delle rispostecoerenti con questa impostazione! Nel contratto del compartoabbiamo provato a rilanciare l'assistenza domiciliare pagando dipiù gli operatori che a questo si dedicano in maniera particolare,e che quindi decidono di uscire dalle strutture e di andare a casadei pazienti. Non è sufficiente! Se continuiamo a pensare chel’intervento è soltanto quello del riconoscimento economico enon del riconoscimento di ruolo e anche di centralità di questefigure nello sviluppo professionale, nello sviluppo culturale, lireleghiamo in un ruolo di professionisti che svolgonotecnicamente un lavoro, ma che non hanno la capacità diincidere, proporre e promuovere progetti di salute. Penso che,dal punto di vista degli operatori, avremo perso la battaglia.Questo era quello che mi premeva dirvi, molto brevemente, e sucui credo che insieme dovremmo ragionare e costruire ipotesi disoluzione, congiuntamente Spi, Cgil, Funzione Pubblica, maanche con le parti politiche, che partano dalla formazione,tenendo insieme da una parte gli aspetti economici, che nonsono cosa di poco conto, e dall’altra una modifica culturale deglioperatori, che comporterebbe, ad esempio, risparmi sulladiagnostica e sulla farmaceutica, proprio perché ridaremmo aglioperatori stessi una loro centralità evitando che, nella cura dellapersona, nel rispetto della salute della persona, diventi semprepiù centrale la diagnostica. Ormai non si nega una lastra anessuno, non si nega un’analisi a nessuno, tanto male non puòfare, perché un prelievo fa meno male che magari lavorare, maal prezzo di perdere quella che è la pratica, la passione asvolgere il proprio lavoro, ad avere un rapporto con l’utente chesia di tipo relazionale, con l'utente, ripeto, perché paziente lofacciamo diventare un po’ dopo, un rapporto con l'utente che siadi tipo globale. L'altra cosa riguarda, e qui finisco, una delleesperienze positive che in alcuni territori si erano fatte dispostamento della prevenzione direttamente dentro le scuole;perché anche lì, o noi cominciamo, anzi ricominciamo alavorare dentro le scuole, pensando che quello è il momento incui si comincia ad incidere sulla qualità della vita, che suibambini si imposta il lavoro sulla cultura del cibo, sulla culturadel proprio corpo, sull'igiene, sulla prevenzione, dalla banalità di

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insegnare ad un ragazzino a lavarsi i denti, che è una banalitàma che farebbe risparmiare al sistema sanitario nazionalecentinaia di migliaia di euro sulle cure odontoiatriche deibambini. Anche su questo occorre spendere, in prevenzione e inutilizzo delle risorse umane oppure, io credo, che continueremoa rincorrere questo obbiettivo di spostamento della centralitàdalla cura del singolo sintomo, alla globalità, parlando anchedella casa della salute senza però riuscire mai a realizzarla,perché c'è un pezzo che non è retrivo o corporativo, ma che vacoinvolto appieno, e per riuscirci ne va cambiata la formazione.Bisogna che dentro le università si cominci a parlare delsoggetto uomo e non del singolo sintomo; dobbiamo iniziaredalla formazione, cominciando a dire che dentro le universitàbisogna cambiare il modello. Cominciando ad affermare che leprofessioni devono saper gestire in proprio il sapere, tutte, chequindi c'è un’autonomia di ognuno, però legata adun’interdisciplinarità, cioè non c'è una figura che è centrale el'altra che non lo è, non c'è l’infermiere che è centrale o ilmedico che è centrale e l'altro che fa da supporto all'uno eall'altro. Tutti i saperi vanno portati al centro, da quellodell’amministrativo all’operatore socio sanitario, che è quelloche si occupa del bisogno primario, più materiale, del cittadino.Soltanto con un ragionamento di questo tipo noi forseriusciremo a tenere insieme tutti gli operatori evitando dispingerli verso una corporativizzazione che porta ad unachiusura estrema del sistema!

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GENOVA: ALCUNE IDEE PER COSTRUIRE IL DISTRETTO SOCIO-SANITARIO

di Roberta Papi, Segreteria regionale Cgil Liguria

La situazione economica e sociale in cui versa il nostro paese hafatto riemergere con forte visibilità anche temi quali la sanità ela sicurezza sociale.E non poteva che essere così visto che entrambe sonoproblematiche che toccano la vita delle persone nell’aspetto piùprofondo: lo stare bene e l’aspirazione ad avere una qualità dellavita soddisfacente.Due questioni che sono oggi percepite con più sensibilità edattenzione rispetto al passato in quanto, soprattutto per le sceltepolitiche messe in campo dal Governo, sono meno certi i dirittidi cittadinanza acquisiti negli anni e sempre più le personetemono che si stia andando verso la messa in discussione delnostro Ssn e dell’attuale modello di welfare che rappresentanoun punto di riferimento nel momento del bisogno.Credo allora che sia importante e giusto da parte nostra metterein campo idee, progetti, iniziative che, partendo dalla difesa delSsn nonché della 328 e 229, propongano interventi sul pianosociale e sanitario sempre più adeguati e qualificati e soprattuttocorrispondenti ai bisogni dei cittadini.Serve riflettere sul presente e sul futuro del nostro serviziosanitario il quale ha rappresentato una grande conquista diciviltà e di cui va riconfermato il principio della universalità edella gratuità, ma che sicuramente ha bisogno di uncambiamento che si rende necessario per vari motivi tra i qualiemergono il cambio di cultura dalla sanità alla salute, losviluppo tecnologico della medicina che consente sempre piùsuccessi, la interdipendenza tra salute e società, un paziente cherivendica sempre più un ruolo attivo nelle decisioni cheriguardano la sua vita.Non è quindi casuale che, non solo a livello nazionale ma un po’in tutte le Regioni, il sindacato abbia scelto e deciso diaffrontare questi temi e di tradurli in piattaforme rivendicative. Per quanto ci riguarda, abbiamo posto alla regione Ligurial’urgente necessità di ripensare nuove politiche socio sanitarieche non possono essere ricondotte alla sola questione dellagestione economico-finanziaria della sanità, ma che devono

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affrontare velocemente quei problemi aperti e non risolti perdare ai cittadini liguri certezze sulla qualità e l’omogeneità deiservizi e delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie.Tra i problemi urgenti da affrontare e risolvere assume unaimportanza strategica quello della riorganizzazione e dellosviluppo dei servizi socio-sanitari territoriali anche in rapportoalla riorganizzazione del sistema ospedaliero.Infatti in Liguria mentre è ancora elevato il parametro postiletto/abitanti per acuti (siamo a 5,17 comprensivi dei posti lettoriabilitativi) poco si è realizzato nel territorio e non si sonoriconvertiti in modo significativo i posti letto per acuti in postiletto riabilitativi.Tale situazione determina una spesaospedaliera ancora molto alta (superiore al 50%) che va adiscapito dell’attività distrettuale e di prevenzione con laconseguente ricaduta negativa sul soddisfacimento dei bisognidei cittadini che ancora oggi non trovano risposte adeguate daparte dei servizi territoriali.Infatti nella nostra Regione non si è avviato concretamente quelprocesso di decentramento indicato dal D. Lgs. n. 229 per cuil’organizzazione sanitaria è, di fatto, ancora basata sulla realtàospedaliera e sulle Asl (in Liguria sono 5, e corrispondono alla 4Province più 1 per la Zona del Tigullio) a loro volta organizzatein Unità Operative di Servizio e nei Dipartimenti non strutturatiadeguatamente, nel senso che il peso delle UO è ancoraprevalente.Per noi allora diventa questione prioritaria la concreta edeffettiva realizzazione del distretto socio sanitario qualeriferimento del sistema integrato dei servizi ed in grado diprendersi in carico la domanda di salute delle personeaccompagnandole nel loro percorso e quindi garantendo lorocontinuità di cura e di assistenza anche fuori la strutturaospedaliera.Ma la realizzazione di un “distretto forte” implicanecessariamente alcuni passaggi obbligati che, se non condivisidai vari attori del processo, rischiano di vanificare il tutto.Il punto di partenza non può che essere l’accordo di programmatra le Asl e la Conferenza dei Sindaci per costruire i Piani diZona Socio Sanitari (oggi ci sono solo quelli sociali) senza iquali non si può realizzare una vera integrazione.La costruzione del Distretto socio sanitario ha poi bisogno che sideterminino alcune condizioni quali:

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l’assegnazione di un budget di Distretto dimensionato ai bisogniindividuati ed ai Lea e Leas garantiti, nonché la nomina deiresponsabili che dovranno svolgere la loro attività nel distretto atempo pieno; una forte integrazione del Distretto con ilDipartimento delle Curie Primarie nella misura in cui il primodovrà, in maniera diretta, gestire ed erogare le prestazioniproprie delle cure primarie. Questo per la realtà genovesecomporta la necessità di rivedere il ruolo del DipartimentoAnziani poiché la geriatria non è nelle cure primarie ma èaffidata ad un Dipartimento specifico. In tal senso andrebberoaffidati al distretto tutti i compiti relativi all’assistenzadomiciliare, alle RSA, RP, ai centri diurni, alla teleassistenza,alla telefonia etc, mentre potrebbe continuare a far capo alDipartimento Anziani l’elaborazione e proposizione di lineeguida, l’aggiornamento e la formazione del personale, tutta laparte relativa alla gestione del rapporto ospedale/territorio ancheallo scopo di definire modelli di presa in carico utili a garantirela continuità assistenziale anche in relazione ai reparti di cureintermedie che vanno attivati in tutti gli ospedali. Questo è unpunto fondamentale perché solo così si possono togliere dalleRSA i post-acuti ed operare quindi ad una necessariariorganizzazione delle stesse.Esiste poi un problema generale legato alle cure intermedie, cioèalla necessità che terminata la fase acuta, un cittadino possaavere la garanzia che la sua convalescenza o riabilitazioneavvenga in strutture deputate e qualificate. Ciò potrà avvenirenell’ospedale di elezione debitamente attrezzato o in struttureesterne; l’importante è che gli aspetti legati alla fase post acuta eriabilitativa non vedano, come ora accade, il cittadino viversiquesta condizione in totale solitudine sia esso giovane oanziano, punto delicatissimo ma strategico è quello relativo adun nuovo ruolo dei MMG e dei PLS. Nella nostra idea questesono le figure chiave del processo, nel senso che devonodiventare, per la presa in carico dell’utente, componenteessenziale per l’“accesso unico” alle prestazioni socio-sanitarie.Sarà poi il Distretto il luogo di accoglienza vera e propria delladomanda sociale, sanitaria, socio-sanitaria a cui corrisponderàuna specifica prestazione e/o più prestazioni definite dalle Unitàdi Valutazione Multidisciplinari che produrranno il PIA (pianoindividuale di assistenza). Pertanto nell’UVM dovrà esseregarantita la presenza di figure professionali sanitarie (MMG,

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PLS, specialisti, infermieri, fisioterapisti) e sociali (assistentisociali). Va da se che per questo compito i MMG ed i PLSandranno adeguatamente formati ed incentivati favorendo nelcontempo forme di associazionismo da organizzare all’internodel distretto che necessariamente si dovrà dotare di una adeguatarete informatica. In tal senso credo sia necessario avere laconsapevolezza che una sanità decentrata ed integrata con ilsociale dovrà garantirsi la disponibilità dei medici ad usciredalla cultura e dalla logica di una professione liberale, autonomaed indipendente nelle sue decisioni.

A fronte del processo di trasformazione delle ex Ipab, epartendo da quanto realizzato a Genova, e cioè dallacostituzione dell’Azienda Unica di Servizi alla Persona, èimportante che la stessa non rimanga una struttura “isolata”rispetto alla rete dei servizi ma che invece interfacci attivamentecon i Distretti (che nell’area genovese saranno 6) e che, oltrealla gestione dei posti letto di residenzialità extra ospedaliera,ampli la sua mission anche con la gestione dell’ADI e dei CentriDiurni. Questo elemento diventa importante per ricondurre lanascente Agenzia per la Domiciliarità del Comune di Genova adun segmento dell’offerta di domiciliarità prevista nei singoliPiani di Zona che però non dovrà svolgere funzioni impropriequali la presa in carico diretta, la valutazione ed il PIA chedevono rimanere in carico al Distretto Socio-Sanitario. Ciò ènecessario anche per definire al meglio il rapporto con il Terzosettore e con il volontariato; capitolo a parte, ma ovviamentenon disgiunto dal percorso più complessivo, è quello relativoalle figure professionali: ritenendo che la realtà delle badantinon possa più non essere seriamente presa in considerazione,visto anche l’enorme utilizzo di queste figure nell’assistenzadomiciliare, riteniamo che le stesse debbano essere il primolivello di figura di aiuto familiare dopo la quale si sviluppano lefigure professionali sociali. Pertanto è necessarie che tali figurevengano formate, inserite in un apposito albo e che prestino laloro attività in base a quanto indicato dal PIA e con la possibilitàdi un “accreditamento diretto” con le famiglie; questoprincipalmente per due motivi: il primo perché vista la funzionedelicata che svolgono è bene che siano scelte dalle persone concui dovranno essere in relazione, il secondo perché il costo diquesto servizio deve essere quello che può sostenere la

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concorrenza di mercato sia per garantire un numero più elevatodi richiedenti, sia per facilitare l’emersione dal lavoro neroattraverso un costo “legale” sopportabile dalle famiglie e/o daglienti pubblici quando devono intervenire direttamente edinteramente loro.

A fronte di quanto sinora detto, pensiamo che la costituzione diun Fondo Regionale per la non Autosufficienza possa, in attesadi quello nazionale, essere lo strumento utile a razionalizzare, ariconvertire ed integrare la spesa socio-sanitaria .Ciò significa che noi pensiamo ad un Fondo Regionale che, nonpotendo essere alimentato da risorse aggiuntive (nuovetassazioni, aumento addizionale Irpef o altro) realisticamentedebba ricondurre le attuali risorse impiegate in vario modonell’area del sociale (fondo sociale regionale, fondi utilizzati daiComuni nei Piani di Zona, compartecipazione Isee, assegnoservizi) ad un unico “contenitore”. Ovviamente le risorse delfondo dovranno essere erogate sulla base di parametri oggettivie trasparenti.

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DISTRETTI E CURE PRIMARIE IN SARDEGNA

di Elisabetta Perrier, Segreteria regionale Cgil Sardegna

1. La legislazione speciale

In quanto regione a statuto speciale la Sardegna ha avutonecessità di una norma specifica che recepisse il D. Lgs. 502/92e successive modificazioni per trasformare le Usl in Aziende. La L.R. n. 5 del 1995 definisce il distretto sanitario comearticolazione organizzativo–funzionale della Asl, decentrandoun gran numero di funzioni: dall’area epidemiologica a quella diprevenzione; dalla medicina scolastica, sportiva, legale,riabilitativa e veterinaria all’assistenza farmaceutica, psichiatricae psico-sociale e, naturalmente, l’assistenza sanitaria di base, laspecialistica territoriale e l’infermieristica ambulatoriale edomiciliare.L’erogazione delle prestazioni può essere direttamente svoltadal distretto che, in caso contrario, organizza l’accesso ad altripresidi o strutture. Al distretto spetta poi tutta l’attivitàamministrativa connessa all’accesso sia alle prestazioni relativealle funzioni che svolge, quindi tutta l’attività di accertamento ecertificazione, sia alle prestazioni e servizi non primari, quali leprenotazioni ospedaliere. Per informare gli utenti attiva unospecifico sportello.Quanto poi alle funzioni socio–assistenziali, sono di competenzadelle Asl quelle relative ai tossicodipendenti ed ai sofferentimentali; l’attività consultoriale e la riabilitazione/reinserimentodei disabili; l’assistenza psicologica a familiari ed a minoriricoverati. A tali fini ciascuna Asl istituisce un Servizio per leattività psico–sociali che coordina tutte le attività di tipo socio–assistenziale attinenti a queste ultime funzioni e “ ricerca “l’integrazione ed il coordinamento con i servizi socio–assistenziali dei Comuni. La legge regionale stabilisce che le Asl abbiano un ambitoterritoriale inferiore alle province e ne istituisce 8, a fronte di 4province ma dal 2005 in Sardegna le province saranno 8, anchese con territori non esattamente coincidenti con le attuali Asl.Per i distretti sanitari la scelta è stata riprodurre pressochéfedelmente le vecchie Asl, istituendone 23.

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Con una logica che non tiene del tutto conto delle caratteristichené demografiche né geografiche, se ne prevedono 3 a Sassari; 2a Olbia; 1 a Lanusei; 5 a Nuoro; 3 a Oristano; 3 a Sanluri; 2 nelSulcis; 4 a Cagliari. Si lascia al piano sanitario regionale unaeventuale modifica degli ambiti territoriali, in base a proposteformulate dai direttori generali delle rispettive Asl.Per il distretto è prevista una specifica dotazione organica, checiascun direttore generale definirà quantitativamente equalitativamente, ma non un dirigente unico in quanto alladirezione sono previste due figure di responsabilirispettivamente delle funzioni sanitarie e di quelleamministrative.La legge stabilisce infine che il rapporto con i Comuni ègarantito dalla conferenza di distretto, composta da tutti i sindacidi ciascun ambito territoriale, che verificando l’andamento dellaattività del distretto può formulare al direttore generale della Aslosservazioni e proposte.La legislazione speciale disegna pertanto un distretto confunzioni ampie in materia di erogazione di servizi, ma senzagrandi strumenti di governo della domanda sanitaria, scarsissimavocazione alla integrazione socio–sanitaria ed al rapporto con lecomunità locali e sostanziale subalternità al direttore generale,che resta l’unico referente per qualsiasi decisione di tipogestionale, organizzativo e finanziario.Una logica accentratrice, propria della prima aziendalizzazionedel Ssn, che non viene modificata a seguito della approvazionedel D. Lgs. 229/99, il cui recepimento con conseguente modificadella L.R. n. 5 non è stato ancora attuato, ma nemmenoproposto, né dalla precedente giunta regionale di centro–sinistra,né dalla attuale giunta di centro–destra.Che non si tratti di un ritardo addebitabile solamente alla scarsaproduttività legislativa dei governi regionali sardi, ma di unascelta consapevole per mantenere una propria “specialità“ e diuna scarsa attenzione in particolare ai problemi dellaintegrazione fra sociale e sanitario, lo dimostra il fatto chemodifiche pure recenti della normativa socio–assistenziale (laL.R. 4, che pure per molti versi è stata anticipatrice di indirizzi emodalità operative scelte dalla ultima legislazione nazionale),non intervengano a definire meglio le competenze e ilfunzionamento dei servizi territoriali ed in particolare trascurinototalmente il tema “distretto”, che in molte altre regioni è stato

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al centro di iniziative legislative e di sperimentazioniorganizzative.Allo stato attuale in nessuna delle p.d.l. relative al recepimentodella legge n. 328 e giacenti presso la competente commissioneconsiliare regionale, si fa alcun cenno alla modifica del ruolo deidistretti, come se la attuazione del nuovo modello di servizi eprestazioni in campo socio–assistenziale non avesse proprio neldistretto il suo snodo fondamentale e l’indispensabile strumentoper la realizzazione dell’integrazione.

2. I distretti in Sardegna

Da una recente indagine condotta sul campo dal Coordinamentoregionale donne dello Spi emerge che la realtà organizzativa deidistretti è differenziata persino all’interno delle stesse Asl. In alcuni casi il distretto è una realtà fantasma (per es. aCagliari), non esiste neppure come luogo fisico, pertanto non hané responsabili né personale proprio; l’organizzazione si articolain servizi (neppure in dipartimenti, che restano un obiettivodichiarato ma non realizzato), ciascuno con propria autonomiama strettamente dipendenti dal direttore generale, secondo unmodello verticale e fortemente accentrato.In altri casi il distretto è una realtà fisica (per es. nel Sulcis), conpropri responsabili, esigua dotazione organica e modestadotazione finanziaria (nulla a che vedere con un vero e propriobudget), che raggruppa alcuni servizi (farmaceutica, assistenzadomiciliare), mentre altri (prevenzione, consultori,tossicodipendenze) mantengono una propria autonomia oppurericomprende tutti i servizi territoriali (per es. a Sanluri)assicurandone una migliore fruibilità ed integrazione.In altriinfine il distretto si configura come un poliambulatorio (per es. aQuartu) e svolge prevalentemente funzioni burocratiche.Principali attività, con le prestazioni specialistiche, diventanoquindi le certificazioni, gli accertamenti, le esenzioni deifarmaci, le scelte/revoche dei medici di famiglia.Più la realtà aziendale è ampia e maggiore è la concentrazione dipresidi ospedalieri incorporati nell’azienda (in Sardegna allostato attuale esiste una sola azienda ospedaliera a Cagliari, lestesse due realtà universitarie sono ancora in regime diconvenzione ed in attesa della costituzione delle relative aziende

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miste), più il distretto diventa inesistente. Nelle Asl di minoridimensioni, invece, il distretto pur con differenti articolazioniorganizzative è stato sempre istituito e, in un modo o nell’altro,funziona. In nessun caso tuttavia, il distretto esercita tutte le funzionipreviste dalla legge regionale che, pur essendo largamentesuperata dalla “riforma Bindi”, risulta ampiamente inapplicata.Sostanzialmente ciascun direttore generale, sulla base di proprievalutazioni ed in assenza di linee di programmazione o di criteriregionali, sceglie un proprio modello e, dovendo tenere contodell’esistente, lo adatta alle diverse realtà territoriali. Pressochéinesistente è infatti il rapporto con i sindaci ed in genere lecomunità locali, essendo le conferenze uno strumento del tuttoinadeguato a garantire un confronto concreto e costruttivo.Negli ultimi anni gli unici contatti hanno riguardato le paventatechiusure di presidi ospedalieri periferici, la cui eventualità(verificatasi nel corso della discussione del riordino della reteospedaliera, mai arrivato all’ordine del giorno del Consiglioregionale) è bastata per mobilitare i sindaci, a difesa dellestrutture sanitarie così come sono e per ottenere impegni almantenimento dello stato attuale da parte dei diversi direttorigenerali delle Asl.Naturalmente l’integrazione col sociale è inesistente.Anche quando, prevalentemente su sollecitazione dei sindacatipensionati, si attivano rapporti più frequenti fral’amministrazione sanitaria e gli assessorati comunali allepolitiche sociali, gli interventi ed i servizi sanitari, sociali edassistenziali seguono strade indipendenti e parallele. Altrettantovale per la programmazione, che ciascun comune elaboraannualmente per proprio conto con notevole dispendio dienergie e risorse. Ancora non è decollata nessuna esperienza digestione associata dei servizi sociali, nonostante le pochissimeunioni di comuni o i rari consorzi nati negli ultimi anni abbianodeliberato questa scelta. Il tentativo che prima nella provincia di Cagliari, su iniziativadell’assessore provinciale ai servizi sociali, poi nel Sulcis periniziativa delle due amministrazioni comunali di Iglesias eCarbonia con la Asl competente, di chiudere un accordo diprogramma per la gestione integrata dei servizi e prestazionidopo svariati anni è rimasto finora senza successo.

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E’ utile rilevare che in ogni caso l’accordo coinvolge l’interaAsl e non attribuisce responsabilità primaria ai due distretti, aconferma di una organizzazione che resta in ogni casofortemente centralizzata e che, anche per questo motivo, rendevano ogni tentativo innovativo di programmazione e gestionesecondo l’impostazione della legge n. 328.

3. Il rapporto fra ospedale e territorio

Anche per la Sardegna vale la definizione di sanità“ospedalocentrica” che accomuna la maggior parte delle realtàdel centro–Sud.Non solo il numero di posti letto per acuti resta notevolmenteelevato (5,12x1000 ab.) e scarseggiano i p.l. di lungodegenza eriabilitazione, ma la distribuzione è fortemente sbilanciata fra iterritori e, in alcune realtà, il presidio ospedaliero di piccoledimensioni costituisce ancora l’unica risposta ai bisogni sanitaridelle comunità.Di qui la tendenza alla difesa ad oltranza dell’attuale situazioneda parte delle popolazioni e conseguentemente da parte deipolitici ai diversi livelli, locale e regionale.La distribuzione delle risorse è lo specchio di questa situazione:nel 2000 l’assistenza ospedaliera registrava una spesa pari al46,68% del totale (in aumento rispetto al 1999), nel 2001 e nel2002 la percentuale è ulteriormente aumentata raggiungendoquasi il 49%, in un trend di crescita costante. All’assistenza territoriale e domiciliare continua ad essereattribuita, all’interno della assistenza distrettuale (circa il 46%del totale della spesa sanitaria), la percentuale più bassa (menodel 6%) rispetto all’assistenza semi–residenziale e residenziale(oltre il 16%) ed alla specialistica (oltre il 20%). Non avendo ildistretto un proprio budget ed essendo i bilanci Asl articolati perservizi resta poi difficile valutare nel dettaglio la spesa chetuttavia nei territori con maggiore presenza di presidi ospedalierisubisce una maggiore decurtazione causa i disavanzi cronicidelle gestioni ospedaliere. Per superare i problemi di liquiditàdelle Asl la Regione ha più volte prospettato la possibilità dellacartolarizzazione attraverso la cessione degli immobili: il

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progetto, che si è avviato con una indagine conoscitiva inciascuna Asl pare oggi conclusa, non si è ancora concretizzato.In mancanza di un struttura territoriale che si faccia carico delcittadino e dei suoi bisogni, il rapporto con la medicina di baseresta estremamente frammentato e non esiste nessuna presa incarico della persona nella sua globalità. L’accesso alle prestazioni, siano esse di tipo ambulatoriale,domiciliare oppure ospedaliero avviene tramite il medico difamiglia, ma senza alcun tipo di organizzazione degli interventie lasciando che sia il singolo o la famiglia a farsi carico dieventuali problemi. L’esempio della assistenza domiciliare (chenon è ancora integrata, ma consiste, laddove è stata realizzata, inprestazioni infermieristiche, fisioterapiche/riabilitative, medicospecialistiche) è significativo: l’attivazione del servizio èresponsabilità del medico di famiglia o della strutturaospedaliera che, finita la fase acuta, dimette il paziente ancoranon autosufficiente, ma è il più delle volte il paziente stesso o lasua famiglia a doversi occupare della richiesta, del suo iterburocratico e dei rapporti fra il medico di famiglia e gli altrioperatori sanitari. Il concetto di percorso assistenziale cheaccompagni il paziente nel passaggio fra i diversi livelli restaestraneo.

4. I medici di famiglia

Il numero complessivo dei medici di assistenza primaria è di1.380 unità distribuite in 120 ambiti territoriali, con un medicodi medicina generale ogni 1000 adulti ed un carico medio di1.140 assistiti. Inferiore è invece la presenza di pediatri di liberascelta: 235, meno di 1 pediatra ogni 1.000 bambini.La continuità assistenziale è garantita da 189 punti di guardiamedica, che impegnano circa 1.050 medici, cui si aggiungonoaltri 40 punti di guardia turistica che impegnano circa 340medici nell’arco delle 24 ore nel periodo da giugno a settembre.Nel dicembre 2002 è stato stipulato dalla Regione con i medicidi medicina generale un accordo che prevede alcuni obiettiviparticolarmente qualificanti per il miglioramento dellaassistenza primaria: la formazione continua; l’osservatorioregionale per l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie; attivitàintegrative di assistenza; l’incentivazione di forme associative;

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la regolamentazione dell’assistenza domiciliare, dell’assistenzadomiciliare programmata, per i pazienti che non sono in gradodi recarsi nell’ambulatorio del medico di famiglia edell’assistenza domiciliare integrata; l’organizzazione dellacontinuità assistenziale. Complessivamente giudicato un buon accordo risulta in molteparti ancora inapplicato.Intanto, per quanto riguarda la formazione nessuna iniziativa èstata avviata dalla regione sarda né con le diverse Asl:nonostante fossero stati concordati fra l’assessorato e le OO.SS.interventi di informazione – formazione per i medici di famigliasull’uso dei farmaci quale misura necessaria a garantirne lacorretta utilizzazione e l’abbattimento della spesa farmaceutica,nulla è stato realizzato.Pur essendone poco nota l’attività, sta invece funzionandol’osservatorio, che costituisce l’unica forma di collaborazionefra l’assessorato e le rappresentanze di categoria. Per decongestionare i servizi di pronto soccorso è stata istituita,in forma volontaria ed incentivata, la disponibilità telefonicadiurna per otto ore giornaliere, compreso l’orario di studio macon l’esclusione di sabato e di tutti i giorni prefestivi. Agiudicare dall’affollamento delle strutture di emergenza nonsembra però che abbia prodotto l’effetto desiderato. Quanto alle forme associative, qualcosa comincia a realizzarsi inparticolare nei più grandi centri abitati, dove è già possibiletrovare studi associati che raggruppano più medici in una unicasede, con vantaggi per i professionisti che abbattono le spese,ma poche agevolazioni per il paziente, che al più beneficia diorari più ampi o comodi.Resta ancora un progetto l’obiettivo più ambizioso: garantire lacopertura totale delle 24 ore per ciascun assistito, attraverso unraccordo fra il medico di famiglia ed i medici di guardia medicache prenderebbero insieme in carico il paziente, assicurandogliuna continuità assistenziale “personalizzata” e valorizzando ilrapporto fiduciario medico–assistito.Difficile poi la capillare attuazione dei diversi tipi di assistenzadomiciliare, data la diffusione ancora incompleta di tale formaassistenziale: capita anche che il medico di famiglia sia pocoinformato e lasci perciò al paziente o alle famiglie il compito dirapportarsi con il servizio che eroga le prestazioni, senzastabilire alcun contatto diretto.

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Del resto l’assenza dei distretti costituisce grave ostacolo aqualsiasi tentativo di garantire la continuità assistenziale.Non risulta esserci alcun accordo né regionale né aziendale cheagevoli il rapporto fra il medico di famiglia e le strutturesanitarie territoriali, mentre con gli operatori ospedalieri,soprattutto nei territori con un solo o pochi presidi, i contattisono più frequenti anche se informali. Dimissioni ospedaliereprecoci e completa assenza di cure intermedie e di strutture dilungo degenza sono probabilmente all’origine di questi contattiche, tuttavia, in assenza di un governo aziendale, non risolvono iproblemi dei pazienti e delle famiglie. L’assessorato, più voltesollecitato a promuovere un incontro con il sindacato checoinvolgesse le rappresentanze dei medici di medicina generale,ha preferito ignorare la richiesta di un vero confronto.Ha poi spesso dichiarato scarsa disponibilità verso una categoriapiù volte definita come esclusivamente interessata ai beneficieconomici e insensibile ai problemi della organizzazione deiservizi sanitari. Si tratta probabilmente di un comodo alibi peraggirare problemi che non si vuole affrontare; resta il fatto chela volontà di cambiamento che la categoria può esprimere èpoco visibile e serve ad alimentare l’idea che il medico difamiglia serva solo a compilare ricette e impegnative.

5. Le prospettive

Distretto, territorio, continuità assistenziale sono state fra leparole d’ordine che, in occasione delle “ marce per la salute “promosse nel 2003 dai sindacati confederali nei territori dellaSardegna, hanno suscitato maggiore consenso fra gliamministrazioni e le comunità locali.Per dare a questi obiettivi priorità e centralità rispetto ad unanuova mappa della sanità in Sardegna occorre tuttavia una fortevolontà politica capace di far condividere un cambiamentoradicale e di superare l’ostacolo di interessi forti, consolidati etrasversali che hanno fino ad oggi impedito un vero disegno diriforma e che rischiano, con il progressivo affermarsi delladevolution, di portare il sistema socio–sanitario–assistenzialepubblico sardo ad un definitivo degrado col taglio di servizi e

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prestazioni e con lo scadimento qualitativo di ciò che ancoraviene erogato.Non sembra andare in questa direzione né il riordino della reteospedaliera (delibera licenziata da oltre un anno dallacommissione sanità con il solo voto della maggioranza dicentro–destra e mai discussa in consiglio), né il Piano SanitarioRegionale 2004 – 2006 (il precedente risale a 17 anni fa),recentemente consegnato al sindacato per un confrontopreliminare alla approvazione in giunta. Il riordino è una meccanica applicazione dei criteri nazionali macon l’intento di lasciare il più possibile inalterata la attualeconfigurazione della rete ospedaliera, consapevolmenteignorando squilibri fra le diverse aree geografiche e trascurandol’esigenza di invertire il rapporto fra ospedale e territorio. Il Piano dichiara dalla premessa il proprio obiettivo: lo scorporodelle strutture ospedaliere dalle Asl, come strumentoindispensabile per il controllo della spesa.Si fa riferimento anche alla sperimentazione di nuove forme digestione dei servizi territoriali con il coinvolgimento di tutti glioperatori in particolare dei medici di famiglia e di continuitàassistenziale, ma per auspicare un migliore utilizzo delletecnologie informatiche e delle diverse forme associative (chepure costituiscono obiettivi importanti e condivisibili), senzaalcun cenno a modifiche organizzative dei servizi. Quando poi siaffronta nel dettaglio il problema dei servizi sanitari di base siriserva maggior interesse alla dipartimentalizzazione piuttostoche al distretto, confermando una vocazione alla integrazioneverticale dei servizi e la scelta di un modello centralistico,mantenendo il ruolo preminente della direzione generale dellaAsl.Poiché tuttavia le elezioni regionali sono ormai imminenti anchequeste iniziative legislative non verranno neppure discusse e lescelte saranno ulteriormente rinviate alla prossima legislatura,che dovrà ormai affrontare una vera e propria emergenza pergarantire il diritto alla salute.

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CURE PRIMARIE

di Daniela Cappelli, Segreteria regionale Cgil Toscana

Se le cure primarie sono quel complesso sistema di prestazioniche garantiscono la continuità assistenziale 24 ore su 24, pertutti i giorni dell’anno, non c’è dubbio che queste costituiscanooltre l’80% delle cure che il servizio sanitario eroga neiconfronti dei cittadini.

E’ attraverso le cure primarie che viene valutata in grande partela corrispondenza fra domanda e offerta dei servizi e delleprestazioni assicurate dal sistema ed è attraverso questo incrocioche può essere valutata anche l’efficacia e l’efficienza delServizio Sanitario pubblico.

L’erogazione delle cure primarie coinvolge anche una grandeparte del personale sanitario che opera nel territorio: infermieri,terapisti e in particolare pediatri di libera scelta, medici diMedicina generale e specialisti di primo livello.

Le cure primarie in sostanza possono rappresentare il bigliettoda visita del servizio sanitario, anche perché sono il nesso pergarantire la continuità assistenziale in quel difficile equilibrio traospedale e territorio che è richiesto per dare concretezza alpercorso assistenziale in modo compiuto.

Possiamo, quindi, asserire che le cure primarie sono da una parteil primo accesso al servizio sanitario e per l’altro la guida alcittadino nel tortuoso percorso verso un sistema compiuto ditutela della propria salute nelle diverse fasi di prevenzione, curae riabilitazione.

Il potenziamento delle cure primarie a livello distrettuale puòcontribuire ad un corretto utilizzo delle risorse utili ad assicurarela sostenibilità del sistema in un corretto rapporto attuativo deilivelli essenziali di assistenza e di alleggerimento delleprestazioni impropriamente erogate a livello ospedaliero.

Nella realtà Toscana l’erogazione delle cure primarie è affidataai distretti socio-sanitari, come sono loro affidate tutte le

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prestazioni di primo livello, ma anche una buona parte diprestazioni specialistiche e di natura preventiva a partiredall’educazione sanitaria.

Alle prestazioni di primo livello non sono contabilizzati i costidelle prestazioni attraverso la remunerazione, ma attraverso laprogrammazione che complessivamente prevede che il 52%delle risorse siamo allocate a questo livello.

Da parte nostra viene sostenuto che il distretto dovrebbe averemaggiore autonomia gestionale e organizzativa anche nellagestione delle risorse assegnate attraverso un budget di distrettocon una contabilità propria all’interno dell’Asl.

L’affidamento delle cure primarie ai distretti socio-sanitaririchiede un grande impegno per integrare all’interno dei distrettii pediatri di libera scelta e i medici di Medicina Generale, anchenella predisposizione del programma per le attività territorialipreposto dal direttore di distretto e approvato dal direttoregenerale, d’intesa, per le attività socio-sanitarie con laConferenza dei sindaci delle zone-distretto.

I medici di Medicina Generale nel nostro sistema non hannoun’esperienza consolidata di erogazione nelle cure primarie e diun lavoro svolto in associazione. Prevalente è invece la culturadel medico di famiglia con un budget di utenti di libera scelta eregolato attraverso la convenzione nazionale.

Da alcuni anni però è in atto un processo che vede in crescital’esperienza di studi medici associati e questa scelta è ancheincoraggiata e sostenuta da alcune previsioni del P.S.R..

Al momento della stesura di questo breve articolo la RegioneToscana sta avviando un processo di sperimentazione di unità dicura primarie attraverso un accordo sottoscritto con associazionimediche che non fanno riferimento ai sindacati confederali.Registrando una anomalia nel metodo abbiamo rivendicato edottenuto di aprire un tavolo di concertazione prima dell’analisidei progetti attualmente in fase di presentazione.

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A parte, comunque la necessità di una verifica sia dei contenutidella suddetta sperimentazione che della rispondenza a quantocontenuto nel P.S.R., nonché alle eventuali implicazioni chequesta nuova sperimentazione potrebbe avere con le altre già inessere (es. Società della Salute), riteniamo che lo strumento inassoluto, possa offrire delle potenzialità positive in materia diorari degli ambulatori, nelle prenotazioni di prestazionispecialistiche, attraverso il collegamento con i CUP, e nellagestione dei piani individuali di assistenza verso i quali il ruolodel medico di medicina generale è e resta il riferimento piùimportante, ovviamente se il tutto sarà correttamente gestito ecoordinato.

La costituzione di forme associative però non può e non deveprescindere da un rapporto di integrazione nel Distretto,altrimenti si potrebbe correre il rischio di introdurre germi,anche per questa via, di privatizzazione di prestazioni, magariattraverso la remunerazione delle stesse, in maniera diretta aglierogatori attraverso quote capitarie ponderate da parte delle Asl.

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IL DISTRETTO DI DOMANI

di Gavino Maciocco, Dipartimento di Sanità Pubblica Università di Firenze

1. Introduzione

La più radicale e macroscopica delle trasformazionidell’organizzazione sanitaria negli ultimi decenni è stata senzaalcun dubbio la revisione del ruolo e delle funzionidell’ospedale. Tranne qualche rara eccezione (vedi Giappone),in tutti i paesi industrializzati le reti ospedaliere si sono ridotte econcentrate, il numero dei posti letto più che dimezzati, la duratadelle degenza drasticamente accorciata, la tipologia delleprestazioni erogate profondamente modificata a vantaggio degliinterventi intensivi e specialistici. Tale rapido cambiamento(giunto a maturazione nelle ultime due decadi del secolo scorso)è stato il risultato della contemporanea azione di tre fattori: a) lemodificazioni del profilo epidemiologico-demografico dellapopolazione; b) l’evoluzione delle bio-tecnologie; c)l’introduzione di meccanismi di remunerazione “prospettica”(DRG). L’impatto di questa profonda trasformazione – e deifattori che l’hanno determinata - non ha tardato a manifestarsisull’intero sistema sanitario; emergeva la necessità diriorganizzare le cure per le malattie croniche e invalidanti, siimponeva l’esigenza di rafforzare i servizi territoriali per offrireadeguati livelli di assistenza alternativi all’ospedale. Oggi vi è un generale consenso sulla necessità di spostarerisorse verso le cure primarie e di organizzare una nuova offertadi servizi sul territorio. Il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005dedica a questo tema uno dei dieci obiettivi per “la strategia delcambiamento”: “Promuovere il territorio quale primaria sededi assistenza e di governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari”.

“Più in generale, si rende evidente la necessità ormaiinderogabile di organizzare meglio il territorio spostandovirisorse e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli ospedali, inuna logica di sanità ospedalocentrica che oggi non è piùsostenibile. Ancora una volta quindi l'attenzione si sposta sui

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MMG e pediatri di libera scelta, ai quali si deve però chiedere digiocare un ruolo maggiore che in passato.Il nuovo piano Sanitario Nazionale, è lo strumento perindividuare un nuovo assetto dell'organizzazione della medicinanel territorio. I problemi economici, le liste di attesa, ilsottoutilizzo e l'utilizzo improprio di risorse nel sistema,impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.Il gradimento dei cittadini verso l'assistenza di base, consiglia direcuperare a pieno questa risorsa riportandola al centro dellarisposta sanitaria e di governo dei percorsi sanitari. Ciò inraccordo con le altre presenze nel territorio.Questo dovrà uniformarsi con un governo unitario della Sanitànel territorio, espresso nella partecipazione alle scelte diprogrammazione, che dovrà essere sintonizzato con gli obiettividi salute della programmazione e quindi premiare laprofessionalità, la qualità e la quantità di lavoro, nonché unconseguente riconoscimento nel sistema sanitario.Obiettivo di questo riordino sono:

la garanzia di una appropriata erogazione dei servizi apartire dei Lea;

il mantenimento nel territorio di tutte le attivitàambulatoriali;

un'efficace continuità assistenziale;la fornitura di attività specialistiche;l'abbattimento delle liste d'attesa;la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;la attivazione dei percorsi assistenziali.

L'obiettivo prioritario è la realizzazione di un processo diriordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra idiversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto delmedico dell'assistenza sanitaria di base. Un processo teso afornire, l'unitarietà tra prestazioni sanitarie e sociali, lacontinuità tra azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione dipercorsi assistenziali integrati, l'intersettorialità degli interventi,unitamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie eorganizzative in rapporto all'attività svolta tra l'ospedale e ilterritorio a favore di quest'ultimo.E' noto quanto sia importante il coordinamento degli interventied a tale scopo individuare nel territorio soluzioni innovative,

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organizzative e gestionali per orientare diversamente ladomanda di prestazioni.Il territorio è sempre stato considerato erogatore di servizi extraospedalieri, oggi è necessario indirizzare chiaramente una nuovae razionale offerta di prestazioni sul territorio, che configuril'intervento ospedaliero come assistenza extra territoriale semprepiù riservato alle patologie acute.È una linea che inverte il tradizionale sistema di offerta sanitariafondata prioritariamente sull'ospedale che attende i cittadini aiservizi, a favore di una linea che identifica il territorio qualesoggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario e si fa carico inmodo unitario delle necessità sanitarie e socio-assistenziali deicittadini.”

2. Il riequilibrio dell’offerta

Il riequilibrio dell’offerta tra ospedale e territorio sembradunque la ricetta giusta per favorire gli indispensabili processi dideospedalizzazione e, insieme, per tamponare i deficitassistenziali prodotti dal nuovo ruolo dell’ospedale. Quindi: piùassistenza domiciliare, più integrazione con il settore sociale,più attività specialistiche nel territorio, maggiore attenzione alleproblematiche degli anziani, anche attraverso una maggioreofferta di servizi residenziali e di riabilitazione. Inoltre, grandeenfasi sul ruolo dei medici di medicina generale e dei pediatri dilibera scelta. Il discorso non fa una piega, e non è del tuttonuovo, dato che precedenti piani sanitari nazionali – e diversipiani regionali – avevano insistito su questa strategia. Ilproblema è che tale enunciazione - “invertire il tradizionalesistema di offerta sanitaria” - apparentemente logica e semplice,trova un difficile riscontro nella realtà. Le ragioni del gap tra labuona intenzione e la concreta realizzazione sono diverse; unadi queste è certamente rappresentata dai vincoli di bilancio entrocui è attualmente costretto il sistema sanitario, un sistemafinanziariamente chiuso in cui un allargamento dell’offertaterritoriale potrebbe avvenire solo riducendo le risorse di altrisettori del sistema, del settore ospedaliero in primis. Il settoreospedaliero ha sì ridotto il numero dei letti e le giornate didegenza, ma non le spese: negli ospedali italiani pubblici e

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privati dal 1980 al 1999 il numero dei posti letto è diminuito del48% (da 542 mila a 280 mila), le giornate di degenza del 45%(da 138 milioni a 76 milioni), mentre la spesa ospedalieracontinua a rappresentare più o meno la metà della spesa sanitariatotale. Se alcune Regioni oggi dispongono di servizi territorialidiscretamente attrezzati (ma non tali comunque da rappresentareun riequilibrio nei confronti dell’ospedale), lo si deve a sceltepolitiche avvenute nel periodo a cavallo del fatidico 1978,l’anno della riforma sanitaria e della dichiarazione di Alma Ata,quando c’era la volontà e non mancavano le risorse da investirenelle cure primarie e nell’integrazione socio-sanitaria (assistenzadomiciliare, consultori, etc.). Pensare oggi a un riequilibriodell’offerta basato su una meccanica trasposizione di risorsedall’ospedale al territorio è un mera illusione, è una stradalastricata di discorsi e buone intenzioni che non porta da nessunaparte. Perché – e qui intervengono altre ragioni: culturali,politiche e sociali – la forza negoziale dei soggetti in campo,l’ospedale da una parte - il territorio dall’altra, è oggi veramenteimpari.

3. Il caso inglese

Shifting the balance of power within the NHS (Spostare gliequilibri di potere all’interno del servizio sanitario nazionale):questo è il titolo dell’ultimo piano sanitario nazionalebritannico, approvato nel 2001. Il Regno Unito è dal 1991 alleprese con un’interminabile riforma sanitaria che, purconfermando i principi universalistici del NHS fondato nel1947, ha trasformato radicalmente gli assetti organizzativi delsistema, separando nettamente il livello di programmazione ecommitenza da quello della produzione di servizi. Il pianosanitario del 2001 ha accentuato ulteriormente questaseparazione, rafforzando il settore delle cure primarie conl’estensione a tutta l’Inghilterra dei Primary Care Trusts(PCTs). I PCTs sono aziende territoriali, con un bacino di utenzadi 100-300.000 abitanti, che, oltre a gestire i servizi di base (daimedici di famiglia all’assistenza domiciliare, dai servizi diriabilitazione a quelli di salute mentale), hanno la responsabilitàdella commitenza/acquisto dei servizi ospedalieri (HospitalTrusts), la definizione delle politiche per la salute per il

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territorio di competenza, l’integrazione dei servizi sanitari esociali, gli interventi di sanità pubblica. Il 70% delle risorsedella sanità viene direttamente erogato ai PCTs, il cui organo digestione (board) è composto da rappresentanti locali (di cui unoè nominato presidente), un direttore esecutivo, un responsabiledelle finanze e rappresentanti delle professioni. Il Board èaffiancato da un Professional Executive Committee (PEC).L’obiettivo dell’ultimo (ma certamente non finale) atto dellariforma è quello (a) di attribuire maggiore potere a chi lavora inprima linea ed è in grado di conoscere meglio di qualunque altroi bisogni dei pazienti e (b) di coinvolgere maggiormente lecomunità locali nelle scelte di salute (all’interno – sottolinea ildocumento – di un contesto di chiari standard nazionali e di unquadro di forte responsabilità). Non può passare inosservato il fatto che i tradizionali sistemisanitari a modello Beveridge – non solo il Regno Unito, maanche Svezia e Nuova Zelanda – abbiano affrontato la fase digrande trasformazione dando più potere contrattuale e maggioreforza organizzativa ai servizi territoriali. Alla base di questascelta vi sono due fondamentali ragioni: (a) promuoveredinamiche competitive tra i produttori, garantendo una largaautonomia gestionale agli ospedali; (b) spostare il baricentro delsistema dal settore dell’offerta a quello della domanda,assegnando un ruolo primario al committente locale (PCT inInghilterra, Contea in Svezia) nella programmazione e nelladefinizione delle priorità, nell’acquisizione dei servizi e nellavalutazione dei risultati. In una prima fase (governiconservatori) è prevalso il primo obiettivo, successivamente(governo laburista in Gran Bretagna, socialdemocratico inSvezia) l’enfasi si è spostata sul secondo. La centralità dei PCTsè ben rappresentata dal grafico ufficiale dell’attuale modelloorganizzativo del NHS (Figura 1). La lezione che possiamo trarre dall’esperienze del nord-Europa(ma anche in Spagna – più precisamente in Catalogna – si sonoadottate politiche analoghe) è che la sfida per ridisegnare unsistema sanitario più attento agli attuali (e futuri) bisogni dellapopolazione passa per un riequilibrio dei poteri; che ilsuperamento della “logica ospedalocentrica” non si consegueattraverso un’impossibile competizione sul versante dell’offerta,ma costruendo un’area territoriale tecnicamente competente e“politicamente” attrezzata in grado di interpretare correttamente

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i bisogni della popolazione, di stabilire le priorità, diprogrammare il complesso dei servizi sanitari e sociali,producendo quelli di base e dialogando con il settoreospedaliero per l’esercizio dell’attività di committenza dellecure secondarie.

Figura 1. Modello organizzativo del NHS

4. Il caso americano

Kaiser Permanente è una delle più antiche (fondata nel 1945) enote organizzazioni sanitarie statunitensi. Non-profit healthmaintenance organization, opera prevalentemente in Californiaed assiste circa 8,2 milioni di persone; la sua principalecaratteristica è quella di essere un “sistema” con funzionifortemente integrate: agisce infatti sia come assicuratore checome gestore ed erogatore di servizi, attraverso tre proprieorganizzazioni: Kaiser Foundation Health Plan (l’assicuratore;il 93% degli iscritti sono dipendenti di aziende pubbliche oprivate e anziani di Medicare), Kaiser Foundation Hospitals (larete di ospedali), Permanente Medical Groups (medici difamiglia e specialisti, tutti a rapporto rigorosamente esclusivocon l’organizzazione). Con due articoli pubblicati nel 2002 e 2003 il British MedicalJournal i ii ha messo a confronto l’assetto organizzativo, il

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funzionamento, i costi e le performance della Kaiser Permanentecon quelli del servizio sanitario britannico (NHS). Anticipiamo subito le conclusioni: il confronto si risolve a tuttofavore di Kaiser Permanente (KP). Pur con un costo annuo perassistito (dopo una complessa serie di stardardizzazioni perrendere confrontabili le due popolazioni) lievemente superiore($1951 vs $1764) KP registra una serie di performancenettamente migliori rispetto al NHS.Il dato più sorprendente è il bassissimo livello diospedalizzazione degli assistiti di KP: 270 giornate di degenzaper acuti all’anno per 1000 assistiti vs 1000 per 1000 del NHS(la standardizzazione per età porta il dato di KP a 327 per 1000assistiti, un terzo del dato britannico). Questo risultato è il fruttodella combinazione di due elementi: il minore tasso diospedalizzazione (in particolare i ricoveri per angina, asma ebronchite sono da 4 a 5 volte meno frequenti in KP rispetto aNHS) e la minore durata della degenza (mediamente 3,9 giornidi durata di degenza di KP vs 5,0 di NHS; con differenze da 3 a5 volte per alcune patologie come ictus, frattura di femore,bronchite e asma). E’ stato calcolato che se tutto il NHSassumesse lo stesso pattern di ospedalizzazione di KP sarebberorisparmiate annualmente circa 40 milioni di giornate di degenza(equivalenti a 10 miliardi di sterline). Va inoltre notato che ilivelli di ospedalizzazione di KP sono notevolmente inferiorianche rispetto alla media delle altre organizzazioni californianee statunitensi.

KP eccelle nelle attività preventive (al pari del NHS): i tassi dicopertura vaccinale dell’infanzia sono intorno al 90% (con unsignificativo 94% per l’MMR, e un 84% per la vaccinazioneantivaricella); ottime performance negli screening: il 78% delledonne tra 52 e 69 è stata sottoposta a mammografia negli ultimidue anni; l’80% della donne tra 21 e 64 anni ha ricevuto un pap-test negli ultimi tre anni. Nella Tabella 1 è riportato unconfronto tra alcuni dati di qualità tra KP e NHS.

Tabella 1

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Le liste di attesa sono molto più contenute in KP rispetto a NHS,l’80% delle visite specialistiche viene espletato entro 2settimane, il 90% degli interventi chirurgici di elezione entro 13settimane (in UK oltre il doppio dell’attesa). In termini di outcome i due sistemi presentano dati identici: lasperanza di vita alla nascita è – sia per gli assistiti di KP che delNHS – di 75 anni per gli uomini e di 80 anni per le donne; iltasso di mortalità infantile è 6 per mille nati vivi. I motivi del successo di Kaiser Permanente.

Un robusto ed efficiente sistema di cure primarie.Appartengono alla categoria dei medici di cure primarie(primary care physicians) specialisti in medicina di famiglia,medicina interna, pediatria e ostetricia e ginecologia. Lestrutture di cure primarie (primary care facilities) ospitano da20 a 40 medici di cure primarie, che lavorano in formaassociata, e sono coadiuvati da altri professionisti(equivalenti a due terzi dello staff medico) come i gliassistenti medici (physician assistants) e gli infermieri difamiglia (nurse practitioners), che hanno la propria lista dipazienti e sono autorizzati a eseguire visite, fare diagnosi eprescrivere alcuni farmaci. Le strutture di cure primarie sonodotate di laboratorio, radiologia e farmacia; molto spessosono presenti anche servizi di fisioterapia, salute mentale ealtri specialisti. Queste strutture inoltre sono aperte la notte ei giorni festivi per le urgenze.

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Una forte integrazione tra cure primarie e assistenzaospedaliera (e cure intermedie). Tutti i professionisti di KPsono coinvolti in un modello di cura che privilegia iltrattamento delle patologie – finché possibile – al di fuoridell’ospedale e che tende a ridurre al minimo la fasedell’ospedalizzazione. L’adozione di percorsi assistenziali èla regola (e viene rispettata); un’apposita equipe diprofessionisti è destinata a facilitare le dimissioniospedaliere, che si avvale anche di apposite strutture (skillednursing facilities), dove operano infermieri e fisioterapisti,finalizzate al rapido recupero funzionale dei pazienti e al lororientro a domicilio.

“Kaiser Permanente – questa è la conclusione dei due articolidel BMJ – consegue una bassa utilizzazione dei posti letto peracuti attraverso l’integrazione dei livelli di assistenza, un’attivagestione dei pazienti, l’uso delle cure intermedie, l’auto-cura ela leadership medica”.

5. Il Distretto di domani

Sono trascorsi 25 anni dall’approvazione delle legge 833, equattro dall’emanazione del decreto legislativo 229/99 che –finalmente! – ha delineato un quadro di riferimento nazionaleconcreto e avanzato e i Distretti, anche nelle regioni piùattrezzate, sono ancora al palo (o quasi). Mettendo da parte laquestione della mancanza di risorse (che in molti casi è un veroe proprio alibi), dobbiamo chiederci perché. Ritengo che visiano tre ragioni molto specifiche alla base delle false partenzedei distretti:

La difficoltà di coinvolgimento dei medici di famiglia. IMMG hanno sempre guardato al Distretto con grandediffidenza; hanno sempre rifiutato l’idea di dover essereorganizzati da altri, e il Distretto era l’altro, da cuidifendersi. Va anche detto che molto spesso la dirigenza deidistretti è stata interpretata in modo inutilmente burocratico,e le diffidenze reciproche hanno provocato dei baratri. Ora èevidente che un Distretto senza la presenza attiva epartecipata dei medici di famiglia (includendovi anche ipediatri di libera scelta) è un guscio vuoto. Ma il vero

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problema non sta nell’individuare modelli organizzativi e/ocomportamenti manageriali in grado di attrarre i MMG; ilproblema vero risiede nella capacità dei medici di famiglia diauto-organizzarsi, di aggregarsi, di esprimere capacitàassistenziali nuove e coerenti con i bisogni dei loro pazienti.La diffidenza è un segno di debolezza; una medicina difamiglia forte – aggregata, ben organizzata, rinnovata –ricercherà un interlocutore “pubblico” forte e autorevole.

La separazione dal sociale. Il distacco del settoresanitario da quello sociale, accentuatosi con l’entrata invigore delle leggi di riordino 502/92 e 517/93, ha avutoeffetti nefasti sulla funzionalità dei servizi distrettuali. Tantopiù cresceva l’esigenza di una forte integrazione socio-sanitaria – determinata dalle caratteristiche dei bisogni dellepersone anziane, dei pazienti disabili, etc -, tanto più i servizisi divaricavano, si differenziavano i criteri e gli sportelli diaccesso. E per gli assistiti, particolarmente quelli piùvulnerabili, l’accesso a prestazioni veramente fruibili èdiventato il più delle volte un disperante gioco dell’oca. Ilrecupero di un’effettiva ed efficace integrazione socio-sanitaria è una condizione indispensabile per l’esistenzastessa dei Distretti. E ciò richiede la partecipazione attiva deiComuni, non in veste di controparte delle Asl (e deiDistretti), ma nel ruolo di partner privilegiato nel governo enella gestione dei servizi distrettuali.

La latitanza della prevenzione. La costituzione deiDipartimenti di prevenzione - ancora le leggi di riordino502/92 e 517/93 - ha avuto l’effetto paradosso di relegare unaparte consistente dei servizi di sanità pubblica in una sorta dilimbo operativo, ed è impressionante notare la resistenzadegli operatori di questi servizi nel farsi coinvolgere nelcomplesso delle attività di base, che da sempre sono state illoro naturale campo di gioco (la valutazione dei bisogni diuna comunità e la promozione della salute, le vaccinazioni ela sorveglianza delle malattie infettive, gli screening, etc.). Siè invece privilegiata la dimensione “verticale” del servizio,preferibilmente su base aziendale, alla ricerca di nicchie e dipiedistalli. L’assenza “organica” di queste competenze hamolto indebolito la struttura operativa del Distretto,privandola di una componente essenziale dei serviziterritoriali.

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I Distretti avranno un domani se i decisori politiciraccoglieranno la sfida di ridisegnare il sistema sanitario infunzione dei nuovi bisogni della popolazione e se accetterannol’idea di “riequilibrare il poteri”. Un Distretto forte, dotato –come previsto dal 229/99 – di autonomia gestionale edeconomico-finanziaria, opportunamente attrezzato perprogrammare, valutare e negoziare, è il migliore antidoto controdiffidenze, inerzie e indifferenze che finora l’hanno caricato diun handicap insopportabile. D’altra parte non ci sono altrescelte: o si costruisce una “casa comune” – un sistema attrezzatodei servizi territoriali socio-sanitari, il Distretto appunto – in cuiuna molteplicità di soggetti, dai medici di famiglia agliinfermieri - dagli operatori della prevenzione agli assistentisociali, trovano le condizioni adatte per poter realizzare insiemeprogetti di salute e di cura, oppure l’alternativa è quella delladiaspora e della frammentazione e, infine, della totaleprivatizzazione del settore.

6. Le diverse aree di governo del Distretto

Gli inglesi sono un popolo notoriamente pragmatico e quandonel 1991 il NHS ha cambiato la sua architettura con la già citataseparazione tra committenti e produttori è stato subito prodottoun manuale (pubblicato nel 1994, in due volumi, dopo tre annidi lavoro, e successivamente aggiornato), indirizzato a chi avevala responsabilità di programmare e commissionare i servizisanitari, intitolato Health care needs assessmentiii. Il razionaledell’opera è tanto semplice quanto impegnativo: fornire per le20 più importanti malattie/condizioni di bisogno (dal diabeteall’ictus, dalla cardiopatia ischemica alle malattie renali, dalcancro del polmone alla cataratta, dalle malattie mentaliall’abuso di alcol, dall’handicap infantile all’aborto) leinformazioni disponibili riguardo a:

le dimensioni del problema;la prevalenza e l’incidenza;i servizi disponibili;l’efficacia e il costo-efficacia dei servizi;i modelli di cura;gli obiettivi e i risultati.

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Pensando al governo dei nostri Distretti quella della valutazionedel bisogno di assistenza sanitaria della popolazione diriferimento è certamente la prima sfida per la quale attrezzarsi.Una valutazione dei bisogni non generale e astratta, maapplicata alla realtà locale, messa a confronto con i servizidisponibili, con l’obiettivo di misurarne i costi e l’efficacia. Nel luglio 1997, il neo-eletto governo britannico dette incarico auna commissione indipendente, presieduta da Donald Acheson,di produrre un rapporto sulle ineguaglianze nella salute nelRegno Unito. Il documento, pubblicato nel 1998iv, evidenziaprofonde e crescenti differenze nei tassi di mortalità correlatecon l’appartenenza a differenti classi sociali, fornendo algoverno specifiche raccomandazioni d’intervento1.Nel gennaio2003 l’East Kent Coastal Primary Care Trust(www.kentmedway.nhs.uk) – un “distretto” di 242 mila abitantisituato nel sud dell’Inghilterra, capoluogo Dover – ha prodottoun documento intitolato “An Agenda for Tackling HealthInequality – A Public Health Strategy” (Figura 2) nel qualevengono esaminati i tassi di mortalità generale della popolazioneal di sotto dei 75 anni in relazione all’indice di deprivazione2 digruppi di popolazione residenti nelle diverse zone del PCT (689per 100.000 nella zona più deprivata rispetto a 292 per 100.000nell’area più agiata, vedi Figura 3). Il documento indica unaserie di strategie di contrasto delle diseguaglianze nella salute ele relative aree di intervento. Quella delle diseguaglianze nella salute – e delle azioni daintraprendere per contrastarle – è la seconda grande sfida nelgoverno dei distretti, che richiama la necessità delcoinvolgimento degli enti locali e di altre istituzioni, come lascuola, le imprese, etc.Vi è, infine, il terzo elemento di governo, quello più tradizionalee certamente più collaudato: la programmazione e gestione deiservizi territoriali, sanitari e sociali.

1 “Le ineguaglianze nella salute sono il risultato di una catena di cause che trova la sua origine nella struttura di base della società. E’ necessario un approccioampio perché molti di questi fattori sono interrelati. Può essere inefficace concentrarsi in un unico punto della catena se non vengono adottate azionicomplementari in grado di influenzare fattori collegati, appartenenti a un’altra area di interesse. Le strategie devono essere “a monte” (“upstream”) e “a valle”(“downstream”). Per esempio, interventi che riducono le disuguaglianze nel reddito e migliorano il reddito dei più poveri, o che garantiscono l’educazione pre-scolare a tutti i bambini di 4 anni, rappresentano politiche “a monte” che hanno probabilmente un più ampio spettro di conseguenze, inclusi i benefici per lasalute; interventi quali la terapia sostitutiva della nicotina per la cessazione dal fumo o l’offerta di strutture per favorire la pratica dell’attività fisica sono misure“a valle” che hanno un ambito più ridotto di benefici. Noi quindi raccomandiamo entrambe le strategie, quelle “a monte” e quelle “a valle”, quelle che hanno unmaggiore impatto sulle ineguaglianze nella salute come la distribuzione del reddito, l’educazione, la sicurezza, la casa, l’ambiente di lavoro, l’occupazione, le retisociali, i trasporti e l’inquinamento, e quelle che hanno un’influenza più ristretta come gli stili di vita.”2 L’ Index of Multiple Deprivation è un indicatore complesso che si basa su un insieme di informazioni di una determinata popolazione – appartenente allasezione elettorale - riguardanti il reddito, l’educazione, l’impiego, la casa, l’accesso ai servizi, la povertà infantile.

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Figura 2

Figura 3

7. Gli strumenti per il governo del Distretto

L’allestimento delle tre aree di governo – corrispondenti a trediverse missioni del Distretto: la promozione della salute, laprogrammazione e la committenza dei servizi, la produzionedelle cure primarie - non può essere che graduale, dato chegeneralmente i Distretti sono attrezzati solo per una delle trefunzioni, quella della produzione. Estendere l’orizzonte allealtre due richiede un salto di qualità, l’apporto di nuovecompetenze (epidemiologia, economia sanitaria) e un plus divolontà politica. L’errore imperdonabile sarebbe quello diconsiderare tutto ciò una missione impossibile e di non provarcineppure. Negli ospedali (per tornare a parlare del tradizionale

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689,2 x 100.000

dirimpettaio) oggi si fanno cose neanche pensabili vent’anni fà,sia in campo tecnico che gestionale; anche nei Distretti èpossibile. Attraverso la costruzione di un assetto di governo –politico/amministrativo e tecnico – adeguato e autonomo. Laspinta al grande cambiamento può essere favorita dalladisponibilità di tecnologie informatiche sempre più avanzate esempre più fruibili. Ancora più che in ospedale, nel Distrettol’informazione è un’essenziale componente strategica digoverno, per questo la costruzione di un sistema informativodistrettuale è il primo, fondamentale passo per avventurarcinella missione impossibile.

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i RGA Feachem, NK Sekhri, KL White, Getting more for their dollar: a comparison of the NHS with California’sKaiser Permanente, BMJ 2002; 324:135-43.ii C. Ham, N. York, S. Sutch, R. Shaw, Hospital bed utilization in the NHS, Kaiser Permanente, and the US Medicareprogramme: analysis of routine data, BMJ 2003; 327: 1257-62. iii A. Stevens, J. Raftery, Health Care Needs Assessment, Radcliffe Medical Press, Oxford, 1994.iv Department of Health, Inequality in Health, Report (Chairman: Sir Donald Acheson), The Stationary Office, London,1998