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di matteo gaddi Innanzitutto vengono elencati i prin- cipi fondamentali delle digital eco- nomy, desunti dalla letteratura: - le informazioni digitalizzate sono di- ventate una risorsa; grazie alle nuove tecnologie informatiche è aumentata la loro quantità e sono stati definiti strumenti in grado di sfruttarle come un asset strategico per l’attività eco- nomica; - l’economia digitale segue il principio dei ritorni crescenti e degli zero, o quasi zero, costi marginali; - i nuovi modelli di business prendono vantaggi dai “two-side markets” e dalla economia basata sulle piatta- forme; - il nuovo modello di produzione è in grado di produrre piccoli lotti perso- nalizzati di beni di massa; è inoltre caratterizzato dalle catene globali del valore, dalla messa in rete delle ca- pacità produttive e dal fatto che sfu- mano i confini tra produttore e consumatore, nonché tra la manifat- tura e i servizi; - la profittabilità degli investimenti tec- nologici è stata rivoluzionata dalla ca- duta dei costi di hardware e software e con un salto nella loro performance ed efficienza produttiva. ovviamente questo modello, per af- fermarsi, si basa fortemente sulle nuove tecnologie: cloud, big data, mobile apps, geolocalizzazione, inter- net delle cose, nuova generazione di robot. per ciascuna di queste tecnologie viene fornita una breve descrizione di inquadramento e gli impatti che pos- sono avere sui livelli occupazionali e su tutti gli aspetti concernenti il la- voro. Le tecnologie cloud (sia quelle di stoccaggio di informazioni in locazioni virtuali, sia quelle riferite all’uso di in- frastrutture fisiche in remoto) sono un elemento chiave nella proliferazione di attività intangibili geograficamente disperse. a livello globale favoriscono gli accordi di outsourcing e offshoring (cioè esternalizzazione e delocalizaz- zione) e leasing per lo svolgimento di attività di servizi anziché investimenti in capitale da parte delle aziende che li utilizzano. I lavoratori che utilizzano i servizi cloud spesso vengono forzati a modificare il loro ambiente e le loro relazioni di lavoro L’espansione dell’industria dei big data consente di raccogliere e trattare enormi quantità di dati e informazioni (anche con infrastrutture fisiche come data center e connessioni ad alta ve- locità). La raccolta e l’analisi dei big data ha implicazioni in termini di sorveglianza e monitoraggio dei posti di lavoro e di tracciamento delle attività. diventa molto più facile valutare le perfor- mance individuali grazie al fatto che le soluzioni di modellizzazione dei big data rendono possibile l’utilizzo di standard delle performance lavora- tive di tipo qualitativo e quantitativo. non sono nuove armi nell’arsenale dei manager, ma questi strumenti sono molto più potenti di quelli già esistenti. Le mobile apps possono essere in- stallate su qualsiasi dispositivo e con- sentono l’accesso ovunque ci sia una connessione disponibile. possono essere installate anche su oggetti co- municanti come elettrodomestici, si- stemi di riscaldamento, contatori elettrici, televisioni, macchine ecc. Esse non solo forniscono i servizi per www.puntorosso.it anno ii - numero 56 - 13 ottobre 2016 punto rosso lavoro 21 Settimanale l’economia digitale e il lavoro L’ETUI (EUropEan TradE UnIon InsTITUTE) ha pUbbLIcaTo Un InTErEssanTE papEr sUL Lavoro nELL’EconomIa dIgITaLE (“Work In ThE dIgITaL Economy: sorTIng ThE oLd from Th nEW” – g. va- LEndUc E p. vEndramIn). In qUEsTo arTIcoLo sI passano In rassEgna I prIncIpaLI conTEnUTI dI qUEsTo saggIo, EvIdEnzIando gLI aspETTI dELL’EconomIa dIgITaLE chE possono avErE Un ImpaTTo sUL mondo dEL Lavoro.

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di matteo gaddi

Innanzitutto vengono elencati i prin-cipi fondamentali delle digital eco-nomy, desunti dalla letteratura:- le informazioni digitalizzate sono di-ventate una risorsa; grazie alle nuovetecnologie informatiche è aumentatala loro quantità e sono stati definitistrumenti in grado di sfruttarle comeun asset strategico per l’attività eco-nomica;- l’economia digitale segue il principiodei ritorni crescenti e degli zero, oquasi zero, costi marginali;- i nuovi modelli di business prendonovantaggi dai “two-side markets” edalla economia basata sulle piatta-forme;- il nuovo modello di produzione è ingrado di produrre piccoli lotti perso-nalizzati di beni di massa; è inoltrecaratterizzato dalle catene globali delvalore, dalla messa in rete delle ca-pacità produttive e dal fatto che sfu-mano i confini tra produttore econsumatore, nonché tra la manifat-tura e i servizi;- la profittabilità degli investimenti tec-nologici è stata rivoluzionata dalla ca-

duta dei costi di hardware e softwaree con un salto nella loro performanceed efficienza produttiva.ovviamente questo modello, per af-fermarsi, si basa fortemente sullenuove tecnologie: cloud, big data,mobile apps, geolocalizzazione, inter-net delle cose, nuova generazione dirobot.per ciascuna di queste tecnologieviene fornita una breve descrizione diinquadramento e gli impatti che pos-sono avere sui livelli occupazionali esu tutti gli aspetti concernenti il la-voro.Le tecnologie cloud (sia quelle distoccaggio di informazioni in locazionivirtuali, sia quelle riferite all’uso di in-frastrutture fisiche in remoto) sono unelemento chiave nella proliferazionedi attività intangibili geograficamentedisperse. a livello globale favorisconogli accordi di outsourcing e offshoring(cioè esternalizzazione e delocalizaz-zione) e leasing per lo svolgimento diattività di servizi anziché investimentiin capitale da parte delle aziende cheli utilizzano. I lavoratori che utilizzanoi servizi cloud spesso vengono forzatia modificare il loro ambiente e le loro

relazioni di lavoro L’espansione dell’industria dei bigdata consente di raccogliere e trattareenormi quantità di dati e informazioni(anche con infrastrutture fisiche comedata center e connessioni ad alta ve-locità).La raccolta e l’analisi dei big data haimplicazioni in termini di sorveglianzae monitoraggio dei posti di lavoro e ditracciamento delle attività. diventamolto più facile valutare le perfor-mance individuali grazie al fatto chele soluzioni di modellizzazione dei bigdata rendono possibile l’utilizzo distandard delle performance lavora-tive di tipo qualitativo e quantitativo.non sono nuove armi nell’arsenaledei manager, ma questi strumentisono molto più potenti di quelli giàesistenti.Le mobile apps possono essere in-stallate su qualsiasi dispositivo e con-sentono l’accesso ovunque ci sia unaconnessione disponibile. possonoessere installate anche su oggetti co-municanti come elettrodomestici, si-stemi di riscaldamento, contatorielettrici, televisioni, macchine ecc.Esse non solo forniscono i servizi per

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punto rosso

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l’economia digitale e il lavoroL’ETUI (EUropEan TradE UnIon InsTITUTE) ha pUbbLIcaTo Un InTErEssanTE papEr sUL Lavoro

nELL’EconomIa dIgITaLE (“Work In ThE dIgITaL Economy: sorTIng ThE oLd from Th nEW” – g. va-LEndUc E p. vEndramIn). In qUEsTo arTIcoLo sI passano In rassEgna I prIncIpaLI conTEnUTI dI

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lavoro21settimanalecui sono state progettate, ma ancheraccolgono dati per i data center e lepiattaforme on line.oggi molti dispositivi, come smar-tphone, tablet e laptop sono dotati didispositivi di geolocalizzazione: que-sto consente di fornire alle piatta-forme on line molti dati di grandevalore.dal punto di vista del lavoro la geolo-calizzazione ha molti impatti in terminidi pianificazione, monitoraggio e trac-ciamento dei lavoratori “mobili” impe-gnati in compiti quali attività diconsegna, di manutenzione, ripara-zione e ispezione di impianti indu-striali ecc. Inoltre la capacità diutilizzare servizi di geolocalizazioneper tracciare i movimenti di individuie merci ha un grande impatto sull’or-ganizzazione del lavoro di settoricome i trasporti e la logistica. La com-binazione della geolocalizzazionecon altre tecnologie digitali come i bigdata, apps, internet delle cose , piat-taforme on line e reti “peer to peer”rappresenta una particolare risorsa diinnovazione.Il termine “internet delle cose” (IoT) èuna abbreviazione per indicare proto-colli di comunicazione e sistemi ope-rativi che consentono lo scambio didati digitalizzati tra oggetti (fisici o vir-tuali) equipaggiati con sensori, stru-menti di telemetria, chips di rfId(radiofrequenze di identificazione),codici qr e apps incorporate in com-puter, telefoni o hardware robot. negliambienti di lavoro questi strumenti diinterconnessione avranno un ruoloimportante in termini di tracciamentodi componenti e prodotti, sorve-glianza dei lavoratori, monitoraggiodelle vendite, controllo degli accessi.Il loro ruolo sarà fondamentale nellagestione dei flussi di merci, servizi epersone in tutti i settori dell’industriae quindi, a maggior ragione, nelle ca-tene produttive geograficamente di-sperse. Tuttavia, nonostante alcuniprototipi siano stati realizzati, l’appli-cazione dell’IoT necessita di una fasesperimentale abbastanza lunga:quindi non sono previsti impatti im-mediati sul lavoro e sull’occupazione.La nuova generazione di robot è ca-

ratterizzata da capacità di apprendi-mento e percezione: queste mac-chine che apprendono (machinelearning) hanno fatto grandi progressiin termini di capacità di computing ememoria (big data, visione elettro-nica, riconoscimento di forme e lin-guaggi parlati) in modo da adattare illoro comportamento sulla base dellaconoscenza di eventi passati o dianalisi dell’ambiente. Inoltre i movi-menti di questi robot dipendono dallaloro capacità di interagire con oggetticonnessi. L’impatto sul lavoro deirobot mobili e in grado di apprenderenon sarà limitato ai classici settori chehanno conosciuto l’automazione, masi estenderà ad un ampio ventaglio diambiti quali la movimentazione dellemerci, la manutenzione e la ripara-zione di impianti industriali, la ge-stione dei rifiuti, la gestione dei pezzidi ricambio, la spedizione di pacchi elettere, lo svolgimento di operazioni inambienti difficili. anche in questocaso gli effetti sul lavoro non sarannoimmediati (ci sono, a d oggi, prototipiin ambienti sperimentali), ma l’espe-rienza dimostra che a volte è statonecessario costruire nuovi stabili-menti per accogliere, nei processiproduttivi, i robot a causa dell’impos-sibilità di incorporarli in maniera effi-ciente negli impianti già esistenti.quali, quindi, le conseguenze com-plessive sul lavoro di queste nuovetecnologie ?secondo recenti lavori (brynjolfssone mac afee, 2015; osborne 2013) leinnovazioni hanno spostato i confinitra conoscenze tacite e conoscenzecodificate nel lavoro; questo grazie inparticolare al processamento dei bigdata e alle macchine che apprendonoche hanno reso possibile codificarecompiti cognitivi.La capacità di computer e robot di so-stituire il lavoro umano dipende dalcarattere delle prestazioni:- nei compiti cognitivi non routinari icomputer non possono sostituire intoto il lavoro umano, ma semmai sup-portarlo; invece nei compiti cognitiviroutinari, che possono essere codifi-cati in procedure, regole e algoritmi,il rischio di sostituzione esiste.

- nei compiti manuali: in quelli routi-nari (e quindi codificati e standardiz-zati in base alla loro natura ripetitiva)esiste una lunga tradizione di sostitu-zione del lavoro umano da parte dirobot e computer; mentre in quellinon routinari che richiedono compe-tenze sensorio-motorie elevate, intui-zioni estetiche, competenzeartigianali o altre conoscenze tacite,tra uomo e macchine può determi-narsi un rapporto di complementa-rietà. frey e osborne (2013)sostengono che ci sono due tipi di in-novazione che sono importanti a que-sto riguardo: 1) l’uso innovativo dicomputer per realizzare compiti co-gnitivi non routinari utilizzando bigdata e macchine che apprendono(con algoritmi) per ridurre a zero glierrori umani o il rischio di frodi in am-biti come le procedure diagnostiche,le transazioni legali, la traduzione ditesti standardizzati, il monitoraggiodelle produzioni; 2) l’utilizzo innova-tivo di computer per compiti manualinon routinari come la manutenzionedi impianti tecnici, l’implementazionedi sistemi logistici e la guida di veicoli(sia agricoli che industriali).mentre brynjolfsson e mac afee so-stengono che gli uomini dovranno im-parare a lavorare coi robot(bilanciando le competenze umanecon le prestazioni di macchine alta-mente performanti), frey e osbornesono più pessimistici riferendosi alpossibile effetto di sostituzione.Il tema della complementarietà èstato esaminato anche nel rapportodel governo olandese dove si parladi “robot inclusivi” e si propongono,tra le altre il fatto che le strategie diinnovazione vengano definite in col-laborazione tra progettisti (ingegneri)e utilizzatori (gli operai che le utilizze-ranno) e modelli educativi focalizzatisu competenze e conoscenze checompletino le capacità di lavoro dellemacchine. Inoltre, il tema della complementa-rietà chiama in causa le interfacceuomo-macchina (hmI) per quantoconcerne le interazioni tra lavoratorie robot negli ambienti di lavoro.per quanto concerne gli effetti com-

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lavoro21settimanaleplessivi sull’occupazione il paperdell’ETUI richiama precedenti studi,quali quello redatto in francia nel1981 da pastrè et al. nel quale si sti-mavano gli effetti della tecnologia suiposti di lavoro. Le conclusioni di que-sto erano fondate (nel senso della ri-duzione dei livelli occupazionali) neisettori industriali, mentre non tene-vano conto degli effetti nel settore deiservizi, pubblici e privati. Lo stessorapporto diretto di causa-effetto tra ilpotenziale delle nuove tecnologie e iloro effetti sui posti di lavoro caratte-rizza anche il lavoro di frey eosborne oltre 30 anni dopo.secondo le ricerche condotte dal-l’ocsE (1986), tre conclusioni sonopossibili: 1) molte ricerche sovrasti-mano il tasso al quale vengono adot-tate le nuove tecnologie ed il lorolivello di efficienza produttiva mentreallo stesso tempo sottostimano i vin-coli sociali e organizzativi che ostaco-lano o mitigano i loro impatti sullavoro; 2) gli effetti reali della “compu-terizzazione” sull’occupazione è pos-sibile che rimangano di scarsosignificato rispetto ad altri fattori qualila fluttuazioni nella crescita econo-mica e nello sviluppo del commercioglobale; 3) gli impatti maggiori sonocorrelati ai cambiamenti nella strut-tura dell’occupazione piuttosto chenel suo livello quantitativo (la “compu-terizzazione” sembra creare occupa-zione in certi settori e professionimentre elimina posti di lavoro in altri,ma questi effetti non sono distribuiti inmaniera uniforme tra regioni e paesi).

negli anni ’90 nelle ricerche sugli ef-fetti della “computerizzazione” il temadei livelli occupazionali ha lasciato ilcampo ai cambiamenti organizzativilegati alla diffusione delle tecnologieIcT, in particolare sulla flessibilità, ilcambiamento delle competenze, l’in-tensificazione del lavoro.con la bolla della “new economy” acavallo del secolo sono aumentate lericerche sulle maggiori innovazionitecnologiche come la comparsa di in-ternet nelle aziende e i concetti di so-cietà delle rete ed economia dellaconoscenza: alcune di queste hannoevidenziato la convergenza di alcunetecnologie in grado di attivare siner-gie tra IcT, biotecnologie, nanotecno-logie e scienze cognitive. L’impattodelle nuove tecnologie IcT rispetto ailivelli occupazionali è diventato più ot-timistico in linea con l’approccio dellacrescita; internet è stata trattata comeun fattore di crescita e creatrice diposti di lavoro (o comunque in gradodi creare più posti di lavoro di quantine distrugge). Tuttavia, inevitabil-mente, questo ottimismo nei confrontidi internet si è fortemente ridimensio-nato con la crisi del 2008 e con la di-struzione di tantissimi posti di lavoro.ricerche finanziate dalla commis-sione Europea (nett et al. 2010) si di-stanziano dai precedenti approccideterministici rispetto al lavoro e al-l’occupazione; piuttosto descrivono leIcT come “amplificatori di trend” eraccomandano attenzione allo svi-luppo di IoT e altre forme pervasive dipresenza del computing.

Una particolare evidenza viene postasul fatto che l’impatto dell’IcT sullaproduttività è possibile solo se ac-compagnato da cambiamenti orga-nizzativi in particolare sullapartecipazione dei lavoratori, il de-centramento delle responsabilità el’autonomia del lavoro. Le strategie diriorganizzazione basate sull’IcT sonomolto varie: vanno da forme di auto-mazione finalizzate unicamente a ta-gliare i costi del lavoro a tentativi dicreare valore sulla base di una mi-gliore attivazione delle competenzedei lavoratori.In conclusione. negli ultimi dieci annisi sono affermate nuove tecnologiecome l’uso del cloud per immagazzi-nare immense quantità di dati e ingrado di favorire il parallelo utilizzo dihardware in diverse aree geografi-che, così come l’esplosione dei bigdata, di apps mobili multi-piattaformee la geolocalizzazione. più di recentesi stanno sviluppando l’IoT, le mac-chine che apprendono, i robot mobili.anche se le nuove tecnologie stannocambiando i confini tra competenzeumane e delle macchine, è ancoraprematuro per poter affermare che illavoro umano verrà rimpiazzato dallemacchine. La lezione del passato di-mostra che la relazione tra tecnologiee occupazione è molto complessa.deriva anche da questo l’importanzadella ricerca che stiamo facendo as-sieme alla fondazione claudio sa-battini per fornire al movimento deilavoratori strumenti utili per l’analisi el’iniziativa di classe.

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di laura Bonani

che nel 1945 contava 50.000 lavora-tori e 45.000 abitanti e che oggi sfiora82.000 abitanti e arriva a malapena a26.000 lavoratori. ma oltre alle ‘accia-ierie falck Unione’, hanno dettoaddio a sesto la gloriosa Ercole ma-relli che nel 1980 superava i 7.300 di-pendenti… e per ultima, la breda chenegli anni cinquanta ne aveva più di11.000…In un arco che va dal 1980 al 2000 esu una superficie di 11 milioni di m2,sono apparsi a sesto nomi come ca-mozzi, mangiarotti, marcegaglia: me-teore che hanno dato lavoro… ma poihanno abbandonato la scena. oggi, i numeri sono altri: 5260 le im-prese; 5140 hanno meno di 15 unità;6 ne hanno tra 100-1000; soltanto 3superano 1000. E i marchi di spiccoche danno occupazione sono tre mul-tinazionali: abb, general Electric e al-stom. E tutte e tre navigano in acqueincerte.“nei prossimi mesi, rischiamo diavere più di 400 esuberi – spiegamirco rota, segretario fiom cgil –perché abb ne lascerà a casa 150, lageneral 140 e alstom almeno 20 conl’indotto”.dal 5 settembre, infatti, è iniziato unosciopero itinerante del gruppo alstomche oltre a sesto coinvolge gli stabili-menti di Lecco, firenze, savigliano(cn), bologna e bari. E si concluderàa roma il 9 settembre: i lavoratorichiedono-pretendono un piano indu-striale.“Le ultime gare di Trenitalia per 2commesse di 300 + 150 treni da pro-durre nelle sedi alstom – spiegamirco rota – sono state una grossadelusione: all’apertura delle buste,l’offerta alstom era risultata la mi-gliore. però, anziché assegnare l’ordine,Trenitalia ha chiesto un ulteriore ri-basso. morale? La fetta più grossadella torta, quella da 2,5 mld di europer 300 treni, è andata ad altri.

E adesso alstom non sa più se è an-cora il caso di produrre nelle fabbri-che italiane o se convenga puntareall’estero. per sesto san giovanni, siparla di cambiare mission: anzichéprodurre, convertire lo stabilimento in‘service’. E questo ‘dettaglio’, ha allarmato lemaestranze. E si parla non stop diesuberi. chi vince le commesse pub-bliche – chiosa rota – deve garantirela produzione nel nostro paese. Leistituzioni locali e nazionali devono in-

tervenire proprio qui… se vogliono di-fendere l’industria italiana”.Lo scenario di sesto san giovanni la-scia l’amaro in bocca: in poco più dicinquant’anni, la cittadella operosa èsparita. davvero. nel 1963, contava70.000 abitanti e 3 milioni di m2 diarea industriale: la più grande d’Eu-ropa. oggi, è ancora la più grande: lapiù grande area de-industrializzatad’Europa. quella senza un progettodi conversione compiuto.

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il declino industriale di sesto san giovanni

rIsaLE aL 22 dIcEmbrE 1995 L’ULTIma coLaTa dELLE accIaIErIE faLck dI sEsTo san gIovannI. LaprIma Era sTaTa nEL 1906. oTTanTanovE annI dI Un’aTTIvITà chE hanno sEgnaTo Un TErrITorIo

consIdEraTo fIno aI prImI annI oTTanTa roccaforTE dEL Lavoro ITaLIano.

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di Felice roberto pizzuti

si sta parlando molto del “verbaled’intesa” in materia previdenziale fir-mato dal governo e i sindacati, ma ilsuo rilievo effettivo non è tanto neisuoi contenuti – conosciuti da tempoe ancora molto incerti sulle modalitàapplicative – quanto nell’obiettivo po-litico del governo di condividere con isindacati, in prossimità del referen-dum, una decisione di spesa i cui ef-fetti, però, sono avulsi dai nostriproblemi strutturali economici e pre-videnziali.per quanto riguarda la misura più at-tesa, l’anticipo pensionistico (apE), Ilsottosegretario nannicini, che in-sieme al ministro del lavoro poletti hacondotto per il governo le trattativecon il sindacato, ha chiaramentedetto che il provvedimento non alterala logica della riforma fornero i cui ef-fetti deleteri economici, finanziari epolitici sono stati già ampiamente di-mostrati; infatti, esso potrà essere in-teressante solo per le ristrettecategorie di lavoratori “disagiati”(l’ambito esatto è ancora da definire)che verranno esentate dalla restitu-zione del prestito bancario (di questosi tratta)– e dei connessi interessi eoneri assicurativi (fonte di utili certiper gli istituti privati coinvolti) – neces-sario per finanziare l’anticipo del pen-sionamento. I particolari tecnici non sono ancorastati definiti, ma in mancanza di esen-zioni e considerando il minor coeffi-ciente di trasformazione dovuto allaminore età di collocamento a riposo,un pensionato che ha maturato unassegno mensile di 1000 euro netti evolesse anticipare il pensionamentofino al massimo di tre anni e settemesi, potrebbe vederlo ridotto ameno di 700 euro. In ogni caso sitratta di una sperimentazione bien-nale i cui esiti andranno verificati inrapporto alle esigenze del bilanciopubblico e alla loro valutazione daparte di bruxelles. ma sono proprio i

tempi, in questa operazione, ad es-sere cruciali e lo si capisce meglioanalizzando anche le altre misurepreviste dal “pacchetto”; special-mente l’aumento dell’ammontaredella quattordicesima per i 2,2 milionidi pensionati che già la ricevono (me-diamente dovrebbe essere di circa120 euro) e del numero dei suoi frui-tori (aumentando da 750 a 1000 eurodi pensione mensile il limite per bene-ficiarne, sarebbero circa 1,2 milioni inpiù degli attuali e, mediamente, do-vrebbero ricevere un assegno ag-giuntivo di circa 680 euro l’anno). La logica dell’intervento è la stessadei famosi 80 euro al mese dati ai la-voratori con meno di 26.000 euro direddito. quella decisione, influenzata da esi-genze elettoralistiche, come era statoampiamente previsto, non ha incisosulla ripresa economica e ha pesatoconsiderevolmente sul bilancio pub-blico a scapito di altri più efficaci in-terventi.questa volta, in prossimità del refe-rendum costituzionale ad alta valenzapolitica del 4 dicembre, verranno ero-gati assegni aggiuntivi ad un com-plesso di 3,3 milioni di pensionati, macon effetti che saranno scarsamenteefficaci per stimolare l’economia e deltutto incongrui per fronteggiare i pro-blemi strutturali del nostro sistemapensionistico, il quale sta facendomaturare una vera e propria bombasociale: la creazione di una maggio-ranza di pensionati poveri. sarannocoloro – oggi sono giovani o oramaiex-giovani – che adesso stanno spe-rimentando salari bassi e discontinui;di essi tutti dicono di preoccuparsi(magari mettendoli in contrapposi-zione d’interesse con gli anziani), maspesso lo fanno praticando o condivi-dendo scelte economiche e previden-ziali controproducenti. Il loro presenteviene pregiudicato riducendo la pos-sibilità di trovare occupazione con, adesempio, l’improvviso ed elevato au-mento dell’età di pensionamento in-

trodotto dalla legge fornero che nonviene messo in discussione dai prov-vedimenti attuali; il loro futuro vienecompromesso prospettando pensionidel tutto inadeguate. a questo riguardo, nel “verbale d’in-tesa” si prefigura una non ben definita“fase due” nella quale si dovrebbe af-frontare proprio il problema delle con-tribuzioni saltuarie e inadeguate degliattuali lavoratori; ma – paradossal-mente – la sua soluzione viene colle-gata alla riduzione del cuneo fiscaleche implica il taglio dei contributiaziendali al finanziamento delle pen-sioni dei lavoratori e un processo re-distributivo a sfavore di questi ultimi;il quale ci sarebbe anche se la decon-tribuzione a favore delle imprese ve-nisse completamente fiscalizzata. ma con gli attuali problemi e politichedi bilancio pubblico, per ridurre ilcuneo fiscale si rischierà seriamentedi abbassare le prestazioni pensioni-stiche pubbliche (e altrettanto valeper la sanità), magari incentivando ilavoratori a sostenere ulteriori oneri(anche impiegando il tfr ) per procu-rarsi pensioni private sostitutive che,come è noto, oltre ad essere più co-stose e più rischiose, generanoanche un sostanzioso deflusso di ri-sparmio previdenziale nazionaleverso l’estero (circa il 70% di quellogestito dalla previdenza privata, paria circa 100 miliardi di euro). cosicché, dopo aver speso le scarserisorse assegnate all’istruzione deinostri giovani di cui tanto si dice dipreoccuparsi, riducendo le loro pos-sibilità di trovare occupazione in Ita-lia, essi vengono spinti ad impiegarela loro formazione all’estero, dovesono assunti da imprese finanziatedal nostro risparmio previdenziale.cosa può fare di più autolesionista unpaese?

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pensioni: l’accordo governo-sindacati

In prossImITà dEL rEfErEndUm IL govErno ha dEcIso dI condIvIdErE con I sIndacaTI Una dEcIsIonE dI spEsa I cUI EffETTI, pErò, sono avULsI daI nosTrI probLEmI sTrUTTUraLI

EconomIcI E prEvIdEnzIaLI

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di vincenzo comito*

ma si è trattato, per altro verso, sol-tanto dell’ultimo episodio di una lungaserie di incontri che hanno portatoagli stessi inconcludenti risultati. nonmancavano certo i problemi moltoseri che dovevano essere affrontati,ma i nostri rappresentanti hanno pre-ferito parlare d’altro. Eppure primadella riunione di bratislava Jean-claude Juncker aveva dichiarato chel’Europa attraversa una crisi esisten-ziale e le dichiarazioni della merkel(“l’Europa è in una situazione critica”)non sembravano molto diverse.In un certo senso, i governanti euro-pei fanno pensare da tempo alle con-clusioni di un testo relativamenterecente di uno storico inglese, vo-lume che, nonostante la sua mole –è lungo circa 700 pagine-, ha avutoun rilevante successo in libreria invari paesi. si tratta de I sonnambuli dichristopher clark, pubblicato nel2014. Esso ricostruisce le vicendeche ruotano intorno alla prima guerramondiale e mostra come i potenti diallora erano, appunto, come dei son-nambuli, che si occupavano di cosedel tutto triviali, senza riuscire a ve-dere, meno che mai ad evitare, l’or-rore che essi stessi stavano perportare al mondo. nessuno si ac-corse in particolare che stava perscoppiare una guerra devastante enessuno fece sostanzialmente alcun-ché per fermarla.per altro verso, un grande intellet-tuale, nato nel 1881 a vienna, che hasoprattutto operato tra le due guerre,stefan zweig, ricorda nelle sue me-morie come sotto la superficie, chenei primi anni del novecento apparivamolto serena, la nostra Europa era inrealtà piena di correnti sotterraneeminacciose. Egli ha visto un conti-nente, dove la vita era prima piace-vole, affondare rapidamente duevolte, con la prima guerra mondiale econ l’avvento del regime nazista (fra-chon, 2016). potremmo aggiungere,ad abundantiam, anche la crisi eco-nomica del 1929.minacciose correnti sotterranee sem-brano di nuovo percorrere di questitempi il nostro continente. Esse

hanno la faccia di orban, di kaczin-sky, di Le pen, di salvini, dell’olan-dese Wilders. Essi portano avanti glislogan di valori e identità nazionali,malmenano le libertà pubbliche, o mi-nacciano di farlo, vogliono reintro-durre la pena di morte, ecc.,preparando così il terreno a un qua-dro piuttosto spiacevole (frachon,2016). ma dietro questa agitazione cisono certamente dei problemi non ri-solti.In tale quadro, l’economia non sem-bra avere giorni particolarmente felicidavanti a se. come è ormai ampia-mente chiaro, gli esperimenti di poli-tica monetaria accomodante portatiavanti dalla bcE non sembrano averdato grandi frutti, anche se forse essihanno aiutato a evitare il peggio, inparticolare per quanto riguarda la si-tuazione dei paesi del sud Europa ele prospettive dell’Unione. nella so-stanza, essi non hanno in particolareprodotto l’attesa espansione della do-manda aggregata. La grande liquiditàimmessa sul mercato con le opera-zioni di quantitative easing è rimastanelle mani di banche e di speculatori.ma l’azione degli istituti di emissioneera in ogni caso anche giustificatadalla volontà di dare tempo ai governiper agire utilizzando la leva fiscale.ma il tempo passa e da quel lato nonsuccede niente.certamente la richiesta di un ritornoalle politiche fiscali e all’ipotesi di unaumento degli investimenti pubblici inoccidente, in particolare da parte dipaesi come la germania e gli statiUniti, si fa comunque abbastanzasentire negli ultimi tempi da diversefonti.spingono ora in tale direzione, conun’unanimità piuttosto insolita, ilfondo monetario Internazionale,l’ocse, la stessa recente riunione delg20 (petit, 2016); si sottolineano, tral’altro, gli effetti moltiplicatori elevati el’influenza favorevole sulla crescitaeconomica di certi investimenti pub-blici. L’indicazione appare sulla cartacertamente condivisibile, ma quale èla probabilità che un tale tipo di poli-tica sia applicata presto di qua e di ladell’atlantico? nonostante le esorta-zioni, in effetti solo il giappone pre-

vede per il 2017 il ricorso a tale arma:ma sappiamo quanto la situazionedel paese sia disperata, almeno a li-vello di crescita economica. neglistati Uniti ambedue i candidati allapresidenza promettono un aumentodegli investimenti, ma in realtà chiun-que vinca si dovrà poi misurare conun congresso presumibilmenteostile, come per il passato; è abba-stanza facile prevedere che non sene farà niente (petit, 2016).nella zona euro non c’è comunquead oggi segno della volontà di cam-biare politica. se forse il sentimentoprevalente e la riflessione sono cam-biati, la pratica resta quella di sempre(petit, 2016) ed essa ha il volto dellamerkel e del suo scudiero schauble.come abbiamo già indicato nel pre-cedente articolo, W. munchau, dallecolonne del financial Times, ritieneche solo un’altra crisi potrebbe riu-scire a mettere con le spalle al muroi sonnambuli. ma, secondo noi, forseneanche quella.anche draghi, in un agitato incontrocon i parlamentari tedeschi della finedi settembre, ha ricordato per l’enne-sima volta la necessità di fare di piùper la crescita in Europa.ma, nello stesso incontro, egli si è in-vece dovuto difendere dalle accuse dimolti parlamentari che lo ritenevano,con la sua politica di bassi tassi di in-teresse, responsabile almeno in partedelle attuali difficoltà delle banche te-desche, deutsche e commerzbank inprimis (shotter, 2016).non sembra essere valsa a molto l’af-fermazione dell’italiano che i problemidi tali istituti derivavano invece proba-bilmente dal loro modello sbagliato disviluppo (ha evitato di ricordare loro,per buona educazione, lo scandaloamericano della deutsche, che co-sterà alla banca almeno 5 miliardi didollari –se non molto di più- di pena-lità, né quelli precedenti, negli statiUniti ed altrove), né l’aver sottolineatoche con la politica dei bassi tassi diinteresse la germania ha risparmiatoin questi anni circa 30 miliardi di eurodi minori costi.

*da Sbilanciamoci.info

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i sonnamBuli europeiIL vErTIcE dI braTIsLava dEI capI dI sTaTo E dI govErno è sTaTo dEL TUTTo InUTILE rIspETTo

aLLa possIbILITà dI porTarE avanTI In qUaLchE modo IL progETTo EUropEo, o anchE dI saLva-gUardarnE aLcUnE dELLE fondamEnTa

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lavoro21settimanale

di Francesco postorino

Da Gramsci al Pd. Cosa è andatostorto?

non mi sembra che ci sia un terminedi paragone. sarebbe come compa-rare un gatto in carne e ossa a ungatto di peluche; si tratta figurativa-mente dello stesso animale, ma solouno dei due è un gatto. La ricercadelle complesse ragioni e concauseper cui dalla tradizione che si ispiravaa gramsci si è passati a quella che siispira a steve Jobs richiederebbe benaltro impegno. quel che mi sento di dire per rispon-dere in maniera sintetica alla sua do-manda e prendendo spunto dagramsci, è che la cultura della classeche gestisce la produzione della ric-chezza (oggi non diremmo più che«possiede i mezzi di produzione» inquanto il capitalismo delle corpora-tions rende molti, anche lei e me, par-tecipi in qualche modo alla suaimpresa) ha vinto la battaglia cultu-rale rendendo i molti convinti chequella sia una vittoria meritata, fruttodi duro lavoro e della «scommessasul futuro», come ama ripetere mat-teo renzi. Un amministratore delegato meritaquel che guadagna come un precariomerita il voucher (la logica del «me-rito», che da qualche anno ci imbotti-sce le orecchie e che ha imbottito lamente dei giovani e giovanissimi iquali sono tenuti all’oscuro del fattoassai banale che il merito perché siameritato deve poter contare su unaeffettiva uguaglianza di condizioni). se il capitalismo padronale generavaimmediata reazione perché visibile efisicamente individuabile e inoltre de-stava rabbia in quanto non vi eraalcun merito nell’essere per casonato nella famiglia agnelli o pirelli, ilcapitalismo delle società per azioni edegli amministratori delegati ha diluitola fisicità del possesso e legittimato ildiscorso del merito. oggi è la ric-chezza, il godimento di condizioni pri-

vilegiate di vita, che fa la differenza diclasse. E i detentori di ricchezza, con-trariamente ai padroni di un tempo,non destano invidia ma ammirazione,non odio di classe ma invito all’emu-lazione: tutti vorremmo essere comesteve Jobs, e soprattutto tutti potreb-bero essere come lui (mentre sa-rebbe stato assai difficile poterpensare di diventare come agnelli).Il pd a guida renzi rispecchia al me-glio questo mutamento di prospettivae di cultura morale egemonica. É ilpartito che meglio rappresenta il mes-saggio del «fare fortuna», un mes-saggio che ha poco a che vedere conla sinistra. Il pd è il partito del suc-cesso individuale, del «rimboccati lemaniche e vedrai che creerai il tuo fu-turo». basta recarsi a una delle suefeste per vedere questo nuovo mes-saggio in azione: lo slogan che cir-cola è «Il futuro ci unisce». Uno slogan del tutto retorico; unavolta dismesso il futuro determinatoda una filosofia della storia, una voltache il futuro è quello che è, ovverosconosciuto a tutti noi, come puòunirci? a meno che il futuro non sia lamorte (che certamente unisce tutti),esso ci divide in quanto ciascunosegue il proprio e non c’è nessunacertezza che il mio e il tuo collimino.molto probabile anzi che confliggano.non voglio credere che il pd vogliapromettere incertezza. quindi penso che adottando quelloslogan esso rappresenti al meglio sestesso come partito che si incarica aconvincere le giovani generazioni chedevono scommettere sul futuro. nes-suna visione politica e nessuna cul-tura politica, salvo, appunto,l’indicazione a seguire al meglio le re-gole del mercato e quindi che cia-scuno faccia del proprio meglio peracchiappare il futuro.

Lo studioso marxista Jean-ClaudeMichéa sostiene che la sinistra ha ab-bandonato gli operai e il conflitto diclasse per inseguire le offerte vincentidel modello capitalista. Quali devono

essere le battaglie politiche e culturalidel liberal contemporaneo?

In parte ho delucidato questa trasfor-mazione in una precedente risposta.Le battaglie sui diritti sono senza dub-bio al centro della cultura politica libe-ral, ma dobbiamo essere consapevoliche i diritti civili dissociano, atomiz-zano, individualizzano, non creanopopolo e non creano movimenti poli-tici. creano “issue movements”, mo-vimenti che servono a sollevare unproblema e stimolarne la risoluzione.sarebbe quindi desiderabile che lalotta per i diritti acquisti un senso po-litico forte, ovvero di “riconquista” delpotere dei cittadini. sarebbe deside-rabile che la lotta per i diritti si traducain lotta contro la loro decurtazione difatto e la loro formalizzazione. si vota al referendum per l’acquapubblica e si scopre che il diritto didecidere è solo formale: il referen-dum non ha effetto, e il voto è futile.penso dunque che alla lotta per i di-ritti civili occorra affiancare la lotta peri diritti politici: per riconquistarli, ap-punto. senza diritti politici solidi nem-meno i diritti civili sono sicuri. Il dirittodi voto è reso futile da una meccanicadella rappresentanza che è fatta dipartiti che occupano le istituzioni enon hanno alcuna intenzione di sot-tomettersi al verdetto o alla scelta deicittadini. É questo che va riconqui-stato: il potere politico. La democrazia deve riconquistare sestessa. atterrare i “partiti cartello” edar vita a nuovi partiti o modificare gliesistenti, con regole, istituzioni eforme partecipative che restituiscanoil diritto di voto ai sovrani, cioè ai cit-tadini. dobbiamo essere capaci difare questo.

Fra un po’ gli italiani dovranno confer-mare o respingere la riforma costitu-zionale. “Libertà e giustizia” comeintende muoversi in vista del pros-simo appuntamento referendario?

In coerenza con quel che ho detto

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“Fermare la renzi-Boschi”InTErvIsTa a nadIa UrbInaTI*. parLa La prEsIdEnTE dI “LIbErTà E gIUsTIzIa”: “La rEnzI-boschI è

Una caTTIva proposTa, maL faTTa sapEndo dI EssErLo. rIspondE a Un crITErIo dIrIgIsTIco chELImITa IL poTErE dEI cITTadInI, sacrIfIcando La poLITIca pEr L’ammInIsTrazIonE”. rEnzI? “ha

pErfEzIonaTo La dEmocrazIa pLEbIscITarIa dI bErLUsconI E IL pd ha ormaI poco a chE vEdErEcon La sInIsTra”.

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lavoro21settimanalesopra, penso sia fondamentale chequesta revisione della costituzionenon passi. ci sono varie forme di noe varie ragioni per dire no. La nostra costituzione non è immodi-ficabile e necessita di cambiamenti,credo di parlare per “Libertà e giusti-zia” che condivide il discorso avviatoanni fa da gustavo zagrebelsky. ma la revisione proposta dalla renzi-boschi risponde a un criterio dirigi-stico che limita il potere dei cittadini emette le istituzioni rappresentative suun gradino inferiore rispetto al poteredi un organo delegato come il go-verno. La logica di questa revisione èquella di adattare il governo dellacosa pubblica alla logica di un consi-glio di amministrazione; di sacrificaredunque la politica per l’amministra-zione, la deliberazione per la deci-sione. In aggiunta, è un testo mal fatto e inalcune parti (come l’art. 70) superfi-ciale e illeggibile; nella forma, similea un regolamento aziendale che habisogno di esperti per la compren-sione; uno stile che non appartiene aun testo costituzionale il quale do-vrebbe andare − ci dicono i padri fon-datori − quasi a memoria e diventarelinguaggio ordinario. sfido chiunquea mandare a memoria l’art. 70 e sfidogli estensori della revisione a riassu-merlo con le loro parole. É così malfatto che perfino i sostenitori del sì di-cono apertamente che non è un buontesto; motivano il sì, dicendo: «me-glio questo che nulla!». si tratta di unargomento illogico. se non avessimoun tetto sulla testa anche un tetto dipaglia sarebbe utile per ripararci; maabbiamo un tetto consistente e solidoe non si capisce perché dovremmopreferire ad esso un ricovero di pa-glia. Il meno peggio ha senso quandonon vi è nulla o quando quel che c’èè guasto e pericoloso o disfunzionale.ma questo non è il nostro caso.

La ministra Boschi invita a votare Sìanche per una maggiore garanziacontro le nuove forme di terrorismo.

Un assurdo che ha pochi eguali! que-sta repubblica democratica e parla-mentare ha egregiamente difeso ilnostro paese dal terrorismo. dire chesenza un premier che sta sopra leistituzioni rappresentative e si avvaledi una maggioranza granitica non cisia sicurezza ed efficienza è un argo-

mento retorico per gli allocchi, tinto dauna profondo scetticismo verso le isti-tuzioni democratiche e dal desideriodi avere un leader solitario e dellaprovvidenza (un topos della categoriadella “seconda repubblica” che si èmanifestato fin dal suo timido appa-rire alla fine degli anni ’50). Infine, i sostenitori del sì usano l’ar-gomento economico, forse il più vol-gare degli argomenti che sono riuscitia sfoderare: dicono che la costitu-zione esistente grava sulle cassedello stato mentre la nuova ci fa-rebbe risparmiare; eppure, nessunoci garantisce che i pochi soldi rispar-miati (in teoria) con il nuovo senatonon verranno impiegati per alimen-tare i bisogni dei nuovi senatori (ac-cumulatori di incarichi e mentalmentepredisposti ad accrescere le loro ri-chieste). L’argomento del risparmio nella ge-

stione delle istituzioni democratiche èantidemocratico nello spirito in primoluogo perché presume che gli incari-chi elettivi siano inutili e improduttivi,e inoltre perché valuta la legittimitàdemocratica con un criterio quantita-tivo ed economico. per tutte questeragioni, a mio avviso, si deve votareno per un sì ragionevole e più quali-ficato. si deve fermare la renzi-bo-schi. É una cattiva proposta, mal fattasapendo di esserlo.

* Nadia Urbinati insegna Scienze politiche

alla Columbia University. Ha in attivo

molte pubblicazioni, scrive su Repubblica

e da quest’anno è Presidente di “Libertà

e giustizia”.

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lavoro21settimanale

di vijay prashad*

I capi sindacali sono reticenti nell’an-nunciare quante persone hanno inter-rotto il lavoro il 2 settembre 2016.semplicemente non possono dare unnumero preciso. ma possono dire chelo sciopero – il 17° da quando l’Indiaha adottato la nuova politica econo-mica nel 1991 [la liberalizzazionedella precedente economia “mista”postcoloniale ndT] – è stato il piùgrande di sempre. I monopoli infor-mativi – non amanti degli scioperi –hanno riportato che il numero di scio-peranti era superiore ai 150 milionistimati. Un certo numero di giornaliha suggerito che 180 milioni di lavo-ratori hanno lasciato il lavoro quelgiorno, quindi questo sarebbe il piùgrande sciopero generale della storia.ciononostante, non ha ricevuto moltaattenzione dai mezzi di informazione.poche prime pagine, ancora menoimmagini di cortei al di fuori delle fab-briche silenziose, delle banche dellepiantagioni di the e delle stazioni deibus. La sensibilità dei singoli giorna-listi riesce raramente a rompere il

muro di cinismo costruito dai proprie-tari della stampa e della cultura cheessi vorrebbero creare. per loro lelotte dei lavoratori sono un inconve-niente della vita quotidiana.per i monopoli informativi è molto me-glio dipingere uno sciopero come undisturbo, come un brusio fastidiosoper una cittadinanza che sembra vi-vere altrove rispetto ai lavoratori. è ilfastidio dei ceti medi che descrive lacopertura di uno sciopero, non i temiche spingono i lavoratori a intrapren-dere questa difficile e sentita azione.Lo sciopero è trattato come una cosaarcaica, come un residuo di un altrotempo. non è visto come un mezzonecessario per i lavoratori per darevoce alle proprie frustrazioni e alleproprie speranze. Le bandiere rosse,gli slogan, e i discorsi – questi sonodipinte con imbarazzo. è come se to-glierli alla vista li facesse in qualchemodo sparire.Un’importante società internazionaledi consulenza ha riportato – alcunianni fa – che 680 milioni di indiani vi-vono nella miseria. queste persone –la metà della popolazione indiana –

sono private di elementi basilari pervivere come cibo, energia, abita-zione, acqua potabile, sanità, educa-zione e sicurezza sociale. La maggiorparte dei lavoratori indiani e dei con-tadini fanno parte di questi. Il 90% deilavoratori indiani è nel settore infor-male, dove le protezioni sul luogo dilavoro sono minime e il loro diritto sin-dacale è virtualmente inesistente.questi lavoratori non sono marginaliper i progetti di crescita indiani. nel2002 la commissione nazionale peril Lavoro scoprì che “la prima fonte dilavoro futuro per gli indiani sarebbestato il settore informale”, che pro-duce già oltre la metà del pil. Il futurodel lavoro è quindi quello informalecon diritti occasionali concessi perprevenire grottesche violazioni delladignità umana. La speranza per il la-voratore indiano semplicemente nonfa parte dell’agenda di distribuzioneattuale in India.Il primo ministro narendra modi, cheancora una volta è fuggito verso il suoinfinito giro del mondo, non ha datoalcun ascolto a questi lavoratori. Ilsuo obiettivo è quello di aumentare il

l’india sta Facendo la storia del movimento dei lavoratori con il più

grande sciopero generale del mondo150 mILIonI dI LavoraTorI hanno LascIaTo IL Lavoro, ma I mEdIa conTInUano a IgnorarLo.

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lavoro21settimanaletasso di crescita indiano, cosa chepuò essere ottenuta – giudicando dal-l’esempio di quando era primo mini-stro dello stato del gujarat – da unatteggiamento da cannibale verso idiritti dei lavoratori e verso la soprav-vivenza dei poveri. svendita di patri-monio pubblico, contratti fortementevantaggiosi per le imprese private eapertura delle porte dell’economia in-diana agli investimenti esteri sono imeccanismi per aumentare il tasso dicrescita. nessuna di queste strategie,come riconosce lo stesso fmI, por-terà all’uguaglianza sociale. questatraiettoria di crescita porta a unamaggiore diseguaglianza, a menopotere per i lavoratori e a più miseria.solo il 4% della forza lavoro indianaappartiene a un sindacato. se i sin-dacati avessero semplicemente di-feso i pochi diritti di questi, il loropotere si sarebbe eroso ulterior-mente. Il potere del sindacato è statofortemente indebolito dalle liberaliz-zazioni dell’economia indiana del1991, con i giudizi della corte su-prema contro la democrazia sinda-cale e con la catena globale dellematerie prime che aizza i lavoratoriindiani contro i lavoratori del resto delmondo. va grandemente riconosciutoil merito dei sindacati indiani chehanno sostenuto – con ritmi diversi –le condizioni di lavoro e di vita dei la-voratori e dei contadini nel settore in-formale. Il potere che resta aisindacati può solo crescere se fa-ranno quello che stanno facendo –cioè volgersi verso l’immensa massadi lavoratori e contadini informali eportarli dentro la cultura sindacale edella lotta di classe.La lotta di classe non è un’invenzionedei sindacati o dei lavoratori. è unarealtà della vita per il lavoro in un si-stema capitalista. Il capitalista, cheacquista la forza lavoro dei lavoratori,cerca di rendere quella forza lavoropiù efficiente e più produttiva possi-bile. Il capitalista trattiene i guadagnidi questa produttività, abbandonandodurante la notte il lavoratore al pro-prio bassofondo per cercare l’energiaper tornare il giorno dopo. è questapressione per essere più produttivo eper donare i guadagni della propriaproduttività al capitalista che rappre-senta l’essenza della lotta di classe.quando il lavoratore vuole una quotamaggiore del prodotto, il capitalistanon lo ascolta. è lo sciopero – un’in-

venzione del 19° secolo – che dà ailavoratori la voce per entrare nelloscontro di classe in maniera co-sciente.In India, il primo sciopero avvenne nel1862, quando i lavoratori delle ferro-vie della stazione di howrah railwaysi fermarono per il diritto alla giornatalavorativa di 8 ore. gli inconvenientiche lo sciopero produce per il cetomedio deve essere soppesato controgli “inconvenienti” quotidiani che i la-voratori sopportano quando la propriaproduttività extra è confiscata dai ca-pitalisti. questi lavoratori del 1862non volevano un interminabile turnodi 10 ore che esauriva le loro vite. Illoro sciopero permise loro di dire: noinon lavoreremo più di 8 ore. I criticidello sciopero sicuramente dirannoche ci sono altri modi per farsi sentire.nessun altro modo è stato lasciato allavoratore, che non ha né il poterepolitico per fare pressione, né il po-tere economico per dominare i mezzidi comunicazione. è silente, tranneche per queste feste della classe la-voratrice.I lavoratori dello stato natale di na-rendra modi, il gujarat, si sono unitiallo sciopero con grande entusiasmo.compresi oltre 70000 lavoratori degliasili e delle mense, così come i por-tuali in bhavnagar. I lavoratori del tes-sile in Tamil nadu, e i lavoratori delleindustrie automobilistiche in karna-taka hanno chiuso le serrande. gliimpiegati di banche ed assicurazionisi sono uniti ai lavoratori delle centralidell’energia e ai minatori, mentre i la-voratori dei trasporti in tutto il paesehanno deciso di restare fuori dai pro-pri autobus e dai depositi. I sindacaticomunisti si sono uniti agli altri sinda-cati per assicurare la più ampia mo-bilitazione dei lavoratori.

ciascuna sezione sindacale aveva leproprie rivendicazioni, le proprie pre-occupazioni e frustrazioni. ma gliampi tempi che hanno unito milioni dilavoratori vertevano sulla domanda didemocrazia sui luoghi di lavoro, la ri-chiesta di una quota maggiore di ric-chezza sociale e la richiesta di unacampagna meno inquinata. I lavora-tori – attraverso i propri sindacati –hanno portato i propri 12 punti al go-verno, che li ha ignorati. all’ultimo mi-nuto, quando si capiva che losciopero sarebbe stato forte, il go-verno ha tentato di fare piccole con-cessioni. non è stato sufficiente. harappresentato, come hanno detto isindacati, un insulto. non c’è nes-suna aspettativa che lo sciopero dasolo porti a maggiori concessioni daparte del governo. dopotutto, l’annoscorso 150 milioni di lavoratori sce-sero in sciopero e il governo non sismosse dalle proprie politiche controi lavoratori. al contrario, il governo dinarendra modi ha approfondito il pro-prio impegno nella “riforma del mer-cato del lavoro” - cioè per estirpare isindacati e per rafforzare il diritto di li-cenziare a piacimento.quello che lo sciopero dice è che i la-voratori indiani restano pronti per lalotta di classe. non si sono arresi alla“realtà”. nel 1991, quando il governodecise di aprire l’economia ai turbo-lenti interessi del capitale globale, i la-voratori si ribellarono. nell’agosto del1992 i lavoratori tessili di bombayscesero in strada in mutande – dis-sero che il nuovo ordine li avrebbe la-sciati in estrema povertà. quel gestosimbolico è l’attuale realtà.

* Professore al Trinity College di Lon-dra; da alternet.org. Traduzione di Lo-renzo Battisti (per Marx21.it).

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