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LE CITTÀ METROPOLITANE IN EUROPA Matteo Carrer - Stefano Rossi SOMMARIO: Le Città metropolitane: una prospettiva comparata. 1. L’oggetto dell’analisi – 2. Criteri per una delimitazione del fenomeno metropolitano. 3. I modelli di governo metropolitano. Francia: il lungo cammino delle aree metropolitane. 1. Il processo di decentralizzazione. 2. Le strutture di cooperazione intercomunale. 3. Le aree metropolitane. 3.1. Parigi. 3.2. Lione. 4. La riforma del 2014. 4.1. La metropoli di Grand Paris. Germania: un modello policentrico. 1. Alla ricerca delle Città metropolitane nell’ordinamento federale tedesco – 2. Le Metropolregionen. Spagna: Città, Comunidades e autonomia. 1. Le aree metropolitane in Spagna. 2. La Comunità autonoma di Madrid. 3. Il diritto delle Comunità autonome: Catalogna, Galizia e Valencia. 4. Un modello perdente? Portogallo: un Paese in due aree metropolitane. 1. Appunti sul diritto portoghese degli enti locali. 2. Le associazioni tra comuni. 3. Le aree metropolitane. 4. La riforma degli enti locali del 2013. Paesi Bassi: il modello della Città-Regione. 1. Gli enti locali olandesi. 2. Le città metropolitane. Inghilterra: Londra città metropolitana. 1. Enti locali e città in Inghilterra nell’ottica del local government. 2. Le città dal XIX secolo alla devolution. 3. La città di Londra. 4. Le aree metropolitane dell’Inghilterra. – Italia: work in progress. 1. Lo sviluppo legislativo di un’idea: le Città metropolitane. 2. La riforma Del Rio: finalmente le Città metropolitane ?. Conclusioni dialettiche. 1. Osservazioni metodologiche. 2. I modelli. 3. Città e diritto. Bibliografia. Matteo Carrer, dottore di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea, già assegnista di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo Stefano Rossi, dottorando di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo Il lavoro è frutto della collaborazione tra i due autori, tuttavia l’introduzione e i capitoli relativi a Francia, Portogallo e par. 1 sull’Italia sono stati redatti da Stefano Rossi, i capitoli relativi a Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna, par. 2 sull’Italia e le conclusioni sono da attribuirsi a Matteo Carrer. Il presente lavoro è stato elaborato per conto dell’IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) – Fondazione Anci. Aggiornato al 30.06.2014. IFEL Fondazione Anci. Riproduzione riservata

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LE CITTÀ METROPOLITANE IN EUROPA

Matteo Carrer - Stefano Rossi

SOMMARIO: Le Città metropolitane: una prospettiva comparata. – 1. L’oggetto dell’analisi – 2. Criteri per una delimitazione del fenomeno metropolitano. – 3. I modelli di governo metropolitano. – Francia: il lungo cammino delle aree metropolitane. – 1. Il processo di decentralizzazione. – 2. Le strutture di cooperazione intercomunale. – 3. Le aree metropolitane. – 3.1. Parigi. – 3.2. Lione. – 4. La riforma del 2014. – 4.1. La metropoli di Grand Paris. – Germania: un modello policentrico. – 1. Alla ricerca delle Città metropolitane nell’ordinamento federale tedesco – 2. Le Metropolregionen. – Spagna: Città, Comunidades e autonomia. – 1. Le aree metropolitane in Spagna. – 2. La Comunità autonoma di Madrid. – 3. Il diritto delle Comunità autonome: Catalogna, Galizia e Valencia. – 4. Un modello perdente? – Portogallo: un Paese in due aree metropolitane. – 1. Appunti sul diritto portoghese degli enti locali. – 2. Le associazioni tra comuni. – 3. Le aree metropolitane. – 4. La riforma degli enti locali del 2013. – Paesi Bassi: il modello della Città-Regione. – 1. Gli enti locali olandesi. – 2. Le città metropolitane. – Inghilterra: Londra città metropolitana. – 1. Enti locali e città in Inghilterra nell’ottica del local government. – 2. Le città dal XIX secolo alla devolution. – 3. La città di Londra. – 4. Le aree metropolitane dell’Inghilterra. – Italia: work in progress. – 1. Lo sviluppo legislativo di un’idea: le Città metropolitane. – 2. La riforma Del Rio: finalmente le Città metropolitane ?. – Conclusioni dialettiche. – 1. Osservazioni metodologiche. – 2. I modelli. – 3. Città e diritto. – Bibliografia.

Matteo Carrer, dottore di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea, già assegnista di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo

Stefano Rossi, dottorando di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo

Il lavoro è frutto della collaborazione tra i due autori, tuttavia l’introduzione e i capitoli relativi a Francia, Portogallo e par. 1 sull’Italia sono stati redatti da Stefano Rossi, i capitoli relativi a Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna, par. 2 sull’Italia e le conclusioni sono da attribuirsi a Matteo Carrer.

Il presente lavoro è stato elaborato per conto dell’IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) – Fondazione Anci. Aggiornato al 30.06.2014.

IFEL – Fondazione Anci. Riproduzione riservata

* * *

Le Città metropolitane: una prospettiva comparata

1. L’oggetto dell’analisi

L’obiettivo del presente lavoro consiste nell’analisi della struttura, dell’organizzazione e delle

attribuzioni che caratterizzano le Città o Aree metropolitane1 presenti in alcuni Paesi dell’Unione

europea.

Si tratta di un percorso complesso, sviluppato tenendo conto delle notevoli differenze tra le

esperienze storiche, le strutture istituzionali e le condizioni economico-sociali che hanno connotato

nei vari contesti nazionali le varie forme in cui si è “costruita” l’esperienza metropolitana.

L’analisi svolta ha un oggetto delimitato anche sotto il profilo degli strumenti utilizzati per

“decifrare” le realtà considerate, ovvero quelli del diritto ed in particolare del diritto pubblico

comparato, con l’intento di affrontare la questione degli assetti istituzionali necessari al governo dei

problemi che sembrano appartenere per loro stessa natura alla dimensione delle grandi città. Ad un

primo sguardo ne emerge – in modo forse non inatteso – un quadro di possibili soluzioni assai

diversificato, che spazia dall’istituzione di uno specifico livello di governo metropolitano di

competenza generale ad agenzie funzionali per specifici servizi o ambiti di policy ad una serie di

altre soluzioni fondate in maggior o minor misura sulla cooperazione tra amministrazioni pubbliche

e soggetti privati.

In questo senso si è provato ad affrontare i principali problemi della governance

metropolitana, ovvero il tema del ruolo operativo che le nuove istituzioni metropolitane dovrebbero

esercitare e quello, forse ancora più rilevante, del rapporto con la pluralità degli attori che si

candidano a trasformare la città, pur senza rivestire responsabilità di governo locale.

Tuttavia, aver centrato l’interesse sul profilo istituzionale non significa che non si sia tenuto

conto degli studi e riflessioni di carattere economico, sociale e geografico che, dopo aver

evidenziato il gap tra “città reale” e “città amministrativa”, hanno inteso “delimitare i confini”

dell’area metropolitana avvalendosi di specifici criteri (morfologici e/o funzionali), nella misura in

cui la reciproca influenza tra tali aspetti rende necessario un loro studio integrato.

L’obiettivo, forse troppo ambizioso per queste poche pagine, è di offrire un contributo

ragionato – seppur necessariamente sintetico – dei possibili e significativi modelli di organizzazione

1 Sia consentito per ora utilizzare i due termini come sostanziali sinonimi.

e governance delle realtà metropolitane in Europa, da cui si possano trarre idee o soluzioni per

delineare il nostro modello di governo del fenomeno metropolitano.

2. Criteri per una delimitazione del fenomeno metropolitano

L’individuazione e la delimitazione delle “aree metropolitane” sono, infatti, questioni

estremamente complesse. In via generale, i criteri impiegati per tale operazione possono essere

raggruppati in tre grandi categorie: a) criteri di omogeneità, in base ai quali possono essere riuniti

enti o aree che hanno caratteristiche simili secondo vari parametri (dimensione demografica,

densità, caratteristiche economiche e sociologiche e via dicendo); b) criteri di interdipendenza, in

base ai quali possono essere raggruppati enti o aree tra i quali avvengono scambi di persone, beni o

flussi comunicativi (pendolarità, aree di gravitazione commerciale, scambi telefonici o altro); c)

criteri morfologici, quali ad esempio la contiguità spaziale o la appartenenza a medesimi sistemi di

configurazione orografica o geografica in senso lato2. Il ricorso a diversi criteri o a loro

combinazioni dà ovviamente luogo a delimitazioni territoriali altrettanto differenziate.

Negli anni recenti, alcune istituzioni di ricerca internazionali3 hanno realizzato studi volti a

delimitare le aree metropolitane o analoghi aggregati territoriali. In particolare, nella ricerca

promossa dall’European Spatial Planning Observation Network (Espon) vengono individuate, per il

territorio europeo, le Morphological Urban Areas (MUA) – raggruppamenti di municipalità

contigue densamente popolate – e le Functional Urban Areas (FUA) composte da quei comuni in

cui una quota significativa di popolazione residente si sposta per motivi di lavoro nel territorio di

una determinata Morphological Urban Area. Le due unità di analisi (MUA e FUA) rivestono pari

importanza per la classificazione del fenomeno urbano e metropolitano: se le MUA consentono di

evidenziare la presenza di territori densamente popolati contigui che trascendono i confini delle

singole amministrazioni comunali, le FUA permettono invece di rilevare l’ambito di influenza delle

MUA in termini di attrazione della popolazione con capacità lavorativa4.

2 G. MARTINOTTI, Metropoli: la nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna, 1993, 66 ss.; F.

BARTALETTI, Le aree metropolitane in Italia e nel mondo: il quadro teorico e i riflessi territoriali , Bollati Boringhieri, Torino, 2009, 25 ss.

3 The Functional Urban Areas Databas, Technical Report, Espon 2013 Database, 2011; Redefining “Urban”: A New Way to Measure Metropolitan Areas, Oecd Publishing, 2012.

4 Sui criteri di classificazione del fenomeno metropolitano si veda W. TORTORELLA, M. ALLULLI , Città metropolitane. La lunga attesa, Marsilio, Venezia, 2014, 16 ss.

In specie, il sistema urbano europeo è caratterizzato dall’esistenza di una rete urbana densa,

formata da regioni urbane5 che fanno capo a grandi città metropolitane. Tali agglomerati si

collocano a vari livelli della gerarchia urbana: così, al livello più alto troviamo le cd. città “globali”,

caratterizzate dalla concentrazione di strutture di comando e di controllo del sistema economico,

industriale e finanziario a scala mondiale, dalla presenza di complessi infrastrutturali e di centri di

formazione di ricerca a livello superiore. Si tratta, in particolare, di Londra e Parigi, dove tale

concentrazione è nettamente superiore rispetto alle altre città europee, seguite da Milano, Madrid,

Monaco di Baviera, Francoforte, Roma, Bruxelles, Barcellona, Amsterdam.

In termini generali, tuttavia, per poter dare una definizione generale di area metropolitana si

deve tener conto di due caratteristiche:

1) si tratta di aree con concentrazione elevata di popolazione e di attività economiche che si

connotano al loro interno per le forti interrelazioni dovute alle specializzazioni residenziali e

produttive e ai flussi di pendolarismo originato da diversi motivi (lavoro, studio, tempo libero);

2) in tali aree, il governo locale è diviso tra un Comune centrale di grandi dimensioni e

Comuni circostanti di dimensioni minori. Non c’è quindi di norma un governo di dimensioni

sufficiente a governare tali flussi per quello che concerne le interdipendenze alle quali danno

origine (ad es.: mobilità, trasporti, rifiuti, varie forme di esternalità ambientali)6.

Le aree metropolitane, quindi, non sono valutabili solo come semplice fusione tra centri

densamente abitati, socialmente e funzionalmente specializzati a cui sono genericamente annesse

delle periferie. Esse sono meglio interpretabili come sistemi di reti, a geometria variabile, articolati

in nodi, alcuni dei quali caratterizzati da una forte dimensione di centralità, definiti in funzione della

loro accessibilità e grado di coordinamento. La qualità di questi sistemi dipende dalle relazioni che

si instaurano tra i nodi, dalla capacità di integrare la loro popolazione e i loro territori attraverso

adeguate condizioni che ne garantiscano principalmente la mobilità e, in senso lato, l’accessibilità7.

3. I modelli di governo metropolitano

Come è noto, le esperienze di governo metropolitano presentano due modelli principali:

5 Si deve notare come lo sviluppo delle città sia sempre collegato allo sviluppo delle regioni, per cui le più

importanti aree metropolitane sono concentrate nelle regioni europee di maggior sviluppo economico e, in taluni casi, lo stesso concetto di regione può essere sovrapposto a quelli di area metropolitana o città metropolitana.

6 Tali caratteristiche possono essere integrate con i criteri elencati sopra: omogeneità, interdipendenza e morfologia. Tale definizione, come ovvio, non è ancora giuridica ma, in verità, non può esserlo del tutto, nella misura in cui la forma istituzionale della città metropolitana è necessariamente il risultato di una complessiva “domanda di governo” che deriva dalla realtà socio-economica dell’epoca storica e della posizione geografica che si prendono in considerazione.

7 V. MAZZUCCATO, Le città metropolitane nella prospettiva europea. Milano e Barcellona due metropoli a confronto, Tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di scienze politiche, 2007/2008, testo a stampa, 93 ss.

a) il modello della sovracomunalità o strutturale, che fa riferimento ad un governo unico e

formalizzato;

b) il modello dell’intercomunalità o funzionale, che fa riferimento invece all’azione di

cooperazione volontaria tra i Comuni ed è basato sul decentramento e la collaborazione.

La differenza tra i due modelli è data dal ruolo svolto dal governo metropolitano che, nel

primo caso, è sovraordinato ai Comuni e la cui attivazione implica una ridefinizione dei loro poteri

e dei confini territoriali, mentre, nel secondo, è caratterizzato dalla volontarietà, dalla delega di

alcune funzioni a dimensione urbana al governo intercomunale e dall’attribuzione ad esso di risorse

finanziarie e fiscali proprie.

Nello “statuto” della città metropolitana8 rientrano quindi le forme di esercizio associato di

funzioni con i comuni in essa compresi al fine di garantire il coordinamento dell’azione

complessiva di governo all’interno del territorio metropolitano, la coerenza dell’esercizio della

potestà normativa da parte dei due livelli di amministrazione, un efficiente assetto organizzativo e

di utilizzazione delle risorse strumentali, nonché l’economicità di gestione delle entrate e delle

spese attraverso il coordinamento dei rispettivi sistemi finanziari e contabili.

Nel contempo, in alcuni casi, si prevede anche l’opzione funzionale basata sul mantenimento

dei livelli istituzionali esistenti e sul governo dell’area metropolitana affidato a forme di

cooperazione istituzionale. Trattandosi infatti di esercizio associato di funzioni (e relative forme

associative) nelle aree metropolitane e nelle altre aree variamente definite a livello di aggregazione

territoriale (ambiti, bacini, ecc.) è forse necessario considerare la diversificazione tra le forme

associative in ragione del diverso livello d’integrazione funzionale e fiscale esercitato, come – ad

esempio – nell’ipotesi dell’esperienza francese in materia di comunità locali, dove le risorse fiscali

e il livello della dotazione globale di finanziamento assicurato alle communautées d’agglomeration,

alle communautées de comune e alle communautées urbaine dipendono dal grado d’integrazione

funzionale esercitato, utilizzando in particolare la tassa professionale unica come collante

dell’intercomunalità.

Da tali considerazioni si può desumere un principio di necessaria differenziazione tra le

istituzioni locali le quali, pertanto, non possono conformarsi ad un modello uniforme di governo del

territorio metropolitano, dovendosi necessariamente rispettare la diversità territoriale e comunitaria

delle stesse.

8 Le metropoli, quindi, non sono considerabili solo come semplice fusione tra centri densamente abitati,

socialmente e funzionalmente specializzati, a cui sono genericamente annesse delle periferie. Esse sono meglio interpretabili come sistemi di reti, a geometria variabile, articolati in nodi, alcuni dei quali caratterizzati da una forte dimensione di centralità, definiti in funzione della loro accessibilità e grado di coordinamento.

Vi è da tener conto infine che, tra le principali funzioni ricoperte dagli enti che governano le

aree metropolitane, alcune sembrano ricorrenti ed, in particolare, tra queste:

la promozione dello sviluppo economico, dell’innovazione, della ricerca;

la promozione dello sviluppo sociale e culturale;

la pianificazione territoriale di area vasta;

lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi di trasporto.

Si deve rilevare come le funzioni indicate siano caratteristiche del modello base di governo

metropolitano nella misura in cui rispondono alla necessità di dare qualità al sistema, il che dipende

dalle relazioni funzionali che si instaurano tra i nodi (urbanistici, economici e sociali) di carattere

strutturale propri delle metropoli, dalla capacità di integrare la popolazione e i territori degli enti

minori attraverso adeguate condizioni che ne garantiscano principalmente la mobilità e, in senso

lato, l’accessibilità.

Massimo Severo Giannini9 sosteneva che occorre partire sempre dalle funzioni per poter poi

individuare il livello più adeguato preposto alla cura degli interessi pubblici selezionati ed è

partendo da questo profilo che in dottrina10 si sono descritti i diversi modelli di governo

metropolitano, tenendo conto anche dei criteri storici, sociali ed economici che ne hanno connotato

lo sviluppo:

1) l’annessione (la forma hard), in virtù della quale il Comune centrale si espande assorbendo

i Comuni minori. Così è accaduto a New York, Berlino e Roma nella prima metà del Novecento ed

negli ultimi tre decenni questo percorso è stato praticato da Anversa e Toronto;

2) la Città-Stato o la Città-Regione, che vede l’area metropolitana eretta a Stato federato o a

Regione, con tutti i poteri tipici di quel livello di governo (così in Germania le città di Berlino,

Amburgo e Brema; in Austria Vienna; in Belgio Bruxelles; in Spagna Madrid);

3) il governo metropolitano di secondo livello a elezione diretta, a fronte del quale

sopravvivono comunque al suo interno i governi comunali, seppur con poteri ridotti.

Tendenzialmente, l’autorità metropolitana assume lo status di governo di rango superiore

(provinciale o di contea) ma è dotato di poteri più rilevanti di quelli di una provincia o contea.

Esempi di tale formula sono dati da Londra (dal 1965, con rivisitazione nel 1999), da Toronto (dal

1988 al 1998), da Rotterdam (dal 1964 al 1985);

4) il governo metropolitano di secondo livello espresso dai Comuni dell’area metropolitana:

qui nell’area metropolitana si insedia un governo (non necessariamente elettivo) che si struttura

come associazione obbligatoria dei Comuni che ne fanno parte. Dispone di poteri, funzioni e di

9 M.S. GIANNINI , In principio sono le funzioni, in Amministrazione civile, 1959, 2, 23, 11-14 ora in Scritti

Giannini, IV, Giuffrè, Milano, 2004, 719 ss. 10 L. BOBBIO, I governi locali nelle democrazie contemporanee, Laterza, Bari, 2002, 113 ss.

fiscalità propria (ne sono esempio le Communautées urbaines francesi come Bordeaux, Lille e

Strasburgo; Barcellona dal 1974 al 1987; Copenaghen dal 1974 al 1989);

5) l’associazione volontaria di Comuni viene a caratterizzare una formula soft di governo

metropolitano, fondata sul volontarismo dei Comuni che accettano di farne parte. Essa è dotata di

funzioni e poteri che le vengono delegati. Tale formula è diffusa negli Stati Uniti (New York, Los

Angeles, San Francisco) ed in Germania (Francoforte);

6) le agenzie funzionali di scala metropolitana, che non configurano un vero e proprio

governo metropolitano, ma fungono da agenzie specializzate in alcune politiche che agiscono su

scala metropolitana. Esempi di questo tipo si trovano negli Stati Uniti (gli special districts), in Gran

Bretagna (i joint committees per specifiche politiche nelle ex-contee metropolitane) e in Spagna,

come nel caso di Barcellona.

Anche le finalità perseguite dai diversi modelli sono differenti: a) talora si perseguono

(essenzialmente o principalmente) finalità di governo complessivo e pianificazione dell’area vasta,

volte ad un rafforzamento delle capacità di compiere scelte strategiche e coordinare politiche

metropolitane; b) talora si perseguono (essenzialmente o principalmente) finalità di coesione

sociale e di equiparazione dei diritti dei cittadini (la cui vita è sempre meno ristretta nei confini del

singolo comune), tendendo ad una omogeneità di trattamento in relazione alla regolazione e qualità

di servizi, tariffe ed imposte locali; c) talora si perseguono (essenzialmente o principalmente)

finalità di semplificazione, riducendo i livelli di governo, o comunque razionalizzando le

competenze, accorpando strutture e apparati, fornendo agli operatori regole omogenee.

In termini di tendenza generale, si nota il passaggio da soluzioni più soft di governo

metropolitano, basate sulla cooperazione volontaria degli attori, a soluzioni più hard, che implicano

la nascita di un nuovo ente amministrativo.

Nello specifico, ad esempio, la nascita dell’AMB (Area Metropolitana de Barcelona) ha

comportato la progressiva integrazione funzionale di alcune agenzie specializzate

nell’implementazione di politiche che agivano su scala metropolitana (la Mancomunidad de

Municipios de l’Area Metropolitana de Barcelona, con competenze in materia di pianificazione

urbanistica, l’Entidad Metropolitana del Medi Ambient e l’Entidad Metropolitana del

Transporte)11; nel caso di Manchester la nascita della GMCA (Greater Manchester Combined

Authority) costituisce l’esito di un percorso di collaborazione sempre più stretta tra gli enti locali

nell’ambito delle iniziative promosse dalla precedente struttura associativa AGMA (Association of

Greater Manchester Authorities). In entrambi i casi l’istituzione del nuovo ente è, quindi, l’esito di

11 V. il par. 3 della parte dedicata alla Spagna.

un progressivo “avvicinamento” degli enti locali in un clima di crescente fiducia sedimentata

attraverso pluriennali esperienze di cooperazione metropolitana.

La creazione di una nuova istituzione mira anzitutto a rendere più efficiente l’erogazione dei

servizi attraverso l’utilizzo di economie di scala e la pianificazione integrata delle funzioni. Sia a

Barcellona che a Manchester12, tuttavia, agli aspetti più marcatamente funzionali si sono

accompagnati disegni politici di più ampio respiro, volti ad accrescere la capacità competitiva delle

città sul piano nazionale e internazionale, come testimoniano le esperienze di pianificazione

strategica che accompagnano l’istituzione di entrambi gli enti13.

Chiaramente ogni modello presenta vantaggi e svantaggi. Le forme istituzionali morbide

(inter-comunali e non elettive) rischiano di dare troppo spazio alle istanze localistiche, di essere

paralizzate dai veti e di impedire il raggiungimento di una visione d’insieme, se non sono sostenute

da una forte regia. A loro volta le forme istituzionali hard (sovracomunali e elettive) devono far

fronte alla sostenibilità di istituzioni ingombranti per la loro dimensione e per il ruolo politico che

esercitano, dovendo coordinare entità differenziate e dovendosi coordinare con i livelli di governo

superiori.

L’analisi che segue prenderà in considerazione l’esperienza di alcuni significativi Paesi

europei, diversi per tradizione giuridica, caratteristiche geografiche e socio-economiche: Francia,

Germania, Inghilterra, Olanda, Portogallo e Spagna.

12 A Barcellona, la nascita dell’AMB è stata preceduta dalla redazione di due Piani Strategici (nel 2003 e nel

2010) e del Piano Territoriale Metropolitano (PTMB 2010); a Manchester la nascita della GMCA è stata preceduta da una fase di diagnosi approfondita, realizzata dalla Manchester Indipendent Economic Review, le cui indicazioni sono confluite nella Greater Manchester Strategy, documento che tuttora orienta le attività della GMCA.

13 Ciò ha contraddistinto in modo particolare i casi di Barcellona e Lione, ove tali piani strategici hanno avuto carattere fortemente partecipativo: per quanto riguarda Barcellona, il Piano Territoriale Metropolitano (PTMB) è stato integrato da più di 2.000 osservazioni avanzate dagli abitanti della città; sono stati inoltre organizzati più di 100 incontri pubblici e altrettante consultazioni più ristrette con le associazioni e le rappresentanze economiche e sociali prima di procedere alla stesura definitiva del documento. Nel caso di Lione, per l’elaborazione dello Schéma de Cohérence Territorial (SCOT) sono stati organizzati più di 50 incontri con gli stakeholders e gruppi di lavoro tecnici. L’elaborazione definitiva del documento è infine stata sottoposta a enquête publique, come prevede la normativa francese. Anche nel caso di Parigi sono in corso tentativi di costituire livelli di governo metropolitano; i relativi processi istitutivi sono ancora in progress e non sono pertanto ancora chiari i caratteri delle future ed eventuali strutture di governo. Per ulteriori riferimenti le pubblicazioni sul sito www.torinostrategica.it

Francia: il lungo cammino delle aree metropolitane

1. Il processo di decentralizzazione

La preponderanza del potere centrale su quello delle collettività locali è un tratto caratteristico

dell’ordinamento francese14. La storia del decentramento amministrativo ha visto infatti come

interprete primario lo Stato, che è più volte intervenuto attraverso leggi generali e di settore per

regolare le collettività territoriali15.

Dopo le «lois de décentralisation» approvate a partire dal 1982 (c.d. decentralizzazione)16 la

tappa più importante di questo processo è stata rappresentata dalla legge costituzionale n. 2003-276

14 Indipendentemente dalla correttezza della qualificazione “centralista” dello Stato francese, spesso ripetuta

acriticamente e per molti versi ormai da tempo discutibile, è tuttavia ampia la distanza esistente tra la “libera amministrazione” delle collettività territoriali prevista nella Costituzione della V Repubblica e l’autonomia delle regioni e degli enti locali in paesi come l’Italia, la Spagna, l’Austria, il Belgio o la Germania, per cui la Francia può a ragione essere ritenuta uno degli Stati europei nei quali l’autonoma determinazione delle comunità locali dispone di uno spazio più limitato.

15 Evidenzia il carattere progressivo del processo di riforma delle collettività territoriali nella V Repubblica francese in AA.VV., La décentralisation en mouvement, Les travaux du centre d’études et de prospective, Ministère de l’Intérieur et de l’Aménagement du territoire, La documentation Française, Paris, 2006.

16 I maggiori contributi della Riforma possono essere elencati come segue: a) la legittimazione di tre livelli d’amministrazione territoriale decentralizzata (Comune, Dipartimento e Regione); in tali termini le strutture di governo, laddove il Prefetto di Dipartimento perde l’incarico di capo dell’esecutivo del Consiglio Generale a favore di un consigliere eletto localmente detto Presidente del Consiglio Generale. La Regione diviene una Collettività Territoriale dotata di un consiglio eletto a suffragio universale e di un esecutivo che prende il nome di Presidente del Consiglio Regionale, anch’esso eletto con le stesse modalità. La tutela amministrativa esercitata dal Prefetto diventa un controllo della legalità esercitato dalle giurisdizioni amministrative. La tutela finanziaria viene soppressa e sostituita dalle Camere Regionali dei Conti (che dipendono direttamente dalla Corte dei Conti) il cui compito è di controllare le finanze locali se non addirittura aiutare le Collettività Territoriali a risolvere i loro problemi finanziari locali; b) l’accentuazione della democrazia locale; oramai ad ogni livello amministrativo vi sono un consiglio e un esecutivo eletti direttamente e autonomi da potere dello Stato centrale, ciò ha comportato, come detto, la scomparsa del doppio incarico del Prefetto; c) la deconcentrazione deve essere accompagnata dalla decentralizzazione. Questo significa che rinforzare le autorità locali comporta anche dare attuazione ad una redistribuzione dei mezzi d’azione di cui lo Stato dispone sul territorio. A questo scopo il Prefetto diviene non solo il portavoce del Ministro dell’Interno, ma anche il rappresentante di tutti gli altri ministeri, cioè del governo nel suo insieme; d) la riorganizzazione delle competenze tra Stato e Collettività Locali; le diverse collettività (Comuni, Dipartimenti, Regioni ma anche lo Stato) possiedono una competenza generale e quindi possono occuparsi di tutte le questioni che li riguardano a meno che questi casi non siano per legge di competenza di un’altra collettività. Le leggi di decentralizzazione hanno confermato alcune competenze già esercitate dalle Collettività Territoriali e ne hanno attribuite loro delle altre semplicemente trasferendole dallo Stato alle collettività stesse. La logica di questa ripartizione delle competenze si articola nei tre punti seguenti: 1) il Comune è la collettività incaricata dei cd. “servizi di prossimità”, quali la costruzione e la manutenzione di scuole materne ed elementari, l’urbanistica, il coordinamento delle forze di polizia municipale ecc...; 2) il Dipartimento è la collettività che assicura la solidarietà locale attraverso il sostegno che offre ai comuni e ai cittadini, attraverso le azioni sanitarie e sociali (aiuto alle persone anziane, ai minori ecc...), la costruzione e la manutenzione di strade dipartimentali, la costruzione e la manutenzione delle scuole medie ecc..; 3) la Regione è la collettività dei grandi progetti, come per esempio la pianificazione economica e la gestione del territorio (in particolare dei piani Stato / Regione), la costruzione e la manutenzione delle scuole superiori e dei licei, la formazione professionale, le strategie di azione economica ecc..

del 28 marzo 2003 relativa all’organizzazione decentralizzata della Repubblica17, nonché dalle leggi

organiche18 e ordinarie che hanno dato svolgimento ai principî dalla stessa introdotti nel sistema

costituzionale19.

A livello costituzionale, a seguito della riforma del 2003, il principio del decentramento ha

ottenuto riconoscimento nell’art. 1 Cost., ove l’organizzazione della Repubblica viene definita

“decentralizzata”, pur conservando i caratteri di indivisibilità e di eguaglianza senza

differenziazioni territoriali.

Ai sensi dell’art. 72 Cost., si definiscono collettività territoriali (collectivitès territoriales)

della Repubblica i comuni, i dipartimenti, le regioni, le collettività a statuto particolare e le

collettività d’oltremare20.

Vi sono, in particolare, tre categorie principali di collettività territoriali di diritto comune

(comuni, dipartimenti e regioni), la cui consistenza numerica, come è naturale, dipende dalla

dimensione delle unità che le compongono, anche se il regime giuridico di ciascuna categoria è

omogeneo.

La riforma ha dotato gli enti territoriali di uno “statuto costituzionale minimo”, integrato dalla

legislazione di settore ritagliata sulle specifiche esigenze di ciascun ente. Tale statuto costituzionale

si articola attraverso alcuni principi fondamentali: sussidiarietà, decentramento territoriale,

democrazia diretta a livello locale, autonomia finanziaria e sperimentazione normativa21.

17 Il carattere dirompente della riforma del 2003, la sua volontà di incidere sulla forma di Stato è risultata

evidente fin dalla modifica recata all’art. 1 della Costituzione, laddove si aggiunge agli elementi che definiscono la “République” un aspetto nuovo: “son organisation est décentralisée”. Tale tendenza è pienamente comprensibile quando si consideri, da un lato, lo stretto nesso che lega l’autonomia delle comunità locali al principio democratico, nel senso che la prima appare strumentalmente rivolta alla realizzazione del secondo, mentre la permanenza del secondo costituisce un requisito indispensabile alla sopravvivenza della prima. Dall’altro lato, tale riforma risponde alla sempre più chiara difficoltà del principio monistico del potere pubblico a sorreggere l’evoluzione in senso pluralistico della forma di Stato: è indiscutibile infatti l’emersione, accanto allo Stato apparato, di una molteplicità di istituzioni distinte, espressive di variegate realtà sottostanti, tra le quali vengono a collocarsi anche le comunità locali. Il pluralismo delle collettività locali, in altri termini, si configura quale manifestazione, articolata sulla base dell’elemento territoriale, del pluralismo sociale che connota lo stato democratico contemporaneo.

18 Tra le leggi organiche e le leggi ordinarie approvate in tale contesto si segnalano per il particolare rilievo: la legge organica n. 2003-704 del 1° agosto 2003 sulla sperimentazione normativa da parte delle collettività territoriali; la legge organica n. 2003-705 del 1° agosto 2003 recante disposizioni in tema di referendum locale; la legge organica n. 2004-758 del 29 luglio 2004 relativa all’autonomia finanziaria delle collettività territoriali; la legge n. 2004-809 del 13 agosto 2004 relativa alle libertà e responsabilità locali; la legge organica 2007-223 del 21 febbraio 2007 recante disposizioni statutarie e istituzionali relative all’oltre-mare.

19 Per una trattazione organica e sistematica dell’ordinamento delle collettività territoriali nella V Repubblica francese cfr. E. AUBIN, C. ROCHE, Droit de la Nouvelle Décentralisation, Gualino éditeur, Paris 2005; J.B. AUBY, La décentralisation et le droit, L.G.D.J., Paris, 2006.

20 Ha trovato inoltre espressa positivizzazione costituzionale, nell’art. 37-1 Cost., la possibilità per la legge o per il regolamento di introdurre delle disposizioni a carattere sperimentale in ordine ai rapporti tra i livelli territoriali di governo.

21 Particolarmente interessante è la previsione dell’art. 72, 4° co., Cost., che conferisce nelle condizioni previste dalla legge organica di attuazione e nel rispetto delle norme poste a garanzia dell’esercizio di una libertà pubblica o di un diritto costituzionale garantito, all’ente territoriale il diritto di sperimentare, su delega del Parlamento e del Governo

Tuttavia l’assenza di un criterio di riparto enumerato delle competenze tra centro e periferia

ha iscritto la Francia tra le esperienze di decentramento “debole” o amministrativo, ove

l’applicazione del principio di sussidiarietà e la sperimentazione normativa hanno imposto, in tale

campo, uno percorso di sviluppo di tipo evolutivo e a carattere incrementale22.

Al di là del numero delle competenze esercitate dai livelli locali, la difficoltà principale

emergente dal processo di decentralizzazione, avviato con la legge del 7 gennaio 1983, risiedeva

nella complessità della loro ripartizione entro le collettività stesse e tra lo Stato e queste ultime23.

Per tentare di rispondervi, la dottrina ha definito un criterio di riparto in funzione delle “vocazioni

dominanti” proprie di ciascun livello di collettività territoriale, conformemente al principio dei

blocchi di competenza. In tal modo si è prevista comunque l’attribuzione di una competenza

generale degli enti locali al di fuori dell’ambito di competenze attribuite in via esclusiva, il che ha

precluso la prevalenza di un ente locale rispetto ad un altro, consentendone altresì la reciproca

cooperazione.

Ma tale tecnica non è stata sufficiente, nella misura in cui il legislatore ha proceduto a

trasferimenti solo settoriali senza curarsi della coerenza d’insieme dell’intervento normativo,

complicando in tal modo il paesaggio istituzionale: a dispetto quindi della manifestata volontà di un

chiarimento nella ripartizione delle competenze tramite una specializzazione dei livelli delle

collettività, il blocco di competenze non ha permesso di distinguere la vocazione generale di

ciascun livello locale.

Con la riforma costituzionale del 2003 e la legge 2004-809 del 13 agosto 2004 relativa alle

libertà e responsabilità locali è stato introdotto il principio del “capofila”, per cui «quando

l’esercizio di una competenza necessita del concorso di varie collettività territoriali, la legge può

autorizzare una di esse o un raggruppamento delle stesse ad organizzare le modalità della loro

azione comune» (art. 72, 5° co., Cost.). L’obiettivo di questa previsione è d’introdurre una migliore

a seconda del tipo di fonte interessata, modifiche della normativa nazionale che regola l’esercizio di competenze decentrate.

22 C. CHABROT, L’organizzazione territoriale, in D. ROUSSEAU (a cura di), L’ordinamento costituzionale della V Repubblica francese, Giappichelli, Torino, 2000, 364 ss.

23 La legge del 7 gennaio 1983 (c.d. atto primo della decentralizzazione), implementata da numerose leggi più puntuali (legge del 22 luglio 1983; leggi del 25 gennaio 1985 e del 6 gennaio del 1986), ha inteso conferire alle collettività territoriali delle competenze enumerate in modo sistematico, attraverso dei veri e propri blocchi di competenze. L’intento della prima decentralizzazione era quello di realizzare una netta distinzione di competenze tra i vari livelli territoriali, tuttavia tale intento non è stato realizzato. Ciò è stato determinato dal fatto che numerose materie sono state assegnate alla competenza complementare delle collettività territoriali, in una logica di collaborazione con gli altri livelli territoriali di governo, piuttosto che di competizione/separazione. Peraltro le leggi del 1983 hanno stabilito che il trasferimento di competenze dovesse essere accompagnato dall’attribuzione di adeguate risorse finanziarie: intento che doveva essere perseguito sia attraverso il trasferimento di entrate fiscali, sia attraverso il versamento da parte dello Stato di una dotazione generale di decentralizzazione, sia attraverso il trasferimento di servizi dallo Stato alle collettività territoriali o tramite la messa a disposizione di servizi statali necessari all’esercizio delle competenze trasferite alle collettività territoriali. Tuttavia tali trasferimenti sono rimasti per lo più sulla carta.

cooperazione tra le collettività territoriali per l’esercizio di una competenza ripartita tra numerosi

livelli.

Da segnalare infine l’approvazione della legge 2010-1563 del 16 dicembre 2010 di riforma

delle collettività territoriali, che ha fissato un nuovo dispositivo normativo per la chiarificazione

della ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di amministrazione locale che entrerà in

vigore a partire dal 1° gennaio 2015. La riforma lascia al solo comune l’applicazione della “clausola

di competenza generale”, grazie alla quale la collettività territoriale può investirsi di competenze

diverse da quelle ad essa strettamente attribuite dalla legge se lo ritenga utile per l’interesse

pubblico locale. Le competenze di dipartimenti e regioni saranno invece determinate secondo la

logica dei “blocchi di competenze” e i consigli generali e regionali saranno chiamati a regolare, con

le loro deliberazioni, gli affari della loro collettività nei settori che la legge attribuirà loro. Ciò non

impedirà d’intervenire, con deliberazioni qualificate, in ogni ambito d’interesse locale

(dipartimentale o regionale) per il quale non esista specifica competenza di altri soggetti pubblici.

La complessità del nuovo edificio della ripartizione delle competenze renderà necessaria

l’adozione di nuove misure di adattamento e la stessa legge del 2010 ha previsto che prima della

fine del 2017, a due anni dall’entrata in vigore della riforma, un comitato composto da

rappresentanti del Parlamento, delle collettività territoriali e dello Stato, proceda alla valutazione del

nuovo dispositivo normativo con la conseguente presentazione, entro sei mesi, di un progetto di

legge di adattamento della disciplina in esame.

L’attuazione complessiva della riforma dovrebbe mettere ordine all’attuale groviglio di

responsabilità locali incrociate alle quali corrispondono altrettanti finanziamenti incrociati tra le

diverse collettività territoriali.

2. Le strutture di cooperazione intercomunale

La legge n. 92-125 del 6 febbraio 1992 sulla amministrazione del territorio24, la legge n. 92-

115 del 4 febbraio 1995 sulla gestione e sviluppo del territorio e in particolare la legge 99-586 del

12 luglio 1999 (cd. legge Chevènement) hanno introdotto e disciplinato tre tipologie di autorità

sovracomunali (communautés des communes, communautés d’agglomeration e communautés

urbaines) che, dotate di ampie competenze settoriali conferite, operano attraverso lo strumento delle

24 La legge del 6 febbraio 1992 sull’amministrazione territoriale dello Stato ne rilancia l’utilizzo creando due

nuove strutture cooperative destinate a favorire lo sviluppo economico locale e la pianificazione del territorio: le communautés de communes e le communautés de villes (sopra i 20.000 abitanti).

Ètablissements publics de cooperation inter-communale (Epci) per favorire politiche di

orientamento strategico di cooperazione intercomunale25.

Gli Epci costituiscono un quarto livello di organizzazione territoriale che detiene competenze

in vaste aree urbane e si differenzia dal livello amministrativo comunale da cui ha ricevuto in delega

l’esercizio di determinate funzioni26.

Il ricorso a forme di cooperazione intercomunale ha una particolare rilevanza in Francia, la

cui organizzazione locale è caratterizzata da una notevole parcellizzazione comunale; vi sono

36.783 comuni, più della metà di quelli dell’Unione Europea, e circa l’87% ha meno di 2000

abitanti.

La cooperazione è uno degli strumenti che ha permesso di superare le difficoltà di gestione di

infrastrutture e progetti di sviluppo territoriale legate al gran numero di comuni e alle loro

dimensioni ridotte, aumentandone le capacità di esercizio delle competenze e la stessa

competitività.

In questo particolare contesto istituzionale si è sviluppata una forma di “cooperazione

funzionale volontaria”, regolamentata dalla legislazione nazionale, in cui rileva l’estensione e le

modalità di trasferimento delle competenze comunali. I comuni possono scegliere tra differenti

strumenti e strutture di cooperazione che possono avere natura associativa o federativa a seconda

del “livello di integrazione” della delega di competenza da parte dei comuni, meno intenso nella

cooperazione intercomunale associativa legata alla gestione dei servizi pubblici, più intenso nella

cooperazione intercomunale federativa in cui il progetto è più esteso e complesso27.

Ciò considerato, si può asserire che le comunità urbane (communautés urbaines)

rappresentano le strutture più appropriate per svolgere un ruolo di amministrazione delle aree

metropolitane, dal momento che sono state concepite per governare agglomerati di almeno 500 mila

25 Da sottolineare che, nel contesto della cooperazione intercomunale francese, la forma più diffusa è quella degli

organismi pubblici di cooperazione intercomunale (Établissement public de coopération intercomunale – cd. Epci) che hanno natura federativa e fiscalità propria. In questa categoria rientrano: la communauté de communes; la communauté d’agglomeration (sopra i 50.000 abitanti); la communauté urbain (sopra i 500.000 abitanti); le communautés o syndacats d’agglomération nouvelle (sottoposte ad un regime giuridico specifico). Le altre forme di cooperazione intercomunale sono di natura associativa e non possiedono autonomia finanziaria, vi rientrano: i syndicats de communes, i syndicats mixtes; le ententes, conventions e conférences intercommunales; i pays; l’agglomération; i réseaux de villes.

26 Gli Établissement public de coopération intercomunale, come tutti gli enti pubblici, si reggono sui principi di specialità e di esclusività. Il principio di specialità comporta che gli Epci possano intervenire solo nel campo delle competenze che gli sono state espressamente trasferite e delegate secondo le regole fissate dal codice generale degli enti locali (principio di specialità funzionale) e all’interno del loro perimetro territoriale (principio di specialità territoriale). In applicazione del principio di esclusività, invece, gli Epci sono i soli a poter agire sulle competenze che gli sono state trasferite, ma alcune di esse possono a loro volta delegarle mediante convenzione ad altri organismi intercomunali. Parallelamente la creazione di un Epci comporta l’immediata cessazione delle funzioni dei Comuni sulle competenze trasferite. Le determinazione delle competenze trasferite varia a seconda dell’Epci a cui possono essere attribuite solo quelle proprie dei comuni membri.

27 M. GIGLI, Il sistema di cooperazione intercomunale in Francia, Osservatorio sulla Riforma amministrativa della Regione Piemonte, 2008, 7 ss.

abitanti. Le competenze delle comunità si fondano su tre pilastri: a) un ruolo strategico di

pianificazione e contrattualizzazione, specie in materia territoriale e urbanistica; b) competenze

esclusive garantite dalla legge (trasporto pubblico, industria, servizi, artigianato, turismo…) o da

trasferimenti volontari da parte dei comuni aderenti o dello Stato e competenze condivise con i

comuni aderenti (sport, tempo libero, politiche abitative, cultura…).

Nel 2004 è stato riformato il Code Général des Collectivités Territoriales, il cui titolo IX è

dedicato all’intercomunalità, ribadendo peraltro i principi che ne caratterizzano la struttura e

l’impostazione regolativa, pur a fronte di una semplificazione del regime giuridico e fiscale degli

Epci, volto a favorire l’evoluzione verso strutture maggiormente integrate anche mediante

l’introduzione del meccanismo delle fusioni degli organismi sovracomunali.

Rispetto allo status quo sin’ora analizzato, la riforma del 2010 (legge 2010-1563), ispirata in

parte dai lavori del Comité Balladur, si è proposta alcune priorità per ridurre, semplificare e

razionalizzare la suddivisione amministrativa del territorio francese. In particolare: a) la creazione

di due “poli” amministrativi, regione e dipartimento da un lato, comuni e strutture intercomunali

dall’altro; b) la creazione di una nuova categoria di rappresentanti locali, i consiglieri territoriali,

espressi dalle collettività e che siederanno di volta in volta in Consiglio regionale o in Consiglio

generale (artt. 1-7), favorendo in tal modo il ravvicinamento tra il Dipartimento e la Regione. A sua

volta, la previsione dell’elezione a suffragio universale dei consiglieri comunitari che siedono in

seno ai consigli delle intercomunalità (art. 8-9) ha l’intento di favorire la collaborazione tra Comuni

e Intercomunalità; c) il completamento e la semplificazione della Carta dell’Intercomunalità al fine

di assicurare una regolamentazione uniforme dell’organizzazione intercomunale sull’intero

territorio nazionale entro il 31 dicembre 2013 (artt. 30-72); d) la creazione, attraverso un nuovo

meccanismo che facilita la fusione di comuni e i raggruppamenti di dipartimenti e regioni, di nuove

strutture locali in sostituzione di collettività territoriali preesistenti: in particolare, le metropoli

(sono previste 11 metropoli per le zone urbane con più di 500.000 abitanti), i poli metropolitani, i

nuovi comuni derivanti dalla fusione di comuni appartenenti ad uno stessa struttura intercomunale

(artt. 12-25), il raggruppamento di regioni (che dovrebbero passare da 22 a 15) o di dipartimenti su

base volontaria (artt. 26-29).

3. Le aree metropolitane

Accanto alle comunità urbane, Parigi, Marsiglia e Lione si possono annoverare tra le

collettività territoriali di diritto comune atipiche, in quanto sono rette dalla legge n. 82-1169 del 31

dicembre 1982 (cd. Legge PLM – Parigi, Lione, Marsiglia), come modificata dalla legge n. 2-276

del 27 febbraio 200228, che ha riformato lo statuto e l’organizzazione delle amministrazioni delle tre

città.

È principalmente con riferimento a queste realtà che si può parlare di aree metropolitane,

sebbene siano stati utilizzati diversi criteri per delinearle: da quello esclusivamente demografico29

alla combinazione con criteri funzionali, quali rilievo socio-economico, attrattività e prospettive di

sviluppo.

Sul piano istituzionale e in termini generali si è ritenuto di differenziare parzialmente la

regolamentazione dell’attribuzione di competenza alle metropoli, attraverso: a) il trasferimento di

un numero determinato di competenze esercitate dai comuni membri; criterio completato da b)

delegazione facoltativa alla metropoli di competenze detenute rispettivamente dai comuni membri,

dai dipartimenti e regioni coincidenti con l’area metropolitana.

Sul piano delle attribuzioni, anche in virtù delle altre esperienze europee, sono da considerare

di competenza delle istituzioni metropolitane le materie dello: a) sviluppo e pianificazione

economica, sociale e culturale dello spazio urbano; b) sviluppo urbanistico e delle reti dei trasporti;

c) gestione dei servizi di interesse collettivo; d) tutela dell’ambiente; e) organizzazione dei grandi

eventi30.

La legge n. 2010-1563 del 16 dicembre 2010, oltre a rendere obbligatoria l’appartenenza dei

comuni alle istituzioni intercomunali, ha istituito un nuovo livello di governo, posto al di sopra delle

Comunità Urbane, di Agglomerazione o di Comuni, les Métropoles31.

La riforma si propone l’obiettivo molto ambizioso di una profonda riorganizzazione

territoriale dello Stato (con rischi di “rottura” dei meccanismi tradizionali del sistema locale)

attorno a due poli: a) il polo dipartimento-regioni prevede la ridefinizione delle competenze tra

Dipartimenti e Regioni e l’elezione di un nuovo consigliere territoriale a partire dal 2014, eletto in

circoscrizioni modificate rispetto a quelle tradizionali dei Dipartimenti, sulle quali si è fondato il

sistema politico amministrativo centro/periferia; b) il polo comuni-intercomunalità, che si propone

di semplificare le istituzioni intercomunali esistenti mediante processi di fusioni e l’introduzione

delle Métropoles.

28 È possibile ricondurre i principali apporti della Loi P.M.L. lungo tre dimensioni: riarticolazione della città in

arrondissement (quartieri) dotati di consigli elettivi; delega di diverse competenze ai consigli; introduzione di nuovi meccanismi di democrazia locale.

29 In questo senso il Comitato Balladur che, sulla base del criterio della popolazione residente, aveva individuato ben 11 realtà, di cui 8 comunità cittadine (Lione, Lille, Marsiglia, Bordeaux, Tolosa, Nantes, Nizza e Strasburgo) e 3 comunità agglomerate (Rouen, Tolone e Reims).

30 C. LEFÈVRE, Governi metropolitani e governance nei paesi occidentali, in Problemi di Amministrazione Pubblica, 1999, 3, 319-55.

31 AA.VV., Aggiornamento della ricerca “Gli enti locali nella transizione verso il federalismo”, Eupolis, Milano, 2013, 51 ss.

Si intende in tal modo costituire uno spazio di solidarietà per elaborare e condurre, in

connessione tra i diversi enti, un progetto di pianificazione e di sviluppo economico, ecologico,

educativo e culturale del territorio, al fine di migliorare la competitività e la coesione.

La nuova istituzione, che rientra nella categoria degli Epci, si pone l’obiettivo di raggruppare

una popolazione superiore a 500.000 abitanti (11 delle 16 Comunità Urbane possono ottenere lo

statuto di Métropole) al fine di aumentare la competitività internazionale delle grandi città e la

coesione territoriale nelle agglomerazioni metropolitane.

In questo contesto, vi è una prima innovazione da rilevare: entro il proprio territorio les

Métropoles sostituiscono le istituzioni intercomunali esistenti e potranno esercitare competenze

proprie (essenzialmente sviluppo economico, culturale e sociale del territorio) e delegate non solo

dai comuni, ma anche dai Dipartimenti, dalla Regione e dallo Stato.

La seconda innovazione riguarda il sistema di elezione del consiglio delle Métropoles. A

partire dalle elezioni amministrative del 2014 i consiglieri metropolitani dei comuni con

popolazione superiore a 3.500 abitanti saranno eletti, a suffragio universale diretto, nell’ambito

delle elezioni municipali. I rappresentati dei comuni più piccoli saranno invece eletti dai consigli

municipali com’è finora avvenuto per tutte le istituzioni intercomunali. Questa innovazione ha

inteso superare il problema del deficit di democrazia delle istituzioni intercomunali, che di fatto

deliberavano in materia di tributi locali su delega dei comuni.

Il finanziamento delle nuove Métropoles non presenta innovazioni significative rispetto alle

attuali istituzioni intercomunali a fiscalità propria.

Si può ora considerare la disciplina de iure condito relativa alle realtà di Parigi e Lione.

3.1. Parigi

Parigi, capitale dello Stato francese, è al tempo stesso Comune e Dipartimento e il relativo

territorio è diviso in circondari (arrondissement).

Il Consiglio comunale di Parigi cumula le funzioni di consiglio comunale e di Conseil

Gènéral per la città, presieduto quest’ultimo dal sindaco di Parigi. Le elezioni comunali si svolgono

su base circondariale. Ogni circondario elegge i suoi consiglieri circondariali (conseillers

d’arrondissement)32, di cui una parte diviene successivamente consigliere di Parigi. I consiglieri

circondariali eleggono i propri sindaci (Maire d’arrondissemement) una settimana dopo il voto

generale. Le elezioni amministrative parigine avvengono su due turni con un sistema misto che

32 La legge n. 2002-276 del 27 febbraio 2002 sulla democrazia locale ha rinforzato il ruolo dei consigli di

arrondissement, i quali hanno il compito di creare un nuovo organo di tipo consultivo: i consigli di quartiere.

coniuga proporzionale e maggioritario. Ogni circondario opera separatamente con una legislazione

ispirata a quella dei comuni francesi oltre i 3.500 abitanti.

Al Comune/Dipartimento spettano le funzioni tipicamente comunali, cui si aggiungono

competenze in materia urbanistica, alloggi, istruzione e sanità, edilizia locale, mentre gli

arrondissements hanno poteri consultivi e di proposta su urbanistica, insediamenti e dotazioni

infrastrutturali.

Nel contesto del rafforzamento di un più ampio progetto metropolitano, nel giugno del 2009 è

stata istituita, in forma di Syndicat mixte d’Etude33, su iniziativa volontaria degli enti locali che ad

essa hanno aderito34, Paris Métropole, ente strumentale allo sviluppo delle politiche dell’area

metropolitana. La legge n. 2010-597 si inserisce nell’ambito delle misure di attuazione della

revisione generale delle politiche pubbliche che, ha tra i suoi obiettivi, la modernizzazione delle

collettività territoriali e degli enti pubblici locali. La disciplina definisce la creazione della nuova

collettività territoriale del Grand Paris come un progetto di sviluppo sostenibile d’interesse

nazionale che unisce i grandi territori strategici della regione dell’Ile-de-France, comprensiva di

Parigi e del centro dell’agglomerato parigino, con l’intento di promuovere uno sviluppo economico

sostenibile, solidale e creatore di occupazione nella Regione-capitale. La creazione della nuova

collettività territoriale ha quindi l’obiettivo di ridurre gli squilibri sociali, territoriali e fiscali a

beneficio dell’insieme del territorio nazionale.

Il progetto del Grand Paris si appoggia sulla creazione di una rete di trasporto pubblico di

passeggeri il cui finanziamento è assicurato dallo Stato. La rete di trasporto si articolerà intorno a

“contratti di sviluppo territoriale” definiti e realizzati congiuntamente dallo Stato, dai comuni e dai

loro raggruppamenti; attraverso tali contratti di sviluppo territoriale si perseguirà anche l’obiettivo

di costruire ogni anno 70.000 nuovi alloggi nell’Ile-de-France, geograficamente e socialmente

integrati, contribuendo così alla gestione della espansione urbana sul territorio.

Si prevede inoltre la creazione della Société du Grand Paris con il compito principale di

concepire e di elaborare lo schema complessivo e i progetti infrastrutturali che comporranno la rete

di trasporto pubblico del Grand Paris.

Il progetto prevede l’istituzione, entro il 2016, di Métropole de Paris, che sarà governata da

un Consiglio, composto dal Sindaco di Parigi e dai presidenti delle nascenti strutture di

33 A cui ha fatto seguito l’istituzione della Nuova collettività territoriale del Grand Paris, costituita dalla legge n.

2010-597 del 3 giugno 2010. La creazione del Grand Paris ha l’obiettivo di ridurre gli squilibri sociali, territoriali e fiscali a beneficio dell’insieme del territorio nazionale attraverso un progetto di sviluppo urbanistico, sociale ed economico. Il progetto del Grand Paris ha comportato la designazione di un Segretario di Stato ad hoc, nonché la definizione di un particolare regime giuridico in deroga ad alcuni principi del diritto urbanistico.

34 Vi hanno aderito 149 Comuni (su un totale di 1281 nella Regione dell’Ile de France), 45 associazioni intercomunali, 8 dipartimenti, 1 regione. L’estensione/modifica del perimetro è sottoposta all’approvazione del Comitè syndical, che approva con maggioranza qualificata dei voti espressi in ciascun collegio.

cooperazione intercomunale. Accanto a tale organo vi sarà una conferenza metropolitana con

compiti di coordinamento dell’azione pubblica di programmazione ed esecutiva in particolare con il

livello regionale. Attualmente Paris Métropole è diretta, in via transitoria, da un organo triadico,

composto dal Presidente, dal Comitè Syndical e dal Bureau. Tale organismo, pur non avendo

attribuzioni e competenze definite formalmente dalla legge, ha individuato quattro obiettivi

prioritari di lavoro, sia a sfondo strategico che operativo: «développement et solidarité,

déplacements, logement et projets métropolitains», ossia sviluppo, mobilità, casa e progetti di

rilevanza metropolitana35.

Quanto infine alle risorse, esse derivano direttamente dalle quote versate dagli enti aderenti,

secondo un meccanismo di ponderazione basato sulle capacità finanziarie dei membri.

3.2. Lione

Con una popolazione totale al primo gennaio 2012 di 1.302.232 abitanti la Comunità urbana

di Lione36 è la prima delle 15 comunità urbane francesi e comprende 58 comuni. Il comune di Lione

ha una popolazione di 479.803 abitanti e l’area metropolitana di Lione comprende 2.142.732

abitanti.

Lione ha così dato vita ad un’unità sovra-comunale, la Courly (Comunità urbana di Lione),

che comprende, oltre ai predetti 58 comuni, anche altri 16 comuni esterni che sono associati al

progetto agglomerativo partecipando al Sepal (Syndacat Intercommunal d’Etudes et de

Programmation). In tal modo le piccole città hanno trovato così la strada di una cooperazione

allargata, pur non priva di tensioni con il comune capoluogo.

35 Per ulteriori approfondimenti si veda la scheda di lavoro su Parigi, a cura di VALERIA FEDELI, presentata al

Convegno internazionale “Milano: cantiere della Città Metropolitana. Una prospettiva internazionale”, promosso dal Comune di Milano, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, in data 22.03.2013; B. POUJADE, L’area metropolitana come ulteriore livello di governo nell’esperienza francese, in G.F. FERRARI, P. GALEONE (a cura di), Città a confronto. Le istituzioni metropolitane nei paesi occidentali, Il Mulino, Bologna, 2010, 101 ss.; C. LEFEVRE, L’Ile de France e il governo delle grandi città Francesi, in C. MARIANO, Governare la dimensione metropolitana. Democrazia ed efficienza nei processi di governo dell’area vasta, Franco Angeli, Milano, 2010, 119 ss.

36 Per quanto riguarda l’area metropolitana di Lione, il caso rappresenta la soluzione più hard nel contesto francese: la Communauté urbaine di Lione è stata istituita con legge nazionale nel 1966, è dotata di competenze amministrative in diversi settori, di cospicue risorse finanziarie, di un apparato tecnico e amministrativo commisurato ai compiti che gli sono attribuiti. Nel 2012 è nato il Polo metropolitano, che riunisce quattro agglomerazioni dell’area lionese (Lione, Saint Etienne, ViennAglo e Porte de l’Isere). La sua creazione è il risultato, da un lato, di politiche avanzate dal governo centrale (in particolare attraverso la legge 1563/2010, che incentiva la creazione di Poli Metropolitani nelle zone urbane con più di 500.000 abitanti), dall’altro di una crescente consapevolezza sul valore aggiunto della cooperazione intercomunale, maturata nelle principali sedi di confronto tra gli attori dell’area metropolitana (l’Association Région Urbaine de Lyon, l’Agence d’urbanisme de Lyon, il Syndacat Mixte d’Études et de Programmation de l’Agglomération Lyonnaise) anche grazie ad alcune esperienze di pianificazione strategica (Lyon 2020, lo Schéma de Cohérence Territorial, l’Inter-SCOT promosso dall’Agence d’urbanisme).

Anche l’area di Lione, per caratteristiche sociali, urbanistiche ed economiche, è quindi un

agglomerato (o una conurbazione) che per i vari servizi dipende dalla città che ne è fulcro ed è

caratterizzata dall’integrazione delle funzioni e dall’intensità dei rapporti che si realizzano al suo

interno, relativamente ad attività economiche, servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle

relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.

Prendendo l’esempio di Lione, si può asserire che è difficile individuare un chiaro confine

dell’area metropolitana basandosi esclusivamente sulle interazioni economiche e sulla rete dei

trasporti che collegano tra loro i diversi ambiti urbani, tuttavia, come spesso accade37, proprio

l’esistenza di forti interazioni tra le diverse parti che compongono l’area metropolitana, obbliga le

amministrazioni locali a delegare parte delle proprie competenze ad un istituzione centrale che

supera gli ambiti locali al fine di garantire una corretta gestione dell’area metropolitana in alcuni

settori specifici. Ed è quindi, considerando anche tali reti funzionali, che è possibile descrivere e

delimitare l’area metropolitana.

Si consideri inoltre che le Comunità urbane sono tributarie di 19 funzioni obbligatorie,

definite dalla legislazione nazionale, raggruppate in sei competenze generali, avendo

essenzialmente responsabilità sui servizi a rete, viabilità, trasporti, urbanistica, viabilità, parcheggi,

valorizzazione dei rifiuti, distribuzione e depurazione dell’acqua.

La missione principale che connota anche l’agglomerato di Lione, è di costruire un progetto

unitario di sviluppo e governo del territorio definito in maniera autonoma rispetto ai comuni, ma

congruente con l’interesse comunitario.

La Comunità urbana di Lione gestisce, in tal senso, la politica fondiaria, le politiche

urbanistiche ed i grandi progetti urbani e di valorizzazione ambientale, considerati determinanti per

il futuro dell’agglomerazione.

L’azione della Comunità si concentra in più su quattro settori economici principali (terziario,

commercio, turismo, in particolare d’affari, funzioni logistiche), svolgendo un ruolo di

coordinamento dei siti considerati prioritari per realizzare l’interesse metropolitano, attraverso

interventi nella gestione delle attività industriali e terziarie (fiere ed esposizioni) e delle

infrastrutture di trasporto.

37 Cfr. i casi della Germania, in particolare la Metropolregion Mitteldeutschland e della Spagna, in particolare

l’area metropolitana di Valencia.

4. La riforma del 2014

In data 27 gennaio 2014 è stata approvata dall’Assemblea nazionale la legge n. 2014-58 “de

modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles”, che, nell’apportare

modifiche sostanziali al Code général des collectivités territoriales, rende automatica la

trasformazione in metropoli delle unioni di comuni con più di 400 mila abitanti a due condizioni: a)

se si trovano al centro di un’area urbana di più di 650 mila abitanti; b) se sono dei capoluoghi

regionali.

Queste città metropolitane si andranno a sostituire alle unioni municipali esistenti, disponendo

di ampie competenze in diversi campi (sviluppo economico, trasporti, programmazione urbanistica,

ambiente, servizi idrici…) e venendo dotate di risorse proprie tramite l’attribuzione di autonomo

gettito fiscale.

La legge intende quindi consolidare le dinamiche urbane e propone a questo fine l’adozione di

statuti metropolitani differenziati per i grandi agglomerati francesi, in grado di adattarsi alle

esigenze delle singole realtà. Il livello di integrazione metropolitana non è omogeneo in tutti i

territori interessati, per cui sotto l’etichetta Métropole si celano diversi modelli di governo delle

grandi aree urbane che vanno dall’ente pubblico sino alla creazione di nuove collettività territoriali

a statuto speciale.

La riforma, oltre a prevedere la creazione di metropoli di diritto comune, definisce uno statuto

speciale e distinto per gli agglomerati di Parigi, Lione e Marsiglia.

L’art. 12 della legge completa il Codice delle collettività territoriali con l’istituzione a partire

dal 1° gennaio 2016 della metropoli di Parigi, ente pubblico sottoposto al regime dei sindacati misti,

composto dalla città di Parigi e dalle Epci a fiscalità propria costituenti l’area urbana circostante.

La metropoli di Parigi si vede attribuire vaste funzioni e competenze, dalla pianificazione

urbana alla politica della casa sino a quella ambientale.

Parigi verrebbe amministrata da un consiglio metropolitano, composto dal sindaco di Parigi e

dai presidenti delle Epci, il quale sarebbe assistito da tre organi (una conferenza metropolitana,

un’assemblea dei sindaci e un consiglio di sviluppo), con il compito di facilitare il dialogo con la

regione, il dipartimento dell’Ile de France e con i sindaci del perimetro della metropoli.

La metropoli di Lione, nella legge, si proporrà invece come primo modello della governance

metropolitana, venendo istituita dal 1° aprile 2015 sotto forma di nuova collettività territoriale

creata in applicazione dell’art. 72 Cost.

La strada imboccata nel caso di Lione è intimamente legata al contesto locale, caratterizzato

da un rapporto equilibrato fra città e periferia, da una lunga collaborazione tra i comuni circostanti e

la città capoluogo e da un unanime volontà politica di portare a compimento il progetto.

La metropoli di Lione sarà dunque formata per fusione delle Epci a fiscalità propria esistenti

nel dipartimento, il quale ultimo perderà le sue competenze a favore del governo metropolitano. Si

tratta di un esempio di notevole adattamento delle strutture locali alle caratteristiche del territorio e

al contempo un esercizio efficiente di semplificazione dell’amministrazione locale tramite la

soppressione di uno dei livelli di governo (il dipartimento) a favore di un rapporto diretto tra

metropoli e comuni.

La metropoli avrà come obiettivo d’elaborare e condurre un progetto di pianificazione e di

sviluppo economico, ambientale, culturale e sociale del suo territorio al fine di migliorare la

competitività e la coesione.

Sul piano istituzionale, si prevede che i consiglieri metropolitani verranno eletti a suffragio

universale diretto, nelle condizioni prescritte dalla legge elettorale che dovrà essere appositamente

predisposta.

Il Consiglio metropolitano comprenderà tra 150 e 180 componenti, eletti sulla base di una

divisione del territorio in circoscrizioni delineate su base demografica.

La legge sancisce che, a fianco del Presidente e del Consiglio metropolitano, vengano

obbligatoriamente istituite conferenze territoriali dei sindaci che svolgeranno una funzione

consultiva nell’elaborazione e implementazione delle politiche metropolitane.

Ulteriore strumento di raccordo tra centro e periferia è rappresentato dalla Conferenza

metropolitana che verrà a rappresentare un’istanza di coordinamento tra la metropoli e i comuni

situati entro il suo territorio. Tale Conferenza dovrà proporre un progetto di patto di “coesione

metropolitana” in grado di definire una strategia volta a ripartire le deleghe di competenza tra

metropoli e comuni riguardo le materie attribuite alla competenza metropolitana.

L’area di Marsiglia – Aix en Provence non presenta la stessa uniformità dell’agglomerato

urbano che esiste per Parigi o Lione, né sotto il profilo urbanistico, né in termini sociali. La

comunità metropolitana di Marsiglia si caratterizza per l’incapacità di dare spazio ad uno sviluppo

sociale ed economico dell’agglomerato, stante le dinamiche di de-industrializzazione e faticosa

terziarizzazione, il posizionamento delle infrastrutture portuali e la scarsa valorizzazione delle

risorse locali. A queste problematiche si aggiunge anche la frammentazione e i dissidi tra le diverse

amministrazioni locali, il che ha convinto il governo a prevedere che la metropoli di Marsiglia

assuma la forma di Epci a fiscalità propria entro il 1 gennaio 2016, risultante dalla fusione delle sei

istituzioni intercomunali esistenti. Quanto al suo modello di governance si è ideata una sorta di

possibile decentramento, attribuendo al Consiglio metropolitano, a cui sono attribuite le vecchie

competenze delle comunità territoriali, la facoltà di delegare determinate sue attribuzioni – salvo

quella strategiche – ad una struttura intermedia tra comuni e metropoli: il consiglio di territorio.

Un ultima considerazione va fatta riguardo la disciplina delle metropoli di diritto comune, che

rappresentano nient’altro che la trasformazione d’autorità in tale nuovo ente, a partire dal gennaio

2015, degli Epci a fiscalità propria con una popolazione tra i 400 mila e i 650 mila abitanti.

Saranno così interessate dalla riforma le comunità di Tolosa, Lille, Bordeaux, Nizza, Nantes,

Strasburgo, Grenoble, Rennes e Rouen.

Due altri agglomerati, Montpellier e Brest, potranno egualmente trasformarsi in metropoli,

previo consenso dei 2/3 dei comuni membri dell’attuale Epci, che rappresentino almeno metà della

popolazione, sulla base di due criteri alternativi: a) che si tratti di Epci a fiscalità propria con

popolazione alla data della creazione delle metropoli di almeno 400 mila abitanti nel perimetro nel

quale si trova la città capoluogo (è il caso di Montpellier); b) che si tratti di Epci a fiscalità propria

che si trovano al centro di una zona con più di 400 mila abitanti e che eserciti già le competenze che

dovranno essere trasferite dai comuni alle metropoli.

Sulle piano della ripartizione delle competenze previste dalla riforma, si deve segnalare che le

metropoli verranno ad assorbire gran parte delle funzioni prima svolte dai comuni, salvo possibilità

di successiva delega sussidiaria a favore di questi ultimi.

In particolare le metropoli avranno competenza:

1) In materia di sviluppo e pianificazione economica, sociale e culturale:

- Creazione, pianificazione e gestione delle zone industriali, commerciali, del terziario e

dell’artigianato, oltre che del settore turistico e della mobilità

- Azioni di sviluppo economico e partecipazione alla formazione di poli di sviluppo

economico e tecnologico, anche mediante concessione di capitali pubblici

- Costruzione e pianificazione di equipe culturali, sociali ed educative per affrontare i

problemi metropolitani

- Promozione del turismo

- Programmi di sostegno ed aiuto agli istituti di insegnamento superiore e di ricerca e a

programmi di innovazione, tenendo conto delle competenze regionali in materia

2) In materia di pianificazione dello spazio metropolitano:

- Previsione di un progetto di governo del territorio e di schemi di settore; verifica dei

piani locali di sviluppo urbano al fine del coordinamento con le opere di interesse

metropolitano; azioni volte alla valorizzazione del patrimonio naturale e paesaggistico

- Organizzazione della mobilità

- Creazione, pianificazione e manutenzione degli spazi pubblici di decentramento urbano

- Pianificazione e partecipazione al governo dei nodi di interconnessione dei trasporti

- Pianificazione e creazione di reti infrastrutturali per le telecomunicazioni

3) In materia di politica locale dell’abitazione:

- Organizzazione di programmi sociali di edilizia

- Coordinamento, implementazione e finanziamento di politiche per l’edilizia

- Definizione di programmi per il risanamento del patrimonio edilizio pubblico

4) In materia di politiche urbane:

- Previsione di dispositivi contrattati di sviluppo urbano e di sviluppo locale

- Programmazione di azioni per la prevenzione della criminalità e per la definizione di

politiche della sicurezza

5) In materia di gestione dei servizi di interesse collettivo:

- Programmazione e gestione del servizio idrico

- Programmazione e gestione dei servizi cimiteriali

- Programmazione e regolamentazione dei mercati e delle fiere di rilievo nazionale

- Programmazione e finanziamento dei servizi di soccorso ed anti-incendio

6) In materia ambientale e di politiche della qualità della vita:

- Programmazione della gestione dei rifiuti

- Politiche di prevenzione o riduzione dell’inquinamento dell’aria/acqua

- Programmazione e incentivo alla transizione energetica

- Adozione del piano climatico-energetico metropolitano

- Concessione della distribuzione dei servizi elettrici e del gas

- Concessione e manutenzione delle infrastrutture urbane e metropolitane

Al di là delle competenze elencate, si deve rammentare che le metropoli potranno usufruire di

una “chiamata in competenza” nei confronti dello Stato, dei Dipartimenti o delle Regioni in

relazione a determinate materie incidenti su questioni metropolitane, in maniera tale da giocare un

ruolo strategico sul suo territorio.

Detto questo, la legge deve essere ancora implementata, e comunque, la prova della

sostenibilità dei suoi ambiziosi obiettivi vi sarà solo al momento della sua concreta attuazione,

anche se essa già offre spunti interessanti per risolvere problemi che interessano anche la riforma

del nostro ordinamento degli enti locali.

4.1. La metropoli di Grand Paris

La metropoli di Grand Paris, come descritta nella riforma, è una istituzione pubblica di

cooperazione intercomunale a fiscalità propria (Epci) a statuto particolare.

Dal 1 gennaio 2016, 124 comuni, fra cui Parigi, saranno di fatto inclusi nel perimetro della

metropoli, mentre altri 43 comuni limitrofi potranno successivamente integrarsi nel nuovo ente.

In totale la metropoli di Grand Paris avrà una popolazione di 6,7 milioni di abitanti, oltre la

metà di quelli della regione dell’Ile de France.

Obiettivo della creazione di questo nuovo soggetto istituzionale è quello di rispondere in

modo più efficace alle disparità territoriali presenti nella regione parigina. La metropoli di Grand

Paris è quindi volta alla definizione e alla messa in opera di azioni metropolitane atte a migliorare il

quadro di vita dei cittadini della fascia urbana, a ridurre le diseguaglianze, in termini di risorse e

servizi, tra i territori che la compongono, a sviluppare un modello urbano, sociale ed economico

duraturo.

Per perseguire tali fini, la metropoli si vede conferire dalla legge delle competenze strategiche

che la stessa eserciterà in luogo e al posto dei comuni membri e che concernono essenzialmente: a)

lo sviluppo e la pianificazione del territorio; b) la politica locale dell’edilizia; c) la politica urbana;

d) lo sviluppo e la pianificazione economica e sociale.

Entro le suddette competenze, la metropoli funzionerà in una logica di concentrazione del

potere e della decisione politica, attraverso il Consiglio metropolitano e il suo Presidente. Tuttavia,

in termini di azione sussidiaria, la legge prevede la creazione di un soggetto giuridico intermedio: il

Consiglio territoriale, con funzioni di amministrazione, su delega della metropoli, di un perimetro

geograficamente contenuto, raggruppante non più di 300 mila abitanti (denominato territorio)

Le competenze esercitate dalle Epci, sino al dicembre 2015, così come le loro risorse umane e

finanziarie, verranno integralmente assorbite alla metropoli. È da notare che le attribuzioni

metropolitane rappresentano comunque una parte minimale delle competenze in precedenza

attribuite agli Epci e comunque la metropoli dovrà calibrare i propri programmi e azioni in

relazione agli orientamenti delle politiche regionali.

È proprio per tale motivo che solo l’attuazione della riforma potrà chiarire a chi spetteranno le

competenze “orfane”, prima affidate agli Epci, le quali, in assenza di una attribuzione esplicita alle

metropoli, torneranno nelle mani dei comuni.

L’aspetto fiscale sarà infine cruciale per definire il successo o il fallimento della riforma, in

un contesto ampio come quello parigino, laddove non è detto che l’assorbimento delle sole risorse

prima introitate dagli Epci sarà sufficiente alla metropoli per la gestione delle competenze e dei

correlati servizi affidati dalla legge.

Germania: un modello policentrico

1. Alla ricerca delle Città metropolitane nell’ordinamento federale tedesco

Nello studio delle città metropolitane nella Repubblica Federale di Germania è necessario

avere bene presente un dato preliminare di fondamentale importanza: non esiste un ente locale nel

diritto tedesco che risponda alla definizione di “città metropolitana”.

A fronte di tale osservazione il giurista non deve «perdersi nella foresta degli enti, ben

sapendo che essi non si adottano come le persone fisiche e non si clonano che le biotecnologie

giuridiche»38 né è tenuto ad individuare somiglianze dove non ve ne sono solo per dovere

d’ufficio39.

Se, dunque, la Città metropolitana non appartiene al diritto positivo tedesco, resta interessante

ricostruire la disciplina delle grandi città ed i relativi strumenti a disposizione del diritto pubblico.

In quanto Paese popoloso e geograficamente esteso, la Germania conta molti agglomerati urbani di

dimensioni importanti, tra cui una delle città più densamente abitate del continente, Berlino, e una

delle città non capitali più popolose, Amburgo. L’assenza di uno specifico ente locale conduce ad

una pluralità di forme di governo delle città che costituisce in sé un modello peculiare.

Il quadro al cui interno si muove la ricostruzione delle Città metropolitane – nel significato

inteso finora nel presente studio, che in Germania è forse più corretto ricondurre alla Regione

metropolitana – è quello di una Repubblica la cui forma di Stato, come noto, è quella federale, in

cui lo Stato centrale (la federazione, Bund) è formato dai 16 Stati federati (Länder).

Il contesto storico vede la compresenza di istituzioni centrali forti e autonomie altrettanto

significative sul piano locale, sia in una dimensione che si potrebbe definire “regionale” e che,

dunque, riguarda la nascita e lo sviluppo di molti Stati sufficientemente estesi, ciascuno

indipendente e sovrano, che saranno i futuri componenti dello Stato federale; sia in una dimensione

più propriamente “municipale”, di autogoverno delle singole città risalente ad una tradizione che

appartiene già al periodo medievale. A questo proposito, si può parlare di un modello di governo

locale nordico-mitteleuropeo che trova applicazione nei Paesi di lingua tedesca, Germania, Austria

38 J. LUTHER, Le regioni metropolitane tedesche, in G.F. FERRARI, P. GALEONE (a cura di), Città a confronto. Le

istituzioni metropolitane nei Paesi occidentali, cit., 118. 39 Cfr. par. conclusioni dialettiche.

e Svizzera, così come nei Paesi scandinavi, sia pure con alcune distinzioni che lasciano spazio alla

configurazione di due modelli interconnessi ma differenti40.

Per quanto riguarda specificamente la Germania, l’organizzazione degli enti locali è

strettamente connessa all’impianto federale. Scendendo dal generale al particolare, i livelli di

governo sono così enucleabili: vi è il Bund, poi ciascun Land e, all’interno di questo, vi è una

sostanziale differenziazione tra aree urbane e aree non urbane. Nelle aree rurali vi sono i Distretti

(Kreise) e i Comuni (Gemeinden): i primi, nonostante siano funzionalmente simili alle province

italiane, esistono in quanto associazioni di comuni41, mentre un poco più di un centinaio di centri

urbani costituiscono kreisfreie Städte, ovvero per questi enti il livello del distretto non esiste e tutte

le funzioni sono esercitate da un unico livello di governo, quello cittadino42.

Non deve trarre in inganno l’eventuale dignità di Città (Stadt) acquisita da un qualsiasi

Comune. Su 11.000 Comuni, poco più di 2.000 hanno lo status di Città, ma l’ampio numero lascia

intendere che tra essi si annoverino anche centri poco popolosi o relativamente poco popolosi. In

questo caso, le Città appartengono comunque ai Distretti43.

Questa bipartizione (o tripartizione, se si differenziano i Comuni dalle Città inserite nei

Distretti) è significativa soltanto sotto il profilo amministrativo della distribuzione delle

competenze: posto che ai Comuni spetta la generalità delle funzioni amministrative, l’esercizio in

forma associata – nelle varie tipologie di associazioni, Distretti compresi – cambia l’aspetto

concreto ma non la sostanza delle attribuzioni.

Con riferimento alla disciplina costituzionale, l’art. 28 della Costituzione federale

(Grundgesetz) prevede che «nei Länder nei Distretti e nei Comuni il popolo deve avere una

rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete» (§ 1).

Nel caso in cui i Comuni siano di dimensioni ridotte, la Costituzione prevede che l’organo

elettivo possa essere sostituito dall’Assemblea dei cittadini (Gemeindeversammlung), ipotesi

comunque residuale anche considerata l’opera di concentrazione degli enti locali attuata sin dagli

anni ’70 (e di nuovo con intensità negli anni ’90 relativamente ai Länder dell’ex DDR).

Ai sensi del § 2 dell’art. 28 GG «ai Comuni deve essere garantito il diritto di regolare, sotto la

propria responsabilità, tutti gli affari della comunità locale nell’ambito delle leggi». La Costituzione

40 M. MAZZA, Federalismo, regionalismo e decentramento nella prospettiva della comparazione tra i sistemi di

amministrazione (o governo) locale, in Ist. Fed., 2012, 4, 832 e 846 ss. 41 J. WOELK, La cooperazione inter-municipale in Germania: alla ricerca di un equilibrio fra autonomia ed

efficienza, in Ist. Fed., 2012, 4, 549 ss. 42 Si utilizzerà la traduzione letterale di città senza distretto, anche per coerenza con la traduzione di Kreis come

distretto, invece di equivalenti definizioni quali città extracircondariale. 43 Si distingue dunque tra Comuni inseriti nei Distretti (kreisangehörige Gemeinden), Città inserite nei Distretti

(kreisangehörige Städte) e Città senza Distretto (kreisfreie Städte), anche se la differenza è tra i primi due è solo formale.

si preoccupa anche di garantire alle forme di associazione tra Comuni (Gemeindeverbände) «il

diritto all’autonomia amministrativa nei limiti delle competenze loro attribuite dalle leggi».

Ai sensi delle citate norme costituzionali, i Comuni costituiscono la base della “piramide”

amministrativa, cui è garantita l’amministrazione autonoma (Selbstverwaltungsgarantie)44. Insieme

ai comuni, la Costituzione stessa cita le associazioni o consorzi di Comuni, di cui i Distretti sono

un’espressione.

Le forme associative tra comuni assumono particolare importanza nel diritto degli enti locali

in Germania e sul punto si tornerà entro breve.

Tornando alla disciplina dettata della legge fondamentale, le norme che si sono elencate

rappresentano le sole previsioni costituzionali relative agli enti locali45. Ogni competenza legislativa

sul punto è rimessa alla competenza legislativa dei singoli Länder. Per tale ragione, non esiste in

Germania un corpus normativo unitario relativo al diritto degli enti locali. Ogni Land ha la propria

legislazione e, nonostante il federalismo cooperativo che caratterizza il Paese faccia in modo che le

diverse normative convergano su determinati modelli, le differenze non solo non si annullano, ma

permangono sufficienti difformità da rendere onerosa la trattazione del diritto degli enti locali in

Germania senza indulgere in semplificazioni eccessive46.

Quanto commentato tralascia un elemento importante relativo alle città. Si sono finora

enucleate due categorie di città: i Comuni aventi tale dignità e le Città senza distretto, con la

specificazione che entrambe le categorie comprendono centri urbani anche relativamente poco

popolosi. Accanto a queste tipologie di ente ne deve essere individuato un terzo, ovvero le Città-

Stato, ovvero i Länder che comprendono il territorio di una sola grande città.

44 Secondo la dottrina essa è scomponibile in tre momenti distinti: la garanzia dell’esistenza come tipologia di

ente (tale per cui la legge ordinaria non può sopprimere i Comuni ma soltanto modificarne la disciplina ed, eventualmente, metterne in discussione l’esistenza come singolo ente, nel caso di fusioni, soppressioni o modifiche territoriali); la garanzia oggettiva di istituzione giuridica, che riguarda la responsabilità degli affari amministrati dall’ente locale e infine la garanzia soggettiva di attivare il ricorso in via giurisdizionale avanti il Tribunale costituzionale federale. V. più ampiamente sul punto, A. DI MARTINO, La cooperazione tra Comuni in Germania, in www.amministrazioneincammino.it, 13.

45 Con la parziale eccezione della norma secondo la quale i Comuni, dopo aver esaurito i ricorsi a livello regionale, hanno diritto di ricorrere direttamente e individualmente al Tribunale costituzionale federale (art. 93, § 1, n. 4b GG).

46 Sia consentito rinviare a R. BIFULCO, R. MICCU, Poteri locali e complessità istituzionale nel federalismo tedesco, in V. ATRIPALDI (a cura di), Il governo delle aree metropolitane, Napoli, Esi, 1993, 163 ss.; J. LUTHER, L’organizzazione costituzionale e amministrativa, in AA.VV., Il governo locale in Francia, Gran Bretagna, Germania, Archivio ISLE n. 8, Milano, 1998, 323 ss.; F. PALERMO, Germania ed Austria. Modelli federali e bicamerali a confronto, Trento, 1997, 63 ss.; F. PALERMO, J. WOELK, Il riordino territoriale dei Comuni in Germania, in Amministrare, 3, 2001, 423 ss.

Dei 16 Länder che costituiscono lo Stato federale, 13 sono Stati aventi estensione territoriale

(Flächenländer) e 3 Città-Stato, ovverosia Berlino (Land Berlin), Amburgo (Freie und Hansestadt

Hamburg) e Brema (Freie Hansestadt Bremen)47.

Le Città-Stato hanno un regime giuridico particolare in quanto i livelli di amministrazione che

si sono descritti si concentrano in un unico ente e, al contrario di tutti gli altri enti che hanno il titolo

di città, la loro rilevanza è resa evidente dal loro stesso status.

Ecco dunque che si rinvengono alcune ben determinate città tedesche aventi un regime

giuridico diverso dalle altre. Quanto al resto del territorio, il modello è autenticamente policentrico

nelle forme che ci si appresta a descrivere.

2. Le Metropolregionen

È il dato socio-economico, non disgiunto da quello storico, a configurare quali siano le grandi

città della Germania e quali, tra queste, presentino quei problemi e quelle caratteristiche cui si

accennava nel paragrafo introduttivo che valgono la qualificazione, di fatto prima ancora che di

diritto, di Città metropolitane.

La specificazione, scontata d’abitudine, serve a precisare che il percorso giuridico del diritto

pubblico tedesco non è volto tanto alla creazione di Città metropolitane quanto alla configurazione

di grandi ambiti territoriali, vere e proprie “regioni” metropolitane (Metropolregionen) che coprono

aree molto vaste e non di rado differenziate al loro interno48.

Dal punto di vista giuridico, alla base della creazione delle Regioni metropolitane vi sono le

risoluzioni delle conferenze dei ministri per la pianificazione territoriale49: da ultimo, è da segnalare

la risoluzione del 28 aprile 2005.

47 Per quanto riguarda Brema, il Land è costituito da due nuclei urbani che corrispondono a due distinte

municipalità: Brema e Bremerhaven. Le due città non sono confinanti, essendo Bremerhaven a circa 60 km dal capoluogo, sulla costa del Mare del Nord. Il Land si considera abitualmente come una Città-Stato in quanto Bremerhaven (lett. Porto di Brema) è una città fondata solo nel 1827 su dei terreni appositamente acquistati dalla città di Brema per sopperire al progressivo insabbiamento del porto fluviale della città anseatica.

48 U. SCHLIESKY, Stadt-Umland Verbände, in T. MANN, G. PÜTTNER (Hrsg.), Handbuch der kommunalen Wissenschaft und Praxis. 3. Aufl., Bd. 1. Berlin, 2007, 874 ss.; W. HEINZ, Inter-Municipal Cooperation in Germany: the Mismatch between Existing Necessities and Suboptimal Solutions, in R. HULST, A. VAN MONTFORT (Hrsg.), Inter-Municipal Cooperation in Europe, Dordrecht, 2007, 94 ss.; A. PRIEBS, K.A. SCHWARTZ, Stadtverband-Stadtkreis-Regionalverband. Zur Reform der Verwaltungsstrukturen in Großraum Saarbrücken, in DÖV, 2008, 61, 45-53; D. FÜRST, Regional Governance, in A. BENZ, S. LÜTZ, U. SCHIMANK , G. SIMONIS (Hrsg.), Handbuch Governance. Theoretische Grundlagen und empirische Anwendungsfelder, Wiesbaden, 2007, 353–366; F. WALTER, Metropolitan Governance in Germany. Comparing the Regions of Stuttgart and Hannover, GRIN, 2003.

49 Beschluss der Ministerkonferenz für Raumordnung vom 28. April 2005, in http://www.metropolregionnuernberg.de/fileadmin/metropolregion_nuernberg_2011/07_service/02_downloads/01_grundlagenpapiere/Beschluss_MKRO_280405.pdf

Le forme associative tra enti locali che si commenteranno coprono in diversi casi più città tra

loro vicine dove non sempre il rapporto centro-periferia è univoco, ma dove si sovrappongono

conurbazioni policentriche al loro stesso interno, e non solo in rapporto alla nazione nel suo

complesso.

Le Metropolregionen della Germania sono le seguenti: Berlin-Brandenburg, Bremen-

Oldenburg, FrankfurtRheinMain, Hamburg, Hannover, Mitteldeutschland, München, Nürnberg,

Rhein-Neckar, Rhein-Ruhr, Stuttgart.

Le Regioni metropolitane costituiscono delle forme associative di diversa tipologia a seconda

se gli enti locali che partecipano appartengano o meno allo stesso Land.

In via generale, si è già detto che le associazioni tra i Comuni godono di copertura

costituzionale e sono sempre state favorite dall’ordinamento nell’assunzione che l’esercizio in

forma associata delle funzioni attribuite ai Comuni ne aumenti l’efficienza. Gli strumenti giuridici

con cui si realizzano le associazioni sono sia di tipo privatistico che pubblicistico50. I Comuni,

abitualmente nell’ambito della legislazione di ciascun Land, possono costituire società per azioni,

oppure associazioni di diritto privato. La cooperazione nelle forme del diritto pubblico, invece, è

dettata da specifiche leggi degli Stati federati51. La stessa flessibilità nella gestione dell’assetto

giuridico è riconosciuto anche alle associazioni tra enti locali che rappresentino grandi città.

Il numero ridotto delle Regioni metropolitane consente una ricognizione più dettagliata per

ciascuna:

1. - Hauptstadtregion Berlin-Brandenburg. All’indomani della riunificazione della Germania

vi fu la creazione di cinque nuovi Länder che entrarono a far parte della Repubblica Federale. Tra

questi, il Land Brandeburgo e il Land della Città capitale di Berlino, che geograficamente è situato

al centro del Brandeburgo. La successiva spinta verso l’aggregazione e la fusione degli enti locali

nell’ex Germania Est portò al progetto di un unico Land. Il progetto venne approvato dai Parlamenti

degli Stati, ma, poiché ai sensi della Costituzione (art. 118a) è necessario lo svolgimento di una

consultazione popolare, il referendum (rectius: i due referendum contestuali) svoltosi il 5 maggio

1996 ha dato risultato contrario alla fusione. Pertanto, la collaborazione tra i due Länder prosegue

con strumenti diversi.

La forma della collaborazione tra più di un Land è quella del trattato, coerentemente con il

carattere federale della Repubblica. Nel caso della Regione metropolitana della capitale, si contano

non meno di 27 diversi trattati di collaborazione52 riguardanti svariati ambiti: la radiodiffusione; i

50 J. WOELK, La cooperazione, cit., 561 ss. 51 Per una ricognizione della legislazione bavarese, J. WOELK, La cooperazione, cit., 563 ss.; 52 La cui lista è reperibile nel sito ufficiale della Regione metropolitana http://www.berlin-

brandenburg.de/politik-verwaltung/dokumente/staatsvertraege/index.html

trasporti (compresa la creazione di un’apposita società per la gestione aeroportuale); la creazione di

un’apposita fondazione per la gestione dei castelli e dei parchi; il settore della previdenza sociale;

gestione congiunta di laboratori ed accademie (Akademie der Wissenschaften, Landeslabors Berlin-

Brandenburg), della pianificazione territoriale o la gestione della struttura penitenziaria di

Heidering.

Si segnala in particolare la collaborazione in materia di esercizio del potere giurisdizionale:

essa è forse il lascito più significativo del tentativo di fusione tra i due Länder e ha comportato la

creazione di quattro corti aventi giurisdizione sull’intero territorio della Regione metropolitana. L’

Oberverwaltungsgericht Berlin funge da tribunale amministrativo d’appello sui ricorsi contro le

sentenze e le decisioni dei tribunali amministrativi oppure da tribunale amministrativo di primo

grado contro determinate tipologie di decisioni pubbliche53. A tale corte si aggiungono il tribunale

regionale del lavoro (Landesarbeitsgericht Berlin-Brandenburg), il tribunale regionale sociale

(Landessozialgericht Berlin-Brandenburg), competente in materia di assicurazioni, pensioni,

indennità, ecc., nonché la Commissione tributaria (Finanzgericht Berlin-Brandenburg),

quest’ultima competente in tema di vertenze tributarie e doganali.

La cooperazione nella regione metropolitana capitale, come si vede, pur essendo molto estesa

e intensa, non si focalizza su singoli centri decisionali, ma sfrutta un’ampia gamma di strumenti

giuridici, che vanno da quelli più propriamente civilistici e di diritto commerciale alla condivisione

di funzioni sovrane.

2. - Metropolregion Bremen-Oldenburg in Nordwesten. La regione metropolitana di Brema-

Oldenburg, ai sensi del diritto tedesco, è una associazione riconosciuta di cui fanno parte soggetti

pubblici e privati. Accanto ad enti locali54 e Stati federati55, vi sono esponenti dell’economia56. Gli

organi sono quelli societari: l’Assemblea dei soci è composta da rappresentanti di tutte le

componenti: 3 rappresentanti per ciascun Land, 32 rappresentanti per gli enti locali e 32 membri

scelti dalle Camere di commercio e dell’industria. L’assemblea elegge il Consiglio

d’amministrazione, che comprende 2 rappresentanti dei Länder e 6 sia per enti locali che per gli

attori economici.

Sono istituite due Commissioni di controllo, una dei membri dei parlamenti degli Stati

federati ed una formata da membri di università, accademie e centri di studio aventi sede nella

53 In questo caso i ricorsi possono riguardare ordinanze ovvero grandi progetti tecnici (centrali elettriche e

nucleari, aeroporti, impianti di smaltimento dei rifiuti). 54 I Distretti di Ammerland, Cloppenburg, Cuxhaven, Diepholz, Friesland, Oldenburg, Osnabrück, Osterholz,

Vechta, Verden, Wesermarsch, le città senza distretto di Delmenhorst, Oldenburg und Wilhelmshaven nonché le città di Brema e Bremerhaven

55 Il Land di Brema e quello della Bassa Sassonia. 56 Le camere di commercio e industria di Bremerhaven, Oldenburg, Osnabrück - Emsland - Grafschaft

Bentheim, Hannover, e della zona Elbe-Weser.

Regione, con funzione di osservatori sia presso il Consiglio d’amministrazione che presso

l’assemblea.

Gli obiettivi della Regione metropolitana sono lo sviluppo economico e sociale attraverso la

collaborazione tra gli enti che ne fanno parte, con particolare attenzione alla creazione di reti e

l’attuazione di progetti infrastrutturali su larga scala.

3. - Metropolregion Frankfurt/Rhine-Main. La Regione metropolitana di Francoforte

comprende territori in tre diversi Stati federati: Assia, Renania Palatinato, Baviera, ma la

definizione è geografica, in quanto la legge istitutiva è del solo Land Assia57 e dunque comporta

una forma di associazione tra 75 enti locali dello Stato denominata Regionalverband

FrankfurtRheinMain.

Gli organi di governo dell’associazione sono un Consiglio dell’associazione

(Verbandskammer) e un Consiglio (Regionalvorstand). Nel Consiglio siedono rappresentanti di tutti

i 75 membri, inviati dai rispettivi organi e non eletti direttamente dal popolo. Il Consiglio è

composto dal Direttore dell’associazione, da un massimo di due Assessori (Beigeordneten) la cui

durata in carica è di sei anni, eletti dal Consiglio così come un massimo di otto assessori onorari,

che restano in carica cinque anni. Membri di diritto del Consiglio sono i sindaci di Francoforte e

Offenbach nonché i 6 presidenti dei Distretti.

Ai sensi della legge istitutiva (art. 1), i compiti dell’associazione concernono la promozione

dello sport, di attività ricreative, la gestione e/o promozione di istituzioni culturali, la promozione

dello sviluppo economico, la gestione e la manutenzione del Parco regionale del Reno e del Meno,

la pianificazione dei trasporti.

Resta attiva la pianificazione territoriale, che costituisce il nucleo originale delle forme

associative della Regione metropolitana.

4. - Metropolregion Hamburg. La Regione metropolitana di Amburgo58 si estende su quattro

Länder: oltre alla Città-Stato di Amburgo, la Bassa Sassonia (con 8 Distretti59), lo Schleswig-

Holstein (con 7 distretti60) e il Mecklenburg-Vorpommern (con 2 Distretti61). Come per la Regione

57 Gesetz über die Metropolregion Frankfurt/Rhein-Main, del 3 marzo 2011, entrata in vigore il successivo 1

aprile. 58 Che comprende, oltre alla città omonima, i centri di Lubecca, Lüneburg, Neumünster, Norderstedt, Wismar. In

totale, gli enti associati sono 800 59 Cuxhaven, Harburg, Lüchow-Dannenberg, Lüneburg, Rotenburg, Soltau-Fallingbostel, Stade, Uelzen. 60 Dithmarschen, Lauenburg, Ostholstein, Pinneberg, Segeberg, Steinburg, Stormarn. 61 Nordwestmecklenburg e limitatamente alla zona di Ludwigslust nel Distretto di Ludwigslust-Parchim.

metropolitana di Berlino, alla base vi è un trattato tra i Länder coinvolti62, da ultimo modificato nel

201263.

In pari data è stato firmato dalle parti contraenti anche l’Accordo Amministrativo relativo alla

collaborazione nella Regione metropolitana di Amburgo (Verwaltungsabkommen über die

Zusammenarbeit in der Metropolregion Hamburg). Secondo l’art. 2 dell’accordo gli obiettivi e le

priorità della Regione metropolitana sono il rafforzamento del partenariato tra città e campagna, la

promozione di uno spazio economico dinamico, la tutela dell’ambiente e la mobilità. L’accordo

prevede collaborazione in materia di turismo, attività ricreative, trasferimento tecnologico,

promozione di nuove tecnologie.

Gli organi della Regione metropolitana sono un Consiglio (Regionalkonferenz) e un Comitato

direttivo (Lenkungsausschuss). Il primo è «l’organo decisionale supremo per la politica e la

cooperazione», il luogo della definizione degli obiettivi e delle decisioni strategiche. La

composizione del Consiglio è in ragione degli enti che compongono la Regione (art. 3

dell’accordo). Il Comitato direttivo (art. 4) è «responsabile del coordinamento e del controllo delle

Parti contraenti» riguardo a tutte le questioni pertinenti Amburgo. «Il Comitato direttivo decide

anche sulla creazione e realizzazione dei progetti chiave» nonché è competente per la creazione,

modifica e scioglimento dei gruppi di lavoro specializzati che possono essere costituiti (ai sensi

dell’art. 5).

5.– Metropolregion Hannover – Braunschweig – Göttingen – Wolfsburg. La Regione

metropolitana di Hannover è una società per azioni di cui sono soci sia enti pubblici che privati,

raggruppati in tre associazioni distinte: una di enti pubblici, una di soggetti economici e l’ultima di

istituti culturali e università. Alla prima associazione appartengono Città senza distretto, Distretti,

associazioni di enti locali64 e lo Stato della Bassa Sassonia; alla seconda molte imprese private con

sede o filiali ad Hannover e nelle città della Regione metropolitana e, infine, alla terza istituti

culturali, di ricerca e università.

Le finalità della società sono di promozione e valorizzazione delle risorse comuni e, in quanto

ente di diritto commerciale, non esercita poteri pubblici né ha particolari funzioni vincolanti di

programmazione.

62 Staatsvertrag del 1 dicembre 2005. 63 Trattato del 20 aprile 2012 di modifica del precedente trattato, con l’ingresso del Land Meclemburgo-

Pomerania. Staatsvertrag zwischen der Freien und Hansestadt Hamburg, dem Land Mecklenburg-Vorpommern, dem Land Niedersachsen und dem Land Schleswig-Holstein zur Änderung des Staatsvertrages zwischen der Freien und Hansestadt Hamburg, dem Land Niedersachsen und dem Land Schleswig-Holstein über die Finanzierung der Zusammenarbeit in der Metropolregion Hamburg und die Fortführung der Förderfonds.

64 Tra cui la Region Hannover, associazione tra i Comuni dell’hinterland di Hannover.

6. – Metropolregion Mitteldeutschland. La Regione metropolitana della Germania centrale è

un limpido esempio del policentrismo tedesco: le Città che appartengono alla Regione si

distribuiscono su tre Stati: Sassonia (Dresda, Lipsia, Chemnitz e Zwickau), Sassonia-Anhalt

(Dessau-Roßlau, Halle, Magdeburgo) e Turingia (Erfurt, Gera, Jena e Weimar) e, formalmente, solo

le città elencate sono membri della Regione e non altri Comuni e Distretti del circondario, ragion

per cui non viene a crearsi un vero e territorio contiguo. Nata nel 1994, la Regione ha accolto nuovi

membri nel corso del tempo65 e ha anche cambiato modalità di collaborazione e ampliato gli

obiettivi66.

Gli organo della Regione comprendono un Comitato misto (Gemeinsamer Ausschuss) di cui

sono membri di diritto i Sindaci delle Città, vero motore degli obiettivi comuni e dei profili

strategici; un Comitato direttivo (Lenkungsausschuss) che coordina l’attività operativa e consiglia il

Comitato misto e dei gruppi di lavoro che elaborano progetti concreti. I gruppi di lavoro attualmente

istituiti riguardano Affari e scienza, Cultura e turismo, Trasporti e mobilità, Politiche per la

famiglia, Cooperazione internazionale.

7. – Verein Europäische Metropolregion München. La Regione metropolitana europea di

Monaco di Baviera è un’associazione di diritto privato e non un ente pubblico. Per questa ragione,

non ha un vero e proprio territorio, ma ha come membri attori pubblici e privati67.

L’organizzazione è quella di un’associazione riconosciuta di diritto privato, con un’assemblea

che elegge un consiglio d’amministrazione formato da 16 membri, di cui 8 provenienti dagli enti

locali e 8 dagli altri attori. La gestione è nelle mani di un manager (e di un ristretto ufficio

amministrativo) ed esistono specifici gruppi di lavoro dedicati a scienza, economia, ambiente,

mobilità, cultura.

Ai sensi dell’art. 2 dello Statuto, lo scopo dell’associazione è «la cooperazione tra Città, paesi

e comuni, Distretti, Camere di commercio, associazioni, università e altri soggetti pubblici e privati

dello spazio metropolitano sudbavarese, in particolare sui temi dell’economia, dell’ambiente, della

salute, della mobilità, della scienza e della ricerca».

8. – Metropolregion Nürnberg. La Regione metropolitana di Norimberga è, dopo Monaco, la

seconda area interamente ricompresa in Baviera68. Vi appartengono 10 Città senza distretto69 e 23

65 Con decisione del 6/6/2013 la città di Magdeburgo ha deciso l’uscita dalla Regione metropolitana a partire

dall’anno seguente. http://ratsinfo.magdeburg.de/vo0050.asp?__kvonr=217476 66 Nonché ha cambiato nome: da Regione metropolitana Triangolo della Sassonia a quello attuale (2009). 67 La lista completa è reperibile in http://www.metropolregion-muenchen.eu/der-verein/mitglieder.html. Tra gli

enti locali manca il Land, in quanto l’intera area è in Baviera, tra gli attori privati figurano industrie, università, camere di commercio. I componenti sono bipartiti: da un lato gli enti locali, dall’altro gli attori economico-sociali. Eventuali soci onorari e sostenitori, che includono anche persone fisiche, non hanno diritto di voto.

68 Con la precisazione che il distretto di Sonnenberg, confinante, ma in Turingia, ha fatto domanda di ingresso nella Regione nel 2013.

distretti70. Il modello di governance è diverso da quelli finora presentati. Le decisioni strategiche

sono prese dal Consiglio (Rat) di cui fanno parte 55 membri, in cui siedono rappresentanti eletti dai

cittadini, ovvero i sindaci delle città e i presidenti dei Distretti. La cooperazione tra gli enti pubblici

e altri attori economici e sociali si svolge in sette “forum” specialistici, riguardanti Economia e

infrastrutture, Scienza, Trasporti e pianificazione, Cultura, Sport, Turismo e Marketing. Ogni forum

è composto da vari componenti all’interno dei quali è scelto un “team” formato da un direttore, un

portavoce politico e un portavoce tecnico. Nel 2012 è stata costituita da 9 camere di commercio

della Regione metropolitana l’associazione con personalità giuridica Wirtschaft fur die

Metropolregion, creata appositamente per partecipare al circuito decisionale della Regione

metropolitana.

Infatti, al centro della rete disegnata dal Consiglio, dall’associazione e dai forum è collocato

un Comitato direttivo (Steuerungskreis) composto dai tre membri del direttivo di ogni forum,

dall’ufficio di presidenza del Consiglio71 e da tre membri dell’associazione delle camere di

commercio.

Il Comitato si riunione ogni 6 settimane e costituisce il punto di intersezione delle diverse

componenti della città metropolitana.

9. – La Verband Region Rhein-Neckar comprende le città di Heidelberg, Mannheim,

Ludwigshafen, Worms e si estende su tre diversi Länder: Baden-Württemberg, Assia, Renania-

Palatinato. Geograficamente, si colloca a sud di Francoforte e a nord di Stoccarda al confine con la

Francia. La Regione metropolitana è costituita da un trattato tra i Länder72 che ne disciplina

costituzione, organi e funzioni.

Dal punto di vista della struttura amministrativa, è una associazione di diritto pubblico, che

succede alle precedenti forme associative, che riguardavano esclusivamente la pianificazione

territoriale.

Ai sensi dell’art. 6 del trattato gli organi sono il l’Assemblea (Verbandsversammlung), il

Consiglio di gestione (Verwaltungsrat) e il Presidente (Verbandsvorsitzende). L’Assemblea ha 95

membri, 72 dei quali sono eletti con sistema proporzionale dai consigli comunali e distrettuali (art.

7), mentre i restanti 23 sono sindaci e presidenti di Distretto, membri di diritto.

69 Ansbach, Amberg, Bamberg, Bayreuth, Coburg, Erlangen, Fürth, Hof, Nürnberg, Schwabach e Weiden. 70 Amberg-Sulzbach, Ansbach, Bamberg, Bayreuth, Coburg, Erlangen-Höchstadt, Forchheim, Fürth, Haßberge,

Hof, Kitzingen, Kronach, Kulmbach, Lichtenfels, Neumarkt in der Oberpfalz, Neustadt an der Aisch-Bad Windsheim, Neustadt an der Waldnaab, Nürnberger Land, Roth, Tirschenreuth, Weißenburg-Gunzenhausen e Wunsiedel im Fichtelgebirge.

71 Composto da un Sindaco di città, un Sindaco di Comune e un Assessore di Distretto, ha il compito di rappresentare la Città metropolitana verso i terzi.

72 Staatsvertrag zwischen den Ländern Baden-Württemberg, Hessen und Rheinland-Pfalz über die Zusammenarbeit bei der Raumordnung und Weiterentwicklung im Rhein-Neckar-Gebiet del 26 luglio 2005.

Il Consiglio elegge sia il Consiglio di gestione che il Presidente. Il Consiglio è formato da 27

membri più il Presidente e ha il compito di preparare le riunioni dell’Assemblea e di vigilare

sull’attività dell’apparato amministrativo della Regione. La carica di Presidente, che dura quattro

anni, ed è rinnovabile, è assegnata ad un politico. Il ruolo di amministrazione attiva è di competenza

del Direttore dell’associazione, funzionario eletto dal Consiglio con mandato di durata di otto anni

(art. 12).

Le competenze della Regione metropolitana affiancano la storica funzione di pianificazione

territoriale allo sviluppo economico, alla tutela dei parchi e delle strutture ricreative, promozione di

congressi, fiere, eventi culturali, marketing turistico e funzioni di pianificazione della mobilità e

dell’approvvigionamento energetico.

10. – La Regione metropolitana Rhein-Ruhr (Regionalverband Ruhr) è interamente

ricompresa nel Land Nordrhein-Westfalen73. Nonostante sia la maggiore tra le aree metropolitane

della Germania per estensione, prodotto interno lordo, numero di abitanti, nessuna delle città che vi

appartiene raggiunge il milione di abitanti, e ciò ne accentua il carattere policentrico.

La Regione metropolitana è un ente di diritto pubblico secondo il diritto del Land cui

appartiene (art. 1, § 1, n. 3 Gesetz über den Regionalverband Ruhr, da ultimo modificata dalla l. 23

ottobre 2012). Le competenze sono molto estese e sono ripartite tra competenze obbligatorie e

facoltative. Tra i compiti obbligatori vi è la creazione e l’aggiornamento dei piani generali di

sviluppo regionale, la salvaguardia dell’ambiente, lo sviluppo economico e commerciale, la

promozione turistica. Ulteriori compiti possono riguardare la promozione di attività sportive e

culturali e altri compiti sono considerati da attivare su richiesta qualificata di 2/3 dei membri, come

lo smaltimento dei rifiuti, i piani paesaggistici integrati.

Gli organi della Regione metropolitana (che si denomina Verband, associazione) sono

l’Assemblea (Verbandsversammlung) il Comitato (Verbandsausschuss) e l’Amministratore.

L’assemblea è l’organo centrale, chiamata anche Ruhrparlament, composta da membri di diritto

(sindaci e presidenti di Distretto) e da membri eletti (in secondo grado) dai rispettivi consigli.

L’assemblea elegge a sua volta i membri del Comitato e l’Amministratore, che resta in carica sei

anni.

11. - Europäische Metropolregion Stuttgart. La Regione metropolitana di Stoccarda è un ente

di diritto pubblico del diritto del Land Baden Württemberg. La legge del 7 febbraio 1994 istituisce

l’associazione della Regione di Stoccarda (Verbands Region Stuttgart) che corrisponde all’area

interna della Regione metropolitana.

73 I cui centri più rappresentativi e le città senza distretto sono: Colonia, Düsseldorf, Dortmund, Essen, Duisburg,

Bochum, Wuppertal, Bonn, Gelsenkirchen, Mönchengladbach, Krefeld, Oberhausen, Hagen, Hamm.

I compiti sono assimilabili a quelli già elencati per altre Regioni metropolitane: pianificazione

regionale, predisposizione del piano paesaggistico e del Parco regionale di Stoccarda, pianificazione

dei trasporti, politica dei rifiuti urbani, coordinamento e promozione dello sviluppo economico e del

turismo.

Il Consiglio regionale (Regionalversammlung) ha non meno di 80 membri eletti a suffragio

universale e diretto con un sistema proporzionale e la possibilità di aggiungere ulteriori seggi

affinché sia preservata la proporzione tra la popolazione dei diversi enti che ne costituiscono i

collegi. Per tale ragione, al momento il numero di seggi è di 91. L’amministrazione è devoluta ad un

direttore regionale (Regionaldirektor), eletto per otto anni dall’Assemblea.

La forma giuridica dell’Associazione non corrisponde alla più ampia Regione Metropolitana

Europea di Stoccarda, la quale esiste solo come Comitato di coordinamento formato da 35 membri,

delegati dal Consiglio regionale e da tutti gli enti locali che fanno parte dell’area vasta.

La diversità di soluzioni giuridiche adottate mette in luce che non vi sia, in Germania, un

modello di Città metropolitana, ma soluzioni diverse che dipendono da molti fattori, sui quali

indubbiamente ha un ruolo centrale la competenza degli Stati federati in materia di enti locali.

In questo senso, le Regioni metropolitane non si differenziano in modo sostanziale da tutte le

forme di collaborazione e associazione tra enti locali che popolano il diritto tedesco74 e che qui non

si sono ricostruiti. Non sembra nemmeno possibile sostenere che sia la ricerca dell’efficienza

massima il criterio comune che possa giustificare soluzioni giuridiche anche profondamente diverse

riconducendole ad un unico intento originario.

Piuttosto, è il modello policentrico a prevalere, stavolta non inteso come caratteristica

geografica o economica e sociale, ma come elemento di concezione. Non è raro vedere che le città

metropolitane tedesche, le quali formalmente nel loro complesso coprono gran parte del territorio e

quasi 60 milioni di abitanti sugli 80 totali del Paese, finiscono per smarrire i precisi confini

geografici e recuperano significato solo a livello di coordinamento e di generale appartenenza ad

enti di pianificazione strategica.

Tranne che in rari casi, le Città metropolitane in Germania non sono enti hard75, ma soluzioni

flessibili a problemi ed esigenze locali approntate ad hoc. L’analisi riconduce dunque a quanto si

osservava in principio in merito alla difficoltà di individuazione delle Città metropolitane, anche se

74 All’interno dei quali la dottrina individua diverse tipologie di associazioni: un modello più vincolante, dotato

di copertura costituzionale ai sensi dell’art. 28, 2 GG quale il consorzio centro-periferia; un modello più elastico, non territoriale riferibile al cd. consorzio di scopo e infine un terzo modello, cui appartengono i consorzi per la programmazione istituiti tipicamente a livello legislativo.

75 Per riprendere la classificazione presentata nel paragrafo introduttivo.

con una diversa consapevolezza, più vicina alla concezione del governo delle aree fortemente

urbanizzate come un vestito confezionato su misura per tante taglie quante sono le Regioni che si

sono elencate che non alla semplice difficoltà di trovare termini di comparazione.

Spagna: Città, Comunidades e autonomia

1. Le aree metropolitane in Spagna.

L’articolazione del governo locale in Spagna risulta familiare al giurista formato sulle

categorie italiane, in quanto è possibile ricondurre lo Stato iberico al medesimo modello generale,

quello continentale di origine francese.

L’art. 137 della Costituzione spagnola del 1978 prevede che lo Stato è territorialmente

organizzato «in Comuni (Municipios), Province e nelle Comunità autonome». Tali enti hanno

autonomia costituzionalmente garantita «per la gestione dei rispettivi interessi».

Il successivo art. 140 garantisce l’autonomia dei Comuni. «Questi avranno piena personalità

giuridica. Il loro governo e la loro amministrazione compete ai rispettivi Consigli comunali

(Ayuntamientos), formati dal Sindaco (Alcalde) e dai consiglieri (Concejales).» La Costituzione

prevede altresì alcune norme generali riguardanti la disciplina degli organi: «i consiglieri saranno

eletti dagli abitanti del Comune a suffragio universale, libero, uguale, diretto e segreto, nella forma

stabilita dalla legge. I Sindaci saranno eletti dai consiglieri o da gli abitanti.»

L’art. 141 Cost. è dedicato alle Province, delle quali si dice che ciascuna di esse è «un ente

locale con personalità giuridica propria costituito da un raggruppamento di Comuni e rispecchiante

una divisione territoriale per lo svolgimento delle attività dello Stato. Qualunque modifica dei

confini provinciali dovrà essere approvata dalle Cortes mediante legge organica» (art. 141, 1° co.).

«Il governo e l’amministrazione autonoma delle Province saranno affidati a Deputazioni o ad altri

organi di carattere rappresentativo» (art. 141, 2° co.).

Specificamente per quanto qui attiene, il co. 3 del medesimo articolo prevede che «si potranno

creare raggruppamenti di Comuni diversi dalla Provincia».

Seguendo questa costruzione a gradi dello Stato, l’art. 143 Cost. prevede che le «Province

limitrofe con caratteristiche storiche, culturali ed economiche comuni, gli arcipelaghi e le province

d’importanza regionale storica potranno accedere all’autogoverno e costituirsi in Comunità

autonome» nell’esercizio del diritto all’autonomia riconosciuto all’art. 2 della Costituzione

medesima76.

Com’è noto, lo Stato centrale si articola in 17 Comunità autonome (Comunidades

autonomas), enti territoriali autonomi dotati di ampia autonomia, che caratterizzano la forma di

Stato spagnola come regionale.

Il livello della Comunità autonoma è, di regola, molto più ampio delle città spagnole, con la

significativa eccezione di Madrid. La capitale del Regno, infatti, costituisce da sola una comunità

autonoma, non ulteriormente divisa in province ma solo in Comuni.

Dunque, prima ancora di fornire qualche ulteriori dettagli sulla disciplina degli enti locali in

Spagna, si è già individuata una città metropolitana, ai sensi della definizione che si è fornita

nell’introduzione al presente lavoro.

La qualificazione della città ai sensi del diritto nazionale, invece, sarà indagata con specifica

attenzione77. Non vi è dubbio che la capitale, centro non solo geografico e politico dello Stato, sia

una delle più popolose città del continente europeo con i suoi oltre 3 milioni di abitanti.

Tornando alla disciplina costituzionale, l’art. 149, 1° co., n. 18 assegna allo Stato la

competenza esclusiva in materia di: «basi del regime giuridico delle amministrazioni pubbliche e

del regime statutario dei suoi funzionari, che in ogni caso garantiranno agli amministrati un

trattamento comune davanti ad esse; procedura amministrativa comune, ferme restando le

particolarità derivanti dall’organizzazione propria delle Comunità autonome; legislazione in materia

di esproprio forzato; legislazione di base in materia di contratti e concessioni amministrative e circa

il regime della responsabilità, di tutte le amministrazioni pubbliche».

Per utilizzare un linguaggio caro al revisore costituzionale italiano, lo Stato centrale è

competente in tema di “principi fondamentali” della materia «legislazione degli enti locali», ragion

per cui residua alle Comunità autonome una competenza che si può definire concorrente a

completamento della disciplina.

La legge statale di riferimento è la legge 7/1985, del 2 aprile78, significativamente recante

Regolatrice delle basi del regime degli enti locali.

L’articolo 43 in particolare disciplina la creazione delle Aree metropolitane79: «Le comunità

autonome, dopo aver consultato l’amministrazione statale e i Consigli comunali e provinciali

76 Per il giurista abituato alle categorie italiane, l’utilizzo del tempo futuro nelle norme spagnole può creare un

lieve disorientamento, in quanto tale tempo verbale in Italia indica abitualmente possibilità o facoltà e non obbligatorietà, ma si è rispettata la traduzione letterale, avvertendo qui il lettore.

77 Cfr. il paragrafo che segue e in particolare la nota 81. 78 Più volte modificata, da ultimo dalla l. 27/2013 del 27 dicembre di razionalizzazione e sostenibilità

dell’amministrazione locale, la quale ha apportato ampie ed importanti modifiche, ma non negli art. 42-44 qui citati.

interessati, potranno creare, modificare e sopprimere, con legge, aree metropolitane, in conformità a

quanto disposto nei rispettivi Statuti» (1° co.).

Il comma seguente definisce le Aree metropolitane80 come «enti locali formati dai Comuni di

grandi agglomerazioni urbane tra i cui nuclei abitativi esistono legami economici e sociali che

necessitino di pianificazione congiunta e coordinazione di determinati servizi ed opere.»

Sia pure in nuce e in via ancora generale, la legge statale stabilisce i requisiti fondamentali di

fatto che devono appartenere ad un centro abitato poiché possa ambire allo status di città

metropolitana.

Il terzo comma del medesimo articolo 43 l. cit. aggiunge che «la legislazione della Comunità

autonoma determinerà gli organi di governo e di amministrazione [dell’area metropolitana], nei

quali saranno rappresentati tutti i Comuni appartenenti all’area; il regime economico e di

funzionamento, che garantirà la partecipazione di tutti i Comuni alla formazione delle decisioni e

una equa distribuzione dei doveri tra di essi; così come i servizi e le opere che saranno erogati o

realizzati dall’area metropolitana e il procedimento per la loro esecuzione.»81

Seguendo la sistematica della l. 7/1985, l’area metropolitana non è l’unica tipologia di

associazione di enti locali, ma esistono anche la comarca e le mancomunidades. La comarca (art.

42 l. cit.) è un’associazione di Comuni «le cui caratteristiche determinino interessi comuni» o

richiedano la gestione associata di servizi. È istituita dalle Comunità autonome secondo le

disposizioni dei rispettivi statuti e tipicamente ha estensione inferiore alla provincia. L’associazione

in mancomunidades è riconosciuta, invece, ai Comuni (art. 44) «per la realizzazione in forma

associata di opere o la fornitura di servizi determinati di propria competenza».

79 M.J. ALONSO MAS, Articulo 3 e Articulo 43, in M.J. DOMINGO ZABALLOS (a cura di), Comentarios a la Ley

Basica de Regimen Local (Ley 7/1985, de 2 de abril, Regulador de la Bases del Regimen Local), Cizur Menor, Civitas, 2005.

80 J. ALLENDE LANDA, Áreas metropolitanas: contenido, crisis y nuevos enfoques, in Revista Vasca de Administración Pública, 1986, 15, 7-26; M. CUCHILLO, F. MORATA, Organizacion y funzionamento de las areas metropolitanas, Map, Madrid, 1991; J. L. CARRO FERNÁNDEZ-VALMAYOR , Una reflexión general sobre las áreas metropolitanas, in Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, 2006, 302, 9 ss.; J. I. MORILLO-VELARDE PÉREZ, Áreas Metropolitanas, in AA.VV. (a cura di S. Muñoz Machado Santiago), Diccionario de Derecho Administrativo, I. A-G, Iustel, Madrid, 2005, 238 ss.; E. ORDUÑA PRADA, Las áreas metropolitanas, in AA.VV. (a cura di J. M. Carbonero Gallardo), La intermunicipalidad en España, Ministerio de Administraciones Públicas, Madrid, 2005, 95 ss.; A. SÁNCHEZ BLANCO, Organización intermunicipal, Iustel, Madrid, 2006, 87 ss.; J.M. FERIA TORIBIO, Los procesos metropolitanos como expresión relevante de la nueva realidad territorial, in AA.VV. (a cura di J.M. Feria Toribio), Los procesos metropolitanos: materiales para una aproximación inicial, Centro de Estudios Andaluces, Sevilla, 2006, 11 ss.

81 In dottrina, cfr. le osservazioni di A. GALÁN GALÁN , La organización intermunicipal en los Estatutos de Autonomía. Comunidades Autónomas y Gobiernos Locales, in AA.VV. (a cura di M. Zafra Víctor), Relaciones institucionales entre Comunidades Autónomas y Gobiernos Locales, Instituto Andaluz de Administración Pública, Sevilla, 2008, 83 ss.

«In tal senso, è stato affermato che, mentre le mancomunidades e le comarcas costituiscono

un’espressione istituzionale e organizzativa del principio di cooperazione, le aree metropolitane

vengono preferibilmente ricomprese fra i requisiti di coordinamento»82.

Il diverso carattere e scopo, nonché i requisiti sostanziali, delle aree metropolitane hanno

portato le Comunità autonome a non istituire tale ente nel proprio territorio, con pochissime

eccezioni, ovvero la Catalogna e la Galizia e l’ulteriore caso della Comunità di Valencia.

Tra le diverse leggi che completano la disciplina di base dettata dalla l. 7/198583 solo tre sono

relative a Città (rectius, aree) metropolitane: la Ley 2/2001, de 11 de mayo, de creacion y gestion de

aeras metropolitanas en la Comunidad Valenciana (modificata da ultimo dalla l. 5/2004 del 13

luglio); la Ley 31/2010, de 3 de agosto, del Área Metropolitana de Barcelona (Catalogna); Ley

4/2012, de 12 de abril, del Área Metropolitana de Vigo (Galizia).

In via generale, i Preamboli delle leggi, in particolari le più recenti, consentono di gettare uno

sguardo sulle motivazioni che hanno mosso i legislatori. Il preambolo (Preambulo) della legge

catalana rileva che «intorno a Barcellona si articola uno spazio di relazioni funzionali, coesistenza

urbanistica, uso come delle forniture e dei servizi che, senza dubbio, forma un ambito differenziato,

con proprie particolarità e necessità specifiche. Spetta all’Amministrazione fare in modo che

l’organizzazione territoriale ed amministrativa di un paese divenga uno strumento efficace al

servizio dell’efficienza nella gestione e del benessere dei cittadini».

Simili sono le motivazioni esposte nel Preambolo (exposicion de motivos) della legge

galiziana: «il peso demografico, economico e sociale [del territorio intorno a Vigo], così come la

continuità geografica, formano uno spazio idoneo per la creazione della prima area metropolitana in

Galizia».

Il presupposto per la creazione delle aree metropolitane è, dunque, il dato di fatto della

concretizzazione di un’area cittadina con particolari esigenze che richiede soluzioni giuridiche ad

hoc84.

Nella stessa direzione si muove la legge statale 57/2003 del 16 dicembre, de medidas para la

modernización del gobierno local85, la quale modifica la l. 7/1985 introducendo un nuovo titolo

82 J. RAMOS PRIETO, Le aree metropolitane come istituzioni funzionali nell’esperienza spagnola, in G.F.

FERRARI, P. GALEONE (a cura di), Città a confronto. Le istituzioni metropolitane nei paesi occidentali, cit., 158. 83 Nelle quali spesso è prevista una disciplina generale per le Aree metropolitane, rimettendo ad una legge

ulteriore l’istituzione dell’ente. In dottrina, R. RIVERO ORTEGA, Problemas administrativos en los nuevos espacios metropolitanos: la ausencia de una respuesta normativa suficiente en la Comunidad Autónoma de Castilla y León, in Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, 2006, 300-301, 381 ss.; F. TOSCANO GIL, La articulación jurídica del fenómeno metropolitano en Andalucía, in Revista de Estudios de la Administracion Local y Autonomica, 2010, 312, 103 ss.

84 M. GONZALEZ MEDINA, Il processo di istituzionalizzazione della città metropolitana sulla base dell’esperienza spagnola, in www.astrid.eu, 1, rileva che «la funzione della norma non è “creare”, ma “riconoscere” una realtà metropolitana».

relativo al “Régimen de organización de los municipios de gran población”, differerenziando, cioè,

tra i Comuni spagnoli i “grandi centri” urbani86. Il preambolo di tale legge giunge ad ammettere che

l’uniformità di disciplina dettata dalla normativa sugli enti locali, pienamente corrispondente al

modello europeo-continentale francese, non sia adeguata alle esigenze delle grandi città: «di questa

uniformità hanno sofferto particolarmente le maggiori città spagnole, che hanno reclamato un

regime giuridico che permettesse di far fronte alla loro grande complessità come strutture politico-

amministrative». In altri termini, la modernizzazione del governo locale passa attraverso la

differenziazione delle grandi città, nella convinzione che i problemi delle città non siano i medesimi

dei comuni minori. Tuttavia, l’ampia flessibilità concessa dal legislatore sulla qualificazione dei

Comuni meritevoli di differenziazione lascia spazio a considerazioni fondate su fattori diversi dalla

mera consistenza numerica dei residenti. Dunque, la flessibilità delle previsioni legislative sommata

alla discrezionalità delle scelte di ogni singola Comunità autonoma sembra delinearsi come vero

tratto caratteristico della disciplina complessiva87.

2. La Comunità autonoma di Madrid

Il comprensorio della città di Madrid appartiene, dal punto di vista del diritto pubblico, al

territorio della Comunità autonoma di Madrid88. Lo Statuto di autonomia si apre dichiarando che

Madrid costituisce una comunità autonoma «in espressione dell’interesse nazionale e delle sue

peculiari caratteristiche sociali, economiche, storiche e amministrative» (art. 1, 1° co.).

Gli organi della Comunità autonoma sono l’Assemblea, il Presidente, il Governo e il

Tribunale superiore, ai sensi dell’art. 152 della Costituzione.

L’Assemblea «rappresenta il popolo di Madrid» (art. 9) ed è il legislativo della Comunità. È

eletta ogni quattro anni direttamente dal popolo. È lo stesso Statuto a prevedere che le elezioni siano

in ragione proporzionale e con una soglia di sbarramento del 5%, (art. 10) mentre la disciplina

85 AA.VV. (a cura di T. Font i Llovet), La ley de modernizacion del gobierno local, Anuario del Gobierno Local

2003, Barcelona, 2004. 86 Specificamente, i Comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti; oppure i Comuni che abbiano una

popolazione di più di 175.000 abitanti e che siano anche capoluoghi di provincia; ovvero ancora comuni più piccoli ma per i quali un regime diverso sia giustificato da una decisione del legislativo della rispettiva Comunità autonoma in ragione del ruolo istituzionale della città ovvero, in ultima istanza, Comuni con più di 75.000 abitanti che presentino caratteristiche economiche, sociali, storiche o culturali che, a giudizio del legislativo della Comunità, possano giustificare.

87 Così come si legge nel preambolo della legge della comunità valenciana 2/2001: «Area metropolitana, spazio metropolitano, agglomerazione urbana o grande città (gran urbe) sono alcune delle espressioni con le quali si allude al medesimo fenomeno: la concentrazioni della popolazione in un ambito territoriale caratterizzato da un constante movimento di scambio tra i luoghi di abitazione, lavoro e tempo libero della popolazione che li abita».

88 L. I. ORTEGA ÁLVAREZ, Madrid capital metropolitana, in Revista de Estudios de la Administracion Local y Autonomica, 1991, 252, 795 ss., con riferimenti alla dottrina citata.

elettorale di dettaglio è rimessa alla legge (1/1986 del 16 dicembre). Non è previsto un numero fisso

di seggi, ma la composizione è calcolata in ragione di un rappresentante ogni 50.000 abitanti o

frazione superiore a 25.000, tale per cui la composizione attuale è di 129 membri.

Il Presidente della Comunità autonoma è politicamente responsabile davanti all’Assemblea. Il

procedimento di nomina (art. 18) prevede che il Presidente dell’Assemblea designi un candidato che

possa ottenere la fiducia previa consultazione con i gruppi politici, ciascuno dei quali propone un

proprio nominativo. Se l’Assemblea concede la fiducia al candidato proposto, egli viene nominato

formalmente dal Re, altrimenti la procedura si ripete e, se non si trova nessun accordo entro due

mesi, si procede a nuove elezioni. Ugualmente razionalizzata è l’eventuale mozione di sfiducia (art.

20), che deve essere presentata da almeno il 15% dei membri, tra cui un candidato presidente e non

può essere discussa prima di 5 giorni dalla sua presentazione. Se approvata, funziona come una

sfiducia costruttiva, nel senso che si ritiene che il candidato presidente firmatario si intende abbia la

fiducia dell’Assemblea e viene, di conseguenza, nominato dal Re. Parallelamente il Presidente, su

decisione del Governo ma sotto la sua esclusiva responsabilità (art. 21) può scogliere l’Assemblea e

provocare nuove elezioni.

I membri del Governo sono nominati e revocati dal Presidente (art. 22 statuto e Ley 1/1983,

de 13 de diciembre, de Gobierno y Administración de la Comunidad de Madrid).

Le competenze della Città metropolitana sono quelle di una Comunità autonoma. Tra tutti,

sono particolarmente significativi il potere legislativo ed un potere esecutivo appartenente ad un

livello di governo secondo solo alle autorità centrali dello Stato, elementi che fanno di Madrid la

conurbazione metropolitana più simile ad un’autentica città-stato89 tra quelle qui analizzate.

Tuttavia, è anche possibile sostenere l’esatto contrario, ovvero che Madrid non è una Città

metropolitana ma è soltanto (ovvero, in via esclusiva) una Comunità autonoma.

Un appiglio testuale è fornito dalla stessa normativa della Comunità madrilena. La disciplina

degli enti locali nella Comunità, ripartita dalla Costituzione come si è visto sopra, è contenuta nella

Ley 2/2003, de 11 de marzo, de Administración Local de la Comunidad de Madrid, il cui articolo

76 “Aree ed Enti metropolitani” reca: «Con legge dell’Assemblea di Madrid potranno crearsi Aree

o Enti metropolitani per la gestione concreta delle opere e dei servizi che chiedono una

pianificazione, coordinamento o gestione congiunta nei Comuni della zona urbana secondo le

disposizioni dell’art. 43 della legge 7/1985».

Al momento in cui si scrive, nessuna area metropolitana di questo tipo è stata istituita.

Pertanto, la Comunità autonoma non è un’area metropolitana ai sensi della definizione della legge 89 Anche rispetto alle Città Stato tedesche per le quali l’area metropolitana trascende i confini del Land. Cfr. la

parte dedicata alla Germania (spec. par. 2) del presente lavoro. In dottrina, C. DEODATO, Le città metropolitane: storia, ordinamento, prospettive, in www.giustizia-amministrativa.it.

spagnola e madrilena90. Anzi, le Aree metropolitane appaiono intrinsecamente pensate dal

legislatore come enti specializzati fornitori di servizi piuttosto come enti di governo politicizzati,

come conferma l’utilizzo del plurale da parte del legislatore madrileno, che riflette la possibilità

dell’istituzione di più città metropolitane in quella che, sotto il profilo oggettivo, è un’unica grande

città.

3. Il diritto delle Comunità autonome: Catalogna, Galizia e Valencia.

Si sono già elencate le leggi istitutive delle aree metropolitane di Barcellona, Valencia e

Vigo91. L’analisi degli esempi tratti dal diritto delle rispettive Comunità hanno anche lo scopo di

chiarire il modello dell’area metropolitana, dopo aver notato che l’esempio di più facile

individuazione, Madrid, può essere definita come Città metropolitana solo sotto un profilo

sostanziale e non giuridico.

La legge catalana 31/2010 crea l’Area metropolitana di Barcellona (AMB) innovando la

disciplina previgente92, già orientata verso forme di collaborazione limitata a settori ben definiti93.

Ai sensi dell’art. 1, 2° co. della legge istitutiva, l’AMB è un «ente locale sovracomunale di carattere

territoriale» i cui confini corrispondono a quelli dei 36 Comuni che ne fanno parte (art. 2, co. 1)94.

Eventuali ingrandimenti territoriali sono possibili ma non può venire meno la continuità territoriale

tra i Comuni (art. 2, 2° co.).

In quanto ente di diritto pubblico, l’AMB detiene poteri normativi (regolamentari) e d’imperio

tipici (art. 3). Gli organi di governo sono il Consiglio metropolitano (Consejo Metropolitano), il

Presidente, la Giunta (Junta de Gobierno) e la Commissione speciale dei Conti (Comisión Especial

de Cuentas), salva la possibilità che il Consiglio istituisca altri organi complementari.

90 Dal punto di vista dei dati statistici, anche se la Comunità madrilena non è né la Comunità autonoma dalla

minore estensione territoriale né quella dal maggiore numero di abitanti, è proprio nella regione della capitale che si registra la maggiore concentrazione di abitanti per chilometro quadrato. In altri termini, ciò che autorevole dottrina chiamava “densità sociale” (A. AQUARONE, Grandi città e aree metropolitane in Italia, Zanichelli, Bologna, 1961).

91 Sulle quali si veda, altresì, la breve analisi di comparata di M. GONZALEZ MEDINA, Il processo di istituzionalizzazione, cit.

92 Ley 7/1987, con la quale erano disciplinate due aree metropolitane, entrambe avente come fulcro Barcellona ma comprendenti un numero diverso di Comuni, una relativa ai trasporti urbani e l’altra, territorialmente più ampia, relativa ai servizi idrici e allo smaltimento dei rifiuti (rispettivamente l’Entidad Metropolitana del Medi Ambient e l’Entidad Metropolitana del Transporte).

93 Oltre alle due aree metropolitane citate alla nota precedente, la mancomunidad e le comarcas della zona di Barcellona.

94 Badalona, Badia del Vallès, Barberà del Vallès, Barcelona, Begues, Castellbisbal, Castelldefels, Cerdanyola del Vallès, Cervelló, Corbera de Llobregat, Cornellà de Llobregat, Esplugues de Llobregat, Gavà, L’Hospitalet de Llobregat, Molins de Rei, Montcada i Reixac, Montgat, Pallejà, La Palma de Cervelló, El Papiol, El Prat de Llobregat, Ripollet, Sant Adrià de Besòs, Sant Andreu de la Barca, Sant Boi de Llobregat, Sant Climent de Llobregat, Sant Cugat del Vallès, Sant Feliu de Llobregat, Sant Joan Despí, Sant Just Desvern, Sant Vicenç dels Horts, Santa Coloma de Cervelló, Santa Coloma de Gramenet, Tiana, Torrelles de Llobregat e Viladecans.

Nel Consiglio sono rappresentati tutti i Comuni membri dell’area, nella proporzione di 25

membri per Barcellona, 4 membri per i Comuni con più di 100.000 abitanti, 3 membri per i Comuni

con meno di 100.000 abitanti ma più di 75.000, 2 membri per i Comuni con meno di 75.000 abitanti

ma più di 20.000 e un membro per i Comuni sotto i 20.000 abitanti (per un totale di 89 membri).

Consiglieri di diritto sono i Sindaci dei Comuni, mentre gli altri membri (fino alla

concorrenza del numero assegnato a ciascun ente) sono scelti dai Consigli comunali in proporzione

ai risultati politici ottenuti nelle elezioni comunali. Il mandato dei Consiglieri dell’AMB coincide

con i rispettivi mandati del Comuni. L’elezione, formalmente di secondo livello, è legata alle

preferenze espresse dai cittadini e comunque pone i Sindaci in posizione di rilievo. Non solo è

disciplinato un Consiglio dei Sindaci con potere di iniziativa nei confronti del Consiglio, ma lo

stesso Consiglio dei Sindaci ha il potere di proporre al Consiglio dell’AMB il nominativo del

Presidente (dell’Area metropolitana intera, dunque del Consiglio come della Giunta) che è eletto dal

Consiglio medesimo ma deve essere necessariamente il Sindaco di uno dei Comuni95.

Le competenze dell’AMB sono l’eredità delle competenze esercitate dalle forme associative

preesistenti e sono elencate dettagliatamente dall’art. 14 della legge istitutiva: urbanistica; trasporto

e mobilità, comprendente il piano strategico e la promozione della mobilità sostenibile ma anche

l’ordinamento del servizio taxi e la gestione del trasporto municipale; acqua, sia pure in

concorrenza con l’Administración hidráulica de Cataluña, comprendente la gestione del servizio

idraulico a domicilio e il sistema di depurazione; i rifiuti; altre competenze in materia di ambiente,

particolarmente la formulazione di un piano strategico per la protezione dell’ambiente, la salute e la

biodiversità, la collaborazione tra comuni per implementare le disposizioni della legislazione di

settore, la promozione ed eventualmente la gestione di installazioni che producono energia

rinnovabile; infrastrutture di interesse metropolitano; sviluppo economico e sociale; coesione

sociale e territoriale («al fine di migliorare le condizioni di vita dei cittadini e l’equilibrio territoriale

dei Comuni» ed elaborare politiche pubbliche in materia di sicurezza).

In definitiva, l’Area Metropolitana di Barcellona ha un carattere orientato alla gestione

concreta dei servizi di cui si assume la responsabilità, congiuntamente ad un’elaborazione strategica

che è espressione del coordinamento dei governi locali piuttosto che di politiche indipendenti.

Un’area orientata verso l’amministrazione ma non priva di una componente autenticamente

metropolitana.

Non si può non leggere nel disegno politico della creazione dell’AMB un’espressione della

volontà autonomistica e indipendentista dell’intera Catalogna: da un lato, la collocazione della

capitale della Comunità come autentica Area metropolitana a livello della legislazione spagnola,

95 Attualmente è il Sindaco di Barcellona.

ma, dall’altro lato – implicitamente – la sua qualificazione come (al momento della creazione) unica

Città metropolitana della Spagna, al fianco di Madrid, la capitale del Paese. Coerentemente, l’art. 89

dello Statuto catalano del 200696, prevede che la capitale della Comunità dispone di un regime

speciale stabilito dalla legge.

La regione Galizia ha creato con legge 4/2012 del 12 aprile l’Area metropolitana di Vigo97,

che viene definita, come l’AMB, «ente locale sovracomunale di carattere territoriale» (art. 1, co. 2).

La organizzazione del governo e dell’amministrazione dell’area è determinata dalla seguente

struttura: l’Assemblea metropolitana, il Presidente, coadiuvato da due Vicepresidenti, la Giunta di

governo metropolitana, il comitato di cooperazione (Comité de cooperacion) e la commissione

speciale dei conti (Comision especial de cuentas).

L’Assemblea, organo centrale e motore, «organo di massima rappresentazione politica delle

cittadine e dei cittadini nel governo metropolitano, sarà formata dalla persona che occupa la

presidenza e dai rappresentanti provenienti dai Comuni che saranno denominati consigliere o

consiglieri metropolitani» (art. 5, 1° co.).

Ogni Comune ha un numero diverso di rappresentanti a seconda del numero di abitanti: 1

rappresentante per i comuni con meno di 10.000 abitanti, 2 per quelli fino a 15.000 abitanti, 3 per

quelli fino a 20.000 abitanti, 4 per quelli fino a 50.000 abitanti, 5 per quelli fino a 100.000 abitanti e

10 per quelli fino a 200.000 abitanti.

I Sindaci sono membri di diritto dell’assemblea e ciascun consiglio comunale elegge i

rimanenti rappresentanti nel numero di quanti sono assegnati.

Il presidente e i vicepresidenti sono eletti dall’assemblea nella sua prima seduta tra i suoi

membri «con voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti nella prima votazione,

semplice nella seconda. Potranno essere candidati unicamente i rappresentanti dei comuni che siano

sindaci» (art. 10). La giunta, di cui è membro il Presidente, è formata di nuovo dai sindaci (art. 11).

Le competenze dell’area metropolitana, «rivolte, in ogni caso, a conseguire o mantenere la

coesione socioeconomica e lo sviluppo del territorio» (art. 1, 3° co.), riguardano: la promozione

economica, dell’impiego e dei servizi sociali; il turismo e la promozione della cultura; la mobilità e

il trasporto pubblico dei viaggiatori; l’ambiente, l’acqua e la gestione dei rifiuti; la prevenzione e lo

spegnimento degli incendi; la protezione civile e il salvataggio; l’ordinamento territoriale e la

96 In particolare, J. TORNOS MAS, R. GRACIA RETORTILLO, La organización territorial en los nuevos Estatutos de

Autonomía. En especial, el nivel local supramunicipal en Cataluña, in A.A.VV. (a cura di T. Font i Llovet, A. Galán Galán), Anuario del Gobierno Local 2008.

97 Della quale fanno parte i Comuni di Baiona, Cangas, Fornelos de Montes, Gondomar, Moaña, Mos, Nigrán, Pazos de Borbén, O Porriño, Redondela, Salceda de Caselas, Salvaterra de Miño, Soutomaior e Vigo per un totale di circa mezzo milione di abitanti. La città di Vigo è sulla costa atlantica della Spagna e l’area confina direttamente con il Portogallo (in particolare con la città di Porto, a sua volta area metropolitana di diritto portoghese).

cooperazione urbanistica; la coordinazione nelle tecnologie dell’informazione e della

comunicazione (art. 15, 2° co.)98.

L’area metropolitana ha il compito di predisporre piani e progetti strategici nei settori di

competenza, nonché «potrà realizzare attività di carattere materiale, tecnico o di servizi di

competenza di altre amministrazioni pubbliche che saranno affidati per ragioni di efficacia. Il

procedimento per l’affidamento della gestione sarà regolato da apposita normativa» (art. 15, 5° co.).

La Comunitad valenciana ha istituito con la ley 2/2001, dell’11 maggio, due Enti

metropolitani, specificamente per il trattamento dei rifiuti e dei servizi idrici, ma la disciplina è stata

completamente innovata dalla riforma complessiva della normativa sugli enti locali99, che ha

lasciato in vigore solo le disposizioni addizionali (disposiciones adicionales): dal punto di vista

della tecnica redazionale, la disciplina generale delle aree metropolitane valenciane è dettata dalla l.

8/2010 (artt. 74-86), mentre la l. 2/2001 continua a disciplinare la creazione dei due specifici enti.

Secondo l’art. 74 della l. 8/2010, le aree metropolitane sono «enti locali composti dai Comuni

di grandi agglomerati urbani tra i cui nuclei esistano vincoli urbanistici, economici e sociali che

rendano necessaria la pianificazione congiunta e la gestione coordinata di determinate opere e

servizi». L’istituzione delle aree metropolitane sono di competenza dell’assemblea parlamentare

della Comunità, che approva la legge istitutiva a maggioranza qualificata (art. 74, 2° co.).

Gli organi sono l’Assemblea, il Presidente (rectius, la Presidencia) e la Commissione di

Governo (art. 77). L’Assemblea è formata da una persona in rappresentanza di ogni Comune (art.

78, 2° co.) e ciascun rappresentante ha un numero di voti ponderati che garantisce la partecipazione

dei Comuni in ragione della distribuzione degli impegni assunti.

La presidenza è un organo unipersonale eletto dall’assemblea tra i suoi membri a maggioranza

dei due terzi dei voti ponderati in prima votazione e a maggioranza assoluta in seconda votazione

(art. 80). Sono previsti due vicepresidenti, designati dal presidente tra i membri della Giunta del

Governo locale, ovvero dalla Giunta comunale.

Infine, la Commissione di governo è formata dalla Presidenza e da altri otto membri

dell’Assemblea eletti da quest’ultima in modo che vi sia almeno un rappresentante per i Comuni

sotto i 10.000 abitanti, tra i 10.000 e i 20.000 abitanti, tra i 20.000 e i 100.000 abitanti e più di

100.000. Il Segretario dell’ente metropolitano partecipa alle riunioni senza diritto di voto (art. 81, 2°

co.).

98 I successivi commi 3 e 4 aggiungono che altre competenze possono essere assegnate da altre leggi o possono

essere delegate da altri enti locali o dallo Stato. 99 Ley 8/2010, de 23 de junio, de la Generalitat, de Régimen Local de la Comunitat Valenciana.

Fino a qui la disciplina generale: ai sensi della l. 2/2001, sono istituiti l’Ente metropolitano

dei servizi idraulici e l’Ente metropolitano per il Trattamento dei Rifiuti100.

La legge istitutiva è estremamente sintetica quanto alle competenze e alla struttura dei due

enti: il primo è competente in merito al servizio idrico «fino punto di distribuzione municipale», il

secondo è competente in merito «alla prestazione dei servizi di valorizzazione ed eliminazione dei

rifiuti urbani, in accordo con gli obiettivi decisi dalla Comunità autonoma» nel rispetto della

legislazione del settore. Entrambi gli enti si avvalgono della rispettiva società strumentale per

l’esercizio concreto delle attività previste.

4. Un modello perdente?

Una grande città, la capitale del Paese, e quattro aree metropolitane – delle quali Barcellona è

quella di gran lunga più rappresentativa101 e di cui due sono sovrapposte – costituiscono l’intero

patrimonio delle Città metropolitane spagnole.

A meno di non voler mettere in discussione definitivamente la definizione non solo di Città

metropolitana, che non appartiene al diritto positivo iberico, ma anche la definizione di “area

metropolitana”102, dando così modo di includere diverse esperienze di governo locale in forma

associata103, bisogna riconoscere che la notevole flessibilità teorica offerta dal legislatore non ha

trovato concretizzazione.

100 I membri i due enti non sono i medesimi: ai Comuni che appartengono all’ente trattamento rifiuti (Alaquàs,

Albal, Albalat dels Sorells, Alboraya, Albuixech, Alcàsser, Aldaia, Alfafar, Alfara del Patriarca, Almàssera, Benetússer, Beniparrell, Bonrepòs i Mirambell, Burjassot, Catarroja, Emperador, Foios, Godella, Lugar Nuevo de la Corona, Manises, Massalfassar, Massamagrell, Massanassa, Meliana, Mislata, Moncada, Museros, Paiporta, Paterna, Picanya, Picassent, la Pobla de Farnals, Puçol, Puig, Quart de Poblet, Rafelbuñol, Rocafort, San Antonio de Benagéber, Sedaví, Silla, Tavernes Blanques, Torrent, Valencia, Vinalesa e Xirivella) si aggiungono altri Comuni che partecipano solamente all’ente dei servizi idraulici (Alfarp, Catadau, Llombai, Monserrat, Montroy e Real de Montroi).

101 L’area metropolitana di Vigo conta poco meno di 500.000 abitanti ed è obiettivamente periferica, ben poco sponsorizzata dagli stessi Comuni che ne fanno parte (è persino priva di un sito ufficiale); i due enti metropolitani di Valencia hanno ruolo marginale, al punto che la dottrina ne ha messo in discussione l’autentica appartenenza al novero delle Aree metropolitane: A. SÁNCHEZ BLANCO, Organización intermunicipal, cit., 87 ss. (non giova la lettera delle norme, dato che, come si è visto, la legge istitutiva li definisce “enti”, mentre la legge quadro fa riferimento solo alle “aree”).

102 Di carattere ambivalente dell’espressione parla C. BARRERO RODRÍGUEZ, Las áreas metropolitanas, Instituto García Oviedo, Civitas, Madrid, 1993, 59.

103 Non aiuta nella qualificazione l’osservazione di M. ALMEIDA CERRADA, La cooperacion entre Municipios: una posible alternativa a la reordenacion de la planta local en Espana, in Ist. Fed., 2012, 3, 611 nota 25, il quale, trattando delle forme di collaborazione tra Comuni, esplicitamente esclude alla radice le aree metropolitane «perché non sono una formula di cooperazione tra Enti locali in senso stretto; piuttosto tali enti sono il risultato della decisione della Comunità autonoma di creare un nuovo livello territoriale di ambito sovracomunale, finalizzato alla miglior gestione di determinati interessi pubblici».

Considerati gli scarsi risultati di una normativa sostanzialmente silente e non attuata fin dagli

anni ’80, la dottrina non esita, in verità, a parlare di fallimento del modello dell’area

metropolitana104.

Il problema ha, secondo alcuni, radici storiche105: le Città metropolitane verrebbero percepite

come una sgradita riproposizione degli enti locali metropolitani dell’epoca franchista106. Ciò

configura un fallimento che non dipende da fattori giuridici.

È verosimile che le Città metropolitane spagnole soffrano del ruolo intermedio che è stato

loro assegnato: sono (o possono essere) enti una certa rilevanza amministrativa e politica, sia pure

con rappresentanza di secondo livello, ma, contemporaneamente non costituiscono una forma di

gestione di problemi concreti che non possa essere affrontata con altri strumenti giuridici.

Compresse tra il livello delle Comunità autonoma e quella dei Comuni, sono al tempo stesso

candidate a entrare in competizione con le prime, anche in quanto naturalmente centrate sulle città

capitali regionali e a mettere in ombra i secondi. Ne consegue che la volontà politica di istituirle

deve essere particolarmente intensa, come dimostra il caso di Barcellona, grande città autonomista

ancor prima che area metropolitana ai sensi del diritto. In caso contrario, le difficoltà strutturali

dell’autonomia (e, per certi versi, della medesima tenuta dello Stato) in Spagna prevalgono ed

escludono a priori la creazione di un ulteriore ente dalla qualificazione non chiara.

In particolare, la formula del cd. café para todos, ovvero la creazione di un regionalismo

uniforme nella struttura costituzionale ma fortemente differenziato al suo interno107 «incluse quelle

zone in cui non era presente una particolare sensibilità autonomistica»108 ha influito indirettamente

sulle Città metropolitane provocandone il “fallimento” ancor prima della sperimentazione concreta.

104 F. TOSCANO GIL, El fenómeno metropolitano y sus soluciones jurídicas, Iustel, Madrid, 2010, 243-248; A.

PÉREZ MORENO, Las áreas metropolitanas entre la esperanza y la aporía, in Revista de Derecho Urbanístico, 1994, 140, 29 ss.

105 F. SOSA WAGNER, Manual de Derecho Local, Cizur Menor, Aranzadi, 2005. 106 G. GUERRA-LIBRERO Y ARROYO, La entidad municipal metropolitana de Barcelona, in Revista Estudio de la

Vida Local, 1974, 184, 633 ss.; F. LLISET BORREL, Naturaleza juridica de la Entidad Municipal Metropolitana de Barcelona, in RDU, 42/1975; T.R. FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ, Áreas metropolitanas y descentralización, in AA.VV. (S. Martín-Retortillo Baquer), Descentralización administrativa y organización política. Tomo III. Nuevas fórmulas y tendencias, Alfaguara, Madrid, 1973.

107 M. ETINGER DE ARAUJO Junior, Las competencias urbanisticas y la planificacion metropolitana en el Estado autonomico espanol e en el federalismo Brasileno, in Boletino Mexicano de Derecho Comparado, 2013, 138, 879 ss. passim.

108 A. GALÁN GALÁN , Editoriale, in Ist. fed., 2001, 1, 6.

Portogallo: un Paese in due aree metropolitane

1. Appunti sul diritto portoghese degli enti locali

La Costituzione portoghese del 1976, pur riaffermando la natura unitaria dello Stato,

disciplina in dettaglio la materia relativa agli enti locali sulla base dei principi di sussidiarietà,

autonomia e decentramento amministrativo, espressamente enunciati nel testo costituzionale (art.

6.1)109.

Potere locale che è, quindi, previsto e descritto come autonomo e democratico. In forma più

ampia, la stessa Costituzione, all’art. 235, inserito nel Titolo VIII della Parte III, dedicato al “Potere

locale”, stabilisce, al comma 1°, che «l’organizzazione democratica dello Stato comprende

l’esistenza di autarchie locali». E conclude, da un lato, specificando che «l’organizzazione delle

autarchie locali comprende un’assemblea eletta dotata di poteri deliberativi e un organo esecutivo

collegiale responsabile di fronte ad essa» (art. 239, 1° co.); dall’altro, che «l’assemblea è eletta a

suffragio universale, diretto e segreto da parte dei cittadini censiti nell’area della rispettiva

autarchia, secondo il sistema della rappresentanza proporzionale» (art. 239, 2° co.)110.

Il nucleo del potere locale democratico in Portogallo è, così, costituito dalle autarchie

locali111. Espressione dell’autonomia del potere locale, le autarchie locali sono definite nel testo

stesso della Costituzione portoghese come «persone collettive territoriali dotate di organi

rappresentativi, che mirano a perseguire gli interessi propri delle rispettive popolazioni» (art. 235,

109 Così l’art. 6.1. Cost. per cui «Lo Stato è unitario e rispetta nella sua organizzazione e funzionamento il regime

autonomistico insulare ed i principi della sussidiarietà, dell’autonomia delle autarchie locali e della decentralizzazione democratica della pubblica amministrazione».

110 P. CRUZ SILVA , La riforma del potere locale in Portogallo, in Istituzioni del Federalismo, 2012, 3, 639 ss.; M. ALMEIDA CERREDA, Portugal: el debate sobre la reforma de la Administración Local, in L. COSCULLUELA

MONTANER, L. MEDINA ALCOZ (a cura di), Crisis Económica y Reforma del Regimén Local, Civitas, Madrid, 2012, 426 ss.

111 Lo statuto del potere locale in Portogallo si è compendiato, ancora più che nella stessa Costituzione, attraverso un vasto corpus legislativo fondamentale: la legge 1° agosto 1996, n. 27 (Legge di tutela amministrativa), la legge 14 settembre 1999, n. 159 (che stabilisce i principi per il conferimento delle funzioni alle autarchie locali), la legge 18 settembre 1999, n. 169 (che stabilisce il quadro di competenze, così come il regime giuridico di funzionamento, degli organi dei municipi e delle freguesias), la Legge organica 24 agosto 2000, n. 4 (che disciplina il regime giuridico del referendum locale), la Legge organica 14 agosto 2001, n. 1 (Legge elettorale degli organi delle autarchie locali), la legge 15 gennaio 2007, n. 2 (Legge delle finanze locali) e infine il decreto legge 23 ottobre 2009, n. 305 (che approva il regime giuridico dell’organizzazione dei servizi delle autarchie locali).

2° co.). La stessa Costituzione precisa quali sono le autonomie locali, menzionando «le freguesias, i

municipi e le regioni amministrative» (art. 236, 1° co.).

La freguesia rappresenta una delle principali originalità dell’organizzazione amministrativa

territoriale portoghese, non trovandosi figure analoghe in altri ordinamenti europei: essa è

un’autarchia locale di base, con una dimensione storica radicata nel tempo, la quale riceve, dalla

legge ordinaria, un insieme di attribuzioni proprie e specifiche, in ordine al perseguimento dei

propri fini di utilità pubblica, con una particolare inclinazione verso il valore della prossimità che

fornisce ai cittadini.

Nel contesto ordinamentale qui analizzato, un ruolo centrale viene svolto dai municipi. Ciò è

dovuto anche al fatto che Stato portoghese non ha mai implementato il progetto regionalista, pur

descritto e prescritto in Costituzione. In effetti, il Portogallo ha solo due regioni, corrispondenti ai

suoi arcipelaghi nell’oceano Atlantico112, mentre, nella parte continentale del paese, le regioni – pur

previste nella Costituzione sin dal 1976 – non sono mai state istituite113.

Quindi, si potrebbe discorrere del mancato regionalismo portoghese come di un’omissione del

legislatore che ha dato luogo ad un’originale forma di decentramento amministrativo, teso a

valorizzare un livello più basso di potere (il municipio) e non il livello intermedio.

Tale scelta è stata determinata anche della forte tradizione municipale che caratterizza la

storia portoghese114, in cui i comuni hanno sempre svolto un ruolo centrale, in particolare definendo

e dando attuazione alle politiche in materia di servizi e prestazioni sociali.

La funzione svolta dalle autarchie nel contesto portoghese emerge anche da una recente

sentenza del Tribunale costituzionale nella quale si è sottolineato come «la Costituzione è rilevante

per il diritto degli enti locali per lo meno per tre motivi. Il primo motivo è che è all’interno della

Costituzione che vengono definiti i valori ed i principi strutturanti del diritto degli enti locali (…) Il

secondo è che la Costituzione del 1976 ha avuto la chiara intenzione di definire espressamente

l’organizzazione del potere politico a livello locale, elevando in tal modo gli organi del potere

112 L’art. 225, 1° co., stabilisce che gli arcipelaghi delle Azzorre e di Madera devono disporre di un regime

politico-amministrativo proprio, motivato dalle loro caratteristiche geografiche, economiche, sociali e culturali, e dalle storiche aspirazioni autonomiste delle popolazioni isolane. Tale autonomia non incide sull’integrità della sovranità dello Stato e si esercita nell’ambito della Costituzione (art. 225, 3° co.). Le regioni autonome sono persone giuridiche territoriali, dotate di statuti politico-amministrativi propri e con un’ampia autonomia politica, legislativa e amministrativa.

113 M.S. D’OLIVEIRA MARTINS, Il regionalismo portoghese, in Atti del Convegno ISSiRFA-Tor Vergata, I cantieri del federalismo in Europa, Camera dei Deputati, Roma, 2000, 76 ss.; A. D’OLIVEIRA MARTINS, La descentralización territorial y Ia regionalización administrativa en Portugal, in Documentación Administrativa nº 257-258, Madrid, 2000, 105-108; C. BLANCO DE MORAIS, O Défice estratégico da ordenação constitucional das autonomias regionais, in Revista da Ordem dos Advogados, III, 66, 2006, 1153-1186; A. CANDIDO DE OLIVEIRA , As regiões administrativas, a Constituição e o referendo, in Estudos Jurídicos e Económicos em Homenagem ao Prof. Doutor António de Sousa Franco, Faculdade de Direito da Universidade de Lisboa, Coimbra Editora, 2006, 172-185.

114 A.R. MONTALVO, Os Municípios do Antigo regime ao Estado Corporativo, in AA.VV., O Processo de Mudança e o Novo Modelo da Gestão Pública Municipal, Almedina, Lisboa, 2003, 23 ss.

locale al rango di organi costituzionali attribuendo loro un sistema di garanzie costituzionali simili a

quelle applicabili agli organi di sovranità e delle regioni autonome (...) Il terzo motivo è che la

Costituzione ha regolato in modo esaustivo molti altri aspetti dell’amministrazione e del regime

locale, in quello che possiamo qualificare come diritto costituzionale locale (…) Di fatto, la vigenza

di una garanzia costituzionale degli enti locali, prevista dall’art. 235, 1° co., della Costituzione,

assume il significato di garanzia istituzionale, assicurando l’esistenza dell’amministrazione

autonoma degli enti locali. La garanzia dell’autonomia costituisce un limite materiale di revisione

costituzionale (art. 288, lett. n, Cost.) e gode di una protezione ad ampio raggio» (Trib. cost. port.,

28 maggio 2013, n. 296/2013)115.

2. Le associazioni tra comuni

Il decentramento amministrativo richiede il rafforzamento dei poteri di gestione locale, che

può affermarsi solo in due modi: fusione di enti locali o rafforzamento della cooperazione

intercomunale per mezzo di associazioni o di condivisione dei servizi, in particolare di quelli di

interesse inter-municipale.

Le associazioni comunali, indipendentemente dalla qualificazione giuridica formale

modellabile nel tempo, richiedono la creazione da parte di due o più comuni di una nuova entità

giuridica, con personalità giuridica e proprie attività, che lavori per promuovere l’interesse pubblico

comune.

In Portogallo, la Costituzione del 1976, nella sua formulazione originaria, prevedeva il diritto dei

comuni di creare associazioni o federazioni di comuni, facoltà che, con una modifica costituzionale

del 1997, è ora disciplinata espressamente, prevedendosi che, con legge ordinaria, si possano creare

associazioni o federazioni tra comuni, attribuendo alle stesse specifiche competenze.

Una prima disciplina della materia è stata dettata nel decreto-legge n. 266/81 del 15 settembre

1981, nel quale si è definito uno statuto specifico per le associazioni tra comuni, qualificate quali

persone giuridiche di diritto pubblico create per accordo tra due o più comuni limitrofi con il fine di

perseguire specifici interessi comuni. Tale regime giuridico è stato modificato, con abrogazione del

decreto-legge n. 266/81, dal decreto-legge n. 412/89 del 29 novembre 1989, a sua volta innovato

dalla legge n. 172/99 del 21 settembre 1999.

115 G. VAGLI, Portogallo: la riforma degli enti locali viene dichiarata incostituzionale, in

www.forumcostituzionale.it, 12.06.2013.

Nel 2003, in una logica di rafforzamento del decentramento, si è tentata una ridefinizione del

regime legale delle associazioni tra i comuni con l’approvazione delle leggi n. 10/2003 e n. 11/2003

del 13 maggio 2003.

Secondo il nuovo regime le entità associative possono essere suddivise in due categorie: a)

Associazioni con finalità generali [Aree metropolitane (AM) e Comunità generali intercomunali

(CIM )]; b) Associazioni con finalità specifiche [Associazioni a finalità specifiche (FMEA)].

La legge n. 10/2003 ha definito il meccanismo di istituzione, le attribuzioni e le competenze,

oltre ai criteri di funzionamento degli organi delle Aree metropolitane, differenziandone il regime a

seconda del livello demografico e territoriale tra: le grandi aree metropolitane (GAM) - con un

minimo di nove municipi con almeno 350.000 abitanti - e le Comunità urbane (ComUrb), con un

minimo di tre comuni con almeno 150.000 abitanti.

Le due leggi (n. 10/2003 e n. 11/2003) operano in combinazione, ovvero se una realtà non

raggiunge i requisiti dimensionali sopra indicati, potrà comunque associarsi per il perseguimento di

finalità generali costituendo un CIM ai sensi della legge n. 11/2003.

Questa legge, che ha abrogato la l. n. 172/99, consente la creazione di due tipi di comunità

intercomunali: a) Comunità intercomunali a finalità generale; b) Associazioni di comuni a finalità

specifiche.

Oltre alla considerazione per cui solo le prime sono persone giuridiche di diritto pubblico, la

distinzione concettuale tra le due forme si deduce dalla circostanza che, mentre i CIM potrebbero

essere costituiti per il perseguimento di scopi generali da parte dei comuni collegati tra loro da un

nesso di associazione territoriale, invece le associazioni create per scopi specifici per lo svolgimento

di interessi comuni possono definire forme di integrazione senza presupporre una contiguità

territoriale.

Anche per tale motivo e al fine di perseguire scopi di semplificazione normativa, le

associazioni comunali per scopi specifici sono state qualificate come persone giuridiche di diritto

privato create per coordinare gli interessi specifici dei comuni che le compongono, in difesa degli

interessi collettivi settoriali, di livello regionale o locale.

3. Le aree metropolitane

Nell’ordinamento costituzionale portoghese, il sistema delle autonomie locali ha carattere

chiuso, non potendovisi introdurre nuove figure amministrative territoriali, ovvero enti locali atipici,

con l’eccezione stabilita dall’art. 236, 3º co., Cost., il quale ammette la creazione mediante legge

ordinaria di nuove forme di organizzazione locale limitatamente alle grandi aree urbane ed alle

isole, secondo le loro condizioni specifiche.

Entro tali limiti le aree metropolitane sono state definite e riconosciute con legge 2 agosto

1991, n. 44 che ha istituito due enti pubblici obbligatori denominati area metropolitana di Lisbona

e di Porto.

Tale disciplina è stata ulteriormente integrata con la legge 13 maggio 2003, n. 10 che ha

riformato lo status delle aree metropolitane, definite quale «persona pubblica collettiva con natura

associativa e di rilievo territoriale che ambisce a conseguire i comuni interessi pubblici delle

municipalità che la integrano (…)».

Finalità dell’area metropolitana è quella di: a) coordinare gli investimenti municipali relativi a

progetti sovra-comunali; b) predisporre politiche, servizi e infrastrutture di base; c) accompagnare

l’elaborazione e l’esecuzione dei piani di sviluppo dell’ordinamento regionale e municipale.

Tale struttura, a livello di governance, si compone di tre organi: la Giunta metropolitana,

organo esecutivo composto dai sindaci delle municipalità coinvolte, che eleggono un Presidente e

due Vice-Presidenti; un’Assemblea metropolitana, organo legislativo, composta dai rappresentanti

scelti dalle Assemblee municipali; ed il Consiglio metropolitano, organo consultivo composto da

rappresentanti dello Stato e dai membri della Giunta metropolitana. Peraltro le deliberazioni degli

organi delle aree metropolitane, adottate nell’ambito delle proprie competenze, sono vincolanti per i

comuni che ne fanno parte.

Con la stessa legge del 2003 (artt. 10-11) si è aperta la possibilità di estendere il suddetto

regime giuridico ad altri centri urbani del Paese116. A questo fine sono state previste due forme di

governo metropolitano, in base all’estensione e alla demografia delle aree considerate: a) Grandes

Areas Metropolitanas, formata da un minimo di 9 municipalità e almeno 350 mila abitanti; b)

Comurb-Comunidad Urbanas, formata da un minimo di 3 municipalità e almeno 150 mila abitanti.

Si tratta, in questi casi solamente di libere associazioni di comuni legate da un nesso di continuità

territoriale, al fine di perseguire una migliore cooperazione in determinati settori (coordinamento

investimenti sovra-comunali; pianificazione e gestione strategica in materie economiche e politiche

sociali; gestione territoriale e ordinamento in materia di sanità, cultura, istruzione, ambiente…)

Con la legge n. 46/2008 del 27 agosto 2008, che, sino al 30 settembre 2013, ha disciplinato le

aree metropolitane, si è ulteriormente rafforzata la natura di associazione obbligatoria del

raggruppamento di comuni che formano l’area metropolitana.

116 In virtù di tale legame, attualmente, sono state costituite le grandi aree metropolitane di Minho, Aveiro,

Viseu, Coimbra e Algarve; le comunità urbane di Valee-Mar, Leiria, Douro, Vale di Sousa, Beiras, Médio Tejo.

Nei termini di legge, le aree metropolitane di Lisbona e Porto sono persone giuridiche di

diritto pubblico e costituiscono una forma specifica di associazione dei comuni costituenti le unità

territoriali definite dalla Grande Lisbona, oltre alla Penisola di Setúbal e la Grande Porto

comprensiva di Entre Douro e Vouga. Si è previsto inoltre che i Comuni delle aree metropolitane di

Lisbona e Porto possano costituire associazioni comunali con finalità specifiche in conformità con il

quadro giuridico proprio del settore di riferimento.

In tal modo sono state in particolare implementate le finalità degli enti qui analizzati, sicché,

in virtù dell’art. 4 della legge 46/2008, le aree di Porto e Lisbona hanno acquisito l’obiettivo di

perseguire le seguenti finalità pubbliche: a) partecipare alla preparazione di piani e programmi di

investimento pubblico concentrati sull’area metropolitana; b) promuovere la pianificazione e la

gestione della strategia di sviluppo economico, territoriale, sociale e ambientale in questione; c)

articolare investimenti comunali a carattere metropolitano; d) partecipare alla gestione dei

programmi di sostegno allo sviluppo regionale, in particolare nel contesto del Quadro di riferimento

strategico nazionale (QSN); e) partecipare in conformità legge, la definizione di apparecchiature di

rete e dei servizi a favore dell’area metropolitana; f) partecipare agli enti pubblici metropolitani, in

particolare nei settori dei trasporti, acqua, energia e trattamento dei rifiuti solidi; g) pianificare

l’azione di carattere pubblico a livello metropolitano. Rientra nelle competenze delle aree

metropolitane di Lisbona e Porto assicurare il coordinamento delle azioni tra i comuni e le

amministrazioni nelle seguenti aree: a) le reti di alimentazione pubbliche, infrastrutture igienico-

sanitarie, di trattamento delle acque reflue e dei rifiuti; b) rete di servizi sanitari; c) rete di istruzione

e formazione professionale; d) uso del suolo, conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali; e)

sicurezza e protezione civile; f) mobilità e trasporti; g) promozione dello sviluppo economico e

sociale; h) rete di attività culturali, sportive e per il tempo libero. Rientra infine nelle attribuzioni

delle aree metropolitane svolgere le funzioni trasferite dal governo centrale e l’esercizio congiunto

di competenze delegata dai Comuni che le compongono.

Le aree metropolitane sono dotate di patrimonio e finanze proprie e non possono procedere a

trasferimenti finanziari a favore dei comuni associati o sostenere finanziamenti di interesse

esclusivamente municipale. Le risorse di cui sono dotati tali organi originano in particolare dai

contributi dei comuni e da un trasferimento annuale dal bilancio statale per il funzionamento

corrente che corrisponde all’1% del fondo di equilibrio finanziario dei comuni dell’area. Inoltre la

legge permette alle autorità metropolitane di introitare entrate tramite le tariffe imposte per l’uso dei

servizi pubblici locali di loro competenza e la concessione di autorizzazioni e licenze.

4. La riforma degli enti locali del 2013

Nel contesto della crisi globale, il Portogallo ha dovuto sottoscrivere, per ottenere assistenza

economica e finanziaria, un memorandum d’intesa – noto come Memorandum d’intesa in materia di

condizionalità di politica economica – che, al punto 3.44, impone quanto segue: «riorganizzare la

struttura dell’amministrazione locale. Esistono attualmente 308 municipi e 4.259 freguesias. Fino al

luglio 2012, il Governo svilupperà un piano di consolidamento per riorganizzare e ridurre

significativamente il numero di queste entità. Il Governo implementerà questi piani sulla base di un

accordo con la CE e il FMI. Queste modificazioni, che dovranno entrare in vigore nel prossimo

turno elettorale locale, rinforzeranno la prestazione del servizio pubblico, aumenteranno l’efficacia

e ridurranno la spesa».

Per delineare i principi-guida delle riforme da attuare, il governo ha adottato il Libro verde

della Riforma dell’Amministrazione Locale – Una riforma di Gestione, una riforma del Territorio e

una riforma Politica, nel quale ha previsto che la riforma del potere locale ruoterà intorno a quattro

aree tematiche centrali: il settore dell’impresa locale, l’organizzazione del territorio, la gestione

municipale e inter-municipale, così come il suo finanziamento, e, per ultimo, la democrazia locale,

investita da un intervento legislativo di ampia portata, che coinvolgerà, tra le altre, la disciplina

della legge elettorale delle autarchie locali, lo statuto degli eletti locali, le competenze degli organi

delle autarchie locali (tanto quelli esecutivi, quanto quelli deliberativi) e le attribuzioni delle

freguesias.

Le leggi di riforma117 approvate si connotano per un obiettivo comune, ovvero una riduzione

o razionalizzazione significativa del numero di autarchie locali, sancendo l’obbligatorietà della

estinzione delle freguesias e incentivando la fusione o aggregazione dei comuni118.

117 Centrale è la legge n. 22/2012 del 30 maggio 2012 che ha riformato il “Regime Jurídico da Reorganização

Administrativa Territorial Autárquica”; vi sono poi la legge n. 50/2012 del 31 agosto 2012, sul “Regime Jurídico da Atividade Empresarial Local e das Participações Locais”; legge n. 56/2012 del 8 novembre 2012 sulla “Reorganização Administrativa de Lisboa” e legge n. 11-A/2013 del 28 gennaio 2013 sulla “Reorganização Administrativa do Território das Freguesias”.

118 La legge n. 22/2012 ha una vocazione chiaramente procedurale, nel senso che stabilisce un percorso per la fusione delle autarchie locali, identificando gli organi autarchici coinvolti, nello stesso momento in cui fissa le scadenze e le tappe del procedimento stesso. Per raggiungere l’obiettivo, il legislatore ha posto dei criteri chiari: per la fusione delle freguesias si è tenuto conto essenzialmente di valutazioni di carattere demografico. Conseguentemente tutti i municipi del Paese devono rientrare in una classificazione che prevede tre livelli di popolazione (art. 4): il livello I è riservato ai municipi con una densità di popolazione superiore a 1.000 abitanti per km2 e con una popolazione uguale o superiore a 40.000 abitanti ed il livello III (l’ultimo) è riservato ai municipi con una densità tra i 100 ed i 1.000 abitanti per km2 e con una popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, così come ai municipi con una densità inferiore a 100 abitanti per km. In dottrina J. MELO ALEXANDRINO, Direito das Autarquias Locais, in Tratado de Direito Administrativo Especial, IV, Almedina, Coimbra, 2010, 139 ss.; A. CANDIDO OLIVEIRA , É necessária uma reforma territorial das freguesias ?, in Revista de Direito Regional e Local, 2011, 13, 5 ss.; J. CAUPERS, Divisão administrativa e órgãos regionais, in Revista de Direito Regional e Local, 2009, 8, 3 ss.; J.L. CARNEIRO, A proposta de reforma da administração local – O estado do debate, in Revista de Direito Regional e Local, 2012, 17, 30 ss.; P. CRUZ SILVA ,

Di particolare rilievo appare la recente approvazione della legge n. 75/2013 del 12 settembre

2013, di riforma del regime giuridico degli enti locali, la quale dedica il Titolo III, Capo II (artt. 66-

79) alla definizione di una disciplina organica ed unitaria delle áreas metropolitanas.

Quella posta nella legge del 2013 è una disciplina volta a razionalizzare i rapporti tra i vari

soggetti ed organi che vengono a comporre lo scenario dell’area metropolitana, senza modificare la

sostanziale struttura dei meccanismi di governo già dettati dalla legge n. 46/2008; l’unico elemento

che si può segnalare è dato dall’attribuzione alle assemblee municipali del potere di votare una

mozione di censura nei confronti dell’esecutivo metropolitano, che è costretto alle dimissioni in

caso di un voto favorevole della maggioranza delle assemblee dei municipi facenti parte dell’area

metropolitana. Ciò rappresenta un evidente contrappeso all’attribuzione di ampi poteri agli organi

metropolitani.

Notas sobre a Proposta de Lei n.º 44/XII do Governo para a reorganização administrativa territorial autárquica, in Revista de Direito Regional e Local, 2012, 17, 39 ss.

Paesi Bassi: il modello della Città-Regione

1. Gli enti locali olandesi

La Costituzione del 1983 dei Paesi Bassi119 (Grondwet van het Koninkrijk der Nederlanden)

riconosce all’art. 32 lo status di capitale ad Amsterdam, tuttavia la norma non esplicita una

condizione giuridica particolare per questa né per altre città. Oltretutto, come noto, la capitale non

ospita le sedi istituzionali, in quanto il Governo, il Parlamento e il Capo di Stato120 risiedono

all’Aia.

Ragioni storiche giustificano la distribuzione delle sedi istituzionali, così come ragioni

storiche spiegano l’assetto istituzionale con particolare riferimento al governo locale. Gli attuali

Paesi Bassi, infatti, nascono nel 1581 come confederazione di sette province del territorio prima

soggetto alla sovranità dell’Impero asburgico e poi dell’Impero spagnolo.

La tradizione municipale dell’età rinascimentale dell’Europa del Nord si combina con

l’evoluzione successiva di un Paese in crescita dal punto di vista economico-commerciale, coloniale

e persino in relazione all’ingrandimento territoriale, non tanto a scapito di Paesi confinanti121 quanto

a scapito del mare.

Il rapporto tra estensione del territorio e popolazione fa dei Paesi Bassi uno degli Stati più

densamente popolati al mondo122 e la distribuzione non uniforme della popolazione123 ha creato dei

centri abitati dalle dimensioni significative124 a fronte di aree rurali non altrettanto urbanizzate.

119 La dizione comune è Olanda, ma si tratta di un classico esempio di sineddoche, ovvero di indicare una parte

per il tutto. L’Olanda, infatti, è solo una delle province dei Paesi Bassi. Si utilizzerà pertanto la dizione Paesi Bassi per indicare l’intero Stato (Nederlanden) e l’aggettivo olandese con la medesima estensione, pur con la seguente precisazione: il Regno dei Paesi Bassi è composto da quattro Stati, ciascuno avente la propria Costituzione. I Paesi Bassi (propriamente detti, ovvero il territorio europeo) e le isole caraibiche di Aruba, Curaçao e Sint Maarten. La dissoluzione, nel 2010, delle Antille Olandesi come ente unitario ha comportato la creazione dello status di municipalità a statuto speciale per le isole di Bonaire, Sint Eustatius e Saba. Nella presente analisi si tratterà solo del territorio europeo.

120 Dal 1815 i Paesi Bassi sono una monarchia costituzionale. La Costituzione (art. 25) prevede che il primogenito del monarca eredita il trono senza riguardo al sesso.

Le sedi ufficiali dei monarchi olandesi sono tre: il palazzo reale (di rappresentanza) ad Amsterdam, e le sedi operative e residenziali dell’Aia, rispettivamente il palazzo di Noordeinde e Huis ten Bosch.

121 Anzi, da ultimo nel 1830 la creazione del Belgio priva l’allora Regno Unito dei Paesi Bassi (creato solo nel 1815) delle province meridionali.

122 Secondi, nell’Unione Europea, solo a Malta e, nell’Europa geografica, ai seguenti: Principato di Monaco, Città del Vaticano, Malta e San Marino.

123http://www.vnginternational.nl/fileadmin/user_upload/downloads/publicationsAndTools/Local_Government_in_the_Netherlands.pdf

È su queste città che si concentrerà l’attenzione, non prima di aver rapidamente riassunto

l’assetto del governo locale olandese.

Infatti, con l’eccezione del cenno sopra menzionato alla città di Amsterdam come capitale del

Paese, la Costituzione olandese non include una normativa specifica sul regime giuridico delle città,

piuttosto, al titolo VII, disciplina «le Province, i Comuni, le Agenzie delle Acque (waterschappen) e

altri enti pubblici» (artt. 123-136).

Il testo della Costituzione crea una riserva di legge a favore delle Province e dei Comuni (art.

123) la cui esistenza e i cui confini sono disciplinati dal Parlamento. Secondo l’art. 124 Cost.

l’organo di governo è il Consiglio, rispettivamente provinciale e comunale (Provinciale Staaten e

Gemeenteraad), mentre secondo il successivo art. 125 gli organi esecutivi cambiano definizione a

seconda che si tratti di Province o di Comuni. Per quanto riguarda le Province, la Giunta provinciale

(Gedeputeerde Staten) è presieduta dal Commissario del Re (Commissaris van der Koning), mentre

per i Comuni la Giunta comunale (College van Burgemeester en Wethouders) è presieduta dal

Sindaco (Burgemeester).

Accanto all’elencazione degli organi di governo, la Costituzione specifica che l’elezione dei

Consigli è a suffragio universale e diretto su base territoriale (art. 129, co. 1), che i Commissari del

Re e i Sindaci sono nominati con decreto reale (art. 131) e che, nel caso dei Commissari, l’incarico

è dato con legge del Parlamento «con l’esecuzione di istruzioni ufficiali fornite dal Governo» (art.

126). Ogni altra norma relativa alle funzioni, alla struttura e all’organizzazione degli organi delle

Province e dei Comuni è rimessa alla legge ordinaria attraverso una tecnica di continuo rinvio a

riserva di legge. Persino la durata in carica dei Consigli è di quattro anni (art. 129, 4° co.) salva

diversa disposizione della legge. Le Agenzie delle acque, invece, sono disciplinate da norme di

livello provinciale sulla base dei principi stabiliti con legge statale (art. 133).

I livelli su cui è costruito lo Stato e l’autonomia locale sono essenzialmente tre: lo Stato

centrale, le Province e i Comuni. Le Agenzie delle Acque sono un ente pubblico sui generis con

competenze tanto specifiche quanto connaturate alla natura del territorio olandese.

Scendendo dal generale al particolare, il più grande degli enti locali è la Provincia, eredità

storica di quegli enti che diedero principio allo Stato olandese.

124 La recente inaugurazione del palazzo più grande del Paese (160.000 mq), chiamato De Rotterdam e posto

nella città omonima, conferma l’attenzione per un’edilizia particolarmente attenta al contenimento dell’estensione degli spazi occupati e volta alla sperimentazione di soluzioni alternative.

Le province olandesi sono dodici125 e rispecchiano le denominazioni e, in una certa misura, i

confini storici, con l’eccezione del Flevoland, provincia creata solo nel 1986 a seguito della bonifica

dello Zuiderzee126.

Il ruolo della Provincia è quello di ente di area vasta, intermedio tra i Comuni e lo Stato

centrale. Gli organi di governo sono il Consiglio e la Giunta provinciale nonché il Commissario del

Re.

Il Consiglio provinciale è eletto a suffragio universale e diretto dai cittadini residenti nel

territorio della Provincia. La composizione è variabile a seconda della popolazione, e spazia dai 55

membri dell’Olanda del Sud ai 39 del Flevoland. I membri della Giunta, l’esecutivo dell’ente, sono

scelti dal Consiglio ed hanno, come i consiglieri, incarico quadriennale. Dal 2002 i membri del

Consiglio (da 4 a 8 in base alla popolazione) non possono cumulare la carica con quella di membri

dell’esecutivo, dunque, se eletti in Giunta, rinunciano alla carica di consiglieri. Si ritiene che tale

previsione abbia rafforzato la divisione delle funzioni tra i due organi. È importante altresì

segnalare che i Consigli di tutte le Province eleggono anche i 75 membri del Senato (Eerste Kamer)

olandese (art. 51 Cost.).

Il Commissario del Re (o Governatore, Gouverneur) è un incarico di nomina regia che

comporta la presidenza del Consiglio e della Giunta provinciale. La durata in carica è di sei anni e il

mandato può essere rinnovato. La scelta della figura da incaricare – che costituisce un ruolo di

rilevanza politica affidato non ad un funzionario di carriera ma ad un esponente dei partiti – è

peculiare in quanto coinvolge il Governo, il Parlamento e il Re, il primo nella indicazione, il

secondo nello scrutinio e nel necessario consenso e il terzo per quanto riguarda l’atto formale

dell’investitura è peculiare e tende a sopperire alla mancanza di un’elezione diretta da parte degli

elettori.

Il ruolo del Governatore è particolarmente delicato poiché è ha, tra gli altri compiti, quello di

suggerire al Governo il nominativo di nuovi sindaci da proporre alla nomina regia nei Comuni posti

nel territorio della Provincia. A questo scopo, però, il Governatore consulta il Consiglio comunale.

Al livello di governo più vicino ai cittadini si collocano i Comuni, la cui popolazione elegge

ogni quattro anni i membri del Consiglio comunale (da 7 a 45). I membri della Giunta comunale

sono eletti e revocati dal Consiglio e, come per le Province, vi è incompatibilità tra le due cariche.

La separazione dei ruoli ha comportato che le Giunte comunali, a lungo espressione di tutte le forze

rappresentate nel Consiglio, divenissero più simili agli organi esecutivi della tradizione

assembleare, ovvero formati da soli esponenti della maggioranza.

125 Così denominate: Drenthe, Flevoland, Fryslân, Gelderland, Groningen, Limburg, Noord-Brabant, Noord-

Holland, Zuid-Holland, Overijssel, Utrecht, Zeeland. 126 E con la parziale eccezione dell’Olanda, divisa oggi nelle due province dell’Olanda del Nord e del Sud.

Il Sindaco presiede sia il Consiglio che la Giunta ma la sua legittimazione deriva dalla nomina

del Re il quale, tramite il suo Commissario provinciale, acquisisce il parere del Consiglio

medesimo. La carica di Sindaco ha durata di sei anni, mentre consiglieri ed assessori restano in

carica quattro anni. Il ruolo del Sindaco è più vicino ad un manager pubblico che non ad un politico

implicato nel dibattito, tuttavia mantiene molti importanti poteri di organizzazione dell’attività

comunale, cui si aggiungono anche funzioni di pubblica sicurezza e protezione civile, in quanto

responsabile dell’ordine pubblico nel Comune e in quanto capo dei vigili del fuoco comunali.

La legge non disciplina compiutamente le competenze dei comuni, che restano quelle tipiche

di un ente locale, quali urbanistica, sviluppo urbano, servizi sociali, trasporto, ambiente, oltretutto

nel quadro di un livello di governo che a volte comporta l’attuazione di politiche già impostate dallo

Stato o dalle Province.

Le Agenzie delle Acque sono enti pubblici che si occupano della gestione delle acque: in

generale, la loro competenza riguarda il controllo del livello degli specchi d’acqua e la prevenzione

delle inondazioni, la quantità e la qualità dell’acqua e il trattamento delle acque reflue. Per svolgere

tali compiti, appartiene alle Agenzie delle Acque la gestione e la manutenzione delle stazioni di

pompaggio, dei depuratori, dei canali e di tutte le strutture di difesa del territorio nazionale, che in

buona parte resta sotto il livello del mare.

La normativa riguardante le Agenzie è differenziata per ogni Provincia, posto che la

Costituzione attribuisce a queste la competenza normativa al riguardo. In via generale, la struttura è

modellata su quella degli enti locali già commentati. Un Consiglio e un organo esecutivo (College

van Dijkgraaf en Heemraden) il cui Presidente assume la denominazione di Dijkgraaf (lett. Capo

Diga). La composizione del Consiglio è variabile e comprende abitualmente proprietari terrieri, di

immobili e di attività economiche nonché anche dei cittadini residenti.

2. Le città metropolitane

I tre livelli di governo sopra elencati – che non hanno una struttura prettamente gerarchica,

almeno quanto alle Agenzie delle Acque, le cui competenze si affiancano e non si sovrappongono a

quelle degli enti locali – non esauriscono l’ambito del governo locale nei Paesi Bassi. Il carattere

collaborativo degli enti territoriali, storicamente necessitato a causa della costante sfida contro il

mare e favorito dalla non eccessiva estensione del Paese, è parte integrante del carattere del governo

locale.

Forme di collaborazione sono state sempre previste e, da ultimo, la normativa ordinaria

olandese ha creato un ulteriore ente per il governo delle aree cittadine, appunto la città

metropolitana (che la legge chiama plusregio), definito «ente pubblico di ambito regionale con

compiti statutari». Dopo una riflessione iniziata già negli anni ’90, la legge 24 novembre 2005 ha

modificato la normativa previgente127 consentendo la creazione delle città metropolitane, che sono

state attivate nel 2006128.

Le Città metropolitane sono otto e coprono l’hinterland delle maggiori129 città olandesi:

Stadsregio Amsterdam; Stadsregio Rotterdam; Stadsgewest Haaglanden (L’Aia);

Samenswerkingsband Regio Eindhoven; Stadsregio Arnhem Nijmegen; Bestuur Regio Utrecht;

Regio Twente (Enschede e Hengelo); Parkstad Limburg (Heerlen e Kerkrade)130.

Per la costituzione di una città metropolitana è necessario che i comuni interessati ne facciano

richiesta alla provincia, la quale approva la richiesta se la maggioranza dei comuni vuole operare

congiuntamente e se vi è interesse all’esercizio comune di quelle che sono le competenze stabilite

dalla legge per le città metropolitane, ovvero se riguardano pianificazione territoriale ed economica,

urbanistica, traffico e traffico, attività ricreative e verde pubblico.

Gli organi di governo delle città metropolitane sono un Consiglio e un Esecutivo. I Consigli

comunali sono rappresentati nel Consiglio in base proporzionalmente agli abitanti, mentre

l’esecutivo è eletto dal Consiglio della Città metropolitana secondo criteri stabiliti per ogni singolo

ente e che, in ogni caso, consentono la rappresentanza di membri in proporzione alla popolazione

dei Comuni che vi appartengono.

Lo schema è ricalcato sugli organi di governo degli enti locali, ma l’elezione indiretta dei

membri è una differenza sostanziale, pur mitigata dallo stretto collegamento tra i Comuni che

compongono la Città e i relativi organi131.

Le competenze delle Città metropolitane sono essenzialmente di pianificazione strategica e

l’elenco riportato poco sopra è da intendersi in modo ampio. Le infrastrutture e i trasporti

comprendono decisioni strategiche in merito a eventuali porti e aeroporti a servizio della Città,

autostrade, viabilità a livello interzonale e politiche dei trasporti. Così, l’impulso all’economia

comprende politiche sul turismo, sul commercio, servizi finanziari, per l’impiego e il sostegno alle

127 Inserendo un nuovo titolo, numerato XI, nella legge 20 dicembre 1984 recante disciplina delle norme comuni

relative agli enti locali e modificando altre leggi quanto ad ulteriori competenze affidate alle Città metropolitane (es. legge sull’edilizia pubblica).

Per questioni inerenti alla tecnica normativa, dove una redazione italiana avrebbe inserito un titolo X-bis, la legge olandese del 2005, in realtà, ha rinumerato come XII il previgente titolo XI (disposizioni finali) e ha rinumerato di conseguenza l’articolato.

128 Tutte il 1° gennaio tranne Parkstad Limburg, attivata il 23 marzo. 129 Tre città metropolitane sono sopra il milione di abitanti (Amsterdam, Rotterdam, l’Aia), due sopra i 700.000

(Eindhoven e Arnhem Nijmegen), due sopra i 600.000 (Utrecht e Twente) e solo Linburg si ferma a 250.000 abitanti. 130 Tra queste, sono confinanti solo le Città metropolitane di Rotterdam e dell’Aia. Esistono già delle forme di

collaborazione tra le due città, a livello di trasporto, di politiche di edilizia ed economiche, verso ciò che viene già definita Metropoolregio Rotterdam Den Haag (http://mrdh.nl).

131 Non di rado le stesse persone fisiche ricoprono incarichi nell’una e nell’altra amministrazione.

nuove energie. Anche la gestione degli spazi pubblici e dell’urbanistica comporta una

pianificazione ad ampio spettro sul futuro della città.

Altre competenze possono essere delegate dalle Province nel caso in cui l’esercizio a livello

della Città metropolitana possa configurare una migliore gestione132.

132 È il caso delle politiche giovanili, competenza affidata dalle relative province alle Città di Amsterdam,

Rotterdam e l’Aia.

Inghilterra: Londra città metropolitana

1. Enti locali e città in Inghilterra nell’ottica del local government

L’analisi del sistema degli enti locali nel Regno Unito133 richiede alcune precisazioni

preliminari al fine di non trarre in inganno il giurista abituato alle categorizzazioni e alle

concettualizzazioni italiane e continentali europee in generale.

Nella tradizione anglosassone, il local government è, innanzitutto, self-government134, nozione

che non può essere acriticamente accostata ai concetti di autonomia o decentramento, ma necessita

di ulteriore specificazione135.

Il punto è da cercare nella diversa impostazione ed evoluzione dell’ordinamento giuridico la

quale, contestualmente, è anche l’impostazione della forma di Stato. La dottrina comparatistica

distingue sul punto tra più modelli di organizzazione degli enti locali riferibili ad una grande

divisione di massima: il modello francese, recepito in diversi Stati europei tra cui l’Italia, e il

modello dei paesi dell’Europa settentrionale136. Mentre il modello francese, illuminista e post-

rivoluzionario, è fondato su una tendenziale uniformità e omogeneità delle strutture decentrate, nei

Paesi dove tale modello non è stato adottato la difformità è sempre un elemento caratterizzante non

solo tra modelli diversi, ma anche all’interno del medesimo contesto istituzionale.

Il Regno Unito, in particolare, presenta una pluralità di esperienze di governo degli enti locali,

debitrice dell’evoluzione storica del Paese. Per non disperdere l’attenzione si farà riferimento d’ora

133 M. D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato. Trasformazioni dei sistemi amministrativi in Francia,

Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Il Mulino, Bologna, 1992. 134 M. COMBA, Self government, in Digesto disc. pubbl., XIV, 1999, 30 ss. 135 A. TORRE, Il territorial government in Gran Bretagna, Cacucci, Bari, 1991; ID., “On devolution”. Evoluzione

e attuali sviluppi delle forme di autogoverno nell’ordinamento costituzionale britannico, in Le Regioni, 2000, 2, 203 ss.; S. TROILO, Il local government britannico. L’ente locale tra rappresentanza della comunità e amministrazione dei servizi pubblici, Cedam, Padova, 1997; ID., Il local government britannico tra devolution interna e integrazione europea, in AA.VV. (a cura di A. Torre, L. Volpi), La Costituzione Britannica - The British Constitution, atti del Convegno di Bari, 29 e 30 maggio 2003, II, Giappichelli, Torino, 2005, 1471 ss., nonché, più di recente, sempre dello stesso A., Gli enti locali tra autonomia e integrazione con lo Stato. Il modello del local government britannico, Aracne, Roma, 2013.

136 Che taluni distinguono ulteriormente in due modelli: quello anglosassone e quello scandinavo. M. MAZZA , Federalismo, regionalismo e decentramento nella prospettiva della comparazione tra i sistemi di amministrazione (o governo) locale, cit., 832 ss. (spec. 833).

in poi all’Inghilterra, la quale, come noto, è una delle regioni – non solo geografiche – che

compongono il Regno Unito137.

L’evoluzione degli enti locali è fondata storicamente sulle contee inglesi, dall’antica

derivazione sassone. Fin dai tempi della conquista normanna del 1066, l’organizzazione del

territorio si articola su due livelli: il più piccolo hundred e la maggiore contea. Tale impostazione

caratteristica finirà per integrarsi con le parrocchie, enti ecclesiastici che divengono anche unità

amministrative locali dello Stato138 in quanto titolari di ciò che oggi si chiamerebbero funzioni e

servizi pubblici.

La struttura delle contee e degli hundreds non era incentrata sulla sola figura del feudatario,

ma prevedeva la presenza di un’assemblea di notabili locali nonché di funzionari, di nomina tanto

del feudatario quanto regia139.

Su questo intreccio di autonomia, autogoverno, controllo dello Stato centrale e oligarchia

locale si fonda il self-government inglese e, di conseguenza, il modello del local government.

Le città erano considerate parte del territorio amministrato e iniziarono ad assumere

particolare rilevanza nell’impostazione dei livelli di governo quando il loro peso politico, militare o

economico fece nascere l’istanza di considerarle in modo distinto rispetto al territorio circostante e

ciò condusse ad attribuire loro uno status speciale dal punto di vista specificamente giuridico140.

I consigli di notabili cittadini, spesso già presenti come assemblee separate dai consigli degli

hundreds e delle contee cui apparteneva la città, trasmisero istanze di maggiore autonomia al

sovrano. Avvenne così che taluni centri (boroughs) ottennero decreti reali di concessione (royal

charter) divenendo così città “ad autonomia differenziata” (chartered borough). I “privilegi” reali

concessi potevano consistere, ad esempio, nell’esenzione da determinati tributi locali, di essere

soggetti solo al foro della città. «Il privilegio più importante ma anche il più difficile da ottenere era

quello di riferire direttamente al tesoriere reale quanto alla produzione agricola della città, in quanto

le tasse annuali da versare al re erano sempre direttamente collegate al diritto di scegliere il

funzionario cui riferire»141.

137 La corretta definizione per l’Inghilterra, così come per la Scozia, è di country. Il Galles è un principato e

l’Irlanda del Nord una provincia, cui si devono aggiungere altri territori soggetti alla sovranità britannica. 138 S. TROILO, Gli enti locali, cit., 30. 139 Tra questi, oltre agli sceriffi e ai balivi, funzionari regi di introduzione normanna, si ricordano il Giudice di

Pace e, più di recente, i sovrintendenti dei poveri e gli ispettori delle strade principali. 140 Cfr. S. TROILO, Gli enti locali, cit., 30. 141 D. A. CARPENTER, The Struggle for Mastery. Britain 1066-1284, Oxford University Press, Oxford, 2003, 392.

Per una ricognizione puntuale delle concessioni reali nell’epoca medievale alle città inglesi, v. A. BALLARD , British borough charters, 1042-1216, The University Press, Cambridge, 1913, il quale, oltre a realizzare un inventario completo dei chartered borough, elenca le tipologie di privilegio come segue: burgage tenure and law of real property, tenurial privileges, burgess franchise, jurisdictional privileges, mercantile privileges.

2. Le città dal XIX secolo alla devolution

Quando il Parlamento di Londra riformò il sistema del local government alla fine del XIX

secolo la via era tracciata: il Local Government Act del 1888 e successivamente quello del 1894

confermarono la presenza di due livelli di governo per quanto riguardava le aree rurali: essi erano la

contea e il distretto, quest’ultimo a sua volta distinto in distretto rurale o urbano a seconda che

contenesse o meno centri abitati (minori). Quanto alle aree urbane di maggiori dimensioni, il livello

di governo era unico, fu denominato contea urbana (county boroughs) e cumulò le funzioni

assegnate ad entrambi i livelli di governo nelle restanti aree del Paese.

Solo in questa occasione vennero formalmente aboliti i privilegi garantiti dalle carte reali

citate, mentre si procedette ad una riforma del local government anche nel resto del Regno Unito142.

Alla fine del 1800 l’industrializzazione aveva già favorito fenomeni d’inurbamento anche

massiccio: la normativa del 1888 crea ben 61 county boroughs in Inghilterra e Galles, cui si deve

aggiungere la contea di Londra, 4 counties of cities143 in Scozia e ulteriori 2 county boroughs in

Irlanda del Nord.

Da questo momento in poi si succederanno molte revisioni della normativa sul local

government. Ciò è effetto della mancanza di una copertura costituzionale per gli enti locali144, la cui

disciplina è affidata al Parlamento e, di conseguenza, alla legislazione ordinaria. L’assenza di una

Costituzione scritta nel Regno Unito non fissa i contorni dell’autonomia locale al di fuori di quanto

si è finora esaminato.

Se pure i cardini del self-government sono immutati dall’epoca medievale e, dunque, si

potrebbero ritenere integrati nei principi costituzionali consuetudinari che caratterizzano il sistema

anglosassone, è la sostanza della normativa ad essere lasciata alla competenza del legislatore

ordinario. Le competenze, il finanziamento, gli organi di governo e gli stessi confini degli enti locali

sono un aspetto fondamentale della disciplina, da qualsiasi punto di vista ci si accosti allo studio, e

sono proprio questi i punti rimessi alla valutazione del legislatore. Nemmeno la storica articolazione

su due livelli di governo può dirsi costituzionalizzata.

Ciò è coerente con il carattere mutevole e, altresì, adattabile del local government, quella

stessa caratteristica che ne ha permesso lo sviluppo ininterrotto e sostanzialmente coerente

dall’epoca feudale ai giorni nostri, ma è proprio il mutare della disciplina nell’ambito della forma

142 Coevi sono il County Councils (Scotland) Act del 1889, il Town Councils (Scotland) Act del 1900 e il Local

Government (Ireland) Act del 1898. 143 È questa la definizione corrispondente nella normativa allora vigente per il territorio scozzese citata alla nota

precedente. 144 Come nota M. MAZZA, Federalismo, regionalismo e decentramento nella prospettiva della comparazione tra

i sistemi di amministrazione (o governo) locale, cit., 841-842.

peculiare di autonomia che si è creata nel Regno Unito a costituirne il carattere distintivo, in ciò la

Costituzione non scritta assentendo senza particolari difficoltà a innovazioni legislative anche

profonde.

Il caso della città metropolitana di Londra è particolarmente significativo, ma su di esso si

tornerà.

Con il riordino del local government nella tarda età vittoriana si può considerare iniziato il

percorso moderno degli enti locali e delle città inglesi. Nel corso del XX secolo si succederanno

molteplici leggi di riforma, peraltro non sempre dal carattere organico: ancora una volta, si

tralasceranno per quanto non indispensabili le novità normative riguardanti Galles, Scozia e Irlanda

del Nord145.

Dopo la riforma del 1888 la legislazione cambia nel 1926. Per quell’anno, infatti, i county

borough in Inghilterra e Galles erano passati da 61 a 83, ma nei loro confini abitava circa la metà

della popolazione complessiva e gli squilibri demografici creavano ovvi problemi di rapporto fra

contee rurali e cittadine.

Il Local Government Act del 1926 innalza a 75.000 il numero minimo dei residenti di una

città affinché questa possa chiedere la trasformazione in county borough e rende più gravosa la

procedura di richiesta, coinvolgendo nella decisione di modificare i confini cittadini le contee

limitrofe interessate e assegnando al ministro competente un potere discrezionale sulla

trasformazione della città in contea. Il numero minimo di popolazione residente verrà ulteriormente

innalzato a 100.000 abitanti dal Local Government Act del 1958146. In questo modo, l’assetto del

governo del territorio non cambierà per alcuni decenni: i requisiti più gravosi limitano la creazione

di nuovi county boroughs147.

Nel contempo, però, le città cambiano148. È pur vero che l’Inghilterra è stato il primo Paese a

conoscere il fenomeno dell’industrializzazione già nel XVIII secolo, con ciò che ne consegue in

termini di governo del territorio, ma la situazione cambia ancora con il secondo dopoguerra.

Già per la riforma del 1958 il Governo aveva approntato tre Libri Bianchi che avevano

raccolto proposte ed intenzioni di riforma. La procedura si ripete già negli anni ’60, con l’istituzione 145 I cui atti di riforma, in ogni caso, spesso seguono quelli inglesi (o, spesso, anglo-gallesi) a ravvicinata

distanza temporale. 146 Passando, nel frattempo, attraverso le parziali revisioni del 1929, 1933 e del 1948. Il titolo completo del Local

Government Act 1958, significativamente, è il seguente: «An Act to make further provision, as respects England and Wales, with respect to grants to local or police authorities, with respect to the rating of industrial and freight-transport hereditaments and of transport, electricity and gas authorities, with respect to the making of changes in the area, name, status and functions of local authorities, and with respect to local government finance and elections; to amend the law in England and Wales and in Northern Ireland as to the making by trustees of loans to local and other authorities; and for purposes connected with the matters aforesaid».

147 Che diminuiranno a 79 prima della riforma del 1972. 148 K. YOUNG, Gran Bretagna, in AA.VV., Amministrazione e territorio in Europa. Una ricerca sulla geografia

amministrativa in sei Paesi, Il Mulino, Bologna, 1994, 201 ss.

di due commissioni reali149 incaricate di proporre un riordino degli enti locali, che giungeranno a

conclusione dei lavori e a proposte di riforma e semplificazione per l’inizio degli anni ’70.

Il Parlamento procedette dunque all’approvazione del Local Government Act del 1972, con il

quale venne introdotta a far data dal 1 aprile 1974150 una struttura a doppio livello (two-tier system)

su tutto il territorio. L’abituale distinzione in due livelli tra contee e distretti viene applicata alle

città come alle zone non metropolitane, anche se varia la distribuzione dei poteri.

È rimasto comunque il terzo livello, rappresentato dalle parrocchie (quali enti pubblici, non

coincidenti con quelli ecclesiastici), «al fine di conservare, per funzioni di interesse esclusivamente

locale, un rapporto diretto fra cittadini e amministrazioni ed un ambito territoriale in cui i primi

possano agevolmente riconoscersi»151.

È interessante notare che nel 1972 venne rivista la distribuzione territoriale delle contee e dei

distretti ad ampio spettro, come era nelle intenzioni di riforma. Per quanto riguarda specificamente

le città, eccettuata Londra, vennero create sei contee metropolitane, a loro volta suddivise in distretti

metropolitani con riferimento alle più popolose e urbanizzate aree del Paese.

Il riordino, tuttavia, non doveva risultare definitivo. Nel 1985 vennero abolite le contee

metropolitane152 e negli anni ’90 si revisionò nuovamente il sistema a due livelli, nel presupposto

(politico) che in determinati casi la divisione delle competenze tra contee e distretti insistenti sul

medesimo territorio non fosse da ritenersi ottimale.

Per questa ragione, il governo conservatore di John Major lavorò per la creazione dei cd. “enti

unitari” (unitary authorities), entità amministrative che radunano le competenze dei distretti e delle

contee e, pertanto, creano un sistema di governo a livello unico (single-tier system). Il Local

Government Act del 1992153 creò la Local Government Commission for England (section 12) i cui

compiti (section 13) consistevano nella formulazione di proposte di modifica alla struttura o ai

confini degli enti amministrativi esistenti.

La realizzazione degli enti unitari non fu però generalizzata, creandosi di conseguenza un

sistema differenziato: alcune zone del territorio dell’Inghilterra sono ancora oggi amministrate

secondo il sistema degli enti unitari, altri mantengono il sistema di governo su due livelli. Tra questi

ultimi vanno distinte le contee non metropolitane da quelle metropolitane.

149 Presiedute da Lord Redcliffe-Maud (per l’Inghilterra) e da Lord Wheatley (per la Scozia). 150 Si noti che la riforma è stata complessiva, in quanto il Local Government Act del 1972 entrava in vigore per

l’Inghilterra e il Galles, mentre nel contempo venivano approvati il Local Government (Scotland) Act del 1973 e il Local Government (Northern Ireland) Act del 1972.

151 S. TROILO, Gli enti locali, cit., 45-46. 152 Nonché venne modificato l’assetto di Londra, sul quale v. par. seguente. 153 Cui hanno fatto seguito il Local Government (Wales) Act e il Local Government (Scotland) Act, entrambi del

1994.

Tale configurazione non deve essere confusa con le contee cerimoniali, disciplinate da ultimo

nel 1997154: distinte dagli enti amministrativi, sono retaggio del passato della Gran Bretagna e

disegnano una serie di aree per ciascuna delle quali il sovrano designa un Lord-lieutenant (ad

eccezione di Londra, dov’è istituita una commissione di luogotenenza formata da più persone) con

compiti, per l’appunto, cerimoniali.

Negli anni 2000 il sistema del local government britannico ha proseguito nel cammino di

differenziazione con la possibilità di adottare diversi assetti di governo.

I modelli previsti dalla normativa155 sono i seguenti: l’elezione diretta del sindaco (mayor) il

quale sceglie i membri del cabinet executive ovvero l’elezione di un leader da parte del Consiglio.

In questo secondo caso, i membri del cabinet executive possono essere di nomina del leader ovvero

– fino al 2007 – di elezioni consiliare.

La normativa156 prevedeva in origine anche un terzo modello, poi abrogato nel 2007, che

prevedeva l’elezione diretta del mayor, il quale veniva coadiuvato da un Council manager scelto dal

Consiglio. In ogni caso, la creazione di un organo esecutivo separato dal Consiglio – vero fulcro di

novità nella disciplina inglese – non è obbligatoria per i distretti con meno di 85.000 residenti157.

Ulteriori modifiche normative sono state apportate nel 2003158, 2007159 e 2010160.

3. La città di Londra.

Londra è l’indiscussa capitale dell’Inghilterra e «in nessun altro paese, nemmeno nella

Francia con il suo tradizionale centralismo, la capitale ha avuto un così potente ruolo di centro di

sviluppo politico, economico e sociale»161. Questo dato ha da sempre condizionato il suo rapporto

con le istituzioni statali e con il resto del territorio.

Prescindendo dalla storia remota, si può dividere la disciplina della città in quattro momenti.

Una prima fase va dal 1855 al 1965, la seconda dal 1965 al 1985, la terza dal 1985 al 1999 e infine

l’ultima dal 1999 ai giorni nostri.

154 Lieutenancy Act 1997, in www.legislation.gov.uk/ukpga/1997/23/enacted. 155 Il Local Government Act del 2000. 156 A commento, G. MORI, Una nuova forma di governo per gli enti locali inglesi, in Ist. Fed., 2001, 807 ss. 157 La section 31 del Local Government Act del 2000 prevede, infatti, la possibilità di “alternative

arrangements”, riservata a distretti sotto gli 85.000 residenti, che consente ai più piccoli enti locali (per gli standard inglesi, la soglia di popolazione è bassa) di proporre un diverso assetto della forma di governo secondo le indicazioni generali fornite dalla legge e in accordo con il ministro competente.

158 Local Government Act 2003. 159 Local Government and Public Involvement in Health Act 2007. 160 Local Government Act 2010. 161 G. BALDINI , La devolution in Inghilterra: Londra, i Sindaci, le Regioni, in Ist. Fed., 2005, 651.

Il punto di partenza si fa risalire al 1855, anno dell’entrata in vigore del Metropolis Local

Management Act, normativa di riordino delle parrocchie londinesi. Fino a quel momento, l’attuale

territorio dell’intera città era sottoposto all’autorità della City of London, ente locale sui generis,

nonché alle parrocchie e ai distretti delle contee confinanti, sulle quali già si estendevano sobborghi

gravitanti attorno all’area metropolitana in senso stretto.

La legge del 1855 raggruppa in distretti le parrocchie londinesi. Tali distretti, insieme alla

City162 divengono il livello inferiore di un sistema di governo bipartito, dove, al secondo livello, si

colloca un ente denominato Metropolitan Board of Works. Nel 1888 il London County Council,

organo elettivo, sostituisce il Metropolitan Board of Works e, un decennio più tardi, una nuova

legge, il London Government Act riforma gli enti di secondo livello (tranne la City) e crea 28

boroughs163.

Tale configurazione funziona fino al 1965, allorché entra in vigore il London Government Act

1963. Le trasformazioni avvenute nel tessuto urbano e sociale vengono indagate da un’apposita

commissione reale alla fine degli anni ’50164 i cui lavori sono alla base della riforma legislativa.

La legge del 1963 istituisce la Grande Londra (Greater London) con un complessivo riordino

del territorio e degli enti coinvolti. Oltre alla City, vennero istituiti 32 boroughs, ripartiti in 12

interni (inner boroughs) e 20 esterni (outer boroughs). A tale scopo, i 130 km2 della contea di

Middlesex165 e alcune zone appartenenti ad altre contee166 vennero fusi con la preesistente contea di

Londra167.

In coerenza con il coevo sistema di governo in vigore nel resto del Paese, il modello di

governo della Grande Londra era basato su un sistema a doppio livello, con i consigli dei borough,

l’autorità locale della City e un organo di livello superiore denominato Greater London Council168.

Il modello resta in vigore fino al 1986, ovvero al momento dell’entrata in vigore del Local

Government Act del 1985169, che abolisce il Greater London Council, insieme a tutti i county

councils delle contee metropolitane.

La scelta non è estranea a considerazioni prettamente politiche170, poiché la mancanza di

un’autorità strategica per Londra viene sopperita dai governi conservatori, ma con la vittoria

162 Insieme alle parrocchie non riformate, rimaste autonome e ad ulteriori enti quali la Liberty of Westminster. 163 In questa occasione vengono aboliti gli enti citati nella nota che precede. 164 Presieduta da sir Edwin Herbert, operò dal 1957 al 1960. 165 Su un totale odierno di 1569 km2. 166 In particolare, Kent, Surrey, Essex e Hertfordshire. 167 I confini dei boroughs corrispondono alla contea cerimoniale Greater London, dalla quale, dunque, è esclusa

la City. 168 Su questo modello di governo, ormai abolito, vedi V. ENRICHENS, Il governo delle aree metropolitane. Il caso

di Londra, in Amministrare, 1976, 271 ss. 169 Il cui titolo completo è il seguente: «an Act to abolish the Greater London Council and the metropolitan

county councils; to transfer their functions to the local authorities in their areas and, in some cases, to other bodies; and to provide for other matters consequential on, or connected with, the abolition of these councils».

laburista del 1997 si torna immediatamente a parlare di una forma unitaria per il governo della

Grande Londra, cui erano rimasti solo gli organi degli enti di minore estensione territoriale. Un

referendum tenuto il 7 maggio 1998 rivela che il 72% dei londinesi è favorevole all’istituzione di

una autorità di governo per la metropoli171.

Il Governo, dunque, si impegna per l’approvazione del Greater London Authority Act, legge

approvata dal Parlamento nel 1999 e le elezioni del nuovo sindaco e dell’assemblea vengono tenute

nel 2000. In ultimo, la normativa è stata integrata dal Greater London Authority Act del 2007.

Gli organi, secondo la section 2 della legge del 1999, sono due: il sindaco (mayor of London)

e l’assemblea (London Assembly)172.

Entrambi gli organi sono eletti a suffragio universale e diretto e le elezioni sono contestuali.

Per quanto riguarda il sindaco, l’elezione è a maggioranza assoluta dei voti, a meno che non vi

siano tre o più candidati (section 4), eventualità che apre al sistema del “voto supplementare”. La

scheda dell’elettore contiene l’indicazione di due preferenze, una prima ed una seconda. Nel caso in

cui nessuno dei tre (o più) candidati raggiunga la maggioranza assoluta delle prime preferenze

espresse, rimangono in gara solo i due candidati che hanno ricevuto comunque il maggior numero

di prime preferenze e si sommano ad esse il numero delle seconde preferenze espresse. A questo

punto, risulta eletto il candidato che ha ricevuto il maggior numero di prime preferenze sommate

alle seconde preferenze173.

Per quanto riguarda l’Assemblea, essa è formata da 25 membri, di cui 14 eletti in collegi

uninominali e 11 con formula proporzionale d’Hondt. Non esiste rapporto di fiducia tra il sindaco e

l’assemblea, ragion per cui può risultare che i colori politici dei due organi non siano coerenti, ma

resta il sindaco il soggetto che detiene i maggiori poteri, considerato che talune attribuzioni

dell’Assemblea devono essere esercitati con la maggioranza dei due terzi, come il dissenso sulle

strategie proposte dal sindaco e la non approvazione del bilancio annuale presentato da

quest’ultimo.

Quanto alle competenze, il quadro è complesso. Accanto alla Greater London Authority vi è

l’influente organizzazione che rappresenta i 32 boroughs, la Association of London Government,

170 Ovvero, come da taluno sottolineato, G. BALDINI , La devolution, cit., 653, dallo scontro tra la personalità

politica del laburista (e per un periodo, indipendente) Ken Livingstone, leader del Greater London Council e poi primo sindaco della Grande Londra dal 2000 al 2008, e gli esponenti del partito conservatore, tra cui il primo ministro in carica al momento della abolizione del 1985, Margaret Thatcher.

171 Il quesito sottoposto è: «siete voi a favore della proposta del Governo di creare una Greater London Authority, composta da un sindaco eletto ed una assemblea eletta separatamente?»

172 J. FROSINI, «Local Government» in Inghilterra e Galles: esperienze e prospettive, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, 2, 433 ss.; B. PIMLOTT, N. RAO, Governing London, Oxford University Press, Oxford, 2002.

173 Schedule 2 della legge del 1999.

mentre il Governo centrale, dal quale pure dipendono la gran parte dei fondi amministrati dalle

autorità cittadine, mantiene un Ufficio Governativo per Londra.

Riemerge qui il carattere composito del local government inglese. Quella sovrapposizione e

stratificazione di competenze che talvolta mette alla prova l’esprit de géométrie del giurista

continentale non appartiene alla tradizione britannica.

Secondo la section 30 del Greater London Authority Act, l’Autorità ha poteri di promozione

nei confronti: dello sviluppo economico e la creazione di benessere, lo sviluppo sociale e la tutela

dell’ambiente nella Grande Londra.

I compiti della Greater London Authority sono riferibili all’elaborazione di strategie come

funzione di indirizzo, cui è preposto il sindaco. I servizi relativi alle strategie elaborate sono erogati

da altri e diversi apparati, i quali, seppur sottoposti all’Autorità, costituiscono enti distinti.

Tra questi compiti strategici, si annoverano: la pianificazione strategica relativa

all’urbanistica, alla raccolta dei rifiuti, all’economia e all’ambiente (cd. London Plan), la politica

del trasporto, che comprende sia il trasporto pubblico locale sia le reti infrastrutturali (servizi

erogati dall’ente funzionale Transport for London), la pianificazione antincendio e di protezione

civile (London Fire and Emergency Planning Authority), la politica di sicurezza e di polizia

(Mayor’s Office for Policing and Crime), lo sviluppo economico (Greater London Authority Land

and Property).

La legge del 1999 disciplina direttamente una serie di enti – disciplina poi emendata e

modificata negli anni successivi – a dimostrazione che la complessa costruzione di controlli

incrociati, poteri di nomina e revoca, rendicontazione, direzione e controllo che si viene a creare

non è un sistema intrinsecamente disordinato, ma una precisa scelta del legislatore, pur con i pro e i

contro del caso.

Lo stesso rapporto tra sindaco e assemblea, come si rilevava, è di controllo reciproco,

nonostante il sindaco possa scegliere i membri del proprio cabinet tra i membri dell’assemblea.

Ne risulta un quadro che deve essere chiarito nei dettagli – tanto normativi quanto applicativi

– per ognuna delle funzioni esercitate dalla autorità centrale e che ha, quale unica caratteristica

comune, la compenetrazione tra diversi organi ed enti competenti in funzione di un autogoverno,

per riprendere il termine self-government, mai lasciato alla decisione di un solo organo o di un solo

livello di governo.

L’introduzione del sindaco eletto a suffragio universale e diretto, poi, ha costituito una novità

per Londra che è stata estesa, come si è visto, a tutti gli enti locali che volessero adottare il modello

del mayor elettivo previsto dal Local Government Act del 2000.

4. Le aree metropolitane dell’Inghilterra

Come si accennava sopra, con il Local Government Act del 1972 vennero create sei aree

metropolitane al di fuori di Londra che assunsero il nome di contee metropolitane. Si tratta delle

aree di: Greater Manchester174, Merseyside175, South Yorkshire176, Tyne and Wear177, West

Midlands178 e West Yorkshire179.

Quattro delle aree sono tra loro contigue: si tratta di Merseyside, Greater Manchester, West

Yorkshire e South Yorkshire180. Più a nord, sulla costa del Mare del Nord si trova Tyne and Wear,

mentre a sud, verso Londra, si colloca West Midlands.

L’assetto dato nel 1972 venne modificato negli anni ’80. La medesima legge che abolì il

Greater London Council, ovvero il Local Government Act 1985, abolì anche i consigli delle contee

metropolitane. Pertanto, non esistono più gli organi del livello superiore. Posto che nella tradizione

degli enti locali inglesi sono gli organi ad avere personalità giuridica181 e non gli enti locali in sé

considerati, la scomparsa dei consigli svuota di fatto il livello delle contee metropolitane e lascia

queste ultime con l’unico significato di regione geografica. Le competenze già esercitate dai

consigli delle contee sono state attribuite ai singoli distretti metropolitani.

Il sistema del local government nelle aree elencate, pertanto, è fondato su un singolo livello,

ma, per non perdere di vista il lato concreto, è necessario aggiungere che ogni distretto rappresenta

una città intera182 e, spesso, il suo intero hinterland, dunque non bisogna intendere la perdita del

livello superiore di governo come un pregiudizio inevitabile all’efficacia dell’azione

amministrativa, che mantiene comunque una dimensione di azione non trascurabile.

In secondo luogo, i distretti hanno creato fin dal momento dell’abolizione dei consigli di

contea delle forme di collaborazione che riconducono determinati servizi a livello di area.

174 Con i distretti metropolitani di Bury, Bolton, Manchester, Oldham, Rochdale, Salford, Stockport, Tameside,

Trafford, Wigan. Si veda per un elenco completo delle contee, dei distretti metropolitani e dei riferimenti alle ulteriori aree amministrative comprese lo schedule 1 “County and Metropolitan Districts in England” allegato al Local Government Act 1972 all’indirizzo www.legislation.gov.uk/ukpga/1972/70.

175 Con i distretti metropolitani di Knowsley, Liverpool, St. Helens, Sefton, Wirral. 176 Con i distretti metropolitani di Barnsley, Doncaster, Sheffield, Rotherham. 177 Con i distretti metropolitani di Newcastle upon Tyne, North Tyneside, Gateshead, South Tyneside,

Sunderland. 178 Con i distretti metropolitani di Birmingham, Coventry, Dudley, Sandwell, Solihull, Walsall, Wolverhampton. 179 Con i distretti metropolitani di Bradford, Calderdale, Kirklees, Leeds, Wakefield. 180 Così elencate da ovest verso est iniziando dalla costa sul Mare d’Irlanda. 181 S. TROILO, Gli enti locali, cit., 35. 182 Che può contare decine di migliaia di abitanti (a titolo di esempio, Doncaster 67.000), centinaia di migliaia di

abitanti (Manchester, 500.000 o Leeds, 750.000) o anche un milione (Birmingham).

Gli ambiti sono i medesimi, con le dovute differenze locali183, che si sono riscontrati

nell’analisi della Grande Londra. In particolare, si tratta dei servizi di polizia184, raccolta e

riciclaggio dei rifiuti185, trasporto186, protezione civile e servizio antincendi187.

La possibilità di ricondurre al livello della contea alcuni servizi strategici188 e l’apertura

legislativa verso forme di partenariato189 ha ricondotto alla ormai ben nota flessibilità organizzativa

del local government la pianificazione e l’erogazione dei servizi e delle relative strategie.

Da ultimo, il Local Democracy, Economic Development and Construction Act del 2009 ha

disciplinato le cd. combined authorities, enti che possono essere creati (al di fuori della Grande

Londra) proprio per la gestione comune dei servizi su aree che comprendano territori soggetti a

diversi enti locali.

Le autorità locali della contea metropolitana di Greater Manchester hanno formato già nel

2011 la Greater Manchester Combined Authority, i cui compiti spaziano dai trasporti alla

pianificazione strategica in materia di sviluppo economico.

Sembra dunque che il regime delle contee metropolitane possa avvicinarsi di nuovo a quello

della Grande Londra attraverso la creazione di autorità aventi competenze e responsabilità

sull’intero territorio. Resta comunque profondamente diverso il regime giuridico, poiché la sola

assenza di organi eletti a suffragio universale e diretto a livello di contea rappresenta una difformità

evidente.

183 South Yorkshire Pensions Authority, Tyne and Wear Archives and Museums. 184 Greater Manchester Police, West Midlands Police, South Yorkshire Police Authority, West Yorkshire Police

Authority. Per quanto riguarda Tyne and Wear, la Northumbria Police copre il servizio di polizia per le contea metropolitana e per la confinante contea di Northumberland.

185 Merseyside Recycling & Waste Authority. 186 West Midlands Passenger Transport Executive, South Yorkshire Integrated Passenger Transport Executive,

West Yorkshire Passenger Transport Executive, Tyne and Wear Transport Authority. 187 West Midlands Fire Service, South Yorkshire Fire and Rescue Authority. 188 Il South Yorkshire è l’unica contea ad aver creato un Joint Secretariat, ente composto da rappresentanti dei

distretti della contea e da rappresentanti delle autorità comuni con il compito di assistere e coordinare le stesse autorità della contea sia da un punto di vista amministrativo sia da un punto di vista maggiormente strategico.

189 Sulle quali, in generale, S. TROILO, Gli enti locali, cit., 353 ss. Per quanto riguarda le aree metropolitane, si ricorda la Association of Greater Manchester Authorities.

Italia: lavori in corso

1. Lo sviluppo legislativo di un’idea: le Città metropolitane

A oltre vent’anni dall’approvazione della legge 142/1990, la riforma metropolitana ancora

attende di essere attuata. Tuttavia, dopo un lungo periodo di stasi, le città metropolitane sono tornate

al centro dell’agenda politica nazionale190.

In Italia, com’è noto, i progetti di istituzione delle città metropolitane sono rimasti sulla carta:

dal primo, più datato, previsto dalla legge n. 142 del 1990 (artt.17-21), a quello delineato nel testo

unico degli enti locali n. 267 del 2000 (artt. 22-27), sino a quello più recente della decreto legge n.

95 del 2012 (art. 18).

La concreta attuazione delle città metropolitane è rimasta un dilemma irrisolto per diversi

fattori: per un verso, la difficoltà di applicare il modello di governo unico e non differenziato della

sovra-comunalità, in tutte le concentrazioni urbane qualificate come aree metropolitane,

evidentemente disomogenee fra di loro per dimensioni e caratteristiche senza prevedere un

ragionevole coordinamento con gli altri livelli di governo locale tradizionali (regione, provincia,

comuni); e, per l’altro, si è riscontrata l’esistenza di forti veti istituzionali incrociati, che hanno

paralizzato l’azione delle Regioni e delle autonomie locali.

In definitiva, per più di vent’anni le dieci città metropolitane non sono mai state istituite,

anche se l’ente città metropolitana ha ottenuto, con la riforma del 2001 del Titolo V della

Costituzione, il pieno riconoscimento costituzionale (artt. 114, 117,118 e 119 Cost.).

Come anzidetto, le città metropolitane sono state previste, per la prima volta, dalla legge di

riforma organica dell’ordinamento dei comuni e delle province 8 giugno 1990, n. 142191.

La riforma prendeva atto di un processo di lungo periodo, di carattere sociale e demografico,

che aveva mutato il volto e la struttura degli enti locali in Italia. Si era venuta realizzando, sin dagli

anni ’70 del secolo scorso, una «gerarchizzazione del territorio»192, consistente nella «formazione

costante di centri e di periferie, di aree forti e di aree dipendenti», vale a dire di una conurbazione

centrale, nella quale sarebbero confluite le più importanti funzioni urbane, e di periferie in

190 Sul percorso normativo W. TORTORELLA, M. ALLULLI , Città metropolitane. La lunga attesa, cit., 22 ss. 191 Sui profili generali si rinvia a F. PIZZETTI, Le mille contraddizioni della vicenda italiana: la discussione sulle

Aree metropolitane, in Arel, 1995, 3, 10 ss.; E. BALBONI, L’area/città metropolitana tra funzioni e finzioni, in Le Regioni, 1997, 5, 815 ss.

192 A. CROSETTI, Sul governo delle aree metropolitane, in Amministrare, 1989, 149 ss.

condizione di pressoché integrale assoggettamento alla prima. Ed è, appunto, nel contesto di questo

sviluppo di integrazione/contrapposizione, che si è delineata l’area metropolitana, quale esperienza

estesa oltre i limiti amministrativamente determinati, risultando da una stretta integrazione fra la

città centrale e gli agglomerati circostanti, vale a dire tra un centro normalmente di grandi

dimensioni e polifunzionale, e quella serie composita di centri minori, che vi sono ancorati da un

rapporto di dipendenza socioeconomica e funzionale.

La legge del 1990 individuava direttamente le nove realtà da costituire in forma di città

metropolitana193 e definiva per questi conglomerati urbani un modello tendenzialmente

indifferenziato di governo da realizzare o in un’“area ristretta” comprendente il comune capoluogo

e i centri urbani collegati, o in un’“area vasta” comprensiva anche delle altre realtà unite al centro

urbano da rapporti di stretta integrazione.

In questi termini il legislatore si era limitato a precisare i parametri (gestione dei servizi,

integrazione delle attività economiche e via di seguito) in presenza dei quali può legittimamente

presumersi l’esistenza di un’area metropolitana e può quindi procedersi alla delimitazione.

Prevedeva, inoltre, che la Regione potesse procedere alla delimitazione territoriale di ciascuna

area metropolitana, sentiti i comuni e le province interessate, entro un anno dalla data di entrata in

vigore della stessa legge, con facoltà di riordino della circoscrizione provinciale qualora l’area

metropolitana non avesse coinciso con il territorio di una provincia.

Alla Regione spettava inoltre il compito di coordinare il riparto delle funzioni amministrative,

con rilevanza sovra-comunale, fra comuni e città metropolitana, nel campo della pianificazione,

della viabilità, della mobilità, della tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente, della

difesa del suolo, della tutela idrogeologica, della tutela e valorizzazione delle risorse idriche, dello

smaltimento dei rifiuti, della raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche, dei

servizi per lo sviluppo economico e della grande distribuzione commerciale, e dei servizi di area

vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani

di livello metropolitano (art. 19).

Sotto il profilo istituzionale, la legge stabiliva, ancora, che nell’area metropolitana,

l’amministrazione locale si dovesse articolare in due livelli, città metropolitana e comuni, e

individuava nel sindaco, giunta e consiglio del capoluogo gli organi elettivi della nuova istituzione.

193 L’art. 17 della legge 142/1990 considerava, in particolare, aree metropolitane le zone comprendenti i comuni

di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni aventi una stretta integrazione con i primi di natura economica, in relazione ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle attività culturali o alle caratteristiche territoriali.

Presupposto indispensabile era quello della delimitazione amministrativa dell’area territoriale di

riferimento, applicando anche al fenomeno metropolitano il principio classico dell’ordinamento

degli enti territoriali: un territorio/un governo, una comunità/un governo.

In termini positivi e propositivi, il disegno della legge del 1990 fondava il governo del

territorio su due principi: l’adozione del metodo della pianificazione urbanistica e territoriale (come

nel resto dell’Europa) e la democraticità del processo di pianificazione, affidandone l’attuazione

alla responsabilità e all’iniziativa pubblica degli enti locali.

Al contempo emergevano due motivi di debolezza del modello delineato194, sotto il profilo

strutturale e funzionale.

Sotto il profilo strutturale o soggettivo la città metropolitana appariva configurata come una

mega-provincia con un territorio di conurbazione che spesso comprendeva il territorio di più

province: in tal modo entrando in rotta di collisione con l’ente provincia così come rivitalizzato – in

termini contraddittori – dalla stessa legge di riforma del 1990.

Sotto il profilo funzionale, il secondo motivo di debolezza consisteva nel fatto che il criterio

di ripartizione delle competenze, indicato dalla legge, si avvicinava di più al modello tradizionale (e

fallimentare) del riparto per materie che non a quello del riparto per funzioni organiche.

A causa delle difficoltà incontrate dalle Giunte regionali per portare a compimento

l’approvazione delle leggi regionali istitutive delle aree metropolitane, il legislatore statale si vide

costretto a rendere facoltativa l’istituzione delle stesse ed a prorogarne i tempi.

Il modello della legge n. 142 del 1990 non è quindi mai stato realizzato per i problemi e i veti

incrociati insorti tra centro e periferia nella fase di attuazione. Occorre riconoscere che la causa

principale dell’insuccesso della legge n. 142/1990 fosse da addebitare, però, alla difficoltà oggettiva

di applicare il modello unico di città metropolitana, istituzionalizzato e strutturato in modo

uniforme, in realtà urbane molto disomogenee fra di loro, dalla città globale di Milano all’ “isola” di

Venezia.

194 P. MANTINI , La riqualificazione delle aree metropolitane: profili giuridici, in La riqualificazione delle aree

metropolitane: quale futuro ? - Atti del XXVI Incontro di Studio, Milano 1996, 23 ss. che rilevava come il conflitto determinato dalla previsione del nuovo soggetto di governo fosse pluridirezionale: a) con le regioni, poiché era evidente il timore di queste di essere scavalcate nei rapporti di programmazione e anche di gestione amministrativa dal rapporto diretto Stato-città metropolitane, in un’ottica ancora più forte rispetto all’asse Stato-comuni che aveva già caratterizzato l’esperienza degli ultimi quindici anni; b) con le province, in funzione della coincidenza delle competenze istituzionali e funzionali nonché, in molti casi, del territorio (era evidente che in tal modo la provincia sarebbe stata restituita alla sua dimensione di ”marca” statale, depotenziandosi il ruolo di ente territoriale intermedio); c) con gli stessi comuni, poiché se era evidente il timore di una perdita di autonomia e di ruolo a vantaggio del comune capoluogo, centro di attrazione metropolitana, non meno rilevante dell’analogo timore generato dall’eventuale esercizio, da parte della regione, della potestà di riordino delle circoscrizioni territoriali dei comuni dell’area metropolitana (ai sensi dell’art. 20, 1° co., l.. 142/1990).

A distanza di nove anni dalla entrata in vigore della legge 142/90 veniva approvata il decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 265 (cd. Tuel - Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento

degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142), che apportava sostanziali

variazioni alle norme sulle aree metropolitane195.

Il Tuel prevede un modello di città metropolitana meno rigido e maggiormente diversificato in

relazione alle specificità locali rispetto a quello della legge n. 142 del 1990.

Nella costruzione del Tuel, infatti, la città metropolitana è configurata come ente locale

eventuale e, soprattutto, ad ordinamento differenziato (artt. 22- 26)196.

Il Tuel, in particolare, confermava le stesse aree metropolitane già individuate dalla legge n.

142 del 1990, ossia le zone comprendenti ai comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,

Firenze, Roma, Bari, Napoli e agli altri comuni con insediamenti in rapporti di stretta integrazione

territoriale in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, alle relazioni

culturali e alle caratteristiche territoriali (art. 22).

La Regione avrebbe inoltre potuto scegliere fra tre opzioni:

a) procedere alla delimitazione della città metropolitana, senza creare altre strutture (art. 22);

b) definire per determinate materie, ambiti sovra comunali, associativi o di cooperazione, per

l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali (art. 24);

c) istituire la città metropolitana fra il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da

contiguità, con rinvio per la definizione degli elementi fondamentali (territorio, organizzazione,

articolazione interna e funzioni) al statuto della stessa città metropolitana (art. 23)197.

Il Tuel, in sostanza, valorizzava i requisiti caratterizzanti la città metropolitana di “area

ristretta”, prevedendo un ente amministrativo costituito da una grande città (il Comune capoluogo) e

i comuni in contiguità territoriale, ad essa strettamente legati per questioni economiche, sociali e di

servizio, nonché culturali e territoriali (cosiddetta “conurbazione”), senza escludere, però, la

possibilità di una organizzazione territoriale per “area vasta”198.

E, soprattutto, lasciava alla competenza delle autonomie locali la decisione sul futuro dei loro

territori, coinvolgendo nella scelta anche le popolazioni interessate attraverso lo strumento del

195 A. MARZANATI , La questione delle città metropolitane in Italia, in Nuova rass. leg. dott. e giur., 2006, 9,

1121 ss.; ID., Note critiche in tema di città metropolitane, ivi, 2006, 2, 106 ss. 196 L. OLIVIERI , Il progetto di istituzione delle Città metropolitane, in www.leggioggi.it 197 Si prevedeva, inoltre, la possibilità di optare per un modello meno strutturato e più funzionale, attraverso

forme associative e di cooperazione collaborativa per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali in ambiti sovra comunali (sull’esempio delle agenzie funzionali specializzate per determinati temi).

198 Ciò risulta particolarmente rilevante: se, infatti, la legge 142/1990 legittimava anche una concezione dell’area metropolitana come area vasta, includendo non solo i centri immediatamente adiacenti al comune capoluogo, ma altresì quelli solo funzionalmente legati ad esso, con il Tuel la contiguità territoriale diventa elemento imprescindibile.

referendum. Si introduceva, infatti, l’obbligo del referendum sulla proposta di istituzione della città

metropolitana, da svolgersi obbligatoriamente a cura di ciascun comune partecipante.

Pertanto, si assiste con il Testo unico ad un’inversione di tendenza, data dal conferimento di

un ruolo preminente e dalla valorizzazione dell’autonomia, agli enti locali (comuni e province) in

ordine alle scelte organizzative del nuovo livello di governo: se, infatti, l’art. 17 l. n. 142/1990

attribuiva l’iniziativa legislativa alle regioni, prevedendo che i comuni e le province interessate

fossero semplicemente «sentiti», tale rapporto veniva invertito, in modo che la regione fosse tenuta

ad attivarsi soltanto sulla base di una «conforme proposta degli enti locali interessati».

Stabiliva che nelle aree metropolitane il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da

contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione potevano costituirsi in città metropolitane

ad ordinamento differenziato. In tali termini, dopo l’esito favorevole del referendum, la proposta di

costituzione della città metropolitana poteva essere presentata dalla regione ad una delle due

Camere per l’approvazione con legge, con la conseguenza di determinare l’approvazione di tante

leggi quante erano le regioni proponenti.

La città metropolitana avrebbe acquisito le funzioni della provincia; attuato il decentramento

previsto dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali.

In caso di non coincidenza della città metropolitana con il territorio di una provincia, si

sarebbe dovuto procede alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di

nuove province, considerando l`area della città come territorio di una nuova provincia.

Istituita la città metropolitana, la Regione, previa intesa con gli enti locali interessati, avrebbe

potuto procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni compresi nell`area

metropolitana.

Anche il Tuel, come è noto, non ha avuto attuazione e, dal 7 luglio 2012, gli artt. 22 e 23 sono

stati abrogati dal comma 1, ultimo periodo, dell’art. 18 del decreto legge n. 95/2012 sulla spending

review.

La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione è la conclusione del processo di

riorganizzazione della Repubblica in senso autonomista e federale, che, modificando

profondamente i principi che reggono il governo locale nel nostro Paese nei suoi rapporti con le

Regioni e con lo Stato, ha inciso sulla capacità complessiva degli enti locali di amministrare e

governare le esigenze della collettività.

Con la riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, la città metropolitana ha ottenuto il

riconoscimento costituzionale come componente essenziale della Repubblica, unitamente a regioni,

province, comuni e Stato.

A livello costituzionale si arriva a:

a) equiparare la città metropolitana agli altri enti territoriali, senza darne né una definizione né

una “perimetrazione”;

b) non delineare il procedimento per la loro istituzione, lasciando il dubbio sull’applicabilità o

meno a questa fattispecie dell’art. 133 Cost.;

c) attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «legislazione

elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane»

(art. 117, co. 2°, lett. p)., Cost.).

Le città metropolitane, al pari di comuni, province e Regioni, si configurano quindi come

«enti autonomi con propri statuti, funzioni e poteri secondo i principi fissati dalla Costituzione» (art.

114, co. 2°, Cost.), ed hanno un potere regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e

dello svolgimento delle funzioni ad esse attribuite (art. 117, co. 6°, Cost.).

Ergo, ciascun livello di governo territoriale, nel proprio ambito ed in rapporto con la comunità

rappresentata, diviene titolare di piena e indefettibile autonomia politica, di poteri e funzioni proprie

e peculiari.

Anche le città metropolitane, a livello di dettato costituzionale, sono quindi titolari di funzioni

amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive

competenze e possono esercitare quelle funzioni che, di norma, spettano ai comuni ma che, allo

scopo di assicurarne l’esercizio unitario, possono esserle conferite sulla base dei principi di

sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118 Cost.).

Esse, insieme con lo Stato, le Regioni, le province e i comuni, devono favorire l’autonoma

iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla

base del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, co. 3°, Cost.).

Sono enti dotati di autonomia finanziaria di entrata e di spesa e devono avere risorse

autonome e la possibilità di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie, in armonia con la

Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e

di disporre di una compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (art. 119).

Le città metropolitane hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali

determinati dalla legge dello Stato (art. 119, co. 6°, Cost.).

L’aver istituzionalizzato le città metropolitane estende dunque anche a quest’ultime l’intero

statuto dettato dalla Costituzione per i poteri locali, vale a dire potestà statutaria, riserva allo Stato

di vari poteri, allocazione delle funzioni, autonomia finanziaria, potere sostitutivo del governo, ed

altro.

Per quanto il riconoscimento costituzionale delle città metropolitane abbia rappresentato un

passaggio fondamentale si deve constatare come, nella temperie dei primi anni del nuovo secolo, i

tempi non fossero ancora maturi affinché si giungesse ad una loro effettiva istituzione, ritardo da

imputarsi alla persistenza di difficoltà politiche e di redistribuzione delle competenze e delle risorse

finanziarie e fiscali tra i governi locali.

La legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd. legge “La Loggia”), emanata per adeguare l’ordinamento

della Repubblica alla riforma costituzionale del 2001 tramite delega al governo ad adottare appositi

decreti legislativi, non ha fornito una nozione generale di area metropolitana, né ne ha definito i

caratteri, limitandosi a delegare ogni decisione in merito all’esecutivo, con poche indicazioni

generiche199.

Questa legge superava la previsione del Tuel, che affidava allo statuto della città

metropolitana, elaborato dagli stessi enti costituenti, il compito di disciplinare gli organi e

l’articolazione interna della Città metropolitana e di definirne le funzioni.

Fra le disposizioni riportate dalla legge, quelle che riguardano le città metropolitane sono le

seguenti:

o l’art. 2, 1° co., che ha delegato il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2005 – su

proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le

riforme istituzionali e la devoluzione e dell'economia e delle finanze – uno o più decreti

legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’art. 117, 2° co.,

lettera p), Cost., quali provvedimenti essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e

Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di

riferimento;

o l’art. 2, 4° co., lett. b) che attribuisce al legislatore delegato il compito di «individuare le

funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane in modo da

prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per

ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni connaturate alle caratteristiche

proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e

per il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento, tenuto conto, in via

prioritaria, per comuni e province, delle funzioni storicamente svolte»;

o l’art. 5 che reca disposizioni in merito all’attuazione del nuovo art. 118 Cost., in materia di

esercizio delle funzioni amministrative. Il nuovo assetto amministrativo costituisce il più

immediato e diretto riflesso dell’equiordinazione tra comuni, province, città metropolitane,

regioni e Stato, sancita dall’art. 114 Cost. I comuni sono stati individuati come gli enti più

199 S. PIAZZA , Note a margine ai profili dell’evoluzione normativa ed istituzionale in tema di aree e città

metropolitane nell’esperienza italiana, in Nuova rass. leg. dott. e giur., 2008, 21-22, 2200 ss. ; ID., Profili problematici dell’evoluzione normativa ed istituzionale nell’esperienza italiana in materia di aree e città metropolitane anche alla luce del rapporto tra governo locale e sviluppo locale, in L’Amm. it., 2009, 1, 23 ss.

vicini ai cittadini e, in quanto tali, titolari di tutte le funzioni amministrative, salvo che, per

assicurarne l’esercizio unitario, si renda necessario conferirne alcune a province, città

metropolitane, regioni o Stato (principio di sussidiarietà verticale);

o l’art. 5 chiarisce inoltre che l’attribuzione delle funzioni amministrative in capo ai comuni non

è immediata o automatica, ma presuppone l’intervento del legislatore sulla base dei principi di

sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Contestualmente, è previsto l’avvio del

procedimento per il trasferimento di beni, risorse finanziarie, strumentali, umane ed

organizzative per l’esercizio delle funzioni trasferite. Per quanto attiene, infine, alla disciplina

transitoria, l’art. 5 stabilisce che fino all’entrata in vigore dei provvedimenti statali e regionali

di riallocazione delle funzioni amministrative, queste vengono esercitate secondo le

disposizioni vigenti;

o l’art. 6, co. 4° ribadisce invece che resta fermo che i comuni, le province e le città

metropolitane continuano a svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie loro

attribuite, secondo l’ordinamento vigente, comunicando alle regioni competenti ed alle

amministrazioni di cui al co. 2° ogni iniziativa.

Come è noto, il termine per l’adozione dei decreti delegati di cui alla legge La Loggia era

fissato al 31 dicembre 2005, ma la delega è rimasta del tutto inattuata.

Il tema della città metropolitana è stato rilanciato, senza successo, dalla legge 5 maggio 2009,

n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119

della Costituzione sul federalismo fiscale».

In particolare, l’art. 15 della l. n. 42/2009, inserito nel capo IV riguardante il finanziamento

delle città metropolitane e di Roma capitale, prevedeva l’approvazione di uno specifico decreto

legislativo per assicurare il finanziamento, attraverso forme di autonomia impositiva, delle funzioni

delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, allo scopo di assicurare

ai suddetti enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa, in relazione alla complessità delle

funzioni ad essi attribuite.

L’art. 23 della legge n. 42 del 2009 introduceva «la disciplina per la prima istituzione» delle

Città metropolitane, in via transitoria, mentre rinviava ad un’apposita legge, la disciplina ordinaria

sulle funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale (art. 23, comma 1).

L’ambito di applicazione della disciplina transitoria, di cui all’art 23 della legge n. 42/2009,

non si estendeva a tutti i territori interessati dalla normativa vigente dettata dal Tuel, ma solamente

alle aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. A queste si

aggiungeva Reggio Calabria, non prevista dalla disciplina vigente, mentre ne risultava esclusa

Roma, in quanto oggetto di apposita disciplina ai sensi dell’art. 24.

La disciplina transitoria introduceva un apposito procedimento per l’istituzione della città

metropolitana che presupponeva l’esistenza e, quindi, la precedente delimitazione delle aree

stesse200. Tale delimitazione rimaneva quindi regolata dalla disciplina contenuta nell’art. 22 del

Tuel.

La legge, cui rinviava l’art. 23, 1° co., legge n. 42/2009, avrebbe dovuto: a) disciplinare il

trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni

trasferite alla città metropolitana (art. 23, 8° co.); b) dare attuazione «alle nuove perimetrazioni

stabilite ai sensi (dell’art. 23)» della legge n. 42/2009; c) disciplinare l’esercizio dell’iniziativa da

parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell’area metropolitana, in modo

da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l’inclusione nel territorio della città

metropolitana ovvero in altra provincia già esistente , nel rispetto della continuità territoriale (art.23,

9° co.).

La legge n. 42 del 2009 aveva introdotto, in particolare, la possibilità di “sperimentare”

l’istituzione della città metropolitana prevedendone il relativo iter procedimentale:

1) proposta di istituzione della città metropolitana201 formulata da parte degli enti locali

individuati come a ciò legittimati (provincia o comune o entrambi), da sottoporre al vaglio

preventivo della Regione. A differenza dell’art 23, 2° co., d.lgs. n. 267 del 2000, che prevedeva

un’unica modalità per dare avvio al procedimento di istituzione della città metropolitana, nell’art.

23 della legge delega sul federalismo fiscale si prefiguravano tre modelli di iniziativa per

l’istituzione della città metropolitana: la prima che si fondava sulla parità istituzionale dei due enti

territoriali principalmente interessati, provincia e comune; il secondo ed il terzo che vedevano,

rispettivamente, la preminenza del comune capoluogo e della provincia.

2) indizione di un referendum tra «tutti i cittadini della Provincia» in ordine alla proposta.

Nessun comune o provincia delle aree interessate ha ritenuto di dovere sfruttare la possibilità

di sperimentare nel proprio territorio l’istituzione della città metropolitana. La questione delle città

metropolitane, quindi, è rimasta ancora una volta irrisolta, anche a causa, fra l’altro,

dell’immobilismo dei territori interessati.

200 Da notare che all’epoca solo Venezia, Genova, Bologna e Firenze avevano proceduto a delimitare il territorio

dell’area metropolitana, mentre Torino, Milano, Napoli, Bari e Reggio Calabria non avevano ancora effettuato la suddetta delimitazione.

201 Si prescriveva che l’oggetto della proposta di istituzione della città metropolitana dovesse essere composto da tre elementi: a) la perimetrazione della città metropolitana; b) l’articolazione interna della stessa in comuni; c) una proposta di statuto provvisorio. Si stabiliva altresì che la perimetrazione della città metropolitana, nel rispetto del principio di continuità territoriale, doveva comprendere almeno tutti i comuni proponenti e il comune capoluogo, e coincidere con il territorio di una sola provincia o di una sua parte.

L’ottavo comma dell’art. 23 dispose altresì la soppressione delle province nel cui territorio

sono situate le città metropolitane, a partire dall’insediamento dei nuovi organi rappresentativi di

queste ultime, che avrebbero sostituito gli organi provinciali. La legge in parola avrebbe dovuto

altresì disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie

inerenti alle stesse, nonchè dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali. Inoltre si

prevedeva che lo statuto definitivo della città metropolitana avrebbe dovuto essere adottato dagli

organi competenti entro sei mesi dalla data del loro insediamento.

Anche questo tentativo è fallito e ciò ha trovato ratifica nell’abrogazione degli artt. 23 e 24,

co. 9° e 10°, della suddetta legge n. 42 del 2009 operata dal co. 1, ultimo periodo, dell’art. 18 del

decreto legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135202.

L’ultimo tassello di questo percorso nel controverso percorso che ha portato all'attuazione

delle città metropolitane è dato dalle disposizioni del d.l. n. 95/2012, che si configura come norma

di sistema, finalizzata a dare attuazione all’ente città metropolitana previsto fin dal 1990 come ente

territoriale da istituire, costituzionalizzato poi nel 2001203.

Con l’art. 17, infatti, si è provveduto a riordinare le province e le loro funzioni; con l’art. 18 a

istituire le città metropolitane e a sopprimere le province insistenti nel relativo territorio; con gli

artt. 19 e 20 a definire le funzioni fondamentali dei comuni e le modalità di esercizio associato di

funzioni e servizi comunali (art. 19), e a dettare disposizioni per favorire la fusione di comuni e la

razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali (art. 20).

Con queste disposizioni, di fatto, il d.l. n. 95/2012 ha disegnato un quadro ampio e coerente di

ridefinizione del sistema degli enti territoriali, ispirato da un lato al principio della diversificazione

e dell’adeguatezza, in omaggio all’art. 118 Cost., e dall’altro all’obiettivo di dare piena e integrale

attuazione all’art. 114 Cost.

Tale disposizione non prevedeva l’istituzione ma “istituiva” direttamente, a partire dal

gennaio 2014, le città metropolitane ivi elencate.

Nella disciplina in questione vi erano alcuni elementi di notevole rilievo che forse hanno

determinato l’ulteriore fallimento normativo. In primo luogo si è irrigidi to l’ambito territoriale delle

città metropolitane secondo un modello unico e un criterio unitario che non sempre ha corrisposto a

202 W. TORTORELLA, M. ALLULLI , Le Città metropolitane secondo la legge 135/2012, in Amministrare, 2013, 1,

153 ss. 203 F. PIZZETTI, La città metropolitana: luci ed ombre nella storia e nell'attualità di un ente da decenni atteso, in

www.diritto.regione.veneto.it, 3-4, 2012, 3 ss.; G. TROTTA, La città metropolitana tra proclami normativi e paralisi istituzionali, ivi, 4 ss.

esigenze razionali, ed anzi spesso si è scontrato con realtà territoriali non adeguatamente

omogenee204.

Inoltre lo stesso art. 18 individuava le funzioni fondamentali della città metropolitana, vuoi

trasferendo ad essa tutte le funzioni fondamentali svolte dalle province soppresse, vuoi attribuendo

ad essa alcune nuove specifiche competenze dettagliatamente indicate.

Un’attenzione specifica hanno meritato gli organi della città metropolitana così come

disegnati nell’art. 18.

Organi che sono, innanzitutto, limitati al sindaco metropolitano e al consiglio, composto di un

numero limitato ma variabile di membri in base alla popolazione, ma senza che sia prevista

l’esistenza di una giunta ed essendo consentito solo al sindaco metropolitano di decidere se

nominare, oppure no, un vicesindaco205.

La legge stessa prevedeva poi un ampio potere statutario in capo alla città metropolitana, da

esercitare in due fasi: la prima, da parte di una Conferenza metropolitana preliminare all’istituzione

della città; la seconda, da adottare dal consiglio della città metropolitana una volta che questa fosse

stata istituita.

In particolare sarebbe spettato alla fonte statutaria dettare anche le regole relative alla

delegabilità di funzioni dalla città metropolitana ai comuni interni all’area e viceversa, nonché le

norme relative ai possibili rapporti tra la città metropolitana e i comuni esterni al suo territorio.

L’art. 18 del d.l. n. 95/2012 aveva molte ombre ed ha un vizio di fondo: quello di prevedere e

disciplinare in modo uniforme la città metropolitana.

Vizio che si connetteva ad un ulteriore elemento di rigidità più difficile da superare, ovvero

l’ambito territoriale, che avrebbe dovuto essere meglio tipizzato, prevedendo anche modalità idonee

per i mutamenti territoriali, andando oltre l’attuale art. 133 Cost.

Queste sommarie note danno conto di un percorso incompiuto che ha trovato completamento

solo con la legge n. 56/2014.

204 Il territorio della città metropolitana era predeterminato per legge e coincideva con quello della provincia, che

di conseguenza veniva soppressa. 205 Questi organi sono stati configurati, come già per le province di cui all’art. 23 del d.l. «Salva Italia», quali

organi di secondo grado, eletti dai consiglieri comunali dei comuni interni alla città sulla base di una legge elettorale che sarebbe spettato al legislatore statale di determinare.

2. La l. 56/2014: quale modello per le Città metropolitane in Italia?

L’accidentato cammino delle Città metropolitane in Italia si riflette a più livelli nella l. 7

aprile 2014, n. 56 recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e

fusioni di comuni”. Dal punto di vista redazionale, essa è organizzata in un solo articolo diviso in

151 commi, tecnica che deriva dalla strutturazione dei lavori parlamentari e che consente di

trasformare la fase della votazione articolo per articolo in una decisione complessiva sull’intero –

ben più complesso – testo normativo206. Dal punto di vista dei contenuti, non svaniscono le

complessità e le perplessità che si sono riscontrate nell’analisi dei molteplici interventi normativi

che si sono commentati.

Ai sensi dell’art. 1, co. 2°, l. cit., «le città metropolitane sono enti territoriali di area vasta». La

differenza rispetto alle province (co. 3°), le quali, a loro volta, sono definite in generale «enti di area

vasta» si rintraccia nelle «funzioni» e nelle «finalità istituzionali generali».

Le prime sono contenute nei commi da 44 a 46, le seconde, invece, sono elencate dallo stesso

co. 2° e sono le seguenti: «cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e

gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città

metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con

le città e le aree metropolitane europee207».

Quanto alle funzioni, la l. 56/2014 si occupa di esprimerle in modo analitico:

«co. 44. A valere sulle risorse proprie e trasferite, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza

pubblica e comunque nel rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno, alla città metropolitana

sono attribuite le funzioni fondamentali delle province e quelle attribuite alla città metropolitana

nell’ambito del processo di riordino delle funzioni delle province ai sensi dei commi da 85 a 97 del

presente articolo, nonché, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione,

le seguenti funzioni fondamentali:

a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio

metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l’ente e per l’esercizio delle funzioni dei comuni

e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all’esercizio di funzioni

delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro

competenza;

206 L’originale disegno di legge AC 1542 constava di 23 articoli, che divennero 30 nel passare al Senato come S

1212. Nell’approvazione al Senato il Governo ha posto la questione di fiducia su un maxiemendamento (n. 1900) interamente modificativo del testo e in tale versione è stato approvato da entrambe Camere.

207 Delle quali si è dato conto nelle parti che precedono di questo lavoro e che permettono di rilevare facilmente quali siano le città europee (poiché così dice il legislatore, che pare tralasciare l’ordinamento delle città metropolitane di altri continenti) con cui possono rapportarsi le città metropolitane italiane.

b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di

servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche

fissando vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel

territorio metropolitano;

c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei

servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D’intesa con i comuni interessati la

città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione

appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure

selettive;

d) mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione

urbanistica comunale nell’ambito metropolitano;

e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando

sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione

della città metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);

f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in

ambito metropolitano.

Co. 45. Restano comunque ferme le funzioni spettanti allo Stato e alle regioni nelle materie di

cui all’articolo 117 della Costituzione, nonché l’applicazione di quanto previsto dall’articolo 118

della Costituzione.

Co. 46. Lo Stato e le regioni, ciascuno per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori

funzioni alle città metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e

adeguatezza di cui al primo comma dell’articolo 118 della Costituzione.»

Non sono da trascurare le norme di chiusura contenute nei commi 45 e 46. Il legislatore

ricorda espressamente che restano in capo allo Stato e alle Regioni le funzioni che loro spettano in

virtù dell’art. 117 Cost., il quale, come noto, distribuisce le materie di potestà legislativa, non le

funzioni, le quali, piuttosto, sono attribuite dall’art. 118, co. 1, Cost., ai Comuni.

Pare, dunque, che le Città metropolitane non debbano innovare all’ordinamento, poiché il

legislatore si preoccupa di tenere ferme le funzioni dello Stato e delle Regioni e «l’applicazione di

quanto previsto all’articolo 118 della Costituzione», ovvero, innanzitutto, l’attribuzione delle

funzioni ai Comuni, pur senza dimenticare la complessità, teorica e di applicazione, dei principi

contenuti in tale articolo della Carta fondamentale, iniziando dal più noto, il principio di

sussidiarietà. D’altra parte, è la stessa lettera b del comma 43 che permette alle città metropolitane,

«anche», di fissare «vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni» del suo

territorio, dimostrando in modo piano che un ente come la città metropolitana non può non innovare

alla distribuzione delle funzioni nell’ordinamento e sul territorio in cui si inserisce.

La norma di cui al co. 45 potrebbe, dunque, essere letta come clausola di salvaguardia delle

funzioni spettanti agli enti territoriali più ampi, lo Stato da una parte e le Regioni dall’altra, in modo

che la creazione delle città metropolitane non incida sugli enti maggiori e che, piuttosto, riordini

l’assetto di quelli minori, nell’ottica di una centralizzazione che si arresti al livello metropolitano

senza intaccare le funzioni ai livelli superiori. Se così fosse, la norma rivelerebbe una visione

ampiamente gerarchica del rapporto tra gli enti che compongono la Repubblica. Il riferimento

generico all’art. 118 Cost., nella stessa ottica, può giustificare l’applicazione del principio di

sussidiarietà verticale anche in senso “ascendente”, ovvero, di nuovo, di attribuzione delle funzioni

ai livelli di governo superiori, dunque non necessariamente una sussidiarietà “verso il basso”.

Quanto alla norma del co. 46, che permette l’attribuzione di ulteriori funzioni, resta alla prova

di ulteriori sviluppi difficili da prevedere. Infatti, nonostante coincida con il co. 3° dell’art. 118

Cost., il quale, come già ricordato, dispone che gli enti locali, città metropolitane comprese, «sono

titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale», allo

stato degli atti è difficile prevedere se e quali funzioni saranno conferite.

Le funzioni fondamentali e le finalità istituzionali generali, in conclusione, appaiono descritte

con contorni che lasciano molto spazio all’interpretazione e, soprattutto, all’applicazione pratica.

Il co. 5° l. cit. assoggetta alla disciplina le città metropolitane «di Torino, Milano, Venezia,

Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria». Quanto alle Regioni a statuto speciale,

«i principi della presente legge valgono come principi di grande riforma economica e sociale per la

disciplina di città e aree metropolitane da adottare» in Sardegna (Cagliari), Sicilia (Palermo,

Messina e Catania) e Friuli-Venezia Giulia (Trieste). A queste città va aggiunta la disciplina

speciale per Roma in quanto capitale della Repubblica (ai sensi dell’art. 114, co. 3 Cost.).

È evidente che il numero delle città metropolitane in Italia non trova paragoni nelle esperienze

comparate cui si è fatto cenno. Pur non essendo il Paese più popoloso d’Europa, l’Italia ha il

maggior numero di città metropolitane e, tra l’altro, esse sono tutti enti hard, per utilizzare la

terminologia già definita a suo tempo208. Emerge, qui, uno dei tratti decisivi del modello adottato

dal legislatore italiano. Quali siano i presupposti per tale modello è compito d’indagine che non

spetta alle discipline giuridiche209, piuttosto, appare l’idea della creazione delle città metropolitane

208 Cfr. par. “i modelli di governo metropolitano” nel capitolo introduttivo. 209 Si potrebbe qui, solo accennare al fatto che – contemporaneamente alla creazione delle città metropolitane –

si procede ad una profonda revisione delle province.

come conferimento di dignità formale alle maggiori città italiane, segnatamente ai capoluoghi di

Regione210.

Ai sensi del co. 6° l. cit., «il territorio della città metropolitana coincide con quello della

provincia omonima». Con tale previsione il legislatore risolve alcuni problemi, tra cui la modifica

delle circoscrizioni, che l’art. 133 Cost. assoggetta all’iniziativa dei Comuni, ma tralascia uno dei

problemi fondamentali della città metropolitana, ovvero i suoi confini. Comprendere nella città

metropolitana comuni che sono lontani dal comune capoluogo o, al contrario, tralasciare comuni

molto più vicini ma appartenenti ad altre province (salvo il meccanismo di entrata volontaria

previsto dal medesimo co. 6°) significa, di nuovo, riordinare solo formalmente le città

metropolitane.

Una soluzione semplice e di applicabilità immediata nasconde, perciò, la difficoltà definitoria.

Se, da un lato, proprio il problema della definizione e della limitazione della città metropolitana è,

al contempo, centrale e di difficile soluzione per il diritto, abituato a ragionare sulla base di

ripartizioni territoriali amministrative necessariamente meno fluide degli scambi economici e dei

movimenti delle persone o di altri fattori che uniscono e dividono città e territori, dall’altro lato

ricalcare le città sulla base delle precedenti province si configura come un metodo fin troppo

tranchant.

Gli organi della città metropolitana sono il sindaco, il consiglio e la conferenza, tutti

dignificati dall’aggettivo “metropolitano” (co. 7).

Il sindaco metropolitano, che «è di diritto il sindaco del comune capoluogo» (co. 19)

«rappresenta l’ente, convoca e presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana,

sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti; esercita le altre

funzioni attribuite dallo statuto. Il consiglio metropolitano è l’organo di indirizzo e controllo,

propone alla conferenza lo statuto e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e programmi;

210 Osserva il documento rintracciabile sul sito istituzionale del Governo che «rispetto al testo approvato alla

Camera [nel testo definitivo della l. 56/2014] scompare la possibilità per i territori con oltre un milione di abitanti di dare vita ad una città metropolitana, così come di un terzo dei Comuni non aderenti alla Città metropolitana di mantenere in vita la provincia (la cosiddetta “provincia ciambella”)» http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti/province_cittametropolitane.pdf. In altri termini, si è impedita la creazione di ulteriori città metropolitane diverse dai capoluoghi di Regione (o da città eventualmente individuate ad hoc). Le città non capoluogo candidate allo status di città metropolitana sarebbero state: Bergamo, Brescia, Salerno e l’unione di alcune province venete. Resta evidente che vi siano città metropolitane con meno abitanti di città non metropolitane, indicazione controintuitiva se la città metropolitana fosse un modello peculiare utile per il governo delle più grandi e popolose città, non illogico se lo status di città metropolitana fosse non dissimile da un titolo onorifico.

Ciononostante, il ricordato documento illustrativo del governo, con evidenti semplificazioni a tutti i livelli, ritiene che «Questi nuovi “enti territoriali di area vasta”, ispirati alle migliori esperienze amministrative a livello europeo e internazionale (si vedano i casi di Londra, Amsterdam, Barcellona, Monaco), nascono per rispondere ai problemi di una realtà territoriale oggettivamente più complessa delle altre intervenendo sullo sviluppo economico, sui flussi di merci e persone, sulla pianificazione territoriale» (corsivi aggiunti).

approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco metropolitano; esercita le altre

funzioni attribuite dallo statuto» (co. 8).

«Il consiglio metropolitano è composto dal sindaco metropolitano e da […] ventiquattro

consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti; […]

diciotto consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e

inferiore o pari a 3 milioni di abitanti; […] quattordici consiglieri nelle altre città metropolitane.»

(co. 20). Il sistema di elezione è disciplinato dalla stessa legge 56/2014 e prevede un sistema di liste

concorrenti con voto di preferenza e riparto proporzionale con metodo d’Hondt. L’elezione,

nonostante questa tendenza allo schieramento politico e partitico, è indiretta in quanto «il consiglio

metropolitano è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della città metropolitana.

Sono eleggibili a consigliere metropolitano i sindaci e i consiglieri comunali in carica. La

cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere metropolitano» (co. 25).

Considerato che il sindaco del capoluogo è di diritto il sindaco metropolitano e che non di rado è

esponente di una ben determinata fazione politica, il concreto funzionamento della forma di

governo della città metropolitana resta tutta da valutare, restando ben possibile la creazione di una

maggioranza in consiglio di colore politico non coincidente con quello del sindaco e, in ogni caso,

restando da valutare i concreti rapporti di forza che si svilupperanno e se prevarranno istanze

partitiche o territoriali, di collaborazione o di opposizione tra centro e periferia, ovvero qualsiasi

altra alternativa.

La previsione che «il sindaco metropolitano può nominare un vicesindaco, scelto tra i

consiglieri metropolitani, stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate» (co. 40) e che «può altresì

assegnare deleghe a consiglieri metropolitani, nel rispetto del principio di collegialità» (co. 41),

formando, dunque, un esecutivo più ristretto è un’altra norma da valutare alla luce della prassi.

In particolare, l’approvazione del bilancio – che, come noto, è spesso l’elemento decisivo

delle politiche da adottare – potrà rappresentare un nodo centrale nell’assetto della forma di

governo. La procedura è particolarmente complessa: «su proposta del sindaco metropolitano, il

consiglio adotta gli schemi di bilancio da sottoporre al parere della conferenza metropolitana. A

seguito del parere espresso dalla conferenza metropolitana con i voti che rappresentino almeno un

terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e la maggioranza della popolazione

complessivamente residente, il consiglio approva in via definitiva i bilanci dell’ente» (co. 8).

La conferenza metropolitana «è composta dal sindaco metropolitano, che la convoca e la

presiede, e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana» (co. 42), ha «poteri

propositivi e consultivi, secondo quanto disposto dallo statuto» (co. 8) nonché il potere «di adottare

e respingere lo statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio metropolitano con i voti che

rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e la maggioranza della

popolazione complessivamente residente» (co. 9)211.

Nel sistema di poteri e contropoteri disegnato dal legislatore, è sempre e comunque presente il

sindaco del comune capoluogo. Le ragioni di tale scelta sono autoevidenti soltanto ad una prima

analisi sommaria, ovvero nell’assunzione che dal centro si possa avere sotto controllo la situazione

in modo complessivo e non di parte. Assunzione comunque non basata su elementi giuridici. Resta

il fatto che il sindaco del capoluogo deriva la sua legittimazione da un’elezione popolare, a

differenza dell’elezione di secondo grado dei consiglieri e del ruolo solo consultivo e propositivo

dei membri della conferenza, pure tali di diritto. Il legislatore assegna, dunque, ai cittadini del

capoluogo il duplice compito di eleggere – nella stessa persona – il proprio sindaco e il sindaco

della città metropolitana, responsabilità che non hanno gli elettori di tutti gli altri comuni. Ciò, in

via teorica, anche se il comune capoluogo non fosse il più popoloso della città metropolitana e

anche se il comune capoluogo non fosse centrale né per posizione né per ruolo. Dunque, un

centralismo metropolitano non scevro da elementi di pregiudizialità, che, tuttavia, non può non

influire sulla forma di governo dell’ente212.

Resta da valutare a parte la previsione di cui al comma 22, secondo il quale «lo statuto della

città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano».

L’elezione diretta, infatti, influirebbe in modo sostanziale sulla forma di governo della città

metropolitana, ma è sottoposta ad una serie di adempimenti e discrezionalità che ne rendono fin

d’ora complessa la realizzazione. Innanzitutto, la discrezionalità dello statuto. In secondo luogo, la

discrezionalità del legislatore statale, cui spetta l’onere della redazione di una legge elettorale ad

hoc. «È inoltre condizione necessaria [che] si sia proceduto ad articolare il territorio del comune

capoluogo in più comuni» nel rispetto dell’art. 133 Cost. e con la partecipazione al processo della

Regione, del consiglio comunale del capoluogo e di un referendum cui partecipano tutti i cittadini

della città metropolitana (questi ultimi nell’evidente assunzione che conoscano, dalle loro abitazioni

“in periferia” i problemi della ripartizione amministrativa e territoriale del comune capoluogo)213

È evidente da quanto fin qui esposto che il modello delle città metropolitane italiane si

discosta dalle esperienze di altre nazioni europee per non pochi aspetti. Anticipando la

classificazione che si proporrà nel capitolo che segue214 le città metropolitane italiane sono enti 211 Il che implica che i poteri della conferenza metropolitana sono decisi dallo statuto ma lo statuto è approvato

dalla conferenza medesima, pur su proposta del consiglio. 212 Meriterebbe un’analisi più approfondita il problema della lesione del principio costituzionale di uguaglianza

del voto ai sensi dell’art. 48 Cost. relativamente al voto del sindaco dell’intera città metropolitana da parte dei soli cittadini del capoluogo.

213 Una procedura alternativa è prevista per le città metropolitana con popolazione superiore a 3 milioni di abitanti.

214 Cfr. par. 2.

politici (ma di secondo livello) aprioristicamente né strategici né operativi (in quanto l’assetto

concreto è da stabilire e, se pure in astratto è strategico, può anche divenire molto penetrante).

Dunque, rifuggono le maglie già ampie di una classificazione tutt’altro che costretta in limiti

stringenti.

Il lungo e non facile cammino delle città metropolitane in Italia merita miglior conclusione

che non la creazione di peculiari enti consistenti in province capoluogo sotto mentite spoglie. Non si

è affrontata qui la disciplina delle province, pure contenuta nella stessa l. 56/2014, ma non si può

nascondere che esse condividono non pochi aspetti relativi alla forma di governo con le città

metropolitane. Se la prassi dimostrasse che il governo delle città metropolitane si riducesse al

governo di una ex-provincia di città capoluogo di Regione, il lungo percorso della disciplina in

oggetto si ridurrebbe, in ultima analisi, ad uno svilimento del ruolo delle città metropolitane. Il

problema delle città metropolitane non è averne il riconoscimento giuridico o il nome reso

altisonante dall’aggettivo metropolitano, ma essere dotate di un utile ed efficace modello di

organizzazione e governo. Ancor prima dei problemi della disciplina uniforme di agglomerati

urbani oggettivamente molto diversi, ancor prima dell’assetto della forma di governo, il modello

italiano di città metropolitane nasconde ab origine accorgimenti di facciata che il legislatore non

può non avere presente ma che, forse, preferisce non tenere nella giusta considerazione. In sintesi, e

per anticipare le conclusioni generali, in nessun caso la volontà di riforma deve coincidere con un

cieco slancio futurista e le città metropolitane non sono e non devono essere enti imperativi ma una

quanto più saggia possibile forma di amministrazione e organizzazione delle grandi città215.

215 Cfr. par. 3 del capitolo che segue.

Conclusioni dialettiche

1. Osservazioni metodologiche

Giunti al termine della ricostruzione delle esperienze nei diversi Paesi europei che si sono

presi in considerazione, è possibile tracciare, a linee generali, alcune conclusioni sistematiche. La

rassegna effettuata – attraverso l’indagine dell’interno dell’ordinamento giuridico di ciascun Paese

– ha essenzialmente lo scopo di chiarire il quadro di riferimento, la cornice al di fuori della quale la

comparazione vera e propria non avrebbe modo di esplicare le proprie riflessioni.

A questo punto, l’analisi seguirà due prospettive inseparabili dal punto di vista del diritto ma

ben differenziabili al di fuori di questo, ovvero, volendo utilizzare un’espressione celebre che

sottintende una dicotomia, una duplice prospettiva: quella di iure condendo e quella di iure condito.

Infatti, il convitato di pietra di ogni analisi sulle città metropolitane nell’esperienza comparata sono

le Città metropolitane italiane, enti locali territoriali citati dalla Costituzione a partire dalla riforma

del Titolo V del 2001 della cui concreta istituzione si discute sin dal 1990 (art. 17-21 l. 142/1990) e

che sembra essere giunta a compimento con la l. 56/2014216. Il legislatore italiano ha avuto molte

occasioni per dettare norme sulle città metropolitane, ma, non avendole mai state istituite, la

disciplina è rimasta sospesa, in attesa di confrontarsi con la modellistica derivante dagli studi di

diritto comparato. Le osservazioni che seguiranno, dunque, saranno organizzate secondo la

direttrice della sintesi delle esperienze estere e secondo la differente direttrice delle linee di

tendenza applicabili (o non applicabili) al contesto italiano.

Per fare ciò è necessario innanzitutto chiarire quelli che non sono gli obiettivi della

comparazione giuridica: il comparatista, infatti, non deve cercare somiglianze dove non ve ne sono

soltanto per dovere d’ufficio né accostare istituti (ed enti) imparagonabili solo perché ragioni che

non appartengono alla scienza giuridica paiono suggerirne l’opportunità.

Allo stesso modo, il diritto comparato non è una sorta di “pozzo delle meraviglie” da cui è

possibile estrarre – in particolare de iure condendo – ogni soluzione possibile avendo come

giustificazione il precedente dell’esistenza in altri ordinamenti e contesti istituzionali.

216 Cfr. par. che precede.

La scelta dei Paesi da analizzare è stata dettata dalla comune radice europea e dalle differenze

in termini di dimensione geografica e tradizione giuridica che li caratterizza, considerando che la

completezza è proposito difficilmente raggiungibile e, per quanto riguarda la presente ricostruzione,

non è nemmeno un obiettivo in sé stesso.

È risaputo che le città europee, anche le più grandi, sono comunque relativamente piccole se

confrontate ad agglomerati urbani americani ed asiatici le cui dimensioni notevolissime comportano

tutt’altre tipologie di problemi e di relative soluzioni anche in relazione alla distribuzione della

popolazione tra città e zone rurali217. Nell’ottica di contribuire alla problematica delle città

metropolitane italiane, la scelta è dunque caduta su Paesi europei, anche se non vi è dubbio che lo

studio di esperienze più lontane potrebbe ben portare uno sguardo diverso non privo di utilità.

2. I modelli

Non è semplice proporre una sintesi delle esperienze dei diversi Paesi analizzati, poiché le

differenze sembrano prevalere rispetto alle linee di tendenza comuni e nulla sembra possibile

proporre al di là delle già riportate classiche posizioni della dottrina.

Si propone pertanto una classificazione che potrebbe essere rappresentata visivamente da una

griglia multidimensionale in cui la collocazione di ciascuna esperienza occupa una casella.

I modelli di base delle città metropolitane sono tre, così riassumibili:

- il modello (puramente218) aziendale, in cui la Città metropolitana è un ente di diritto privato

o di diritto pubblico con specifiche competenze, concepito per fornire determinati servizi;

- il modello amministrativo, in cui la Città metropolitana è un ente di raccordo o di

coordinamento governata da rappresentanti degli enti locali che vi appartengono, membri di diritto

in quanto (ad es.) Sindaci dei comuni dell’area o rappresentanti eletti dagli organi degli enti locali;

- il modello politico, in cui la Città metropolitana ha degli organi eletti direttamente dalla

cittadini residenti.

Questo primo livello la griglia di questo modello va incrociata con un’altra, riguardante le

funzioni, che possono essere operative oppure strategiche.

217 È il caso dell’Argentina, dove la città di Buenos Aires conta, da sola, gran parte della popolazione del Paese

(13 ml su 40). In Europa il tessuto urbano europeo è, al contempo, fitto e policentrico: non si registrano casi di Paesi con una sola città importante sbilanciata sul territorio, a meno che non si tratti di Paesi piccoli la cui città maggiore – tipicamente la capitale – sia magari più piccola di città minori di Paesi confinanti (è il caso di Bruxelles e Dublino).

218 La specificazione è resa necessaria dal fatto che praticamente in tutte le esperienze di governo locale sono presenti società a capitale pubblico o misto. Qui si fa riferimento alle Città metropolitane che non abbiano altre forme se non quella aziendale o consortile.

Infine, particolare attenzione dev’essere prestata all’effettività delle decisioni prese, siano esse

operative o strategiche e provengano da uno qualsiasi dei modelli sopra elencati.

Le possibili combinazioni tra le diverse caratteristiche enucleate raccolgono tutte le forme di

Città metropolitane descritte, ma hanno il difetto di polverizzare il concetto in molte variabili, non

riconducibili ad unità.

Si ritiene, tuttavia, che questa sia la conclusione effettiva del lavoro di ricerca: l’ente città

metropolitana non presenta caratteristiche unitarie nemmeno se si considerano Paesi tra loro

confinanti e appartenenti tutti alla medesima area culturale (nonché tutti ad un’organizzazione

internazionale particolarmente attenta allo sviluppo regionale quale l’Unione Europea).

In sintesi, la disciplina giuridica delle Città metropolitane è una variabile dipendente, il cui

valore dipende da una serie di fattori:

- innanzitutto, la storia giuridica del Paese che si studia. I modelli di ente locale e di governo

locale che si sono più volte incontrati nella ricostruzione non sono estranei alla qualificazione delle

Città metropolitane, siano essi veri e propri enti locali oppure no.

- in secondo luogo, dipende dalla sensibilità diffusa e delle istituzioni riguardo all’autonomia

locale. La fiducia che viene riposta o il timore che viene percepito nei confronti dello stesso

concetto di autonomia è determinante soprattutto con riguardo ai poteri e alle funzioni attribuite.

- in terzo luogo, non meno importante è la configurazione geografica del Paese. L’estensione

del territorio in senso assoluto è un elemento qualificante, rapportato alla collocazione geografica e

alla distribuzione delle città e, come ovvio, ai dati demografici, poiché due città con pari numeri di

abitanti possono ben rappresentare un importante centro in un piccolo Paese o una città meno

rilevante in un grande Paese.

La Città metropolitana è, dunque, il frutto di questi dati filtrati dalla volontà politica e, se

queste considerazioni possono apparire estranee alla scienza giuridica, si può opporre che, nel

trattare dei fondamenti, e non della disciplina, di qualsiasi ente si esce dalla scienza giuridica vera e

propria per sconfinare nella politica del diritto. Il filtro della volontà politica, infatti, non solo è

ineliminabile, ma è costitutivo.

3. Città e diritto

Nel corso dell’analisi si è riscontrata quella che sembra una tendenza naturale219 di tutte le

esperienze nazionali: la norma segue e non precede la città metropolitana. Sinteticamente, la

219 Espressa con particolare chiarezza dalla legislazione spagnola, cfr. Spagna par. 2.

formula da utilizzare è la seguente: «la funzione della norma non è “creare”, ma “riconoscere” una

realtà metropolitana»220.

È fin troppo ovvio che il legislatore non può creare una città metropolitana se non esiste già

sul territorio una grande città. Il regime giuridico metropolitano di un’area, di fatto, desertica è un

controsenso logico inoppugnabile. Tuttavia, la regola aurea di buon senso si scontra con talune

esperienze che appartengono alla storia: per fare due esempi celebri, la capitale del Brasile

(Brasilia) e la capitale del Kazakistan (Astana) sono recenti esempi di città pianificate per divenire

grandi centri urbani a partire da decisioni del potere politico piuttosto che viceversa. Seguitare su

questa linea porterebbe lontano, perché è forse la libertà di circolazione e soggiorno, ancor prima di

ogni altro diritto e fondamento giuridico (autonomia e principio di sussidiarietà inclusi) a fare in

modo che la norma di organizzazione segua e non preceda la conurbazione. Con ciò si potrebbe

dimostrare che, intervenendo sul diritto di incolato, ovvero il diritto di porre il proprio domicilio

dove più si preferisce, il controllo del fenomeno urbano tornerebbe (o sarebbe per la prima volta, se

mai è lo stato) nelle mani del decisore politico. Il fatto può sembrare di marginale importanza e, per

certi versi, lo è, dato che nello Stato di diritto europeo ed occidentale non si è mai messo in

discussione il diritto dei cittadini a spostarsi liberamente sul territorio nazionale e dato che una delle

libertà fondanti dell’Unione Europea è proprio quella di circolazione e soggiorno.

L’osservazione vale comunque a chiarire che il rapporto di primazia della città sul diritto che

la regola non è scontato o nella natura delle cose come molti altri fatti di cui l’ordinamento può

solamente prendere atto senza aver in alcun modo il potere di influirvi. Questo è semplicemente il

modo di concepire la normazione degli spazi urbani nei Paesi che si sono analizzati e in generale

nello Stato occidentale della modernità.

La disciplina delle città metropolitane, dunque, è ispirata dai problemi e dalle esigenze che

vengono avvertite ed è volta alla migliore organizzazione delle soluzioni necessarie.

Due corollari discendono da questa sostanziale premessa concettuale che, come si è visto, non

si può efficacemente discutere se non sul piano della pura speculazione teorica.

La prima considerazione è relativa al centrale rilievo che assume la politica del diritto rispetto

al diritto positivo. Il diritto pubblico ed il diritto comparato, in quanto scienze basate sull’analisi

della norma, non possono fornire soluzioni al legislatore, ma è il legislatore che può (e non deve,

come si vedrà) fornire materiale di studio alla scienza giuridica. La quale, a sua volta, può ben

enucleare i punti critici della normativa vigente, può suggerire modifiche fondate sull’analisi dei

testi in base a criteri di buona redazione, di coerenza logica all’interno e all’esterno del sistema, può

elencare le soluzioni provenienti da altre esperienze statali, enumerando altresì le caratteristiche

220 M. GONZALEZ MEDINA, Il processo di istituzionalizzazione, cit., 1.

fondamentali degli ordinamenti esteri e delle esigenze interne che ne hanno giustificato le scelte

normative, al fine di descrivere il modello comparatistico non solo in ragione di una mera

elencazione ma in funzione di una corretta contestualizzazione ma, è questo il punto, non può

sostituirsi al decisore politico.

La rassegna sopra effettuata mette in luce che non c’è un modello “ideale” di città

metropolitana e che, a ben vedere, non c’è nemmeno un modello “medio” standardizzato o

presumibile come tale.

Tra i molti giovamenti che può portare l’analisi comparata alla disciplina delle città

metropolitane in Italia non vi è la proposizione di un unico, inequivocabile e definitivo modello di

riferimento. Tale aspetto sembra essere stato colto dal legislatore italiano, in particolare nel caso

della l. 56/2014, nel modo più libero possibile. Le città metropolitane italiane non prendono a

riferimento nessun modello straniero, anzi introducono un modello nuovo e diverso: la dinamica tra

centralizzazione e localismo che si è rilevata in altri ordinamenti – si pensi al Regno Unito o alla

Spagna – nel contesto italiano ha preso la strada della trasformazione in città metropolitane di tutti i

principali capoluoghi di Regione e del relativo territorio, nel contesto – non casuale – della riforma

complessiva delle province. Dopo una riforma costituzionale a legislazione invariata, quella del

2001, una riforma legislativa a Costituzione invariata che, tra le altre cose, non definisce le città

metropolitane italiane ma si limita ad indicarle una per una, salvo poi non badare alle differenze di

ciascuna e offrire una base legislativa uniforme. Quanto si diceva sopra in relazione alla sensibilità

del legislatore e alla storia giuridica del Paese è osservabile, nel contesto della Costituzione italiana,

alla luce dell’art. 5. Secondo l’ultimo periodo, in particolare, la Repubblica «adegua i principî ed i

metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».

Il modello italiano, nonostante la l. 56/2014, è ancora lontano dall’essere compiutamente

delineato. Resta quantomai necessario evitare di rinvenire l’obbligo di risolvere i problemi di una

città metropolitana con l’istituzione di un ente pubblico territoriale denominato come tale, in

particolare se la qualificazione è formale. I problemi e le necessità di una grande città sono

indipendenti dalla qualificazione di “metropolitano” dell’ente che le amministra e, proprio per

questo, gli enti “città metropolitane” non sono imperativi. Proprio la pluralità di soluzioni offerte

dall’esperienza comparata ne è la dimostrazione.

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