Le assenze per maternità e paternità

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1 LE ASSENZE PER MATERNITA’ E PATERNITA’

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LE ASSENZE PER MATERNITA’ E PATERNITA’

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INDICE

Premessa Pag. 5

CAPITOLO 1 Tutela della salute della lavoratrice

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1.1 Lavori vietati Pag. 6 1.2 Valutazione dei rischi Pag. 7 1.3 Divieto di lavoro notturno Pag. 8

CAPITOLO 2 Controlli prenatali

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CAPITOLO 3 Congedo di maternità

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3.1 Estensione del congedo di maternità Pag. 11 3.2 Flessibilità del congedo di maternità Pag. 13 3.3 Congedo di paternità Pag. 14 3.4 Documentazione Pag. 15 3.5 Trattamento economico Pag. 17 3.6 Rapporti tra indennità di maternità/paternità con

altri trattamenti previdenziali

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19 3.7 Copertura contributiva Pag. 20 3.8 Computabilità del congedo di

maternità/paternità

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20 3.9 Aborto Pag. 21 3.10 Adozione e affidamenti Pag. 22 3.11 Lavoratori parasubordinati Pag. 23

CAPITOLO 4 Congedo parentale

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4.1 Godimento frazionato del congedo parentale Pag. 28 4.2 Prolungamento del congedo parentale Pag. 28

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4.3 Documentazione Pag. 29 4.4 Trattamento economico Pag. 30 4.5 Rapporto tra indennità per congedo parentale

con altri trattamenti previdenziali

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32 4.6 Copertura contributiva Pag. 33 4.7 Computabilità del congedo parentale Pag. 33 4.8 Adozioni e affidamenti Pag. 33 4.9 Anticipazione del trattamento di fine rapporto Pag. 34 4.10 Lavoratori parasubordinati Pag. 34

CAPITOLO 5 Riposi giornalieri

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5.1 Documentazione Pag. 38 5.2 Trattamento economico Pag. 39 5.3 Copertura contributiva Pag. 40 5.4 Computabilità dei riposi giornalieri Pag. 40 5.5 Adozioni e affidamenti Pag. 40

CAPITOLO 6 Malattia del bambino

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6.1 Documentazione Pag. 42 6.2 Copertura contributiva Pag. 42 6.3 Computabilità dei permessi Pag. 42 6.4 Adozioni e affidamenti Pag. 43 6.5 Anticipazione del trattamento di fine rapporto Pag. 43

CAPITOLO 7 Maternità ed instaurazione del rapporto di lavoro

Pag.

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CAPITOLO 8 Divieto di licenziamento, dimissioni e diritto al rientro

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8.1 Divieto di licenziamento Pag. 45 8.2 Dimissioni Pag. 47

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8.3 Diritto al rientro e alla conservazione del posto Pag. 48

CAPITOLO 9 Sostituzione di lavoratrici/lavoratori assenti per

maternità/paternità

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50 9.1 Aziende con meno di 20 dipendenti Pag. 50 9.2 Scorrimento Pag. 52 9.3 Formalità per l’assunzione e indicazione del

termine Pag. 52

CAPITOLO 10 Maternità e assunzioni agevolate

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CAPITOLO 11 Apparato sanzionatorio

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APPENDICE NORMATIVA Pag. 56

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Premessa

La sospensione del rapporto di lavoro per maternità ha, da sempre, goduto di un particolare rilievo nel nostro ordinamento lavoristico. Infatti, sono state numerose le disposizioni, succedutesi nel tempo, che hanno regolato la materia, estendendo la maggior parte degli istituti di tutela e protezione anche al padre lavoratore, fino all’emanazione del Testo Unico sulla tutela e il sostegno della maternità e della paternità, D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001, che per comodità di esposizione, sarà indicato come: T.U. Al fine di fornire alle Aziende un quadro, per quanto possibile, complessivo della normativa ed un utile supporto agli adempimenti derivanti dalla stessa, abbiamo ritenuto opportuno elaborare la presente monografia. I testi degli articoli di legge e delle circolari citati sono riportati nell’Appendice normativa.

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CAPITOLO 1

Tutela della salute della lavoratrice Il Capo II del T.U. (1) prevede particolari disposizioni per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici madri sul posto di lavoro, applicabili durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio. La tutela si applica, inoltre, alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o affidamento, fino al compimento dei sette mesi di età (2). Al fine dell’operatività degli obblighi in parola, a carico del datore di lavoro, è necessario che le lavoratrici comunichino, al datore di lavoro stesso il proprio stato di gravidanza, presentando apposito certificato medico. 1.1 Lavori vietati (3) E’ vietato adibire la lavoratrice: - al trasporto e al sollevamento di pesi dall’inizio della gestazione al termine dei

sette mesi successivi al parto; - ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri, riportati nell’allegato A del T.U.,

compresi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro di cui all’allegato B del T.U., per il periodo ivi previsto;

- alle attività che comportano rischio di esposizione a radiazioni ionizzanti; per queste attività è fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare il proprio stato di gravidanza, non appena accertato.

Al fine di preservare l’integrità psico-fisica, la lavoratrice, per il periodo durante il quale vige il divieto in esame, deve essere adibita ad altre mansioni, rispetto a quelle ordinariamente svolte: - per il solo fatto di essere occupata nelle lavorazioni sopra ricordate; - qualora il settore ispezione del lavoro della DPL, d’ufficio o su istanza della

lavoratrice accerti che le condizioni di lavoro o ambientali siano, comunque, pregiudizievoli per la salute della donna.

_______________ (1) Artt. 6 – 15 T.U., pag. 56. (2) Art. 6, c. 2 T.U., pag. 56. (3) Artt. 7 e 8 T.U., pag. 56.

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La lavoratrice, quindi, può essere adibita: - a mansioni inferiori a quelle di sua competenza, conservando, tuttavia, il

trattamento retributivo e la qualifica originari; - a mansioni equivalenti o superiori a quelle di assunzione. Nell’ipotesi di

passaggio a mansioni superiori, la lavoratrice ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva dopo il periodo fissato dai C.c.n.l., comunque non inferiore a tre mesi (4).

* * *

Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni il servizio ispettivo della DPL può disporre d’ufficio, o su istanza del datore di lavoro o della lavoratrice, l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di vigenza del divieto (inizio della gestazione e fino a sette mesi successivi al parto) (v. prg. 3.1, pag. 11). 1.2 Valutazione dei rischi (5) Fatti salvi i casi sopra esaminati, il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti o puerpere, con particolare riguardo a quelli derivanti da esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C del T.U. ed informa le lavoratrici e i rappresentanti per la sicurezza sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di protezione e prevenzione adottate. Qualora i risultati della valutazione evidenzino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie a preservare l’incolumità delle stesse: a) modificando temporaneamente le condizioni e l’orario di lavoro o, se non

possibile per motivi organizzativi o produttivi, b) adibendo la lavoratrice ad altre mansioni, secondo le regole viste al prg.

precedente, dandone contestuale informazione scritta al servizio ispezione del lavoro della DPL.

_______________ (4) Art. 13 L. n. 300/1970, pag. 58. (5) Artt. 11 e 12 T.U., pag. 57.

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Ove le ipotesi A e B non siano praticabili per motivi organizzativi o produttivi, il servizio ispezione del lavoro della DPL, d’ufficio o su istanza del datore di lavoro o della lavoratrice, può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo previsto dal Capo II del T.U. in commento, ossia per tutto il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio.

* * * In entrambi i casi di cui al prg. 1.1 e 1.2 il provvedimento di interdizione al lavoro del servizio ispezione del lavoro, su istanza del datore di lavoro o della lavoratrice, deve essere adottato entro sette giorni dalla ricezione della documentazione completa. L’emanazione del provvedimento è fondamentale per l’astensione dal lavoro che decorre dalla data dello stesso, non valendo in tale fattispecie la regola del silenzio assenso. Come si è visto, il provvedimento di astensione dal lavoro può essere disposto anche d’ufficio dal servizio ispezione del lavoro della DPL, qualora nel corso della propria attività di vigilanza accerti l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’interdizione dal lavoro. I provvedimenti in parola sono definitivi. 1.3 Divieto di lavoro notturno (6) Dal momento in cui viene accertato lo stato di gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino, è vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6, indipendentemente dal settore di impiego. Inoltre il datore di lavoro non può obbligare a prestare lavoro notturno: - la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, alternativamente, il

padre lavoratore convivente con la stessa; - la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio

convivente di età inferiore a dodici anni. Il Ministero del lavoro (7) ha, recentemente, chiarito che in caso di affidamento congiunto, qualora il giudice abbia disposto che il miniore conviva a periodi alterni con entrambi i genitori, questi ultimi potranno beneficiare dell’esenzione in parola, nel periodo in cui dimostrino al proprio datore di lavoro di convivere con il minore;

_______________ (6) Art. 53 T.U. e art. 11 D.Lgs. n. 66/2003, pagg. 58 e 59. (7) Interpello n. 29 dell’8 agosto 2008, pag. 59.

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CAPITOLO 2

Controlli prenatali Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti, qualora, durante l’orario di lavoro, debbano effettuare: - esami prenatali; - accertamenti clinici; - visite mediche specialistiche. Al fine del riconoscimento dei permessi in esame, le lavoratrici devono presentare apposita richiesta al datore di lavoro e, successivamente all’effettuazione degli esami, idonea documentazione comprovante la data e l’orario di effettuazione degli esami stessi. I permessi sono retribuiti a carico dell’Azienda ed è irrilevante il numero di richieste in tal senso presentate dalle lavoratrici, nonché la natura della struttura (pubblica o privata) presso la quale vengono effettuate le visite (8). _______________ (8) Art. 14 T.U., pag. 58.

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CAPITOLO 3

Congedo di maternità Il Capo III del T.U. (9) disciplina il congedo di maternità (ex astensione obbligatoria). Esso consiste nel divieto di adibire al lavoro le donne (10): - durante i due mesi precedenti la data presunta del parto cui si aggiunge,

eventualmente, il periodo compreso tra la data presunta e quella effettiva. L’INPS (11) ha chiarito che il periodo di astensione ante partum va determinato senza includere la data presunta del parto che, pur rimanendo oggetto di tutela, costituisce il dies a quo per computare a ritroso il periodo in questione (così, ad esempio, in caso di data presunta fissata per il 15 agosto, il periodo di congedo ante partum andrà dal 15 giugno al 14 agosto). Conseguentemente, nell’ipotesi in cui data presunta e data effettiva coincidano, il periodo complessivo “ordinario” di congedo di maternità sarà pari a 5 mesi ed un giorno (15 giugno/15 novembre);

- nei tre mesi successivi al parto. In caso di parto prematuro i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria successivo al parto. Nell’ipotesi di parto plurimo non è previsto il diritto ad ulteriori periodi di congedo per maternità. Ricordiamo che l’interruzione della gravidanza spontanea o terapeutica avvenuta: - entro il 180° giorno di gestazione è considerata a tutti gli effetti come malattia

(12); - dopo il 180° giorno di gestazione è considerata come parto e, pertanto, dà

diritto al congedo di maternità successivo al parto ed al relativo trattamento economico (13) (v. prg. 3.5, pag. 17).

_______________ (9) Artt. 16 - 27 T.U., pag. 60. (10) Art. 16 T.U., pag. 60. (11) Messaggio n. 18311 del 12 luglio 2007, pag. 63. (12) Art. 19 c. 1 T.U., pag. 60. (13) Art. 12 D.P.R. n. 1026/1976, pag. 63.

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3.1 Estensione del congedo di maternità (14) 1) Il congedo di maternità può essere anticipato a tre mesi dalla data presunta del

parto, quando le lavoratrici sono occupate in lavori da ritenersi, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, gravosi o pregiudizievoli. Fino all’adozione, peraltro, non ancora avvenuta, dei decreti diretti ad individuare le lavorazioni in parola, l’anticipazione è disposta dal servizio ispettivo della DPL competente per territorio.

2) L’anticipazione può essere disposta, sulla base di opportuni accertamenti medici

(di competenza delle ASL), dall’ufficio ispettivo della DPL competente per territorio, dall’inizio del periodo di gravidanza e fino all’inizio del congedo di maternità, cioè due mesi prima della data presunta del parto. La fattispecie in esame si verifica nei seguenti casi:

a) gravi complicazioni della gravidanza o preesistenti forme morbose che si

presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza medesimo; b) qualora le condizioni ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute

della donna e del bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo

quanto esposto nel Capitolo 1. Nell’ipotesi sub a), la lavoratrice deve presentare al servizio ispezioni della DPL competente per territorio una apposita domanda, corredata dal certificato medico di gravidanza e da quello attestante le condizioni in parola. Il servizio ispezioni deve adottare il relativo provvedimento entro il termine di sette giorni dalla ricezione della documentazione completa; qualora entro tale termine non sia stato emanato alcun provvedimento, la domanda si intende accolta (regola del silenzio assenso). Il servizio ispettivo deve, comunque, emanare il provvedimento anche oltre il settimo giorno per determinare la durata dell’anticipazione; tuttavia, finchè non intervenga tale atto, la lavoratrice può restare in astensione dal lavoro fino alla data indicata nel certificato medico ed il provvedimento decorrerà dalla data di inizio dell’astensione dal lavoro. Il Ministero del lavoro ha chiarito (15), modificando il proprio precedente orientamento, che la data d’inizio dell’astensione al lavoro deve coincidere con il primo giorno di assenza, risultante dal registro delle presenze tenuto dal datore di lavoro, giustificata dal certificato medico rilasciato alla lavoratrice. _______________ (14) Art. 17, c. 1 T.U., pag. 60. (15) Nota Minlavoro 28 novembre 2006 e Nota Minlavoro 17 aprile 2008, pagg. 64 e 65.

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In ogni caso, l’inizio dell’astensione dal lavoro non potrà risalire ad una data antecedente al rilascio del certificato medico allegato alla domanda. Decorsi i sette giorni di legge, la domanda si considera comunque accolta dalla data di inizio dell’astensione dal lavoro, indicata dalla lavoratrice, fino al termine indicato nel certificato medico o nel successivo provvedimento della Direzione provinciale del lavoro. Poiché la norma prevede che l’interdizione dal lavoro debba essere, comunque, adottata sulla base degli accertamenti svolti dal Servizio Sanitario Nazionale, il Ministero del lavoro evidenzia che le domande corredate dalla certificazione medica di un ginecologo privato devono essere presentate in tempo utile, fintanto che perdurino le complicanze nella gestazione, per consentire il successivo accertamento da parte del medico pubblico. Le ipotesi sub b) e c) si verificano quando le condizioni di lavoro o ambientali sono ritenute pregiudizievoli alla salute della donna o del bambino, ovvero la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni. Il provvedimento di estensione del congedo di maternità del servizio ispettivo della DPL può essere adottato: - d’ufficio, qualora il servizio stesso, nel corso della propria attività di vigilanza

constati l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’astensione medesima; - su istanza del datore di lavoro o della lavoratrice, in questo caso il

provvedimento deve essere adottato entro sette giorni, dalla ricezione della documentazione completa. Poiché non vale la regola del silenzio assenso, l’emanazione del provvedimento è fondamentale per l’astensione dal lavoro che decorre dalla data dello stesso; il provvedimento di che trattasi presuppone un accertamento, da parte della DPL, circa l’impossibilità, per i datori di lavoro, di adottare misure finalizzate all’eliminazione dei rischi per la salute della lavoratrice. Il Ministero del lavoro (16) ha precisato che resta ferma la possibilità di disporre l’astensione, anche prima di tale accertamento, qualora il datore di lavoro produca una dichiarazione nella quale risulti in modo chiaro, sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni confacenti. In quest’ultima ipotesi, l’interdizione dal lavoro decorre dalla data del provvedimento stesso e che non risulta conforme alla vigente normativa l’emanazione di un provvedimento che agisca retroattivamente.

_______________ (16) Nota 17 aprile 2008, pag. 65.

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* * * Ai fini del trattamento economico, l’estensione del congedo di maternità viene considerata come il congedo di maternità stesso (v. prg. 3.5, pag. 17). 3.2 Flessibilità del congedo di maternità (17) Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità pari a 5 mesi, le lavoratrici possono avvalersi della facoltà di posticipare l’ingresso in congedo di maternità, non oltre l’inizio del mese precedente la data presunta del parto. I restanti quattro mesi saranno goduti successivamente al parto. Ciò a condizione che il medico specialista del S.S.N. ed il medico competente attestino che tale scelta non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Con D.M. saranno individuate in modo specifico le attività lavorative per le quali, a causa della loro pericolosità, la lavoratrice non può scegliere di posticipare la data di inizio del congedo di maternità. In attesa dell’emanazione del suddetto decreto, il Ministero del lavoro (18) ha precisato che, attualmente, è possibile ricorrere alla flessibilità del congedo di maternità solamente in assenza di: a. condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della

lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta; b. un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte della

competente DPL servizio ispezione del lavoro; c. cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione

anticipata nelle prime fasi di gravidanza; d. pregiudizio per la salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle

mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o dall’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non potrà comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;

e. controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del posto di lavoro.

_______________ (17) Art. 20 T.U., pag. 61. (18) Circolare 7 luglio 2000 n. 43, pag. 65.

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L’INPS (19) ha chiarito che la scelta di optare per la flessibilità dell’astensione obbligatoria non è produttiva di effetti definitivi. Pertanto, anche successivamente all’esercizio della facoltà in parola, la lavoratrice: - potrà chiedere al datore di lavoro di astenersi dal lavoro prima dell’inizio del

mese antecedente la data presunta del parto; - dovrà astenersi immediatamente dal lavoro nei casi in cui, pur avendo scelto di

posticipare l’inizio dell’astensione obbligatoria, si verifichino fatti sopravvenuti (quali, ad esempio, una malattia) che impediscono la prestazione dell’attività lavorativa.

L’INPS (20) ha, inoltre, precisato che le domande di flessibilità, tendenti ad ottenere l’autorizzazione a continuare l’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza, potranno essere accolte, ai fini del diritto all’indennità, solo a condizione che alle stesse siano allegate le certificazioni sanitarie che rechino una data non successiva alla fine del 7° mese ed attestino la compatibilità dell’avanzato stato di gravidanza con la permanenza al lavoro fin dal primo giorno dell’8° mese. Documentazione La lavoratrice che intenda avvalersi della flessibilità del congedo di maternità è tenuta a presentare al datore di lavoro ed all’INPS, apposita domanda corredata dai certificati medici che, come precisato, rechino una data non successiva alla fine del settimo mese di gravidanza e attestino l’insussistenza delle condizioni ostative all’esercizio dell’opzione indicate dal Ministero del lavoro, sopra elencate. Competente a rilasciare tale certificazione è il ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato. Ove sia previsto l’obbligo di sorveglianza sanitaria, anche il medico competente deve confermare l’insussistenza delle condizioni c), d), e) individuate dal Ministero e più volte richiamate. L’opzione di flessibilità può essere esercitata dalla lavoratrice solamente se i due medici escludono controindicazioni. 3.3 Congedo di paternità (21) È riconosciuto al padre lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice. _______________ (19) Circolare 4 settembre 2000 n. 152, pag. 66. (20) Messaggio n. 13279 del 25 maggio 2007, pag. 68. (21) Capo IV T.U. artt. 28-31, pag. 69.

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Tale diritto spetta al padre in caso di: - grave infermità della madre; - morte della madre; - abbandono del bambino da parte della madre; - affidamento esclusivo del bambino al padre.

Il padre lavoratore che intenda avvalersi del congedo di paternità deve presentare al datore di lavoro ed all’INPS idonea documentazione relativa alle suddette condizioni (22) (v. prg. 3.4, pag. 15).

L’INPS (23) ha precisato che la norma in parola, sebbene si riferisca testualmente alla condizione della madre “lavoratrice” (e sembrerebbe, quindi, escludere la fruibilità del congedo di paternità nel caso in cui quest’ultima non sia occupata), riconosce al padre un autonomo diritto all’astensione dal lavoro; conseguentemente, il congedo di paternità è fruibile anche qualora la madre non sia una lavoratrice dipendente (e non abbia diritto al periodo di astensione obbligatoria). La condizione di lavoratrice dipendente, e l’eventuale fruizione del congedo di maternità, quindi, influiscono unicamente sulla durata (e non sulla spettanza) del congedo di paternità. Tali indicazioni costituiscono una logica conseguenza di quanto affermato in talune pronunce della Corte Costituzionale, che ha individuato nella garanzia di un’assistenza materiale ed effettiva, da parte di uno qualsiasi dei genitori del neonato, la ratio della disposizione citata. Il padre lavoratore, inoltre, è equiparato alla madre lavoratrice, dal punto di vista delle tutele e della copertura economica. 3.4 Documentazione (24) Il riconoscimento del diritto al congedo di maternità/paternità e del relativo trattamento economico è subordinato alla presentazione, da parte della lavoratrice madre o del lavoratore padre, nei casi in cui ne abbia diritto (v. prg. 3.3, pag. 14), di domanda su apposito modello: Modello MAT., scaricabile sul sito Internet dell’INPS “www.inps.it – sezione “modulistica”, da presentare all’Istituto ed al datore di lavoro. _______________ (22) Art. 28 T.U., pag. 69. (23) Circolare n. 8 del 17 gennaio 2003, pag. 70. (24) Art. 21 T.U., pag. 61.

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Per quanto riguarda la lavoratrice madre, è necessario distinguere tra: 1) Periodo di congedo antecedente al parto la lavoratrice è tenuta a presentare, prima dell’inizio del congedo di maternità,

la suddetta domanda, eventualmente corredata da certificato medico di gravidanza. Quest’ultimo deve, infatti, essere allegato, qualora non venga compilata una apposita sezione del modello MAT, contenente gli stessi elementi: - la generalità della lavoratrice, il datore di lavoro, la sede dove l’interessata

presta la propria opera, le mansioni affidatele, l’Istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di malattia (tali informazioni sono inserite sulla base delle dichiarazioni della donna che, conseguentemente, ne risponde della veridicità);

- il mese di gestazione alla data della visita; - la data presunta del parto (che fa stato, nonostante qualsiasi errore

formale). In presenza di scorrettezze nella redazione, il datore di lavoro e l’Istituto

assicuratore hanno facoltà di richiederne la regolarizzazione; tale operazione è necessaria qualora l’irregolarità consista nella mancata indicazione della data presunta del parto.

La mancata o tardiva presentazione del certificato non determina la decadenza dal trattamento economico, potendo ben essere presentato in qualsiasi momento (pur sempre entro il termine di prescrizione di un anno).

2) Periodo di congedo successivo al parto

- la lavoratrice, per poter usufruire dei diritti conseguenti al parto (anche prematuro), deve presentare, entro 30 giorni, il certificato di assistenza al parto, o lo stato di famiglia o la dichiarazione sostitutiva da cui risulti la data del parto stesso. Qualora la lavoratrice, invocando le norme sulla tutela della privacy, non intenda comunicare al proprio datore di lavoro taluni dati ed informazioni contenuti nel certificato di assistenza al parto, e ritenuti riservati, potrà cancellarli dal certificato stesso (eccezion fatta per quelli indispensabili ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità, cioè le proprie generalità e la data di nascita del bambino) e, sempre per la tutela della privacy, potrà omettere di esibire al datore di lavoro il certificato di stato di famiglia, dal quale risultino i legami di parentela (lo stesso potrà essere sostituito con una dichiarazione di responsabilità della donna, dalla quale risulti la data di nascita del bambino e l’attestazione che attesti che questi è proprio figlio, con firma autenticata da un notaio o da un funzionario comunale a ciò autorizzato);

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- aborto (spontaneo o terapeutico). La lavoratrice deve presentare, entro 30 giorni, il certificato medico attestante il mese di gravidanza al momento dell’aborto e la data presunta del parto. Per quanto concerne la tutela della privacy dell’interessata, valgono le considerazioni svolte al punto precedente. Per una più precisata disamina della questione, v. prg. 3.9, pag. 21.

Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto al congedo di paternità deve allegare alla domanda la certificazione relativa alle condizioni esaminate nel prg. 3.3, ossia: - in caso di morte della madre, relativo certificato o, in alternativa, apposita

dichiarazione sostitutiva; - in caso di grave infermità della madre, il certificato medico, rilasciato dalla ASL

competente per territorio, attestante lo stato di grave infermità e l’impossibilità della madre di accudire il figlio;

- in caso di affidamento esclusivo del bambino, la sentenza od altro provvedimento giudiziale (anche nella sola parte del dispositivo) che abbia disposto l’affidamento esclusivo al padre;

- in caso di abbandono, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (25); 3.5 Trattamento economico (26) Durante il congedo di maternità/paternità le lavoratrici o i lavoratori hanno diritto ad un’indennità giornaliera, a carico dell’INPS, pari all’80% della retribuzione media giornaliera (calcolata come per l’indennità di malattia) percepita nel periodo di paga quadriset timanale o mensile, scaduto ed immediatamente precedente a quello in cui ha avuto inizio l’astensione. L’indennità a carico INPS è anticipata dal datore di lavoro, il quale ne richiede il rimborso all’Istituto nella denuncia mensile dei contributi previdenziali Mod DM 10/2. La contrattazione collettiva può prevedere un’integrazione dell’indennità a carico del datore di lavoro. L’indennità compete a tutte le lavoratrici o lavoratori a prescindere dallo stato civile, alle dipendenze dei datori di lavoro privati, ivi comprese le apprendiste/i. Presupposti per la percezione dell’indennità sono: - la presenza di uno stato di gravidanza accertato; _______________ (25) Ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, pag. 75. (26) Art. 22, c. 1 T.U., pag. 61.

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- il godimento effettivo del congedo: ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative e penali previste in materia (v. Capitolo 11, pag. 55), in caso di permanenza o di indebita assunzione al lavoro della lavoratrice gestante o puerpera durante il periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro, l’Istituto assicuratore non corrisponde la relativa indennità relativamente al periodo di permanenza al lavoro vietato, con conseguente obbligo di restituzione dell’importo delle giornate indebitamente indennizzate;

- la sussistenza di un rapporto di lavoro. Tuttavia l’indennità in parola è dovuta, per tutto il periodo del congedo (ultimo giorno compreso), anche qualora il rapporto di lavoro si sia risolto, durante il periodo di astensione, per la cessazione dell’attività aziendale, l’ultimazione della prestazione cui la lavoratrice/lavoratore sono addetti, scadenza del termine apposto al contratto (27) o per giusta causa di licenziamento (28).

Diritto alla corresponsione dell’indennità in caso di sospensione o

cessazione del rapporto di lavoro (29) Le disposizioni del presente capoverso riguardano solamente le lavoratrici madri. La lavoratrice che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, è sospesa (ad esempio per intervento della cassa integrazione) o assente dal lavoro senza retribuzione (ad esempio in aspettativa per motivi personali o in sciopero) ha diritto ugualmente all’indennità di maternità, purchè tra l’inizio della sospensione o dell’assenza e l’inizio della maternità non siano trascorsi più di 60 giorni. La sospensione che perduri anche da più di 60 giorni dà diritto ugualmente all’indennità di maternità quando la lavoratrice benefici del trattamento di Cig o Cigs. L’indennità compete, altresì, quando detto intervallo è superiore a 60 giorni, qualora all’inizio dell’astensione obbligatoria la lavoratrice si trovi in una delle seguenti condizioni: - percepisca l’indennità di disoccupazione; - non abbia diritto all’indennità di disoccupazione per essere stata occupata

nell’ultimo biennio in lavorazioni non soggette all’obbligo di assicurazione per la disoccupazione, purchè all’inizio dell’astensione obbligatoria non siano trascorsi più di 180 giorni dalla data di risoluzione del rapporto e nel biennio precedente risultino versati o dovuti almeno 26 contributi settimanali nell’assicurazione di maternità.

_______________ (27) Art. 24 T.U., pag. 62. (28) Sentenza Corte Cost. 14 dicembre 2001 n. 405, pag. 76. (29) Art. 24 T.U., pag. 62.

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Le stesse regole valgono anche nel caso di fruizione dell’indennità di mobilità. Nel computo dei 60 giorni non bisogna tener conto delle seguenti assenze: - malattia o infortunio sul lavoro regolarmente accertate dagli Istituti assicuratori; - periodi di congedo parentale o di permesso per malattia del bambino a causa

di precedente maternità; - periodi di assenza fruiti per accudire un minore in affidamento; - periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto a tempo

parziale di tipo verticale. L’indennità di maternità compete per tutta la durata del congedo anche qualora lo stesso sia stato anticipato od esteso (v. prg. 3.1, pag. 11) o la lavoratrice abbia usufruito dell’opzione di flessibilità (v. prg. 3.2, pag. 13).

Giornate indennizzabili Nel periodo di congedo di maternità vengono indennizzate tutte le giornate tranne: - per gli operai, le festività cadenti nel periodo, che sono a carico del datore di

lavoro; - per gli impiegati, le festività cadenti di domenica.

* * * Come accennato, i padri lavoratori che abbiano usufruito del congedo di paternità (v. prg. 3.3, pag. 14) hanno diritto allo stesso trattamento economico previsto per le lavoratrici madri (30). 3.6 Rapporti tra indennità di maternità/paternità con altri trattamenti previdenziali L’indennità di maternità/paternità: A) sostituisce ed assorbe l’indennità di malattia (31); _______________ (30) Art. 29 T.U., pag. 69. (31) Art. 22, c. 2 T.U., pag. 61.

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B) sostituisce il trattamento di integrazione salariale, il trattamento di disoccupazione e l’indennità di mobilità (v. prg. 3.5, pag. 17). Come visto le suddette disposizioni valgono esclusivamente per la lavoratrice madre;

C) è sostituita dall’indennità per infortunio a carico dell’INAIL. Tuttavia resta a

carico INPS l’eventuale integrazione dell’indennità giornaliera corrisposta dall’INAIL, fino a concorrenza dell’importo spettante a titolo di indennità per congedo di maternità/paternità. L’Azienda provvederà, pertanto, a corrispondere alla lavoratrice/lavoratore l’indennità per conto dell’INAIL e ad integrare, ove necessario, per conto dell’INPS, tale trattamento fino a concorrenza dell’importo dell’indennità di maternità/paternità, importo che porrà a conguaglio sul mod. DM 10/2 (32);

D) è incumulabile con l’assegno per il congedo matrimoniale. Pertanto, in caso di

contrazione di matrimonio in tempo di assenza dal lavoro per congedo di maternità/paternità viene corrisposto solamente il trattamento previsto per il congedo matrimoniale.

3.7 Copertura contributiva (33) Il periodo di congedo di maternità/paternità che si colloca in costanza di rapporto di lavoro è coperto da contribuzione figurativa ed è utile per il diritto alla pensione e per la determinazione della relativa misura. 3.8 Computabilità del congedo di maternità/paternità (34) Il periodo di congedo di maternità/paternità rileva: - nel computo dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti: tredicesima mensilità,

ferie, scatti di anzianità, ecc.; - ai fini della progressione di carriera, come attività lavorativa, ad accezione del

caso in cui il C.c.n.l. applicabile non richieda particolari requisiti; - come attività di lavoro effettivo ai fini del calcolo dei sei mesi di anzianità di

lavoro richiesti per la maturazione del diritto all’indennità di mobilità. È invece esclusa la computabilità di detto periodo: _______________ (32) Circolare INPS n. 182/1987. (33) Art. 25 T.U., pag. 62. (34) Art. 22, cc. 3, 4, 5 e 6 T.U., pag. 61.

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- ai fini della durata del periodo di apprendistato che è, quindi, prolungato; - ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità, salvi i

limiti temporali di fruizione dell’indennità stessa. Si ricorda, infine, che le ferie e le assenze eventualmente spettanti ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente al periodo di congedo di maternità/paternità. 3.9 Aborto Come accennato (v. prg. 3.4, pag. 15) l’interruzione, spontanea o terapeutica, della gravidanza, avvenuta nei casi consentiti dalla legge (35), è considerata: - malattia, se avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione.

Conseguentemente, in tale ipotesi la lavoratrice non ha diritto al congedo di maternità ed al corrispondente trattamento indennitario, ma unicamente all’indennità di malattia per i periodi successivi all’aborto (anche qualora sia stata disposta l’anticipazione dell’astensione per i possibili effetti pregiudizievoli delle lavorazioni sulla salute della donna e/o del nascituro). Il Ministero del lavoro (36) ha recentemente chiarito che, poiché l’interruzione di gravidanza, se avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestione, è qualificata appunto come aborto, è corretto considerare l’aborto stesso come malattia determinata da gravidanza, stante la connessione naturale tra i due eventi (gravidanza ed aborto). Pertanto, trova applicazione la speciale tutela (37) in base alla quale, i periodi di assenza per malattia determinata da gravidanza non sono computabili agli effetti della durata prevista da leggi, regolamenti o C.c.n.l. per il trattamento normale di malattia. Il Ministero precisa, inoltre, che ai fini della prova dello stato morboso è sufficiente il certificato rilasciato da un medico di base convenzionato.

- parto, se avvenuta oltre il 180° giorno dall’inizio della gestazione. In particolare:

− il congedo di maternità (ed il relativo trattamento indennitario) decorre dai 2 mesi antecedenti la data presunta del parto fino a 3 mesi dopo l’aborto. Qualora sia stata disposta l’anticipazione del periodo di astensione, inoltre, l’indennità compete dalla data di anticipata astensione fino ai tre mesi successivi all’aborto;

_______________ (35) Art. 12 D.P.R. n. 1026/1976 e art. 19 T.U., pagg. 63 e 60. (36) Interpello n. 32 del 19 agosto 2008, pag. 77. (37) Art. 20 D.P.R. n. 1026/1976, pag. 78.

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− i divieti di licenziamento e di sospensione dal lavoro vigono dall’inizio dello stato di gravidanza fino 3 mesi dopo l’aborto;

− il divieto di adibizione a lavori faticosi, pericolosi ed insalubri è operativo dall’inizio dello stato di gravidanza fino a 7 mesi dopo l’aborto.

Per la determinazione del periodo di gravidanza, si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto. 3.10 Adozione e affidamenti La Legge Finanziaria 2008 ha apportato alcune modifiche alla disciplina delle adozioni ed affidamenti prevista dal T.U. (38). L’INPS (39) ha, successivamente, emanato le relative note operative.

Congedo di maternità Le lavoratrici che abbiano adottato un minore hanno diritto ad un congedo di maternità della durata massima di cinque mesi, anche qualora durante il congedo il minore raggiunga la maggiore età. Nel caso di affidamento di minore, il congedo può essere fruito (in modo continuativo o frazionato) per un periodo massimo di tre mesi, entro cinque mesi dall’affidamento. Le modalità di fruizione del congedo di maternità variano, a seconda che si tratti di adozione nazionale o internazionale: - in caso di adozione nazionale il congedo deve essere fruito durante i primi

cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia; - se l’adozione è internazionale, il congedo può essere fruito prima dell’ingresso

del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva. Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo può essere fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia. La lavoratrice che, per il periodo di permanenza all’estero, non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternità, può fruire di un congedo non retribuito, senza diritto ad indennità.

Le disposizioni in esame trovano applicazione anche qualora il minore, al momento dell’ingresso nella famiglia o dell’ingresso in Italia si trovi in affidamento preadottivo. _______________ (38) Art. 2, cc. 452-454 L. n. 244/2007: sostituzione artt. 26, 31 T.U. ed abrogazione art. 27 T.U., pag. 79. (39) Circolare INPS del 4 febbraio 2008 n. 16, pag. 79.

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Congedo di paternità Il congedo in parola spetta anche al padre lavoratore per tutta la durata o per la parte residua, subordinatamente al verificarsi di una delle seguenti condizioni: - decesso o grave infermità della madre; - abbandono del bambino da parte della madre; - affidamento esclusivo del bambino al padre; - in alternativa alla lavoratrice dipendente che vi rinunci anche solo parzialmente. 3.11 Lavoratori parasubordinati (40) L’indennità di maternità e di paternità è corrisposta anche agli iscritti alla gestione separata: lavoratrici a progetto, collaboratrici coordinate e continuative e associate in partecipazione, senza altra copertura previdenziale obbligatoria e non pensionate. Sono escluse dal beneficio le lavoratrici che svolgono prestazioni di collaborazione occasionale inferiori a 30 giorni nell’anno solare e con un compenso inferiore a 5.000 euro con lo stesso committente. L’indennità è corrisposta, direttamente dall’INPS, per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa, a condizione che la lavoratrice sia iscritta regolarmente alla gestione separata ed abbia versato l’aliquota dello 0,72% (finalizzata al finanziamento delle prestazioni in parola) per almeno tre mesi nei 12 mesi precedenti i due mesi anteriori alla data del parto. È, altresì, fatto divieto ai committenti di adibire al lavoro le lavoratrici parasubordinate durante il periodo in questione. Ai fini del riconoscimento del congedo, le lavoratrici medesime hanno l’onere di corredare la domanda di maternità con il certificato medico di gravidanza, attestante la data presunta del parto. L’indennità è corrisposta alla madre lavoratrice anche nei casi di estensione dei periodi di interdizione al lavoro di cui al prg. 3.1, pag. 11. L’indennità è riconosciuta anche al padre, iscritto alla gestione separata, per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla madre, sempre che lo stesso abbia versato la suddetta aliquota dello 0,72% per almeno tre mesi nei 12 mesi precedenti i due mesi anteriori alla data del parto. Quanto sopra in caso di: - grave infermità della madre; - morte della madre; _____________ (40) D.M. 12 luglio 2007; circolare INPS 21 dicembre 2007 n. 137, pagg. 82 e 84.

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- abbandono del bambino da parte della madre; - affidamento esclusivo del bambino al padre. Ai fini della corresponsione dell’indennità occorre l’attestazione di astensione effettiva dal lavoro, resa dalla lavoratrice o dal lavoratore e dal committente con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Il padre lavoratore per fruire dell’indennità in parola deve, inoltre, produrre la documentazione comprovante l’esistenza delle condizioni ricordate ed illustrata nel prg. 3.4, pag. 15.

Misura dell’indennità L’indennità, corrisposta direttamente dall’INPS, a seguito di domanda degli interessati, è fissata in misura pari all’80% di 1/365 del reddito, derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa, utile ai fini contributivi e risultante dai versamenti effettuati, percepito nel periodo di riferimento: 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile.

* * * I periodi di astensione dall’attività lavorativa per i quali è corrisposta l’indennità di maternità/paternità sono coperti da contribuzione figurativa ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura stessa.

Adozioni e affidamenti Il congedo di maternità, con la corresponsione della relativa indennità, può essere richiesto anche dalle lavoratrici madri adottive o affidatarie iscritte alla gestione separata con i requisiti contributivi sopra richiamati, durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso in famiglia di un bambino, che al momento dell’adozione o dell’affidamento nazionale, non abbia superato i sei anni di età. In caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale il congedo spetta sempre per lo stesso periodo anche se il minore abbia superato i sei anni, fino al compimento della maggiore età dello stesso. In tale ipotesi, ovviamente, ai fini della determinazione del periodo di congedo di maternità e del correlativo trattamento economico si tiene conto della data di effettivo ingresso del minore nella famiglia adottiva/affidataria. Anche il padre lavoratore iscritto alla gestione separata ha diritto, in presenza dei soliti requisiti contributivi, al periodo di congedo in esame, alle seguenti condizioni: - la madre non ne faccia richiesta; - morte o grave infermità della madre;

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- abbandono dei figli da parte della madre; - affidamento esclusivo del figlio al padre.

* * *

Ai fini della presentazione della domanda di congedo di maternità/paternità deve essere utilizzato il modello MAT/Gest. SEP, scaricabile dal sito Internet dell’Istituto “www.inps.it – sezione “modulistica”.

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CAPITOLO 4

Congedo parentale Il Capo V (41) del T.U. disciplina il congedo parentale (ex astensione facoltativa): esso consiste nel diritto, in capo a entrambi i genitori, di sospendere unilateralmente la prestazione dell’attività lavorativa, nei limiti di durata massima consentiti dalla legge. Ai fini dell’insorgenza del diritto, è necessario che: - sussista un rapporto di lavoro produttivo di effetti giuridici, conseguentemente,

sono da considerarsi esclusi dalla fruizione del congedo parentale i dipendenti sospesi a zero ore, disoccupati, impossibilitati alla prestazione, o quelli il cui rapporto di lavoro sia cessato o semplicemente sospeso. È escluso il diritto al godimento del congedo parentale nelle fasi non lavorative del contratto a tempo parziale su base annua;

- il bambino sia in vita. Ciascuno dei genitori, indipendentemente dal fatto che l’altro non ne abbia titolo per fruirne, ha diritto ad astenersi, per ogni bambino, dal lavoro per un periodo complessivo, frazionato o continuativo, nei primi otto anni di vita del bambino stesso (l’ultimo giorno di fruizione può al più tardi coincidere con l’ottavo compleanno del minore). In particolare (42): - la madre lavoratrice dipendente, terminato il periodo di congedo di maternità,

può astenersi dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi, nel limite massimo complessivo, per entrambi i genitori, di 10 mesi;

- il padre lavoratore dipendente ha diritto di fruire del congedo parentale, dalla nascita del figlio (non necessariamente, quindi, dal termine dell’astensione obbligatoria) negli stessi limiti di durata valevoli per la lavoratrice madre (periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi, nel limite massimo complessivo, per la coppia, di 10 mesi). Qualora, il padre lavoratore richieda il congedo per un periodo, continuato o frazionato, pari o superiore a 3 mesi, tuttavia, il limite massimo di astensione spettantegli sale a 7 mesi (ed il limite massimo complessivo per entrambi i genitori ad 11 mesi);

_____________ (41) Artt. 32-38 T.U., pag. 88. (42) Art. 32 T.U., pag. 88.

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- in presenza di un solo genitore , questo si può assentare dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 10 mesi: si fa riferimento ai casi di morte di un genitore, di abbandono del figlio da parte di uno dei genitori, di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, oppure di non riconoscimento del figlio da parte di uno dei genitori risultante da un provvedimento formale (43). L’elevazione del periodo a 10 mesi viene concessa anche quando il genitore solo abbia già utilizzato il proprio periodo massimo di astensione facoltativa (6 mesi per la madre e 7 per il padre). Tuttavia nel calcolo dei 10 mesi vanno computati tutti i periodi in precedenza fruiti da entrambi i genitori. L’INPS ha riconosciuto (44) un’ulteriore ipotesi della condizione di genitore solo: essa viene individuata nel caso in cui, pur essendo il figlio sotto la potestà di entrambi i genitori, l’altro sia colpito da grave infermità. Si tratta, infatti, di una situazione che, anche se temporalmente circoscritta, può di fatto impedire al genitore gravemente infermo di prendersi cura dei figli. Anche in tal caso l’altro genitore può fruire del maggior periodo di congedo parentale, entro il limite massimo complessivamente riconosciuto ad entrambi i genitori pari a 10 mesi (o 11 mesi nel caso di padre genitore solo che abbia già fruito di un periodo di congedo non inferiore a tre mesi fino al compimento degli 8 anni di età del bambino). Peraltro, considerato che l’infermità grave del genitore può già sussistere al momento del parto o dell’ingresso in famiglia del figlio adottato o affidato, oppure insorgere successivamente a tale evento, il diritto al periodo di congedo fruibile dal genitore solo potrebbe essere pari, rispettivamente, a 10 mesi o all’eventuale periodo residuo. In tale ultima ipotesi, infatti, devono essere considerati nel computo dei 10 mesi anche eventuali periodi complessivamente fruiti da entrambi i genitori. Qualora la grave infermità si temporanea, il venir meno della stessa interrompe la maggior fruizione del periodo di congedo parentale concesso al genitore considerato solo ed il maggior periodo di congedo, già goduto in tale qualità, determina la riduzione del periodo di congedo parentale spettante all’altro.

In caso di parto multiplo, a differenza di quanto avviene per il congedo di maternità (nell’ambito del quale non è previsto alcun diritto ad ulteriori periodi di astensione), il congedo parentale spetta a ciascun genitore per ogni bambino nato; pertanto, il beneficio viene moltiplicato in ragione del numero dei figli nati dallo stesso parto (45). _____________ (43) Circolare INPS 17 gennaio 2003 n. 8, pag. 70. (44) Messaggio INPS 20 settembre 2007 n. 22911, pag. 89. (45) Messaggio INPS 27 giugno 2001 n. 569, pag. 90.

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Fermo restando il limite individuale (6 mesi per la madre, 6/7 per il padre) e complessivo (10/11 mesi), i genitori sono liberi di decidere la ripartizione tra loro dei periodi di astensione, o di goderne contemporaneamente. L’INPS (46) ha chiarito, in particolare, che il padre può beneficiare di tale astensione dal lavoro anche durante il congedo di maternità della madre per il tempo successivo al parto o durante i periodi nei quali la stessa gode dei riposi giornalieri. 4.1 Godimento frazionato del congedo parentale Come accennato, il congedo parentale può essere goduto anche in modo frazionato. Il frazionamento è ammesso a mese ed a giorni e, non essendo stabilita una durata minima, può riguardare anche una sola giornata. La frazionabilità va, comunque, intesa nel senso che tra un periodo e l’altro di congedo parentale (anche di un solo giorno per volta) deve essere effettuata una ripresa effettiva del lavoro. L’INPS (47) ha chiarito che nel caso in cui la fruizione di periodi frazionati di congedo parentale sia semplicemente intervallata da un periodo di ferie o di malattia, senza quindi alcuna ripresa effettiva dell’attività lavorativa, i giorni festivi ed i sabati (in caso di settimana corta) ricadenti tra un periodo e l’altro di congedo devono essere conteggiati come giorni di congedo parentale. Invece, nel caso in cui la lavoratrice o il lavoratore fruisca di un periodo di congedo parentale seguito da un periodo di malattia ovvero di ferie e successiva ripresa dell’attività lavorativa, le giornate festive ed i sabati (in caso di settimana lavorativa corta) cadenti tra il periodo di congedo ed il successivo periodo feriale o di malattia non vanno computate come congedo parentale. 4.2 Prolungamento del congedo parentale (48) la lavoratrice madre e il lavoratore padre di handicappato grave fino a tre anni di età che non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, hanno diritto, decorso il termine del periodo corrispondente alla durata massima del congedo parentale, al prolungamento del congedo stesso, fino ai tre anni di età del bambino. Il prolungamento del congedo parentale non può essere fruito da entrambi i genitori, ma nel caso in cui il padre e la madre siano lavoratori dipendenti, spetta ad entrambi in maniera alternativa. _____________ (46) Circolare INPS 6 giugno 2000 n. 109, pag. 90. (47) Messaggio 25 ottobre 2006 n. 28379, pag. 98. (48) Art. 33 T.U., pag. 88.

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Il prolungamento del congedo spetta al genitore richiedente anche quanto l’altro genitore non ne abbia diritto. 4.3 Documentazione (49) Il genitore che intenda avvalersi di un periodo di congedo parentale deve: - informare (salvo i casi di oggettiva impossibilità) il datore di lavoro, secondo le

modalità ed i criteri stabiliti dai C.c.n.l. e, comunque, con un preavviso non inferiore a 15 giorni;

- presentare la relativa domanda, tramite il Mod. AST. FAC. scaricabile sul sito Internet dell’INPS “www.inps.it - sezione “modulistica”, all’Istituto ed al datore di lavoro. In caso di parto multiplo dovranno essere presentate tante domande, quanti sono i figli gemelli per cui si richiede il beneficio.

Alla domanda deve essere allegata la seguente documentazione: - certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da

cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non sia già stata presentata;

- dichiarazione non autenticata di responsabilità dell’altro genitore (madre o padre) relativa agli eventuali periodi di congedo parentale fruiti per il figlio (con indicazione del datore di lavoro), o dichiarazione relativa alla sua qualità di non avente diritto al congedo stesso (lavoratore autonomo, lavoratore a domicilio o addetto ai servizi domestici);

- analoga dichiarazione dei periodi di congedo parentale eventualmente già fruiti dallo stesso richiedente;

- impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive; - la documentazione attestante l’eventuale condizione di genitore solo e cioè:

o certificato di morte dell’altro genitore; o copia del provvedimento formale di abbandono del bambino da parte

dell’altro genitore; o copia del provvedimento formale di affidamento del figlio al solo genitore

richiedente. Come sopra esaminato, l’INPS ha riconosciuto la condizione di genitore solo anche in caso di grave infermità dell’altro genitore. Conseguentemente il genitore che intenda fruire del maggior periodo di congedo parentale

_____________ (49) Art. 32, c. 3 T.U., pag. 88.

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deve allegare, in busta chiusa, unitamente alla domanda, specifica certificazione medica rilasciata da una struttura pubblica e comprovante la grave infermità dell’altro genitore. Tale certificazione viene sottoposta all’esame del Centro Medico Legale della Sede INPS competente, cui spetta valutare la compatibilità dell’infermità, in rapporto all’assolvimento dei compiti di cura ed assistenza del bambino. Le Sedi dell’Istituto non possono in ogni caso accettare l’autocertificazione attestante la grave infermità, considerato che i certificati medici non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore. In ogni caso, tutte le circostanze che incidono sui limiti di fruizione del congedo parentale devono essere portate a conoscenza sia dell’Istituto, sia del datore di lavoro (50).

* * *

L’INPS (51) ha precisato che la domanda di indennità per congedo parentale, deve necessariamente essere presentata all’Istituto in data antecedente alla fruizione del congedo (o, quantomeno, entro la data di inizio del periodo di congedo), configurandosi la domanda stessa quale onere a carico dei lavoratori, ai fini del pagamento dell’indennità richiesta.

* * * Dal momento che il periodo di congedo parentale può essere goduto anche in maniera frazionata, gli adempimenti di cui sopra devono essere ripetuti ogni volta. 4.4. Trattamento economico (52) Durante il congedo parentale, i genitori lavoratori dipendenti hanno diritto a percepire un’indennità a carico dell’INPS, pari al 30% della retribuzione media globale giornaliera. L’indennità è anticipata dal datore di lavoro e posta a conguaglio sul Mod. DM 10/2. _____________ (50) Messaggio 20 settembre 2007 n. 22911, pag. 89. (51) Messaggio 25 maggio 2006 n. 15195. (52) Art. 34 T.U., pag. 88.

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L’indennità spetta a tutti i lavoratori, compresi gli apprendisti e i part-time, con esclusione di quelli domestici e a domicilio, a condizione che il lavoratore, al momento di iniziare l’assenza, abbia in corso un regolare rapporto di lavoro e che non sia soggetto a sospensioni del rapporto stesso per qualsiasi causa. A differenza dell’astensione obbligatoria non sono previste eccezioni a questa regola. L’indennità in parola è corrisposta: - fino al compimento dei 3 anni di vita del bambino (compreso il giorno del terzo

compleanno) e per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi, senza condizioni di reddito. In tal caso il rimanente periodo di spettanza dell’astensione può essere utilizzato come congedo non retribuito;

- fino al compimento degli 8 anni di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione (in totale 10 o 11 mesi complessivi tra i genitori, oppure per i periodi massimi individuali), a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’AGO. Si tratta sia dei periodi di congedo successivi ai 6 mesi entro i 3 anni di età del bambino, che di tutti i periodi usufruibili dai 3 agli 8 anni del figlio. Se sussistono queste condizioni di reddito, pertanto, i genitori possono fruire, percependo l’indennità economica, della parte di astensione loro spettante entro i 3 anni di età del bambino (6 mesi complessivi tra i genitori) eventualmente non goduta e, in più, dei mesi di congedo che residuano (nel rispetto del tetto massimo complessivo di 10 o 11 mesi) fino al compimento degli 8 anni del bambino. Il reddito individuale è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo. Pertanto, il reddito da considerare è quello assoggettabile all’IRPEF, esclusa l’indennità per astensione facoltativa, percepito dal genitore richiedente nell’anno in cui inizia la prestazione o la frazione di essa, con esclusione:

- del reddito della casa d’abitazione; - dei trattamenti di fine rapporto comunque denominati; - dei redditi derivanti da competenze arretrate soggette a tassazione

separata; - dei redditi già tassati per intero alla fonte (ad esempio, interessi corrisposti

al possessore di obbligazioni); - dei redditi esenti (ad esempio, rendite INAIL e indennità di

accompagnamento). Deve essere dichiarato il reddito individuale presunto per l’anno di riferimento (anno in corso), con necessità di dichiarazione definitiva, ai fini degli eventuali conguagli, attivi o passivi , alla scadenza dei termini previsti per la denuncia dei redditi.

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L’indennità è erogabile per intero, al semplice verificarsi della condizione di mancato superamento del reddito del limite di 2,5 volte l’importo minimo pensionistico.

* * *

Lo svolgimento di attività retribuita presso terzi comporta la perdita dell’indennità.

* * * L’indennità a carico dell’INPS, pari al 30%, deve essere calcolata sulla retribuzione media globale giornaliera, determinata con i criteri esaminati per il congedo di maternità (v. prg. 3.5, pag. 17) escludendo, però, dal computo il rateo giornaliero delle mensilità aggiuntive e degli altri premi, mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati al lavoratore. L’indennità giornaliera, deve essere, quindi, moltiplicata per le giornate indennizzabili individuate con gli stessi criteri esaminati al prg. 3.5. La retribuzione di riferimento è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente ciascun periodo di astensione richiesto, anche frazionatamente. 4.5 Rapporto tra indennità per congedo parentale con altri trattamenti previdenziali L’indennità per congedo parentale: - non spetta nel caso di sospensione dal lavoro con intervento della cassa

integrazione; - non spetta nel caso di cessazione del rapporto di lavoro e godimento

dell’indennità di mobilità o di disoccupazione; - non spetta nel caso di assenza per malattia o infortunio sul lavoro, con

percezione dei relativi trattamenti a carico dell’INPS o dell’INAIL. È incumulabile, al pari dell’indennità di maternità/paternità, con l’assegno per congedo matrimoniale a carico INPS (v. prg. 3.6, pag. 19).

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4.6 Copertura contributiva (53) I periodi di congedo parentale indennizzati e fruiti per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi, entro il terzo anno di vita del bambino, nonché l’eventuale prolungamento fino a tre anni del congedo stesso, in caso di figlio con handicap grave non ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati (v. prg. 4.2, pag. 28), sono coperti da contribuzione figurativa. Gli ulteriori periodi di congedo parentale sono coperti da una contribuzione figurativa ridotta. 4.7 Computibilità del congedo parentale (54) I periodi di congedo parentale sono computati: - nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima

mensilità; - come attività di lavoro effettivo ai fini del calcolo dei sei mesi di anzianità di

lavoro, richiesti per la maturazione del diritto all’indennità di mobilità. È invece esclusa la computabilità di detti periodi: - ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità, salvi i

limiti temporali di fruizione dell’indennità stessa; - ai fini della durata del periodo di apprendistato che è, quindi, prolungato. Le ferie e i permessi, eventualmente, spettanti ad altro titolo, non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo parentale. 4.8 Adozioni e affidamenti Come riportato nel prg. 3.10 la legge finanziaria 2008 (55) ha apportato alcune modifiche alla disciplina delle adozioni e affidamenti previste dal T.U. L’INPS ha, successivamente emanato le relative note operative (56). _____________ (53) Art. 35 T.U., pag. 89. (54) Art. 34, cc. 5 e 6 T.U., pag. 88. (55) Art. 2, cc. 455-456 L. n. 244/2007:sostituzione art. 36 T.U. e abrogazione art. 37 T.U., pag. 98. (56) Circolare INPS 4 febbraio 2008 n. 16, pag. 79.

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Alla luce di quanto sopra, nei casi di affidamento e adozione nazionale o internazionale, il congedo parentale può essere fruito, alle stesse condizioni e modalità previste per i genitori naturali, entro otto anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare e, comunque, non oltre il raggiungimento della maggiore età. 4.9 Anticipazione del trattamento di fine rapporto (57) Per sostenere le spese durante i periodi di fruizione del congedo parentale è possibile richiedere un’anticipazione del TFR nei limiti e alle condizioni previste dalla vigente normativa. 4.10 Lavoratori parasubordinati (58) In favore dei lavoratori parasubordinati che hanno titolo all’indennità di maternità/paternità (v. prg. 3.11, pag. 23) è prevista la corresponsione di un’indennità per congedo parentale, limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino. Il diritto ai periodi di congedo, in caso di parto plurimo spetta per ogni bambino, nel rispetto, ovviamente, del limite temporale di cui sopra. Hanno diritto al congedo parentale, con relativo trattamento economico, anche i padri lavoratori iscritti alla gestione separata ed in possesso dei requisiti contributivi più volte richiamati, in presenza delle condizioni previste per il riconoscimento dell’indennità di paternità (v. prg. 3.11, pag. 23).

Misura dell’indennità L’indennità, corrisposta direttamente dall’INPS, è calcolata per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari al 30% di 1/365 del reddito derivante da attività di lavoro a progetto o assimilata, percepito negli stessi dodici mesi presi a riferimento per l’accertamento del requisito contributivo più volte ricordato.

* * * I periodi di astensione dall’attività lavorativa, per i quali è corrisposta l’indennità per congedo parentale, sono coperti da contribuzione figurativa, ai fini del diritto alla pensione e alla determinazione della misura stessa. _____________ (57) Art. 5 T.U., pag. 99. (58) Art. 1, c. 788 L. n. 296/2006; circolare INPS 21 dicembre 2007 n. 137, pagg. 99 e 84.

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Adozioni e affidamenti In caso di adozione e affidamento sia nazionali che internazionali, il congedo parentale ed il relativo trattamento economico è riconoscibile per un periodo complessivo di tre mesi entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato/affidato, a condizione che il minore stesso non abbia superato, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, i dodici anni di età. Il diritto in esame è riconosciuto anche al padre adottivo o affidatario, sempre che la madre non ne faccia richiesta.

* * * Ai fini della presentazione della domanda di congedo parentale deve essere utilizzato il modello AST. FAC./Gest. Sep., scaricabile dal sito Internet dell’Istituto www.inps.it – sezione “modulistica”.

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CAPITOLO 5

Riposi giornalieri Il Capo VI del T.U. (59) disciplina i riposi giornalieri: durante il primo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre ha diritto a periodi di riposo giornalieri retribuiti (c.d. permessi per allattamento), con la possibilità di uscire dall’azienda. Le ore di permesso sono considerate lavorative a tutti gli effetti. I permessi devono essere concessi per la seguente durata: - due ore (due riposi di un’ora ciascuno, anche cumulabili) quando l’orario di

lavoro giornaliero sia pari o superiore alle sei ore; - un’ora (un solo riposo), se l’orario giornaliero è inferiore a sei ore.

Qualora il datore di lavoro abbia istituito in azienda o nelle immediate vicinanze un asilo nido o un’altra struttura idonea, i periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno (60). Ha diritto a tale permesso anche la lavoratrice madre occupata a tempo parziale, c.d. orizzontale, tenuta ad effettuare solo un’ora di lavoro nell’arco della giornata. In tal caso la fruizione del permesso determinerà la totale astensione della lavoratrice dall’attività lavorativa.

Padre lavoratore

Il diritto ai riposi è riconosciuto anche al padre lavoratore (61), in base al proprio orario giornaliero di lavoro, nei seguenti casi: - qualora il figlio sia affidato a lui soltanto; - in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga per

scelta o perché appartenente a categoria non avente diritto (lavoratrice domestica o a domicilio). È escluso il caso di madre che non se ne avvalga perché è in congedo di maternità o parentale, oppure perché assente per una causa che determini una sospensione del rapporto di lavoro (ad esempio aspettative o permessi non retribuiti). È invece, riconoscibile, in favore del padre lavoratore dipendente, il diritto a godere di tali riposi per il primo figlio durante la fruizione, da parte della madre, del congedo di maternità e/o parentale per il secondo nato (62);

_____________ (59) Artt. 39-46 T.U., pag. 99. (60) Art. 39 T.U., pag. 99. (61) Art. 40 T.U., pag. 99. (62) Messaggio INPS 19 maggio 2006 n. 14724, pag. 101.

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- in caso di morte o di grave infermità della madre; - qualora la madre non sia lavoratrice dipendente. L’INPS (63) ha chiarito che se

la madre è una lavoratrice autonoma, avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico INPS o di altro istituto previdenziale, il padre può usufruire dei riposi in parola, dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante alla madre dopo il parto, a condizione che quest’ultima non abbia chiesto di godere ininterrottamente del congedo parentale, successivamente a detto periodo. È escluso un diritto del padre ai riposi giornalieri quando la madre non svolge attività lavorativa, fatta salva l’ipotesi di decesso o grave infermità.

* * *

I riposi giornalieri possono sommarsi a quelli accumulati tramite il sistema della banca ore, anche se esauriscono l’intero orario giornaliero di lavoro, comportando di fatto la totale astensione dall’attività lavorativa (64).

Parto plurimo (65) In caso di parto plurimo, qualunque sia il numero dei nati, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere godute anche dal padre, indipendentemente dal fatto che la madre stia usufruendo dei periodi di congedo di maternità o parentale. Le ore aggiuntive possono essere utilizzate contemporaneamente da entrambi i genitori lavoratori dipendenti, anche nella stessa fascia oraria. In caso di parto plurimo di madre lavoratrice non dipendente, il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi stessi anche durante i tre mesi dopo il parto, nonché durante l’eventuale periodo di congedo parentale della madre (66).

* * * La distribuzione dei riposi in esame nell’arco della giornata lavorativa deve essere concordata con il datore di lavoro, tenendo anche conto delle esigenze di servizio, ma in modo tale da assicurare una diretta assistenza del bambino da parte dei genitori. In caso di mancato accordo, la distribuzione dei permessi sarà determinata dalla DPL, Servizio Ispezione del Lavoro. _____________ (63) Circolare 17 gennaio 2003 n. 8, pag. 70. (64) Circolare INPS 26 settembre 2006 n. 95 bis, pag. 101. (65) Art. 41 T.U., pag. 100. (66) Circolare INPS 26 settembre 2006 n. 95 bis, pag. 101.

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In caso di sciopero o di sospensione della prestazione lavorativa, il diritto ai riposi in parola e la relativa indennità: - non spettano, qualora tali eventi coprano l’intera giornata lavorativa o le ore

destinate agli stessi; - spettano, qualora tali eventi non coincidano con le ore di riposo o coincidano

solo parzialmente, in quest’ultimo caso potrà essere usufruito un unico riposo.

Riposi giornalieri ed orario di lavoro Per determinare la durata del riposo giornaliero si deve fare riferimento all’orario contrattuale e non a quello effettivamente svolto. Sono, quindi, compresi nell’orario giornaliero contrattuale: - i permessi retribuiti o meno; - i permessi sindacali; - le ore di riposo per mensa; - le ferie. Ribadiamo che nessun riposo giornaliero è dovuto nei casi di assenza dal lavoro per l’intera giornata. 5.1 Documentazione (67) La lavoratrice che intenda usufruire dei riposi giornalieri deve presentare semplice domanda al datore di lavoro, corredata dal certificato di nascita del figlio. Il padre lavoratore, invece, deve presentare la domanda di cui sopra anche all’INPS, allegando, a seconda dei casi, i seguenti documenti: 1. affidamento del figlio al padre:

- sentenza o altro provvedimento giudiziale che disponga l’affidamento esclusivo al padre;

2. morte o grave infermità della madre:

- certificazione di morte o dichiarazione sostitutiva; - certificato medico, rilasciato dalla ASL competente per territorio, attestante lo

stato di grave infermità e l’impossibilità della madre di accudire il figlio; _____________ (67) Circolare INPS 6 giugno 2000 n. 109, pag. 90.

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3. in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che vi rinuncia: - dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle ore di riposo,

confermata dal datore di lavoro; - impegno di entrambi i genitori di comunicare eventuali variazioni successive;

4. madre lavoratrice autonoma:

- dichiarazione della madre relativa alla sua situazione lavorativa; - impegno di entrambi i genitori di comunicare eventuali variazioni successive;

5. in caso di parto plurimo e la madre non si avvalga del tutto o in parte dei

permessi: - dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle ore di riposo,

confermata dal datore di lavoro; - impegno di entrambi i genitori di comunicare eventuali variazioni successive.

5.2 Trattamento economico (68) Le ore di riposo giornaliero vengono retribuite come normale orario di lavoro, mediante un’indennità a carico dell’INPS. Condizione per beneficiare di tale indennità è la presenza al lavoro. L’indennità è pari alla retribuzione percepita nel periodo, divisa per il divisore orario previsto dal contratto collettivo. La quota oraria deve essere maggiorata con i ratei orari delle mensilità aggiuntive e delle voci ricorrenti non comprese nella mensilità ordinaria. Il risultato ottenuto si moltiplica per il numero di ore di permesso spettanti al lavoratore. I ratei di tredicesima (ed eventualmente di quattordicesima) sono compresi nell’importo orario indennizzato dall’INPS e pertanto devono essere detratti dalle mensilità aggiuntive al momento del pagamento. Poiché l’INPS copre le ore di permesso al 100%, non è prevista alcuna integrazione a carico del datore di lavoro. Il datore di lavoro, generalmente, anticipa il trattamento economico a carico dell’INPS e ne chiede il rimborso all’Istituto nella denuncia mensile dei contributi previdenziali. A tal fine il datore di lavoro deve produrre all’INPS un elenco dei dipendenti che fruiscono dei permessi, con l’indicazione della retribuzione pagata. _____________ (68) Art. 43 T.U., pag. 100.

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5.3 Copertura contributiva (69) I periodi di riposo giornaliero sono parzialmente coperti da contribuzione figurativa, sono riscattabili, oppure possono formare oggetto di versamenti volontari. 5.4 Computabilità dei riposi giornalieri (70) I periodi di riposo giornaliero sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità. 5.5 Adozioni e affidamenti (71) La madre ed il padre adottivi o affidatari hanno diritto a fruire dei riposi giornalieri, secondo le modalità valide per i genitori naturali, entro il primo anno dall’ingresso del minore in famiglia. Il principio si applica anche nelle ipotesi di affidamento preadottivo o provvisorio. L’INPS (72) precisa, inoltre che: - il/la lavoratore/trice che abbia adottato o preso in affidamento un minore può

utilizzare i riposi giornalieri a partire dal giorno successivo all’ingresso del bambino in famiglia, in luogo del congedo di maternità o del congedo di paternità; infatti la fruizione del congedo di maternità in caso di adozione o affidamento non è obbligatoria come in caso di parto, come non lo è la fruizione del congedo di paternità;

- la madre adottiva o affidataria può beneficiare dei riposi giornalieri durante il congedo parentale del padre adottivo o affidatario, ma non anche durante il congedo di paternità di quest’ultimo. Il padre adottivo o affidatario, invece, non può godere dei riposi suddetti né durante il congedo di maternità, né durante il congedo parentale della madre nonché durante i periodi di sospensione del rapporto di lavoro della stessa;

- laddove i genitori abbiano fruito dei riposi giornalieri durante l’affidamento preadottivo, gli stessi non possono fruire di ulteriori periodi a seguito dell’adozione.

_____________ (69) Art. 44 T.U., pag. 101. (70) Art. 43 T.U., pag. 100. (71) Art. 45 T.U., pag. 101. (72) Circolare 26 maggio 2003 n. 91, pag. 106.

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CAPITOLO 6

Malattia del bambino Il Capo VII del T.U. (73) regola i congedi per la malattia del figlio: entrambi i genitori, in alternativa tra loro e indipendentemente dal fatto che l’atro abbia o meno un suo autonomo diritto, possono assentarsi dal lavoro, senza alcuna retribuzione da parte del datore di lavoro, né indennità a carico INPS: - per un periodo corrispondente alla durata della malattia del bambino, fino al

compimento dei tre anni di età; - nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno, per ciascun genitore, per i bambini

di età compresa tra i tre e gli otto anni (74). Il Ministero del lavoro (75) ha precisato che la fruizione dei permessi per malattia del bambino, insorta durante il periodo di congedo parentale, può sospenderne il godimento, consentendo, così, la sostituzione del titolo dell’assenza. La legge, infatti, non prevede alcun divieto di cumulo tra i due istituti. A tal fine occorre che l’interessato presenti domanda di sospensione del congedo parentale e che sussistano i requisiti prescritti per l’accesso all’uno e all’altro istituto. La malattia del bambino, insorta durante le ferie, che dia luogo a ricovero ospedaliero, interrompe il decorso delle ferie in godimento, per i periodi di permesso in esame, su richiesta del genitore (76).

Nozione di malattia La nozione di malattia del bambino non coincide con quella di comune malattia del lavoratore, poiché comprende non solo la fase patologica vera e propria, ma anche quella successiva di convalescenza. È, inoltre, esclusa l’applicabilità delle disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore ai permessi per la malattia del figlio. Ciò comporta il divieto di controllo medico sullo stato di salute del bambino e l’inapplicabilità dell’obbligo di rispetto delle fasce orarie di reperibilità (77). _____________ (73) Capo VII T.U.: artt. 47-52, pag. 113. (74) Art. 47, cc. 1 e 2 T.U., pag. 113. (75) Nota 28 agosto 2006, pag. 114. (76) Art. 47, c. 4 T.U., pag. 113. (77) Art. 47, c. 5 T.U., pag. 113.

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6.1 Documentazione Il genitore che intende usufruire dei permessi per malattia del bambino deve presentare al datore di lavoro un certificato, rilasciato da un medico specialista del SSN o con esso convenzionato (78). Deve, inoltre, essere presentata anche una autocertificazione attestante che l’altro genitore non sia in permesso per gli stessi giorni, per il medesimo motivo (79). 6.2 Copertura contributiva (80) I permessi per malattia del bambino, usufruiti fino al 3° anno di età del figlio, sono coperti da contribuzione figurativa. Dal 3° all’8° anno la contribuzione figurativa spetta in misura ridotta. 6.3 Computabilità dei permessi (81) I periodi di congedo per malattia del bambino sono computati: - nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima

mensilità; - ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivo per

poter beneficiare dell’indennità di mobilità. È, invece, esclusa la computabilità dei periodi in esame: - ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità, fatti

salvi i limiti temporali di fruizione dell’indennità di mobilità.

* * * Le ferie e le assenze eventualmente spettanti ai genitori ad altro titolo non possono essere godute contemporaneamente al congedo in esame. _____________ (78) Art. 47, c. 3 T.U., pag. 113. (79) Art. 51 T.U., pag. 114. (80) Art. 49 T.U., pag. 113. (81) Art. 48 T.U., pag. 113.

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6.4 Adozioni e affidamenti (82) I genitori adottivi o affidatari hanno diritto di assentarsi dal lavoro: - per i periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a

sei anni; - nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno, per le malattie di ciascun figlio fino

agli otto anni di età. Tuttavia, qualora all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’età compresa tra i sei e i dodici anni, i permessi possono essere fruiti nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. 6.5 Anticipazione del trattamento di fine rapporto Per sostenere le spese durante i periodi di fruizione dei permessi per malattia del bambino è possibile richiedere un’anticipazione del TFR nei limiti ed alle condizioni previste dalla vigente normativa. _____________ (82) Art. 50 T.U., pag. 113

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CAPITOLO 7

Maternità ed instaurazione del rapporto di lavoro Lo stato di gravidanza della donna non può incidere sul momento genetico del rapporto di lavoro. In base alla costruzione legislativa e giurisprudenziale della materia: - lo stato di gravidanza non può essere oggetto di indagine da parte del datore di

lavoro, perché non rilevante ai fini della valutazione delle attitudini professionali del soggetto da assumere (83). La Corte di cassazione (84) ha affermato che la condotta della lavoratrice gestante e puerpera che, al momento della stipulazione del contratto di lavoro, non porti a conoscenza del suo stato il datore di lavoro, non può concretizzare una giusta causa di licenziamento;

- nessun ostacolo può frapporsi all’assunzione della donna in stato di gravidanza, sia nel caso in cui la stessa si trovi nel periodo di congedo di maternità, sia nel caso in cui il rapporto da costituire riguardi lo svolgimento di mansioni che si rivelino incompatibili con la gestazione; mentre nella prima ipotesi la prestazione lavorativa sarà differita al termine del periodo di congedo, nella seconda il datore di lavoro procederà ugualmente all’assunzione, ma provvedendo a sostituire le mansioni attribuitele con altre compatibili con il suo stato, salvo la prova, a carico del datore, dell’impossibilità, da accertarsi dalla DPL, della modifica dei compiti attribuitegli, con conseguente estensione del periodo di interdizione obbligatoria.

_____________ (83) Art. 8 L. n. 300/1970, pag. 114. (84) Sentenza Corte Cass. Sez. Lavoro 6 luglio 2002 n. 9864, pag. 123.

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CAPITOLO 8

Divieto di licenziamento , dimissioni e diritto al rientro Il Capo IX del T.U. (85) stabilisce le tutele in favore della lavoratrice madre e del lavoratore padre in materia di licenziamento, dimissioni e diritto al rientro al termine dei congedi e permessi. 8.1 Divieto di licenziamento Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di congedo di maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (86). Il divieto di licenziamento opera in connessione allo stato oggettivo della gravidanza. In forza di tale principio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (87) hanno affermato che il divieto di licenziamento insorge non solo quando la lavoratrice presenti il certificato medico attestante tale sua condizione, ma anche qualora la gestazione sia pervenuta ad uno stadio talmente avanzato e palese, da essere esteriormente ed inequivocabilmente percepibile da chiunque. La lavoratrice, eventualmente licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro, idonea certificazione, dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano (88). È stato, però, soppresso il termine di 90 giorni, entro il quale la lavoratrice era tenuta a produrre la suddetta certificazione, al fine di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro. L’inesistenza di limiti temporali, entro i quali la lavoratrice sia tenuta ad attivarsi, comporta una situazione di grave incertezza a danno del datore di lavoro. Il divieto di licenziamento non si applica nelle seguenti ipotesi (89): a) colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del

rapporto di lavoro. Con riferimento al licenziamento della lavoratrice madre, l’individuazione dei fatti che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro deve essere effettuata in maniera rigorosa, tenendo conto delle particolari condizioni psico-fisiche della lavoratrice (90). Ad esempio, è ritenuto legittimo il

_____________ (85) Artt. 54-56 T.U., pag. 115. (86) Art. 54, c. 1 T.U., pag. 115. (87) Sentenza Corte Cass. 4 marzo 1988 n. 2248. (88) Art. 54, c. 2 T.U., pag. 115. (89) Art. 54, c. 3 T.U., pag. 115. (90) Sentenza Corte Cass. 17 agosto 2004 n. 16060.

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licenziamento giustificato da gravi inadempimenti (assenze ingiustificate) della lavoratrice stessa (91); mentre è stato ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a causa della mancata comunicazione dello stato di gravidanza da parte delle lavoratrici al momento dell’assunzione (92);

b) cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta. Il licenziamento è giustificato non soltanto in presenza della cessazione totale dell’attività aziendale, ma anche nell’ipotesi di chiusura del solo reparto cui è addetta la lavoratrice, a condizione che lo stesso abbia autonomia funzionale e la lavoratrice non sia collocabile in altro reparto (93);

c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine;

d) esito negativo della prova. Il licenziamento è legittimo solo se il datore di lavoro non è a conoscenza dello stato di gravidanza. In caso contrario, per tutelare la lavoratrice da eventuali abusi, il datore di lavoro deve motivare il giudizio negativo circa l’esito della prova. In tal modo si consente, da un lato alla lavoratrice di fornire l’eventuale prova contraria, dall’altro al giudice di valutare i motivi reali del recesso, al fine di escludere con ragionevole certezza che esso sia stato determinato dallo stato di gravidanza (94).

Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento sono, inoltre, vietati (95): - la sospensione dal lavoro della lavoratrice, salvo il caso che sia sospesa l’attività

dell’Azienda o del reparto cui essa è addetta, sempre che lo stesso abbia autonomia funzionale. Se il reparto è privo di autonomia funzionale, la lavoratrice sarà spostata ad altro reparto attivo dell’Azienda ed eventualmente a mansioni diverse da quelle di assunzione;

- la messa in mobilità della lavoratrice in conseguenza di licenziamento collettivo, salvo che ciò avvenga a seguito della cessazione dell’attività aziendale, come sopra esaminato.

Effetti del licenziamento

Il licenziamento intimato alla lavoratrice, in violazione delle disposizioni in parola, come pure quello irrogato a causa della domanda o della fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino è nullo (96). _____________ (91) Sentenza Corte Cass. 11 giugno 2003 n. 9405, pag. 126. (92) Sentenza Corte Cass. 1° febbraio 2006 n. 2244. (93) Sentenza Corte Cass. 21 dicembre 2004 n. 23684. (94) Sentenza Corte Cost. 31 maggio 1996 n. 172. (95) Art. 54, c. 4 T.U., pag. 115. (96) Art. 54, cc. 5 e 6 T.U., pag. 115.

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Conseguentemente il rapporto di lavoro deve ritenersi come mai interrotto, con relativo diritto della lavoratrice alla percezione di tutte le spettanze relative al periodo intercorrente tra il momento del licenziamento e il ripristino del rapporto di lavoro. La nullità del licenziamento comporta, infatti, sempre l’obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno subito dalla lavoratrice, indipendentemente dalle dimensioni occupazionali.

* * * Le tutele, previste per la lavoratrice madre, si applicano anche al padre lavoratore che fruisca del congedo di paternità e decorrono dall’inizio del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino (97). Anche il licenziamento intimato al padre lavoratore a causa della domanda o della fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino è nullo.

Adozioni e affidamenti Le disposizioni in parola valgono, altresì, per le adozioni e gli affidamenti. Il divieto di licenziamento vige fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità (98). 8.2 Dimissioni Nell’ipotesi di dimissioni volontarie, presentate durante il periodo coperto dal divieto di licenziamento: - per la lavoratrice, dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del

periodo di congedo di maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino;

- per il padre lavoratore che abbia fruito del congedo di maternità, dall’inizio del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino,

sono dovute le indennità previste da norme di legge e contrattuali per il caso di licenziamento (99). Tale disposizione si applica anche nel caso di adozione o affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare (100). _____________ (97) Art. 54, c. 7 T.U., pag. 115. (98) Art. 54, c. 9 T.U., pag. 115. (99) Art. 55, cc. 1 e 2 T.U., pag. 115. (100) Art. 55, c. 3 T.U., pag. 115.

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La validità delle dimissioni di cui sopra è condizionata dalla convalida da parte del servizio ispezione della DPL competente per territorio. A tale convalida è, pertanto, vincolata la risoluzione del rapporto di lavoro (101). Il Ministero del lavoro (102) ha precisato che gli uffici delle DPL debbano sempre procedere a convocare personalmente la lavoratrice o il lavoratore, al fine di verificare l’effettiva e consapevole volontà di rassegnare le dimissioni. Diverse modalità, che si limitino all’acquisizione di una mera conferma scritta delle dimissioni, non possono ritenersi sufficienti all’accertamento dell’autentica volontà della lavoratrice o del lavoratore. Recentemente, il Ministero del lavoro (103) ha ritenuto che la procedura di convalida di cui sopra, sia necessaria anche nel caso di “dimissioni consensuali”, tenuto conto che trattasi, comunque, di dimissioni.

* * * Nel caso delle dimissioni in esame, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso (104). 8.3 Diritto al rientro e alla conservazione del posto (105)

Congedo di maternità/paternità Al termine del periodo di congedo di maternità (v. Capitolo 3, pag. 10), le lavoratrici hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e salvo che vi rinuncino espressamente, al rientro nella stessa unità produttiva o in altra ubicata nello stesso comune, sempre che ve ne sia una, ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza e di rimanervi fino al compimento di un anno di età del bambino. Le lavoratrici hanno, altresì, diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti (106). La disposizione di cui sopra si applica anche al lavoratore padre al rientro al lavoro, dopo la fruizione del congedo di paternità (107) (v. prg. 3.3, pag. 14). _____________ (101) Art. 55, c. 4 T.U., pag. 115. (102) Nota 4 giugno 2007 n. 7001, pag. 129. (103) Nota 1° agosto 2008, pag. 116. (104) Art. 55, c. 5 T.U., pag. 115. (105) Art. 56 T.U., pag. 115. (106) Art. 56, c. 1 T.U., pag. 115. (107) Art. 56, c. 2 T.U., pag. 116.

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Una recente normativa (108) ha integrato le disposizioni in esame, aggiungendo, alle tutele in parola, il diritto di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previste dai contratti, ovvero in via legislativa o regolamentare, che sarebbero spettate ai genitori durante l’assenza.

Altri casi di congedo, permesso o riposo Anche nei casi in cui i genitori si assentino dal lavoro per fruire del congedo parentale (v. Capitolo 4) e dei permessi per malattia del bambino hanno diritto alla conservazione del posto e, salvo che vi rinuncino espressamente, al rientro nella stessa unità produttiva ove erano occupati al momento della richiesta o in altra ubicata nello stesso comune, se esiste. Essi hanno, inoltre, diritto di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti (109).

Adozioni e affidamenti Le stesse garanzie previste per i genitori naturali si applicano anche in caso di adozione e affidamento e nell’ipotesi di assenza dal lavoro per congedo di maternità/paternità fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare (110). _____________ (108) Art. 8 quater L. n. 101/2008 del 6 giugno 2008 di conversione del D.L. n. 59/2008, pag. 116. (109) Art. 56, c. 3 T.U., pag. 116. (110) Art. 56, c. 4 T.U., pag. 116.

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CAPITOLO 9

Sostituzione di lavoratrici/lavoratori assenti per maternità/ paternità

I datori di lavoro possono assumere, in sostituzione dei lavoratori in congedo di maternità/paternità, in congedo parentale o in congedo per malattia del figlio, lavoratori con contratto a tempo determinato o utilizzare personale con contratto di somministrazione (111). Per favorire il c.d. passaggio delle consegne è prevista anche la possibilità che il sostituto inizi a lavorare fino ad un mese prima, rispetto al l’inizio del periodo di congedo previsto. I C.c.n.l. possono disporre la presenza contemporanea dei lavoratori in parola per periodi superiori ad un mese (112). 9.1 Aziende con meno di 20 dipendenti Il datore di lavoro che occupi fino a 19 dipendenti (quindi non 20, incluso quello da sostituire) ha diritto a uno sgravio pari al 50% dei contributi dovuti, compresi i premi INAIL, sulla retribuzione del lavoratore a tempo determinato assunto in sostituzione. Tale requisito numerico deve sussistere al momento della richiesta di assunzione. Il Ministero del lavoro (113) ha precisato che è possibile mantenere il beneficio contributivo, anche sostituendo la lavoratrice/lavoratore assente, con uno o più lavoratori part-time. L’agevolazione spetta se l’orario di lavoro del sostituto è pari o inferiore a quello del dipendente assente; se invece il sostituto viene assunto con un orario superiore, lo sgravio non spetta. Ovviamente se si tratta di due lavoratori part-time, ai fini della verifica in parola, vanno sommati i due orari di lavoro.

Computo dei dipendenti Come precisato anche dall’INPS (114), ai fini del raggiungimento (o del superamento) della quota limite di 19 dipendenti, si computano: - i lavoratori dipendenti, a prescindere dalla qualifica (così, per esempio, i

lavoratori a domicilio, i dirigenti, ecc.); _____________ (111) Art. 4, c. 1 T.U., pag. 116. (112) Art. 4, c. 2 T.U., pag. 117. (113) Nota 12 aprile 2005 n. 391, pag. 117. (114) Circolare n. 136 del 10 luglio 2002, pag. 120.

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- ogni dipendente assente (anche se non retribuito), a meno che non sia stato sostituito da altro lavoratore: in questo caso si conta solo il sostituto;

- i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno, con arrotondamento all’unità della frazione di orario superiore al 50%.

Non sono invece da includere nel calcolo: - gli apprendisti; - i lavoratori assunti con contratto di inserimento/reinserimento; - i lavoratori in somministrazione, con riguardo all’organico dell’impresa

utilizzatrice.

Durata L’agevolazione contributiva, sopra esaminata si applica, al massimo, fino al compimento di un anno di età del figlio (115), o, fino al rientro dei lavoratori sostituiti, se antecedente. Nel caso di parto naturale, quindi, ad esempio, ove vi sia stato l’affiancamento per un mese prima della nascita, seguito da tre mesi di astensione obbligatoria, il beneficio spetterà a decorrere dal 1° giorno dell’inizio del rapporto a termine e fino al compimento dell’anno del bambino della lavoratrice sostituita (ovvero fino, se antecedente, alla data di rientro della lavoratrice); conseguentemente il beneficio potrà essere goduto anche per più di 12 mesi. Il Ministero del lavoro (116), in risposta ad uno specifico interpello, ha precisato che l’agevolazione contributiva in esame non spetta per i periodi in cui la lavoratrice/lavoratore sostituiti modifichino il titolo dell’assenza, da congedo legato alla maternità/paternità, a ferie. È, infatti, molto comune, evidenzia il Ministero, l’ipotesi in cui le lavoratrici, subito dopo il congedo di maternità, usufruiscano, senza soluzione di continuità, delle ferie accumulate nell’assenza. Pertanto, durante il periodo feriale, il datore di lavoro non potrà vedersi riconosciuto lo sgravio contributivo per il lavoratore assunto in sostituzione, dal momento che è chiaro l’intento del legislatore di limitarne il riconoscimento ai casi tassativamente indicati dalla legge. _____________ (115) Art. 4, c. 4 T.U., pag. 116. (116) Nota Minlavoro 1° settembre 2008, pag. 130.

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Adozioni e affidamenti Nel caso di adozione o affidamento di un minore, il beneficio contributivo in esame potrà essere goduto, al massimo, fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento (117), salvo il rientro antecedente dei lavoratori sostituiti.

Istruzioni operative Per fruire del beneficio contributivo, l’Azienda deve attestare, mediante autocertificazione, da presentare alla competente sede INPS che: - l’assunzione a termine è effettuata in sostituzione di lavoratori in congedo; - che l’organico aziendale, all’atto dell’assunzione del dipendente, è inferiore alle

20 unità. Per quanto riguarda i contributi dovuti all’INPS, il beneficio viene recuperato attraverso il mod. DM 10/2, utilizzando il criterio della nettizzazione (vale a dire che si versano direttamente i contributi ridotti del 50%); il codice tipo contribuzione da utilizzare è: 82 (118). Per i premi dovuti all’INAIL, il beneficio viene utilizzato in sede di autoliquidazione (119). Quando la sostituzione avviene con contratto di somministrazione, l’impresa utilizzatrice, il cui organico deve essere inferiore a 20 dipendenti, recupera direttamente dalla società di somministrazione le somme corrispondenti allo sgravio da quest’ultima applicato (120). 9.2 Scorrimento Può accadere che il datore di lavoro ritenga preferibile sostituire il lavoratore assente, con lo spostamento di un altro lavoratore già presente in azienda, normalmente pratico delle mansioni svolte dal dipendente che si assenta e, quindi, procedere ad un’assunzione a termine per la sostituzione di quest’ultimo: tale possibilità è senz’altro legittima, come affermato anche dalla Suprema Corte (121). _____________ (117) Art. 4, c. 4 T.U., pag. 117. (118) Circolare INPS n. 117/2000, pag. 117. (119) Nota INAIL 24 luglio 2001, pag. 130. (120) Circolare INPS n. 136/2001, pag. 120. (121) Sentenza Corte Cass. 30 luglio 2003 n. 11699.

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L’importante è che vi sia una reale correlazione tra l’attività del sostituto e l’assunzione a termine. È ovvio che, in caso di contestazioni, il datore avrà l’onere di dimostrare il collegamento tra l’assenza e l’assunzione a termine, “delineando i passaggi dello scorrimento al fine di provare la correlazione in termini adeguati”. 9.3 Formalità per l’assunzione e indicazione del termine Per la validità dell’assunzione a termine, in sostituzione di un lavoratore/lavoratrice assente con diritto alla conservazione del posto, è necessario che siano indicati nel contratto stesso, stipulato in forma scritta “ad substantiam”, il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Il datore di lavoro può indicare, quale termine di scadenza del contratto a termine stipulato con il sostituto, la data prevista di rientro della lavoratrice/lavoratore assente. È, però, opportuno, a scopo cautelativo, inserire nella lettera di assunzione anche la dicitura: “e comunque fino all’effettivo rientro in servizio della lavoratrice/lavoratore sostituito”.

* * * E’, infine, da segnalare che il ricorso alle ragioni sostitutive comporta che i lavoratori a termine assunti con tale causale non sono computati nel novero delle percentuali massime, eventualmente stabilite dai C.c.n.l., di ricorso al lavoro a termine.

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CAPITOLO 10

Maternità e assunzioni agevolate Nei casi di assunzione di lavoratori in mobilità, disoccupati da almeno 24 mesi, o in Cigs da lungo periodo, la sospensione per maternità/paternità del rapporto di lavoro non intacca il diritto del datore di lavoro di usufruire delle relative agevolazioni contributive per l’intero periodo previsto, non computando i periodi di assenza per tali titoli. Vi è, quindi, un prolungamento del periodo di godimento dei benefici contributivi corrispondente all’assenza, tramite il differimento temporale del periodo di fruizione delle agevolazioni stesse, in misura pari al periodo di sospensione del rapporto di lavoro (122). In tali ipotesi, il datore di lavoro è tenuto ad assoggettare a contribuzione ordinaria l’integrazione della retribuzione posta a suo carico dai C.c.n.l., senza godere delle agevolazioni. I benefici contributivi riprendono al rientro della lavoratrice/lavoratore dall’assenza, fino al completamento del periodo agevolato di spettanza (123). _____________ (122) Circolare INPS 12 aprile 1999 n. 84, pag. 122. (123) Messaggio INPS 21 marzo 2000 n. 72.

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CAPITOLO 11

Apparato sanzionatorio 1) È previsto l’arresto fino a 6 mesi (125) per:

- la violazione del divieto di adibizione della lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri (v. prg. 1.1, pag. 6);

- la mancata adibizione della lavoratrice ad altre mansioni, nei casi previsti dal T.U. (v. prg. 1.1 e 1.2, pagg. 6 e 7);

- l’adibizione al lavoro della lavoratrice durante il periodo del congedo di maternità “normale” o esteso (v. Capitolo 3, pag. 10).

2) È previsto l’arresto da 2 a 4 mesi o l’ammenda da euro 516 a euro 2.582 per

(126):

- la violazione del divieto di adibire le donne al lavoro notturno dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (v. prg. 1.3, pag. 8).

3) E’ prevista la sanzione amministrativa da euro 1.032 a euro 2.582 (127) per:

- il rifiuto, opposizione o ostacolo all’esercizio del diritto al congedo parentale (v. Capitolo 4), al diritto ai riposi giornalieri (v. Capitolo 5, pag. 36) e ai permessi per la malattia del bambino (v. Capitolo 6, pag. 41);

- l’inosservanza del divieto di licenziamento e di sospensione dal lavoro della madre e del padre lavoratori anche adottivi o affidatari nei periodi protetti (v. prg. 8.1, pag. 45);

- il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e dei permessi per malattia del bambino;

- l’inosservanza dell’obbligo del diritto al rientro e alla conservazione del posto (v. prg. 8.3, pag. 48).

_____________ (125) Artt. 7, c. 7, 12, c. 4 e 18 T.U., pagg. 56, 57 e 60. (126) Art. 1, c. 1 lett. f) D.Lgs. n. 213/2004, pag. 123. (127) Art. 38, 46, 52, 54, c. 8 e 56, c. 4bis T.U., pagg. 89, 101, 114, 115, 116.

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Appendice normativa Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Capo II TUTELA DELLA SALUTE DELLA LAVORATRICE

Art. 6.

Tutela della sicurezza e della salute (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 1; legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 9)

1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di eta' del figlio, che hanno informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto salvo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 8. 2. La tutela si applica, altresi', alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di eta' . 3. Salva l'ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternita', in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal decreto del Ministro della sanita' di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purche' prescritte secondo le modalita' ivi indicate.

Art. 7. Lavori vietati

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 3, 30, comma 8, e 31, comma 1; decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 3; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 12, comma 3)

1. E' vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonche' ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, riportato nell'allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti sociali, provvede ad aggiornare l'elenco di cui all'allegato A. 2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell'elenco di cui all'allegato B. 3. La lavoratrice e' addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale e' previsto il divieto. 4. La lavoratrice e', altresi', spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna. 5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonche' la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori. 6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17. 7. L'inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 e' punita con l'arresto fino a sei mesi.

Art. 8.

Esposizione a radiazioni ionizzanti (decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, art. 69)

1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attivita' in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attivita' che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza. 2. E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato. 3. E' altresi' vietato adibire le donne che allattano ad attivita' comportanti un rischio di contaminazione.

Art. 9. Polizia di Stato, penitenziaria e municipale

(legge 7 agosto 1990, n. 232, art. 13; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 14) 1. Fermo restando quanto previsto dal presente Capo, durante la gravidanza e' vietato adibire al lavoro operativo le appartenenti alla Polizia di Stato.

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2. Per le appartenenti alla Polizia di Stato, gli accertamenti tecnico-sanitari previsti dal presente testo unico sono devoluti al servizio sanitario dell'amministrazione della pubblica sicurezza, in conformita' all'articolo 6, lettera z), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni. 3. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano al personale femminile del corpo di polizia penitenziaria e ai corpi di polizia municipale.

Art. 10. Personale militare femminile

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, art. 4, comma 3) 1. Fatti salvi i periodi di divieto di adibire al lavoro le donne previsti agli articoli 16 e 17, comma 1, durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi successivi al parto il personale militare femminile non puo' svolgere incarichi pericolosi, faticosi ed insalubri, da determinarsi con decreti adottati, sentito il comitato consultivo di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 20 ottobre 1999, n. 380, dal Ministro della difesa, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e delle pari opportunita' per il personale delle Forze armate, nonche' con il Ministro dei trasporti e della navigazione per il personale delle capitanerie di porto, e dal Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e delle pari opportunita' per il personale del Corpo della guardia di finanza.

Art. 11. Valutazione dei rischi

(decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 4) 1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell'ambito ed agli effetti della valutazione di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare. 2. L'obbligo di informazione stabilito dall'articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentati per la sicurezza sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di protezione e di prevenzione adottate.

Art. 12. Conseguenze della valutazione

(decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 5) 1. Qualora i risultati della valutazione di cui all'articolo 11, comma 1, rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinche' l'esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l'orario di lavoro. 2. Ove la modifica delle condizioni o dell'orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall'articolo 7, commi 3, 4 e 5, dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui all'articolo 6, comma 1, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 trovano applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall'articolo 7, commi 1 e 2. 4. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1 e' punita con la sanzione di cui all'articolo 7, comma 7.

Art. 13. Adeguamento alla disciplina comunitaria

(decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, articoli 2 e 8) 1. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanita', sentita la Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 26 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, sono recepite le linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione europea, concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici, nonche' dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici e riguardanti anche i movimenti, le posizioni di lavoro, la fatica mentale e fisica e gli altri disagi fisici e mentali connessi con l'attivita' svolta dalle predette lavoratrici. 2. Con la stessa procedura di cui al comma 1, si provvede ad adeguare ed integrare la disciplina contenuta nel decreto di cui al comma 1, nonche' a modificare ed integrare gli elenchi di cui agli allegati B e C, in conformita' alle modifiche alle linee direttrici e alle altre modifiche adottate in sede comunitaria.

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Art. 14. Controlli prenatali

(decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 7) 1. Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbono essere eseguiti durante l'orario di lavoro. 2. Per la fruizione dei permessi di cui al comma 1 le lavoratrici presentano al datore di lavoro apposita istanza e successivamente presentano la relativa documentazione giustificativa attestante la data e l'orario di effettuazione degli esami.

Art. 15. Disposizioni applicabili

(decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 9) 1. Per quanto non diversamente previsto dal presente Capo, restano ferme le disposizioni recate dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, nonche' da ogni altra disposizione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. LEGGE 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) Norme sulla tutela della libertà e dignità del lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nel luoghi di lavoro e norme sul collocamento.

… omissis …

Art. 13.

Mansioni del lavoratore.

L'articolo 2103 del codice civile è sostituito dal seguente: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Capo VIII LAVORO NOTTURNO

Art. 53.

Lavoro notturno (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 5, commi 1 e 2, lettere a) e b)

1. E' vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino. 2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di eta' inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta' inferiore a dodici anni. 3. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.

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Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 "Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro"

… omissis …

CAPO IV

Lavoro notturno Art. 11

Limitazioni al lavoro notturno

1. L'inidoneita' al lavoro notturno puo' essere accertata attraverso le competenti strutture sanitarie pubbliche. 2. I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno. E' in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di eta' inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta' inferiore a dodi ci anni; c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni. INTERPELLO N. 29/2008 Roma, 8 agosto 2008 Ministero del Lavoro, della Salute e delle Poli tiche Sociali Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – Sindacato Unitario Lavoratori dei Trasporti Comparto Trasporto Aereo – Limitazione lavoro notturno. Il S.U.L.T. ha avanzato richiesta di interpello avente ad oggetto la limitazione all’adibizione al lavoro notturno prevista dall’art. 11, comma 2 lett. b), del D.Lgs n. 66/2003, nelle ipotesi contemplate dalla L. n. 54/2006 (“ Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”). La L. n. 54/2006 introduce nell’ordinamento nazionale il principio della bigenitorialità ovvero dell’affidamento condiviso, principio affermatosi ormai da tempo negli ordinamenti europei e previsto, altresì, dalla Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la L. n. 176/1991. Alla luce di siffatta normativa, il S.U.L.T. chiede di sapere quale genitore separato o divorziato abbia diritto ad astenersi dal lavoro notturno. Infatti, il predetto art. 11, comma 2 lett. b), D.Lgs., n. 66/2003 statuisce che non sono obbligati a prestare lavoro notturno la/il lavoratrice/lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni. Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro, si espone quanto segue. La previsione contenuta nel D.Lgs. n. 66/2003 è da correlare con quella contenuta nell’art. 155 c.c., così come novellato dalla citata L. n. 54/2006 in virtù della quale, in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Tale norma ha posto fine al consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass., 28 febbraio 2000, n. 2210; Cass., 13 dicembre 1995, n. 127775), in base al quale l’affidamento del figlio avveniva in forma esclusiva ad un unico genitore (di solito la madre) ed ha stabilito, di conseguenza, la necessità di rendere prioritario l’affidamento condiviso, imponendo al giudice di disporre l’affidamento esclusivo solo quando il predetto affidamento congiunto risulti essere contrario all’interesse del minore. Alla luce di quanto affermato, occorre sottolineare che l’art. 11, comma 2, lett. b), D.Lgs., n. 66/2003 tutela l’effettiva cura del minore di anni dodici da parte del genitore che conviva col suddetto minore. Pertanto, qualora il giudice abbia disposto che il minore conviva, a periodi alterni, con entrambi i genitori, questi ultimi potranno beneficiare di tale esenzione nel periodo in cui dimostrino al proprio datore di lavoro di convivere con il minore. La prova della convivenza può essere facilmente raggiunta esibendo copia del dispositivo della sentenza di affidamento congiunto al datore di lavoro il quale, nel rispetto dei diritti sanciti dal D.Lgs. n. 196/2003, ne prende atto e modifica la propria organizzazione del lavoro notturno. Peraltro, tale onere probatorio sarà di facile assolvimento per il lavoratore, in quanto le sentenze in materia decretano le modalità, anche temporali, attraverso le quali può esplicarsi l’affidamento congiunto.

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Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Art. 16. Divieto di adibire al lavoro le donne

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, comma 1 e 4) È vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’articolo 20; durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.

Art. 17. Estensione del divieto

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10)

1. Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. 2. Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro può disporre, sulla base di accertamento medico, avvalendosi dei competenti organi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all’articolo 7, comma 6, e all’articolo 12, comma 2, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dal servizio stesso, per i seguenti motivi: a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12. 3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice. 4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 può essere disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attività di vigilanza constati l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima. 5. I provvedimenti dei servizi ispettivi previsti dai presente articolo sono definitivi.

Art. 18. Sanzioni

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 31, comma 1) 1. L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 16 e 1 7 e' punita con l'arresto fino a sei mesi.

Art. 19. Interruzione della gravidanza

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 20) 1. L'interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, e' considerata a tutti gli effetti come malattia. 2. Ai sensi dell'articolo 17 della legge 22 maggio 1978, n. 194, la pena prevista per chiunque cagioni ad una donna, per colpa, l'interruzione della gravidanza o un parto prematuro e' aumentata se il fatto e' commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro.

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Art. 20. Flessibilita' del congedo di maternita'

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4-bis; legge 8 marzo 2000,n. 53, art. 12, comma 2) 1. Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternita', le lavoratrici hanno la facolta' di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. 2. Il Ministro del lavoro e della previde nza sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti sociali, definisce con proprio decreto l'elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni del comma 1.

Art. 21. Documentazione

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, comma 5, e 28)

1. Prima dell'inizio del periodo di divieto di lavoro di cui all'articolo 16, lettera a), le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all'istituto erogatore dell'indennita' di maternita' il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione. 2. La lavoratrice e' tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 22. Trattamento economico e normativo

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 6, 8 e 15, commi 1 e 5; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 3, comma 2; decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, commi 4 e 5)

1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2. 2. L’indennità di maternità, comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia, è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 1, del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie. 3. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie. 4. I medesimi periodi non si computano ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità di cui all'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermi restando i limiti temporali di fruizione dell'indennità di mobilità. I medesimi periodi si computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell'indennità di mobilità. 5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti. 6. Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità. 7. Non viene cancellata dalla lista di mobilità ai sensi dell'articolo 9 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la lavoratrice che, in periodo di congedo di maternità, rifiuta l'offerta di lavoro, di impiego in opere o servizi di pubblica utilità, ovvero l'avviamento a corsi di formazione professionale.

Art. 23. Calcolo dell'indennita'

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 16)

1. Agli effetti della determinazione della misura dell'indennita', per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternita'. 2. Al suddetto importo va aggiunto il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilita' e agli altri premi o mensilita' o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice. 3. Concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli effetti della determinazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per le indennita' economiche di malattia. 4. Per retribuzione media globale giornaliera si intende l'importo che si ottiene dividendo per trenta l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo. Qualora le lavoratrici non abbiano svolto l'intero periodo lavorativo mensile per sospensione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto per interruzione del rapporto stesso o per recente assunzione si applica quanto previsto al comma 5, lettera c). 5. Nei confronti delle operaie dei settori non agricoli, per retribuzione media globale giornaliera s'intende:

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a) nei casi in cui, o per contratto di lavoro o per la effettuazione di ore di lavoro straordinario, l'orario medio effettivamente praticato superi le otto ore giornaliere, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero dei giorni lavorati o comunque retribuiti; b) nei casi in cui, o per esigenze organizzative contingenti dell'azienda o per particolari ragioni di carattere personale della lavoratrice, l'orario medio effettivamente praticato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro della categoria, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero delle ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere di lavoro previste dal contratto stesso. Nei casi in cui i contratti di lavoro prevedano, nell'ambito di una settimana, un orario di lavoro identico per i primi cinque giorni della settimana e un orario ridotto per il sesto giorno, l'orario giornaliero e' quello che si ottiene dividendo per sei il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite; c) in tutti gli altri casi, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso.

Art. 24. Prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 17; decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, comma 3)

1. L'indennita' di maternita' e' corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall'articolo 54, comma 3, lettere b) e c), che si verifichino durante i periodi di congedo di maternita' previsti dagli articoli 16 e 17. 2. Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di maternita', sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennita' giornaliera di maternita' purche' tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi piu' di sessanta giorni. 3. Ai fini del computo dei predetti sessanta giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali, ne' del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternita', ne' del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento, ne' del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale. 4. Qualora il congedo di maternita' abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio del periodo di congedo stesso, disoccupata e in godimento dell'indennita' di disoccupazione, ha diritto all'indennita' giornaliera di maternita' anziche' all'indennita' ordinaria di disoccupazione. 5. La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non e' in godimento della indennita' di disoccupazione perche' nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all'indennita' giornaliera di maternita', purche' al momento dell'inizio del congedo di maternita' non siano trascorsi piu' di centottanta giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell'assicurazione obbligatoria per le indennita' di maternita', ventisei contributi settimanali. 6. La lavoratrice che, nel caso di congedo di maternita' iniziato dopo sessanta giorni dalla data di sospensione dal lavoro, si trovi, all'inizio del congedo stesso, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all'indennita' giornaliera di maternita'. 7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai casi di fruizione dell'indennita' di mobilita' di cui all'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223.

Art. 25. Trattamento previdenziale

(decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, art. 2, commi 1, 4, 6) 1. Per i periodi di congedo di maternita', non e' richiesta, in costanza di rapporto di lavoro, alcuna anzianita' contributiva pregressa ai fini dell'accreditamento dei contributi figurativi per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura stessa. 2. In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternita' di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all'atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l'evento. 3. Per i soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti ed ai fondi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono addebitati alla relativa gestione pensionistica. Per i soggetti iscritti ai fondi esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita' e la vecchiaia ed i superstiti, gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono posti a carico dell'ultima gestione pensionistica del quinquennio lavorativo richiesto nel medesimo comma.

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Art. 26. Adozioni e affidamenti

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 1) 1. Il congedo di maternita' di cui alla lettera c), comma 1, dell'articolo 16 puo' essere richiesto dalla lavoratrice che abbia adottato, o che abbia ottenuto in affidamento un bambino di eta' non superiore a sei anni all'atto dell'adozione o dell'affidamento. 2. Il congedo deve essere fruito durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia della lavoratrice.

Art. 27. Adozioni e affidamenti preadottivi internazionali

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 1; legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 31, comma 3, lettera n), e 39-quater, lettere a) e c)

1. Nel caso di adozione e di affidamento preadottivo internazionali, disciplinati dal Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, il congedo di maternita' di cui al comma 1 dell'articolo 26 spetta anche se il minore adottato o affidato abbia superato i sei anni e sino al compimento della maggiore eta'. 2. Per l'adozione e l'affidamento preadottivo internazionali, la lavoratrice ha, altresi', diritto a fruire di un congedo di durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato straniero richiesto per l'adozione e l'affidamento. Il congedo non comporta indennita' ne' retribuzione. 3. L'ente autorizzato che ha ricevuto l'incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del congedo di cui al comma 1 dell'articolo 26, nonche' la durata del periodo di permanenza all'estero nel caso del congedo previsto al comma 2 del presente articolo. Messaggio INPS n. 18311 del 12 luglio 2007 OGGETTO: Rettifica del criterio di computo del periodo di congedo di maternità ante partum. A seguito di confronto con il Ministero vigilante, si forniscono nuove istruzioni circa il criterio di computo del periodo di congedo di maternità ante partum di cui all’art.16 del D.Lgs. 151/2001 (già art. 4, comma 1, lett. a, L. 1204/1971), sulla base dell’interpretazione - da ritenersi oggi consolidata - fornita dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 1401/2001. In attuazione dell’art. 4 della L. 1204/1971, l’Istituto, con circolare 134382 del 26 gennaio 1982 (parte prima, par. 2, note 4 e 5), aveva precisato che “i due mesi precedenti la data presunta del parto” dovevano essere conteggiati a ritroso, secondo il calendario comune, partendo dalla data presunta del parto ed includendo nel computo anche tale giorno (ad es. in caso di data presunta fissata per il 15 agosto, il periodo di congedo ante partum andava dal 16 giugno al 15 agosto). Conseguentemente, in base a tale criterio, il periodo di congedo “ordinario”, in caso di coincidenza tra la data presunta e la data effettiva del parto, era pari a 5 mesi: due mesi prima della data presunta, comprensivi appunto della data (coincidente) dell’evento, e tre mesi dopo il parto, decorrenti dal giorno successivo alla data stessa (16 giugno/15 novembre). Con il presente messaggio si rettificano le indicazioni sopra illustrate secondo il criterio individuato dalla Suprema Corte nella citata sentenza: in particolare, il periodo di astensione ante partum va determinato senza includere la data presunta del parto che, pur rimanendo oggetto di tutela, costituisce il dies a quo per computare a ritroso il periodo in questione (così, per tornare all’esempio, in caso di data presunta fissata per il 15 agosto, il periodo di congedo ante partum andrà dal 15 giugno al 14 agosto). Conseguentemente, nell’ipotesi in cui data presunta e data effettiva coincidano, il periodo complessivo “ordinario” di congedo di maternità sarà pari a 5 mesi ed un giorno (15 giugno/15 novembre). Ovviamente, lo stesso criterio di computo dovrà essere utilizzato per determinare il periodo di maternità indennizzabile (“due mesi antecedenti la data del parto e tre mesi successivi alla stessa” – v. artt. 68 e 70 del D.Lgs. 151/2001) in favore delle lavoratrici autonome e dei lavoratori iscritti alla Gestione Separata di cui alla L.335/1995; pertanto, anche per tali categorie, il periodo indennizzabile dovrà essere pari a 5 mesi ed un giorno. Decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026. Regolamento di esecuzione della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici[...]

… omissis … Art. 12.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 20 della legge, l’interruzione spontanea, o terapeutica, della gravidanza che si verifichi prima del 180º giorno dall’inizio della gestazione, si considera aborto. E’ considerata invece come parto, a tutti gli effetti, l’interruzione spontanea, o terapeutica, della gravidanza successiv a al 180º giorno dall’inizio della gestazione. Per il computo dei periodi di cui ai precedenti commi del presente articolo, l’inizio dello stato di gravidanza è stabilito secondo i criteri fissati dal primo comma dell’art. 4 del presente decreto.

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MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE Roma, 28 novembre 2006 Prot. n. 25/I/0006584 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - Interpello in materia di interdizione dal lavoro ai sensi dell’art. 17, comma 2, del T.U. n. 151/2001. La Direzione centrale per le prestazioni a sostegno del reddito dell’INPS ha avanzato richiesta di interpello per conoscere il parere della scrivente Direzione generale in merito all’ammissibilità di un provvedimento di estensione del congedo per maternità ai sensi della normativa in oggetto, che disponga l’interdizione solo parziale dall’attività lavorativa. La stessa Direzione INPS, inoltre, chiede precisazioni in merito alla decorrenza del provvedimento di interdizione dal lavoro rispetto alla data di presentazione della domanda. In proposito occorre operare alcune distinzioni, fra il caso di allontanamento dal lavoro per rischi connessi alla gestazione ed il caso di allontanamento per rischi connessi all’attività lavorativa ed in entrambi i casi occorre soffermarsi sull’ipotesi particolare, ma oggi sempre più diffusa, delle lavoratrici madri impiegate con contratto a tempo parziale presso più datori di lavoro. 1) Interdizione dal lavoro per complicanze nella gestazione o pregresse patologie (art. 17, lett. a) Nel caso di interdizione dal lavoro per complicanze nella gestazione o pregresse patologie, che si teme possano essere aggravate dallo stato di gravidanza, il presupposto del provvedimento consiste in uno stato di salute che non può consentire la prosecuzione dell’attività, per cui non si ritiene configurabile un provvedimento di interdizione dal lavoro a carattere solo parziale. Qualora la lavoratrice sia contemporaneamente impiegata con contratto part-time presso più datori di lavoro dovrà essere adottato un provvedimento di interdizione per ciascuno dei rapporti di lavoro instaurati. Per espressa previsione normativa, la domanda si intende accolta decorsi sette giorni dalla sua presentazione ed il provvedimento “decorrerà dalla data d’inizio dell’astensione dal lavoro” (art. 18, D.P.R. n. 1026/1976). In proposito, superando l’orientamento precedentemente espresso con parere prot. n. 5/28577 del 21 aprile 1975, si ritiene che la data d’inizio dell’astensione al lavoro debba farsi coincidere con il primo giorno di assenza, risultante dal registro delle presenze tenuto dal datore di lavoro, giustificata dal certificato medico rilasciato alla lavoratrice. Tale soluzione appare la più aderente alla lettera della norma ed anche allo spirito della legge, poiché evita che possa determinarsi un periodo di assenza ingiustificata intercorrente fra il primo giorno di allontanamento dal lavoro imposto dal medico e la data di presentazione dell’istanza alla Direzione provinciale del lavoro. In merito alle problematiche che potrebbero derivarne sul piano operativo, si ritiene opportuno fornire le seguenti ulteriori precisazioni. La data di effettivo inizio dell’assenza dal lavoro potrà essere semplicemente dichiarata dalla lavoratrice, senza necessità di produrre ulteriore documentazione, salva la possibilità di rettificare eventuali inesattezze, dovute ad errore scusabile, sulla base delle registrazioni aziendali. In ogni caso, naturalmente, l’inizio dell’astensione dal lavoro non potrà risalire ad una data antecedente al rilascio del certificato medico allegato alla domanda. Decorsi i sette giorni di legge, la domanda si considera comunque accolta dalla data di inizio dell’astensione dal lavoro, indicata dalla lavoratrice, fino al termine indicato nel certificato medico o nel successivo provvedimento della Direzione provinciale del lavoro. Esiste, tuttavia, un limite invalicabile alla possibilità di disporre l’interdizione dal lavoro per un periodo antecedente alla domanda, in quanto l’interdizione dal lavoro deve essere comunque adottata sulla base degli accertamenti svolti dal Servizio Sanitario Nazionale, come prevede il citato articolo 17, e pertanto le domande corredate dalla certificazione medica di un ginecologo privato devono essere presentate in tempo utile, fintanto che perdurino le complicanze nella gestazione, per consentire il successivo accertamento da parte del medico pubblico. 2) Interdizione dal lavoro per mansioni o condizioni di lavoro a rischio (art. 17, lett. b, c) Qualora il rischio per la salute della gestante o del nascituro derivi dalle mansioni svolte o dalle condizioni di lavoro, il Testo Unico impone in primo luogo al datore di lavoro di attivarsi per individuare, nell’ambito della valutazione dei rischi, le lavorazioni che possano risultare pregiudizievoli per le lavoratrici madri (art. 11) e di conseguenza modificarne temporaneamente le condizioni di lavoro o l’orario di lavoro o le mansioni, adibendole se necessario anche a mansioni inferiori, con conservazione della retribuzione precedente, affinché non siano esposte a rischio (art. 7 e 12). Soltanto qualora non sia materialmente possibile reperire altre mansioni confacenti, il datore di lavoro ne dà comunicazione scritta alla Direzione provinciale del lavoro, che può disporre l’interdizione dal lavoro della lavoratrice madre ai sensi del citato articolo 17. Il provvedimento, che anche in questo caso deve essere adottato nel termine di sette giorni, presuppone l’effettivo accertamento della impossibilità di spostare la lavoratrice ad altre mansioni confacenti, che costituisce condizione essenziale per l’inizio dell’astensione dal lavoro, la quale pertanto “decorrerà dalla data del provvedimento stesso” (art. 18, comma 7, D.P.R. n. 1026/1976). Considerato che oggi l’accertamento viene svolto dal Servizio Sanitario Nazionale e non più soltanto dal personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro, si precisa che l’efficacia dell’interdizione dal lavoro decorrerà dalla data del primo provvedimento portato a conoscenza del datore di lavoro, anche qualora sia stato adottato dal Servizio Sanitario Nazionale.

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Al fine di consentire il rispetto del termine di legge, per la reciproca trasmissione delle richieste e dei provvedimenti fra i due uffici coinvolti, si raccomanda di utilizzare i più veloci mezzi di comunicazione a disposizione degli uffici ed in particolare i mezzi di comunicazione telematica. Le considerazioni fin qui svolte portano anche a ritenere inammissibile un provvedimento di interdizione dal lavoro a rischio solo parziale, in quanto a rigore la norma prevede l’interdizione dal lavoro solo qualora sia accertata l’impossibilità di reperire altre mansioni confacenti e non richiede l’esatta equivalenza delle nuove mansioni, addossando di fatto al datore di lavoro l’onere di garantire comunque alla lavoratrice l’intera retribuzione, anche qualora le nuove mansioni fossero inferiori o meno impegnative delle precedenti in termini di durata dell’orario di lavoro. Tale interpretazione rigorosamente letterale, tuttavia, va contemperata con il principio generale di correttezza reciproca fra le parti contraenti, a norma dell’art. 1175 c.c., che porta a ritenere inesigibile da parte del datore di lavoro una prestazione lavorativa tanto ridotta da diventare inutilmente gravosa per la lavoratrice, costretta ad affrontare il disagio di recarsi sul posto di lavoro, per restare oziosa o rendere una prestazione lavorativa di minima utilità per il datore di lavoro. Si ritiene pertanto che il presupposto dell’impossibilità non vada intesa in senso assoluto, ma relativo, potendo quindi essere adottato il provvedimento di interdizione dal lavoro non solo quando non sussista in assoluto alcuna mansione alternativa cui spostare la lavoratrice, ma anche quando la mansione alternativa astrattamente reperibile, risulti in concreto così poco impegnativa, ad esempio per il fatto di essere già svolta da altri dipendenti, da potersi considerare effettivamente inesigibile. Un riferimento normativo, in questo senso, può rinvenirsi nella lettera g) dell’elenco dei lavori vietati durante la gravidanza ai sensi dell’ articolo 7, riportato nell’allegato A, del Testo Unico n. 151/2001, ove si prevede l’interdizione dal lavoro qualora le mansioni svolte comportino la stazione eretta per oltre metà dell’orario di lavoro. In tale ipotesi, per quanto fosse astrattamente possibile una semplice riduzione dell’attività lavorativa, con conservazione dell’intera retribuzione a carico del datore di lavoro, la legge ha sancito l’inesigibilità di una riduzione superiore alla metà del normale orario di lavoro, che sarebbe risultata eccessivamente onerosa per il datore di lavoro e gravosa per la lavoratrice. Da ultimo, si vuole sottolineare che l’inammissibilità di un provvedimento di interdizione parziale, per una parte soltanto dell’orario di lavoro, non preclude la possibilità di adottare distinti provvedimenti nel caso in cui la lavoratrice madre sia impiegata presso più datori di lavoro con contratto part-time, qualora l’accertamento sulla pericolosità delle mansioni svolte e sulla possibilità di reperire altre mansioni confacenti porti ad esiti diversi in relazione ai diversi rapporti di lavoro. MINISTERO LAVORO lettera circolare 17 aprile 2008, n. 5249 Interdizione dal lavoro ai sensi dell'art. 17, comma 2, del T.U. n. 151/2001. Si riscontra una difformità di comportamento di codeste Direzioni in merito alla emanazione dei provvedimenti di interdizione anticipata dal lavoro ai sensi dell'art. 17, comma 2, del T.U. n. 151/2001. Al riguardo si ricorda che, come già chiarito con risposte ad interpello Prot. n. 25/SEGR/0000097 del 1º giugno 2006 e Prot. n. 25/I/0006584 del 28 novembre 2006 (reperibili sul sito Intranet di questo Ministero), in caso di interdizione dal lavoro per complicanze nella gestazione o pregresse patologie che si teme possano essere aggravate dallo stato di gravidanza, la relativa domanda si intende accolta decorsi sette giorni dalla sua presentazione ed il provvedimento "decorrerà dalla data d'inizio dell'astensione dal lavoro" (art. 18, D.P.R. n. 1026/1976). Viceversa, il provvedimento di interdizione dal lavoro per mansioni o condizioni di lavoro a rischio (art. 17, lett. b) e c), D.Lgs. n. 151/2001) presuppone un accertamento da parte di codeste Direzioni circa l'impossibilità, per il datore di lavoro, di adottare misure volte alla eliminazione dei rischi per la salute della lavoratrice, ferma restando la possibilità di disporre l'astensione, anche prima di tale accertamento, "allorquando il datore di lavoro (...) produca una dichiarazione (...) nella quale risulti in modo chiaro, sulla base di elementi tecnici attinenti all'organizzazione aziendale, l'impossibilità di adibirla ad altre mansioni" (art. 18, comma 8, D.P.R. n. 1026/1976). In tal caso si sottolinea comunque che l'interdizione dal lavoro "decorrerà dalla data del provvedimento stesso" (art. 18, comma 7, D.P.R. n. 1026/1976) e che non risulta conforme alla disciplina vigente l'emanazione di un provvedimento che agisca retroattivamente. Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Circ. n. 43/00 del 7 luglio 2000 OGGETTO: Art. 12 legge 8 marzo 2000, n. 53, recante disposizioni in materia di flessibilità dell’astensione obbligatoria nel periodo di gestazione e puerperio della donna lavoratrice. L’art. 12, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53, entrata in vigore il 28 marzo 2000, ha introdotto la facoltà, per le lavoratrici dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, di utilizzare in forma flessibile il periodo dell’interdizione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4 - lett. a) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, posticipando un mese dell’astensione priva del parto al periodo successivo al parto. L’articolo dispone, inoltre, al comma 2, che con successivo decreto interministeriale dovranno essere individuati i lavori per i quali è escluso l’esercizio della predetta facoltà.

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Ciò premesso, questo Ministero, di intesa con il Ministero della sanità e con il Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del consiglio dei ministri, ritiene che, nelle more dell’emanazione di detto decreto, il ricorso all’opzione di cui trattasi sia immediatamente esercitatile in presenza dei seguenti presupposti:

a. assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al

momento della richiesta; b. assenza di un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte della competente Direzione provinciale del lavoro -

Servizio ispezione del lavoro- ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1204/71; c. venir meno delle cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di

gravidanza; d. assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o

dall’articolazione dell’orario di lavor o previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non potrà comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;

e. assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del posto di lavoro. Le lavoratrici interessate, ai fini del rilascio della prevista certificazione sanitaria, dovranno fornire ogni utile informazione circa le sopradescritte condizioni, esibendo copia dell’eventuale provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro adottato dal Servizio ispezione del lavoro. Va precisato che l’art. 12 della legge in oggetto non introduce una nuova specifica ipotesi di sor veglianza medica, ma intende tener conto delle situazioni lavorative per le quali la legislazione di salute e sicurezza sul lavoro già richiede una sorveglianza sanitaria. Pertanto, solo ove ricorra tale ultima fattispecie, la lavoratrice gestante dovrà procurarsi la certificazione del medico competente attestante l’assenza di rischi per lo stato di gestazione in conformità al punto d). La lavoratrice interessata all’opzione è tenuta a richiedere, comunque, la certificazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. Nell’ipotesi dell’assenza dell’obbligo di sorveglianza sanitaria sul lavoro, il predetto medico specialista, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice sull’attività svolta, esprime altresì una valutazione circa la compatibilità delle mansioni e delle relative modalità di svolgimento ai fini della tutela della salute della gestante e del nascituro. La lavoratrice che intende avvalersi dell’opzione in discorso deve presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’ente erogatore dell’indennità di maternità, corredata della o delle certificazioni sanitarie di cui sopra, acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza. Resta inteso che, ove sussista l’obbligo di sorveglianza sanitaria, l’opzione è esercitatile solo se entrambe le attestazioni mediche indichino l’assenza di controindicazioni per il lavoro da svolgere. Non appare superfluo evidenziare, infine, che per "medico specialista" la norma intende il medico ostetrico-ginecologico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. Per quanto attiene al "medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro", questi va identificato con quello nominato dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, nei casi previsti dall’articolo 16 dello stesso decreto legislativo. Quanto sopra si comunica per norma e conoscenza, anche al fine della più ampia divulgazione ai soggetti preposti all’applicazione della disposizione in argomento. In particolare, si invitano le Direzioni regionali e provinciali del lavoro in indirizzo a provvedere alla diffusione della presente circolare sul territorio, informandone le associazioni sindacali. Circolare INPS n. 152 del 4 settembre 2000 OGGETTO: Art. 12 della legge 8.3.2000, n. 53: “Flessibilità dell’astensione obbligatoria”. Circolare ministeriale n. 43 del 7.7.2000. SOMMARIO: La facoltà di optare per la flessibilità dell’astensione obbligatoria è esercitabile anche prima della emanazione del decreto interministeriale.

Con circolare n. 109 del 6.6.2000 sono state impartite le prime istruzioni applicative dell’art. 12 della legge n. 53 del 8.3.2000, che, al comma 1, prevede la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, ferma restando la durata complessiva dell’astensione obbligatoria. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con la circolare n. 43 del 7.7.2000, che si trasmette in allegato, ha fornito precisazioni in merito ai presupposti necessari per poter esercitare la facoltà di opzione per l’astensione obbligatoria flessibile senza dover attendere la emanazione, prevista dal 2° comma dell’art. 12, del decreto interministeriale contenente l’elenco dei lavori per i quali tale facoltà è preclusa. Nel ribadire, quindi, l’immediata applicazione del 1° comma dell’art. 12, si invitano codeste Sedi a tenere conto anche delle indicazioni fornite dal Ministero in merito alla individuazione dei presupposti necessari (v. lettere a), b), c), d), e) della circolare ministeriale). Con l’occasione si precisa che la non obbligatorietà, in azienda, della figura del medico responsabile della sorveglianza sanitaria sul lavoro (c.d. medico competente) va dichiarata dall’azienda stessa.

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La norma in questione, prevedendo la facoltà di astenersi “a partire” dal mese precedente la data presunta del parto, ha quindi individuato in un mese il periodo minimo obbligatorio di astensione prima della data presunta del parto; è evidente perciò che il periodo di “flessibilità” dell’astensione obbligatoria può andare da un minimo di un giorno ad un massimo di un mese. Il periodo di flessibilità, quand’anche questa sia stata già accordata ai sensi delle disposizioni di cui alla legge n. 53/2000, può essere successivamente ridotto (ampliando quindi il periodo di astensione ante partum inizialmente richiesto), espressamente, su istanza della lavoratrice, o implicitamente, per fatti sopravvenuti. Tale ultima ipotesi può verificarsi -in linea del resto con quanto previsto al punto a) della circolare ministeriale in questione- con l'insorgere di un periodo di malattia, in quanto ogni processo morboso in tale periodo comporta un "rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro" e supera, di fatto, il giudizio medico precedentemente espresso nella certificazione del ginecologo ed, eventualmente, in quella del medico competente. In tutte queste ipotesi la flessibilità consisterà nel differimento al periodo successivo al parto, non del mese intero, ma di una frazione di esso e cioè delle giornate di astensione obbligatoria "ordinaria" non godute prima della data presunta del parto, che sono state considerate oggetto di flessibilità (vale a dire quelle di effettiva prestazione di attività lavorativa nel periodo relativo, comprese le festività cadenti nello stesso).

° ° ° ° ° ° °

La lavoratrice che intende usufruire della flessibilità dell’astensione obbligatoria dovrà presentare domanda (per ora, in attesa cioè della introduzione dell’apposito modulo in corso di predisposizione, anche su carta “libera”), corredata della certificazione dello specialista ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato, redatta secondo le indicazioni riportate nella circolare ministeriale, nonché della certificazione del competente medico dell’azienda, qualora obbligatoriamente presente ai sensi del D.Lgs. n. 626/94. Le situazioni per le quali la flessibilità è stata chiesta dopo il 28.3.00 (data di entrata in vigore della legge n. 53) e prima del 6.6.00 (data di diffusione della circolare n. 109) potranno essere regolarizzate a condizione che la lavoratrice abbia esibito, contestualmente alla richiesta, una certificazione sanitaria comunque suscettibile –anche se rilasciata in assenza di indicazioni normative- di essere ritenuta idonea, alla luce delle attuali disposizioni, alla individuazione dei presupposti necessari per la autorizzazione alla flessibilità.

IL DIRETTORE GENERALE TRIZZINO

Allegato 1

Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro Div. VI - Div. VII

Circ. n. 43/00 del 7 luglio 2000 Prot. N: 2416/00/Circ OGGETTO: Art. 12 legge 8 marzo 2000, n. 53, recante disposizioni in materia di flessibilità dell’astensione obbligatoria nel periodo di gestazione e puerperio della donna lavoratrice. L’art. 12, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53, entrata in vigore il 28 marzo 2000, ha introdotto la facoltà, per le lavoratrici dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, di utilizzare in forma flessibile il periodo dell’interdizione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4 - lett. a) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, posticipando un mese dell’astensione priva del parto al periodo successivo al parto. L’articolo dispone, inoltre, al comma 2, che con successivo decreto interministeriale dovranno essere individuati i lavori per i quali è escluso l’esercizio della predetta facoltà. Ciò premesso, questo Ministero, di intesa con il Ministero della sanità e con il Dipartiment o per gli affari sociali della Presidenza del consiglio dei ministri, ritiene che, nelle more dell’emanazione di detto decreto, il ricorso all’opzione di cui trattasi sia immediatamente esercitatile in presenza dei seguenti presupposti: a) assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al

momento della richiesta; b) assenza di un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte della competente Direzione provinciale del lavor o -

Servizio ispezione del lavoro- ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1204/71; c) venir meno delle cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di

gravidanza; d) assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o

dall’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non potrà

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comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;

e) assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del posto di lavoro. Le lavoratrici interessate, ai fini del rilascio della prevista certificazione sanitaria, dovranno fornire ogni utile informazione circa le sopradescritte condizioni, esibendo copia dell’eventuale provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro adottato dal Servizio ispezione del lavoro. Va precisato che l’art. 12 della legge in oggetto non introduce una nuova specifica ipotesi di sorveglianza medica, ma intende tener conto delle situazioni lavorative per le quali la legislazione di salute e sicurezza sul lavoro già richiede una sorveglianza sanitaria. Pertanto, solo ove ricorra tale ultima fattispecie, la lavoratrice gestante dovrà procurarsi la certificazione del medico competente attestante l’assenza di rischi per lo stato di gestazione in conformità al punto d). La lavoratrice interessata all’opzione è tenuta a richiedere, comunque, la certificazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. Nell’ipotesi dell’assenza dell’obbligo di sorveglianza sanitaria sul lavoro, il predetto medico specialista, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice sull’attività svolta, esprime altresì una valutazione circa la compatibilità delle mansioni e delle relative modalità di svolgimento ai fini della tutela della salute della gestante e del nascituro. La lavoratrice che intende avvalersi dell’opzione in discorso deve presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’ente erogatore dell’indennità di maternità, corredata della o delle certificazioni sanitarie di cui sopra, acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza. Resta inteso che, ove sussista l’obbligo di sorveglianza sanitaria, l’opzione è esercitatile solo se entrambe le attestazioni mediche indichino l’assenza di controindicazioni per il lavoro da svolgere. Non appare superfluo evidenziare, infine, che per “medico specialista” la norma intende il medico ostetrico-ginecologico del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. Per quanto attiene al “medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro”, questi va identificato con quello nominato dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, nei casi previsti dall’articolo 16 dello stesso decreto legislativo. Quanto sopra si comunica per norma e conoscenza, anche al fine della più ampia divulgazione ai soggetti preposti all’applicazione della disposizione in argomento. In particolare, si invitano le Direzioni regionali e provinciali del lavoro in indirizzo a provvedere alla diffusione della presente circolare sul territorio, informandone le associazioni sindacali. Direzione Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito Roma, 25-05-2007 Messaggio INPS n. 13279 OGGETTO: Chiarimenti in merito all’istituto della flessi bilità del congedo di maternità ex art. 20 del D.Lgs. 151/2001. In risposta alle richieste di chiarimenti pervenute dalla Sedi in merito all’istituto della flessibilità del congedo di maternità (introdotto dall’art. 12 della legge 53/2000 ed oggi disciplinato dall’ art. 20 del D.Lgs. 151/2001), si forniscono le seguenti precisazioni. E’ noto che, ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità (ordinariamente 5 mesi), la flessibilità consente alla lavoratrice in gravidanza di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto (cioè dal 9° mese di gravidanza) fino ai quattro mesi successivi al parto, a condizione che il ginecologo del SSN (o con esso convenzionato) e, ove previsto, il medico competente preposto in azienda alla tutela della salute sui luoghi di lavoro, attestino che la permanenza al lavoro nel corso dell’8° mese di gravidanza non sia pregiudizievole alla salute della gestante e del nascituro (art. 20 D.Lgs.151/2001). Con circolari n. 109/2000 e n. 152/2000, sono state fornite le prime istruzioni dirette ad attuare l’istituto in esame, anche sulla base delle disposizioni impartite dal Ministero del Lavoro con circolare n. 43 del 7.7.2000 (allegata alla circolare 152/2000); in particolare, il Ministero, in dividuati i presupposti in presenza dei quali è possibile la permanenza al lavoro della lavoratrice durante l’8° mese di gravidanza, ha precisato che l’interessata “deve presentare apposita domanda di flessibilità al datore di lavoro ed all’Inps, quale ente erogatore dell’indennità di maternità, corredata della o delle certificazioni sanitarie attestanti i predetti presupposti, acquisite nel corso del 7° mese di gravidanza” . In fase di prima attuazione dell’istituto in esame, questa Direzione, nella circolare 8/2003, aveva ritenuto totalmente accoglibili le domande di flessibilità presentate oltre il 7° mese di gravidanza, sul presupposto che le attestazioni sanitarie fossero state comunque acquisite dalla lavoratrice entro la fine del 7° mese; diversamente, nell’ipotesi in cui fosse stato impossibile acquisire anche le attestazioni sanitarie entro il 7° mese, la flessibilità veniva riconosciuta, ai fini della relativa indennità, soltanto per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni stesse. Superata la fase transitoria, si ritiene opportuno operare alcuni correttivi diretti a rendere l’attuazione della flessibilità più conforme al quadro normativo di riferimento. E’ noto che, secondo quanto disposto dall’art. 16, lett. a, D.Lgs. 151/2001, è fatto divieto al datore di lavoro di adibire al lavoro le donne a partire dai due mesi precedenti la data presunta del parto (ossia a partire dall’inizio dell’8° mese di gravidanza); a tal fine, l’art. 21, del citato decreto, prevede che la lavoratrice in gravidanza, prima dell’inizio del periodo “ordinario” di congedo, cioè entro la fine del 7° mese, consegni al datore di lavoro ed all’Inps, quale ente erogatore dell’indennità, il certificato medico attestante la data presunta del parto.

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Pertanto, a partire dall’8° mese di gravidanza, la lavoratrice ha il diritto/dovere di astenersi dall’attività lavorativa, salvo che la stessa non abbia esercitato l’opzione per la flessibilità , comprovando tempestivamente (cioè sempre entro la fine del 7° mese) con onere a suo carico sia al datore di lavoro, ai fini del differimento dell’astensione, sia all’Inps, ai fini del correlativo diritto all’indennità, che, sulla base delle specifiche certificazioni sanitarie di cui al citato art. 20, la prosecuzione dell’attività nell’8° mese è compatibile con l’avanzato stato di gravidanza. D’altronde, com’è noto, nell’ipotesi in cui la predetta compatibilità non fosse tempestivamente e sufficientemente provata per carenza di documentazione oppure per tardiva esibizione della stessa, il datore di lavoro che consentisse, comunque, la prosecuzione dell’attività da parte dell’interessata durante l’8° mese, incorrerebbe nella violazione di cui all’art. 16 del T.U. e, conseguentemente, nell’applicazione della sanzione di cui al successivo art. 18 (arresto fino a sei mesi). Inoltre, sotto il profilo del trattamento economico, l’indebita permanenza al lavoro della lavoratrice determinerebbe la perdita del diritto all’indennità per le relative giornate e, in ogni caso, la non computabilità nel periodo post partum delle giornate medesime, secondo quanto disposto dall’art. 22 del d.p.r. 1026/1976. Tutto ciò premesso a far data dalla pubblicazione delle presenti disposizioni potranno essere accolte, ai fini del diritto all’indennità, le sole domande di flessibilità ( presentate in carta semplice oppure attraverso la compilazione dello specifico riquadro presente nel modello Mod.Mat) alle quali siano allegate le certificazioni sanitarie che, sulla base delle indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 43/2000, rechino una data non successiva alla fine del 7° mese ed attestino la compatibilità dell’avanzato stato di gravidanza con la permanenza al lavoro fin dal primo giorno dell’8° mese . All’opposto, le domande di flessibilità cui siano allegate certificazioni sanitarie con data che va oltre la fine del 7° mese , dovranno essere integralmente respinte , considerato che, in base alle norme di legge ed alle indicazioni ministeriali, non appare compatibile con la ratio legis di assoluta tutela della salute della madre e del nascituro la fruizione “parziale” della flessibilità (ossia “per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni” acquisite nell’8° mese) a suo tempo prevista in via transitoria nella circolare 8/2003 (punto 4, 3° capoverso). Rimane fermo, invece, quanto precisato nella circolare 152/2000 circa la riduzione del periodo di flessibilità, correttamente esercitata, su istanza della lavoratrice o per fatti sopravvenuti (es. evento morboso); in tale ipotesi, il periodo post partum si prolungherà non per un mese intero, ma per un numero di giornate pari a quelle lavorate durante l’8° mese. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Capo IV CONGEDO DI PATERNITA'

Art. 28.

Congedo di paternita' (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, commi 1 e 2)

1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternita' o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermita' della madre ovvero di abbandono, nonche' in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. 2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 29. Trattamento economico e normativo

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 3)

1. Il trattamento economico e normativo e' quello spettante ai sensi degli articoli 22 e 23.

Art. 30. Trattamento previdenziale

1. Il trattamento previdenziale e' quello previsto dall'articolo 25.

Art. 31. Adozioni e affidamenti

1. Il congedo di cui agli articoli 26, comma 1, e 27, comma 1, che non sia stato chiesto dalla lavoratrice, spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore.

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2. Il congedo di cui all'articolo 27, comma 2, spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore. 3. Al lavoratore, alle medesime condizioni previste dai commi 1 e 2, e' riconosciuto il diritto di cui all'articolo 28. Circolare INPS n. 8 del 17 gennaio 2003 OGGETTO: Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità). Chiarimenti. SOMMARIO: 1. La situazione di “genitore solo” è riscontrabile anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore. 2. Il padre non ha diritto ai riposi giornalieri (c.d. per allattamento) se la madre non è lavoratrice. 3. Distinzione tra “affidamento” e “inserimento” dei minori ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità. 4. La domanda di flessibilità è accoglibile anche se presentata oltre il 7° mese di gravidanza, purché le previste attestazioni del medico specialista siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza. 5. La malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la fine dello stesso è indennizzabile secondo le regole ordinarie. La malattia insorta durante il congedo di maternità non è indennizzabile. I periodi di malattia che si verifichino durante il congedo parentale vanno considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante. 6. Carattere ordinatorio del termine di 30 giorni previsto per la presentazione del certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva. 7. L’indennità per congedo parentale è erogabile, in caso di adozione e affidamento, entro 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore. 8. La norma secondo cui, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire del congedo parentale, per ogni nato, è applicabile anche in caso di adozioni/affidamenti plurimi. 9. Non è richiesta la verifica della convalida delle dimissioni volontarie, ai fini della corresponsione dell’ indennità di maternità/ paternità. 10. Il congedo di paternità con indennità all’80 % spetta anche quando la madre, nelle ipotesi di cui all’art. 28 del T.U., non sia (o non sia stata) una lavoratrice. 11. Retribuzione di riferimento ai fini della determinazione dell’indennità per congedi parentali. 12. Il licenziamento per giusta causa intervenuto durante il congedo per maternità non esclude l’indennizzabilità del congedo stesso. 13. Requisito dei 26 contributi settimanali in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione. Con la circ. n. 109 del 6.6.2000 sono state date disposizioni attuative della legge n. 53 del 8 marzo 2000 in materia di maternità, con particolare riguardo alla astensione facoltativa, ai riposi orari, e alla astensione obbligatoria (flessibilità, parto prematuro, astensione del padre con indennità all’80%). Com’è noto, successivamente alla legge 53/2000, al fine di conferire omogeneità e sistematicità alle norme in materia di sostegno della maternità e della paternità, come previsto dall’art. 15 della stessa legge, è stato emanato il D. Lgs. 26.3.2001, n. 151 (“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”….), entrato in vigore il 27.4.2001. Con la presente si forniscono ulteriori precisazi oni sull’argomento (per quanto riguarda le lavoratrici autonome si rinvia alla circ. n. 136 del 26.7.2002). 1) “Genitore solo” Ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettere a) e b) del T.U., la madre lavoratrice ed il padre lavoratore hanno diritto al godimento di un periodo individuale massimo di congedo parentale (astensione facoltativa) pari, rispettivamente, a 6 mesi e a 7 mesi. Ai sensi della lett. c) del medesimo comma “qualora vi sia un solo genitore” il periodo è elevato fino a un massimo di 10 mesi. La situazione di “genitore solo” è riscontrabile, oltre che nei casi di morte dell’altro genitore o di abbandono del figlio o di affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore (casi già indicati nella circ. 109 citata), anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte di un genitore. Nell’ipotesi di non riconoscimento del figlio da parte del padre, la madre richiedente il maggior periodo di congedo parentale, dovrà rilasciarne apposita dichiarazione di responsabilità; e ciò, anche qualora dalla certificazione anagrafica risulti che il cognome del bambino è quello della madre. Una analoga dichiarazione dovrà essere fornita dal padre richiedente in caso di non riconoscimento del figlio da parte della madre. La situazione di “ragazza madre” o di “genitore single” non realizza di per sé la condizione di “genitore solo”: deve infatti risultare anche il non riconoscimento dell’altro genitore. Analogamente dicasi per la situazione di genitore separato: nella sentenza di separazione deve risultare che il figlio è affidato ad uno solo dei genitori. Si sottolinea, peraltro, che gli ulteriori mesi riconoscibili al “genitore solo” sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni del proprio reddito, anche qualora siano fruiti entro tre anni di età del figlio. La situazione di “genitore solo” viene meno con il riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore, circostanza che, si rammenta, deve essere portata a conoscenza sia dell’INPS che del datore di lavoro. E’ ovvio che il riconoscimento interrompe la fruizione del maggior periodo di congedo parentale concesso al genitore inizialmente considerato “solo” ed è ovvio, altresì, che il maggior periodo di congedo, già fruito in tale qualità, determina la riduzione del periodo di congedo spettante all’altro. In proposito si rammenta che il periodo di congedo fruibile tra i due genitori è, in via ordinaria, di 10 mesi e che l’elevazione a 7 mesi a favore del padre (con conseguente totale, tra i due, di un massimo di 11 mesi) è prevista solo nel caso in cui il padre abbia già

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fruito di un periodo di congedo non inferiore a 3 mesi: tanto comporta, ad esempio, che se la madre abbia goduto, come “genitore solo” (quale era da considerare fino al riconoscimento del figlio da parte del padre) di un periodo di 8 mesi, il padre non potrà mai arrivare ad un periodo di tre mesi di congedo (1). 2) Riposi giornalieri (c.d. per allattamento). A chiarimento di quanto disposto nella circ. 109/2000, si conferma che la madre ha diritto ai riposi giornalieri di cui all’art. 10 della legge 1204/71 (ora art. 39 del T.U.) durante il congedo parentale del padre. Non è, invece, possibile che il padre utilizzi i riposi di cui all’art. 13 della legge 53/2000 (ora art. 40 del T.U.) durante il congedo di maternità e/o parentale della madre, come pure nei casi in cui la madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal lavoro per cause che determinano una sospensione del rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause lavorative previste nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale, mensile, annuale). Si ricorda che in caso di parto plurimo, invece, le ore aggiuntive di cui all’art. 41 del T.U. possono essere utilizzate dal padre anche durante il congedo di maternità parentale della madre lavoratrice dipendente. Se la madre è lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre (qualora si tratti di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola) non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del congedo parentale, durante il quale, come sopra detto, è precluso al padre il godimento dei riposi giornalieri. Se la madre non è lavoratrice, il padre lavoratore non ha diritto ai riposi giornalieri per allattamento. Non ha diritto, come pure se la madre è una lavoratrice autonoma, neanche alle ore che il citato art. 41 riconosce al padre, in caso di parto plurimo, come “aggiuntive” rispetto alle ore previste dall’art. 39 (vale a dire quelle fruibili dalla madre), per l’evidente impossibilità di “aggiungere” ore quando la madre non ha diritto ai riposi giornalieri. Il diritto del padre ai riposi in questione, infatti, continua ad essere “derivato” da quello della madre, a differenza del diritto del padre al congedo parentale che, in virtù delle più recenti disposizioni di legge, ha acquistato una propria autonomia e indipendenza rispetto alla sussistenza o meno del diritto della madre. Un diritto “autonomo” del padre ai riposi giornalieri è previsto solo nelle ipotesi di cui alle lettere a), c), d) dell’art. 40 del T.U.. 3) Affidamento e inserimento dei minori. La distinzione tra “affidamento” e “inserimento” dei minori, rilevabile dall’art. 2, comma 2, della legge 149 del 28.3.2001, è da tenere presente non solo ai fini delle provvidenze previste in favore dei genitori di disabili gravi (v. circ. 138 del 10.7.2001, par. 1, 11° e 12° cpv.), ma anche ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità. Pertanto, l’inserimento del minore in “comunità di tipo familiare” non è equiparabile all’ affidamento. 4) Flessibilità del congedo di maternità. La circ. 109/2000, contenente le prime istruzioni applicative in materia di flessibilità del congedo di maternità (già art. 12 della legge 53/2000, ora art. 20 del D. Lgs. 151/2001), è stata integrata dalle disposizioni della circ. 152 del 4.9.2000, sulla quale si forniscono alcuni chiarimenti. La domanda di flessibilità, tendente ad ottenere l’autorizzazione a continuare l’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza (in tutto o in parte), ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, è accoglibile anche qualora sia presentata oltre il 7° mese di gravidanza (peraltro, sempre entro il limite della prescrizione annuale, decorrente dal giorno successivo al periodo di congedo dopo il parto che, in questi casi, risulta superiore ai normali 3 mesi), purché le previste attestazioni del ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato e del medico aziendale, siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza. Quanto precede nel presupposto che la lavoratrice abbia continuato a lavorare nel periodo in questione. Se le attestazioni suddette sono state acquisite dopo il 7° mese di gravidanza, la domanda è accoglibile solo per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni. Per i giorni in cui la lavoratrice si è avvalsa della flessibilità senza esserne formalmente autorizzata (attraverso le attestazioni dei medici sopra indicati), l’indennità di maternità non è erogabile ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 in quanto, per tali giorni, la lavoratrice ha percepito o ha diritto a percepire la retribuzione dal datore di lavoro; i suddetti giorni, pur non potendo essere recuperati dalla lavoratrice dopo il parto, quali giorni di congedo per maternità, devono essere comunque conteggiati ai fini della durata complessiva del congedo stesso. Si precisa, infine, che la domanda della lavoratrice che, pur essendo stata autorizzata alla flessibilità, e, quindi, allo svolgimento di attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza, chiede di fruire in questo stesso mese del congedo parentale per un altro figlio, può essere accolta. In ogni caso, il congedo di maternità spetterà alla suddetta lavoratrice per tutta la sua prevista durata complessiva (2). 5) Malattia, congedo parentale, congedo di maternità. a) Malattia e congedo parentale. In merito alla sussistenza o meno del diritto all’indennità di malattia nell’ipotesi di malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la conclusione dello stesso si fa presente quanto segue.

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L’assenza dal lavoro per cause (come il congedo parentale) legate non ad una “sospensione” del rapporto di lavoro ma ad una semplice inesigibilità della relativa prestazione lavorativa non configura, agli effetti erogativi della indennità di malattia, una sospensione del rapporto di lavoro. Tanto comporta che il periodo di protezione assicurativa (60 gg. o 2 mesi), previsto per le prestazioni di malattia dall’art. 30 del C.C.N. 3.1.1939, decorre dal giorno immediatamente successivo al termine finale del periodo di assenza dal lavoro correlato ad una delle cause di cui trattasi. Ne consegue che per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta durante la fruizione del congedo parentale, anche oltre 60 gg. dall’inizio del congedo stesso (che, come è noto, è frazionabile), il periodo di protezione assicurativa non inizia a decorrere e la malattia stessa, debitamente notificata e documentata, deve essere indennizzata (in misura intera), ove ne ricorrano i presupposti, secondo i limiti e le modalità previsti dalla relativa normativa, ovviamente nella presunzione, salvo diversa indicazione del genitore interessato, che quest’ultimo intenda sospendere la fruizione del congedo parentale. Per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta dopo la conclusione del periodo di congedo parentale, a cui faccia seguito una mancata ripresa dell’attività, configurabile quale “sospensione del rapporto di lavoro”, il periodo di protezione assicurativa decorre, secondo le regole ordinarie, dal giorno successivo alla fine del congedo parentale, da considerare periodo neutro. Per quanto riguarda il diritto al congedo parentale, si precisa che anche i periodi di malattia indennizzati o inde nnizzabili, che si verifichino durante il congedo parentale, devono essere considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante. Terminata la malattia, quindi, la fruizione del congedo parentale, salvo diverse indicazioni e comunicazioni del genitore interessato, può riprendere con o senza erogazione dell’indennità del 30% che, com’è noto, compete per complessivi 6 mesi entro 3 anni di età del bambino. Ai fini del calcolo del periodo massimo di congedo parentale (6 mesi per la madre, 7 mesi per il padre, 11 mesi fra i due genitori), durante il quale si siano verificati periodi di malattia, vanno tenute presenti le indicazioni fornite per i casi in cui frazioni di congedo siano intervallate da ferie (v. circ. n. 82 del 2.4.2001, punto 1, ultimo capoverso). Pertanto, ad esempio, se la malattia è iniziata il lunedì immediatamente successivo al venerdì del congedo parentale, ed è terminata il venerdì immediatamente precedente il lunedì in cui è ripreso il congedo, le domeniche ed i sabati della settimana corta, cadenti subito prima e subito dopo la malattia, devono essere conteggiati come giorni di congedo parentale. b) Malattia e congedo di maternità La malattia insorta durante il congedo di maternità (astensione obbligatoria) non è indennizzabile, in quanto l’indennità per congedo di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia (art. 22, comma 2, del T.U.). Anche il congedo di maternità – analogamente a quello parentale (v. lett. a)- è da considerare periodo “neutro” ai fini del computo della c.d. “protezione assicurativa”, in caso di malattia insorta successivamente. 6) Termini per la presentazione della documentazione. L’art. 21 del T.U. stabilisce che la lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio o dichiarazione sostitutiva (ex lege 445/2000). Tale articolo assorbe la disposizione già contenuta nell’art. 11 della legge 53/2000 relativa alla presentazione, entro 30 giorni, del certificato attestante la data del parto in caso di parto prematuro, nel senso che il termine di trenta giorni per la presentazione della suddetta documentazione è ora previsto in tutti i casi di parto (anche non prematuro). Ciò premesso, si fa presente che il termine in questione è da ritenere di carattere ordinatorio, non essendone stata prevista la perentorietà, né l’applicazione di sanzioni in caso di sua inosservanza. Il mancato rispetto del termine, quindi, non fa venire meno il diritto alla prestazione; potrebbe avere riflessi soltanto nell’ambito contrattuale del rapporto di lavoro. 7) Congedo parentale in caso di adozione o di affidamento. Si ritiene opportuno riassumere i criteri applicativi delle disposizioni del T.U., che, peraltro, confermano quasi integralmente quelli già indicati nella circ. 109/2000, riguardanti il congedo parentale in caso di adozione o di affidamento. L’art.36, comma 2, del T.U. stabilisce che il limite di età del bambino (3 anni) previsto dall’art. 34, comma 1, per la corresponsione dell’indennità al 30%, indipendentemente dalle condizioni di reddito e per un periodo di congedo parentale massimo complessivo tra i genitori di sei mesi, sia elevato a 6 anni di età in caso di adozione o di affidamento. Stabilisce anche che, in ogni caso, il congedo parentale può essere fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia. Ciò significa che l’indennità è riconoscibile, indipendentemente dalle condizioni di reddito, per complessivi sei mesi fino al compimento dei 6 anni di età del bambino adottato o affidato, purché il congedo parentale sia richiesto entro i tre anni dall’ingresso del bambino in famiglia. Significa anche che, dopo il compimento dei 6 anni di età e fino al compimento degli 8 anni (limite di età uguale a quello previsto per i figli non adottati o affidati), i periodi di congedo ulteriori rispetto a quelli fruiti fino ai 6 anni, ferma restando la possibilità di astensione dal lavoro, sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni reddituali. Il comma 3 dello stesso art. 36 stabilisce che, qualora all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia una età compresa fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale è fruito nei primi tre anni dall’ingresso in famiglia. Il tenore letterale della norma lascia intendere che, per il minor e adottato o affidato ad una età fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale e la relativa indennità possano essere riconosciuti solo se richiesti entro tre anni dall’ingresso.

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Non sembra prevista, in altre parole, la possibilità di beneficiare né del congedo, né della indennità, neppure subordinatamente alle condizioni di reddito, qualora il congedo sia chiesto dopo tre anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato tra i 6 e i 12 anni di età. In caso di adozione o di affidamento preadottivo internazionale si applica la disposizione prevista dall’art. 36 del T.U.. 8) Congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare Come già precisato nel messaggio n. 569 del 27/06/2001, che ad ogni buon conto si allega, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire, per ogni nato, del numero di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32 del T.U.. La norma suddetta trova applicazione anche nell’ipotesi di adozioni ed affidamenti di minori (anche non fratelli) il cui ingresso in famiglia sia avvenuto nella stessa data. 9) Dimissioni L’art. 55 del T.U. stabilisce che le dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza o dal lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità, fino al compimento di un anno di vita del bambino o entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia, devono essere convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per territorio. La previsione della convalida risponde unicamente a finalità di tutela del rapporto di lavoro della lavoratrice madre o del lavoratore padre. La legge, infatti, subordina espressamente alla convalida la risoluzione del rapporto di lavoro e non anche il diritto all’indennità di maternità/paternità, alla cui corresponsione si potrà procedere indipendentemente dalla verifica della convalida suddetta. Con l’occasione si fa presente che detta verifica non è richiesta neppure ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione che, com’è not o, spetta anche in caso di dimissioni volontarie intervenute durante il periodo previsto per il divieto di licenziamento o entro un anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottante o affidataria (v. circ. 128 del 5.7.2000 e circ. 143 del 16.7.2001), indennità di disoccupazione che frequentemente costituisce il presupposto per la erogabilità dell’indennità per congedo di maternità. Infatti, se il congedo di maternità ha inizio trascorsi 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice, all’inizio del congedo di maternità, fruisce o ha comunque un diritto teorico all’indennità di disoccupazione, alla stessa è erogabile l’indennità giornaliera di maternità, anziché quella di disoccupazione (art. 24, comma 4 del T.U.). Si rammenta, ad ogni buon conto, che il diritto o meno all’indennità di disoccupazione è ininfluente quando il congedo di maternità inizia entro 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro (per dimissioni o licenziamento), periodo entro il quale è senz’altro riconoscibile il diritto all’indennità giornaliera di maternità (art. 24, comma 2 del T.U.). 10) Indennità di paternità L’art. 28 del T.U. riconosce al padre lavoratore il diritto al congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre, in caso di morte o di grave infermità della stessa ovvero di abbandono del figlio da parte della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Il tenore letterale della norma sembrerebbe escludere il diritto del padre al congedo in questione nell’ipotesi in cui la madre non sia (o non sia stata) lavoratrice. Tuttavia, la ”ratio” dell’astensione obbligatoria post- partum vuole garantire al neonato, proprio nei primi tre mesi di vita, l’assistenza materiale ed affettiva di un genitore (vedi sent. Corte Costituzionale n.1 del 19.1.1987). Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire del congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al fatto che la madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si arrecherebbe un danno al neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con l’ordinanza n. 144 del 16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della suddetta sentenza n. 1/1987: ”in luogo di lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno”. Per tali ragioni, è da ritenere che, in tutti i casi previsti dall’art. 28 del T.U., il padre lavoratore abbia un diritto autonomo alla fruizione del congedo di paternità, correlato, quanto alla sola durata, alla eventuale fruizione del congedo di maternità da parte della madre (ovviamente lavoratrice). In tale ipotesi, la durata del congedo di paternità è pari al periodo di astensione obbligatoria non fruito in tutto o in parte dalla madre, compresi quindi i periodi di astensione obbligatoria post-partum di maggiore durata conseguenti alla flessibilità e/o al parto prematuro. 11) Calcolo dell’indennità per congedi parentali. Agli effetti della determinazione della misura dell’indennità per congedo parentale si prende a riferimento la retribuzione media globale giornaliera del mese o del periodo di paga quadrisettimanale immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione dal lavoro. Tuttavia, nell’ipotesi in cui la lavoratrice fruisca del congedo parentale immediatamente dopo il congedo di maternità (ipotesi praticabile anche senza ripresa dell’attività lavorativa prima del congedo parentale), la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità per congedo parentale è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità (senza conteggiare i ratei di mensilità aggiuntive). Laddove, invece, dopo il congedo di maternità, la lavoratrice riprenda l’attività lavorativa (anche per un solo giorno), si prende a riferimento, trattandosi di prestazioni diverse, la retribuzione relativa a tale periodo di ripresa dell’attività, ancorché questo cada nello stesso mese in cui ha avuto inizio il congedo parentale.

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In caso di fruizione frazionata del congedo parentale, invece, si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente, nonostante le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa dell’attività. Ovviamente la retribuzione va divisa per il numero dei giorni lavorati o retribuiti, eventualmente ridimensionati in caso di “settimana corta”. 12) Sentenza della Corte Costituzionale n. 405/2001. Si rende noto che, con la sentenza n. 405 del 3-14 dicembre 2001, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, 1° comma, della legge 1204/71 nella parte in cui esclude la corresponsione della indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 2, lett. a) della medesima legge (vigente all’epoca del procedimento instaurato davanti alla Corte). Ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del D. Lgs. 151/2001, nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma 3, lett. a) del medesimo decreto legislativo. In attuazione della suddetta sentenza, pertanto, il diritto alla indennità di maternità potrà essere riconosciuto anche nei casi di licenziamento per giusta causa che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli artt. 16 e 17 del T.U.. La presente disposizione è applicabile alle fattispecie pregresse per le quali non sia intervenuta prescrizione, decadenza o sentenza passata in giudicato. 13) Requisito contributivo in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione. Il comma 5 dell’art. 24 del T.U. recita testualmente: “La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e, nell’ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali. ”. Ciò, a differenza dell’art. 17 comma 4 della legge 1204/1971 (non più in vigore) che prevedeva per la lavoratrice nelle medesime condizioni di cui al suddetto comma 5 dell’art. 24 ora vigente, il possesso di 26 contributi settimanali nell’assicurazione di malattia. Com’è noto, infatti, la norma della legge 1204 era già divenuta non più attuale, essendo venuto meno, dal 1/1/1998, l’obbligo di versamento all’INPS (Ente subentrato agli Enti assicuratori di malattia) dei contributi di malattia per il S.S.N.. Le Sedi, pertanto, dovranno ricercare il requisito di cui trattasi (26 contributi settimanali nell’ultimo biennio, sempre che non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro), nell’ambito della sola contribuzione di maternità. Eventuali domande per congedo di maternità avanzate da lavoratrici che siano state licenziate, ma che non abbiano diritto alla indennità di disoccupazione, in quanto non soggette all’obbligo assicurativo per la disoccupazione, potranno essere accolte, quindi, subordinatamente alla verifica del suddetto requisito. IL DIRETTORE GENERALE f.f. PRAUSCELLO Note (1) Esempio: Congedo parentale già fruito come “genitore solo”: MADRE 4 mesi 5 mesi 6 mesi 6 mesi e 10 giorni 7 mesi 8 mesi 9 mesi 10 mesi PADRE 4 mesi 5 mesi 6 mesi 7 mesi 7 mesi e 10 giorni 8 mesi 9 mesi 10 mesi

Congedo parentale fruibile dall’altro genitore che successivamente ha riconosciuto il figlio: PADRE 7 mesi 6 mesi 5 mesi 4 mesi e 20 giorni 4 mesi 2 mesi 1 mese zero MADRE 6 mesi 6 mesi 5 mesi 4 mesi 3 mesi e 20 giorni 3 mesi 2 mesi 1 mese

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(2) Si riportano a titolo esemplificativo alcuni casi, in cui l’inizio dell’obbligo di astenersi dal lavoro sia fissato al 1° 11. 2002. Negli esempi si ipotizza che il periodo di flessibilità richiesto sia pari al massimo (e cioè corrispondente al mese di novembre 2002) e che non si verifichino eventuali prolungamenti del periodo di astensione post partum dovuti a “parto prematuro”: Attestazioni sanitarie rilasciate (datate) Riconoscibilità della prestazione a) prima del 7° mese di gravidanza (prima cioè del 1° ottobre) non riconoscibilità b) nel corso del 7° mese di gravidanza (e cioè tra il 1° ottobre e 1° novembre 2002) riconoscibilità fino al termine del quarto mese dopo il parto c) 11 novembre (nel corso dell’8° mese di gravidanza) riconoscibilità dall’11 novembre e fino al 20° giorno del quarto mese dopo il parto d) successivamente al 1° dicembre (dopo l’8° mese di gravidanza) riconoscibilità solo per il mese precedente la data presunta del parto e per tre mesi successivi al parto

Allegato 1

MESSAGGIO n. p. 2001/0005/000569 del 27 giugno 2001 DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI A SOSTEGNO DEL REDDITO OGGETTO: Ulteriori periodi di congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare. Il D. Lgs. n. 151 del 26.3.2001 contenente il T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità (inviato a codeste Sedi, per una immediata conoscenza con il Msg. n. 485 del 1.6.2001), stabilisce, all’art. 32, che ciascun genitore ha diritto al congedo parentale per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di vita. Di conseguenza, in caso di parto gemellare o plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per ogni nato del numero di mesi di congedo parentale previsti dallo stesso art. 32 (in sintesi, per ciascun figlio, fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi per il padre, nel limite complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i genitori). Le modalità di fruizione dei periodi ed i criteri relativi al trattamento economico restano, quindi, quelli stabiliti in applicazione della legge 53/2000 e riportati nella circ. 109 del 6.6.2000. Il genitore che intenda avvalersi di ulteriori periodi di congedo parentale per la presenza di due o più figli gemelli dovrà presentare separate domande sul nuovo Mod. AST. FAC. (v. circ. n. 103 del 11.5.2001), predisposto per l’acquisizione delle informazioni necessarie al completo esame delle domande. Con l’occasione si precisa che per il parto plurimo non è previsto, invece, il diritto ad ulteriori periodi di congedo di maternità (astensione obbligatoria). IL DIRETTORE CENTRALE ZICCHEDDU Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 "Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa. (Testo A)."

… omissis …

Articolo 47 (R) Dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorieta'

1. L'atto di notorieta' concernente stati, qualita' personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato e' sostituito da dichiarazione resa e sottos critta dal medesimo con la osservanza delle modalita' di cui all'articolo 38. 2. La dichiarazione resa nell'interesse proprio del dichiarante puo' riguardare anche stati, qualita' personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza. 3. Fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualita' personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo 46 sono comprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta'. 4. Salvo il caso in cui la legge preveda espressamente che la denuncia all'Autorita' di Polizia Giudiziaria e' presupposto necessario per attivare il procedimento amministrativo di rilascio del duplicato di documenti di riconoscimento o comunque attestanti stati e qualita' personali dell'interessato, lo smarrimento dei documenti medesimi e' comprovato da chi ne richiede il duplicato mediante dichiarazione sostitutiva.

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SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N. 405 DEL 14 DICEMBRE 2001

LA CORTE COSTITUZIONALE ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 2000 dal Tribunale di Prato nel procedimento civile vertente tra Mei Antonella contro Poste Italiane s.p.a., iscritta al n. 280 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2000. Visto l’atto di costituzione di Mei Antonella; udito nell’udienza pubblica del 6 novembre 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto in fatto 1. – Il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 14 marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), il quale esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa che si verifichi durante i periodi di interdizione dal lavoro. Il Tribunale premette in fatto di essere stato adito da una dipendente delle Poste Italiane S.p.A., la quale chiedeva che le fosse corrisposta l’indennità di maternità nei periodi di astensione obbligatoria, assumendo di essere stata licenziata per giusta causa durante il periodo di interdizione anticipata dal lavoro e di non aver percepito la relativa indennità, in quanto l’art. 17, primo comma, della legge n. 1204 del 1971, applicato dal datore di lavoro, esclude appunto tale diritto in caso di licenziamento per giusta causa. Il giudice a quo afferma che la disposizione in oggetto appare contraddistinta da un intento punitivo in palese contrasto con il carattere assistenziale dell’indennità e con le ragioni di ordine pubblico poste a tutela della lavoratrice madre, che si fondano sullo stato obiettivo della gravidanza e che trascendono l’interesse e il merito delle persone. Pertanto, ad avviso del rimettente, la norma in esame si porrebbe in contrasto con l’art. 31, secondo comma, della Costituzione, che impone alla Repubblica la protezione della maternità e dell’infanzia, nonchè con l’art. 37, primo comma, che assicura alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione e garantisce alla donna lavoratrice le condizioni che le consentono l’adempimento della sua essenziale funzione familiare. Il giudice rimettente ravvisa inoltre un contrasto con il principio di eguaglianza, che deriva dalla comparazione tra il primo ed il secondo comma della stessa disposizione, poichè quest’ultimo garantisce il godimento dell’indennità anche alle lavoratrici disoccupate, senza distinguere in ordine alle ragioni del licenziamento, purchè non siano trascorsi più di sessanta giorni tra l’inizio della disoccupazione e quello dell’astensione. Vi sarebbe una ingiustificata ed illogica disparità di trattamento fra la previsione del diritto all’indennità della lavoratrice licenziata per giusta causa nei sessanta giorni precedenti l’inizio dell’astensione e la esclusione della medesima indennità nei confronti della lavoratrice licenziata per giusta causa durante il periodo di astensione obbligatoria. 2. – Si é costituita la ricorrente nel giudizio a quo, insistendo per l’accoglimento della questione. La difesa della detta parte afferma che la tutela della maternità, costituente lo scopo della legge n. 1204 del 1971, incontra dei limiti legati alla sussistenza del rapporto o ai casi in cui questo sia stato da poco interrotto. In particolare, il secondo comma dell’art. 17, stabilendo una correlazione tra il diritto al trattamento di maternità e il versamento della contribuzione, pone un limite temporale tra la cessazione del rapporto e l’inizio dell’astensione, che può dilatarsi solo per effetto del godimento di trattamenti connessi ai versamenti contributivi ovvero alla sussistenza di un numero minimo di contributi versati. In tale sistema, l’esclusione del trattamento di maternità per le lavoratrici licenziate per giusta causa risulterebbe incongrua, soprattutto ove si rilevi che essa appare dettata da un intento punitivo, che estende i propri effetti anche sul nascituro; e ciò in palese contrasto con il dettato costituzionale e particolarmente con gli artt. 2, 3, 29, 31 e 37 della Costituzione. Infine la difesa della ricorrente sostiene che, ai fini della corresponsione del trattamento di maternità, la causa della cessazione del rapporto dovrebbe ritenersi irrilevante, dal momento che l’indennità é stata riconosciuta anche alle lavoratrici autonome. Considerato in diritto 1. – Il Tribunale di Prato dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) – successivamente trasfuso nell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53) – perchè tale norma non prevede la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento per colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, che si verifichi durante i periodi di interdizione dal lavoro. Questa esclusione determinerebbe, ad avviso del rimettente, la violazione degli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si attuerebbe tra le lavoratrici madri in relazione alla causa del licenziamento e per la lesione dei principi costituzionali che proteggono la maternità e l’infanzia e che impongono una speciale adeguata tutela della madre lavoratrice e del bambino. 2. – La questione é fondata. L’art. 17 della legge n. 1204 del 1971 prevede la corresponsione dell’indennità di maternità in una serie di ipotesi nelle quali il rapporto di lavoro venga a cessare nel corso del periodo di astensione obbligatoria ovvero non sia più in atto già nel momento

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iniziale di tale periodo. In particolare, l’indennità é dovuta nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall’art. 2, lettere b) e c), che si verifichino durante i periodi di interdizione dal lavoro (cessazione dell’attività dell’azienda cui é addetta la lavoratrice, ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice é stata assunta, scadenza del termine); e, in presenza di specifici requisiti temporali, essa é corrisposta anche alle lavoratrici che all’inizio del periodo di astensione obbligatoria si trovino ad essere sospese, assenti senza retribuzione, ovvero disoccupate. L’ipotesi del licenziamento per colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, é invece esclusa ai fini dell’attribuzione dell’indennità di maternità dalla norma in esame; onde la necessità di verificarne la conformità a Costituzione. 2.1. – Nelle numerose pronunce in tema di tutela delle lavoratrici madri (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 361 del 2000, n. 310 del 1999, n. 423 del 1995, n. 132 del 1991), questa Corte ha posto in rilievo la duplice finalità del sostegno economico alle lavoratrici nei periodi di astensione obbligatoria, consistente nella necessità di tutelare la salute della donna e del nascituro (soprattutto attraverso lo strumento dell’astensione dal lavoro) e di evitare che la maternità possa soffrire a causa del bisogno economico; ha poi affermato che la protezione del valore della maternità può essere attuata con interventi legislativi di contenuto e modalità anche diversi in relazione alle caratteristiche di ciascuna delle situazioni considerate, ritenendo legittima la modulazione della disciplina purchè non risolventesi in una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela. Queste argomentazioni devono invocarsi anche in relazione alla mancata attribuzione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento della lavoratrice, previsto dall’art. 2, lettera a), della legge n. 1204 del 1971. La tutela della maternità, bene protetto dal legislatore attraverso le molteplici misure contenute nella legge in esame, non può venir meno in relazione alle cause di risoluzione del rapporto di lavoro. Gli interventi legislativi succedutisi in materia attestano come il fondamento della protezione sia sempre più spesso e sempre più nitidamente ricondotto alla maternità in quanto tale e non più, come in passato, solo in quanto collegata allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata; oltre ai casi contemplati dalla legge n. 1204 del 1971, nei quali l’indennità é corrisposta pur in assenza di un rapporto lavorativo in atto, deve ricordarsi come il trattamento di maternità sia stato esteso alle lavoratrici autonome e alle libere professioniste dalle leggi 29 dicembre 1987, n. 546, e 11 dicembre 1990, n. 379; e ancora che a sostegno della maternità é stata prevista la concessione di un assegno nei casi di limitate risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza della madre (art. 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; art. 49 della legge 23 dicembre 1999, n. 488; art. 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388; art. 74 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151). La speciale protezione della maternità, che gli artt. 31 e 37 della Costituzione assicurano, non può ritenersi attuata dalla norma in esame, la quale esclude il diritto all’indennità in funzione della ragione del licenziamento, cui é in tal modo attribuito rilievo preponderante rispetto allo stato oggettivo della gravidanza e del puerperio. Nè può considerarsi rispettato dalla norma impugnata il principio di ragionevolezza, non essendo giustificabile il pregiudizio derivante dalla negazione di qualunque trattamento di maternità; mentre il fatto che ha dato causa al licenziamento trova comunque in esso efficace sanzione. Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, del la legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi di licenziamento prevista dalla lettera a) dell’art. 2 della medesima legge. 2.2. – La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve poi estendersi, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, all’art. 24 del testo unico n. 151 del 2001, nel quale é stato trasfuso il contenuto della disposizione impugnata. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 2, lettera a), della medesima legge; dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma 3, lettera a), del medesimo decreto legislativo. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001. INTERPELLO N. 32/2008 Roma, 19 agosto 2008 Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali Prot. 25/I/0011428 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – interruzione di gravidanza prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione – applicabilità dell’art 20 del D.P.R. n. 1026/1976. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha proposto istanza di interpello per conoscere il parere di questa Direzione sui seguenti quesiti.

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L’istante chiede se sia possibile qualificare come “malattia determinata da gravidanza” l’interruzione della gravidanza intervenuta prima del 180° giorno dal suo inizio, stante il disposto dell’art 12 del D.P.R. n. 1026/1976 che considera tale interruzione, non come parto, ma come aborto e se conseguentemente sia applicabile la speciale tutela prevista dall’art 20 del D.P.R. n. 1026/1976, secondo cui “non sono computabili, agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi per il trattamento normale di malattia, i periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza”. Inoltre, in caso di confermata esclusione di tale periodo morboso (malattia determinata da gravidanza) dal computo del periodo di comporto, l’interpellante chiede se sia necessaria una certificazione rilasciata da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o sia sufficiente la certificazione medica del medico di base del Servizio sanitario nazionale. In relazione a quanto sopra, acquisito il parere favorevole della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro, si rappresenta quanto segue. L’art. 19 del D.Lgs. n. 151/2001 sancisce che “l’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è considerata a tutti gli effetti come malattia”. L’INPS, con circ. n. 139/2002, richiamando l’art 19 citato, qualifica l’interruzione di gravidanza come malattia e precisa che tale fattispecie rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 1026/1976, riconoscendo implicitamente che l’interruzione di gravidanza sia qualificabile come malattia determinata da gravidanza di cui al predetto articolo 19. Nello stesso senso l’INAIL, nelle circolari n. 48/1993 e n. 51/2001, ha riconosciuto che le assenze per interruzione di gravidanza avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione, non si cumulano con precedenti o successivi periodi di malattia e che non sono quindi computabili nel periodo massimo previsto dalla normativa contrattuale per la conservazione del posto di lavoro (c.d. periodo di comporto). Si evidenzia inoltre che questa Direzione, nella risposta ad interpello del 16 novembre 2006, si è già occupata della corretta interpretazione dell’art 20 del D.P.R. n. 1026/1976, sotto il profilo dell’incidenza o meno della malattia insorta durante il periodo di puerperio, sul periodo di comporto, chiarendo che la suddetta disposizione – ispirandosi alla necessità di concedere condizioni di maggior favore per il computo del periodo massimo di assistenza di malattia da parte dell’Istituto assicuratore – opera sia per le malattie connesse con lo stato di gravidanza che per quelle determinate da puerperio. Tenuto conto della ratio sottesa alla disposizione in questione ed in assenza di norme contrarie, si riteneva conclusivamente che il periodo di malattia connesso al puerperio non incidesse, indipendentemente dalla durata, sul computo del periodo di comporto. Dalla ricostruzione della normativa vigente e dal contesto delle disposizioni applicative sopra riportate, emerge con evidente chiarezza che l’interruzione di gravidanza nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della L. n. 194/1978 è qualificata come malattia. Inoltre, poiché la stessa interruzione di gravidanza, avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione, è qualificata altresì come aborto, ai sensi dell’art 12 del D.P.R. n. 1026/1976, appare legittimo ed in assenza di disposizioni contrarie operare una interpretazione sistematica delle norme citate e considerare l’aborto come malattia e nella specie “malattia determinata da gravidanza”, stante la connessione naturale tra i due eventi (gravidanza e aborto). Pertanto, in risposta al primo quesito avanzato, è possibile concludere affermando che in caso di interruzione di gravidanza entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione trova applicazione la speciale tutela di cui all’art 20 del D.P.R. n. 1026/1976 (non computabilità agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi per il trattamento normale di malattia, dei periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza). Con riferimento al secondo quesito infine non si ritiene necessario, ai fini della prova della morbosità determinata da gravidanza, la produzione di un certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale, ma un certificato rilasciato da un medico di base convenzionato. Ciò in quanto l’art. 76 del D.Lgs. n. 151/2001 sancisce che “al rilascio dei certificati medici del presente testo unico, salvo i casi di ulteriore specificazione, sono abilitati i medici del Servizio sanitario nazionale”. IL DIRETTORE GENERALE (f.to Paolo Pennesi) Decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026 Regolamento di esecuzione della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici[...]

… omissis …

Art. 20.

Non sono computabili, agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi per il trattamento normale di malattia, i periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza, ancorché non rientrante nei casi previsti dalla lettera a) dell’art. 5 della legge, o da puerperio.

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Legge 24 dicembre 2007, n. 244 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)"

… omissis …

Art. 2. (Disposizioni concernenti le seguenti Missioni:

Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali; L’Italia in Europa e nel mondo; Difesa e sicurezza del territorio; Giustizia; Ordine pubblico e sicurezza; Soccorso civile; Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca; Energia e diversificazione delle fonti energetiche;

Competitivita` e sviluppo delle imprese; Diritto alla mobilita`; Infrastrutture pubbliche e logistica; Comunicazioni; Commercio internazionale ed internazionalizzazione del sistema produttivo; Ricerca e innovazione; Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e

dell’ambiente; Tutela della salute; Tutela e valorizzazione dei beni e attivita` culturali e paesaggistici; Istruzione scolastica; Istruzione universitaria; Diritti sociali, solidarieta` sociale e famiglia; Politiche previdenziali; Politiche per il lavoro; Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti; Sviluppo e riequilibrio territoriale; Giovani e sport; Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche)

… omissis …

452. L’articolo 26 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita` e della parternita`, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e` sostituito dal seguente: «Art. 26. – (Adozioni e affidamenti). – 1. Il congedo di maternita` come regolato dal presente Capo spetta, per un periodo massimo di cinque mesi, anche alle lavoratrici che abbiano adottato un minore. 2. In caso di adozione nazionale, il congedo deve essere fruito durante i primi cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. 3. In caso di adozione internazionale, il congedo puo` essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva. Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo puo` essere fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia. 4. La lavoratrice che, per il periodo di permanenza all’estero di cui al comma 3, non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternita`, puo` fruire di un congedo non retribuito, senza diritto ad indennita`. 5. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza all’estero della lavoratrice. 6. Nel caso di affidamento di minore, il congedo puo` essere fruito entro cinque mesi dall’affidamento, per un periodo massimo di tre mesi». 453. L’articolo 27 del citato decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e` abrogato. 454. L’articolo 31 del citato decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e` sostituito dal seguente: «Art. 31. – (Adozioni e affidamenti). – 1. Il congedo di cui all’articolo 26, commi 1, 2 e 3, che non sia stato chiesto dalla lavoratrice spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore. 2. Il congedo di cui all’articolo 26, comma 4, spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza all’estero del lavoratore». Circolare INPS n. 16 del 4 febbraio 2008 OGGETTO: Art. 2, commi 452-456, Legge 24 dicembre 2007 n. 244 (Finanziaria 2008). Congedo di maternità/paternità e congedo parentale in caso di adozioni e affidamenti: sostituzione degli artt. 26, 31, 36 ed abrogazione degli artt. 27 e 37 del D.Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità/paternità). SOMMARIO: 1. In caso di adozione di minore, il congedo di maternità di cui al Capo III del D.Lgs. 151/2001 (T.U. delle disposizioni legislative a tutela e sostegno della maternità/paternità) spetta per un periodo di cinque mesi dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale il congedo può essere fruito anche durante il periodo di permanenza all’estero. Nell’ipotesi di affidamento il congedo spetta per un periodo di tre mesi e può essere fruito entro cinque mesi dall’affidamento. 2. Il padre lavoratore può fruire del congedo di cui sopra alle medesime condizioni previste per la lavoratrice, qualora la stessa non se ne avvalga. 3. Il congedo parentale di cui al Capo V del D.Lgs. 151/2001 (TU. delle disposizioni legislative a tutela e sostegno della maternità/paternità) può essere fruito dai genitori adottivi e affidatari entro otto anni dall’ingresso del minore in famiglia e, comunque, non oltre il raggiungi mento della maggiore età del minore adottato o affidato. 1. CONGEDO DI MATERNITÀ IN CASO DI ADOZIONE E AFFIDAMENTO Per effetto dell’art. 2, commi 452 e 453, Legge Finanziaria per il 2008, gli artt. 26 e 27 del D.Lgs. 151/2001 - T.U. delle disposizioni legislative a tutela e sostegno della maternità/paternità (di seguito T.U.) sono stati, rispettivamente, sostituito e abrogato. Si riporta di seguito il testo dell’art. 26 T.U. novellato:

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“1. Il congedo di maternità come regolato dal presente Capo spetta, per un periodo massimo di cinque mesi, anche alle lavoratrici che abbiano adottato un minore. 2. In caso di adozione nazionale, il congedo dev’essere fruito durante i primi cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. 3. In caso di adozione internazionale, il congedo può essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva. Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo può essere fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia. 4. La lavoratrice che, per il periodo di permanenza all’estero di cui al comma 3, non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternità, può fruire di un congedo non retribuito, senza diritto ad indennità. 5. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza all’estero della lavoratrice. 6. Nel caso di affidamento di minore, il congedo può essere fruito entro cinque mesi dall’affidamento, per un periodo massimo di tre mesi”. La riforma di cui all’art. 26 T.U. opera per gli ingressi in famiglia (adozioni nazionali) o ingressi in Italia (adozioni internazionali) verificatisi dal 1° gennaio 2008 nonché per gli ingressi avvenuti nell’anno 2007, relativamente ai quali non sia decorso l’arco temporale dei cinque mesi dall’ingresso in famiglia o in Italia del minore. In merito a tali ultimi ingressi (anno 2007), gli eventuali ulteriori periodi di congedo riconosciuti sulla base delle nuove disposizioni saranno indennizzabili a condizione che ricadano dal 1° gennaio 2008. Si rileva che gli interessati potranno avvalersi dell’estensione del periodo di congedo anche quando i tre mesi previsti dalla normativa previgente siano stati fruiti per intero nell’anno 2007, fermo restando che non deve essere decorso il periodo dei cinque mesi dall’ingresso in famiglia o in Italia del minore. Gli eventuali periodi ricadenti nell’anno 2007, che si collochino oltre i tre mesi dall’ingresso in famiglia del minore, non potranno essere indennizzati a titolo di maternità ancorché ricompresi nei predetti cinque mesi. Con particolare riguardo alle ipotesi di affidamento di cui al comma 6, le nuove disposizioni si applicano agli affidamenti con decorrenza 1° gennaio 2008; relativamente agli affidamenti disposti nell’anno 2007, il congedo e correlativo trattamento economico sono riconoscibili all’interessata a condizione che non siano decorsi cinque mesi dalla data di affidamento del minore, arco temporale entro il quale la stessa ha diritto a fruire di un periodo di congedo complessivamente pari a tre mesi. 1.1 ADOZIONE NAZIONALE In attuazione delle nuove disposizioni di legge , la lavoratrice che adotta un minore (ai sensi degli artt. 6 e ss. della legge 184/1983 e successive modificazioni) ha diritto all’astensione dal lavoro per un periodo pari a cinque mesi a prescindere dall’età del minore all’atto dell’adozione . Il diritto, pertanto, è riconosciuto anche che se il minore, all’atto dell’adozione, abbia superato i sei anni di età e spetta per l’intero periodo, anche nell’ipotesi in cui durante il congedo lo stesso raggiunga la maggiore età. La lavoratrice ha diritto al congedo per i primi cinque mesi decorrenti dal giorno successivo all’effettivo ingresso del minore nella propria famiglia (comma 2); a tale periodo deve essere aggiunto, per analogia con le madri biologiche, anche il giorno di ingresso del minore nella famiglia dell’interessata. Conseguentemente, il congedo complessivamente riconoscibile in favore delle madri adottive è pari a cinque mesi ed un giorno. Si rileva che le istruzioni di cui al presente paragrafo trovano applicazione anche laddove, al momento dell’ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice, lo stesso si trovi in affidamento preadottivo come previsto dagli artt. 22 e ss. della legge 184/1983; ovviamente, in tale ipotesi, il diritto al congedo ed alla relativa indennità cessano dal giorno successivo all’eventuale provvedimento di revoca dell’affidamento medesimo pronunciato dal Tribunale ai sensi dell’art. 23 della legge 184/1983. Tale circostanza dovrà essere tempestivamente comunicata all’Istituto dalla lavoratrice interessata. In via transitoria, si fa presente che, per gli ingressi in famiglia verificatisi nell’anno 2007, il congedo e la relativa indennità sono riconoscibili per tutti i periodi di effettiva astensione dal lavoro ricadenti nell’anno 2008 purché fruiti entro i cinque mesi succe ssivi all’ingresso in famiglia del minore. Fermo restando tale arco temporale, la lavoratrice che si sia eventualmente astenuta ad altro titolo (congedo parentale, ferie, ecc.) potrà commutare il titolo dell’assenza in congedo di maternità, con conseguente diritto al correlativo trattamento economico, relativamente ai periodi di effettiva astensione ricadenti nell’anno 2008. A tal fine, l’interessata dovrà presentare apposita domanda entro il termine prescrizionale di un anno decorrente dal giorno successivo alla fine del periodo indennizzabile a titolo di maternità. 1.2 ADOZIONE INTERNAZIONALE Analogamente a quanto previsto in caso di adozione nazionale, la lavoratrice che adotta un minore straniero (ai sensi della legge 4 maggio n. 1983, n. 184, e successive modificazioni, artt. 29 e ss.) ha diritto all’astensione dal lavoro per un periodo pari a cinque mesi a prescindere dall’età del minore all’atto dell’adozione; il diritto spetta per l’intero periodo anche nel caso in cui, durante il congedo, il minore raggiunga la maggiore età. Il congedo può essere fruito nei cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia risultante dall’autorizzazione rilasciata, a tal fine, dalla Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 32, L. 184/1983). A tale periodo di congedo si aggiunge il giorno di ingresso in Italia del minore cosicché, anche nella fattispecie, il periodo massimo complessivamente spettante è pari a cinque mesi ed un giorno. Ferma restando la durata massima del periodo di astensione (cinque mesi ed un giorno), il congedo può essere fruito, anche parzialmente, prima dell’ingresso in Italia del minore, per consentire alla lavoratrice la permanenza all’estero finalizzata all’incontro con il minore ed agli adempimenti relativi alla procedura adottiva (comma 3); tale periodo di congedo può essere fruito anche in modo frazionato. Il congedo non fruito antecedentemente all’ingresso del minore in Italia è fruito, anche frazionatamente, entro i cinque mesi d al giorno successivo all’ingresso medesimo.

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La lavoratrice che per il periodo di permanenza all’estero non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternità, può comunque avvalersi di periodi di congedo non indennizzati né retribuiti. Il godimento di tali periodi non è di interesse per l’Istituto (comma 4). I periodi di permanenza all’estero correlati alla procedura adottiva sono certificati dall’Ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione; pertanto, la domanda di indennità a titolo di congedo di maternità, relativamente ai suddetti periodi, dovrà essere corredata della suddetta certificazione. In mancanza, la domanda stessa potrà essere liquidata subordinatamente alla regolarizzazione mediante esibizione della documentazione richiesta. Si rammenta che le istruzioni di cui al presente paragrafo trovano applicazione anche laddove, al momento dell’ingresso del minore in Italia, lo stesso si trovi in affidamento preadottivo; tali sono le ipotesi in cui l’adozione debba essere pronunciata dal Tribunale italiano successivamente all’ingresso del minore in Italia ai sensi dell’art. 35, comma 4, L.184/1983. In caso di revoca dell’affidamento preadottivo pronunciata dal Tribunale, il diritto al congedo ed alla relativa indennità cessano dal giorno successivo; di tale circostanza la lavoratrice interessata dovrà darne opportuna e tempestiva comunicazione all’Istituto. In via transitoria, si fa presente che, relativamente agli ingressi in famiglia avvenuti nell’anno 2007, potranno essere indennizzati tutti i periodi di effettiva astensione dal lavoro ricadenti nell’anno 2008 purché fruiti entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia. A tal fine, l’interessata dovrà esibire la documentazione attestante l’ingresso in Italia (vedi sopra). Nei limiti dei cinque mesi decorrenti dal suddetto ingresso, la lavoratrice che abbia fruito nel corso dell’anno 2008 di eventuali periodi di astensione dal lavoro ad altro titolo (congedo parentale, ferie, ecc.) potrà commutare il titolo dell’assenza in congedo di maternità ed ottenere, su domanda, il correlativo trattamento economico. Si precisa che non potranno essere indennizzati dall’Istituto i periodi di permanenza all’estero, già contemplati dalla normativa previgente, ricadenti nell’anno 2007 ancorché riferentisi ad ingressi in Italia avvenuti nel 2008. 1.3 AFFIDAMENTO La lavoratrice che prende in affidamento un minore ai sensi della legge 184/1983, artt. 2 e ss. (affidamento non preadottivo) ha diritto all’astensione dal lavoro per un periodo complessivo pari a tre mesi entro l’arco temporale di cinque mesi decorrenti dalla data di affidamento del minore all’interessata; entro i predetti cinque mesi, il congedo in esame è fruito dall’interessata in modo continuativo o frazionato. Il congedo spetta a prescindere dall’età del minore all’atto dell’affidamento ed è riconosciuto, pertanto, anche per minori che, all’atto dell’affidamento, abbiano superato i sei anni di età. In via transitoria si fa presente che, relativamente agli ingressi in famiglia disposti nell’anno 2007, il congedo eventualmente non fruito nei primi tre mesi dall’ingresso in famiglia del minore potrà essere fruito in via continuativa o frazionata nell’anno 2008, purché non oltre i cinque mesi dalla data di affidamento. 2. CONGEDO DI PATERNITA’ IN CASO DI ADOZIONE E AFFIDAMENTO Per effetto dell’art. 2, comma 454, Legge Finanziaria per il 2008, l’art. 31 T.U. è stato sostituito. Si riporta di seguito l’art. 31 T.U. novellato: “1. Il congedo di cui all’art. 26, commi 1, 2 e 3, che non sia stato chiesto dalla lavoratrice spetta , alle medesime condizioni, al lavoratore. 2. Il congedo di cui all’art. 26, comma 4, spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza all’estero del lavoratore”. In attuazione della disposizione richiamata, il congedo di paternità spetta, per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua, al padre lavoratore dipendente subordinatamente al verificarsi di una delle condizioni di cui all’art. 28 T.U. (decesso o grave infermità della madre, abbandono, affidamento esclusivo) nonché in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che vi rinunci anche solo parzialmente. Il diritto al congedo di paternità spetta al padre richiedente alle medesime condizioni previste per la madre avente diritto; pertanto, per gli aspetti non considerati nel presente paragrafo si rinvia a quanto sopra illustrato in merito al congedo di maternità, nonché alle istruzioni già fornite in precedenza in varie circolari e messaggi. 3. CONGEDO PARENTALE IN CASO DI ADOZIONE NAZIONALE E INTERNAZIONALE E DI AFFIDAMENTO Per effetto dei commi 455 e 456 dell’art. 2 della Legge Finanziaria per il 2008, gli artt. l’art. 36 e 37 T.U. sono stati, rispettivamente, sostituito e abrogato. Si riporta di seguito il novellato art. 36 T.U. “Il congedo parentale di cui al presente Capo spetta anche nel caso di adozione, nazionale e internazionale, e di affidamento. Il congedo parentale può essere fruito dai genitori adottivi e affidatari, qualunque sia l’età del minore, entro otto anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il raggiugimento della maggiore età. L’indennità di cui all’art. 34, comma 1, è dovuta, per il massimo complessivo ivi previsto, nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia”. In attuazione delle nuove disposizioni, i genitori adottivi e affidatari, analogamente ai genitori biologici, possono fruire del congedo parentale entro i primi otto anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’adozione o affidamento e comunque non oltre il compimento della maggiore età dello stesso. Fermi restando i predetti limiti temporali (oltre i quali non spettano né il congedo né la relativa indennità) il trattamento economico pari al 30% della retribuzione è riconoscibile per un periodo massimo complessivo di sei mesi tra i due genitori entro i tre anni dall’ingresso del minore in famiglia; viceversa, qualunque periodo di congedo richiesto oltre i tre anni dall’ingresso (anche, ad

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esempio, il primo mese) nonché i periodi di congedo ulteriori rispetto ai sei mesi (settimo, ottavo e così via), ancorché fruiti entro i primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia, potranno essere indennizzati a tale titolo subordinatamente alla verifica delle condizioni reddituali previste dal comma 3 dell’art. 34 T.U. Si fa presente che, anche relativamente agli ingressi in famiglia verificatisi nell’anno 2007, il congedo parentale è fruibile ed indennizzabile, dal 1° gennaio 2008, entro i limiti temporali sopra illustrati; ovviamente, dovranno essere tenuti in considerazione, ai fini del computo del periodo complessivamente spettante a tale titolo, eventuali periodi di congedo già fruiti dai genitori interessati antecedentemente al 1° gennaio 2008. Considerate le modifiche normative introdotte dalla Legge Finanziaria 2008, devono considerarsi superate le istruzioni precedentemente fornite in materia, da ultimo con messaggio n. 22913 del 20.09.2007. Si fa riserva di fornire la nuova modulistica, congrua con le disposizioni di cui alla presente circolare. 4. ISTRUZIONI PROCEDURALI Sono in corso gli adeguamenti delle applicazioni informatiche interessate dalla nuova disciplina relativa al congedo di maternità/paternità e congedo parentale in caso di adozioni ed affidamenti. Entro il più breve tempo possibile sarà data comunicazione della disponibilità degli aggiornamenti necessari. Il Direttore generale Crecco MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE DECRETO 12 luglio 2007 Applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, a tutela e sostegno della maternita' e paternita' nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.

IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE di concerto con

IL MINISTRO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE Visto l'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che ha previsto l'istituzione di un'apposita gestione separata presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), in favore di lavoratori privi di altre forme di tutela previdenziale; Visto l'art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che ha previsto, tra l'altro, l'estensione, agli iscritti alla predetta gestione separata, della tutela relativa alla maternita' e agli assegni al nucleo familiare nei limiti delle risorse rivenienti dallo specifico contributo fissato nella misura dello 0,5 per cento; Visto l'art. 51, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, che, nell'estendere agli iscritti alla predetta gestione separata la tutela contro il rischio di malattia in caso di degenza ospedaliera, ha imputato anche tale onere alle risorse derivanti dal gettito del citato contributo dello 0,5 per cento; Visto l'art. 80, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che ha interpretato il citato art. 59, comma 16, della legge n. 449 de l 1997, nel senso che la tutela ivi prevista relativa alla maternita' ed agli assegni al nucleo familiare avviene nelle forme e con le modalita' previste per il lavoro dipendente; Visto il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno alla maternita' ed alla paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; Visto il decreto interministeriale 4 aprile 2002, con il quale, a decorrere dal 1° gennaio 1998, e' stata stabilita la corresponsione di un'indennita' di maternita' per i due mesi antecedenti la data del parto ed i tre mesi successivi alla data stessa in favore delle madri lavoratrici iscritte alla predetta gestione separata e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento ai sensi del suddetto art. 59, comma 16, della legge n. 449 del 1997; Visto l'art. 1, comma 791, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che prevede l'emanazione di un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per disciplinare l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del citato decreto legislativo n. 151 del 2001, a tutela e sostegno della maternita' delle lavoratrici iscritte alla gestione separata sopra indicata, nei limiti delle risorse rivenienti dallo specifico gettito contributivo da determinare con il medesimo decreto; Vista la valutazione espressa dall'Istituto nazionale della previdenza sociale finalizzata alla quantificazione degli oneri derivanti dall'estensione alle lavoratrici iscritte alla suddetta gestione separata degli articoli 17 e 22 del decreto legislativo n. 151 del 2001, nonche' alla conseguente individuazione dell'aliquota contributiva aggiuntiva necessaria alla loro copertura; Ritenuto di dover procedere all 'emanazione del predetto decreto previsto dall'art. 1, comma 791, della citata legge n. 296 del 2006;

Decreta: Art. 1.

1. Il divieto di adibire le donne al lavoro per i periodi di cui all'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e' esteso ai committenti di lavoratrici a progetto e categorie assimilate iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8

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agosto 1995, n. 335, di seguito definita «gestione separata», nonche' agli associanti in partecipazione, a tutela delle associate in partecipazione iscritte alla gestione medesima.

Art. 2. 1. Le esercenti attivita' libero professionale iscritte alla gestione separata possono accedere all'indennita' di maternita' a condizione che l'astensione effettiva dall'attivita' lavorativa nei periodi di cui all'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sia attestata da apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta'.

Art. 3. 1. L'estensione del divieto di adibire al lavoro le donne, di cui all'art. 17 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applica: a) integralmente nei confronti delle lavoratrici di cui all'art. 1; b) limitatamente al comma 2, lettera a), del predetto art. 17, nei confronti delle lavoratrici esercenti attivita' libero professionale di cui all'art. 2.

Art. 4. 1. Le lavoratrici a progetto e categorie assimilate, tenute ad astenersi dall'attivita' lavorativa nei periodi di cui agli articoli 1 e 3, hanno diritto, ai sensi dell'art. 66 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, alla proroga della durata del rapporto di lavoro per un periodo di 180 giorni, salva piu' favorevole disposizione del contratto individuale.

Art. 5. 1. Alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata, tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all'art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e' corrisposta un'indennita' di maternita' per i periodi di astensione obbligatoria previsti dall'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L'indennita' e' corrisposta anche per i periodi di divieto anticipato di adibizione al lavoro e per i periodi di interdizione dal lavoro autorizzati ai sensi dell'art. 17 del predetto decreto legislativo n. 151 del 2001. 2. L'indennita' di cui al comma 1 spetta alle lavoratrici in favore delle quali, nei dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile, risultino attribuite almeno tre mensilita' della contribuzione dovuta alla gestione separata, maggiorata delle aliquote di cui all'art. 7. 3. L'indennita' e' corrisposta nella misura prevista dall'art. 4 del decreto 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 giugno 2002, n. 136, e secondo le modalita' ivi previste, previa attestazione di effettiva astensione dal lavoro da parte del lavoratore e del committente e resa nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta'.

Art. 6. 1. Per i periodi di astensione dal lavoro per i quali e' corrisposta l'indennita' di maternita', sono accreditati i contributi figurativi ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura stessa.

Art. 7. 1. Le prestazioni economiche previste dal presente decreto in favore delle lavoratrici tenute ad astenersi dall'attivita' lavorativa nei periodi di cui agli articoli 1, 2 e 3, sono finanziate attraverso un'aliquota aggiuntiva, nella misura di 0,22 punti percentuali, della vigente aliquota dello 0,5 per cento prevista dall'art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Tale aliquota aggiuntiva e' dovuta da tutti gli iscritti alla gestione separata gia' destinatari della predetta aliquota dello 0,5 per cento.

Art. 8. 1. Qualora, a seguito del monitoraggio effettuato dall'I.N.P.S. a decorrere dal secondo anno di applicazione del presente decreto, si verificassero scostamenti rilevanti tra gettito contributivo e prestazioni erogate, l'aliquota dello 0,22 per cento di cui all'art. 7 sara' modificata con ulteriore provvedimento, al fine di consentire la copertura degli oneri sostenuti per le finalita' di cui al presente decreto. Il presente decreto sara' inviato alla Corte dei conti per la registrazione e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 12 luglio 2007

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Circolare INPS n. 137 del 21 Dicembre 2007 OGGETTO: Estensione alle lavoratrici a progetto e categorie assimilate, associate in partecipazione e libere professioniste, iscritte alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, L. 335/1995, delle disposizioni di cui agli artt. 16, 17 e 22 del D.Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità/paternità). Introduzione di un’indennità per congedo parentale a favore dei collaboratori a progetto e categorie assimilate iscritti alla medesima Gestione Separata. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti. SOMMARIO: 1. A decorrere dal 7/11/2007 (data di entrata in vigore del D.M. 12/07/2007), ai committenti e agli associanti in partecipazione è esteso il divieto di adibire al lavoro le lavoratrici a progetto e categorie assimilate e le associate in partecipazione iscritte alla Gestione separata di cui alla L. 335/1995, durante i periodi di cui all’art. 16 (congedo di maternità) e di cui all’art. 17 (interdizione anticipata e prorogata) del D.Lgs.151/2001- T.U. della maternità/paternità. Le libere professioniste iscritte alla citata Gestione separata possono accedere all’indennità di maternità subordinatamente all’effettiva astensione dall’attività lavorativa durante i periodi di cui alle sopracitate disposizioni. La tutela è riconosciuta anche in caso di adozione e affidamento nonché in favore dei lavoratori padri appartenenti ad una delle categorie considerate, iscritti alla gestione medesima. 2. A decorrere dal 1° gennaio 2007, i lavoratori a progetto e categorie assimilate iscritti alla Gestione separata hanno diritto al congedo parentale per un periodo complessivo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino. Il diritto è riconosciuto anche in caso di adozione e affidamento. 1. CONGEDO DI MATERNITÀ E/O PATERNITÀ In attuazione dell’art. 1, comma 791, della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziara per il 2007), il D.M. 12/07/2007 (all. 1), pubblicato sulla G.U. n. 247 del 23/10/2007, ha previsto l’estensione in favore delle lavoratrici a progetto e categorie assimilate , associate in partecipazione e libere professioniste iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della L. 335/1995, delle disposizioni di cui agli artt. 16, 17 e 22 del D.Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità/paternità). Sono assimilate alle collaboratrici a progetto le collaboratrici coordinate e continuative, mentre ad esse non possono essere equiparate le lavoratrici che svolgono prestazioni occasionali ( cioè inferiori a trenta giorni di durata nell’anno solare e con un compenso inferiore a cinquemila euro con lo stesso committente ). In forza del citato decreto, è fatto divieto ai committenti ed agli associanti in partecipazione di adibire al lavoro, rispettivamente, le collaboratrici a progetto e le collaboratrici assimilate nel senso sopra specificato nonché le associate in partecipazione durante i periodi in cui, ai sensi dell’art. 16 del T.U. maternità, è inibito alle lavoratrici dipendenti lo svolgimento dell’attività lavorativa. L’astensione effettiva dal lavoro nei periodi di cui al sopracitato art. 16 è prevista anche per le libere professioniste iscritte alla medesima gestione separata come condizione per accedere all’indennità di maternità eventualmente spettante alle stesse per il titolo in questione (art. 2). L’estensione della disciplina di cui agli artt. 16, 17 e 22 del T.U. (congedo “ordinario”, periodo intercorrente tra data presunta e data effettiva del parto, “parto prematuro”, flessibilità, interdizione anticipata e prorogata e correlativi trattamenti economici), così come operata dal D.M. 12/07/2007 , trova applicazione per i parti e gli ingressi in famiglia la cui data ricada dal 7.11.2007 (compreso) in poi. Viceversa, relativamente ai parti ed agli ingressi in famiglia già verificatisi alla data del 7.11.2007, continua ad essere applicata la disciplina previgente, fermo restando comunque, anche per tali eventi, l’obbligo di astensione per i periodi di congedo successivi alla data di entrata in vigore del decreto in esame. Destinatarie della tutela sono le lavoratrici iscritte alla Gestione separata che non risultino iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria e non siano pensionate. Tali sono le lavoratrici già tenute al versamento della contribuzione maggiorata dello 0,50 per cento, le quali, a far data dal 07/11/2007, hanno l’obbligo di versare un’aliquota aggiuntiva, pari allo 0,22 per cento, destinata al finanziamento delle prestazioni previste dal decreto in questione (art. 7). Per gli aspetti inerenti alla contribuzione si rinvia alle istruzioni fornite con messaggio n. 027090 del 9/11/2007. Il riconoscimento in favore delle lavoratrici interessate dei periodi di congedo di cui agli artt. 16 e 17 del T.U. della maternità/paternità comporta la necessità di assumere a riferimento la data presunta del parto. Pertanto, le lavoratrici medesime hanno l’onere di corredare la domanda di maternità del certificato medico di gravidanza attestante la suddetta data, da presentare in busta chiusa prima dell’inizio del congedo, secondo quanto espressamente disposto dall’art. 21 del sopracitato T.U.. In mancanza del suddetto certificato medico di gravidanza, ai fini della determinazione del periodo indennizzabile a titolo di maternità, verrà presa a riferimento la data effettiva del parto, con conseguente riconoscimento, in favore dell’interessata, di un periodo indennizzabile pari ai due mesi precedenti la data effettiva del parto ed ai tre mesi successivi alla data stessa (periodo complessivamente pari a 5 mesi ed un giorno). Il congedo di maternità può essere richiesto anche dalle lavoratrici madri adottive o affidatarie appartenenti alla categoria di cui trattasi durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso in famiglia di un bambino che, al momento dell’adozione o affidamento nazionale, non abbia superato i sei anni di età. In caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale il congedo spetta sempre per il medesimo periodo anche se il minore abbia superato i sei anni, fino al compimento della maggiore età dello stesso. In tali ipotesi, ovviamente, ai fini della determinazione del periodo di congedo di maternità e del correlativo trattamento economico si tiene conto della data di effettivo ingresso del minore nella famiglia adottiva/affidataria.

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L’obbligo di astensione dall’attività si estende, stante l’espresso rinvio all’art.17 del T.U. (v. art. 3 D.M. 12/07/2007), anche ad eventuali periodi di interdizione anticipata e/o prorogata riconoscibili, in forza del presente decreto, alle lavoratrici appartenenti alla categoria in questione in forza di provvedimento autorizzativo del Servizio ispettivo della Direzione provinciale del lavoro. Nel caso di provvedimenti di interdizione anticipata e/o prorogata la cui decorrenza si collochi in data antecedente all’entrata in vigore del decreto in esame (7.11.2007), ma la cui efficacia si protragga oltre la data suddetta, per i periodi di interdizione ricadenti dal 7.11.2007 in poi l’interessata ha l’obbligo di astensione dal lavoro e potrà altresì percepire il trattamento economico correlativo a condizione che il parto o l’ingresso in famiglia si sia verificato dal 7.11.2007 in poi. Tenuto conto delle differenti tipologie di attività lavorativa che danno titolo alla iscrizione alla gestione separata, il D.M. 12/07/2007 ha previsto l’applicazione integrale della norma contenuta nell’art. 17 T.U. in favore di collaboratrici a progetto (e assimilate) e associate in partecipazione ed ha limitato, invece, nei confronti delle esercenti attività libero professionale, la riconoscibilità dell’interdizione alla sola ipotesi di “gravi complicanze nella gestazione o pregresse forme morbose” di cui all’art. 17, comma 2, lett. a) del medesimo T.U.. Nei limiti sopra illustrati, per i periodi di congedo di cui agli artt. 16 e 17 del T.U. è corrisposta alle lavoratrici interessate l’indennità di maternità di cui al D.M. 04/04/2002, relativamente alla quale sono state già impartite istruzioni operative con circc. 138/2002 e 93/2003, alle quali si rinvia per quanto non espressamente modificato dalle istruzioni contenute nella presente circolare. In particolare, fermo restando l’accertamento dell’effettivo accreditamento di almeno tre mensilità di contribuzione maggiorata (dello 0,50% fino all’entrata in vigore del D.M. 12/07/2007, dello 0,72% per i periodi successivi ) si rileva che i relativi dodici mesi di riferimento, coincidenti con i 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile (art. 5, comma 2, D.M. 12/07/2007), vanno individuati, diversamente da quanto previsto in merito dalla circ. 138/2002, in relazione alla data presunta del parto, anziché in relazione a quella effettiva. Il medesimo arco temporale va preso in considerazione anche ai fini dell’individuazione del reddito di riferimento, utile ai fini del calcolo dell’indennità di maternità. In mancanza della data presunta del parto, il periodo dei dodici mesi di riferimento sarà individuato, in conformità alle precedenti istruzioni, sulla base della data effettiva del parto. Il periodo suindicato sarà ovviamente preso in considerazione anche ai fini del computo del trattamento economico spettante all’interessata. Nel caso di esercizio della flessibilità di cui all’art. 20 del T.U. nonché nell’ipotesi di astensione a titolo di interdizione anticipata ai sensi dell’art. 17 del testo unico medesimo, il requisito contributivo di cui sopra dovrà essere reperito, ovviamente, nei 12 mesi interi precedenti l’inizio del diverso periodo di congedo richiesto dall’interessata. La corresponsione dell’indennità di maternità per i periodi di cui agli artt. 16 e 17 T.U. è subordinata all’effettiva astensione dall’attività lavorativa, previa relativa attestazione nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte della lavoratrice e del committente (o associante in partecipazione) o della libera professionista. I periodi di astensione dall’attività lavorativa per i quali è corrisposta l’indennità di maternità sono coperti da contribuzione figurativa ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura stessa (art. 6, D.M. 12/07/2007 ). I lavoratori padri iscritti alla medesima gestione separata hanno diritto ad astenersi dall’attività lavorativa durante i periodi per i quali, secondo le istruzioni contenute della circ. 138/2002-par. 1.3, gli stessi beneficiano dell’indennità di paternità di cui all’art. 3 del D.M. 04/04/2002. Fermi restando i limiti temporali ed i requisiti per il riconoscimento del diritto al suddetto trattamento economico, già illustrati nella sopra citata circolare, l’astensione effettiva dal lavoro costituisce in tale ipotesi condizione attraverso la quale i lavoratori medesimi possono accedere all’indennità eventualmente spettante al titolo in questione. Ai fini della presentazione delle domande di congedo di maternità e/o paternità dovrà essere utilizzato il nuovo modello mod.MAT./GEST.SEP. appositamente aggiornato (prelevabile dal sito internet dell’Istituto- www.Inps.it- sezione “modulistica”). Nelle more della pubblicazione del suindicato modello, è utilizzabile la vecchia modulistica, da integrare mediante l’indicazione di tutti gli elementi (ad es.: dichiarazione di stato di gravidanza, richiesta di flessibilità, ecc.) non presenti nel modulo ancora in uso. 2. RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO AL CONGEDO PARENTALE L’art. 1, comma 788, della legge n. 296/2006 (Finanziaria per l’anno 2007) prevede la corresponsione, in favore dei lavoratori a progetto e categorie assimilate iscritti alla gestione separata, di un’indennità per congedo parentale, limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino. Come già precisato al punto 1, per “categorie assimilate” si intendono i collaboratori coordinati e continuativi, mentre non possono essere equiparati ai lavoratori a progetto i soggetti che svolgono prestazioni occasionali ( cioè inferiori a trenta giorni di durata nell’anno solare e con un compenso inferiore a cinquemila euro con lo stesso committente). Destinatari della tutela sono i lavoratori non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie né pensionati, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata (dello 0,50% fino all’entrata in vigore del D.M. 12/07/2007, dello 0,72% per i periodi successivi). Fermi restando i sopra citati limiti temporali (tre mesi entro il primo anno di vita del bambino), l’erogazione del trattamento economico in esame sarà effettuata dall’Istituto relativamente ad eventi di parto o ingressi in famiglia (nel caso di adozioni o affidamenti) verificatisi dal 1° gennaio 2007. È esclusa pertanto l’indennizzabilità di periodi di congedo parentale che, benché ricadenti nell’anno 2007, si riferiscano ad eventi (parti o ingressi in famiglia) intervenuti antecedentemente alla data suindicata. Hanno diritto all’indennità per congedo parentale soltanto quei soggetti (madri/padri biologici, adottivi e affidatari ) per i quali sia riscontrato l’accreditamento di almeno tre mensilità della contribuzione maggiorata sopra indicata nei dodici mesi presi a riferimento ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità/paternità.

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Il diritto ai periodi di congedo, in caso di parto plurimo, è riconoscibile per ogni bambino, nel rispetto, ovviamente, del limite temporale previsto per tale categoria di lavoratori in relazione all’età del neonato (fino a 3 mesi per ciascun figlio, entro il primo anno di vita). La domanda di congedo parentale deve essere presentata in data anteriore all’inizio del congedo stesso, essendo indennizzabili, in caso contrario, soltanto i periodi successivi alla domanda. I periodi di congedo parentale sono indennizzabili subordinatamente alla sussistenza di un rapporto di lavoro ancora in corso di validità nel periodo in cui si colloca il congedo parentale ed all’effettiva astensione dall’attività lavorativa. 2.1 Requisito contributivo e misura dell’indennità a) Lavoratrici madri Il diritto al congedo parentale e al relativo trattamento economico è riconosciuto alle lavoratrici a progetto e categorie assimilate, iscritte alla Gestione Separata, a condizione che le stesse risultino in possesso del requisito contributivo minimo previsto ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di maternità. Anche per l’indennità a titolo di congedo parentale è richiesto, pertanto, l’accreditamento di almeno tre mensilità di contribuzione maggiorata ( dello 0,50% fino all’entrata in vigore del D.M. 12/07/2007, dello 0,72% per i periodi successivi ) nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile a titolo di congedo di maternità di cui all’art.16 del T.U. della maternità/paternità. In caso di adozione e affidamento sia nazionali che internazionali (si rammenta che in caso di affidamenti internazionali ci si riferisce soltanto a quelli preadottivi), il congedo parentale, compreso il relativo trattamento economico, è riconoscibile per un periodo complessivo di tre mesi entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato/affidato, a condizione che il minore stesso non abbia superato, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, i dodici anni di età. In tale ipotesi il requisito minimo contributivo delle tre mensilità dovrà essere reperito, ovviamente, nei dodici mesi che precedono la data di effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. L’indennità è calcolata, per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari al 30 per cento di 1/365 del reddito derivante da attività di lavoro a progetto o assimilata, percepito negli stessi dodici mesi presi a riferimento per l’accertamento del requisito contributivo, come sopra individuato. b) Lavoratori padri Con eguale decorrenza (parti verificatisi dal 1° gennaio 2007), hanno diritto al congedo parentale, con relativo trattamento economico, anche i padri lavoratori a progetto e categorie assimilate, iscritti alla Gestione Separata, per i quali sia riscontrato il requisito minimo contributivo (almeno tre mesi di contribuzione maggiorata dello 0,5 per cento fino all’entrata in vigore del D.M. 12/07/2007, dello 0,72% per i periodi successivi ) nei dodici mesi precedenti l’insorgenza di una delle situazioni (morte o grave infermità della madre, abbandono del figlio, affidamento esclusiv o del bambino al padre) previste per il riconoscimento dell’indennità di paternità di cui all’art. 3 del D.M. 04/04/2002. L’indennità è calcolata, per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari al 30 per cento di 1/365 del reddito derivante da attività di lavoro a progetto o assimilata, percepito nei dodici mesi precedenti il verificarsi di una delle predette situazioni. Il diritto in oggetto è riconosciuto anche al padre adottivo o affidatario a condizione che sussista, in capo allo stesso, il sopradetto requisito contributivo minimo nei dodici mesi precedenti la data di effettivo ingresso del minore nella famiglia del lavoratore e sempre che la madre non ne faccia richiesta. In tale ultima ipotesi, il reddito di riferimento ai fini del calcolo dell’indennità è quello percepito nei dodici mesi precedenti l’ingresso in famiglia del minore. 2.2 Contribuzione figurativa I periodi di astensione dall’attività lavorativa per i quali è corrisposta l’indennità per congedo parentale sono coperti da contribuzione figurativa ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura stessa, secondo quanto disposto dall’art. 35 comma 1 del D.Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità/paternità). 2.3 Modello di domanda Per le domande di congedo parentale è stato predisposto il nuovo modello AST.FAC./GEST.SEP. ( allegato 3 ) che sarà prelevabile dal sito internet dell’Istitutowww. Inps.it- sezione “modulistica”. 2.4 Contenzioso Competente a decidere in unica istanza i ricorsi inerenti la prestazione in oggetto è il Comitato Amministratore per la Gestione Separata di cui all’art. 2 comma 26 L. 335/1995. L’istruttoria relativa ai medesimi ricorsi dovrà essere curata dalle Direzioni Regionali territorialmente competenti mediante la procedura D.I.C.A., secondo le disposizioni impartite con la circ. 13 del 2.2.06. 3. Istruzioni procedurali Le procedure informatiche applicative delle presenti istruzioni sono in corso di adeguamento. Si fa riserva di fornire le istruzioni procedurali con specifici messaggi operativi.

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4. Istruzioni contabili 4.1 Congedo per maternità e/o di paternità In considerazione del fatto che le prestazioni di maternità e/o di paternità relative a periodi di astensione obbligatoria dall’attività lavorativa devono trovare copertura nel gettito contributivo derivante dall’aliquota dello 0,22 per cento, è necessario che le stesse siano rilevate distintamente dalle analoghe prestazioni erogate ai sensi del decreto interministeriale del 4 aprile 2002 per le quali il suddetto obbligo non sussiste. A tal fine sono stati istituiti i seguenti conti: PAR 30/104 – per l’imputazione dell’indennità di maternità e di paternità relativa a periodi di astensione obbligatoria dall’attività lavorativa, di competenza degli anni precedenti; PAR 30/174 – per l’imputazione dell’indennità di maternità e di paternità relativa a periodi di astensione obbligatoria dall’attività lavorativa, di competenza dell’anno in corso. Ai citati conti deve essere imputato, ovviamente, l’importo della prestazione eccedente la quota a carico dello Stato ex art. 49, comma 1, della legge n. 488/1999 da determinarsi secondo le istruzioni contenute nel punto 5) della più volte citata circolare n. 138/2002. Eventuali recuperi delle prestazioni in questione, per la quota di pertinenza della Gestione separata (per la corretta imputazione contabile delle somme da recuperare si fa rinvio ai criteri stabiliti con messaggio n. 2001/0014/000174 del 3.8.2001 richiamato anche dalla suddetta circolare n. 138), vanno imputati al conto PAR 24/134 al quale è abbinato, nell’ambito della procedura “recupero crediti per prestazioni”, il codice di bilancio esistente “01040”. La stessa procedura provvede ad imputare alla fine dell’esercizio i relativi crediti al conto PAR 00/030. I crediti divenuti eventualmente inesigibili devono essere evidenziati, nell’ambito del partitario del conto GPA 00/069, con il codice bilancio esistente “01040 – Prestazioni temporanee indebite – PAR”. Le prestazioni di maternità rientranti esclusivamente nella normativa prevista dal decreto interministeriale del 4 aprile 2002 nonché i relativi recuperi continuano ad essere imputati, rispettivamente, ai conti PAR 30/017 (competenza anni precedenti), PAR 30/077 (competenza anno in corso) e PAR 24/033. Peraltro, a seguito dell’introduzione della nuova normativa, a partire dall’esercizio 2008 il conto PAR 30/077 cessa di funzionare e quindi deve intendersi soppresso. 4.2 Congedo parentale Ai fini della rilevazione contabile dell’indennità per congedo parentale sono stati istituiti i seguenti conti: PAR 30/106 – per l’imputazione dell’indennità per congedo parentale di competenza degli anni precedenti; PAR 30/176 – per l’imputazione dell’indennità per congedo parentale di competenza dell’anno in corso. La procedura automatizzata di liquidazione della prestazione in questione provvede, tra l’altro, ad emettere un biglietto contabile contenente la seguente scrittura in P.D.: PAR 30/106 a PAR 10/030 (competenza anni precedenti) (debito verso i beneficiari) PAR 30/176 GPA 27/009 (competenza anno in corso) (ritenute IRPEF) GPA 2./… (eventuali ritenute addizionali IRPEF) Peraltro, qualora la procedura automatizzata non sia stata ancora aggiornata nel momento in cui sorga la necessità di erogare la prestazione in parola e si debba eccezionalmente far ricorso alla procedura dei “pagamenti vari”, la scrittura di cui sopra è cenno deve essere predisposta dall’Ufficio amministrativo con apposito biglietto contabile fuori cassa di mod. SC 3. All’atto del pagamento, l’importo da corrispondere ai beneficiari va naturalmente imputato in DARE del conto PAR 10/030. Eventuali somme non riscosse dai beneficiari devono essere evidenziate, nell’ambito del partitario del conto GPA 10/031, con il codice di bilancio esistente “03041”. Le somme relative alle partite in argomento che al termine dell’esercizio risultino ancora da definire devono essere imputate al conto esistente PAR 10/033. Eventuali recuperi devono essere rilevati al conto esistente PAR 24/033. I relativi crediti risultanti alla fine dell’esercizi o vanno imputati al conto esistente PAR 00/030 sulla base della ripartizione del saldo del conto GPA 00/032 eseguita dalla procedura “recupero crediti per prestazioni”. I crediti divenuti eventualmente inesigibili devono essere evidenziati, nell’ambito del partitario del conto GPA 00/069, con il codice di bilancio esistente “01040” – Prestazioni temporanee indebite – PAR. Nell’allegato n. 2 si riportano i conti di nuova istituzione PAR 30/104, PAR 30/174, PAR 30/106, PAR 30/176 e PAR 24/134 nonché i conti PAR 10/030, PAR 10/033 e PAR 24/033 ai quali è stata adeguata la denominazione. Allegato 1 – omissis

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Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Capo V CONGEDO PARENTALE

Art. 32.

Congedo parentale (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 1, comma 4, e 7, commi 1, 2 e 3)

1. Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalita' stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternita' di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2; c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi. 2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori e' elevato a undici mesi. 3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore e' tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilita', a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalita' e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni. 4. Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto.

Art. 33. Prolungamento del congedo

(legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, commi 1 e 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 2 0) 1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravita' accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati. 2. In alternativa al prolungamento del congedo possono essere fruiti i riposi di cui all'articolo 42, comma 1. 3. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto. 4. Resta fermo il diritto di fruire del congedo di cui all'articolo 32. Il prolungamento di cui al comma 1 decorre dal termine del periodo corrispondente alla durata massima del congedo parentale spettante al richiedente ai sensi dell'articolo 32.

Art. 34. Trattamento economico e normativo

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 15, commi 2 e 4, e 7, comma 5) 1. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori e' dovuta fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennita' pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L'indennita' e' calcolata secondo quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso. 2. Si applica il comma 1 per tutto il periodo di prolungamento del congedo di cui all'articolo 33. 3. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 2 e' dovuta un'indennita' pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. Il reddito e' determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo. 4. L'indennita' e' corrisposta con le modalita' di cui all'articolo 22, comma 2. 5. I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianita' di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilita' o alla gratifica natalizia. 6. Si applica quanto previsto all'articolo 22, commi 4, 6 e 7.

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Art. 35. Trattamento previdenziale

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 15, comma 2, lettere a) e b); decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, articoli 2, commi 2, 3 e 5)

1. I periodi di congedo parentale che danno diritto al trattamento economico e normativo di cui all'articolo 34, commi 1 e 2, sono coperti da contribuzione figurativa. Si applica quanto previsto al comma 1 dell'articolo 25. 2. I periodi di congedo parentale di cui all'articolo 34, comma 3, compresi quelli che non danno diritto al trattamento economico, sono coperti da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell'assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facolta' di integrazione da parte dell'interessato, con riscatto ai sensi dell'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalita' della prosecuzione volontaria. 3. Per i dipendenti di amministrazioni pubbliche e per i soggetti iscritti ai fondi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'Istituto nazionale previdenza sociale (INPS) ai quali viene corrisposta una retribuzione ridotta o non viene corrisposta alcuna retribuzione nei periodi di congedo parentale, sussiste il diritto, per la parte differenziale mancante alla misura intera o per l'intera retribuzione mancante, alla contribuzione figurativa da accreditare secondo le disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155. 4. Gli oneri derivanti dal riconoscimento della contribuzione figurativa di cui al comma 3, per i soggetti iscritti ai fondi esclusivi o sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria, restano a carico della gestione previdenziale cui i soggetti medesimi risultino iscritti durante il predetto periodo. 5. Per i soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti, i periodi non coperti da assicurazione e corrispondenti a quelli che danno luogo al congedo parentale, collocati temporalmente al di fuori del rapporto di lavoro, possono essere riscattati, nella misura massima di cinque anni, con le modalita' di cui all'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni, a condizione che i richiedenti possano far valere, all'atto della domanda, complessivamente almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attivita' lavorativa.

Art. 36. Adozioni e affidamenti

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 2; legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 7; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 3, comma 5)

1. Il congedo parentale di cui al presente Capo spetta anche per le adozioni e gli affidamenti. 2. Il limite di eta', di cui all'articolo 34, comma 1, e' elevato a sei anni. In ogni caso, il congedo parentale puo' essere fruito nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. 3. Qualora, all'atto dell'adozione o dell'affidamento, il minore abbia un'eta' compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo parentale e' fruito nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare.

Art. 37 Adozioni e affidamenti preadottivi internazionali

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6, comma 2; legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 31, comma 3, lettera n), e 39-quater, lettera b)

1. In caso di adozione e di affidamento preadottivo internazionale si applicano le disposizioni dell'articolo 36. 2. L'Ente autorizzato che ha ricevuto l'incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del congedo parentale.

Art. 38. Sanzioni

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 31, comma 3) 1. Il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui al presente Capo sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni. Messaggio INPS n. 22911 del 20 settembre 2007 OGGETTO: Art. 32, comma 1, lett. c, del D.Lgs. 151/2001 (T.U. delle norme a tutela e sostegno della maternità/paternità) – Riconoscimento della qualità di “genitore solo” anche in caso di grave infermità dell’altro genitore. E’ noto che l’art. 32 T.U. riconosce ai genitori il diritto di astenersi dal lavoro nei primi otto anni di vita del bambino per un periodo che, complessivamente, non può eccedere i 10 mesi (o 11 mesi nell’ipotesi di cui al comma 2); in particolare, entro il suddetto limite, ciascuno dei genitori può astenersi dal lavoro per un periodo massimo pari a 6 mesi (o 7 mesi per il padre nell’ipotesi di cui al comma 1, lett. b) elevabile a 10 mesi nel caso in cui “vi sia un solo genitore” (comma 1, lett. c).

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Nell’esaminare le ipotesi in presenza delle quali il diritto al congedo parentale può essere interamente fruito da un solo genitore, l’unico in grado di prendersi cura del figlio, l’Istituto ha individuato, nelle circolari n.109/2000 e n.8/2003, le seguenti ipotesi: morte dell’altro genitore, abbandono del figlio da parte di uno dei genitori e affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore risultante da provvedimento formale. Ferme restando le istruzioni già fornite nelle menzionate circolari, alle quali si rinvia per gli aspetti non espressamente considerati nel presente messaggio, tenuto conto delle istanze pervenute all’Istituto circa ulteriori ipotesi in cui, pur essendo il figlio sotto la potestà di entrambi i genitori vi sia, di fatto, uno solo in grado di prendersene effettivamente cura, si ritiene opportuno riconoscere al genitore avente diritto la condizione di genitore “solo” anche nel caso in cui l’altro sia colpito da grave infermità , trattandosi di situazione che, ancorché temporalmente circoscritta, può di fatto impedire al genitore gravemente infermo di prendersi cura della prole. Si rammenta, tra l’altro, che la grave infermità della madre rientra tra le ipotesi contemplate dall’art. 28 del T.U. in presenza delle quali il padre ha diritto a fruire del congedo di paternità. Per quanto sopra rappresentato, si ritiene che, anche in presenza dell’ipotesi in oggetto, l’altro genitore possa fruire del maggior periodo di congedo parentale entro il limite massimo complessivamente riconosciuto ad entrambi i genitori pari a 10 mesi (o 11 mesi nel caso di padre “genitore solo” che abbia già fruito di un periodo di congedo non inferiore a tre mesi – v. circ. 8/2003, punto 1), fino al compimento degli 8 anni di età del bambino. Peraltro, considerato che l’infermità grave del genitore può già sussistere al momento dell’evento (parto o ingresso in famiglia) oppure insorgere successivamente all’evento medesimo, il diritto al periodo di congedo fruibile dal “genitore solo” potrebbe essere pari, rispettivamente, a 10 mesi o all’eventuale periodo residuo. In tale ultima ipotesi, infatti, devono essere considerati nel computo dei 10 mesi anche eventuali periodi complessivamente fruiti, al titolo in questione, da entrambi i genitori (v. anche circolare 109/2003, punto 1.3). Analoghe considerazioni valgono nel caso in cui la grave infermità sia temporanea. In tale ipotesi, peraltro, vale quanto a suo tempo precisato nella circolare 8/2003 (punto 1) in merito all’ipotesi di riconoscimento tardivo del figlio; in particolare, il venir meno della grave infermità “interrompe la maggior fruizione del periodo di congedo parentale concesso al genitore considerato “solo” ed è ovvio che il maggior periodo di congedo, già fruito in tale qualità, determina la riduzione del periodo di congedo parentale spettante all’altro”. Sotto il profilo documentale – fermo restando che anche ai fini dell’art. 28 T.U. comma 1 la legge non prevede ipotesi tipiche integranti la “grave infermità”, né la necessaria ospedalizzazione del genitore infermo – il genitore che intenda fruire del maggior periodo di congedo parentale allegherà in busta chiusa, unitamente alla domanda, specifica certificazione medica rilasciata da struttura pubblica e comprovante la grave infermità dell’altro. La certificazione dovrà essere trasmessa ed esaminata dal Centro Medico Legale di Sede, che valuterà ai fini di interesse la compatibilità dell’infermità in rapporto all’assolvimento dei compiti di cura ed assistenza del bambino. Si rammenta che le Sedi non possono in ogni caso accettare l’autocertificazione attestante la grave infermità considerato che, ai sensi dell’art. 49, DPR. 445/2000, i certificati medici non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore. Si rammenta infine che, in ogni caso, tutte le circostanze che incidono sui limiti di fruizione del congedo parentale devono essere portate a conoscenza sia dell’Inps sia del datore di lavoro. MESSAGGIO INPS n. 569 del 27 giugno 2001 OGGETTO: Ulteriori periodi di congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare. Il D. Lgs. n. 151 del 26.3.2001 contenente il T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità (inviato a codeste Se di, per una immediata conoscenza con il Msg. n. 485 del 1.6.2001), stabilisce, all’art. 32, che ciascun genitore ha diritto al congedo parentale per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di vita. Di conseguenza, in caso di parto gemellare o plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per ogni nato del numero di mesi di congedo parentale previsti dallo stesso art. 32 (in sintesi, per ciascun figlio, fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi per il padre, nel limite complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i genitori). Le modalità di fruizione dei periodi ed i criteri relativi al trattamento economico restano, quindi, quelli stabiliti in applicazione della legge 53/2000 e riportati nella circ. 109 del 6.6.2000 . Il genitore che intenda avvalersi di ulteriori periodi di congedo parentale per la presenza di due o più figli gemelli dovrà presentare separate domande sul nuovo Mod. AST. FAC. (v. circ. n. 103 del 11.5.2001 ), predisposto per l’acquisizione delle informazioni necessarie al completo esame delle domande. Con l’occasione si precisa che per il parto plurimo non è previsto, invece, il diritto ad ulteriori periodi di congedo di maternità (astensione obbligatoria). Circolare INPS n. 109 del 6 giugno 2000 OGGETTO: Congedi parentali. Legge 8 marzo 2000, n. 53. "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città". SOMMARIO: 1. I genitori naturali hanno diritto alla astensione facoltativa per 6 mesi (7 per il padre) nei primi 8 anni di vita del bambino; se entrambi chiedono l’astensione il periodo complessivo tra i due è di 10 mesi (o 11, se il padre fruisce di periodi tra 5 e 7 mesi); per

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le adozioni o affidamenti avvenuti entro il 12° anno di età del bambino, il periodo di astensione è il medesimo, con possibilità di richiedere l’astensione entro 3 anni dall’ingresso in famiglia per i bambini tra i 6 e i 12 anni . - 2. L'indennità, pari al 30% della retribuzione, è erogabile fino al 3°anno di età del bambino per un periodo di 6 mesi tra i due genitori. L’indennità per gli ulteriori periodi eventualmente spettanti è subordinata a determinati requisiti di reddito. - 3. Il padre ha diritto ai riposi orari anche se la madre non è lavoratrice dipendente. I riposi sono raddoppiati in caso di parto plurimo.- 4. Le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane, CD-CM) hanno diritto a 3 mesi di astensione facoltativa entro il 1° anno di vita del bambino.- 5. Il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro in determinate situazioni può iniziare anche un mese prima del parto e terminare di conseguenza quattro mesi dopo il parto. Sulla G.U. n. 60 del 13.3.2000 è stata pubblicata la legge 8 marzo 2000, n. 53 -entrata in vigore il 28.3.2000- contenente, tra l'altro, modifiche della legge 1204/71 (artt. 1, 4, 7, 10, 15), della legge 903/77 (art. 6), della legge 104/92 (art. 33); i testi coordinati della legge 1204, con le innovazioni evidenziate in corsivo, sono riportati in allegato. Con la presente circolare si forniscono disposizioni applicative -su cui il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale concorda- in materia di astensione facoltativa dal lavoro, riposi orari (c.d. per allattamento), flessibilità dell'astensione obbligatoria e astensione (con indennità all'80%) riconosciuta al padre lavoratore. La relativa disciplina è introdotta rispettivamente dagli artt. 3, 12 e 13 della legge. 1) ASTENSIONE FACOLTATIVA 1.1 GENITORI NATURALI Il comma 1 dell'art. 3 della legge n. 53/2000, modificativo dell'art. 1 della legge 1204/71, stabilisce che il diritto del genitore di astenersi dal lavoro ed il relativo trattamento economico sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto. Sul piano applicativo, tale disposizione è da intendersi riferita ai padri lavoratori dipendenti, considerato che alle madri lavoratrici dipendenti -escluse le lavoratrici a domicilio e quelle addette ai servizi domestici e familiari (esclusione confermata anche dalla presente legge, al comma 5 dell'art. 3)- è già riconosciuto, in base alla normativa precedente, un proprio diritto all'astensione facoltativa, indipendentemente dall'esistenza o meno di un diritto del padre. In sostanza, anche i padri lavoratori dipendenti -esclusi quelli a domicilio e quelli addetti ai servizi domest ici- hanno ora un proprio diritto alla astensione facoltativa, indipendentemente dall'esistenza o meno di un diritto della madre, la quale, pertanto, può essere anche non lavoratrice. La ristrutturazione integrale dell'istituto relativo alla astensione facoltativa ha comportato l'abrogazione (v. art. 17 della legge) dell'art. 7 della legge 903/77 riguardante, appunto, il diritto del padre lavoratore (anche se adottivo o affidatario). Di conseguenza, le disposizioni di cui alla circolare n. 182 del 4.8.97 che si riferiscono alla derivazione del diritto del padre alla astensione facoltativa da quello della madre sono da intendere superate. 1.2 GENITORI ADOTTIVI O AFFIDATARI Il comma 5 dell'art. 3 stabilisce che le disposizioni dello stesso art. 3 si applicano anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari. Ne deriva che i genitori adottivi o affidatari hanno diritto ad usufruire della astensione facoltativa nei primi 8 anni di vita del bambino alle medesime condizioni e con le stesse modalità previste per i genitori naturali (per bambini tra i 6 e i 12 anni v. punto 1.3). Pertanto è da considerare tacitamente abrogato il 2? comma dell'art. 6 della legge 903/77 nella parte in cui prevedeva che la lavoratrice potesse avvalersi del diritto alla astensione facoltativa entro un anno dall'effettivo ingresso nella famiglia del bambino di età non superiore ai tre anni. Resta fermo, invece, quanto previsto al 1? comma del suddetto art. 6 relativamente al diritto della madre adottiva o affidataria alla astensione obbligatoria per i 3 mesi successivi all'ingresso nella famiglia del bambino che, al momento dell'adozione o dell'affidamento (per le adozioni o affidamenti internazionali, si precisa fin d’ora che valgono regole più favorevoli, su cui si fa riserva di indicazioni) non abbia superato i 6 anni di età; resta altresì fermo l'analogo diritto del padre adottivo o affidatario alla astensione obbligatoria nel caso in cui la madre abbia rinunciato a fruirne (v. sent. Corte Costituzionale n. 341/91) o sia deceduta, oppure il bambino sia affidato in via esclusiva al padre. Lo stesso comma 5 stabilisce inoltre che, qualora all'atto dell'adozione o dell'affidamento il minore abbia una età compresa tra i 6 e i 12 anni, il diritto ad astenersi dal lavoro ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 3 può essere esercitato nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. Ne consegue, come caso limite, che se all’atto dell’adozione o dell’affidamento il bambino ha 12 anni e la data del provvedimento di adozione o affidamento coincide con quella del suo ingresso in famiglia, il diritto alla astensione facoltativa può essere esercitato o dalla madre o dal padre o da entrambi fino all’età di 15 anni, data corrispondente all’ultimo giorno di astensione facoltativa comunque riconoscibile. Con l'occasione si chiarisce sul piano generale che, nel caso in cui l'astensione (sia quella obbligatoria che quella facoltativa) sia stata usufruita per intero in seguito ad un provvedimento di affidamento preadottivo, non potrà essere riconosciuta una nuova indennità per astensione (rispettivamente obbligatoria e facoltativa) in conseguenza del provvedimento di adozione che faccia seguito a quello di affidamento.

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1.3 DURATA Il comma 2 del citato art. 3, nel sostituire l'art. 7 della legge 1204/71, introduce nuovi limiti riguardanti sia l'età del bambino che la durata dei periodi di astensione facoltativa fruibile dal padre lavoratore e fissa limiti temporali complessivi per la fruizione dell'astensione da parte di entrambi i genitori. La madre e il padre, infatti, hanno diritto ad astenersi dal lavoro nei primi 8 anni di vita del bambino per un periodo complessivo continuativo o frazionato, di 10 mesi, elevabili ad 11, come meglio precisato in appresso, periodo non sempre integralmente indennizzabile (v. punto 1.4). In particolare, la madre lavoratrice, trascorso il periodo previsto per l'astensione obbligatoria dopo il parto, può fruire entro l’8° anno di età del bambino (e, cioè, fino al giorno, compreso, dell’8° compleanno) di un periodo di astensione facoltativa, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi ed il padre lavoratore di una astensione facoltativa, continuativa o frazionata non superiore a 6 mesi, elevabili a 7, sempre entro l’8° anno di età del bambino. La madre e il padre possono utilizzare l’astensione facoltativa anche contemporaneamente e il padre la può utilizzare anche durante i tre mesi di astensione obbligatoria post-partum della madre e durante i periodi nei quali la madre beneficia dei riposi orari ex art. 10 della legge 1204/71. Il periodo complessivo di astensione tra i genitori non può eccedere, come detto, i 10 mesi, salvo quanto precisato nel successivo capoverso. Se il padre si è astenuto per un periodo non inferiore a 3 mesi, anche frazionati, e intenda fruire di ulteriori periodi, fino a 7 mesi, i mesi complessivi tra i genitori possono arrivare a 11. I periodi possono essere ripartiti tra madre e padre secondo le proprie necessità fermo restando: a) la madre non può comunque superare i 6 mesi di astensione; b) l’elevazione a 7 mesi del padre è possibile solo se la madre non supera i 4 mesi; Il genitore solo ha diritto ad un periodo continuativo o frazionato fino a 10 mesi, entro l’8° anno di età del bambino. In proposito si precisa che la situazione di “genitore solo” può verificarsi in caso di morte di un genitore, o di abbandono del figlio da parte di uno dei genitori, ovvero di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, risultante da un provvedimento formale. Per la elevazione del periodo fino a 10 mesi, va presa in considerazione anche la situazione di "genitore solo" che si sia verificata successivamente alla fruizione del proprio periodo massimo (6 mesi per la madre e 7 per il padre), ma nel calcolo dei 10 mesi vanno computati tutti i periodi in precedenza fruiti da entrambi i genitori. Per quanto riguarda i genitori adottivi o affidatari, di bambini: 1. fino ad 8 anni di età il diritto, per il suddetto massimo previsto, può essere esercitato in qualsiasi momento rispetto alla data dell’ingresso in famiglia. Tra i sei e gli otto anni di età del bambino i genitori suddetti hanno infatti la possibilità di richiedere l’astensione sia entro tre anni dall’ingresso in famiglia, sia in qualsiasi momento dall’ingresso stesso, essendo applicabile anche la disposizione valida per i genitori naturali fino a 8 anni. 2. tra i sei e i dodici anni di età all’atto dell’adozione o dell’affidamento (e cioè alla data del relativo provvedimento), come detto, il diritto può essere esercitato -e, cioè, l’astensione fruita- solo entro tre anni dall’ingresso in famiglia e la durata massima dell’astensione è di 6 mesi (7 mesi per il padre) se questa è individuale, oppure di 10 (o 11) mesi se è cumulata tra i due genitori, sempre che la fruizione dei periodi di astensione non vada oltre i 15 anni di età. Ad es., supponendo che il bambino all’atto dell’adozione o affidamento abbia 11 anni e sei mesi, ma sia entrato in famiglia dopo un mese dall’adozione, il diritto all’astensione facoltativa può essere esercitato fino al compimento di 14 anni e 7 mesi: perciò se l’astensione è richiesta al limite massimo previsto, di tre anni dall’ingresso, quando cioè il bambino ha 14 anni e 7 mesi, la stessa può essere goduta fino al giorno del 15° compleanno (v. punto1.2, penultimo cpv.) e quindi per una durata massima, anche cumulata, di 5 mesi. In caso di fruizione frazionata dell'astensione, i periodi si calcolano secondo i criteri di cui alla circolare n. 134382/17 del 26.1.1982, par. 14.2. La frazionabilità va comunque intesa nel senso che tra un periodo (anche di un solo giorno per volta) e l'altro di astensione facoltativa deve essere effettuata una ripresa effettiva del lavoro. 1.4 TRATTAMENTO ECONOMICO Il comma 4 (dello stesso art. 3), che sostituisce l'art. 15 della legge 1204/71, introduce i seguenti nuovi criteri in tema di trattamento economico previdenziale dovuto ai lavoratori e alle lavoratrici per i periodi di astensione facoltativa (1) E’ riconoscibile una indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione: A. senza condizioni di reddito, per un periodo di astensione facoltativa massimo complessivo tra i genitori di sei mesi 1. per i genitori naturali, fino al 3? anno di vita del bambino (e cioè fino al giorno, compreso, del 3° compleanno); 2. per i genitori adottivi o affidatari di bambini fino al 6° anno di età (e cioè fino al giorno, compreso, del 6° compleanno) 3. per i genitori adottivi o affidatari di bambini adottati tra i 6 e i 12 anni, entro i tre anni successivi all’ingresso in famiglia. B. subordinatamente a determinate condizioni di reddito, per un periodo di astensione facoltativa massimo fino a 10 (o 11) mesi L’indennità pari al 30% può essere erogata anche al di fuori dei casi di cui alla lett. A., sempre che il reddito individuale del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria (v. in appresso), fermi restando i massimi fruibili individualmente e complessivamente (v. par 1.3) e con i seguenti limiti temporali: 1. per i genitori naturali, fino al compimento dell'8? anno di età del bambino, dopo che i genitori stessi abbiano già fruito di sei mesi complessivi di astensione entro il 3° anno di età del bambino, oppure, dopo il compimento del 3° anno, per i periodi eventualmente ancora non fruiti; 2. per i genitori adottivi o affidatari quando l’astensione, fermi restando i requisiti di diritto, viene richiesta o prosegua dopo la fruizione dei primi sei mesi, tra i due genitori, oppure, per i periodi fino ai primi sei mesi, eventualmente non fruiti ma teoricamente spettanti, dopo il 3° anno dall’ingresso in famiglia (ad es. nel caso n. 1 del par. 1.3).

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Quanto ai limiti di reddito ricordati, l’importo minimo di pensione per il 2000 è pari a £ 9.371.700, che moltiplicato per 2,5 è uguale a £ 23.429.250 ( v. circ. n. 28 del 9.2.2000). L'importo del trattamento minimo pensionistico moltiplicato per 2,5, pertanto, va raffrontato con il reddito individuale dell'anno in cui l’astensione ha inizio e vale fino a quando la stessa non sia interrotta. Il reddito individuale è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo. Pertanto, il reddito individuale da prendere in considerazione è quello assoggettabile all'IRPEF, esclusa la prestazione di cui trattasi (2), percepito dal genitore richiedente nell'anno suddetto (quello, cioè, in cui inizia la prestazione o la frazione di essa), con esclusione: 1) del reddito della casa d'abitazione 2) dei trattamenti di fine rapporto comunque denominati 3) dei redditi derivanti da competenze arretrate sottoposte a tassazione separata (3). L’indennità è erogabile per intero al semplice verificarsi della condizione di mancato superamento del limite anzidetto di 2,5 l’importo minimo pensionistico. Come per l’integrazione al minimo va dichiarato il reddito individuale presunto per l’anno di riferimento (anno in corso), con necessità di dichiarazione definitiva -ai fini degli eventuali conguagli, attivi o passivi- alla scadenza dei termini previsti per la denuncia dei redditi: le Agenzie INPS chiederanno pertanto a tempo debito apposita dichiarazione. Per la individuazione della retribuzione da prendere a riferimento ai fini del calcolo dell'indennità di cui al presente punto 1.4, si deve tener conto che l’art. 17, comma 4, della legge 53/2000, ha disposto l’abrogazione delle norme incompatibili con quelle della medesima legge. Pertanto l’articolo 16, comma 1, della legge n. 1204/71 è da considerare abrogato per la parte riferita al periodo retributivo da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità, con la conseguenza che ai sensi del nuovo articolo 15 , 5° comma, della stessa legge (applicabilità dei criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni di malattia, esclusi i ratei di mensilità aggiuntive) la retribuzione da prendere a riferimento è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente ciascun periodo di astensione richiesto, anche frazionatamente. 1.5 DOCUMENTAZIONE In attesa della revisione della modulistica per la indennità di astensione facoltativa, i genitori che intendano chiedere l'astensione facoltativa anche per i figli nati prima del 28.3.2000 (data di entrata in vigore della legge n. 53) dovranno presentare all'INPS e al datore di lavoro domanda di astensione facoltativa ai sensi della legge 8 marzo 2000, n. 53, allegando la seguente documentazione. Domanda della madre: a) certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultinogli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non sia già stata presentata; b) dichiarazione non autenticata di responsabilità del padre relativa agli eventuali periodi di astensione facoltativa dallo stesso fruiti per il figlio di cui trattasi (con indicazione del datore di lavoro per i lavoratori dipendenti), ovvero dichiarazione relativa alla sua qualità di non avente diritto all’astensione (libero professionista, autonomo, a domicilio o addetto ai servizi domestici); c) analoga dichiarazione della madre dei periodi di astensione facoltativa dalla stessa eventualmente già fruiti; d) impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive. Domanda del padre: a) certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non sia già stata presentata; b) dichiarazione non autenticata di responsabilità della madre relativa agli eventuali periodi di astensione facoltativa dalla stessa fruiti per il figlio di cui trattasi, con indicazione del datore di lavoro se lavoratrice dipendente ovvero dichiarazione relativa alla sua qualità di non avente diritto all’astensione (libera professionista, lavoratrice a domici lio o addetta ai servizi domestici, ecc.); c) analoga dichiarazione del padre dei periodi di astensione dallo stesso eventualmente già fruiti; d) impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive. 1.6 CONTRIBUZIONE FIGURATIVA, VOLONTARIA O RISCATTI. Per i periodi di astensione facoltativa è prevista, a seconda dei casi, la contribuzione figurativa, la facoltà di riscatto e il versamento dei contributi volontari. Sulla materia saranno impartite istruzioni a parte. 2) RIPOSI ORARI (c.d. per allattamento). 2.1 DIRITTO DEL PADRE L'art. 13 della legge n. 53/2000 prevede, quale articolo aggiuntivo (art. 6 ter) all'art. 6 della legge n. 903/77, la possibilità per il padre lavoratore dipendente di fruire dei riposi di cui all'art. 10 della legge 1204/71 (4) e del relativo trattamento economico: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre (5): b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente. Per i casi previsti dalle lettere a) e b) il diritto del padre lavoratore era già riconosciuto dalle precedenti disposizioni, da ultimo riepilogate con circolare n. 182 del 4.8.1997, par. 10.3, lett. a).

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L’ipotesi della lettera b) è comprensiva anche del caso di lavoratrice dipendente che non si può avvalere dell’astensione facoltativa in quanto appartenente a categoria non avente diritto ai riposi in questione (lavoratrice domestica e a domicilio); non comprende, invece, il caso di madre che non se avvalga perché sta fruendo di astensione obbligatoria o facoltativa. L'ipotesi introdotta dalla lett. c), invece, è innovativa, in quanto al padre lavoratore dipendente è riconosciuto il diritto ai riposi anche quando la madre, lavoratrice, non abbia la qualifica di "dipendente", vale a dire sia una lavoratrice autonoma, libera professionista, ecc.. E' da ritenere escluso un diritto del padre ai riposi orari quando la madre non svolge attività lavorativa (fatta salva l'ipotesi di grave infermità di cui alla nota 5). In merito al numero di ore di riposo spettanti al padre, si precisa che lo stesso ne può fruire in base al proprio orario giornaliero di lavoro. Sono superate anche per tale aspetto le disposizioni di cui alla citata circolare n. 182/97, par. 10.3, lett. a). 2.2 PARTO PLURIMO Secondo il comma 3 (dell'art. 3), modificativo dell'art. 10 della legge 1204/71, i periodi di risposo spettanti durante il primo anno di vita del bambino sono raddoppiati in caso di parto plurimo e le ore aggiuntive possono essere fruite anche dal padre. Le ore aggiuntive (2 ore, ridotte a 1 se l’orario di lavoro giornaliero è inferiore a 6 ore) possono essere riconosciute al padre anche durante i periodi di astensione obbligatoria e facoltativa della madre. Al di fuori della ipotesi di cui al capoverso precedente e tenendo conto di quanto previsto al punto 2.1, lett. b) -nel presupposto, cioè, che uno dei due genitori non si avvalga dei riposi doppi - ciascun genitore ha diritto a fruire di un numero di ore di riposo raddoppiate rispetto a quelle previste per un solo figlio , vale a dire di 4 ore o di 2 a seconda che l'orario giornaliero di lavoro sia pari o superiore a 6 ore, ovvero sia inferiore a 6 ore. Le ore fruibili sono identificate secondo l’orario di lavoro del genitore che si avvale dei riposi. Esempio di ripartizione delle ore tra i genitori in caso di parto plurimo:

Madre Padre (orario lavoro di almeno 6 ore

giornaliere) (orario lavoro di almeno 6 ore

giornaliere) (orario lavoro inferiore a 6 ore

giornaliere) 4 ore 0 ore 0 ore 3 ore 1 ora 1 ora 2 ore 2 ore 1 ora 1 ora 3 ore 2 ore 0 ore 4 ore 2 ore

astensione obbligatoria o facoltativa 2 ore 1 ora

Madre Padre (orario lavoro inferiore a 6 ore

giornaliere) (orario lavoro di almeno 6 ore

giornaliere) (orario lavoro inferiore a 6 ore

giornaliere) 2 ore 0 ore 0 ore 1 ora 2 ore 1 ora 0 ore 4 ore 2 ore

astensione obbligatoria o facoltativa 2 ore 1 ora 2.3 GENITORI ADOTTIVI O AFFIDATARI I genitori adottivi o affidatari hanno diritto ai riposi orari fino al compimento di 1 anno di età del bambino (v. circolari n. 228 del 14.11.88 e n. 182 del 4.8.97). Poiché, come sopra detto, le disposizioni dell'art. 3 della legge 53/2000, comprensive quindi di quelle relative ai riposi orari in caso di parto plurimo, si applicano anche ai genitori adottivi o affidatari, ne consegue che in caso di adozione o affidamento di bambini, anche non fratelli, entrati in famiglia anche in date diverse, che abbiano, ciascuno, meno di 1 anno di età, i genitori adottivi o affidatari hanno diritto al raddoppio delle ore di riposo, analogamente ai genitori naturali. 2.4 DOCUMENTAZIONE Per la domanda di riposi orari ai sensi della legge 53/2000 dovranno osservarsi le seguenti disposizioni valevoli fino alla ristrutturazione della relativa modulistica. Domanda della madre: Deve essere presentata al datore di lavoro, secondo le disposizioni precedentemente impartite. I datori di lavoro (sia quelli tenuti che quelli non tenuti alla denuncia contributiva mensile) continueranno ad attenersi alle disposizioni di cui alla circ. n. 134371 del 2.4.1981. Domanda del padre Deve essere presentata all’INPS e al datore di lavoro in tutti i casi di cui al punto 2.1, lett. a), b) e c), nonché in caso di richiesta di ore aggiuntive per parto plurimo, di cui al punto 2.2. Nel caso a) (figli affidati al solo padre) la domanda deve essere corredata dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non già stata presentata e dalla certificazione (o dichiarazione sostitutiva) di morte della madre, ovvero dalla certificazione sanitaria

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attestante la grave infermità della madre, ovvero da un provvedimento formale da cui risulti l'affidamento esclusivo del bambino al padre. Nel caso b) (in alternativa alla madre lavoratrice dipendente) e nel caso di parto plurimo la domanda deve essere corredata oltre che dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non già stata presentata, da una dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle di ore di riposo, confermata dal relativo datore di lavoro. Nel caso c) (madre lavoratrice non dipendente) e nel caso di parto plurimo la domanda deve essere corredata oltre che dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità o certificazione da cui risultino gli stessi elementi ovvero dichiarazione sostitutiva, sempre che la documentazione non già stata presentata, da una dichiarazione della madre relativa alla sua attività di lavoro non dipendente. In tutti i casi entrambi i genitori devono impegnarsi a comunicare eventuali variazioni successive. 2.5 CONTRIBUZIONE Ai periodi di riposo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, riscatto, versamento di contributi volontari. Sull'argomento saranno impartite istruzioni a parte. 3) LAVORATRICI AUTONOME Il comma 1 dell'art. 3 più volte citato prevede anche il diritto, in favore delle lavoratrici autonome artigiane, commercianti e CD-CM, di cui alla legge n. 546/87 (la quale, si rammenta, non riguarda i padri lavoratori autonomi) di astenersi facoltativamente dal lavoro - per i bambini nati dal 1.1.2000 - per un periodo massimo di tre mesi, anche frazionabili, entro il 1? anno di vita del bambino. Il trattamento economico per astensione facoltativa è pari al 30% della retribuzione convenzionale utilizzata, a seconda della categoria di appartenenza, per il periodo di indennità di maternità previsto dalla legge n. 546/87 citata, e va corrisposto seguendo gli stessi criteri vigenti per il calcolo della suddetta indennità: per le CD-CM la retribuzione da prendere a riferimento è quella dell'anno precedente al parto, per le artigiane e per le esercenti attività commerciali è quella dell’anno di inizio della prestazione. Considerato che la nuova norma è stata aggiunta all'art. 1 della legge 1204/71, dopo il 3? comma, e visti i riferimenti nella stessa contenuti, appare chiaro che il diritto è riconoscibile solo in caso di effettiva astensione dall'attività lavorativa autonoma, astensione da comprovarsi mediante dichiarazione di responsabilità dell'interessata, la cui veridicità potrà essere accertata con gli abituali sistemi di verifica. Ai fini dell'esercizio del diritto alla astensione facoltativa, la lavoratrice dovrà presentare domanda all'INPS prima dell'inizio del periodo di astensione. Pertanto potranno essere indennizzati solo periodi successivi alla data di presentazione della domanda. Poiché le disposizioni relative alla astensione facoltativa sono ora applicabili anche alle madri adottive o affidatarie (v. art. 3, comma 5 della legge 53/2000) e poiché in precedenza per la lavoratrice autonoma, madre adottiva o affidataria, non era previsto un diritto alla astensione facoltativa, le nuove disposizioni riguardanti la astensione facoltativa sono da intendere applicabili nei confronti delle lavoratrici autonome, adottive o affidatarie di minori che al momento dell’adozione o affidamento abbiano fino a 12 anni di età, nel senso che alle stesse il diritto a tre mesi di astensione facoltativa è riconosciuto sempre che lo esercitino nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. 4) FLESSIBILITA' DELL'ASTENSIONE OBBLIGATORIA L'art. 12 introduce un articolo aggiuntivo (art.4 bis) alla legge n. 1204/1971, che prevede la facoltà per le lavoratrici di astenersi obbligatoriamente dal lavoro anche soltanto dal mese precedente la data presunta del parto, spostando il periodo non fruito prima del parto al periodo successivo al parto, che, pertanto, potrà essere prolungato fino a quattro mesi. L'esercizio di tale facoltà, peraltro, è subordinato alla attestazione sanitaria del ginecologo del SSN o con esso convenzionato nonché a quella del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, ove la legislazione vigente preveda un obbligo di sorveglianza sanitaria. 5) PARTI PREMATURI L'art. 11 della legge 53/2000, modificativo dell'art. 4 della legge 1204/71, stabilisce: "Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. La lavoratrice è tenuta a presentare entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto". Per quanto riguarda le disposizioni applicative si fa rinvio alle istruzioni impartite con circolari n. 231 del 28.12.99 e n. 45 del 21.2.2000, tenendo presente che la nuova legge stabilisce un limite di 30 giorni per la certificazione (o dichiarazione sostitutiva) relativa alla data del parto, da presentare per poter fruire del prolungamento dell’astensione post-partum. 6) ASTENSIONE DAL LAVORO DEL PADRE LAVORATORE (con indennità all'80%) L'articolo 13 della legge prevede, quale articolo aggiuntivo (6 bis) all'articolo 6 della legge n. 903/1977, il diritto di astenersi dal lavoro nei primi tre mesi dalla nascita del figlio (e cioè fino al giorno del compimento del terzo mese di età del bambino) in caso di morte o di grave infermità della madre o di abbandono del figlio da parte della stessa ovvero di affidamento esclusivo al padre (6). Le condizioni di morte o di grave infermità della madre o di affidamento esclusivo al padre erano già riconosciute ai fini della erogazione al padre della indennità di maternità nella misura dell'80% della retribuzione. Si confermano pertanto le istruzioni della

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citata circolare 182/1997, con la preci sazione che l'interessato deve presentare al datore di lavoro (e all'INPS) la certificazione relativa alle condizioni suddette (comma 2 dell'articolo in questione). Nell'ipotesi di abbandono da parte della madre la legge prevede che il padre che intenda avvalersi del diritto alla indennità per i tre mesi successivi alla nascita del figlio, deve renderne dichiarazione ai sensi della legge n.15/1968, art. 4. Se l’abbandono è avvenuto durante i tre mesi successivi al parto, alla madre non spetta più, dal momento dell’abbandono, alcuna indennità, che perciò potrà essere corrisposta al padre per il restante periodo di astensione obbligatoria. 7) ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE n. 53/2000 Le presenti disposizioni sono applicabili, salvo quelle concernenti la astensione facoltativa alle lavoratrici autonome , anche alle astensioni facoltative e ai riposi orari in corso di fruizione alla data di entrata in vigore della legge (28.3.2000). E' ovvio che, qualora la madre abbia già fruito dell'astensione facoltativa di 6 mesi ai sensi della precedente normativa, il diritto al prolungamento della stessa, fino agli otto anni di età del bambino, può essere esercitato solo dal padre (fino al massimo di ulteriori 5 mesi) fermi restando i criteri di cui al punto 1.4 per l'eventuale indennizzabilità dei suddetti ulteriori mesi. NOTE (1) L'art. 15, nella nuova versione, conferma il trattamento economico previdenziale per astensione obbligatoria nella misura dell'80% della retribuzione. (2) Per reddito assoggettabile all'IRPEF deve intendersi il reddito al lordo di qualsiasi detrazione comunque specificata (oneri deducibili, detrazioni imposta) introdotta solo per alleviare la pressione di imposta ai singoli soggetti, e al netto dei soli contributi previdenziali e assistenziali. Nel computo dei redditi vanno compresi anche quelli conseguiti all'estero o derivanti da lavoro presso organismi internazionali che, se prodotti in Italia, sarebbero assoggettati all'IRPEF. (3) Devono essere esclusi, oltre ai redditi suddetti: - i redditi già tassati per intero alla fonte (interessi, premi o altri frutti corrisposti al possessore di obbligazioni) - i redditi esenti (pensioni di guerra, pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai militari di leva, rendite INAIL, indennità di accompagnamento, pensioni e indennità percepite da ciechi, invalidi civili e sordomuti, pensioni erogate da organismi esteri aventi natura risarcitoria). (4) Trattasi, com'è noto, di ore giornaliere da fruire entro il primo anno di età del bambino, nella misura di due se l'orario giornaliero di lavoro è superiore a 5 ore e 59 minuti, di una se l'orario stesso è inferiore a 6 ore. (5) Alla situazione di affidamento al solo padre è equiparata quella di decesso o grave infermità della madre, indipendentemente dalla sua condizione di lavoratrice o meno (v. sent. n. 1/87 e ordinanza n. 144/87 della Corte Costituzionale). (6) E' ininfluente la data di parto, di decesso, di insorgenza dell'infermità, di abbandono, ecc. della madre. Allegato 1 ARTICOLI DELLA LEGGE 30 DICEMBRE 1971, N. 1204, COME RISULTANO MODIFICATI DAGLI ARTT. 3 E 12 DELLA LEGGE 8 MARZO 2000, N. 53. ART. 1 Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro, nonché alle dipendenti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli altri enti pubblici e dalle società cooperative, anche se socie di queste ultime. Alle lavoratrici a domicilio si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 2, 4, 6, e 9. Alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 4, 5, 6, 8 e 9. Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all'art. 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 e al comma 2 dell'articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell'articolo 7 e dal comma 2 dell'articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino. Sono fatte salve, in ogni caso, le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti, e da ogni altra disposizione. ART. 4 bis. 1. Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. 2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, definisce, con proprio decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni dell'articolo 4-bis della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, introdotto dal comma 1 del presente articolo. 3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad aggiornare l'elenco dei lavori pericolosi, faticosi ed insalubri di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026.

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ART. 7 1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi. 2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensione dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi. 3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni. 4. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore. 5. I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo. ART. 10 Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri durante il primo anno di vita del bambino due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. I periodi di riposo di cui al precedente comma hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno, e in tal caso non comportano il diritto ad uscire dall'azienda, quando la lavoratrice voglia usufruire della camera di allattamento o dell'asilo nido, istituiti dal datore di lavoro nelle dipendenze dei locali di lavoro. I riposi di cui ai precedenti commi sono indipendenti da quelli previsti dagli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne. Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonché di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell'articolo 15. In caso di parto plurimo i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre. ART. 15 1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia. 2. Per i periodi di astensione facoltativa di cui all'articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta: a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, è coperto da contribuzione figurativa; b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell'assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facoltà di integrazione da parte dell'interessato, con riscatto ai sensi dell'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalità della prosecuzione volontaria. 3. Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all'articolo 7, comma 4, è dovuta: a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa; b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell'ottavo anno, la copertura contributiva calcolata, con le modalità previste dal comma 2, lettera b). 4. Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo. 5. Le indennità di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie dall'ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il lavoratore è assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianità assi curativa.

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MESSAGGIO INPS n. 28379 del 25 ottobre 2006 Oggetto: Fruizione frazionata del congedo parentale - chiarimenti. In riferimento alla fruizione del congedo parentale in modo frazionato (art. 32 D.Lgs. n. 151/2001 T.U. sulla maternità), ad ulteriore precisazione di quanto disposto da questa Direzione Centrale con Circ. n. 82/2001 e nelle “AVVERTENZE IMPORTANTI” contenute nel Mod. Ast.Fac. utilizzabile dai lavoratori dipendenti, recentemente aggiornato (vedi modulistica online), si fa presente quanto segue. Nell’ipotesi in cui la/il lavoratrice/tore, a seguito di un periodo di congedo parentale, fruisca, immediatamente dopo, di giorni di ferie o malattia , riprendendo quindi l’attività lavorativa, le giornate festive e i sabati (in caso di settimana corta) cadenti tra il su indicato periodo di congedo parentale e le ferie o la malattia non vanno computate in conto congedo parentale. Per maggior chiarezza si faccia riferimento all'esempio seguente riferito a lavoratori con orario contrattuale articolato su cinque giorni ( settimana corta ) dal lunedì al venerdì: 1^ settimana: Dal Lunedì al Venerdì = congedo parentale 2^ settimana: Dal Lunedì al Venerdì = ferie o malattia 3 ^ settimana: Lunedì = ripresa dell’attività lavorativa In questo caso, le giornate di Sabato e di Domenica comprese tra la prima e la seconda settimana e tra la seconda e la terza non devono essere conteggiati come congedo parentale. Viceversa, allorquando si susseguano, senza interruzione, un primo periodo di congedo parentale, un periodo di ferie o di malattia ed un ulteriore periodo di congedo parentale, i giorni festivi ed i sabati (in caso di settimana corta), che si collocano immediatamente dopo il primo periodo di congedo ed immediatamente prima del successivo, devono essere conteggiati come giorni di congedo parentale (v. circ. n. 82/2001, par. 1, ultimo cpv.). A chiarimento si riporta l'esempio che segue, riferito sempre all'ipotesi di settimana corta: 1^ settimana: Dal Lunedì al Venerdì = congedo parentale 2^ settimana: Dal Lunedì al Venerdì = ferie o malattia 3^ settimana: Dal Lunedì al Venerdì = congedo parentale In questo caso, le giornate di Sabato e di Domenica comprese tra la prima e la seconda settimana e tra la seconda e la terza devono essere conteggiate come conge do parentale. Legge 24 dicembre 2007, n. 244 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)"

… omissis …

Art. 2. (Disposizioni concernenti le seguenti Missioni:

Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali; L’Italia in Europa e nel mondo; Difesa e sicurezza del territorio; Giustizia; Ordine pubblico e sicurezza; Soccorso civile; Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca; Energia e diversificazione delle fonti energetiche;

Competitivita` e sviluppo delle imprese; Diritto alla mobilita`; Infrastrutture pubbliche e logistica; Comunicazioni; Commercio internazionale ed internazionalizzazione del sistema produttivo; Ricerca e innovazione; Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e

dell’ambiente; Tutela della salute; Tutela e valorizzazione dei beni e attivita` culturali e paesaggistici; Istruzione scolastica; Istruzione universitaria; Diritti sociali, solidarieta` sociale e famiglia; Politiche previdenziali; Politiche per il lavoro; Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti; Sviluppo e riequilibrio territoriale; Giovani e sport; Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche)

… omissis … 455. L’articolo 36 del citato decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e` sostituito dal seguente: «Art. 36. – (Adozioni e affidamenti). – 1. Il congedo parentale di cui al presente Capo spetta anche nel caso di adozione, nazionale e internazionale, e di affidamento. 2. Il congedo parentale puo` essere fruito dai genitori adottivi e affidatari, qualunque sia l’eta` del minore, entro otto anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore eta`. 3. L’indennita` di cui all’articolo 34, comma 1, e` dovuta, per il periodo massimo complessivo ivi previsto, nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia». 456. L’articolo 37 del citato decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e` abrogato.

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Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Art. 5. Anticipazione del trattamento di fine rapporto

(legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 7) 1. Durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all'articolo 32, il trattamento di fine rapporto puo' essere anticipato ai fini del sostegno economico, ai sensi dell'articolo 7 della legge 8 marzo 2000, n. 53. Gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, possono prevedere la possibilita' di conseguire tale anticipazione. Legge 27 dicembre 2006, n. 296 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)"

Art. 1.

788. A decorrere dal 1° gennaio 2007, ai lavoratori a progetto e categorie assimilate iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, e' corrisposta un'indennita' giornaliera di malattia a carico dell'INPS entro il limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a venti giorni nell'arco dell'anno solare, con esclusione degli eventi morbosi di durata inferiore a quattro giorni. Per la predetta prestazione si applicano i requisiti contributivi e reddituali previsti per la corresponsione dell'indennita' di degenza ospedaliera a favore dei lavoratori iscritti alla gestione separata. La misura della predetta prestazione e' pari al 50 per cento dell'importo corrisposto a titolo di indennita' per degenza ospedaliera previsto dalla normativa vigente per tale categoria di lavoratori. Resta fermo, in caso di degenza ospedaliera, il limite massimo indennizzabile di centottanta giorni nell'arco dell'anno solare. Per la certificazione e l'attestazione dello stato di malattia che dia diritto alla predetta indennita' si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e successive modificazioni. Ai lavoratori di cui al presente comma si applicano le disposizioni in materia di fasce orarie di reperibilita' e di controllo dello stato di malattia di cui all'articolo 5, comma 14, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e successive modificazioni. Ai lavoratori di cui al presente comma, che abbiano titolo all'indennita' di maternita', e' corrisposto per gli eventi di parto verificatisi a decorrere dal l° gennaio 2007 un trattamento economico per congedo parentale, limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, la cui misura e' pari al 30 per cento del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell'indennita' di maternita'. Le disposizioni di cui al precedente periodo si applicano anche nei casi di adozione o affidamento per ingressi in famiglia con decorrenza dal 1° gennaio 2007. Le prestazioni di cui al presente comma sono finanziate a valere sul contributo previsto dall'articolo 84 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Capo VI RIPOSI E PERMESSI

Art. 39. Riposi giornalieri della madre

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10) 1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo e' uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro e' inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unita' produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

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Art. 40. Riposi giornalieri del padre

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-ter) 1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermita' della madre.

Art. 41. Riposi per parti plurimi

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10, comma 6) 1. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall'articolo 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre.

Art. 42. Riposi e permessi per i figli con handicap grave

(legge 8 marzo 2000, n. 53, articoli 4, comma 4-bis, e 20) 1. Fino al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravita' e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale, si applica l'articolo 33, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativo alle due ore di riposo giornaliero retribuito. 2. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravita', la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre hanno diritto ai permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Detti permessi sono fruibili anche in maniera continuativa nell'ambito del mese. 3. Successivamente al raggiungimento della maggiore eta' del figlio con handicap in situazione di gravita', la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre hanno diritto ai permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Ai sensi dell'articolo 20 della legge 8 marzo 2000, n. 53, detti permessi, fruibili anche in maniera continuativa nell'ambito del mese, spettano a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l'assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva. 4. I riposi e i permessi, ai sensi dell'articolo 33, comma 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, possono essere cumulati con il congedo parentale ordinario e con il congedo per la malattia del figlio. 5. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravita' di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 1, 2 e 3, della medesima legge per l'assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennita' corrispondente all'ultima retribuzione e il periodo medesimo e' coperto da contribuzione figurativa; l'indennita' e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto importo e' rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla base della variazione dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L'indennita' e' corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalita' previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternita'. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennita' dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non e' prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternita', l'indennita' di cui al presente comma e' corrisposta con le modalita' di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il congedo fruito ai sensi del presente comma alternativamente da entrambi i genitori non puo' superare la durata complessiva di due anni; durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo. 6. I riposi, i permessi e i congedi di cui al presente articolo spettano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto.

Art. 43. Trattamento economico e normativo

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 8; legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 4; decreto-legge 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla legge 27 ottobre 1993, n. 423, art. 2, comma 3 -ter)

1. Per i riposi e i permessi di cui al presente Capo e' dovuta un'indennita', a carico dell'ente assicuratore, pari all'intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi e ai permessi medesimi. L'indennita' e' anticipata dal datore di lavoro ed e' portata a conguaglio con gli apporti contributivi dovuti all'ente assicuratore.

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2. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 34, comma 5.

Art. 44. Trattamento previdenziale

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10, comma 5; legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 4) 1. Ai periodi di riposo di cui al presente Capo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 35, comma 2. 2. I tre giorni di permesso mensile di cui all'articolo 42, commi 2 e 3, sono coperti da contribuzione figurativa.

Art. 45. Adozioni e affidamenti

(legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 3, comma 5; legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 7) 1. Le disposizioni in materia di riposi di cui agli articoli 39, 40 e 41 si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno di vita del bambino. 2. Le disposizioni di cui all'articolo 42 si applicano anche in caso di adozione e di affidamento di soggetti con handicap in situazione di gravita'.

Art. 46. Sanzioni

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 31, comma 3)

1. L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 39, 40 e 41 e' punita con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni. MESSAGGIO 19 maggio 2006 numero 14724 dell’Inps “Riposi orari del padre in caso di congedo di maternità e/o parentale della madre” Sono pervenute a questa Direzione Centrale richieste di chiarimenti in merito all’interpretazione della lettera b) dell’ art. 40 del D.L.vo n. 151/2001, che, com’è noto, riconosce al padre lavoratore il diritto a fruire dei riposi in questione “in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga”. In particolare, è stato chiesto se sia riconoscibile, in favore del padre lavoratore dipendente, il diritto a godere ditali riposi per il primo tiglio durante le fruizione, da parte della madre, del congedo di maternità e/o parentele per il secondo nato. Nel ribadire l’impossibilità per il padre di utilizzare i riposi In oggetto nello stesso periodo in cui la madre fruisca del congedo di maternità e/o parentele per lo stesso bambino (v. circolare n. 8/2003), va precisato che, la previsione di cui alla predetta lettera b) dell’art. 40 T.U. sulla maternità deve, invece, considerarsi comprensiva dell’ipotesi in cui la madre non possa avvalersi delle ore di riposo in quanto in astensione (obbligatoria o facoltativa) per altro evento. La soluzione prospettata appare del resto conforme alla ratio dell’art. 41 T.U., il quale prevede che in caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre. I periodi di riposo giornaliero, come del resto tutti gli istituti a tutela della maternità e della paternità infatti, hanno come obiettivo quello di garantire tutte le cure fisiche ed affettive necessarie al bambino, cure che richiedono, ovviamente, tempi maggiori laddove debbano essere r ivolte a più soggetti. Circolare INPS n. 95-bis del 6 Settembre 2006 OGGETTO: Prestazioni economiche di malattia e di maternità. Questioni varie. SOMMARIO: 1. Indennizzabilità festività soppresse. 2. Legalizzazione dei certificati di malattia rilasciati in Paesi extra UE.. 3. Indennità di malattia e lavoratori aventi titolo a prestazioni pensionistiche. 4. Lavoratori iscritti alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n.335/1995: inapplicabilità dei termini di decadenza stabiliti dal la legge n. 438/1992; equiparazione del day hospital al ricovero;inapplicabilità del c.d. automatismo delle prestazioni. 5. Il lavoratore agricolo a tempo determinato che ha prestato nell’anno precedente l’inizio dell’evento morboso almeno 51 giornate di attività come lavoratore agricolo a tempo indeterminato ha diritto all’indennità di malattia per un numero di giornate pari a quelle effettuate nell’anno precedente. 6. I lavoratori che beneficiano dell’incentivo al posticipo del pensionamento hanno diritto all’indennità di malattia. 7. Riposi giornalieri ex art. 39 del T.U.( c.d. riposi di allattamento ) : cumulabilità coi recuperi effettuati mediante l’utilizzo della “banca ore”; compatibilità col part-time orizzontale; diritto del padre al raddoppio dei permessi in caso di parto plurimo; fruibilità da parte delle lavoratrici dipendenti in distacco sindacale.

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8. La riemissione in pagamento di assegni per prestazioni economiche di malattia e di maternità non riscossi è subordinata alla verifica del mancato decorso del termine annuale di prescrizione vigente nella materia. 9. Nei casi di malattia ascrivibile a “mobbing” l’azione di surroga può essere attivata autonomamente dall’Istituto solo quando vi è stato un previo accertamento di responsabilità del terzo in sede giudiziale. 10. Nelle ipotesi di malattie che si esauriscono nel periodo di carenza permane in capo al lavoratore l’obbligo dell’invio del certificato medico sia all’INPS che al datore di lavoro . 1) FESTIVITA’ SOPPRESSE (malattia e maternità). Sono pervenute richieste di chiarimenti circa l’indennizzabilità delle giornate infrasettimanali non più considerate festive per effetto della legge 5 marzo 1977, n. 54 e successive modificazioni (trattasi come noto delle ricorrenze dell’Ascensione, del Corpus Domini, del 19 marzo, del 29 giugno e del 4 novembre). Al riguardo si ribadisce che le predette giornate sono indennizzabili solo se le stesse – come peraltro in genere avviene – sono normalmente lavorate e retribuite (per le stesse non viene cioè corrisposto, oltre al compenso per il lavoro svolto, un ulteriore emolumento pari al trattamento dovuto per i giorni festivi) (1). Infatti il 2° comma dell’art. 6 della legge n.138/1943, precisa che l’indennità non è dovuta per le giornate in cui il lavoratore ammalato percepisce dal datore di lavoro un trattamento economico, non integrativo della indennità di malattia, di importo pari o superiore a quello previdenziale. Il criterio comporta che nell’ipotesi, segnalata da alcune Sedi, di aziende che corrispondono per contratto ai propri dipendenti nella prima successiva domenica del mese considerato il compenso aggiuntivo relativo alla festività soppressa cadente in un giorno feriale lavorativo, al lavoratore assente per malattia nel giorno ex festivo stesso spetterà, per tale giorno, in quanto normalmente retribuito, il trattamento previdenziale. Nell’ipotesi di impiegati, la domenica non sarà indennizzabile, ai sensi del citato art. 6, comma 2 della legge n. 138/1943 (2). 2) LAVORATORI OCCUPATI IN ITALIA CHE SI AMMALANO DURANTE TEMPORANEI SOGGIORNI ALL’ESTERO. LEGALIZZAZIONE DEI CERTIFICATI DI MALATTIA (malattia). Secondo le disposizioni impartite (v. da ultimo circ. n. 136/2003, par. 11), per i lavoratori occupati in Italia che si ammalano durante temporanei soggiorni in Paesi che non fanno parte della Unione Europea (3) o che non hanno stipulato con l’Italia Convenzioni o Accordi specifici che regolano la materia, la corresponsione dell’indennità di malattia può aver luogo solo dopo la presentazione all’INPS della certificazione originale, legalizzata a cura della locale rappresentanza diplomatica o consolare italiana. E’ stato segnalato che alcune Ambasciate o Consolati operanti presso i predetti Paesi (ad esempio Marocco, Sri Lanka) incaricano medici di loro fiducia di esaminare i certificati di cui trattasi. Detti medici, dopo averne accertata la veridicità, consegnano agli interessati (che talvolta vengono anche sottoposti a visita) la certificazione “originale” convalidata, ovvero, in sostituzione di questa, altra certificazione da loro redatta direttamente in lingua italiana. In presenza di tali situazioni la legalizzazione deve ritenersi in sostanza perfezionata all’atto della convalida della certificazione originale o della redazione della nuova certificazione, fermo restando che è comunque sempre necessaria la attestazione, da parte dell’ambasciata o consolato interessati, della veste di proprio medico fiduciario conferita al sanitario che ha svolto il servizio in argomento, nonché della autenticità della sua firma. Sull’argomento “legalizzazione”, più in generale, si ritiene utile fornire le seguenti indicazioni. L’adempimento può non essere richiesto ai lavoratori che si ammalano in Paesi non facenti parte dell’Unione Europea ma che hanno stipulato con l’Italia (o con la U.E.) Convenzioni o Accordi specifici che regolano la materia in cui è espressamente previsto che la certificazione di malattia rilasciata dall’Istituzione locale competente (o, per quanto qui interessa, da medici abilitati dalla stessa) è esente da legalizzazione. I Paesi di cui trattasi sono: (4) • Paesi extra UE con i quali sono stati stipulati Accordi che prevedono l’applicazione della disciplina comunitaria: Islanda, Norvegia e Liechtenstein in base all’Accordo SEE (Spazio Economico Europeo), Svizzera (in base all’Accordo sulla libera circolazione tra CH e UE) e Turchia (in applicazione alla Convenzione Europea di sicurezza sociale). • Paesi extra UE con i quali sono stati stipulate Convenzioni estese all’assicurazione per malattia: Argentina, Bosnia-Erzegovina (5), Brasile, Croazia, Jersey e Isole del Canale, Macedonia (5), Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Stato di Serbia e Montenegro (5), Tunisia, Uruguay e Venezuela. In particolare si richiama l’attenzione di codeste Sedi sulla possibilità, prevista in genere da dette Convenzioni o Accordi, di richiedere alle locali Casse o Istituzioni analoghe l’effettuazione di accertamenti sanitari sui lavoratori assistiti in Italia che si ammalano sul territorio estero, fornendo le generalità degli interessati ed il loro esatto recapito all’estero. E’ ovvio che per gli altri Paesi per i quali, ancorché in presenza di Convenzioni sulla materia, non è prevista espressa dispensa, continua ad essere necessaria la legalizzazione da parte delle rappresentanze diplomatiche o consolari, secondo le disposizioni vigenti. Infine, si ricorda che sono esenti da legalizzazione a condizione che rechino l''APOSTILLE' gli atti e i documenti rilasciati dagli Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961. 3) LAVORATORI AVENTI TITOLO ALLE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE (malattia). Continuano a pervenire quesiti in tema di riconoscibilità del diritto all’indennità di malattia nei confronti di assicurati aventi titolo a prestazioni pensionistiche. Al riguardo si conferma che ai soggetti in questione non compete il diritto all’indennità di malattia per gli eventi morbosi che iniziano successivamente alla data della cessazione del rapporto di lavoro (v. circ. n. 134406 AGO – n. 286

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SL/149 del 23.7.1983, par. 7); ciò anche se la malattia inizia entro il termine di copertura assicurativa (due mesi, o 60 giorni se il conteggio è più favorevole, dalla cessazione del rapporto di lavoro). In sostanza, la limitazione opera nei confronti dei soggetti già titolari di un trattamento pensionistico al momento della cessazione del rapporto di lavoro nonché di quelli che cessano l’attività per pensionamento o comunque per acquisizione di un trattamento di quiescenza. I criteri sopra indicati riguardano la generalità degli assicurati (compresi i marittimi, tenendo conto ovviamente delle particolarità vigenti per la categoria: la cessazione del rapporto di lavoro coincide con il giorno dello sbarco; il periodo di copertura assicurativa ha la durata di 28 giorni) e vanno applicati anche nei confronti dei pensionati che, dopo la cessazione dell’attività, assumono un nuovo lavoro. Avuto riguardo infatti alla funzione dell’indennità di malattia, di compensare la perdita della retribuzione causata dall’evento morboso che rende il soggetto temporaneamente incapace al lavoro, la previsione di mantenimento, sia pure per un limitato periodo di tempo, del diritto alla indennità dopo la cessazione del rapporto di lavoro è da riferirsi soltanto a coloro che si trovano contingentemente privi di occupazione e non godono di erogazioni diverse, presupposti non rinvenibili nel caso di titolari di un trattamento di quiescenza. Resta inteso che quanto precede non rileva ai fini dell’indennizzabilità delle malattie iniziate prima della cessazione del rapporto di lavoro; queste saranno quindi indennizzate, nei limiti massimi previsti, anche per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro stesso, ovviamente se a tempo indeterminato (art. 5, comma 2, legge 638/1983) (6). A completamento delle indicazioni fornite, si ricorda infine (v. circ. n. 182/1997, par. 7) che l’indennità di malattia – quando l’evento denunciato, iniziato in costanza di lavoro, è riconducibile alla stessa patologia per la quale è stato concesso l’assegno di invalidità – spetta soltanto se è sanitariamente riscontrabile una riacutizzazione o una complicanza della patologia stessa, tale da produrre un’ incapacità lavorativa (7). Resta ferma l’incompatibilità tra la pensione di inabilità e l’indennità di malattia. 4) LAVORATORI ISCRITTI ALLA GESTIONE SEPARATA DI CUI ALL’ART. 2 COMMA 26, DELLA LEGGE N. 335/1995. a) DECADENZA (malattia e maternità). In occasione della istruttoria dei ricorsi presentati dai lavoratori in argomento in materia di indennità di maternità e di indennità di malattia per i periodi di ricovero si è rilevato che talvolta nella lettera con cui viene data agli interessati la comunicazione di non accoglimento della domanda è indicato che l’azione giudiziaria per l’ottenimento della prestazione in contestazione è assoggettata ai termini di decadenza di un anno previsti dalla legge n. 438/1992. Al riguardo si precisa che la decadenza contemplata dalla legge suddetta è espressamente limitata alle prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti e quindi non è riferibile a quelle in esame. Non appare neppure possibile estendere in via analogica ai soggetti di cui trattasi la particolare disciplina in questione, atteso che le norme sulla decadenza hanno natura eccezionale e pertanto non possono applicarsi oltre i casi ed i tempi in esse considerati. Resta fermo, nella materia, il termine annuale di prescrizione, decorrente, secondo i criteri forniti con messaggio n. 009337 del 31.3.2006, dalla conclusione del procedimento amministrativo, salvo idonei atti interruttivi. Le Sedi sono pertanto invitate, a modificare nel senso anzidetto le indicazioni fornite sull’aspetto di interesse nelle comunicazioni di reiezione della prestazione. b) DAY HOSPITAL (malattia). Con circolare n. 136/2003, a modifica delle disposizioni in precedenza impartite con circolare n. 192/1996 sullo specifico aspetto, è stato disposto che ai fini erogativi di interesse le giornate per le quali viene documentata l’effettuazione di prestazioni in regime di day hospital sono da equiparare a giornate di ricovero. Il criterio vale anche per i lavoratori iscritti alla gestione separata di cui trattasi, fermo restando ovviamente che pure per dette giornate l’indennità va erogata secondo le diverse modalità e misure previste per la particolare categoria. c) AUTOMATISMO DELLE PRESTAZIONI (malattia e maternità) Nei confronti dei soggetti iscritti alla gestione separata di cui trattasi si rammenta che non opera il c.d. principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali sancito per i “prestatori di lavoro”, dall’art. 2116 del cod. civ., in forza del quale le suddette prestazioni sono comunque garantite anche nel caso di mancato o irregolare versamento da parte dell’imprenditore dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti. Trattandosi infatti di lavoratori la cui attività è giuridicamente qualificabile come autonoma, il mancato o irregolare versamento dei contributi obbligatori impedisce la maturazione del diritto alle prestazioni e la conseguente corresponsione, in favore degli stessi, delle prestazioni medesime. 5) LAVORATORI AGRICOLI A TEMPO DETERMINATO. PERIODO INDENNIZZABILE (Malattia). Con circolare n. 220 dell’11 settembre 1992 sono state impartite istruzioni nel senso che per i lavoratori in esame può essere considerata utile, ai fini del raggiungimento del numero di giornate (almeno 51) necessario per il diritto alle prestazioni economiche di malattia, l’attività svolta nell’anno precedente nel medesimo settore agricolo, ma a tempo indeterminato. Come infatti sottolineato in alcune pronunce della Cassazione Sez. Lavoro (nn. 3568, 9500, 10530/1990 e 11551/1991), l’art. 5, comma 6, della legge

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638/1983, nello stabilire per i lavoratori agricoli a tempo determinato il requisito occupazionale minimo delle 51 giornate, non distingue fra attività svolta quale lavoratore a tempo determinato o indeterminato. Peraltro, con circ. n. 145 del 1993, si è precisato che sul piano erogativo, quando il predetto requisito occupazionale minimo può essere conseguito utilizzando le giornate di lavoro a tempo indeterminato, resta ferma l’applicazione della specifica normativa vigente per i lavoratori agricoli a tempo determinato, pure per quanto concerne il massimo assistibile. In particolare l’Istituto aveva ritenuto che nel caso, al fine di individuare il numero di giornate indennizzabili, dovesse farsi riferimento in via analogica, anziché al comma sesto dell’art. 5 della legge 638/1983 (secondo cui il numero delle giornate di indennità non può superare la durata del periodo lavorativo svolto nell’anno precedente, che deve comunque essere non inferiore a 51 giornate), al comma terzo dello stesso articolo, che prevede un numero massimo di trenta giornate di indennità di malattia per i lavoratori a tempo determinato i quali nei dodici mesi precedenti l’evento morboso hanno prestato attività lavorativa per meno di trenta giorni. In senso contrario si è però pronunciata la Corte di Cassazione Sezione Lavoro (sentenza n. 249/2003), secondo la quale il richiamo al comma terzo dell’art. 5 ai fini della determinazione del massimo assistibile è contraddittorio. Secondo la predetta Corte, infatti, la diversa individuazione, a seconda del tipo di attività svolta, del numero delle giornate indennizzabili, contrasta con il comma sesto dell’art. 5, che non distingue, quanto all’attività prestata nel settore agricolo nell’anno precedente l’evento morboso, fra attività a tempo determinato e attività a tempo indeterminato. A modifica del criterio impartito con la sopra citata circolare n. 145/1993, si dispone pertanto che al lavoratore agricolo a tempo determinato che risulti aver prestato, nel corso dell’anno precedente, attività nel settore agricolo con la qualifica di lavoratore a tempo indeterminato per almeno 51 giornate, va riconosciuto il diritto alla corresponsi one dell’indennità di malattia per un numero di giornate pari a quelli effettuate nell’anno precedente, fermi restando i limiti di durata massima previsti in materia. Le presenti istruzioni sono da intendersi applicabili ai casi di malattia non ancora definiti alla data della presente circolare nonché, su richiesta degli interessati, agli eventi definiti, per i quali non siano decorsi i termini di prescrizione e/o di decadenza annuali vigenti nella materia ovvero non siano intervenute sentenze passate in giudicato. 6) LEGGE N. 243 DEL 23 AGOSTO 2004: INCENTIVO AL POSTICIPO DEL PENSIONAMENTO (malattia). Con riferimento ai lavoratori che beneficiano dell’incentivo al posticipo del pensionamento (cd. bonus) previsto dalla L. 243 del 23.8.2004 (art. 1, comma da 2 a 17), si ribadisce, come già precisato (si vedano a riguardo il Msg. n. 30721 del 1.10.04 e la circ. n. 150 del 11.11.04), che relativamente a tali lavoratori viene meno l’obbligo da parte del datore di lavoro del versamento della contribuzione a fini pensionistici, ivi incluso il contributo aggiuntivo dell’1% ex art. 3 ter della legge n. 438/1992, mentre resta fermo l’assoggettamento alle altre forme contributive, compresa la contribuzione per malattia. Stante la permanenza del relativo obbligo contributivo ne deriva che ai lavoratori che decidano di fruire del cd. bonus spetta il diritto all’indennità di malattia secondo la disciplina generale applicabile ai lavoratori subordinati (8). In particolare, atteso che, in caso di fruizione del cd. bonus, la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all’INPS a fini pensionistici viene interamente corrisposta al lavoratore, la somma stessa non dovrà essere inclusa, in base ai principi generali vigenti nella materia, nella retribuzione utile per il calcolo delle indennità in argomento. 7) RIPOSI GIORNALIERI (c.d. per allattamento) . 7.1 DIRITTO AI RIPOSI E “BANCA ORE”. Sono pervenute a questa Direzione centrale richieste di chiarimenti in merito alla possibilità di cu mulare le “ore di recupero” – ossia le ore espletate oltre il previsto orario giornaliero di lavoro ed accumulate con il sistema della “banca ore”- con i periodi di riposo per allattamento di cui agli artt. 39 e ss. del D.Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità). E’ stato chiesto, in particolare, se, ai fini della fruizione di tali riposi, sia possibile considerare le suddette “ore di recupero” come “ore di lavoro effettivo” in altra giornata rispetto a quella di effettuazione delle ore stesse. In adesione ad analogo parere espresso, in merito alla sopra citata problematica, dal Coordinamento generale legale di questo Istituto, si precisa che, ai fini del diritto ai riposi giornalieri di cui trattasi (e al relativo trattamento economico), va preso a riferimento l’orario giornaliero contrattuale normale – quello, cioè, in astratto previsto- e non l’orario effettivamente prestato in concreto nelle singole giornate. Ne consegue pertanto che i riposi in questione sono riconoscibili anche laddove la somma delle ore di recupero e delle ore di allattamento esauriscano l’intero orario giornaliero di lavoro comportando di fatto la totale astensione dall’attività lavorativa. 7.2 RIPOSI GIORNALIERI E PART -TIME. Si forniscono chiarimenti in merito alla possibilità di riconoscere i riposi giornalieri nel caso limite della lavoratrice madre a tempo parziale c.d. orizzontale, tenuta in base al programma contrattuale ad effettuare solo un’ora di lavoro nell’arco della giornata. In linea con l’orientamento espresso in proposito dal Ministero vigilante– orientamento recentemente confermato dal Coordinamento generale legale dell’Istituto- la scrivente Direzione è pervenuta ad un’interpretazione di segno favorevole nella considerazione che la dizione letterale della norma (art. 39, comma 1, del citato testo unico) non pare interdire una siffatta possibilità, limitandosi soltanto a prevedere l’orario giornaliero di lavoro (6 ore) al di sotto del quale il riposo è pari ad un’ora, ma non anche l’orario di lavoro minimo necessario per poter fruire del riposo giornaliero. L’eventuale coincidenza del riposo giornaliero con l’unica ora di lavoro, pur comportando la totale astensione della lavoratrice dall’attività lavorativa, non precluderà pertanto il riconoscimento del diritto al riposo in questione.

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7.3 DIRITTO DEL PADRE AI RIPOSI IN CASO DI PARTO PLURIMO . A parziale rettifica delle istruzioni fornite con circ. 8/2003, par. 2, si forniscono chiarimenti in merito al diritto del padre, lavoratore dipendente, al raddoppio dei periodi di riposo giornaliero di cui agli artt. 39 e ss. del testo unico vigente in materia, con particolare riferimento all’ipotesi in cui, trattandosi di madre lavoratrice non dipendente, si verifichi il c.d. parto plurimo. In particolare, fermo restando che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 40, lett. c, del D. Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità), per madre lavoratrice non dipendente deve intendersi la lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta, colona, mezzadra, imprenditrice agricola professionale, parasubordinata e libera professionista) avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell’Istituto o di altro Ente previdenziale, si precisa - in linea con l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale sempre più tendente ad assicurare ad entrambi i genitori un ruolo paritario nelle cure fisiche ed affettive del bambino – che, anche nell’ipotesi considerata, il padre dipendente può fruire, in caso di parto plurimo, del beneficio in esame in misura raddoppiata secondo quanto previsto dall’art. 41 del presente testo unico. Circa le modalità di fruizione dei riposi giornalieri nella specifica ipotesi considerata (parto plurimo di madre lavoratrice non dipendente), si precisa inoltre che il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi stessi anche durante i tre mesi dopo il parto nonché durante l’eventuale periodo di congedo parentale della madre; in tali periodi, tuttavia, il diritto spetta nella misura di 2 ore o 1 ora a seconda dell’orario di lavoro, in analogia a quanto disposto in merito alle ore “aggiuntive” riconosciute al padre in caso di madre lavoratrice dipendente (v. circ. 109/2000, par. 2.2., 3° capoverso). 7.4 DIRITTO DELLE LAVORATRICI IN DISTACCO SINDACALE . La giurisprudenza di legittimità ha espresso l’orientamento, ormai consolidato, secondo cui , durante i periodi di aspettativa sindacale non retribuita ai sensi dell’art.31 della legge 20 maggio 1970, n 300, in caso di maternità, la lavoratrice conserva nei confronti degli enti competenti il diritto all’erogazione delle prestazioni di qualsiasi natura ( sanitaria o economica ) esse siano. Tale principio generale va, pertanto, applicato anche all’indennità per i riposi giornalieri, atteso che l’indennità cosiddetta per allattamento costituisce una delle prestazioni a tutela della maternità, in specie alternativa ( e comunque integrativa ) rispetto al congedo parentale durante il primo anno di vita del bambino. Più in particolare, con riferimento specifico al calcolo dell’indennità in questione, si dovrà fare riferimento alla retribuzione che la lavoratrice avrebbe maturato allorché fosse rimasta in servizio, desumibile dall’ultimo CCNL relativo al settore produttivo di appartenenza della lavoratrice ed alle mansioni svolte prima del distacco sindacale. 8) ASSEGNI NON RISCOSSI (malattia e maternità). E’ stato chiesto se nel caso in cui l’indennità di malattia e maternità sia stata corrisposta mediante assegno ed il lavoratore abbia trascurato di riscuoterlo, si possa eccepire la prescrizione annuale ex art. 6 della legge n. 138/1943 alla richiesta di riemissione dell’assegno stesso, avanzata dall’interessato dopo che è trascorso oltre un anno dalla ricezione del primo assegno. Al riguardo si fa presente che l’emissione dell’assegno, stante la sua natura di mezzo di pagamento, non produce la novazione del rapporto fondamentale sottostante, che quindi rimane in essere con tutte le caratteristiche sue proprie, ivi compresa quella che attiene alla prescrizione applicabile. La riemissione in pagamento di assegni per le prestazioni economiche in questione deve intendersi quindi subordinata in ogni caso alla verifica del mancato decorso del termine di prescrizione annuale predetto, fatto salvo l’effetto interruttivo da attribuire all’emissione del precedente assegno, in cui deve ravvisarsi un riconoscimento di debito da parte dell’Istituto. 9) ESPERIBILITÀ DELL’AZIONE DI SURROGA IN IPOTESI DI MOBBING (malattia). Alcune Sedi hanno chiesto se la presenza di patologie riconducibili, sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’assicurato, a possibili situazioni di mobbing (9), sia presupposto idoneo e sufficiente per intraprendere l’azione di surroga per responsabilità di terzi. Al riguardo si osserva che per la giurisprudenza prevalente gli elementi essenziali della fattispecie sono: l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico; la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; il suo andamento progressivo; le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il lavoratore. In relazione a quanto precede è evidente che la prova del nesso causale tra il pregiudizio subito e la malattia è particolarmente ardua, in quanto il lavoratore, per ottenere il risarcimento, deve dimostrare il collegamento della malattia con una pluralità di comportamenti che si inseriscono in una precisa strategia persecutoria posta in essere dal datore di lavoro al fine di isolarlo psicologicamente e fisicamente. L’Istituto troverebbe pertanto gravi difficoltà nell’intentare cause autonome per mobbing, dovendo provare gli elementi costitutivi della fattispecie e, in particolare, il nesso causale. Sulla base delle considerazioni sopra esposte, ferma restando l’esperibilità in astratto dell’azione surrogatoria nelle situazioni in questione ( trattandosi comunque di menomazione della capacità lavorativa ascrivibile a comportamento doloso del terzo responsabile ), di norma le Sedi non daranno avvio ad autonoma procedura di recupero per i casi di malattia semplicemente additati come mobbing e privi di un accertamento giudiziale di responsabilità del datore di lavoro. 10) INVIO DELLA CERTIFICAZIONE MEDICA PER LE MALATTIE CHE SI ESAURISCONO IN CARENZA (malattia) . È stato chiesto se nel caso di malattie che si esauriscono in carenza il lavoratore possa consegnare la certificazione medica al solo datore di lavoro, omettendo cioè di inviarla all’INPS. Al riguardo si fa presente che le disposizioni vigenti (art. 1, comma 149 della legge 30.12.2004, n.311, che ha sostituito i commi 1 e 2 della legge n. 33/1980) prevedono in via generale che, nei casi di infermità comportanti incapacità lavorativa, la certificazione rilasciata ai lavoratori aventi diritto all’indennità di malattia debba essere inviata ai destinatari previsti (INPS e datore di lavoro).

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Avuto riguardo a quanto precede si ritiene quindi che l’onere dell’invio della certificazione all’INPS permanga pure relativamente alle malattie di durata inferiore a quattro giorni (per le quali, come noto, non è dovuto il trattamento previdenziale), tenuto conto anche dei riflessi che possono porsi nell’eventualità di successive ricadute. Note: (1) Nell’eventualità che dette giornate coincidano con la domenica, si applicheranno ovviamente le disposizioni vigenti per le domeniche stesse (non indennizzabilità per gli operai, corresponsione dell’indennità per gli impiegati). La situazione non è infatti equiparabile alle “festività infrasettimanali coincidenti con la domenica” – non indennizzabili neanche agli impiegati-, avendo le giornate in questione perso, per effetto della legge sopra citata, la connotazione di “festività”. (2) Se ad esempio il datore di lavoro corrisponde il 6 novembre 2005 (prima domenica del mese di novembre) il compenso aggiuntivo previsto per la giornata ex festiva del 4 novembre 2005 (venerdì), all’impiegato assente per malattia il 4 novembre spetta, per tale ultimo giorno, la prestazione previdenziale in quanto trattasi di giornata non retribuita. Il 6 novembre 2005 non sarà peraltro indennizzabile, non perché coincidente con la domenica, ma perchè retribuito. (3) Si elencano, ad ogni buon conto, oltre all’Italia, i Paesi ai quali, alla data del 1 gennaio 2006 viene applicata la normativa comunitaria: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito (Gran Bretagna e Irlanda del Nord), Repubblica Ceca, Repubblica di Cipro, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Con l’occasione si ricorda ad ogni buon conto che a decorrere dal 1.6.2004 il formulario E111 è stato sostituito dalla TEAM (Tessera Europea Assicurazione Malattia), e che dalla stessa data è stato soppresso il formulario E 113 (v. messaggio n. 027699 del 1.8.2005). (4) I testi dei relativi Accordi e Convenzioni sono consultabili su “INPS INTERNET” (INPS; Informa zioni; Panorama internazionale; Le convenzioni internazionali; Normativa; Stati esteri - convenzioni bilaterali). (5) Sono ancora applicabili gli accordi a suo tempo stipulati con l’ex Yugoslavia. (6) Si rammenta che, diversamente dagli altri assicurati, ai lavoratori dello spettacolo ed ai marittimi non è applicabile il divieto di corrispondere trattamenti economici di malattia dopo la cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato (v. comma 7, art. 7, della legge n. 638/1983). (7) Il particolare accertamento non è ovviamente necessario se la malattia denunciata è diversa. (8) Poiché per i lavoratori di cui trattasi permane anche l’assoggettamento alla contribuzione per maternità, gli stessi hanno anche diritto alle relative prestazioni, limitate peraltro verosimilmente a casi di adozione, affidamento o permessi per handicap. (9) Come indicato nella sentenza n. 623 del 25.10.2005 della III Sez. Centrale d’Appello della Corte dei Conti, si verifica una situazione di mobbing “quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro o ad espellerlo, con la conseguenza di intaccare gravemente l’equilibrio psichico dello stesso, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talvolta persino il suicidio”. Circolare n. 91 del 26 maggio 2003 OGGETTO: Riposi giornalieri in caso di adozione e affidamento. Sentenza della Corte Costituzionale n. 104 del 9/4/2003. SOMMARIO: I genitori di bambini adottati o presi in affidamento hanno diritto a fruire dei riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 del D. Lgs. 151/2001 (T. U. sulla maternità) entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria 1) Riposi giornalieri in caso di adozione e affidamento. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 104 del 1/4/2003 (v. G. U. 1° serie speciale – Corte Costituzionale - n. 14 del 9/4/2003), ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 45 del D. Lgs. 151/2001 (T. U. sulla maternità) nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 del decreto medesimo si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento, entro il primo anno di vita del bambino. I genitori di bambini adottati o presi in affidamento, in base alla sentenza sopra citata, hanno diritto a fruire dei riposi giornalieri entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria. Secondo la Consulta, infatti, la limitazione temporale di cui all’art. 45 del T. U. avrebbe di fatto reso inapplicabili, con evidente violazione del principio di eguaglianza, i riposi in oggetto a favore delle madri adottive o affidatarie, giacché, nella quasi totalità dei casi, i bambini dati in adozione o in affidamento entrano nella famiglia adottiva o affidataria quando hanno già compiuto il primo anno di età. La circostanza che la pronuncia della Corte costituzionale faccia generico riferimento all’affidamento, senza darne una qualificazione giuridica, depone a favore dell’applicabilità della sentenza in oggetto, sia nell’ipotesi dell’affidamento preadottivo, che nell’ipotesi dell’affidamento provvisorio. Del resto, una parità di trattamento tra affidamento preadottivo e affidamento prov visorio è da ritenersi ormai principio generale – ovviamente se non esplicitamente disciplinata in maniera diversa – agli effetti del diritto alle prestazioni di maternità, per cui l’Istituto (v. ad es.: circ. 229/1988, circ. 151/1990) aveva senz’altro riconosciuto il diritto alle medesime prestazioni, previste per le madri adottive, a tutte le donne che avevano avuto bambini in affidamento, preadottivo o provvisorio che fosse.

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Nell’ipotesi di adozione o affidamento di due o più minori entrati nella famiglia adottiva o affidataria nella stessa data, trova applicazione l’art. 41 del T. U., che prevede il raddoppio dei riposi in caso di parto plurimo: a quest’ultimo, infatti, è equiparabile l’ingresso in famiglia, avvenuto nella stessa data, di due o più minori, anche non fratelli. In proposito la Corte ha dichiarato che i bisogni affettivi e relazionali del minore adottato o affidato, al soddisfacimento dei quali sono diretti i riposi giornalieri, richiedono un tempo maggiore quando devono essere appagati riguardo a più persone. In attesa dell’intervento del legislatore auspicato dalla Corte per una eventuale individuazione dei limiti di età del minore adottato o affidato, si ritiene che i genitori adottivi o affidatari possano avvalersi dei riposi giornalieri fino al raggiungimento della maggiore età del minore in adozione o in affidamento, ovviamente non oltre un anno dall’ingresso in famiglia. Inoltre, a differenza di quanto previsto per i figli “biologici” – per i quali i genitori possono fruire dei riposi giornalieri solo al termine del periodo di astensione obbligatoria post-partum – il/la lavoratore/trice che abbia adottato o preso in affidamento un minore può utilizzare i riposi giornalieri a partire dal giorno successivo all’ingresso del bambino in famiglia, in luogo del congedo di maternità di cui all’art. 26 del T.U. o del congedo di paternità di cui al successivo art. 31. Ciò, in quanto la fruizione del congedo di maternità in caso di adozione o affidamento non è obbligatoria come in caso di parto, come non lo è la fruizione del congedo di paternità (riconoscibile, si sottolinea, semplicemente in seguito alla mancata richiesta e cioè, sostanzialmente, alla rinuncia della lavoratrice dipendente, madre adottiva o affidataria, al congedo di maternità). Ovviamente, la successiva richiesta di congedo di maternità/paternità (non oltre il 3° mese dall’ingresso in famiglia) sostituisce la richiesta, per i giorni coincidenti, dei riposi (orari) giornalieri. Sono applicabili, invece, fatto salvo il diverso ambito temporale (entro un anno dall’ingresso del minore nella famiglia), le disposizioni previste (v. circ. 109 del 2000 e circ. 8 del 2003) per i figli “biologici”, sia relativamente ai requisiti soggettivi richiesti, che ai rapporti che potrebbero instaurarsi tra riposi giornalieri, congedo di maternità o di paternità, congedo parentale, quando entrambi i genitori adottivi o affidatari intendano utilizzare contemporaneamente gli uni e gli altri. La madre adottiva o affidataria può beneficiare, infatti, dei riposi giornalieri durante il congedo parentale del padre adottivo o affidatario, ma non anche durante il congedo di paternità di quest’ultimo. Il padre adottivo o affidatario, invece, non può godere dei riposi suddetti né durante il congedo di maternità, né durante il congedo parentale della madre nonché durante i periodi di sospensione del rapporto di lavoro della stessa. Nell’ipotesi in cui il padre adottivo o affidatario stia fruendo dei riposi giornalieri in assenza di richiesta del congedo di maternità o del congedo parentale della madre adottiva o affidataria, una eventuale, successiva richiesta dei congedi suddetti da parte della madre farebbe venir meno, come del resto accennato, la possibilità, per il padre, di utilizzare i riposi nei periodi coincidenti con i congedi della madre. Nei confronti del padre adottivo a affidatario sono comunque applicabili anche le altre condizioni di utilizzo dei riposi in questione previste dagli artt. 40 (affidamento esclusivo dei figli al padre, mancata fruizione dei riposi, da parte della madre lavoratrice dipendente, per rinuncia della stessa o perché appartenente a categoria non avente diritto ai riposi suddetti, ipotesi di madre non lavoratrice dipendente, morte o grave infermità della madre) e 41 del T.U.(fruibilità da parte del padre delle ore aggiuntive previste in caso di plurimo) ed esplicate nelle citate circolari n. 109/2000 ( v. paragrafo 2) e n. 8/2003 (v. paragrafo 2). Laddove i genitori abbiano fruito dei riposi giornalieri durante l’affidamento preadottivo, gli stessi non possono fruire di ulteriori periodi a seguito dell’adozione. Allegato 1

SENTENZA N. 104 ANNO 2003

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

ha pronunciato la seguente SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) e dell’art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 mar zo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi con ordinanze del 9 ottobre 2001 dal Tribunale di Trieste nel procedimento civile vertente tra Rigo Rossella e la Regione Friuli-Venezia Giulia e del 24 luglio 2001 dal Tribunale di Ivrea nel procedimento civile vertente fra l’INPS e Bersano Giovanni ed altra iscritte rispettivamente ai nn. 165 e 294 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 e n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2002. Visti gli atti di costituzione di Rigo Rossella, dell’INPS, della Regione Friuli-Venezia Giulia nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante; uditi l’avvocato Franco Berti per Rigo Rossella e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.— Nel corso di una controversia di lavoro promossa da Rossella Rigo Vanon nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sua datrice di lavoro, il Tribunale di Trieste ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37

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della Costituzione, dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell’art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro). Il giudice a quo specifica che la ricorrente, avendo ottenuto, insieme con il proprio marito, l’affidamento preadottivo di due bambini nati rispettivamente nel 1991 e nel 1994, ha chiesto in sede cautelare di poter essere ammessa a fruire dei periodi di riposo giornaliero di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971. Il provvedimento, concesso dal medesimo giudice remittente in sede cautelare, è stato poi annullato dal Tribunale a seguito di reclamo. Instauratosi il giudizio di merito, il giudice a quo, nel sollevare la presente questione, ricorda di aver accolto l’istanza cautelare della ricorrente in base al convincimento per cui il termine annuale previsto dall’impugnato art. 10 deve decorrere, in caso di affidamento preadottivo, non dalla nascita, bensì dall’ingresso effettivo del minore in famiglia. A tale convincimento egli precisa di essere giunto sulla base di una lettura sistematica delle norme vigenti, compiuta alla luce delle sentenze di questa Corte n. 1 del 1987, n. 332 del 1988, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993. Le misure di protezione originariamente previste per la sola madre biologica, infatti, sono state estese, grazie alla legge n. 903 del 1977 ed alle citate sentenze, tanto in favore del padre che dei genitori adottivi ed affidatari, facendo decorrere i termini di fruibilità per questi ultimi dal momento dell’effettivo ingresso del minore nella famiglia. Nelle more del giudizio, tuttavia, sono entrati in vigore la legge 8 marzo 2000, n. 53, ed il testo unico approvato con decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; quest’ultimo ha chiarito (art. 45) che le disposizioni relative ai riposi giornalieri si applicano anche in caso di adozione e di affidamento "entro il primo anno di vita del bambino". Siffatta disposizione, unitamente al carattere non innov ativo del menzionato testo unico, desumibile dall’art. 15 della legge n. 53 del 2000 (che contiene la relativa delega), induce il remittente a ritenere che anche per il passato i permessi in questione potessero essere goduti dal genitore affidatario solo entro il primo anno di vita del bambino. E’ proprio tale limitazione temporale, peraltro, a far sorgere nel remittente dubbi di legittimità costituzionale delle norme impugnate. Nella quasi totalità dei casi, infatti, i bambini dati in affidamento preadottivo o in adozione entrano nella famiglia quando hanno già compiuto il primo anno di età, sicché i permessi in oggetto finirebbero con l’essere prerogativa pressoché esclusiva dei genitori biologici, con evidente violazione del principio di eguaglianza. Oltre a ciò, l’anzidetta limitazione si pone in contrasto anche con l’art. 37 Cost. perché la madre adottiva, qualora non possa (per motivi economici) o non voglia avvalersi della c.d. astensione facoltativa (oggi congedo parentale), si trova nella sostanziale impossibilità di assistere il minore che le è stato affidato; sicché non le resta altra soluzione che la permanenza nel posto di lavoro, con tutti gli effetti negativi che inevitabilmente derivano a carico del figlio. Il Tribunale di Trieste, pertanto, chiede che le norme impugnate vengano dichiarate costituzionalmente illegittime "nella parte in cui non prevedono a favore delle madri adottive o affidatarie in preadozione il diritto di fruire dei periodi di riposo giornaliero entro l’anno dall’effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria". 2.1 — Si è costituita in giudizio la ricorrente Rossella Rigo Vanon, chiedendo che la questione venga decisa nel senso indicato dal remittente. Rileva la parte privata che, ove venisse accolta l’interpretazione restrittiva indicata dal Tribunale di Trieste, le norme impugnate non potrebbero sottrarsi alle indicate censure di illegittimità costituzionale. La legislazione protettiva della maternità, infatti, non si limita a prendere in considerazione le esigenze fisiologiche del minore, bensì tiene presenti anche quelle relazionali ed affettive, tanto che i termini di ammissione al congedo obbligatorio e facoltativo, sebbene collegati all’età del minore adottando, decorrono dal momento in cui questi compie il proprio ingresso nella famiglia. E non si vede per quale motivo analoga previsione non debba valere anche per i permessi di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971. 2.2 — In prossimità dell’udienza la parte privata Rossella Rigo Vanon ha presentato un’articolata memoria, insistendo per l’accoglimento delle rassegnate conclusioni. Premette la parte che la vicenda processuale in oggetto si è svolta prima dell’entrata in vigore del testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001 e che il diritto dei genitori adottivi di fruire dei permessi giornalieri deve ritenersi già previsto dall’ordinamento ancor prima dell’entrata in vigore del testo unico medesimo. La Rigo Vanon richiama innanzitutto il dibattito svoltosi in seno alla giurisprudenza di legittimità relativamente all’estensibilità in favore dei genitori adottivi ed affidatari delle provvidenze di cui alla legge n. 1204 del 1971 per il periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 – il cui art. 6 ha espressamente risolto il quesito in senso favorevole (almeno a partire da quella data) – e ricorda la sentenza n. 332 del 1988 di questa Corte con la quale sono state dichiarate costituzionalmente illegittime (quindi, con effetto retroattivo) una serie di norme della legge n. 1204 del 1971 nella parte in cui non estendevano le provvidenze ivi previste ai genitori adottivi ed anche agli affidatari provvisori, fissando in tutti i casi i termini di fruizione dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia. La parte privata prosegue poi richiamando altre pronunce di questa Corte di fondamentale importanza nella materia in questione, ossia le sentenze n. 1 del 1987, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993. Alla luce della giurisprudenza costituzionale evocata, la parte privata ritiene che la disciplina di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971 debba applicarsi anche in favore dei genitori adottivi ed affidatari, attraverso un procedimento interpretativo di carattere "logico-sistematico" che collega le norme esistenti, così come riviste dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell’ordinamento. Secondo la parte privata, del resto, sarebbe molto difficile, sul piano della legittimità costituzionale, dare una spiegazione accettabile del perché la fruibilità dei permessi giornalieri debba essere ristretta anche per i bambini adottivi al solo primo anno di vita, dettando una regola che in concreto renderebbe l’istituto pressoché inapplicabile e che risulterebbe incomprensibile da un punto di vista logico, oltre che in contrasto con l’obiettivo fondamentale di salvaguardare nel modo migliore l’evoluzione psico-fisica

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del minore. Siffatta interpretazione restrittiva, d’altra parte, risulterebbe in evidente contrasto con tutti i parametri costituzionali invocati dal giudice remittente. 3.— Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, parte convenuta nel giudizio a quo, chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata inammissibile o infondata. L’inammissibilità deriverebbe dalla completa carenza di motivazione in punto di rilevanza, poiché il remittente non ha neppure precisato quale sia stata l’effettiva data di ingresso dei minori nella famiglia della ricorrente. Nel merito, la parte osserva che la parificazione tra genitori biologici e ge nitori adottivi è stata compiuta dalle leggi vigenti in riferimento al congedo di maternità ed al congedo parentale (che attualmente indicano l’astensione obbligatoria e quella facoltativa). I riposi giornalieri di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971 hanno, invece, una finalità ben diversa, che è quella di accudire il neonato nella fase immediatamente successiva alla nascita; tale necessità di assistenza diretta si conclude, secondo la valutazione del legislatore, col compimento del primo anno di vita. Estendere la fruibilità di tali permessi entro l’anno dall’effettivo ingresso del minore nella famiglia significa snaturare la portata dell’istituto, compiendo una valutazione che è di politica legislativa; anche per le madri biologiche, d’altra parte, i permessi non sono più concedibili una volta trascorso il primo anno di vita del bambino, restando alle medesime la sola facoltà di avvalersi del congedo parentale, di modo che nessuna diversità di trattamento può essere ravvisata nel sistema vigente. Da tanto consegue l’infondatezza della questione. 4.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atto difensivo di contenuto identico a quello della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 5.— Il Tribunale di Ivrea – adìto in sede di reclamo avverso il provvedimento d’urgenza concesso dal giudice monocratico, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., col quale veniva riconosciuto al ricorrente, padre adottivo di un minore, il diritto alla fruizione dei riposi giornalieri entro l’anno dall’ingresso del bambino nella famiglia – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53). Osserva il giudice a quo che l’impugnato provvedimento d’urgenza è stato emesso in primo grado in base al convincimento per cui i riposi giornalieri previsti dall’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e dall’art. 3, comma 5, della legge n. 53 del 2000, possono essere fruiti dai genitori adottivi non entro l’anno dalla nascita del minore, bensì entro l’anno dal momento in cui lo stesso ha fatto il suo effettivo ingresso nella famiglia. In sede di reclamo, proposto dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, tanto quest’ultimo quanto il datore di lavoro hanno eccepito l’erroneità del provvedimento favorevole al lavoratore, sostenendo che il quadro normativo complessivo, da leggersi alla luce del sopravvenuto art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, imponeva di limitare la concessione dei permessi in questione al primo anno di vita del bambino. Ciò premesso in punto di fatto, il Tribunale di Ivrea, accogliendo e facendo propria l’eccezione avanzata in sede di reclamo dal lavoratore (che insisteva nel contempo per la conferma dell’impugnato provvedimento), ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 45 "nella parte in cui dispone che le norme in materia di riposi di cui agli artt. 39, 40, 41 dello stesso decreto si applicano anche in caso di adozione e di affidamento soltanto entro il primo anno di vita del bambino" (comma 1). Nel motivare sulla non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale remittente ricorda che la normativa sui permessi giornalieri di maternità trovava in origine il proprio fondamento nell’esigenza dell’allattamento; tale esigenza, benché non superata, può tuttavia considerarsi non più esclusiva alla luce sia di quanto sostenuto da questa Corte nella sentenza n. 179 del 1993 sia del testo dell’art. 6-ter della legge n. 903 del 1977, introdotto con la menzionata legge n. 53 del 2000. Non si tratta, infatti, soltanto di permettere alla madre (o al padre) di badare alle fondamentali esigenze fisiche del bambino, ma anche di curare l’aspetto relazionale del rapporto genitoriale, favorendo il contatto affettivo fra il genitore ed il figlio. L’art. 39 del d. lgs. n. 151 del 2001, d’altra parte, sembra aver recepito tale mutamento di prospettiva, facendo riferimento agli asili nido piuttosto che alle camere di allattamento. A tale evoluzione della tutela della maternità e della paternità si è affiancata una crescente attenzione del legislatore nei confronti della famiglia adottiva, tradottasi in una serie di norme che di fatto equiparano i genitori adottivi a quelli biologici. Sulla base di tali premesse, al Tribunale remittente la norma censurata pare in contrasto con i numerosi parametri costituzionali citati. Innanzitutto con l’art. 3 Cost., inteso sia come principio di eguaglianza che come principio di ragionevolezza, perché il legislatore ha fissato un medesimo termine di fruibilità dei permessi in oggetto mentre è evidente che l’inserimento del bambino nella famiglia adottiva avviene, a differenza che per la famiglia biologica, in un momento successivo alla nascita, sicché la parità di trattamento finisce col tradursi in un evidente ostacolo alla crescita armoniosa del figlio adottivo, a dispetto di tutte le indicazioni provenienti proprio dalla giurisprudenza costituzionale; e ciò è tanto più irrazionale in quanto il legislatore, nel regolare il congedo per la malattia del figlio, ha dimostrato di tener presente la diversa situazione dei figli adottivi, consentendo ai genitori di assentarsi fino al compimento del sesto anno di età da parte del minore. Altrettanto evidente appare al Tribunale il contrasto con gli artt. 29, 30 e 31 Cost., norme tutte finalizzate alla protezione della famiglia e della filiazione; l’art. 45 impugnato, infatti, dimostra di trascurare le esigenze di carattere affettivo e relazionale del figlio che sono senz’altro presenti anche nel caso della filiazione adottiva, dettando una regola che nella grande maggioranza dei casi finirà col non poter essere utilizzata, perché la complessità della procedura di adozione è tale che l’effettivo ingresso del minore

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nella famiglia avviene quando il medesimo ha già compiuto il primo anno di vita. Ragioni del tutto analoghe inducono a ritenere violato l’art. 37 Cost., perché la norma in oggetto contrasta con l’obiettivo di protezione della lavoratrice madre (e del lavoratore padre) alla luce delle sentenze costituzionali n. 179 del 1993 e n. 341 del 1991, le quali hanno chiarito che le esigenze di equilibrata crescita del minore rendono necessaria la presenza di entrambi i genitori, con un criterio che vale anche in rapporto all’affidamento ed all’adozione. Ultima censura ravvisata dal remittente è la violazione dell’art. 77 Cost. sotto il profilo dell’eccesso di delega: in contrasto con i criteri direttivi fissati dall’art. 15, comma 1, lettera c), della legge n. 53 del 2000 – secondo cui il legislatore delegato aveva il potere di modificare le norme esistenti soltanto allo scopo di garantirne la coerenza logica e sistematica – la norma impugnata pone, infatti, un limite per l’applicabilità delle disposizioni sui riposi giornalieri nel caso di adozioni o affidamenti non previsto dalla previgente normativa. La questione si palesa rilevante, d’altra parte, perché, stante l’immediata applicabilità ratione temporis dell’art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, in caso di rigetto della proposta questione da parte della Corte, il Tribunale non potrebbe che accogliere il reclamo, annullando la prima ordinanza cautelare e negando la sussistenza del diritto del padre ricorrente a fruire dei periodi di riposo in esame, essendo stati i medesimi concessi in relazione ad un momento in cui il minore adottato aveva già compiuto il primo anno di età (mentre non era ancora trascorso il primo anno dall’ingresso nella famiglia). 6.— Si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata. Osserva l’ente previdenziale che i riposi giornalieri dei quali si discute sono stati istituiti con lo scopo primario di consentire l’allattamento del bambino, ossia per soddisfare un’esigenza di alimentazione e di crescita, tanto che in passato parecchie aziende avevano creato le apposite camere di allattamento. Mutato radicalmente l’assetto della società, tali permessi sono stati concessi anche ai padri lavoratori, sicché alla funzione originaria dei medesimi se ne sono affiancate altre, le qu ali tuttavia non hanno eliminato la ratio fondamentale per cui essi costituiscono un vero e proprio diritto del lavoratore. Se, d’altronde, la funzione alimentare non fosse a base dei riposi in questione, non si capirebbe il motivo per il quale in caso di parto plurimo la legge prevede il raddoppio della durata degli stessi (art. 41 del d. lgs. n. 151 del 2001). Alla luce di siffatta ricostruzione, quindi, appare del tutto ragionevole il termine annuale, decorrente dal momento della nascita, che il legislatore ha fissato per la fruibilità di tali permessi; decorso il primo anno di vita, infatti, si sarà compiuto lo "svezzamento", il che consentirà al genitore di tornare al normale orario di lavoro salva la possibilità di godere del congedo parentale. Del par i infondati paiono all’INPS i profili di violazione degli artt. 29, 30, 31 e 37 Cost., perché la tutela della maternità e della paternità è ampiamente assicurata nel nostro ordinamento da altri e ben più importanti istituti – quali il congedo per maternità, quello parentale e quello per le malattie del figlio – che testimoniano l’equilibrio complessivo del sistema vigente e che consentono di restringere l’ambito temporale dei permessi di allattamento, senza timori di violazione di alcun parametro costituzionale, nei limiti fissati dalla norma impugnata. 7.— E’ intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione. La difesa erariale rileva che l’ordinanza del Tribunale di Ivrea non pare aver compreso il vero obiettivo che il legislatore si è prefisso di raggiungere con la norma impugnata. La ratio legis, infatti, non è tanto quella di fornire un’ulteriore pr otezione al genitore lavoratore, quanto piuttosto quella di garantire un’adeguata assistenza al bambino nella prima e più delicata fase della sua esistenza. A tale scopo la fruibilità dei permessi è stata estesa anche al padre, indirettamente dimostrando che la finalità dell’allattamento al seno è solo uno degli obiettivi, ma non l’unico, che la norma intende perseguire. Tuttavia il legislatore si è anche preoccupato di contemperare le esigenze di assistenza del bambino con quelle del lavoro, limitando il godimento dei permessi giornalieri al primo anno di vita del minore; nessuna disparità di trattamento è ravvisabile, perciò, tra figli adottivi e figli cresciuti dai genitori biologici, perché la norma ha ritenuto che le esigenze primarie di accudimento del neonato cessino al compimento del primo anno di età. Sindacare la scelta compiuta, estendendo la portata della norma nel senso auspicato dal remittente, significherebbe entrare in una sfera riservata alla discrezionalità del legislatore, per di più creando una fattispecie dagli incerti confini applicativi. Le considerazioni svolte dimostrano anche, secondo la difesa erariale, l’inesistenza della presunta violazione dell’art. 77 Cost. sotto il profilo dell’eccesso di delega; la norma impugnata, infatti, in conformità al criterio direttivo di cui all’art. 15, comma 1, lettera c), della legge n. 53 del 2000, non mira affatto ad introdurre nell’ordinamento una norma nuova, bensì soltanto ad assicurare la coerenza logica complessiva del sistema normativo vigente. Considerato in diritto 1.— Il Tribunale di Trieste ed il Tribunale di Ivrea sottopongono all’esame della Corte due questioni che, quantunque aventi ad oggetto disposizioni diverse (ratione temporis), sono nella sostanza di identico contenuto. In particolare, il Tribunale di Trieste dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell’art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro); il Tribunale di Ivrea, invece, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 (comma 1) del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione. Fondamento di entrambe le questioni è il dubbio riguardante la fruizione dei permessi giornalieri in favore dei genitori adottivi e degli affidatari, che la legislazione vigente limita al primo anno di vita del bambino, così come per i figli biologici. Ad avviso dei

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Tribunali remittenti, invece, in caso di adozione o di affidamento tali permessi dovrebbero essere fruibili a partire dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia, pur rimanendo fermo l’attuale limite annuale, sussistendo altrimenti violazione sotto vari profili dei menzionati parametri cost ituzionali. 2.— Le due questioni si differenziano sostanzialmente soltanto da un punto di vista di cronologia delle norme impugnate, perché le leggi n. 1204 del 1971 e n. 903 del 1977 sono state trasfuse, assieme a molte altre, nel testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001; il Tribunale di Trieste ha impugnato le norme previgenti, mentre quello di Ivrea ha impugnato l’art. 45 del testo unico. Le questioni, pertanto, possono essere riunite e decise con una sola pronuncia. 3.— La questione proposta del Tribunale di Trieste è inammissibile per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, infatti, il giudice a quo non ha descritto in modo adeguato la fattispecie sottoposta al suo esame; in particolare, ha omesso di indicare una dato essenziale ai fini della rilevanza, ossia la data di effettivo ingresso nella famiglia della ricorrente dei due bambini destinatari dell’affidamento preadottivo; d’altro canto, poi, egli, pur mostrando di conoscere la legge n. 53 del 2000 ed il d. lgs. n. 151 del 2001, non ha tuttavia fornito alcuna motivazione sulla ragione che lo ha indotto a sottoporre all’esame della Corte due norme espressamente abrogate dall’art. 86 del decreto da ultimo menzionato. In tal modo il giudice remittente ha dimenticato che, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo l’ordinanza n. 204 del 2002), lo scrutinio di legittimità costituzionale avente ad oggetto norme abrogate prima della rimessione della questione è possibile solo a condizione che si dia conto delle ragioni per le quali tale scrutinio mantiene la sua rilevanza nel giudizio principale. Né, d’altronde, per sopperire alle suddette lacune dell’ordinanza, è possibile fare ricorso alle allegazioni delle parti. 4.— La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ivrea va esaminata, logicamente, innanzitutto sotto il profilo preliminare dell’eccesso di delega; ad avviso del giudice a quo, infatti, poiché il testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001 non avrebbe potuto avere contenuto innovativo – in forza dei criteri direttivi contenuti nell’art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega n. 53 del 2000 – l’art. 45 impugnato, nello stabilire il limite del primo anno di vita del bambino anche per i genitori adottivi e per gli affidatari, avrebbe oltrepassato i limiti della delega stessa. Questa censura è inammissibile. Il giudice remittente prospetta infatti il vizio di eccesso di delega nel convincimento che il limite di un anno dalla nascita del bambino non fosse già previsto dall’art. 10 della legge n. 1204 del 1971 e sia stato quindi introdotto ex novo illegittimamente dalla norma censurata, ma di tale convincimento il Tribunale di Ivrea non fornisce alcuna motivazione, con la conseguenza che la questione, sotto il profilo qui esaminato, è inammissibile. 5.? La questione prospettata dal Tribunale di Ivrea ? invece fondata per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sia sotto il profilo dell’eguaglianza, perché la norma censurata assoggetta a eguale trattamento situazioni diverse, sia sotto quello della intrinseca irragionevolezza. Si premette che l’istituto dei riposi giornalieri, senza indugiare sulla normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua originaria disciplina nell’articolo 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ed era regolato come strumento finalizzato esclusivamente all’allattamento. La norma richiamata attribuiva il diritto a tali permessi soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri bambini, prevedendo le pause in funzione di quell’unica necessità, tanto che la predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle cosiddette camere di allattamento e dell’asilo nido obbligava le lavoratrici ad allattare in sede, senza possibilità di uscire dai locali aziendali. I riposi giornalieri erano quindi concepiti come complementari alle altre misure dirette alla protezione della maternità biologica oltre che parzialmente sostitutivi dell’astensione dal lavoro post partum . Il successivo articolo 10 della legge n. 1204 del 1971 dimostra già un cambiamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi risulta non più strettamente connessa all’esigenza puramente fisiologica dell’allattamento, tanto che la norma non obbliga più la lavoratrice ad utilizzare le strutture eventualmente predisposte dal datore di lavoro, quali le camere di allattamento e gli asili nido, e comincia a dare rilievo all’aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio. E’ indubbio, quindi, che gli istituti a protezione della maternità nascono e vivono per un certo tempo in un contesto sociale e ordinamentale nel quale da un canto l’adozione, ed in particolare quella dei minorenni, ha scarsa applicazione e svolge una funzione ben diversa da quella che avrebbe successivamente assunto, dall’altro il ruolo del padre nella società e nella famiglia è ancora concepito come del tutto secondario riguardo alla crescita e alla educazione dei figli nei primi anni della loro vita, sicché ciò che ha preminente rilievo è pur sempre la maternità biologica. In tale periodo è soltanto la giurisprudenza ordinaria che, non senza oscillazioni e contrasti, estende ai genitori adottivi i benefici previsti per i genitori naturali. 6.? Il quadro muta radicalmente a partire dagli anni settanta per effetto di una serie di leggi di riforma (diritto di famiglia, parit? di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro, adozione dei minori) e di alcune decisioni di questa Corte. Limitando l’indagine a ciò che più specificamente riguarda la questione in esame, l’art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso alle madri adottive o affidatarie gli istituti dell’astensione dal lavoro obbligatoria e facoltativa e l’art. 7 ha attribuito anche al padre lavoratore il diritto all’astensione facoltativa, ma solo a determinate condizioni. Ciò che occorre soprattutto sottolineare è che la legge, stabilendo che i benefici potevano essere goduti, in caso di adozione o affidamento, nel primo anno d’ingresso del bambino nella famiglia dell’adottante o dell’affidatario, anche se limitatamente all’ipotesi che il bambino non avesse superato i sei anni di età, ha attribuito rilievo alla diversità di esigenze del bambino adottato rispetto a quelle proprie del bambino che vive con i genitori naturali o con almeno uno di questi.

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7.? Questa Corte ? stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme disciplinanti gli istituti a protezione della maternità e dei minori, in particolare sotto il profilo della loro mancata o non totale estensione al padre lavoratore oppure ai genitori legali (adottanti o affidatari). Per effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il diritto all’astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, a determinate condizioni, è stato esteso al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987); il diritto all’astensione facoltativa è stato riconosciuto alla madre affidataria provvisoria e quello all’astensione obbligatoria alla madre affidataria in preadozione (sentenza n. 332 del 1988); il diritto all’astensione nei primi tre mesi dall’ingresso del bambino nella famiglia è stato attribuito al padre lavoratore affidatario di minore per i primi tre mesi successivi all’ingresso del bambino nella famiglia in alternativa alla madre (sentenza n. 341 del 1991); il diritto ai riposi giornalieri, infine,è stato esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l’assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993). 8.? Da quanto sinteticamente esposto risulta che gli istituti dell’astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora denominati congedi, e quello dei riposi giornalieri oggi non hanno più l’originario necessario collegamento con la maternità naturale e non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della donna ed il soddisfacimento delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche, come questa Corte ha già più volte affermato nelle motivazioni delle sentenze suindi cate, ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua personalità. Ciò che più rileva, ai fini della soluzione della presente questione, è la piena coincidenza tra la ratio delle decisioni di questa Corte appena richiamate e l’attività del legislatore. Questi, nel momento in cui ha esteso misure previste in caso di filiazione naturale alla filiazione adottiva ed all’affidamento ha avvertito che l’età del minore diveniva un elemento, se non trascurabile, certamente secondario, mentre veniva in primo piano il momento dell’ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria, in considerazione delle difficoltà che tale ingresso comporta sia riguardo alla personalità in formazione del minore, soggetta al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno in istituto, sia per i componenti della famiglia adottante o affidataria. 9.? Il d. lgs. n. 151 del 2001, il cui articolo 45 ? censurato dal Tribunale di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato tutta la disciplina di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessa alla maternità e paternità dei figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché le misure di sostegno economico alla maternità e alla paternità (art. 1), ribadendo, nei casi di adozione e di affidamento, la rilevanza del momento dell’ingresso del minore nella famiglia per quanto concerne la fruizione dei congedi (v. art. 26, comma 2; art. 31; art. 36, comma 2, del medesimo decreto). Le difese della Presidenza del Consiglio e dell’INPS, pur convenendo sull’evoluzione e sul mutamento di funzioni che gli istituti a sostegno della maternità e della paternità hanno avuto nel corso degli ultimi decenni, sostengono che quello dei riposi giornalieri conserva pur sempre un collegamento con le necessità connesse alla prima età del minore, come sarebbe dimostrato dall’art. 41 del d. lgs. n. 151 del 2001, secondo cui la durata dei riposi è raddoppiata in caso di parto plurimo. Tale tesi non può essere accolta. I riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si è detto, di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità. Essi, pertanto, svolgono una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi parentali. Ora, per questi il legislatore ha ritenuto rilevante, in caso di adozione o di affidamento, il momento dell’ingresso del minore nella famiglia, considerando l’età del minore, peraltro diversamente disciplinata a seconda delle varie ipotesi di adozioni o affidamenti (per l’adozione internazionale v. gli artt. 27 e 37 del d. lgs. n. 151 del 2001), esclusivamente come un limite alla fruizione dei benefici. Ne consegue che restringere il diritto ai riposi per gli adottanti e gli affidatari al primo anno di vita del bambino non soltanto è intrinsecamente irragionevole, ma è anche in contrasto con il principio di eguaglianza, perché l’applicazione agli adottanti ed agli affidatari della stessa formale disciplina prevista per i genitori naturali finisce per imporre ai primi ed ai minori adottati o affidati un trattamento deteriore, attesa la peculiarità della loro situazione. Nè può indurre a diversa conclusione la richiamata disposizione sulla disciplina dei riposi in caso di parto plurimo, poiché non solo le esigenze fisiche ma anche quelle affettive richiedono un tempo maggiore quando debbono essere soddisfatte riguardo a più persone. Deve essere, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, per contrasto con 1’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i riposi giornalieri di cui agli articoli 39, 40 e 41 dello stesso decreto si applichino, in caso di adozione o di affidamento, entro il primo anno dall’ingresso effettivo del minore nella famiglia. Rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire eventualmente dei limiti alla fruizione dei riposi correlati all’età del minore adottato o affidato. Restano assorbiti gli altri profili di censura. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento, "entro il primo anno di vita del bambino" anziché "entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia";

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dichiara l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell’art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dal Tribunale di Trieste con l’ordinanza di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Capo VII CONGEDI PER LA MALATTIA DEL FIGLIO

Art. 47. Congedo per la malattia del figlio

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 1, comma 4, 7, comma 4, e 30, comma 5) 1. Entrambi i genitor i, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di eta' non superiore a tre anni. 2. Ciascun genitore, alternativamente, ha altresi' diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per le malattie di ogni figlio di eta' compresa fra i tre e gli otto anni. 3. Per fruire dei congedi di cui ai commi 1 e 2 il genitore deve presentare il certificato di malattia rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. 4. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe, a richiesta del genitore, il decorso delle ferie in godimento per i periodi di cui ai commi 1 e 2. 5. Ai congedi di cui al presente articolo non si applicano le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore. 6. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto.

Art. 48. Trattamento economico e normativo

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 7, comma 5) 1. I periodi di congedo per la malattia del figlio sono computati nell'anzianita' di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilita' o alla gratifica natalizia. 2. Si applica quanto previsto all'articolo 22, commi 4, 6 e 7.

Art. 49. Trattamento previdenziale

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 15, comma 3) 1. Per i periodi di congedo per la malattia del figlio e' dovuta la contribuzione figurativa fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. Si applica quanto previsto all'articolo 25. 2. Successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell'ottavo anno, e' dovuta la copertura contributiva calcolata con le modalita' previste dall'articolo 35, comma 2. 3. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 35, commi 3, 4 e 5.

Art. 50. Adozioni e affidamenti

(legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 3, comma 5) 1. Il congedo per la malattia del bambino di cui al presente Capo spetta anche per le adozioni e gli affidamenti. 2. Il limite di eta', di cui all'articolo 47, comma 1, e' elevato a sei anni. Fino al compimento dell'ottavo anno di eta' si applica la disposizione di cui al comma 2 del medesimo articolo. 3. Qualora, all'atto dell'adozione o dell'affidamento, il minore abbia un'eta' compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo per la malattia del bambino e' fruito nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare alle condizioni previste dall'articolo 47, comma 2.

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Art. 51. Documentazione

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 7, comma 5) 1. Ai fini della fruizione del congedo di cui al presente Capo, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 di cembre 2000, n. 445, attestante che l'altro genitore non sia in congedo negli stessi giorni per il medesimo motivo.

Art. 52. Sanzioni

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 31, comma 3) 1. Il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui al presente Capo sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni. Roma, 28 agosto 2006 Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale DIREZIONE GENERALE PER L’ATTIVITÀ ISPETTIVA Prot. n. 25/I/0003004 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - risposta istanza di interpello in materia di malattia del bambino insorta durante il periodo di fruizione del congedo parentale. L’Università degli Studi di Verona ha avanzato richiesta di interpello per conoscere il parere di questa Direzione in merito alla possibilità che la malattia del bambino insorta durante la fruizione del congedo parentale possa “interrompere (…) la fruizione del congedo (…) consentendo così la sostituzione del titolo dell’assenza”. In proposito, acquisito il parere della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e preso atto di quanto già osservato dall’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN), si rappresenta quanto segue. Si ritiene anzitutto che l’istante, nella formulazione del quesito, pur adoperando il termine “interrompere”, voglia riferirsi più correttamente alla possibilità che la malattia del bambino sospenda la fruizione del congedo parentale. Ciò premesso, si sottolinea che il congedo parentale di cui all’art. 32 del T.U. n. 151/2001 è nettamente distinto dal congedo per malattia del figlio di cui all’art. 47 dello stesso T.U., trattandosi di istituti profondamente diversi sia sotto il profilo dei presupposti legittimanti, sia sotto quello della disciplina. Come osserva l’ARAN, le norme citate non pongono alcun divieto di cumulo dei due istituti, intendendosi tuttavia per cumulo la possibilità di fruire, non contemporaneamente , sia del congedo parentale sia del congedo per malattia del figlio. Ciò appare peraltro confermato dall’espressa previsione di cui all’art. 22, comma 6, del T.U. n. 151/2001, secondo cui “le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità” e ciò anche sotto il profilo del trattamento economico (art. 34, comma 6, T.U. n. 151/2001). Appare dunque possibile sospendere la fruizione del congedo parentale, su domanda dell’interessato, in caso di insorgenza della malattia del bambino; ciò che dunque rileva, al fine della possibilità di fruire dell’uno o dell’altro istituto è la sussistenza dei requisiti di legge. Tale orientamento sembra trovare una ulteriore conferma nel parere reso dall’INPS con riferimento all’analoga ipotesi di insorgenza della malattia del genitore durante il congedo parentale. La circolare dell’Istituto n. 8 del 17 gennaio 2003 prevede infatti la sospensione del congedo, a domanda dell’interessato, a fronte della sopravvenuta malattia del genitore, mutando così il titolo dell’assenza dal lavoro. Legge 20 maggio 1970, n. 300 Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento

Art. 8 Divieto di indagini sulle opinioni

E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.

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Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

… omissis …

Art. 54. Divieto di licenziamento

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, commi 1, 2, 3, 5, e art. 31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 4; decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566, art. 2, comma 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 1)

1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonchè fino al compimento di un anno di età del bambino. 2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. 3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a. di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b. di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; c. di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d. di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni. 4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, semprechè il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresi' essere collocata in mobilità a se guito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l’ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell’attività dell’azienda di cui al comma 3, lettera b). 5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo. 6. È altresi' nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. 7. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5. 8. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. 9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità.

Art. 55. Dimissioni

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 12; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 2) 1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui e' previsto, a norma dell'articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennita' previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternita'. 3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. 4. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, compe tente per territorio. A detta convalida e' condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro. 5. Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.

Art. 56. Diritto al rientro e alla conservazione del posto

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, comma 6; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 17, comma 1) 1. Al termine dei periodi di divieto di lavoro previsti dal Capo II e III, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresi' diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.

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2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche al lavoratore al rientro al lavoro dopo la fruizione del congedo di paternità. 3. Negli altri casi di congedo, di permesso o di riposo disciplinati dal presente testo unico, la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, al rientro nella stessa unità produttiva ove erano occupati al momento della richiesta, o in altra ubicata nel medesimo comune; hanno altresi' diritto di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti. 4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. 4-bis.L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa di cui all’articolo 54, comma 8. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Nota 1° agosto 2008, prot. n. 15/V/0012411/14.01.07 Oggetto: Art. 55, Dlgs n. 151/2001 – Convalida delle di missioni - Ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro - Quesito In riferimento al quesito sottoposto allo Scrivente, sull’opporunità di sottoporre a convalida da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro anche la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nel cosiddetto «periodo protetto» (dall’inizio della gravidanza fino ad un anno di età del bambino), si osserva quanto segue. La convalida delle dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino, costituisce condizione per la risoluzione del rapporto di lavoro: con tale disposizione la legge vuole accertarsi che la volontà della lavoratrice o del lavoratore non sia stata influenzata in alcun modo da sollecitazioni esterne, garantendone la genuinità in vista degli effetti che le dimissioni quale atto unilaterale recettizio produrranno nella sfera giuridica della lavoratrice/lavoratore. Per tali motivi si ritiene che la convalida da parte del Dpl competente per territorio sia necessaria anche nel caso di «dimissioni consensuali», atteso che trattasi comunque di dimissioni e che la ratio della legge è si ribadisce quella di garantire la lavoratrice o il lavoratore ogni qualvolta ci si trovi in presenza di una risoluzione anticipata del rapporto di lavoro. Legge 6 giugno 2008, n. 101 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee."

Art. 8 -quater Modifiche al codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e al testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2006/2535 1. Al codice delle pari opportunita' fra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 25, comma 1, dopo le parole: «atto, patto o comportamento» sono inserite le seguenti: «, nonche' l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento,»; b) all'articolo 38, comma 1, dopo le parole: «organizzazioni sindacali» sono inserite le seguenti: «, associazioni e organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso». 2. All'articolo 56, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonche' di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi ovvero in via legislativa o regolamentare, che sarebbero loro spettati durante l'assenza». Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53"

Art. 4. Sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 11; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 10) 1. In sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni del presente testo unico, il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o utilizzare personale con contratto temporaneo, ai sensi,

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rispettivamente, dell'articolo 1, secondo comma, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196, e con l'osservanza delle disposizioni delle leggi medesime. 2. L'assunzione di personale a tempo determinato e l’utilizzazione di personale temporaneo, in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del presente testo unico può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva. 3. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso un o sgravio contributivo del 50 per cento. Quando la sostituzione avviene con contratto di lavoro temporaneo, l'impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto. 4. Le disposizioni del comma 3 trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Roma, 12 aprile 2005 Prot. n° 391 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - risposta istanza di interpello avanzata da Collegio dei ragionieri commercialisti di Macerata A norma dell’art. 4, commi 1-3, del D.Lgs. n. 151/2001, il datore di lavoro che procede alla sostituzione del lavoratore o della lavoratrice assente in virtù del diritto a godere dei periodi di astensione per maternità/paternità ha diritto a vedersi riconosciuto uno sgravio contributivo del 50% per il personale assunto in sostituzione con contratto di lavoro a termine (cd. sostituzione agevolata). Va inoltre ricordato che, sulla base delle novità introdotte dall’articolo 46 del D.Lgs. n. 276/2003 alla disciplina del lavoro a tempo parziale di cui al D.Lgs. n. 61/2000, è inoltre espressamente prevista la possibilità che le assunzioni a termine di cui al predetto articolo 4, comma 3, del D.Lgs. n. 151/2001 siano effettuate anche con rapporto a tempo parziale. L’INPS, ha richiamato i requisiti necessari per godere del beneficio contributivo con Circolare n. 136/01 del 10 luglio 2001 (richiesta da parte dell’impresa; numero di dipendenti all’atto della richiesta inferiore a 20; rapporto di lavoro a tempo determinato in sostituzione del lavoratore in congedo), nonché ha inteso fornire opportuni specifici chiarimenti in materia con il messaggio 28/2001 del 14 febbraio 2001. In tale messaggio l’Istituto afferma un principio operativo ineludibile con riferimento alla figura del rapporto di lavoro con il sostituto, sostenendo che “lo sgravio può trovare applicazione nei casi in cui la somma dell'orario lavorativo dei soggetti assunti in sostituzione sia pari o comunque non superiore a quello del lavoratore sostituito; di contro, nell'ipotesi di superamento, si ritiene che non si possa riconoscere il beneficio, neanche in misura parziale”. Alla luce di tale assunto, è da ritenere che l’agevolazione richiamata (art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 151/2001) può legittimamente estendersi anche all’ipotesi di sostituzione di un lavoratore a tempo pieno con un lavoratore a tempo parziale, stante il rispetto dei limiti temporali dell’orario “comunque non superiore a quello del lavoratore sostituito”. Circolare INPS n. 117 del 20 giugno 2000 OGGETTO: Legge 8 marzo 2000, n. 53. Sgravio contributivo in favore di aziende che assumono lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione dal lavoro (art. 10, c. 2 e 3). Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti. SOMMARIO: Istruzioni operative per la fruizione dello sgravio contributivo previsto dall'art. 10, c. 2 e 3 della legge n. 53/2000. Premessa. Con circolare n. 109 del 6 giugno 2000 sono state analizzate ed approfondite le rilevanti modifiche introdotte dalla legge 8 marzo 2000, n. 53, alle disposizioni in tema di maternità, astensione facoltativa e riposi orari, di cui alla legge 30 dicembre 1971, n. 1204. Con la presente circolare si forniscono disposizioni per l'applicazione dello sgravio contributivo, previsto dall'art. 10 della citata legge n. 53/2000, in favore delle aziende che assumano lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro. 1. Contenuto della norma. Il comma 2 dell'articolo 10 della legge n. 53/2000 (allegato n. 1) prevede la concessione di uno sgravio contributivo nella misura del 50 per cento dei contributi a carico del datore di lavoro che assume lavoratori con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli articoli 4, 5 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificati dalla legge n. 53/2000. I benefici contributivi trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e, per un anno, dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento.

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2. Soggetti beneficiari. Per quanto concerne il campo di applicazione dello sgravio contributivo la legge stabilisce che il predetto beneficio trova applicazione: a) nelle aziende con meno di venti dipendenti (art. 10, c. 2); b) nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546 (art. 10, c. 3). 3. Condizioni di accesso al beneficio. 3.1 Art.10, c. 2. Sgravio ad aziende con dipendenti. Destinatarie del beneficio in trattazione sono le aziende, appartenenti a qualsiasi settore, aventi forza occupazionale inferiore alle 20 unità. Nel silenzio del legislatore si ritiene che tale requisito debba essere posseduto dall'azienda al momento dell'assunzione del lavoratore. In merito alla consistenza numerica si forniscono i chiarimenti che seguono. 3.1.1 Computo dei dipendenti. Nella determinazione del numero dei dipendenti vanno ricompresi i lavoratori di qualunque qualifica, (lavoranti a domicilio, dirigenti, ecc.). Il lavoratore assente ancorché non retribuito (es. per servizio militare, gravidanza e puerperio) è escluso dal computo dei dipendenti solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto altro lavoratore; ovviamente in tal caso sarà computato il sostituto. 3.1.2 Lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro e apprendistato. In forza di quanto previsto dall'art.3 comma 10 della legge 19 dicembre 1984, n. 863, i lavoratori in epigrafe sono esclusi dal computo numerico dei dipendenti occupati. 3.1.3 Lavoratori part time. L’art. 6 del D. Lgs. 20 febbraio 2000, n. 61, entrato in vigore il 4 maggio 2000, recante nuove disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale, ha ampliato la portata della disposizione di cui all’art. 5 della legge n. 863/1984 stabilendo che, in tutte le ipotesi in cui la legge o il Ccnl renda necessario l’accertamento della consistenza della forza occupazionale, i lavoratori part time si computano sempre in proporzione all’orario svolto, con esclusione delle disposizioni riportate al titolo III (attività sindacale) dello Statuto dei lavoratori. 3.2 Art.10, c. 3. Sgravio ad aziende in cui operano lavoratrici autonome. Lo sgravio contributivo si applica anche per le ipotesi di assunzione, con contratto a tempo determinato, di lavoratori in caso di maternità di lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546 (allegato n. 2). Al riguardo si rammenta che rientrano nella sfera di applicazione della citata legge n. 546/1987, le lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni. 4. Modalità di accesso al beneficio. Ai fini dell'accesso al beneficio contributivo le aziende interessate, ai sensi della legge 4/1/1968, n. 15, e successive modificazioni, attesteranno, con autocertificazione da presentare alla competente Agenzia dell'Istituto: - che l'assunzione dei dipendenti interessati allo sgravio sia effettuata in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli articoli 4, 5 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificati dalla legge n. 53/2000; - che la forza occupazionale aziendale, all'atto dell'assunzione del dipendente, sia inferiore alle 20 unità. Le aziende autonome prive di personale dipendente interessate al beneficio in trattazione, provvederanno, contestualmente all'assunzione dei dipendenti, all'apertura di apposita posizione contributiva. 5. Codifica aziende. Ale posizioni contributive riferite ad aziende aventi titolo allo sgravio in argomento, dovrà essere attribuito il codice di autorizzazione "9R" che, dal 1/3/2000 (periodo di paga in corso alla data di entrata in vigore della legge), assume il nuovo significato di "Azienda avente titolo allo sgravio ex L. n. 53/2000". 6. Modalità operative. Ai fini della compilazione delle denunce contributive di mod. DM10/2 i datori di lavoro si atterranno alle seguenti modalità: - determineranno i contributi previdenziali ed assistenziali relativi ai lavoratori in questione, senza operare alcuna riduzione, in base alla misura complessivamente dovuta secondo il settore di attività. I dati saranno esposti nel modello DM10/2 utilizzando il codice "tipo contribuzione" "82" che assume il nuovo significato di "Lavoratori ex L. n. 53/2000 per i quali al datore di lavoro compete la riduzione del 50%".

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Il predetto codice dovrà essere preceduto dalle seguenti qualifiche:

Qualifica Significato 1 operai tempo pieno 2 impiegati tempo pieno O operai part - time Y impiegati part - time

Nelle apposite caselle dovranno essere indicati, altresì, il numero dei dipendenti, il numero delle giornate retribuite e l'ammontare delle retribuzioni imponibili. Per il personale a part - time in luogo del numero delle giornate dovrà essere indicato il numero delle ore. - calcoleranno l'importo del beneficio contributivo (50% della contribuzione a carico del datore di lavoro) e lo esporranno in uno dei righi in bianco del quadro "D" del mod. DM10/2, utilizzando il codice di nuova istituzione "L222" preceduto dalla dicitura "Rid. ex. L.53/2000". 7. Regolarizzazione dei periodi pregressi. Per il conguaglio del beneficio relativo a periodi a decorrere dall'entrata in vigore della legge n. 53/2000, i datori di lavoro aventi titolo potranno utilizzare le denunce di mod. DM10/2 aventi scadenza entro il giorno 16 del terzo mese successivo all'emanazione della presente circolare (deliberazione n. 5 del Consiglio di amministrazione dell'Istituto del 26/3/1993, approvata con D.M. 7/10/1993). A tal fine l'importo dello sgravio pregresso dovrà essere indicato in un rigo in bianco del quadro "D" del mod. DM10/2 preceduto dalla dicitura "Sgr. Arr. L. 53/2000" e dal codice di nuova istituzione "L223". 8. Istruzioni contabili. Ai fini della rilevazione contabile degli sgravi contributivi di che trattasi, evidenziati nei modd. DM10/2 con i codici "L222" e "L223" secondo le modalità illustrate nei precedenti punti 6) e 7), sono stati istituiti i conti GAW 37/72 e GAW 37/51 a seconda che gli sgravi stessi siano, rispettivamente, di competenza dell'anno in corso ovvero di competenza degli anni precedenti (vedi allegato). Per la movimentabilità di detti conti, nei casi di acquisizione manuale delle registrazioni contabili, si richiamano le disposizioni contenute nel messaggio n. 00543 del 4.5.1994 (utilizzazione del codice utente "1" e del codice documento "95"). Allegato 1 Legge 8 marzo 2000, n. 53 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2000.- STRALCIO - Capo IV ULTERIORI DISPOSIZIONI A SOSTEGNO DELLA MATERNITÀ E DELLA PATERNITÀ Art. 10. (Sostituzione di lavoratori in astensione). 1. L'assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro ai sensi della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificata dalla presente legge, può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio dell'astensione, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva. 2. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume lavoratori con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli articoli 4, 5 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificati dalla presente legge, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Le disposizioni del presente comma trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento. 3. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, è possibile procedere, in caso di maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all'assunzione di un lavoratore a tempo determinato, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 2. Allegato 2 Legge 29 dicembre 1987, n. 546 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 1 gennaio 1998.- STRALCIO - Indennità di maternità per le lavoratrici autonome Articolo 1, in vigore dal 22 gennaio 1988 - trattamento economico - indennità giornaliera dal 1 gennaio 1988. 1. Dal 1 gennaio 1988 è corrisposta alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, una indennità giornaliera per i periodi di gravidanza e puerperio calcolata ai sensi degli articoli 3 e 4 della presente legge.

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Allegato 3 VARIAZIONI AL PIANO DEI CONTI Tipo variazione : I Codice conto GAW 37/51 Denominazione completa Sgravi contributivi (50%) in favore delle aziende con meno di 20 dipendenti che assumono lavoratori a tempo determinato ai sensi dell'art.10, commi 2 e 3, della legge n. 53/2000, di competenza degli anni precedenti Denominazione abbreviata SGRAVI CTR/VI 50% ART.10 C.2-3 L.53/2000-A.P. Tipo variazione : I Codice conto GAW 37/72 Denominazione completa Sgravi contributivi (50%) in favore delle aziende con meno di 20 dipendenti che assumono lavoratori a tempo determinato ai sensi dell'art. 10, commi 2 e 3, della legge n. 53/2000, di competenza dell'anno in corso Denominazione abbreviata SGRAVI CTR/VI 50% ART.10 C.2-3 L.53/2000-A.C. Circolare INPS n. 136 del 10 luglio 2001 OGGETTO: D.lgs 26 marzo 2001, n. 151 “Testo Unico delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”. Nuove disposizioni in materia di assunzioni in sostituzione e di sgravio contributivo. Sgravio contributivo in favore di aziende che assumono lavoratori in sostituzione con contratto di lavoro temporaneo. SOMMARIO: Estensione alle assunzioni in sostituzione della disciplina delle assunzioni con contratto di fornitura di lavoro temporaneo di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196. Modalità operative per la fruizione dello sgravio contributivo previsto dall’articolo 4 del T.U. in favore delle aziende che assumono lavoratori in sostituzione con contratto di lavoro temporaneo. Premessa. Sulla G.U. n. 96 del 26 aprile 2001 è stato pubblicato il Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”. Il T.U. è un provvedimento normativo dovuto in base alla previsione contenuta nell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53. Esso riproduce organicamente una serie di disposizioni preesistenti, abrogandone alcune (una serie di norme tra cui la legge n. 1204/1971 e successive modifiche ed una parte della legge n. 903/1977 sulla parità), venendo così a costituire un fondamentale punto di riferimento normativo. La disposizione legislativa ha apportato, tra l’altro, rilevanti integrazioni alla disciplina delle assunzioni in sostituzione ed allo sgravio contributivo, già contenuto nell'art. 10 della citata legge n. 53/2000 (vedi circolare n. 117 del 20 giugno 2000), in favore di aziende che assumono lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo. Con la presente circolare s’illustrano le novità introdotte dall’articolo 4 del Testo Unico, entrato in vigore il 27 aprile 2001. 1. Contenuto della norma. L’articolo 4 del D.Lgs n. 151/2001 (allegato 1) regola le assunzioni in sostituzione di lavoratrici e di lavoratori in congedo prevedendo che, in sostituzione dei lavoratori assenti, il datore di lavoro può, nel rispetto delle relative disposizioni di legge, assumere personale sia con contratto a tempo determinato (articolo 1, secondo comma, lettera b) della legge 18 aprile 1962, n. 230), sia con contratto di fornitura di lavoro temporaneo (articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196). Con la suddetta disposizione il legislatore ha esteso alle assunzioni in sostituzione la disciplina delle assunzioni con contratto di fornitura di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196. Il secondo comma dell’articolo 4 prevede poi che l'assunzione in sostituzione di lavoratrici e lavoratori assenti dal lavoro in virtù delle disposizioni di cui al T.U., sia con personale a tempo determinato, sia con lavoratori interinali, può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo, ovvero anche con un anticipo superiore, se contemplato dalla contrattazione collettiva. 2. Sgravio contributivo. Il comma 3 dell’articolo 4 ripropone lo sgravio contributivo, già previsto dall'art. 10 della citata legge n. 53/2000, in favore delle aziende che assumano lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in congedo. Nell’ipotesi in cui l’assunzione in sostituzione avvenga con contratto di fornitura di lavoro temporaneo, la disposizione contiene una specifica previsione, in forza della quale l'impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto. Nessun’ulteriore modifica è stata introdotta per quanto attiene alle altre condizioni di accesso al beneficio che, per comodità, di seguito si riportano. Relativamente a tutti gli altri aspetti, si rinvia alle disposizioni già illustrate nella circolare n. 117/2000.

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3. Soggetti beneficiari. Per quanto concerne il campo di applicazione dello sgravio contributivo, il T.U. stabilisce che il predetto beneficio continua a trovare applicazione: a) nelle aziende con meno di venti dipendenti (art. 4, c. 3); b) nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546 (art. 4, c. 5). Al riguardo, si ribadisce che, tenuto conto dello spirito della legge che tende a favorire il ricorso all'istituto del "congedo", il beneficio trova applicazione nei confronti della generalità dei datori di lavoro, aventi o meno la qualifica di imprenditori. Nelle ipotesi di ricorso a prestatori di lavoro temporaneo, ai fini della determinazione del requisito occupazionale utile per l’accesso al beneficio, occorrerà far riferimento al numero dei dipendenti che costituiscono la base occupazionale dell’azienda “utilizzatrice”, non assumendo rilievo la consistenza organica dell’azienda “fornitrice”. 4. Modalità di accesso al beneficio. Ai fini dell'accesso al beneficio contributivo le aziende “fornitrici” attesteranno, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 28/12/2000, con autocertificazione da presentare alla competente Sede dell'Istituto, che: - l'assunzione dei dipendenti interessati allo sgravio è effettuata in sostituzione di lavoratori che, nell’azienda “utilizzatrice”, siano in astensione ai sensi delle disposizioni di cui al T.U.; - la forza occupazionale dell’azienda “utilizzatrice”, all'atto dell'assunzione del dipendente, è inferiore alle 20 unità. - l'assunzione dei dipendenti interessati allo sgravio è effettuata in sostituzione di lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, in maternità (vedi successivo punto 4.2). 4.1. Computo dei dipendenti. Come già precisato al punto 3.1.1 della circolare n. 117/2000, nella determinazione del numero dei dipendenti vanno ricompresi i lavoratori di qualunque qualifica, (lavor anti a domicilio, dirigenti, ecc.). Il lavoratore assente ancorché non retribuito (es. per servizio militare, gravidanza e puerperio) è escluso dal computo dei dipendenti solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto altro lavoratore; ovviamente in tal caso sarà computato il sostituto. Restano, invece, esclusi dal computo numerico dei dipendenti occupati: - i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro (art.3, comma 10 della legge 19 dicembre 1984, n. 863); - gli apprendisti (art. 21, comma 7 della legge 28 febbraio 1987 n. 56); - i lavoratori assunti con contratto di reinserimento (art. 20 della legge 23 luglio 1991, n. 223); - i prestatori di lavoro temporaneo, con riguardo all'organico dell'impresa utilizzatrice (art. 6, comma 5 della legge 24 giugno 1997, n. 196). 4.2 Art.4 c. 5. Sgravio ad aziende in cui operano lavoratrici autonome. Lo sgravio contributivo si applica anche per le ipotesi di assunzione, con contratto a tempo determinato o con contratto di lavoro temporaneo, di l avoratori in caso di maternità di lavoratrici autonome di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546. 4.3 Periodo temporale di spettanza del beneficio. I benefici contributivi continuano a trovare applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e, per un anno, dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento (art. 4, c. 4). 5. Codifica aziende. Le posizioni contributive riferite ad aziende di fornitura di lavoro temporaneo aventi titolo allo sgravio contributivo ex art. 4, c. 3 del T.U. dovranno essere contraddistinte dal codice di autorizzazione "9R" che assume il più ampio significato di "Azienda, anche di fornitura di lavoro temporaneo, avente titolo allo sgravio ex art. 4, c. 3 del D.lgs 151/2001". 6. Modalità operative. Per l’assolvimento della contribuzione relativa a lavoratori, collocati presso aziende “utilizzatrici”, per i quali ricorrono le condizioni per la fruizione dello sgravio ex art. 4, c. 3 del T.U., le agenzie di fornitura di lavoro temporaneo si atterranno alle seguenti modalità: - determineranno i contributi previdenziali ed assistenziali relativi ai lavoratori in questione, senza operare alcuna riduzione, in base alla misura complessivamente dovuta. I dati saranno esposti nel modello DM10/2 utilizzando il codice "tipo contribuzione" "68" che assume il nuovo significato di "Lavoratori interinali ex D.lgs 151/2001, per i quali al datore di lavoro compete la riduzione del 50%". Nelle apposite caselle dovranno essere indicati, altresì, il numero dei dipendenti, il numero delle giornate retribuite e l'ammontare delle retribuzioni imponibili. - calcoleranno l'importo del beneficio contributivo (50% della contribuzione a carico del datore di lavoro) e lo esporranno in uno dei righi in bianco del quadro "D" del mod. DM10/2, utilizzando il codice di nuova istituzione "L610", preceduto dalla dicitura "Rid. ex. D.lgs 151/2001". Le agenzie di fornitura di lavoro temporaneo che, invece, avessero titolo allo sgravio contributivo ex art. 4, c. 3 del T.U. per assunzioni di lavoratori in sostituzione di personale impegnato in attività istituzionali ed in congedo ai sensi delle disposizioni di cui al

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T.U, ai fini della fruizione del beneficio spettante, si atterranno alle istruzioni rese note al punto 6 della già menzionata circolare n. 117/2000 (codici “82” e “L222”). 7. Regolarizzazione dei periodi pregressi. Per il conguaglio del beneficio relativo a periodi a decorrere dall'entrata in vigore del Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (27 aprile 2001), le agenzie di fornitura di lavoro temporaneo potranno utilizzare le denunce di mod. DM10/2 aventi scadenza entro il giorno 16 del terzo mese successivo all'emanazione della presente circolare (deliberazione n. 5 del Consiglio d’amministrazione dell'Istituto del 26/3/1993, approvata con D.M. 7/10/1993). A tal fine, l'importo dello sgravio pregresso dovrà essere indicato in un rigo in bianco del quadro "D" del mod. DM10/2, preceduto dalla dicitura "Sgr. Arr. D.lgs.151/2001" e dal codice di nuov a istituzione "L611". Allegato 1 Decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 (G.U. n. 96 del 26 aprile 2001) Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53. - STRALCIO - Art. 4 Sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 11; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 10) 1. In sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni del presente testo unico, il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o temporaneo, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 1, secondo comma, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell'art icolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196, e con l'osservanza delle disposizioni delle leggi medesime. 2. L'assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del presente testo unico può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva. 3. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Quando la sostituzione avviene con contratto di lavoro temporaneo, l'impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto. 4. Le disposizioni del comma 3 trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento. 5. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui al Capo XI, è possibile procedere, in caso di maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all'assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 3. Circolare INPS n. 84 del 12 aprile 1999 OGGETTO: sospensione del rapporto di lavoro in regime di agevolazioni contributive "ex lege n. 223/1991 e n. 407/1990". SOMMARIO: Il periodo di godimento dei benefici per l’assunzione ai sensi della legge n. 407/1990 e 223/1991 può essere prorogato in caso di maternità e servizio militare. Con il messaggio n. 17373 del 18.7.1997 è stata disposta la sospensiva delle richieste di prolungamento dei benefici per l’assunzione ai sensi della legge n. 407/1990 e 223/1991 nelle ipotesi di maternità e servizio militare. Il Ministero del lavoro, Direzione generale della previdenza e assistenza sociale, con nota prot. n. 6/PS/50004/INPS/57 del 4/1/1999, ha espresso il parere, condiviso anche dalla Direzione generale dei rapporti di lavoro, che, nei casi di sospensione del rapporto di lavoro (quiescenza del rapporto) per maternità e servizio militare il datore di lavoro abbia diritto ad usufruire dei benefici contributivi previsti dalle leggi in oggetto per l’intero periodo, consentendo il differimento temporale del periodo di fruizione dei benefici. Lo stesso Ministero del lavoro, nota prot. n. 6/PS/50361/INPS/57 del 8/3/1999, ha espresso il parere che, nel caso di volontario abbandono temporaneo dell’attività lavorativa (es., periodo di aspettativa per motivi di famiglia), il datore di lavoro non abbia, invece, diritto al differimento. Nei casi di sospensione del rapporto di lavoro per maternità e servizio militare potranno, pertanto, essere concessi i benefici per l’intero periodo previsto dalla normativa di cui trattasi. Il periodo complessivo di spettanza non può ovviamente superare quello previsto dalle citate leggi.

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Decreto Legislativo 19 luglio 2004, n. 213 "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell'orario di lavoro"

Art. 1.

Modifiche al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 f) dopo l'articolo 18 e' inserito il seguente:

«Art. 18-bis.

Sanzioni

1. La violazione del divieto di adibire le donne al lavoro, dalle 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino, e' punita con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 516 euro a 2.582 euro. La stessa sanzione si applica nel caso in cui le categorie di lavoratrici e lavoratori di cui alle lettere a), b) c), dell'articolo 11, comma 2, sono adibite al lavoro notturno nonostante il loro dissenso espresso in forma scritta e comunicato al datore di lavoro entro 24 ore anteriori al previsto inizio della prestazione. 2. La violazione delle disposizioni di cui all'articolo 14, comma 1, e' punita con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 1.549 euro a 4.131 euro. 3. La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 4, comma 2, 3 e 4, e 10, comma 1, e' punita con la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione. 4. La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 7, comma 1, e 9, comma 1, e' punita con la sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro. 5. La violazione della disposizione prevista dall'articolo 4, comma 5, e' punita con la sanzione amministrativa da 103 euro a 200 euro. 6. La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 3, comma 1, e 5, commi 3 e 5, e' soggetta alla sanzione amministrativa da 25 euro a 154 euro. Se la violazione si riferisce a piu' di cinque lavoratori ovvero si e' verificata nel corso dell'anno solare per piu' di cinquanta giornate lavorative, la sanzione amministrativa va da 154 euro a 1.032 euro e non e' ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta. 7. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 13, commi 1 e 3, e' soggetta alla sanzione amministrativa da 51 euro a 154 euro, per ogni giorn o e per ogni lavoratore adibito al lavoro notturno oltre i limiti previsti.»; g) all'articolo 19, comma 2, le parole: «e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio» sono soppresse. Cass. Civ., sez. lav., 6 luglio 2002, n. 9864, Pres. Senese, Est. Vidiri – “LICENZIAMENTO E DONNA GESTANTE” Svolgimento del processo Con ricorso depositato in data 9 dicembre 1996, Alice Maria Sara Ferlito esponeva che in data 1 aprile 1996 era stata assunta dalla Montepaschi Serit s.p.a., quale ufficiale esattoriale, con contratto a tempo determinato. Riferiva anche che al momento dell'assunzione si trovava in stato di gravidanza e che non aveva taciuto tale condizione, del resto evidente, neanche all'ufficiale sanitario che aveva attestato l'idoneità fisica allo svolgimento delle specifiche mansioni da espletare. In data 9 aprile 1996 aveva presentato alla datrice di lavoro la certificazione medica che documentava lo stato di gravidanza all'ottavo mese, dal quale conseguiva l'astensione obbligatoria dal lavoro. Dopo che in data 14 maggio 1996 la Montepaschi le aveva contestato quale "grave comportamento omissivo" l'avere taciuto "il già esistente impedimento", in data 19 giugno 1996 la Montepaschi le aveva comunicato la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c. Ciò premesso, la ricorrente chiedeva che venisse dichiarato illegittimo il licenziamento intimatole e che la Montepaschi venisse condannata alla reintegrazione nel posto di lavoro nonché al risarcimento del danno corrispondente all'indennità di maternità non corrisposta ed alle retribuzioni maturate sino all'effettivo ripristino del rapporto di lavoro. Dopo la costituzione del contraddittorio, il Pretore di Catania con sentenza dell'11 maggio 1998 accoglieva la domanda. A seguito di gravame della società, il Tribunale di Catania con sentenza del 10 agosto 1999 confermava l'impugnata sentenza e compensava tra le parti le spese del giudizio. Nel pervenire a tale soluzione il Tribunale rigettava l'eccezione, sollevata dalla società, di nullità del contratto di lavoro per impossibilità dell'oggetto osservando al riguardo che sebbene fosse inibito, ai sensi dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204, alla lavoratrice lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa non era però vietata l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato anche a tempo determinato essendo la suddetta normativa dettata a tutela, e non in danno, della lavoratrice madre e riguardando il momento relativo all'esecuzione del contratto e non quello della st ipulazione dello stesso. Aggiungeva ancora il Tribunale che nel caso di specie il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità non copriva l'intera durata del pattuito rapporto a termine sicché non poteva considerarsi venuto meno l'interesse del datore di lavoro alla stipula del contratto. Né il contratto stesso poteva ritenersi annullabile per vizi del consenso in ragione dell'errore in cui sarebbe incorso la parte datoriale circa l'inidoneità fisica della Ferlito a svolgere la richiesta prestazione lavorativa. Ed invero l'errore, dedotto quale causa di annullamento del contratto, era in realtà espressione di un comportamento non meritevole di tutela perché illegittimo e discriminatorio. Inoltre esso non poteva considerarsi essenziale, secondo il dettato codicistico, né riconoscibile da parte della ricorrente. In ogni caso, non risultava neanche dimostrato che la società fosse incorsa in errore al momento dell'assunzione in quanto i testi escussi avevano concordemente riferito che la ricorrente non aveva mai negato o celato il proprio stato di gravidanza, all'epoca del tutto evidente, essendo la Ferlito all'ottavo mese di gestazione.

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Avverso tale sentenza la s.r.l. Se.ri.t Montepaschi propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi di ricorso. Resiste con controricorso Alice Maria Sara Ferlito. La Montepaschi Se.ri.t. ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.. Sostiene al riguardo che trovandosi la Ferlito già al momento della stipula del contratto in periodo di comporto obbligatorio per gravidanza, l'obbligazione tipizzante il contratto di lavoro era giuridicamente impossibi le in quanto la dipendente non avrebbe potuto prestare la propria attività lavorativa per tutto il tempo pattuito, e lo specifico interesse datoriale per cui era stata assunta (esigenza immediata e straordinaria di incremento dell'organico) non avrebbe mai potuto realizzarsi. In altri termini, l'astensione obbligatoria avrebbe nel caso di specie coperto sostanzialmente tutto l'arco temporale previsto nel contratto a termine sin dalla stipula sicché per quanto l'interesse del datore di lavoro potesse (e dovesse) essere parzialmente sacrificato e controbilanciato dalla legislazione protettiva a favore della lavoratrice madre, tale tutela non poteva però spingersi sino a cancellare dal contratto qualsiasi interesse del datore di lavoro. Erroneo risultava, pertanto, l'assunto del Tribunale che, con riferimento alla normativa protettiva, aveva operato una distinzione tra momento della stipula del contratto (non assoggettabile a qualsiasi divieto) e momento dell'esecuzione (per il quale vigeva, durante l'interdizione obbligatoria, il divieto di svolgere attività lavorativa), atteso che nel caso di specie per essere l'esecuzione del contratto giuridicamente impossibile per causa preesistente alla stipula ciò determinava, appunto, la nullità del contratto per impossibilità del suo oggetto. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell'art. 115 c.p.c. e violazione dell'art. 1429 n. 3 c.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. Nel negare ingresso alla disciplina dell'annullamento il Tribunale aveva violato le norme codicistiche sull'errore ed aveva altresì violato il disposto dell'art. 115 c.p.c. che impone al giudice di merito di porre a fondamento della decisione le prove raccolte in giudizio. L'istruttoria svoltasi davanti al pretore aveva lasciato emergere la configurabilità dell'errore in cui era incorsa essa ricorrente in quanto nessuno dei testimoni interrogati, neanche tra quelli citati dalla Ferlito, aveva riconosciuto che la lavoratrice avesse fatto presente il suo stato di gravidanza, giunto all'ottavo mese, né aveva in alcun modo provato la "pretesa evidenza" del suo stato - ed ancora di più del periodo di gestazione - agli occhi dei funzionari, intenti al momento della stipula del contratto, al disbrigo delle pratiche di assunzione. Nessun dubbio poteva, infine, sussistere non solo sull'essenzialità dell'errore, data la necessità di incrementare con urgenza l'organico della società, ma anche sulla sua riconoscibilità. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 1375 e 2105 c.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. In particolare sostiene che la Ferlito si era sottratta all'obbligo di fedeltà che vincola il prestatore al datore di lavoro in quanto l'aveva lasciato ignaro del proprio stato di gravidanza, esponendolo alle conseguenze di carattere sanzionatorio, di natura amministrativa ed anche penale, derivanti dalla, violazione della normativa protezionistica delle lavoratrici gestanti. Con il quarto motivo la società ricorrente deduce violazione dell'art. 2119 c.c. e dell'art. 122 lett. d) del c.c.n.l. ed in subordine falsa applicazione dell'art. 18 stat. lav. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. In particolare la ricorrente, ribadendo in parte quanto già esposto nel precedente motivo, lamenta di avere visto carpita la propria buone fede al momento dell'assunzione perché la dipendente aveva sottaciuto di versare in periodo di astensione obbligatoria e di non potere prestare alcuna attività lavorativa per l'intero termine pattuito. In subordine deduce una falsa applicazione della normativa sulla tutela reale per non essere in ogni caso tenuto, durante il periodo di interdizione obbligatoria al lavoro, al pagamento delle retribuzioni alla Ferlito (al cui versamento era obbligato invece l'INPS) ma tutt'al più al risarcimento di eventuali danni - diversi dalla mancata retribuzione - nel caso di specie, però, non provati. Con il quinto motivo la ricorrente deduce falsa interpretazione degli artt. 4 della legge 1204/1971 e 1 l. 903/1977 in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., sollevando in via subordinata eccezione di illegittimità costituzionale delle predette norme per contrasto degli artt. 3 e 41 Cost. Sostiene al riguardo la società che una interpretazione della normativa sulle lavoratrici madri, quale quella data dal Tribunale, che impediva l'ingresso di norme quali l'art. 1346 c.c. e la risoluzione del contratto per giusta causa e che vanificava del tutto l'interesse del datore di lavoro, finiva per introdurre una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle donne non in stato di gravidanza e del sesso maschile ponendosi, conseguentemente, in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. 2. I motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente per importare la soluzione di questioni con profili giuridici strettamente connessi, vanno rigettati perché infondati. Ai fini di un ordinato iter motivazionale appaiono opportune alcune considerazioni di generale portata. La possibilità che si possano determinare illegittime discriminazioni ai danni delle donne ha costituito la ragione per l'emanazione di un ventaglio di norme funzionalizzate a garantire una effettiva parità di trattamento tra tutti i cittadini nel momento dell'accesso nonché in quelli dello svolgimento e della cessazione del rapporto lavorativo. Per la decisione della presente controversia, è sufficiente richiamare - oltre alla generale disposizione dell'art. 15 l. 20 maggio 1970 n. 300 diretta a sanzionare con la nullità ogni atto discriminatorio - in relazione all'accesso al lavoro l'art. 1 della legge 9 dicembre 1977 n. 903 ("É vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale"), e per quanto riguarda lo svolgimento del rapporto lavorativo e lo sviluppo di carriera gli artt. 2 ("La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni stesse siano eguali o di pari valore") e 3 della stessa legge ("É vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione in carriera"). La concreta attuazione dei principi dettati dall'art. 3 e 37 della Costituzione non poteva che trovare riscontro sul versante della legislazione ordinaria anche con riferimento alla cessazione del rapporto lavorativo. Ed invero, una effettiva parità in relazione

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all'attuazione di un diritto della persona, quale quello al lavoro, necessita di una tutela destinata a garantire la donna in ogni fase del rapporto lavorativo, e cioé oltre che in quello iniziale e del suo svolgimento, anche in quello finale, segnato dal licenziamento. Da qui l'emanazione dapprima della legge 9 gennaio 1963 n. 7 sul divieto di licenziamento della lavoratrici per causa di matrimonio che della legge 30 dicembre 1971 n 1204 sulla tutela delle lavoratrice madri, la cui interpretazione da parte del Tribunale di Catania è stata contestata dalla società ricorrente. 3. Alla luce di una corretta lettura della indicata disciplina la decisione del giudice d'appello non appare censurabile né nel punto in cui ha riconosciuto infondato l'addebito mosso dalla società alla Ferlito di avere taciuto il proprio stato di gravidanza al momento dell'assunzione al lavoro, né sul punto in cui ha negato la nullità del contratto a termine per impossibilità della prestazione. 4. Con riferimento alla prima questione va precisato che il Tribunale ha ritenuto legittima la condotta della Ferlito osservando che la lavoratrice per essere all'ottavo mese di gravidanza versava in una condizione palese a tutti e che, pertanto, non era dato ravvisare un suo comportamento "scorretto" tale da giustificare l'intimato licenziamento. L'assunto del Tribunale va pienamente condiviso non potendosi in contrario addurre - come ha fatto la società ricorrente che ha negato di essere a conoscenza della condizione in cui versava la Ferlito - che la lavoratrice ha omesso di informarla sulla sua avanzata gravidanza pur essendo consapevole che detto stato aveva una incidenza diretta ed immediata sulla funzionalità del contratto a termine facendo cosi venir meno ogni interesse della società stessa alla sua stipula. In primo luogo va osservato che nella nostra legislazione - contrariamente a quanto avviene in altri ordinamenti (cfr. ad es. l'art. 5 n. 1 del Mutterschutzgesetz che dispone "La donna incinta è tenuta, fin dal momento in cui ne viene a conoscenza, ad informare il suo datore di lavoro del suo stato di gravidanza e della presunta data del parto. Essa, su richiesta del datore di lavoro, deve presentare un certificato di un medico o di uno ostetrica. Il datore di lavoro è tenuto ad informare immediatamente l'autorità di sorveglianza di quanto ad esso comunicato dalla futura madre. Egli non può informarne terze persone senza esserne stato a ciò autorizzato") - non si rinviene alcuna norma che imponga alla lavoratrice gestante di notiziare, al momento della stipula del contratto, il datore di lavoro del proprio stato. Né un siffatto obbligo può ricavarsi, pur quando la lavoratrice viene assunta con contratto a tempo determinato, dai canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. o da altro generale principio del nostro ordinamento. Ed invero, l'accoglimento di una diversa opinione condurrebbe a ravvisare nello stato di gravidanza e puerperio di cui all'art. 4 della legge n. 1204 del 1971 un ostacolo all'assunzione al lavoro della donna (con conseguente incentivazione di condotte discriminatorie) e finirebbe, così, per legittimare opzioni ermeneutiche destinate a minare in maniera rilevante la tutela apprestata a favore delle lavoratrici madri dalla suddetta legge n. 1204 del 1971. In altri termini, la configurabilità di un obbligo della lavoratrice di informare il datore di lavoro del suo stato rischierebbe di renderne inefficace la tutela ostacolando in modo rilevante la piena attuazione del principio di parità di trattamento costituzionalmente garantito. 4.1. Le considerazioni sinora svolte devono valere sia per il contratto a tempo indeterminato che per quello a termine dovendo la lavoratrice, a fronte di sempre possibili discriminazioni, ricevere sempre ed in ogni caso una piena ed esaustiva tutela, insuscettibile di essere parametrata sullo specifico tipo di contratto che si accinge a stipulare. Le conclusioni cui si è pervenuti - che rendono priva di qualsiasi rilevanza giuridica l'errore nel quale la società deduce di essere incorsa all'atto dell'assunzione al lavoro della Ferlito - trovano ulteriore conforto nell'art. 6 del recente d. lgs. 6 settembre 2001 n. 368 che - per prevedere espressamente il principio di non discriminazione tra uomo e donna proprio con specifico riferimento al lavoro a tempo determinato - si presenta come norma meramente ricognitiva delle già vigenti disposizioni generali sulla tutela del lavoro femminile, di cui era opportuno, però, sottolineare la vincolatività nel momento in cui il legislatore procedeva all'abrogazione della legge 18 aprile 1962 n. 230 (e di quelle modificatrici ed integratrici della stessa) ed introduceva una ben più accentuata estensione dell'ambito applicativo del contratto a termine. 4.2. Corollario di quanto sinora detto è che la condotta della lavoratrice gestante e puerpera, la quale - al momento dell'assunzione al lavoro - non porta a conoscenza del suo stato il datore di lavoro non può in alcun caso concretizzare una giusta causa di risoluzione del rapporto lavorativo, e più specificatamente quella "colpa grave" prevista dall'art. 2, comma 3 lettera a), l. n. 1204 del 1971, la cui natura - come è opportuno ricordare - è stata in giurisprudenza ben differenziata dal colpevole inadempimento del lavoratore degli obblighi contrattuali sanzionabili con la risoluzione del rapporto (cfr. al riguardo tra le altre: Cass. 9 settembre 1995 n. 9549; Cass. 18 febbraio 1993 n. 1973; Cass. 23 novembre 1988 n. 6300), e sulla cui valutazione - come sempre in giurisprudenza è stato precisato - assumono una specifica rilevanza anche le condizioni psico - fisiche della donna in stato di gravidanza (cfr. al riguardo: Cass. 4 marzo 1996 n. 1667; Cass. 18 febbraio 1993 n. 1973). 5. Con riferimento alle censure contenute in ricorso e che investono a vario titolo la validità del contratto di lavoro tra la Ferlito e la società va evidenziato che il Tribunale con una valutazione di merito - non censurabile in questa sede di legittimità - ha statuito che il periodo di astensione obbligatoria di cui all'art. 4 della legge n. 1204 del 1971 non copriva l'intera durata del pattuito rapporto a termine sicché - contrariamente a quanto sostenuto dalla s.p.a. Montepaschi - non poteva dirsi "cancellato" l'interesse datoriale alla stipula ma solo "compresso" in forza di una "normativa protettiva tesa al soddisfacimento di superiori e preminenti interessi". Statuizione questa che - alla stregua del concreto atteggiarsi della fattispecie sottoposta all'esame della Corte - è insuscettibile di critica sul piano logico - giuridico in considerazione dell'indubbia valenza costituzionale del principio di parità di trattamento tra uomo e donna anche per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ed in considerazione altresì che nel caso di specie il contratto di lavoro, stipulato in data 2 aprile 1996 ed avente la scadenza del 20 dicembre 1996, avrebbe potuto - come emerge dagli atti difensivi delle parti - avere regolare esecuzione (una volta esauritosi il termine di tre mesi di interdizione obbligatoria di cui alla lettera c dell'art. 4 comma 1 dell'art. 4 l. n. 1204/1971) dal 19 agosto 1996 sino alla suddetta data del 20 dicembre 1996. 6. La motivazione della impugnata sentenza sull'assunzione delle lavoratrici gestanti con contratti a tempo determinato - destinati ad acquisire per quanto innanzi detto un maggiore ambito applicativo - risulta pienamente rispettosa della normativa comunitaria e precisamente degli artt. 5 n. 1 della direttiva del consiglio 9 febbraio 1976 n. 76/207/Cee (relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionali

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ed ancora le condizioni di lavoro) e 10 della direttiva del consiglio 19 ottobre 1992 n. 92/85/Cee (concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento). Ed invero, dette direttive sono state interpretate dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nel senso che ostano al licenziamento di una lavoratrice a motivo del suo stato interessante: a) quand'anche la lavoratrice sia stata assunta a tempo determinato; b) abbia omesso di informare il datore di lavoro in merito al proprio stato interessante, pur essendone a conoscenza al momento della conclusione del contratto di lavoro; c) e, a motivo di tale stato, non sia più in grado di svolgere l'attività lavorativa per una parte rilevante della durata del contratto stesso (cfr. in tali termini: Corte giust. 4 ottobre 2001 causa C-109/00, Tele Danmark A/S). E che alla lavoratrice madre vada riconosciuta una specifica e privilegiata tutela l giudici comunitari hanno ribadito - in altra questione pregiudiziale relativa al rifiuto del datore di lavoro di assumere (con contratto a tempo indeterminato) una donna incinta - affermando, appunto, che "la tutela garantita dal diritto comunitario alla donna incinta durante la gravidanza e dopo il parto, non può dipendere dalla circostanza che la presenza dell'interessata, nel periodo corrispondente al suo congedo di maternità, sia indispensabile al funzionamento dell'impresa in cui lavora", perché una interpretazione diversa dell'art. 2 della citata direttiva 76/207 priverebbe le disposizioni della direttiva stessa della loro pratica efficacia (cfr. sul punto: Corte giust. 3 febbrai o 2000, causa C -207198, Mahlburg; Corte giust. 9 novembre 1990, causa 177188, Dekker). 6.1. Questa Corte di Cassazione non ignora che - al di là di qualche pur autorevole opinione contraria - secondo l'orientamento maggioritario della dottrina e secondo la costante giurisprudenza le direttive comunitarie non hanno una efficacia "orizzontale", capace di estendersi ai rapporti tra privati, ma assumono una efficacia "verticale", limitata ai rapporti intercorrenti tra Stato e privati, sempre che contengano disposizioni incondizionate e sufficientemente precise o che il loro contenuto sia stato individuato in sede di interpretazione dalla Corte di giustizia nell'esercizio dei compiti istituzionali attribuiti dal Trattato (cfr. ex plurimis: Corte giust. 4 ottobre 2001, causa C-438/99, Jemenez Melgar; Corte giust. 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori cui adde, per analoghe statuizioni, Cass. 30 luglio 2001 n. 10429; Cass. 22 novembre 2000 n. 15101;Cass. 19 maggio 1999 n. 4817;). Peraltro, è pure giurisprudenza costante che i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare le norme di diritto interno vigenti, siano esse precedenti o successive alla direttiva comunitaria, in maniera - quanto più è possibile - conforme alla direttiva medesima (cfr. per l'enunciazione di tale principio: Corte giust. 13 novembre 1990, causa 106/89, Marleasing, ed in epoca meno risalente, Cass. 12 maggio 1999 n. 4724, per la generale statuizione che nell'interpretazione della legge interna debba privilegiarsi il significato maggiormente conforme al diritto comunitario in materia di salvaguardia dei diritti dei lavoratori). In applicazione degli enunciati principi, diretti ad attuare una sostanziale parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso al lavoro, la sentenza impugnata si sottrae, dunque, a tutte le censure che le sono state mosse in ricorso, per avere il Tribunale dato in materia di tutela della lavoratrice gestante e puerpera, assunta con contratto a termine, una interpretazione della normativa interna - e precisamente degli artt. 2 e 4 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204 - del tutto conforme al diritto comunitario, e precisamente alle direttive 9 febbraio 1976 n. 761207/Cee e 12 ottobre 1992 n. 92185/Cee, cosi come interpretate dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. 7. Per concludere, non può trovare ingresso la censura che investe la statuizione del Tribunale relativa alle conseguenze scaturenti dalla accertata illegittimità della risoluzione del rapporto lavorativo essendosi in presenza di una domanda nuov a, basata per di più su circostanze di fatto non provate. Manifestamente infondata si rivela anche l'eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata dalla società con l'ultimo motivo di ricorso, atteso che gli artt. 4 della legge 1204/1971 e 1 della legge 903/1977, se interpretati nei sensi indicati nella sentenza impugnata, lungi dal violare gli artt. 3 e 41 della Costituzione, ne garantiscono, invece, la piena attuazione attraverso il rispetto di una sostanziale parità di trattamento tra uomini e donne ed un equo e razionale contemperamento degli interessi del lavoratore e del datore di lavoro. 8. La società ricorrente, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate unitamente agli onorari difensivi come in dispositivo. P. Q. M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 10,23, oltre euro 1.500,00 (millecinquecento) per onorari difensivi. Corte di cassazione Sezione lavoro Sentenza 11 giugno 2003, n. 9405

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza ora denunciata, il Tribunale di Avezzano confermava la sentenza del Pretore della stessa sede in data 18 giugno/22 luglio 1998 investita da appello princi pale, proposto da Luigi Di Fabio contro la propria dipendente Stefania Serafini, nonché da appello incidentale di quest'ultima nella parte in cui qualificava di formazione e lavoro il dedotto rapporto tra le parti, in base al rilievo che risultava provato l'adempimento dell'obbligo formativo, da parte del datore di lavoro, mentre sprovviste di prova erano, invece, asserite circostanze ostative, quali: il possesso di professionalità adeguata, da parte della lavoratrice, all'atto della stipula del contratto di formazione e lavoro; stipula del contratto medesimo, in costanza di rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, non essendone prova sufficiente né i meri "contatti" tra le parti precedenti la data di stipulazione del contratto, ammessi

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dal Di Fabio, né la presenza della Serafini nello studio dello Di Fabio, in quanto riferita da alcuni testi, senza tuttavia precisare le mansioni svolte dalla medesima, né le relative circostanze temporali. Contestualmente, il Tribunale - in parziale rifor ma della stessa sentenza pretorile - negava l'illegittimità del licenziamento per giusta causa della lavoratrice, in quanto giustificato da gravi inadempimenti (assenze ingiustificate ed inaffidabilità) della medesima, integranti "colpa grave"- e, come tali, legittimanti il licenziamento, (anche) in costanza di gravidanza ed in prossimità del matrimonio (gravidanza e matrimonio, dei quali "non è emerso con chiarezza dall'istruttoria che il datore di lavoro fosse a conoscenza") - ed, inoltre, confermava, bensì, il diritto della lavoratrice alla retribuzione prevista per la qualifica pretesa (quarto livello super) - corrispondente alle mansioni effettivamente esercitate (di infermiera e di "contatto con la clientela", ancorché avrebbe conseguito il diritto a detta qualifica solo all'esito del contratto di formazione e lavoro (che era cessato, tuttavia, nell'imminenza della conclusione, "per motivi non attinenti le capacità operative e l'inettitudine" della lavoratrice stessa) - ma "rideterminava" (in lire 2.092.726, oltre accessori), tuttavia, le differenze retributive, conseguentemente dovute, in dipendenza del pagamento di un acconto (di lire 2.090.400), che era stato invece pretermesso nel calcolo delle spettanze, posto a base della sentenza di primo grado. Avverso la sentenza d'appello, Stefania Serafini propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L'intimato Luigi Di Fabio resiste con controricorso e propone, contestualmente, ricorso incidentale, affidato ad un motivo ed illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, in quanto proposti separatamente contro la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.). 2.1. Con il primo motivo del ricorso principale - denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 3 legge 726/84, 1326 c.c., 36 Cost.), nonché vizio di motivazione (articolo 360, n. 3 e 5, c.p.c.) - Stefania Serafini censura la sentenza impugnata per avere qualificato di formazione e lavoro il dedotto rapporto tra le parti, sebbene il contratto di formazione e lavoro, fosse nullo, in quanto stipulato in costanza di rapporto di lavoro già costituito a tempo indeterminato, siccome risulta dalla ricerca di "assistente alla poltrona con assistenza" (nell'annuncio fatto pubblicare da controparte), dai successivi "contatti" fra le parti (parimenti ammessi da controparte), nonché dalle proprie prestazioni lavorative (riferite da testi), tutti precedenti alla stipulazione dello stesso contratto. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato. 2.2. È ben vero, infatti, che il contratto di formazione e lavoro (previsto dall'articolo 3 del decreto legge 726/84, convertito con legge 863/84), se stipulato nel corso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, è affetto da nullità per illiceità della causa secondo la giurisprudenza di questa Corte (in tal senso vedi, per tutte, Cassazione 11561/95; 6981/93; 9024/91; 3030/91) - in quanto, nel caso di lavoratori che siano già occupati a tempo indeterminato, ne risulterebbe frustrata la funzione propria dello stesso contratto - di favorire e promuovere l'inserimento nel mercato produttivo e l'occupazione stabile dei giovani, anche mediante la previsione di benefici in favore dei datori di lavoro - e legittimerebbe, peraltro, la non consentita apposizione di un termine al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tuttavia l'accertamento, nel caso concreto, della prospettata stipulazione del contratto di formazione e lavoro, nel corso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e, come tale, non sindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi. Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata non merita le censure, che le vengono mosse con il motivo di ricorso in esame, neanche sotto il profilo del vizio di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.). 2.3. Invero la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell'articolo 360, n. 5, c.p.c.), non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere - secondo l'orientamento (ora) consolidato della giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze 13045/97 delle Sezioni unite e 3161/02, 4667/01, 14858, 9716, 4916/00, 8383/99 delle sezioni semplici) - dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità (dall'articolo 360 n. 5 c.p.c.) - non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. Oltre ad essere rispettosa dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata, tuttavia, è sorretta da motivazione in fatto che risulta esente dai vizi ora prospettati (di cui all'articolo 360, n. 5, c.p.c.).

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2.4. Infatti la sentenza impugnata nega che il dedotto contratto di formazione e lavoro sia stato stipulato, nel corso di rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, in quanto - come è stato ricordato in narrativa non ne sono prova sufficiente né i meri "contatti" tra le parti precedenti la data di stipulazione del contratto, ammessi dal Di Fabio, né la presenza della Serafini nello studio dello stesso Di Fabio, in quanto riferita da alcuni testi, senza tuttavia precisare le mansioni svolte dalla medesima, né le relative circostanze temporali. Lungi dal prospettare lacune od incoerenze logico-formali - nella ricordata motivazione in fatto della sentenza impugnata - il motivo di ricorso in esame prospetta, inammissibilmente, una diversa valutazione delle medesime fonti di prova (ammissione di controparte, circa i "contatti" fra le parti, e deposizioni di testi, circa la presenza della lavoratrice nello studio del datore di lavoro), nonché la mancata considerazione di altro elemento (quale la ricerca di "assistente alla poltrona con assistenza", nell'annuncio fatto pubblicare dal datore di lavoro), sebbene il Tribunale abbia insindacabilmente escluso l'elemento medesimo, dalle fonti de l proprio convincimento, e comunque non risulta neanche prospettare che ne sia risultato il mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia. 3.1. Con il secondo motivo dello stesso ricorso principale - denunciando (ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 2 legge 1204/71, 1 legge 7/1963, 1 regio decreto legge 1334/37) - Stefania Serafini censura la sentenza impugnata per avere negato la nullità del proprio licenziamento, se bbene intimato, in costanza della gravidanza ed in prossimità delle nozze (note a controparte, che è stata invitata alla cerimonia nuziale), e motivato da "inesistenti mancanze". Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato. 3.2. È ben vero, infatti, che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre (sancito dall'articolo 2, commi 1 e 2, della legge 1204/71) è reso inoperante (ai sensi del comma 3, lettera a), dello stesso articolo 2) solo quando ricorra "colpa grave da parte della lavoratrice", che non può ritenersi integrata, tuttavia, dall'accertata sussistenza di una giusta causa oppure di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze 610, 12503/00) - ma è invece necessario, anche alla luce di quanto stabilito dalla Corte costituzionale (nella sentenza 61/1991), verificate se sussista quella colpa specificamente prevista - connotata, appunto, dalla gravità - e, proprio per questo, diversa dalla colpa (in senso lato) che deve connotare qualsiasi inadempimento del lavoratore, per essere sanzionato con il licenziamento. Alla stessa conclusione deve pervenirsi, altresì, nell'ipotesi di licenziamento della lavoratrice, intimato nel periodo compreso fra la richiesta delle pubblicazioni e l'anno successivo alla celebrazione delle nozze, per il quale opera la presunzione legale (stabilita dall'articolo 1, comma 3, legge 70/1963) - che esso sia stato disposto a causa di matrimonio e sia, perciò, affetto da nullità - presunzione che resta-superata, -tuttavia, qualora il datore di lavoro, su cui grava il relativo onere, fornisca la prova della sussistenza di una delle cause di licenziamento tassativamente elencate (nell'ultimo comma dello stesso articolo 1, che rinvia alle ipotesi previste dalle lettera a), b) e c) dell'articolo 3 legge 860/50, sostituito dall'articolo 2 legge 1204/71, cit.), fra le quali rientra, appunto, il caso di colpa grave costituente giusta causa di risoluzione del rapporto (sul punto, vedi, per tutte, Cassazione 11448/95). Tuttavia l'accertamento e la valutazione, nel caso concreto, della prospettata colpa grave - legittimante il licenziamento (anche) della lavoratrice madre ed a causa di matrimonio - si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e, come tale, non sindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi. Oltre a risultare rispettosa dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata non merita le censure, che le vengono mosse con il motivo di ricorso in esame, neanche sotto il profilo - che, nella specie, non pare specificamente prospettato - del vizio di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.). 3.3. Infatti la sentenza impugnata nega l'illegittimità del licenziamento per giusta causa della lavoratrice, in quanto - come è stato ricordato in narrativa risulta giustificato da gravi inadempimenti (assenze ingiustificate ed inaffidabilità) della medesima, integranti "colpa grave""- e, come tali, legittimanti il licenziamento, (anche) in costanza di gravidanza ed in prossimità del matrimonio (gravidanza e matrimonio, dei quali "non è emerso con chiarezza dall'istruttoria che il datore di lavoro fosse a conoscenza"). Ne risulta integrata la fattispecie legittimante, per quanto si è detto, il licenziamento, del quale si discute. Lungi dal denunciare specificamente vizi di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.) e, comunque, dal prospettare lacune od incoerenze logico-formali nella ricordata motivazione in fatto della sentenza impugnata - il motivo di ricorso in esame prospetta, inammissibilmente, un diverso accertamento dei fatti - circa la conoscenza dello stato di gravidanza e dell'imminente matrimonio della lavoratrice, da parte del datore di lavoro, peraltro irrilevante (operando il divieto di licenziamento "in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio" e non risultandone, peraltro, superata la presunzione legale di intimazione a causa di matrimonio: arg. ex articolo 2, comma 2, legge 1204/71 e, rispettivamente, 1, comma 3 ed ultimo, legge 70/1963 citata) - nonché una verifica ed una valutazione, parimenti diverse, circa l'esistenza e la gravità della colpa della stessa lavoratrice, apoditticamente assumendo la ricorrente che il licenziamento sarebbe motivato da "inesistenti mancanze". 4. Con l'unico motivo del ricorso - incidentale - denunciando vizio di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.) - Luigi Di Fabio censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto alla lavoratrice il diritto alla retribuzione, corrispondente alla "qualifica superiore" (quarto livello super), sebbene questa possa essere "riconosciuta ed accordate solo dal datore di lavoro al termine del rapporto di formazione, come previsto dal Ccnl cosa -che nella specie non è avvenuto a causa del comportamento della Serafini che ha comportato la risoluzione del contratto prima della sua naturale scadenza", con la conseguenza che il Tribunale ha "erroneamente ritenuto, che le mansioni svolte dalla Serafini si inquadrassero nella qualifica di quarto livello super" senza considerare, peraltro che

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"il contratto di formazione, per la sua qualificazione giuridica che lo pone in rapporto di specialità per le finalità cui è preordinato, si mostra ontologicamente diverso dall'attribuzione delle cosiddette "mansioni superiori" previste dal c.c. all'articolo 2103, attribuzione che ne caso de quo non avrebbe mai potuto verificarsi, proprio perché il lavoratore era in fase di formazione". Anche il ricorso incidentale è infondato. 4.1. Invero, nella determinazione della giusta retribuzione (ai sensi dell'articolo 36 Costituzione) del lavoratore assunto con contratto di formazione e lavoro (di cui all'articolo 3 del decreto legge 726/84, come sostituito dalla legge di conversione 863/84), non può escludersi, in assenza di contraria disposizione (legislativa o contrattuale), la legittimità del ricorso ai normali parametri retributivi previsti per i lavoratori subordinati di pari livello secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine la sentenza 10371/95) essendo espressamente prevista (dal comma 5 dello stesso articolo 3) l'applicazione, a tale contratto, delle norme sul rapporto di lavoro subordinato. La sentenza impugnata si uniforma al principio di diritto enunciato - in quanto determina la giusta retribuzione (ai sensi dell'articolo 36 Costituzione) della lavoratrice, assunta con contratto di formazione e lavoro, mediante ricorso al parametro retributivo previsto per il lavoratore subordinato esercente le medesime mansioni (a prescindere dall'inquadrament o nella qualifica corrispondente) - e non merita, quindi, le censure che le vengono mosse dal ricorrente incidentale, che invoca contraria disciplina contrattuale, senza precisarne, tuttavia, il contenuto. 5. Pertanto, previa riunione, entrambi i ricorsi vanno rigettati. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione (articolo 92 c.p.c.).

P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; compensa integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione. Ministero del Lavoro e della previdenza sociale Nota 4 giugno 2007 n. 7001 Oggetto: Dimissioni della lavoratrice madre, ex art. 55 T.U. 1 5 1 / 0 1 – Procedura di convalida – Istruzioni operative. Pervengono a questa Direzione Generale, anche da parte delle Consigliere di Parità, alcune richieste di precisazioni in ordine alla corretta procedura da adottare per la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre presentate in gravidanza o entro un anno di vita del bambino. Al fine di uniformare i comportamenti operativi delle strutture territoriali, questa Direzione, d’intesa con la Direzione Generale della Tutela delle condizioni di lavoro, ritiene di rappresentare quanto segue. La materia è regolata dall'art. 55 del T.U. 151/01 che al comma 4, espressamente prevede che "la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio". La ratio della disposizione, che trova il principio ispiratore nell'art. 37 Cost., va rinvenuta in una presunzione di non spontaneità delle dimissioni ( a t t o per definizione volontario), presentate dai lavoratori individuati dalla norma, a seguito dello stato di particolare soggezione in cui gli stessi vengono a trovarsi nei riguardi del datore di lavoro durante il periodo suddetto. In tale quadro, la convalida delle dimissioni da parte del competente servizio i s p e t t i v o costituisce una condizione essenziale di v a l i d i t à delle stesse, senza la quale tale atto unilaterale e da considerarsi viziato da n u l l i t à assoluta e, secondo la giurisprudenza di legittimità prevalente, inidoneo ad estinguere il rapporto, potendo vantare il soggetto tutelato un dirit to a l l a conservazione del posto di lavoro, con l'ulteriore diritto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1223 c.c. Si deve anche considerare che, nei casi richiamati dall’art. 55 T.U. 151/01, le conseguenze del mancato accertamento della spontaneità dell 'atto unilaterale recettizio delle dimissioni mediante la convalida, si verificano oggettivamente, indipendentemente dalla conoscenza o meno, da parte del datore di lavoro, della situazione protetta al momento delle dimissioni. In a l t r i termini, il d i r i t t o a l l a conservazione del posto di lavoro opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, a nulla rilevando la conoscenza o meno della situazione protetta da parte del datore di lavoro, al momento del licenziamento o delle dimissioni (vedi Cass. 20/05/2000 n. 6595; Pretura Milano 23/12/1996). Ciò posto, come già ricordato nel cap. .3.2.2.2. della circolare n. 31 del 26 marzo 2001 di questo Ministero, particolare attenzione deve essere rivolta, da parte degli uffici competenti delle Direzioni provinciali del lavoro, a l l a valutazione della e f f e t t i v a volontà del soggetto al momento della presentazione delle sue dimissioni: la spontaneità di ta l e a t t o non può considerarsi accertata automaticamente in base al semplice esame del documento in se (che, peraltro, si presta a frequenti elusioni - ad es. dimissioni c.d. " i n bianco"), ma deve emergere necessariamente da un colloquio diretto con il lavoratore o la lavoratrice interessata. In tal modo, l'indagine potrà essere concretamente r i v o l t a al riscontro di una manifesta volontà, da parte di questi u l t i m i , di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro, ed a l l a verifica che g l i stessi non siano s t a t i a c i ò i n d o t t i , direttamente o indirettamente, dal datore di lavoro. Al la luce di quanto sopra, s i i n v i t a n o gli uffici in indirizzo a voler predisporre, nel momento in cui ricevono la

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comunicazione de l l e dimissioni nei casi richiamati nell’art. 55 T.U. 151/01 (indifferentemente che tale comunicazione avvenga a cura del datore di lavoro, della lavoratrice o del lavoratore interessato), gli strumenti più idonei per la suddetta verifica, provvedendo sempre e comunque a convocar e personalmente la lavoratrice o il lavoratore al fine di verificare l’effettiva e consapevole volontà di rassegnare le dimissioni. Diverse modalità, che si l imi t ino all'acquisizione di una mera conferma scritta delle dimissioni, senza l'osservanza della procedura sopra descritta non possono ritenersi sufficienti all’accertamento della autentica volontà della lavoratrice o lavoratore, che rappresenta la ratio stessa della disposizione normativa. Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali INTERPELLO N. 36/2008 Roma, 1° settembre 2008 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – ampliamento dello sgravio contributivo per assenza dovuta a ferie in favore di aziende che assumono personale in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 151/2001. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha avanzato richiesta di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito all’applicazione dell’art. 4, commi 3-5 del D.Lgs. n. 151/2001 “Testo Unico delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, il quale disciplina lo sgravio contributivo spettante alle aziende con meno di venti dipendenti, che assumono lavoratori a temp o determinato in sostituzione di lavoratori in congedo ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 151/2001. In particolare, viene chiesto se “lo sgravio in oggetto spetti per tutta la durata del contratto a termine fino al compimento di un anno di età del bambino, anche per i periodi in cui la dipendente sostituita non beneficia di alcuna indennità da parte dell’INPS, seppure si modifica il titolo dell’assenza da congedo a ferie”. Si tratta dell’ipotesi molto comune in cui le lavoratrici, subito dopo l’astensione obbligatoria, usufruiscono senza soluzione di continuità delle ferie accumulate durante l’assenza, conformemente alle disposizioni della circolare di questo Ministero n. 8/2005. Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le Politiche Previdenziali, della Direzione generale per la Tutela delle Condizioni di Lavoro e dell’INPS, si rappresenta quanto segue. Premesso che le modalità operative di applicazione degli sgravi contributivi in esame sono disciplinate dalle circolari INPS n. 117/2000 e n. 136/2001, si rileva che la questione relativa alla possibilità di estendere gli sgravi contributivi a motivi diversi dal congedo per maternità, paternità e parentale va risolta in senso negativo, alla luce di quanto disposto dall’art. 4, del D.Lgs. n. 151/2001 (come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 115/2003) che circoscrive detto beneficio ai soli casi di sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del Testo Unico in esame ( art. 4 comma 1 “in sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni del presente testo unico”, comma 3 “nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento” ). Ne consegue che non sembrano ravvisabili margini interpretativi per poter procedere ad un ampliamento degli sgravi contributivi, in presenza di una casistica compiutamente delineata dal Legislatore. INAIL nota 24 luglio 2001 Legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 10 - Sostituzione dei lavoratori in astensione dal lavoro. Sono pervenute da parte di alcune strutture territoriali richieste di chiarimento in ordine alla applicabilità nei confronti dell'INAIL della normativa in oggetto, che introduce novità in materia di sostegno della maternità e della paternità e dell'occupazione. La legge 8 marzo 2000, n. 53 (su G.U. n. 60 del 13 marzo 2000), nel riformulare il disposto dell'art. 7 della legge n. 1204/1971 in materia di astensione facoltativa dal lavoro, ne ha ampliato la portata aumentando, tra l'altro, la durata dell'astensione medesima nel limite di dieci mesi, elevabili a undici, cumulativamente per entrambi i genitori. Ciò premesso, l'art. 10, comma 1, della legge in esame prevede la possibilità per i datori di lavoro di assumere lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro, anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio dell'astensione. Il medesimo articolo, comma 2, dispone, inoltre, che "nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume lavoratori con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione ai sensi degli artt. 4, 5 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come modificati dalla presente legge, è concesso uno sgravio contributivo del 50%". Tale agevolazione trova applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in astensione e per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento. La norma consente, altresì, alle aziende nelle quali operano lavoratrici autonome di cui alla legge n. 546/1987, in caso di maternità delle stesse, di poter procedere all'assunzione di un lavoratore a tempo determinato, per un periodo massimo di dodici mesi, con le agevolazioni previste al comma 2, e comunque entro il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento.

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Al riguardo, si precisa che nella dizione "contributi a carico del datore di lavoro" vanno ricompresi, anche se non esplicitati, i premi INAIL, in analogia a disposizioni emanate sia in tema di occupazione sia in altre discipline, nelle quali viene interessata la materia di competenza dell'Istituto. Pertanto, l'agevolazione in questione va applicata anche ai premi assicurativi. Di conseguenza, a partire dal 28 marzo 2000, data di entrata in vigore della legge in esame, le aziende potranno detrarre il 50% di quanto dovuto per il periodo relativo alla durata del contratto a tempo determinato o recuperare quanto già versato in più per assunzioni avvenute per il medesimo titolo dal 28 marzo 2000, mediante conguaglio sui versamenti contributivi dovuti dalle medesime, sia con le rate in scadenza al 16 agosto e 16 novembre 2001, sia in sede di autoliquidazione 2001/2002. In attesa del rilascio dell'apposita procedura informatica, si raccomanda di tenere in debita evidenza la necessaria documentazione che dovrà essere presentata dai soggetti interessati al beneficio. N.d.R.: L'art. 10 della L. 8 marzo 2000, n. 53 è stato abrogato. Vedi ora l'art. 4, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.