Le Breton_ «Camminare Rimette in Ordine Il Caos Interiore» _ Wise Society

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Vedi tutti >> commenta Tweet 17 aprile 2014 WISE INCONTRI Le Breton: «Camminare rimette in ordine il caos interiore» Per l'antropologo francese che camminando trova l'ispirazione dei suoi scritti, la marcia un gesto che restituisce la magia dell'esistere Simone Paliaga TOPICS: camminare, marcia, meditazione, relax, trekking, walking Secondo David Le Breton, la marcia è l’atto di resistenza che privilegia la lentezza, la conversazione, il silenzio, la curiosità, l’amicizia, la gratuità, la generosità, la contemplazione. E, al gusto del camminare, l’antropologo dell’università di Strasburgo ha dedicato due libri, “Il mondo a piedi. Elogio della marcia” (Feltrinelli) e l’altro, da poco pubblicato in Francia, “Marcher. Eloge des chemins et de la lenteur” (Metaillé). Wisesociety.it lo ha incontrato scoprendo che la sua difesa del camminare non è un esercizio retorico. Lo sforzo che guida i suoi pensieri lo porta a elaborare una concezione dell’uomo ben diversa da quella dominante nel mondo utilitarista di questi primi scorci del XXI secolo. Professore, Nietzsche afferma di aver cominciato a pensare seduto prima di riuscire a pensare camminando. Lei si sente come lui? Sì, c’è sintonia tra noi due. Spesso trovo delle idee o delle soluzioni camminando o correndo. La marcia è meravigliosa a questo proposito. Il pensiero fluttuante che nasce dal movimento dei passi è emancipato dalle costrizioni del ragionamento. Il pensiero quando si cammina va e viene, incastonato com’è nella dimensione della sensorialità, legato all’istante che passa. Intende dire che è volatile, che cambia a ogni piè sospinto? Voglio dire che la qualità del pensiero durante una marcia dipende anche dalle circostanze esteriori. Talvolta il calore, la fatica, il ritmo ci sprofondano in una sorta di trans e ci inducono a estinguere il nostro sé a vantaggio di una sensazione del mondo più fisica, quasi muscolare, direi. Seguendo l’intuito, ciascuno cerca il suo ritmo per riflettere o dimenticarsi almeno per un momento di sé stesso. La lentezza è più propizia alla riflessione o alla conversazione. Image by © Godong/Robert Harding World Imagery/Corbis

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Articolo del filosofo francese

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17 aprile 2014

WISE INCONTRI

Le Breton: «Camminare rimette in ordine ilcaos interiore»Per l'antropologo francese che camminando trova l'ispirazione dei suoi scritti, la marcia un gestoche restituisce la magia dell'esistere

Simone Paliaga

TOPICS: camminare, marcia, meditazione, relax, trekking, walking

Secondo David Le Breton, la marcia è l’atto diresistenza che privilegia la lentezza, laconversazione, il silenzio, la curiosità,l’amicizia, la gratuità, la generosità, lacontemplazione. E, al gusto del camminare,l’antropologo dell’università di Strasburgo hadedicato due libri, “Il mondo a piedi. Elogiodella marcia” (Feltrinelli) e l’altro, da pocopubblicato in Francia, “Marcher. Eloge deschemins et de la lenteur” (Metaillé).

Wisesociety.it lo ha incontrato scoprendo chela sua difesa del camminare non è un esercizio

retorico. Lo sforzo che guida i suoi pensieri lo porta a elaborare una concezione dell’uomo bendiversa da quella dominante nel mondo utilitarista di questi primi scorci del XXI secolo.

Professore, Nietzsche afferma di aver cominciato a pensare seduto prima di riuscire a pensarecamminando. Lei si sente come lui?

Sì, c’è sintonia tra noi due. Spesso trovo delle idee o delle soluzioni camminando o correndo. La marcia èmeravigliosa a questo proposito. Il pensiero fluttuante che nasce dal movimento dei passi è emancipatodalle costrizioni del ragionamento. Il pensiero quando si cammina va e viene, incastonato com’è nelladimensione della sensorialità, legato all’istante che passa.

Intende dire che è volatile, che cambia a ogni piè sospinto?

Voglio dire che la qualità del pensiero durante una marcia dipende anche dalle circostanze esteriori.Talvolta il calore, la fatica, il ritmo ci sprofondano in una sorta di trans e ci inducono a estinguere il nostrosé a vantaggio di una sensazione del mondo più fisica, quasi muscolare, direi. Seguendo l’intuito,ciascuno cerca il suo ritmo per riflettere o dimenticarsi almeno per un momento di sé stesso.La lentezza è più propizia alla riflessione o alla conversazione.

Image by © Godong/Robert Harding World Imagery/Corbis

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A lei la marcia che cosa le trasmette?

Per quanto mi riguarda il camminare mi dà la voglia di scrivere. Lo testimoniano i due  libri che hodedicato a questa passione. Ma non si tratta solo di questo. La marcia mi dona soprattutto il desiderio dicondivisione permettendomi di superare l’isolamento in cui rischio di rinchiudermi.

E’ questo dunque il motivo per cui l’uomo sceglie di camminare?

La marcia è una fuga per sottrarsi alla routine del pensiero e dell’esistenza, per allontanarsi dallepesantezze del lavoro o dalle preoccupazioni personali. Per una periodo più o meno lungo si rivoluzionala propria esistenza e il proprio rapporto con gli altri e con il mondo. Non si è più identificati col propriostato civile, con la condizione sociale di ogni giorno, con le responsabilità nei confronti di chi ci è vicino.Quando si cammina si è disponibili all’incontro con gli altri e ci si apre alle scoperte condotte sul filodell’itineranza.

Può essere più preciso?

Gli uomini e le donne si incrociano lungo i sentieri e all’improvviso si ritrovano in una situazionediriconoscimento essenziale che di rado avviene nella quotidianità: ci si saluta, ci si scambia un sorriso oun’osservazione fugace. Magari si chiedono informazioni sul sentiero o sulla meta da raggiungere, sirisponde alle informazioni richieste dai marciatori che si sono persi. La marcia è un universo dellareciprocità. L’albergo, il caffè, la panchina su cui poi ci si ritrova prolungano talvolta l’incontro assaporatodi sfuggita qualche tempo prima.

E questo cosa significa?

Significa che battere i sentieri porta a lasciarsialle spalle un mondo di competizione, disfiducia, di disimpegno, di velocità, dicomunicazione a vantaggio di un mondo diamicizia, di parole e di solidarietà. Strade,autostrade, ferrovie sono però i percorsidominanti della nostra epoca. Il marciatoreoggi sembra ostacolato e costretto a fugheesotiche. Con difficoltà oramai si raggiungono iluoghi adatti alla marcia. Se ne avverte lafragilità. Essi sono quasi soffocatidall’urbanizzazione dei nostri territori e i lorogiorni sono contati.

Ogni paesaggio è oramai minacciato dalle società contemporanee che lo considerano solo uno spazioda conquistare e da far fruttare. Nelle sue vicinanze ci sono sempre grandi città saturate da una sfilza di

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grandi magazzini tutti identici a se stessi e identificati dalle stesse marche commerciali. Ma non è unacosa di oggi.

Era così anche nei secoli precedenti?

Tra il 1870 e il 1871 Cézanne passa gli anni della guerra franco-prussiana a dipingere a l’Estaque, allora unvillaggio di pescatori vicino a Marsiglia oggi quasi completamente integrato nelle periferie industriali dellacittà. Già allora il pittore avvertiva un senso d’urgenza, sentiva che la bellezza di quei luoghi era sul puntodi sgretolarsi a causa dell’espansione urbana. Trent’anni più tardi, quando farà ritorno in quelle terre, nonmancherà di ammonire: “Va male, bisogna affrettarsi se ancora si vuole vedere qualche cosa. Ormai tuttoscompare!”.

Ci potrebbe quindi essere una relazione tra la marcia e il reincanto del mondo?

Beh, di certo la marcia sollecita il senso del sacro, restituisce la magia all’esistere. I giovani incoraggiati amarciare scoprono la meraviglia della notte o del tramonto quando le luce dei negozi o l’illuminazioneurbana scompaiono; vedono stelle che non avevano mai visto, sentono il silenzio che li spaventa maanche li travolge. Imparano che si può tacere insieme senza che la comunicazione sia interrotta. Lameraviglia di sentire l’odore dei pini riscaldati dal sole, di vedere un ruscello colare attraverso i campi ouna cava di ghiaia abbandonata in mezzo alla foresta.

I luoghi possiedono dunque un dono diguarigione e la marcia è una terapiacontro il mondo di oggi?

Marciare significa riprendere corpo, avere ipiedi per terra nel senso fisico e morale deltermine. La marcia è spesso un percorsoimportante per ricomporre i frammenti dispersidi se stessi. Sfronda i pensieri grevi cheimpediscono di vivere per il loro pesoeccessivo.

Insomma la marcia ci salva?

Direi che rimette in ordine il caos interiore. Non elimina la fonte della tensione piuttosto modifica losguardo su essa. Mettere in moto il corpo significa mettere in moto i pensieri che trovano all’improvvisoun punto di vista diverso scoperto passo dopo passo. La marcia così ci apre al mondo, risvegliandoci allostupore dell’esistenza.

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