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60 fonia da generica ed impersonale acquista un nuovo calore d'anima, un insolito accento per- sonale, una viva espressione drammatica: la vecchia simbologìa si vivifica per lui e le viete formule imitative si trasfigurano in chiare im- magini del suo emotivo mondo interiore (Allume delle stelle). Quasi insensibilmente si passa dalla com- plessa dialettica contrappuntistica ad un accom- pagnamento essenzialmente armonico della me- lodia, che domina nella parte superiore, decla- mata e ritmata secondo la prosodia e l'accento drammatico, già annunciante l'avvento della nuova forma monodica (Era l'ani.""a mia). Si schiude così mediante questa semplifi- cazione e precisione tonale una nuova conce- zione armonica, un nuovo « gustO» che dominò per tutto il Settecento e le cui propaggini sono giunte sino al nostro secolo, disseccate nelle formule cadenzali. L'esecuzione dell'oratorio di Vivaldi Juditha Triumphans, diretto dal maestro . Guarnieri, ha ridato voce dopo tanti anni di silenzio a cori possenti, a melodie di pura e plastica bellezza e di appassionata spontaneità e ha rimesso in moto l'irresistibile foga e l'energia ritmica dei mirabili « Allegri» strumentali, che sovente rac- chiudono tra le loro scintillanti snodatissime cerniere le più patetiche. arie, conferendo a cia- scuna un particolare carattere e timbro. L'orchestra infatti acquista dal suo genio . una nuova funzione espressiva: ed oboi rivelano la loro potenza di suggestione agreste e persino il mandolino assurge nell'aria Trans.it aetas all'efficacia coloristica di una tenera e no- stalgica evocazione. Sebbene qualche parte non sembri sollevarsi a quel costante fervore (come l'aria Quanto ma- gis . generosa) Vivai di mostra di aver raggiunto in quest'opera una duttilità e una maturità melodica, una intensità e varietà armonica, una così salda intuizione drammatica da precorrere · non solo, come è noto ed evidente, Bach (cite- remo soltanto !'identità dello spunto del primo tempo del quinto concerto brandenburghese con l'aria Sede o cara), ma, per i frequenti accenti patetici e per l'intenso carattere del declamato (In somno profundo), il melodramma ottocente- sco, che per altro intorbidò quella fresca polla alimentatrice per abbandonarsi ad ogni eccesso di lirismo e di rettorica effusione. Di queste elette manifestazioni d'arte, oltre che alla generosità dei promotori va merito e gratitudine piena ad Alfredo Casella, direttore artistico, ani:ma di queste ormai consacrate set- timane senesi; sempre maestro, dopo di avere LE ARTI iniziato tutta una generazione di giovani verso una nuova coscienza musicale moderna, sente di doverla rendere inoltre consapevole dell'an- tica e gloriosa tradizione musicale italiana che, anche per suo merito, non appare certo più circoscritta ai fasti ed alle miserie del melo- dramma ottocentesco. LUIGI MAGNANI. LA VII FESTA INTERNAZIONALE DI MUSICA A VENEZIA. La Seuima Festa internazionale della musica, organizzata dalla Biennale d'Arte di Venezia, ebbe inizio 1'8 settembre con un concerto sin- fonico-vocale dedicato a Wagner ed eseguito nella Sala Grande del Palazzo Vendramin-Ca- lergi, in cui il grande musicista tedesco visse gli ultimi giorni della sua inquieta, splendida e romantica vita. L'orchestra del Teatro « La Fenice» diretta da Bernardino Molinari eseguì la Sinfonia in do maggiore, lavoro giovanile, qua e accade- mico e scolastico, pregno di sinfonismo beetho- veniano, a tratti un po' troppo fragoroso, in qualche momento un po' banale, in cui lam- peggiano però interessanti presentimenti del fu- turo creatore della Tetralogia. Seguirono i Cin- que pòemi per voce e orchestra nella bella trascri- zione orchestrale di Felix Mottl, cantati dal so- prano Henny W olf, pagine squisite, documenti interessanti della ricerca tematica e psicologica a cui Wagner si dedicò nella rapida ma inten- - sa preparazione del suo Tristano. Il concerto si chiuse con l'Idillio di Sigfrido. Dal Palazzo Vendramin-Calergi passammo al Teatro « La Fenice» dove venne offerta unà tri- logia esemplare del teatro comico del Settecento: Il Ratto dal Serraglio di Mozart, Il Matrimonio segreto di Cimarosa, La Cenerentola di Rossini. Una viva curiosità era stata provocata, in questa occasione, dalla presentazione del com- plesso artistico del « Centro di Avviamento al Teatro Lirico » del Teatro Comunale di Firenze, chiamato per l'esecuzione delle due opere ita- liane. La Cenerentola, prima in ordine di rap- presentazione, diretta da Mario Rossi, trovò in quei giovani cantanti (Francesco Albanese, Sa- turno Meletti, Vito De Taranto, Anna Monica Mazzerelli, Teresa Abate, Fedora Barbieri, Ugo Novelli) dei veri interpreti, dei musicisti con- trollati e coscienti eccezionalmente pronti a tutte le insidie dei difficili concertati, degli attori af- fiatati e accorti che bene interpretarono l'intelli- gente regìa di Mario Labroca. ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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fonia da generica ed impersonale acquista un nuovo calore d'anima, un insolito accento per­sonale, una viva espressione drammatica: la vecchia simbologìa si vivifica per lui e le viete formule imitative si trasfigurano in chiare im­magini del suo emotivo mondo interiore (Allume delle stelle).

Quasi insensibilmente si passa dalla com­plessa dialettica contrappuntistica ad un accom­pagnamento essenzialmente armonico della me­lodia, che domina nella parte superiore, decla­mata e ritmata secondo la prosodia e l'accento drammatico, già annunciante l'avvento della nuova forma monodica (Era l'ani.""a mia).

Si schiude così mediante questa semplifi­cazione e precisione tonale una nuova conce­zione armonica, un nuovo « gustO» che dominò per tutto il Settecento e le cui propaggini sono giunte sino al nostro secolo, disseccate nelle formule cadenzali.

L'esecuzione dell'oratorio di Vivaldi Juditha Triumphans, diretto dal maestro . Guarnieri, ha ridato voce dopo tanti anni di silenzio a cori possenti, a melodie di pura e plastica bellezza e di appassionata spontaneità e ha rimesso in moto l'irresistibile foga e l'energia ritmica dei mirabili « Allegri» strumentali, che sovente rac- ~ chiudono tra le loro scintillanti e · snodatissime cerniere le più patetiche. arie, conferendo a cia­scuna un particolare carattere e timbro.

L'orchestra infatti acquista dal suo genio . una nuova funzione espressiva: corn~ ed oboi rivelano la loro potenza di suggestione agreste e persino il mandolino assurge nell'aria Trans.it aetas all'efficacia coloristica di una tenera e no­stalgica evocazione.

Sebbene qualche parte non sembri sollevarsi a quel costante fervore (come l'aria Quanto ma­gis . generosa) Vivai di mostra di aver raggiunto in quest'opera una duttilità e una maturità melodica, una intensità e varietà armonica, una così salda intuizione drammatica da precorrere · non solo, come è noto ed evidente, Bach (cite­remo soltanto !'identità dello spunto del primo tempo del quinto concerto brandenburghese con l'aria Sede o cara), ma, per i frequenti accenti patetici e per l'intenso carattere del declamato (In somno profundo), il melodramma ottocente­sco, che per altro intorbidò quella fresca polla alimentatrice per abbandonarsi ad ogni eccesso di lirismo e di rettorica effusione.

Di queste elette manifestazioni d'arte, oltre che alla generosità dei promotori va merito e gratitudine piena ad Alfredo Casella, direttore artistico, ani:ma di queste ormai consacrate set­timane senesi; sempre maestro, dopo di avere

LE ARTI

iniziato tutta una generazione di giovani verso una nuova coscienza musicale moderna, sente di doverla rendere inoltre consapevole dell'an­tica e gloriosa tradizione musicale italiana che, anche per suo merito, non appare certo più circoscritta ai fasti ed alle miserie del melo­dramma ottocentesco.

LUIGI MAGNANI.

LA VII FESTA INTERNAZIONALE DI MUSICA A VENEZIA.

La Seuima Festa internazionale della musica, organizzata dalla Biennale d'Arte di Venezia, ebbe inizio 1'8 settembre con un concerto sin­fonico-vocale dedicato a Wagner ed eseguito nella Sala Grande del Palazzo Vendramin-Ca­lergi, in cui il grande musicista tedesco visse gli ultimi giorni della sua inquieta, splendida e romantica vita.

L'orchestra del Teatro « La Fenice» diretta da Bernardino Molinari eseguì la Sinfonia in do maggiore, lavoro giovanile, qua e là accade­mico e scolastico, pregno di sinfonismo beetho­veniano, a tratti un po' troppo fragoroso, in qualche momento un po' banale, in cui lam­peggiano però interessanti presentimenti del fu­turo creatore della Tetralogia. Seguirono i Cin­que pòemi per voce e orchestra nella bella trascri­zione orchestrale di Felix Mottl, cantati dal so­prano Henny W olf, pagine squisite, documenti interessanti della ricerca tematica e psicologica a cui Wagner si dedicò nella rapida ma inten-­sa preparazione del suo Tristano. Il concerto si chiuse con l'Idillio di Sigfrido.

Dal Palazzo Vendramin-Calergi passammo al Teatro « La Fenice» dove venne offerta unà tri­logia esemplare del teatro comico del Settecento: Il Ratto dal Serraglio di Mozart, Il Matrimonio segreto di Cimarosa, La Cenerentola di Rossini.

Una viva curiosità era stata provocata, in questa occasione, dalla presentazione del com­plesso artistico del « Centro di Avviamento al Teatro Lirico » del Teatro Comunale di Firenze, chiamato per l'esecuzione delle due opere ita­liane. La Cenerentola, prima in ordine di rap­presentazione, diretta da Mario Rossi, trovò in quei giovani cantanti (Francesco Albanese, Sa­turno Meletti, Vito De Taranto, Anna Monica Mazzerelli, Teresa Abate, Fedora Barbieri, Ugo Novelli) dei veri interpreti, dei musicisti con­trollati e coscienti eccezionalmente pronti a tutte le insidie dei difficili concertati, degli attori af­fiatati e accorti che bene interpretarono l'intelli­gente regìa di Mario Labroca.

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tE AR TI

Per l'esecuzione del Ratto dal Serraglio fu chiamato il direttore d'orchestra Hans Schmidt­Isserstedt e il regista Hans Strohbach con un complesso di ottimi cantanti tedeschi, che die­dero un saggio molto significativo di stile ca­noro e di comportamento scenico.

Infine la trilogia operistica si chiuse con la rappresentazione del Matrimonio segreto di Ci­marosa, sostenuta anch'essa dagli artisti del « Centro di Avviamento» di Firenze sotto la di­rezione di ~ario Rossi e la regÌa di Giulia Tess.

Pubblico numeroso, entusiasta a ' tutte le rappresentazioni.

Ma il vero carattere di festa era dato dai due concerti di musica italiana contemporanea che chiusero la manifestazione artistica. Nove compositori furono chiamati a questa rassegna della nostra musica attuale: Tommasini, Dalla­piccola, Gavazzeni, Malipiero, Previtali~ Ghe­dini, Pizzetti, Petrassi, Casella.

Nel suo 'Concerto per quartetto di archi, soli­sta e orchestra, Vincenzo Tommasini non tocca, a dire il vero, le alte vette creative. Dobbiamo giudicarlo, questo Concerto, come documento di un musicista esperto, equilibrato, coscienzioso, buon conoscitore delle tecniche più conquista­trici di questi ultimi tempi. La tematica, in questo Concerto, non è sempre di prima scelta, e la costruzione, ben piantata sulle palafitte della tonalità, è fatta di -linee parallele formate da un dialogo tra quartetto e orchesira con svariate trasformazioni dei nuclei tematicj es­senziali. L'atmosfera è un po' divagante; vi af­fiorano spesso movenze eleganti delle belle ma­niere francesi nelle quali si trova il gusto armo­nistico fondamentale di Tommasini.

Dallapiccola è un musicista intelligente che ha combattuto diverse battaglie, e con tanto impegno, che qualche volta la musica stessa gli è nata, come una specie di tormentata auto­biografia, proprio nei momenti più acuti della sua lotta tecnica ed estetica.

Dall'esperienza dei nostri contemporanei Dal­lapiccola ha saputo assorbire tanti nutrimenti. ma forse anche qualche veleno. Attivi fermenti tecnici, problemi audaci ed avvincenti, ma an­che qualcosa di neg~tivo, vorrei dire, che sem­bra a volte paralizzargli lo sviluppo autonomo della sua personalità creatrice. Qualche volta si avverte nella sua musica una emotività più concettuale che lirica, una raffinatezza - piace tanto a molti musicisti - di natura ,raziocinante e c~e ci fa pensare ad una saturazione origi­narIa.

Ma questo Piccolo concerto per Muriel Cou­vreltX per pianoforte e orchestra da camera (di

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cui è stato già parlato in questa Rivista) appare una specie di parentesi, di riposo, e sembra tra­duca lo stato d'animo di colui che contempla il campo della lotta dopo la battaglia. Perciò un Dallapiccola chiarificato e tranquillo.

Gianandrea Gavazzeni si presentò con un Dialogo per tenore e baritono accompagnato dal­l'orchestra, di prima esecuzione. Questo dialogo è diviso in cinque parti delle quali, però, so­stanzialmente ne ' risultano tre. Prevale nella prima parte un tono descrittivo; ed è una spe­cie di annuncio del carattere poetico di tutto il componimento. Questa musica è quasi un poe­ma sinfonico illustrato da un brano cantato, che in un certo modo ha la funzione di spiegare cjò che in orchestra agisce. I disegni vocali sono scelti con cura scrupolosa e non priva di un gusto elevato; ma è l'orchestra che talvolta si abbandona a un tono normale da melodramma.

Nel Concerto per violoncello e orchestra di Gianfrancesco Malipiero si afferma sin dal pri­mo Il!-0mento una discorsività melodica rapida, intensa, senza soste. E in tutti i tre tempi del componimento ciò che vi è di sostanzialmente melodico, di essenzialmente solistico si sviluppa ,e si definisce volta a volta in un'emozione poli­fonica. Perciò la forma è determinata da una lirica necessità di dialogo tra solista e orchestra. La forma è quella caratteristica di Malipiero: architettura in movimento, costruzione che si delinea e si compie nella stessa forza di coesione dinamica.

1,0 spirito di questo Concerto è teso, acuto, talvolta agitato e violento, sempre emotivo. Il largo è una specie di alto riposo contemplativo. Esteticamente e, in certe parti, sostanzialmente, questo Concerto è vicino ai Cantari alla madri­galesca.

Questo primo concerto sinfonico si chiuse con il battesimo di Fernando Previtali. Non saprei dire se le sue Espressioni sinfoniche possano darci il presentimento di un futuro creatore; Certo che nemmeno ad un direttore d'orchestra intelligente com'è Previtali deve riuscire facile ad evitare le insidie della cultura professiona­le. C'è dell'esperienza nel suo brano; ma, come spesso avviene quando manca una vera neces­sità interiore, la logica è piuttosto difettosa e i luoghi comuni si presentano scoperti.

Il secondo ed ultimo concerto di musica con­temporanea fu aperto dalle Invenzioni di Ghe­dini, che sono una specie di concerto per violon­cello, archi, timpano e piatti.

Ghedini è un musicista che in questi ultimi anni si è fatto, giustamente, molto osservare. Ma queste recentissime Invenzioni ci appaiono

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meno felici di tanti altri suoi lavori. È una musica che va parecchie volte dal pianissimo al fortissimo, attraverso dei regolari crescendo con una maniera dinamica piuttosto uniforme. La sostanza melodica è di qualità elegante anchc se non sempre personale. Gli sviluppi però sono ottenuti con un metodo costruttivo piuttosto consueto, con una maniera elaborativa che si lascia troppo indovinare. Nel suo complesso questo « gradevole II concerto ha poca luce ed è piuttosto accademico che ispirato.

Cosa possiamo dire di Pizzetti? Certo, i suoi notissimi Cinque pezzi per soprano e orchestra li abbiamo ascoltati, nell' ottima interpretazio­ne di Margherita Carosio, con quel godimento che proviene dal risentire una musica che il no­stro spirito già aveva accolto con emozione.

Goffredo Petrassi si è presentato con un lavoro recentissimo, di prima esecuzione, il Coro dei Morti, che è un madrigale drammatico, su testo di Leopardi (dal Dialogo di Federigo Ruysch e delle sue mummie), per voci di uomi­ni, tre pianoforti, ottoni, contrabassi e percus­sione. Petrassi si è misurato con un'opera di grande impegno drammatico ed ha saputo vin­cere difficoltà insidiose, data la forza, che pare quasi intraducibile, d'ispirazione e di concezio­ne dell'opera poe.ica ]eopardiana. Petrassi è riu­scito a riversare in musica ]a vitalità dinamica, immediata, e l'energia visionaria che scaturi­scono da quel brano eccezionalmente suggestivo. La sostanza musicale ha due climi disparati, due fisionomie espressive diverse che insieme si fondono mediante l'unità di visione lirica: 1'espressione corale, placata, lineare, che risulta da una materia armonica e contrappuntistica fluida, senza urti e senza. asprezze; l'espressio­ne strumentale irta, invece, tutta agitazione ritmica, con certe violenze timbriche, tutta fre­mito sonoro.

Queste due entità si compeneirano con una forza di concezione efficacissima; e dànno, in­sieme, il risultato della ricerca psicologica e mu­sicale di Petrassi. Con gli elementi strumentali egli immettendo nella musica una ricca plasti­cità di rilievi, una solidità di volumi sonori, de­scrive una scena, apre la visione del laboratorio di Ruysch; con l'elemento corale ci porta l'in­teriorità del dramma, l'intimo e affascinante enigma della poesia.

Temperamento . creativo di prim'ordine: in quei due mondi lirici cosi avvinti egli esprime il proprio comportamento obbiettivo dinanzi al fatto descritto, ]0 narra e lo colorisce; inoltre, riversa la propria reazione sentimentale dinanzi al fatto metafisico.

LE ARTI

I tre pianoforti, benchè spesso risultino due, hanno un' importante funzione ritmica e colo­ristica; ma ]a forza musicale drammatica di questo interessante componimento è data dalle fusioni talvolta veramente singolari dei fiati e degli strumenti a percussione. Soltanto in un momento quell'atmosfera rarefatta, quella for­za che vuoI spingerei al di là dell'umano, cede sotto il peso della materia; e precisamente nel punto in cui i fiati si organizzano in un fugato.

In nessun altro momento la materia pesa. Certi incisi melodici, ripetuti quasi per una funzione atmosferica, che divengono poi germi di un fatto costruttivo di contrappunti corali, sono trattati con una forza espressiva in cui l'abilità è superata sempre dall'arte. Certi brani strumentali rendono lo spirito di quella grande poesia con una essenzialità personalissima. Dal balbettio, dalla pulsazione leggera di un solo strumento, si giunge a grandi sonorità mediante strappi violenti, squarci rapidi, urti timbrici so­stanzialmente drammatici, come quelli che si sentono nel crescendo che segue la grande do­manda « che fummo? ". Lo scherzo macabro che s'inizia dopo le parole « senza tedio consuma» è un brano intensamente espressivo.

Alfredo Casella chiuse definitivamente la « Settima Festa della' Musica ". La sua interes­sante Sinfonia op. 63 (anche di questa già è stato parlato in questa Rivista) riassume tante sue esperienze contrastanti e le concilia con straordinaria abilità. Vi sono attimi intimisti, elegiaci, autobiografici; vi sono attimi obbiet­tivi, neoclassici; altri romantici, contemplativi; altri eruditi, polemici; vi sono momenti pieni di ribellione, di avventura, di fuori legge; e poi compiacenze tradizionalistiche, cadenze me­lodiche e armoniche, rifinite, perfette.

Casella ha preso una struttura esterna, uno schema coordinatore; ma in quello schema il suo periodare è pressochè perfetto. L'architet­tura, in gran parte, è concepita a masse, a strati paralleli, è architettura or~zzontale. Le sonorità si dilatano, si gonfiano presentandosi in blocchi spessi, massicci, senza essere pesanti. Lo scherzo, corre, fluido e leggero, su timbri tesi; è di un dinamismo ritmico pieno di sor­prese e di felicità inventive, è un gioco tipica­mente caseHiano.

Il pubblico è accorso in gran numero H que­ste manifestazioni di musica contemporanea; ed ha applaudito, soddisfatto, a tutti gli esecutori, ma ha pure festeggiato con molta sineerità e convinzione i compositori.

ALESSANDRO PIOVE SAN •

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