Le 10 regole per scrivere un bestseller secondo Stephen ... · Questa serie si intitola “Le 10...
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© 2015 Massimo Polidoro. Tutti i diritti riservati. II Edizione.
Le 10 regole per scrivere un bestseller secondo Stephen King
Commentate da Massimo Polidoro
Stephen King: “I 10 minuti che mi trasformarono in uno
scrittore”
È vero, il titolo sembra uno di quelli acchiappa-gonzi di certi corsi di scrittura poco
affidabili, ma è proprio quello che tempo fa aveva voluto lui, il “Re” in persona, per
raccontare i suoi segreti di scrittore di successo.
All’epoca non aveva ancora scritto il suo splendido On Writing. Autobiografia di un
mestiere, metà memoir e metà manuale di scrittura, ora uscito di nuovo in italiano per
Frassinelli con una nuova traduzione di Giovanni Arduino e un’introduzione di
Loredana Lipperini. Quello che segue, pertanto, è quanto King raccontava di avere
imparato sull’arte di costruire libri capaci di diventare bestseller.
Punto di partenza per questo “mini-corso kinghiano di scrittura”, anche se non sarà
l’unico, è dunque un articolo intitolato appunto “Tutto quello che c’è da sapere sulla
scrittura di successo – in dieci minuti” che King scrisse nel 1988 per The Writer’s
Handbook, una guida americana per scrittori, con contributi di autori famosi, indirizzi
di case editrici e agenti e altre informazioni utili per chi vive di scrittura. In esso,
King esordiva raccontando la storia dei fatidici 10 minuti a cui attribuisce il suo
successo come scrittore.
Nel 1964, King frequentava il secondo anno di liceo e aveva finito per mettersi nei
guai. Per punizione gli fu ordinato dal preside di dare una mano al giornale locale
della città del Maine dov’era cresciuto. In quella piccola redazione, Stephen King
conobbe un editor di nome John Gould, che lui definisce come l’uomo che, nel giro di
dieci minuti, mentre correggeva il suo primo articolo, gli insegnò tutto quello di cui
aveva bisogno di sapere sulla scrittura.
Ecco come King la racconta:
(Gould) iniziò a lavorare sul pezzo con una grande penna nera e mi insegnò tutto
quello che ho mai avuto bisogno di sapere sul mio mestiere. Vorrei avere ancora
quell’articolo – che meriterebbe di essere incorniciato, correzioni editoriali e tutto
il resto – ma ricordo abbastanza bene come appariva quando ebbe finito. Ecco un
esempio:
(nota: questo è come appariva prima dei contrassegni di modifica indicati sul
pezzo originale di King)
Ieri sera, nell’amata palestra della Lisbon High School, tanto i tifosi della
squadra quanto i fan di Jay Hills sono rimasti a bocca aperta per una prestazione
atletica senza eguali nella storia della scuola: Bob Ransom, noto come
“proiettile” Bob sia per le sue dimensioni che per la precisione, ha segnato
trentasette punti. Lo ha fatto con grazia e velocità… e lo ha fatto anche con
un’insolita cortesia, commettendo solo due falli nella sua quasi cavalleresca
ricerca di un record che elude la squadra del Lisbon dal 1953…
(dopo i contrassegni di modifica)
Ieri sera, nella palestra della Lisbon High School, tanto i tifosi della squadra
quanto i fan di Jay Hills sono rimasti a bocca aperta per una prestazione atletica
senza eguali nella storia della scuola: Bob Ransom ha segnato trentasette punti.
Lo ha fatto con grazia e velocità… e lo ha fatto anche con un’insolita cortesia,
commettendo solo due falli nella sua ricerca di un record che elude la squadra del
Lisbon dal 1953…
Quando finì di correggere il mio pezzo nel modo che ho sopra indicato, Gould
alzò gli occhi e dovette vedere qualcosa sul mio viso. Penso che deve avere
creduto si trattasse di orrore, ma non lo era: era rivelazione.
“Ho solo tolto le parti che non vanno, sai,” disse. “Per il resto è piuttosto
buono.”
“Lo so,” dissi, il che significava due cose: sì, la maggior parte del pezzo era
buona, e sì, aveva tolto solo le parti che non andavano. «Non lo farò più.”
“Se dici sul serio”, disse, “non dovrai mai più lavorare. Potrai fare questo per
vivere.” Poi buttò indietro la testa e rise.
Ma aveva ragione: faccio questo per vivere e finché mi riesce di farlo mi aspetto
di non dovere lavorare mai più.
Che cosa aveva fatto di tanto speciale Gould? Aveva tolto tutte le parole inutili:
regola numero 4, nella personale classifica di King. Tra poco inizieremo a guardarle
più da vicino una per una.
UNA DOMANDA PER VOI: Raccontatemi sul mio blog se vi è mai capitato di
accorgervi troppo tardi che c’erano parole di cui avreste potuto fare a meno nei
vostri testi. Io me ne accorgo ogni volta che mi capita di rileggere qualche pagina dai
miei primi libri! Ecco perché non amo mai rileggermi… Oppure, ditemi qual è la
cosa che trovate più difficile quando vi apprestate a scrivere. Forse la soluzione si
troverà nelle 10 regole di Stephen King. Ma, se non lo fosse, potremo cercare insieme
il modo per trovarla.
Regola #1: “Abbiate talento”
Sembra facile, verrebbe da rispondere. Il talento non si può certo imporre! Ma non è
di questo che parla King nella sua regola numero 1.
Semplicemente, sostiene che, chiunque desidera diventare uno scrittore (ancora di più
se mira a diventare autore di bestsellers) dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza.
«Questa è la domanda da un milione di dollari» afferma King. «Che cos’è il talento?»
Evitando pronunciamenti pomposi e assolutamente inutili, la definizione di King per
quel che riguarda uno scrittore di talento è la seguente: «Se hai scritto qualcosa per
cui qualcuno ti ha inviato un assegno, se hai incassato l’assegno e non è rimbalzato, e
se con quei soldi poi hai pagato la bolletta della luce, allora ritengo tu abbia talento».
King previene le proteste di chi lo accusa di misurare il talento unicamente con il
denaro. Ci sarebbero tanti ciarlatani che hanno venduto montagne di libri e sarebbe
difficile considerarli dotati di talento (certo non letterario). Ma non è questo il punto.
«Non parliamo di buoni e cattivi qui» spiega King. «A me interessa dirvi come
riuscire a fare pubblicare la vostra roba, non mi interessano giudizi critici su chi sia
buono o cattivo. Di regola i giudizi critici arrivano dopo che l’assegno è stato speso,
comunque. Ho le mie opinioni, ma il più delle volte le tengo per me. Quelli che sono
pubblicati in modo costante e vengono pagati per ciò che scrivono possono essere
santi o sgualdrine, ma stanno chiaramente raggiungendo un sacco di persone che
vogliono proprio ciò che essi hanno da offrire. Ergo, sono in grado di comunicare.
Ergo, possiedono talento. Ciò che più conta per una scrittura di successo è il talento e,
nel contesto del marketing, l’unico pessimo scrittore è quello che non viene pagato.
Se non avete talento, non avrete successo. E se non avete successo, dovreste sapere
quando smettere.
«Quando bisognerebbe smettere? Non lo so. È diverso per ogni scrittore. Non dopo
sei lettere di rifiuto di certo, né dopo sessanta. Ma dopo seicento? Forse. Dopo
seimila? Amico mio, dopo seimila rifiuti, forse è il momento di provare con la pittura
o la programmazione di computer.
«Inoltre, quasi ogni aspirante scrittore sa quando si sta avvicinando all’obiettivo –
riceve lettere in cui c’è qualche commento scritto a mano o una lettera
personalizzata… forse addirittura una telefonata di commiserazione. C’è freddo là
fuori da soli, ma ci sono voci incoraggianti… a meno che non vi sia nulla nelle vostre
parole che meriti un incoraggiamento. Penso che lo dobbiate a voi stessi di evitare il
più possibile di illudervi. Se i vostri occhi sono aperti, saprete da che parte andare…
o quando tornare indietro».
Davvero talento e vendite si equivalgono?
Certo non ci va giù tenero, King. Eppure, verrebbe da ribattere, di artisti che sono
passati alla storia come geni della letteratura ma che non riuscivano a vivere della
propria arte ce ne furono parecchi: Edgar Allan Poe, Franz Kafka, Herman Melville,
John Keats… per non parlare dei pittori: Van Gogh, Vermeer, Gauguin, El Greco… E
allora, davvero ha talento solo chi riesce a vendere la propria opera?
Certo che no. Ma non dimentichiamo che il discorso di Stephen King è un altro.
Questa serie si intitola “Le 10 regole di Stephen King per scrivere un bestseller”.
Dunque, non parla del talento in genere… ma del talento necessario a creare un
bestseller, un’opera cioè che abbia le caratteristiche di piacere a tanta gente
(sperabilmente, mentre l’autore è ancora vivo!). E, dunque, è evidente che se non si
riesce a vendere nulla di ciò che si scrive, è il ragionamento di King, difficilmente si
potrà scrivere un bestseller.
Ciò non significa che non si possieda talento o che non si possa un giorno scrivere un
bestseller. Ma, di sicuro, significa che quello che si scrive non ha le caratteristiche per
piacere a tante persone. Occorre dunque ripensare al proprio lavoro e capire dove è
possibile intervenire.
Personalmente, quando ho iniziato a scrivere, parliamo dei primi anni ’90, scrivevo i
libri che avrei voluto leggere io, pensavo insomma più a me che al pubblico. Per mia
fortuna, ciò di cui scrivevo (spiritismo, parapsicologia, magia…) e il modo in cui lo
scrivevo (con un approccio critico, intendo) interessava anche altre persone e così
riuscivo a vendere abbastanza copie da garantirmi l’interesse degli editori per nuovi
libri. Ma se all’inizio i miei libri vendevano 2, 3, 4 mila copie (numeri che comunque,
oggi che si vende molto meno, farebbero felici più di un autore), iniziarono
decisamente a vendere di più quando iniziai a guardare “fuori” da me. Quando, cioè,
cercai di capire che cosa avrebbe potuto interessare un pubblico che non era
appassionato come me alle minuzie del paranormale o dello spiritismo.
Ecco, dunque, il primo passo da compiere per chi desideri puntare al bestseller:
osservare con spirito critico ciò che si scrive e chiedersi se ha la possibilità di piacere
agli altri.
E voi avete mai guardato criticamente il vostro lavoro? Che cosa avete visto? E che
cambiamenti avete apportato o vi apprestate ad apportare? Raccontatemelo qui.
Regola #2: “Siate ordinati”
La regola numero 2 è piuttosto chiara: «Siate ordinati», il che significa in sostanza di
non presentare mai un manoscritto sporco o pieno di correzioni a mano.
Quando King scrisse queste regole (nel 1988) i computer non erano ancora diffusi
come lo sono oggi e, dunque, aveva senso parlare di manoscritti puliti. Gli autori
erano soliti scrivere a mano e poi ribattere a macchina, oppure scrivere direttamente a
macchina. Pratica che poteva comportare spesso riscritture, in caso di errori di
battitura, o l’uso di bianchetti vari o correzioni a penna. Dunque, raccomandare di
presentare un manoscritto pulito, con spaziatura doppia e stampato (non scritto a
mano) era un consiglio ragionevole.
Oggi, qualunque autore invia al potenziale editore il proprio manoscritto in formato
digitale oppure dopo averlo stampato con la stampante laser. In ogni caso, la
raccomandazione di presentare un testo “pulito” e ordinato (cioè impaginato
correttamente e privo di errori grammaticali o di battitura) è sempre valida.
Regola #3: “Fate autocritica”
«Se non avete riempito il vostro manoscritto di correzioni significa che siete stati
pigri» dice King. «Solo Dio ci azzecca al primo tentativo. Non siate sciatti».
Pur facendo sempre riferimento a un “manoscritto” da riempire a mano di correzioni,
la regola vale anche per chi lavora al computer. Se non avete riscritto più volte la
vostra stesura, significa che non avete fatto un buon lavoro.
Non vi illudete di scrivere un buon testo al primo tentativo. Potrà piacere a voi,
qualcuno potrà anche farvi i complimenti, ma la maggior parte dei lettori si accorgerà
che non lo avete riletto e corretto abbastanza. È un discorso che ho già affrontato in
passato sul mio blog, ma che riprendo volentieri.
Scrivere è riscrivere, ma quante volte?
Quando si inizia a scrivere ci si affeziona facilmente alle parole che si mettono sulla
carta (o sul monitor del computer). Tutto sembra importante e indispensabile, quella
frase suona proprio bene e quel termine così strano fa il suo effetto, perché tagliarli?
Ma se lo scopo che ci si pone è quello di ottenere un testo o un libro che non piaccia
solo a noi, ma possa essere letto e apprezzato anche da altri, siano essi agenti, editori
o lettori in genere, il segreto sta nella riscrittura. Ecco tre suggerimenti su come
affrontarla:
1. Tirare dritto senza mai voltarsi indietro. Molti esordienti faticano a terminare
persino la prima di stesura, come pensare di riscriverla più volte? Hemingway lo
ha detto chiaramente: «La prima stesura di qualunque cosa è… shit» (e tutti
sappiamo che cosa significa). Quando si inizia a scrivere un romanzo o un
racconto bisogna scrivere e cercare di arrivare fino in fondo nel minor tempo
possibile, non importa se la scrittura non è perfetta, se certi punti della storia non
convincono. È difficile ignorare la vocina nella mente che ci dice che quell’errore
è proprio terribile? Lo so, ma è necessario tirare dritto, non fermarsi a ogni frase
per rileggerla e riscriverla meglio. Anch’io faccio fatica a ignorare errori e
incongruenze nella prima stesura, vorrei tornare indietro e riscrivere certe pagine
da capo. Ma mi trattengo. Lo farò più tardi, quando la prima stesura sarà
terminata. Ancora adesso mi scopro a ripetermi che devo rilassarmi: nessuno
leggerà mai la prima stesura, solo io.
2. Immaginarsi come un artigiano. Quando finalmente si ha la prima stesura in
mano inizia il vero lavoro di scrittura: la riscrittura. Occorre buttare il
manoscritto e ripartire da zero? No, assolutamente. Occorre invece leggere ciò
che si è scritto molto attentamente per segnarsi tutti i punti in cui fare le
correzioni. Io mi trovo bene stampando il testo e lavorando poi sulla carta con un
pennarello rosso. Una volta che termino un primo giro di correzioni, e nel primo
giro si dà la precedenza ai problemi più grossi, le correzioni di fino si riservano a
stesure successive, le riporto sul testo che ho sul computer. A quel punto faccio
una nuova stampata e ricomincio. La scrittura è un lavoro di artigianato fino.
Personalmente mi sento molto vicino al falegname. Immagino infatti il libro
come un blocco di legno che, a furia di riscritture e revisioni, finisco per tagliare,
levigare e trasformare finalmente in un oggetto pulito, liscio e, almeno spero,
senza troppe sbavature.
3. La riscrittura separa il professionista dal dilettante. Non c’è una regola che
dica quante stesure vanno fatte, ognuno deve capire da solo quando il testo è
finalmente presentabile. Tempo addietro mi limitavo e tre o quattro riscritture
prima di girare il mio testo all’editore. Poi, ho iniziato a siglare ogni stesura con
una lettera dell’alfabeto: la prima stesura è la “A”, la seconda la “B” e così via.
Per il mio primo thriller, Il passato è una bestia feroce, sono arrivato alla lettera
“Q”, prima di ritenere il testo pronto per la mia editor. Non fate l’errore di
pensare che se c’è da aggiustare un testo lo farà poi l’editor della casa editrice.
Chi non impara a editarsi da solo, difficilmente arriva a interessare una casa
editrice, tantomeno un agente letterario. Il testo verrà giudicato primitivo e il suo
autore immaturo.
E ricordate ciò che diceva Thomas Wolfe: «Non ho alcun diritto di aspettarmi che gli
altri facciano per me ciò che dovrei fare da solo».
A che punto siete con la vostra prima stesura? Se vi va di condividere i problemi (o le
soddisfazioni) che state incontrando, lasciate qui il vostro commento e ne parleremo
insieme.
Regola #4: “Tagliate le parole inutili”
La regola numero 4 può ingenerare qualche fraintendimento: «Tagliate le parole
inutili».
Non significa scrivere testi brevi e contenuti. Certi libri di King, come IT, L'ombra
dello Scorpione o The Dome, sono tutto fuorché concisi. Ma, se li leggerete, vi
accorgerete che non ci sono parole inutili.
«Volete salire su un pulpito e predicare? Bene. Trovatene uno e provate al parco»
dichiara King. «Volete scrivere per guadagnare? Arrivate al punto. E se una volta
tolta tutta la spazzatura in eccesso scoprite che un punto non c'è, strappate ciò che
avete scritto e ricominciate da capo... o provate qualcosa di nuovo».
È il discorso che King ha fatto in apertura di questo decalogo del "bravo autore di
bestseller": eliminate tutte le parole che non servono e che non aiutano la storia a
progredire. Anche se vi sembrano giri di parole ben riusciti, zeppi di vocaboli
ricercati, se hanno come unico effetto quello di rallentare lo scorrimento della trama
vanno eliminati.
Fu William Faulkner a dire per primo: «Quando si scrive, bisogna uccidere i propri
prediletti». E King aggiunge: «Uccidete i prediletti. Anche se spezza quel piccolo
cuore egocentrico da scribacchino, dovete uccidere i prediletti».
Capita di scrivere qualcosa di cui ci innamoriamo ma che, con il procedere delle
revisioni, non serve più. Può trattarsi di una frase, di un personaggio o anche solo di
una parola ma, se non ha più motivo di stare nella storia, va eliminato.
Naturalmente, non significa che vada gettato nell'oblio. Personalmente, raccolgo i
pezzi tagliati più interessanti in un documento a parte che chiamo (pensate un po’ che
originale): "Tagli". Magari in seguito mi ricorderò di quel dato personaggio che poi
non ho usato o di quella descrizione che mi sembrava azzeccata ma che era rimasta
nel cassetto. A quel punto, se mi serve per un nuovo progetto, non dovrò riscrivere
tutto da capo: potrò recuperare ciò che può tornare utile dal mio file "Tagli" e,
adattato alla nuova situazione, riutilizzarlo.
Si potrà anche ammazzare quello prediletto ma, come con il maiale, non si butta via
niente, signora mia.
E a voi è mai capitato di resistere alla tentazione di "uccidere" i prediletti per poi
pentirvene? Parliamone qui.
Regola #5: “Tirate dritto durante la prima stesura”
Quando si prepara la prima stesura di un testo non si deve lasciare che qualcosa ci
distragga. Nemmeno se abbiamo un dubbio su qualche fatto o qualche particolare di
cui stiamo scrivendo.
«Volete scrivere una storia? Bene» dice King. «Mettete via dizionari, enciclopedie,
almanacchi e vocabolari. Ancora meglio, gettate il vocabolario nel cestino della carta
straccia. L’unica cosa peggiore di un vocabolario sono quei libretti-riassunto che gli
studenti, troppo pigri per leggere i romanzi assegnati, si comprano quando si
avvicinano gli esami.
«Se dovete cercare una parola sul vocabolario per conoscerne il significato vuol dire
che è la parola sbagliata. Non ci sono eccezioni a questa regola.
«Pensate di avere scritto male una parola? Ok, ecco la vostra scelta: o ve la andate a
cercare sul vocabolario, assicurandovi così di averla scritta giusta - rompendo però la
concentrazione e il corso dei pensieri in cambio - oppure la scrivete come vi ricordate
e la correggerete in un secondo tempo. Perché no? Pensate forse che vada da qualche
parte?
«E se avete bisogno di conoscere la più grande città del Brasile e scoprite di non
saperlo, perché non scrivete Miami o Cleveland? Potrete verificare qual è… ma più
tardi.
«Quando vi sedete a scrivere, scrivete. Non fate nient’altro tranne andare al bagno, e
solo se non può assolutamente essere rimandato».
Ancora una parola sul tempo che richiede una prima stesura. «Non dovrebbero essere
necessari più di tre mesi» spiega King, «anche per un libro lungo, tanto quanto una
stagione».
Può sembrare poco, a chi non ci ha mai provato, ma dopo tanti anni vedo che tre mesi
è la durata media che anche a me richiede una prima stesura. Beninteso, scrivendo
tutti i giorni almeno 4 o 5 ore senza interruzioni.
Regola #6: “Informatevi sul mercato”
«Solo uno scemo manderebbe a Vogue una storia su pipistrelli vampiro giganti che
circondano una scuola. Solo uno scemo manderebbe a Playboy una tenera storia su
una madre e una figlia che risolvono le proprie differenze la vigilia di Natale… ma la
gente lo fa di continuo.
«Non sto esagerando. Ho visto simili storie nella pattumiera di quelle riviste. Se
scrivete una buona storia, perché mandarla in giro da ignoranti? Mandereste i vostri
bambini in una tempesta di neve vestiti con un paio di bermuda e una canotta?
«Se vi piace la fantascienza, leggete le riviste che la pubblicano. Se volete scrivere
storie d’amore, leggete i femminili. E così via.
«Non è solo questione di sapere che cosa è adatto per la storia che avete terminato.
Dopo un po’ inizierete a entrare in sintonia con il ritmo generale, i gusti editoriali, le
inclinazioni di una data rivista. A volte, leggere qualcosa può influire sulla vostra
storia e finire così per farvela vendere».
King parla di racconti per riviste, in questo caso, ma il consiglio di “conoscere il
mercato” vale anche per saggi e romanzi.
Tante volte ho visto persone impegnarsi tanto a scrivere un libro, ma non avere poi la
più pallida idea di quale potesse essere il potenziale editore più adatto.
Bisogna informarsi. Anche questo fa parte del lavoro dello scrittore, soprattutto se si
sogna di scrivere un bestseller.
Come ci si informa? Per cominciare, quando si hanno dieci minuti di tempo libero
(meglio se qualcuno in più), anziché al bar si può andare in libreria. Si sfogliano le
novità, si guarda che cosa ha pubblicato quel dato editore o che cosa sta per uscire.
E poi ci si procurano i cataloghi degli editori che pubblicano i libri che interessano di
più, o li si consulta online. Oggi grazie a internet è facilissimo scoprire quale può
essere l’editore più adatto al vostro libro. Per favore, non fate l’errore di mandare un
romanzo horror a un editore di libri per bambini.
Regola #7: “Scrivete per divertire”
In inglese il verbo è “entertain”, che sta per intrattenere, far passare il tempo… in
sostanza divertire. Ma su questo termine, quando si parla di romanzi, da sempre si
litiga.
«Significa che non potete scrivere narrativa seria?» domanda King. «Ovviamente no.
In qualche momento imprecisato, critici velenosi hanno calato sul pubblico di lettori
l’idea che la narrativa di intrattenimento e quella seria non si possono sovrapporre.
Un fatto che avrebbe meravigliato Charles Dickens, per non parlare di Jane Austen,
John Steinbeck, William Faulkner, Bernard Malamud e centinaia di altri.
«Ma le vostre idee più serie devono sempre servire alla storia e non il contrario. Lo
ripeto: se volete predicare, salite su un pulpito».
Un romanzo, insomma, non deve servire per veicolare insegnamenti, predicozzi o
lezioni di morale. Un romanzo deve raccontare una storia e, se non lo fa, non è più un
romanzo. È un pamphlet, un saggio narrato, chiamatelo come volete. Solo, siate
consapevoli che molto difficilmente incanterà i lettori al punto da trasformarlo in un
bestseller.
Ma un romanzo deve divertire anche chi lo scrive. «Scrivere non riguarda il fare
soldi, diventare famosi, portarsi a letto qualcuno o farsi degli amici» dice King. «In
fin dei conti, riguarda l’arricchimento delle vite di coloro che leggeranno il vostro
lavoro, ma riguarda anche il vostro arricchimento personale. Riguarda l’alzarsi, lo
stare bene e il concludere qualcosa. Rendersi felici, okay? Rendersi felici».
Una buona domanda da farsi spesso è: mi sto divertendo?
«La risposta non deve sempre essere sì» dice King. «Ma se è sempre no, è ora di
pensare a un nuovo progetto o a una nuova carriera».
Regola #8: “Come valutare le critiche”
«Mostrate il vostro lavoro a un certo numero di persone, diciamo dieci. Ascoltate
attentamente ciò che vi dicono. Sorridete e annuite molto» consiglia King. «Poi,
esaminate con molta cura ciò che vi è stato detto. Se i vostri critici vi dicono tutti la
stessa cosa su qualche aspetto della storia - una piega della trama che non funziona,
un personaggio che suona falso, una narrazione ampollosa o un’altra mezza dozzina
di possibilità - cambiatela.
«Non importa se quella piega o quel personaggio vi piacevano davvero tanto; se un
sacco di gente vi dice che qualcosa non va con il vostro pezzo, è così. Se sette o otto
di loro puntano sulla stessa cosa, suggerirei comunque di cambiarla. Ma se tutti - o
quasi tutti - criticano qualcosa di diverso, allora potrete tranquillamente ignorarli».
Un altro consiglio di Stephen King è quello secondo cui si scrive con la porta chiusa
e si riscrive con la porta aperta.
Chi abbiamo in mente quando scriviamo? A chi ci rivolgiamo esattamente: ai critici,
al lettore ideale, al coniuge, a noi stessi o a nessuno in particolare? Chiarirsi sin
dall’inizio chi saranno i nostri lettori (o chi speriamo essi siano) è forse il modo
migliore per capire il taglio che dovremo dare al nostro lavoro.
Si può anche scrivere solo per noi stessi, se lo vogliamo, creare un diario per
raccogliere idee, impressioni e riflessioni su cui tornare di tanto in tanto o da rileggere
tra qualche anno. Oppure, si possono scrivere storie e racconti barocchi e complessi
che ci riempiono di soddisfazione, anche se gli altri sembrano non gradire. In questi
casi, sapere che scriviamo solo per noi stessi ci rende immuni alle critiche.
Tuttavia, se lo scopo è quello di farsi leggere anche dagli altri, magari da più persone
possibile, allora occorre iniziare a porsi domande sulla propria scrittura: chiedersi a
chi ci si intende rivolgere è il primo passo per uscire dall’autoreferenzialità.
Come fare? Ecco qualche idea:
1. Scegliere il tipo di storia che ci appassiona di più. Può darsi che ci piaccia
leggere fantascienza, ma siccome non è facile ottenere il successo con questo tipo
di storie allora potremmo decidere di scrivere un romanzo rosa perché tira di più,
anche se non ne abbiamo mai letto uno. È una scorciatoia che non può
funzionare. Bisogna scrivere di ciò che ci lascia a bocca aperta e ci spinge a
leggere sempre di più, anche se quello che ci piace non è un settore dove si vende
molto, altrimenti la scrittura suona falsa e non si andrà molto lontano. E poi, chi
lo sa, magari mettendosi d’impegno saremo proprio noi a scrivere il primo
bestseller di quel tipo…
2. Leggere tanto nel settore di interesse. Può sembrare banale, ma per scrivere
bene un giallo bisogna prima leggere tanti, tanti gialli. È incredibile quanti ancora
pensino che per scrivere non sia necessario leggere. In realtà è vero il contrario:
chi non legge non è in grado di scrivere in maniera credibile. Come dice
King: «Se non avete tempo per leggere, non avrete il tempo o gli strumenti per
scrivere». Che cosa leggere dunque? Di tutto, naturalmente, ma soprattutto il
genere che ci piace e ci appassiona di più.
3. Individuare i capisaldi. Qualunque genere si intenda esplorare, ci si renderà
conto presto o tardi che ogni storia che funziona presenta alcuni elementi
ricorrenti. In un giallo, per esempio, dev’esserci un delitto nelle prime pagine, un
detective, ufficiale o improvvisato che sia, una serie di sospetti, false piste e
l’identificazione dell’assassino alla fine. Il “lettore-medio” si aspetta di trovare gli
elementi che caratterizzano il suo genere preferito: ometterli o trascurarli
significa inevitabilmente deludere le aspettative del lettore.
Regola #9: “Un agente? Lasciate perdere. Per ora”
«Gli agenti prendono una percentuale dei guadagni dei loro clienti» dice Stephen
King. «Una percentuale sul niente è niente. Anche gli agenti devono pagare l’affitto.
Gli scrittori esordienti non contribuiscono né a quella né ad altre necessità della vita.
Fate girare da soli le vostre storie. Se avete scritto un romanzo, mandate in giro
proposte agli editori, uno alla volta, e fate seguire qualche capitolo di esempio se non
l’intero manoscritto.
«E ricordate la Prima Regola di Stephen King degli Scrittori ed Agenti, imparata
attraverso amara esperienza personale: non te ne serve uno finché non guadagni
abbastanza perché qualcuno ti possa derubare… e se guadagni così tanto, sarai in
grado di scegliere tra ottimi agenti».
Ma, nella pratica, come si trova un agente quando sarà il momento? Cercate “agenzie
letterarie” sul web, ne troverete diverse, a volte specializzate per generi. Tuttavia, non
basta contattare un’agenzia e proporsi.
Il mio agente, Stefano Tettamanti, dell’agenzia Grandi & Associati, che mi
rappresenta dalla fine degli anni novanta, di solito spiega così come si raggiunge un
agente: «Non c’è un metodo preciso. Oggi non esiste più la cosiddetta “società
letteraria”, ma le dritte sì: possono venire da un nostro autore, o da altri. In ogni caso,
se uno scrittore non mi piace non lo seguo».
Impegnatevi a scrivere il vostro migliore primo libro e poi cercate di pubblicarlo con
un vero editore (possibilmente non self-publishing e, categoricamente mai, vanity
press). Solo dopo che avrete dei risultati concreti da mostrare, e non solo tante idee
sui libri che potreste realizzare ma che per ora sono solo nella vostra testa, potrete
avvicinare un agente con maggiori possibilità di successo.
Regola #10: “Se non funziona, uccidetelo”
«Quando si tratta delle persone, l’omicidio misericordioso è contro la legge. Quando
si tratta di narrativa, è la legge» conclude Stephen King. «È tutto ciò che vi serve
sapere. E se mi avete ascoltato, potrete scrivere qualunque cosa vogliate. E ora credo
che vi augurerò una buona giornata e chiuderò le trasmissioni».
Stephen King si ferma qui con il suo decalogo. Ma c’è ancora qualcosa che ci può
rivelare: il segreto del suo successo.
«Quando mi chiedono qual è “il segreto del mio successo” (un’idea assurda, questa,
da cui però è impossibile liberarsi), a volte dico che ce ne sono due: mi sono
mantenuto fisicamente in salute e sono rimasto sposato» è la risposta di King.
«È una buona risposta» continua poi «perché fa sparire la domanda e perché c’è un
elemento di verità in essa. La combinazione di un corpo in salute e di una relazione
stabile con una donna indipendente, che non si lascia incantare né da me né da
chiunque altro, ha reso possibile la continuità della mia vita lavorativa. E credo che
sia vero anche l’inverso: che la mia scrittura e il piacere che mi dà abbiano
contribuito alla stabilità della mia salute e della mia vita domestica».
Per chi pensa che lo scrittore di successo sia solo quello che vive una vita spericolata
alla Bukowski, sono parole su cui riflettere.
Bonus track: lo studio dello scrittore
Nel suo On Writing, King osserva che se si può leggere dovunque, per la scrittura non
è così. «Truman Capote» dice «asseriva di sbrigarsela a meraviglia nelle camere
d’albergo, ma si tratta di un’eccezione: il resto di noi se la cava al meglio in un luogo
tutto per sé. Finché non ne scoverete uno, vi sarà difficile prendere sul serio la vostra
recente decisione di lavorare sodo».
Non dev’essere una reggia e può essere davvero qualcosa di modesto: King scrisse i
suoi primi due romanzi, Carrie e Le notti di Salem, nella lavanderia di un
maxicaravan con un tavolino da bambini in bilico sulle cosce, pestando sui tasti
dell’Olivetti portatile della moglie!
In un’intervista pubblicata The Paris Review nel 2006, King spiega che il posto in cui
si scrive, ovunque esso sia, «dev’essere un po’ come un rifugio, un posto dove
allontanarsi dal mondo. Più ristretto è e più sei costretto a ricorrere alla tua
immaginazione. Voglio dire, se fossi vicino a una finestra, per un po’ starei bene, ma
poi inizierei a dare un’occhiata alle ragazze in strada, a chi sale e scende dalle auto e,
sapete com’è, tutte quelle piccole storielle di strada sempre in corso: che combina
quello, che vende quell’altro?»
E chi desidera scrivere, soprattutto se sogna di scrivere qualcosa che potrà essere letto
da tanti, ha la necessità di restare concentrato. Però, avverte sempre su On Writing,
non è il caso di restare in attesa della musa: «A costo di ripetermi, è un tizio cocciuto,
poco disposto a svolazzare in giro spargendo la sua polverina. Qui non stiamo
discutendo di spiritismo o tavole Ouija, ma di un impiego qualunque, tipo installare
tubazioni o guidare autoarticolati. Sarà vostro preciso compito accertarvi che la musa
sappia dove scovarvi dalle nove a mezzogiorno o, poniamo, dalle sette alle tre del
pomeriggio. Se righerete dritto, vi assicuro che prima o poi il nostro amico comincerà
a fare capolino, masticando un sigaro e dando fondo alle sue magie».
Nell’intervista su The Paris Review, poi, King torna anche sul tema dell’ordine.
«Ho un sistema di archiviazione» dice. «Molto complesso, molto ordinato. Con
Duma Key, il romanzo a cui sto lavorando ora, ho addirittura codificato le note per
essere sicuro di ricordare i vari filoni della trama. Scrivo le date di nascita per capire
quanto sono vecchi i personaggi in certi momenti. Mi ricordo di mettere il tatuaggi o
di una rosa sul petto di una tizia, mi ricordo di dare a Edgar un grande banco da
lavoro per la fine di febbraio. Perché se sbaglio qualcosa adesso, poi diventa un gran
casino sistemarla in seguito».
Ed è interessante, in chiusura, notare qui come in fondo King contraddica sé stesso.
Se prima diceva che occorre scrivere senza mai voltarsi indietro, ignorando errori o
imprecisioni per poi sistemarle in seguito, per esempio, qui si smentisce rivelando
che cerca di essere il più meticoloso possibile per evitare di doversi correggere poi.
Questo del “doppio gioco” di King è uno degli aspetti, affascinanti, che Loredana
Lipperini sottolinea nella sua introduzione alla nuova edizione di On Writing:
«Cercate le sue interviste, compulsate le note introduttive, sfogliate le prefazioni alle
raccolte di racconti e naturalmente leggete questo libro: scoprirete che nel tempo ha
detto di sé tutto e il contrario di tutto, e va bene così. Se la scrittura è magia (…) King
è il più abile dei maghi (…). Perché come diceva il vecchio Samuel Henry Sharpe
(…): “Lo scopo della magia non è ingannare il prossimo, ma incoraggiare un
approccio verso la vita pieno di meraviglia”. Questo è, anche, lo scopo di On Writing:
mostrare il curriculum vitae di uno scrittore, vero o falso che sia, e condividere un
approccio alla scrittura, e dunque alla vita stessa. Meravigliatevi, qualunque sia la
verità».
Meravigliatevi, insomma, e scoprirete che se riuscirete a meravigliare voi stessi,
avrete fatto un passo importante verso il tentativo di meravigliare anche chi vi
leggerà. Un passo fondamentale per chiunque desideri scrivere, sia che alla fine si
ritrovi tra le mani un bestseller o semplicemente un buon libro.
Buona fortuna!
Per approfondire
Giusto un paio di suggerimenti per approfondire. Per cominciare, naturalmente, On
writing di Stephen King, metà memoir e metà manuale di scrittura. Leggetelo,
leggetelo, leggetelo e poi rileggetelo: scoprirete quanto sia prezioso.
Manuali di scrittura ne esistono tanti, sarebbe impossibile segnalarli tutti. Eccone
(solo) due: uno tradotto, Scrivere un romanzo di Donna Levin (Dino Audino Editore),
e uno italianissimo, Gli attrezzi del narratore dell’ottimo Alessandro Perissinotto
(BUR). Leggeteli entrambi, non ne resterete delusi.
Un’ottima disamina dei manuali di scrittura creativa disponibili in lingua italiana, poi,
è quella che trovate a questa pagina, realizzata da Laura Lepri, docente di scrittura,
editor e agente letteraria.
Sul tema della revisione e del self-editing, invece, non c’è molto, nella nostra lingua.
Un punto di riferimento indispensabile, per quel che riguarda questioni di base di
stile, è Elementi di stile nella scrittura, di William Strunk Jr. (Dino Audino Editore),
testo fondamentale per tutti gli scrittori americani, qui opportunamente adattato alla
lingua italiana e di cui nessuno scrittore può fare a meno.
Sulla revisione in sé un buon punto di partenza (in inglese) è Self-Editing for Fiction
Writers, di Renni Browne e Dave King, anche se il massimo (almeno per me) è
Revision and Self-Editing di James Scott Bell, che tengo fisso sulla scrivania e ho
quasi consumato nella sua prima edizione a furia di leggerlo, rileggerlo e studiarlo.
Per capire come funziona il mondo dell’editoria e conoscere meglio il “mercato”, un
testo che smonta luoghi comuni e illusioni è E così vorresti fare lo scrittore di
Giuseppe Culicchia (Editori Laterza). Mentre E così vuoi lavorare nell’editoria di
Alessandra Selmi (Editrice Bibliografica) vi aiuta a conoscere meglio la figura
dell’editor, cruciale per un autore che punti a pubblicare.
Grazie!
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Massimo Polidoro. Scrittore e giornalista, è considerato uno dei maggiori esperti
internazionali nel campo del mistero e della psicologia dell’insolito. Conduttore e
consulente scientifico di trasmissioni televisive di successo, ha fatto dell’indagine sui
misteri la sua professione. Autore da oltre 300.000 copie vendute, ha pubblicato tra
gli altri Enigmi e misteri della storia, Rivelazioni, Il tesoro di Leonardo e il thriller Il
passato è una bestia feroce, vincitore del premio NebbiaGialla. Il suo sito è:
www.massimopolidoro.com
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