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equilibra edizioni

MASSIMO FRANCESCHETTI

LAVORARE IN GRUPPO

Elementi di base

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PRESENTAZIONE

I testi qui presentati riguardano i temi della comunicazione e della collaborazione. Hanno lo scopo di condividere quanto ho appreso attraverso la mia esperienza personale, gli studi e le lezioni tenute in aziende, istituzioni o scuole. Essi vogliono essere di stimolo alla riflessione e all’azione per coloro che vogliono migliorare il proprio comportamento nelle relazioni interpersonali. Non vogliono esaurire l’argomento, né sostituire la lezione. Alla fine viene dato qualche riferimento per orientarsi. Tutto quanto qui scritto è frutto di letture di altri autori rielaborate personalmente. Scrivo per far riflettere non per dimostrare, anche quando il testo, per motivi di sintesi, assume un tono perentorio o apodittico. Questi testi non sono definitivi. Sono uno strumento provvisorio e limitato per aiutare me stesso, innanzitutto, e poi gli altri a riflettere sulle nostre relazioni personali.

I testi non hanno subito un lavoro di editing particolare e quindi possono presentare errori. Sarei molto grato se li segnalaste. Per qualsiasi altro commento o suggerimento scrivere a: [email protected]

I testi sono di proprietà dell’autore, Massimo Franceschetti, che si assume la responsabilità di quanto scritto. Essi non sono utilizzabili, da terzi, per nessun fine commerciale.

Creative Commons

! Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate CC BY-NC-ND

In copertina: Pietro Longhi, Caccia all’anatra, (1760).

Edizioni Equilibra marzo 2018

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INDICE

Premessa 5

Le dimensioni di un team 7

Obiettivo del gruppo 8 Organizzazione e azioni 9 Relazioni e clima nel gruppo 9

Prendersi cura del gruppo 11

La comunicazione degli obiettivi di un team 11 La cura dell’organizzare un team 13 Curare la decisione 14 Curare la verifica 16 Curare le relazioni in un gruppo 16

Riferimenti bibliografici 19

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Ritornerà il Messia. E sarà sotto forma di gruppo. Jacob Moreno

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�Lavorare in gruppo

Premessa

Gli esseri umani nascono, crescono, operano e muoiono in gruppo. Siamo animali sociali. Perciò facciamo parte di gruppi di vario tipo: dalla famiglia alla classe, dal team di lavoro alla comunità di pratica, dalla comitiva alla squadra. Ogni gruppo ha le sue regole scritte e non. Ogni gruppo ha la sua storia e cultura, le sue abitudini, difficoltà e potenzialità. Il gruppo è un essere vivente composto da tanti altri esseri viventi. Come tutti gli esseri viventi è sensibile a determinate condizioni, ha bisogno di nutrimento, è fragile e può essere ferito. I gruppi evolvono, nascono, crescono, raggiungono risultati, falliscono e poi possono sciogliersi, che è il loro modo di morire. Il gruppo ha bisogno dunque di cure, attenzioni, dedizione e formazione.

Il sapere necessario a vivere (bene) in gruppo non è qualcosa che si acquisisce in modo naturale, anche se naturale è il bisogno di farlo. Vivere in gruppo, saper vivere in un gruppo, è qualcosa che si apprende. Tanto più in condizioni sociali come le nostre che non solo sono molto cambiate rispetto al passato, ma che inducono alla partecipazione a gruppi diversi in modo forzato e allargato. Oggi, una persona “normale” non fa che passare da un gruppo ad un altro, spesso assumendo ruoli e incarichi molto diversi tra loro. Può passare da esser figlio a essere genitore, da essere colui che conduce a colui che è condotto, da punto di riferimento a parte di un gruppo di pari. Può avere un certo potere in un gruppo e nessuno in un altro e così via. La vita di gruppo è diventata molto più articolata, variegata e complessa in una o due generazioni. Tutto questo richiede competenze, abilità, conoscenze nuove. Non basta più ciò che le persone hanno imparato naturalmente nello stare insieme e in gruppi organizzati e strutturati. Le conoscenze di come funzionano i gruppi, di cosa li favorisce nella loro efficenza, come comportarsi nei vari ruoli definiti, sono da aggiornare e accrescere.

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Questo breve testo non vuole assolutamente esaurire il tema, semmai fosse possibile. Vuole solo offrire alcune nozioni di base, molto di base, semplici e circoscritte, per far riflettere su cosa c’è da imparare nello stare in un gruppo. In tanti anni di lavoro non ho trovato, se non raramente, competenze adeguate sul lavoro di gruppo. In genere le persone non si pongono nemmeno la questione di dover imparare qualcosa. È significativo che quando chiedo ad un gruppo perché vanno d’accordo, come mai il gruppo funziona, le persone non sanno rispondere. Adducono motivazioni vaghe come il feeling, ossia il fatto che i vari caratteri sono riusciti ad amalgamarsi senza un vero e proprio perché. Anche il caso, quindi gioca un ruolo in queste pseudo-spiegazioni. Se chiedo invece perché non vanno d’accordo e il gruppo non funziona, la risposta è perché le persone sono troppo diverse, oppure c’è qualcuno che ha un carattere che impedisce agli altri di andarci d’accordo. Implicitamente stanno asserendo che se mandassimo via quella persona il gruppo andrebbe a gonfie vele. Può essere. Ma non credo che sia automatico. Le ragioni per cui un gruppo funziona o no attengono molto meno di quanto si pensi al carattere delle persone. Le ragioni appartengono di molto di più alla tre sfere qui presentate. E soprattutto attengono ad una sostanziale ignoranza delle persone rispetto a ciò che fanno di appropriato o no rispetto alle dinamiche di gruppo. Purtroppo non conoscendole le persone poi non sono in grado né di vederle, né di gestirle. Per questo è molto importante imparare cosa significa vivere e lavorare in un gruppo. Non solo per risolvere i problemi, ma almeno per vederli.

Sono felice di dire che sono sempre di più i manager che affrontano le questioni lavorative anche guardando alle dinamiche di gruppo, non focalizzando su questa o quella persona. La coscienza che la dimensione “gruppo” sia da sviluppare e quindi, innanzitutto, conoscere, è, mi pare, almeno dal mio punto di osservazione, in crescita.

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Il testo offre in modo schematico una riflessione sulle tre dimensioni attraverso le quali è possibile “leggere” la vita di un gruppo. Si prende come riferimento un gruppo all’interno di un’azienda, dunque un gruppo che deve svolgere un compito in un’azienda. Il presente testo raggiunge il suo scopo se, dopo averlo letto, vi viene voglia di saperne di più.

Le dimensioni di un team

Un team di persone può essere osservato tenendo conto di tre dimensioni essenziali: obiettivi (e valori), organizzazione (e azioni), relazioni (clima). In altre parole, un team o un gruppo (useremo questi due nomi come sinonimi, anche se non lo sono) si pone un obiettivo, si organizza per raggiungerlo e gestisce il bisogno di riconoscimento, rispetto, attenzione delle persone. Possiamo provare a sintetizzare questo nello schema seguente:

Obiettivo del gruppo: Perché facciamo quello che stiamo facendo?

Organizzazione e azioni: Chi fa cosa entro quando e perché?

Relazioni, clima nel gruppo: Come favorisco il clima migliore tra le persone in modo che siamo motivate a stare nel gruppo?

I membri di un gruppo di lavoro sono, in genere, anche se non sempre, organizzati in due funzioni: la leadership e la followership. La persona leader ha un ruolo specifico di conduzione del gruppo, mentre i follower partecipano all’attività del gruppo in forme diverse. Al team leader (sotto questo nome comprendiamo: coordinatore, portavoce, capo o leader),

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spetta il presidio dei tre livelli di cui sopra. Ciò non toglie che tutto il gruppo è chiamato alla conoscenza e al rispetto delle tre dimensioni. Le problematiche di un gruppo di lavoro sono quasi sempre la poca chiarezza di questi livelli. Vediamoli, in sintesi, da vicino.

Obiettivo del gruppo

L'obiettivo è l'aspetto centrale del gruppo, la sua anima. È importante monitorare costantemente, tra i membri del gruppo, se continua ad essere chiaro (e il medesimo) l'obiettivo definito all’inizio. È molto importante definire in modo quanto più oggettivo (scritto) e chiaro (esteso) l'obiettivo che il gruppo persegue, nonché tutti i sotto-obiettivi connessi. Tenere presente che ognuno può vedere lo scopo in modo diverso. Entro certi limiti si può (è inevitabile) accettare le differenze. Se le differenze sono troppo ampie e conducono a comportamenti che ledono il gruppo, occorre prenderne atto e distinguere il tutto. Le persone che non aderiscono a quello scopo devono poter essere allontanate dal gruppo. Siccome spesso non è possibile farlo, occorre tenerlo presente e affrontarlo in modi diversi (grande necessità di essere creativi!). Monitorare, inoltre, i valori o i criteri attraverso i quali raggiungere l'obiettivo. Per ogni azienda, la dimensione dei valori è essenziale. Ma così come l'obiettivo può essere travisato, anche i valori possono esser interpretati in modo soggettivo e sensibilmente diverso da una persona a persona. È importante confrontarsi con una certa regolarità su questi due aspetti: "Perché facciamo quello che stiamo facendo?" e "Quali sono i valori per noi importanti e come possiamo metterli meglio in pratica?".

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Organizzazione e azioni

Il coordinatore del gruppo, insieme agli interessati, dovrebbe definire in modo diretto, semplice e concreto: chi fa cosa, entro quando e perché. È molto importante, come nel caso degli obiettivi, monitorare e verificare se, nel tempo, la persona sta svolgendo la propria mansione oppure no e comprenderne il perché. Qui è essenziale avere colloqui di feedback continui. Colloqui periodici più mirati e colloqui di valutazione complessiva, più a lungo termine. È importante ascoltare le esigenze di ciascuno, i desideri ed è anche importante scambiare giudizi e valutazioni sull’andamento del lavoro da parte di tutti. È utile, poi, definire o ridefinire i ruoli, in modo tale che la persona giusta si trovi al posto giusto (entro certi limiti, non ci sarà mai la perfezione).

È molto importante, in questa dimensione, fare incontri mirati, rapidi e sistematici sulla verifica continua dell’andamento del lavoro. Fa parte di quest'ambito, quindi, anche l'organizzazione degli incontri. Le riunioni sono un momento molto importante e delicato del lavoro di gruppo, spesso sottovalutato. Delimitare i motivi dell'incontro, focalizzare su aspetti concreti, mantenere un clima aperto e caldo sono aspetti essenziali per procedere in modo efficace nel lavoro e generare un po' di soddisfazione tra le persone, mentre lavorano.

Relazioni e clima nel gruppo

Rispetto e affettività sono componenti decisive perché un gruppo diventi un team. L’affettività può non essere la base di un gruppo di lavoro, ma ne è comunque una componente importante da curare attraverso micro comportamenti nelle attività quotidiane. È essenziale mandare un messaggio di fiducia e di stima anche quando non si è d'accordo o si è a disagio per qualche comportamento inadeguato. La dimensione informale ed emotiva nel lavoro di gruppo riveste un’importanza decisiva. È importante che il gruppo di lavoro sia anche un luogo rispettoso, accogliente e, se è possibile, divertente. Ciò non

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significa che non ci siano momenti di scambio anche duri o dei conflitti. È importante che il gruppo abbia la forza e le abilità adeguate per gestire in modo costruttivo anche queste situazioni. Inoltre, il gruppo non dovrebbe avere solo lavoro da svolgere, ma dovrebbe avere momenti in cui le persone si possano conoscere al di fuori del loro ruolo e possano conoscersi e parlarsi alla pari.

In un gruppo, per mantenere un buon clima tra le persone, è necessario chiarire, mano a mano che si presentano i problemi, le regole che il gruppo si deve dare. In modo più o meno implicito si pensa che se s’interviene con le regole il gruppo si “raffreddi”, perda il suo slancio vitale. Chiaramente una struttura molto ridigida può non essere d’aiuto, ma in Italia non c’è pericolo di avere strutture così vincolanti. Spesso, almeno nella mia esperienza, i problemi nascono perché le regole non sono chiare, non sono rispettate o fatte rispettare da chi di dovere. Questo in genere complica le cose non le semplifica. E alla fine scontenta tutti. In realtà se si vuole favorire un gruppo di lavoro efficace e sereno, occorre definire bene delle regole e rispettarle (o farle rispettare).

L’affettività non è qualcosa che sorge dal nulla e rimane stabile per sempre, ma è il risultato di azioni e contesti. Per questo chiarezza di obiettivi e di azioni, regole chiare e rispettate promuovono l’affettività, non la limitano. Le regole fanno affetto!

In ognuna delle tre dimensioni sopra svolge un ruolo decisivo la comunicazione. La comunicazione è la dimensione trasversale ed essenziale che attraversa e sorregge il gruppo: è il suo architrave. Per ognuna delle tre dimensioni si possono quindi sviluppare alcuni comportamenti virtuosi che aiutano il team a lavorare meglio.

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Prendersi cura del gruppo

La comunicazione degli obiettivi di un team

Il ruolo dello scopo è centrale nella definizione dei gruppi umani. Lo scopo è una categoria fondamentale per l’uomo tout court. Si dovrebbe sempre fare attenzione agli scopi perché essi distinguono, qualificano, identificano. Ogni comportamento umano, cosciente o incosciente che sia, ha uno scopo. Non si dà nessuno comportamento senza scopo. Al limite, lo scopo può non essere immediatamente comprensibile alla persona che attua il comportamento o agli altri che la osservano. Curare lo scopo è, dunque, un compito particolarmente importante.

È vero, che per ciò che riguarda un team di lavoro, gli obiettivi sono spesso ricevuti, non definiti in proprio. E questo potrebbe implicare una semplificazione. Ricevendo gli obiettivi, il team leader e il gruppo non devono definirli. Ciò che al team leader compete è la traduzione degli obiettivi. E questo in due sensi: la persona leader deve portare gli obiettivi al gruppo e li deve adattare al gruppo. Tradurre è un’operazione complessa, a volte, che implica perdite, fraintendimenti, scoperte. La delicata funzione di traduzione implica:

a) una chiara comprensione degli obiettivi da parte della figura leader del gruppo, il che implica, a sua volta: a.i.) uno scambio approfondito con chi gli obiettivi li ha definiti a.ii.) non dare per scontato di comprenderli immediatamente, ma presupporre un lavoro di comprensione distribuito nel tempo a.iii) definire anche una scala gerarchica di fronte ad una molteplicità degli obiettivi. Raramente viene dato un solo obiettivo, in azienda: occorre costruire una scala di priorità o di criteri utili per costruirla.

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b) una definizione degli obiettivi a partire dal gruppo: gli obiettivi vengono assorbiti dal gruppo. Il gruppo deve comprendere meglio possibile il senso degli obiettivi assegnati e ricucirseli addosso.

c) una continua verifica della comprensione, ma anche della condivisione, degli obiettivi, della loro organizzazione in priorità, del loro senso e della loro adeguatezza alle nuove condizioni in cui ci si trova.

d) La funzione del team leader è anche quella di riportare al suo vertice eventuali problematiche collegate agli obiettivi. Non è detto che chi riveste questa funzione abbia un potere reale d’incidere sul vertice, ma ciò non toglie che possa assumere il ruolo di traduttore (trasportatore) anche in senso inverso: dal basso verso l’alto.

Custodire l’obiettivo, è un’operazione da attuare in modo costante, poiché è facile, per alcuni, perderlo di vista. Per altri è molto difficile stare ancorati ad un solo obiettivo. Per altri ancora deve essere capace di individuare le priorità e limitare le distrazioni che inducono a rivederle in continuazione. Quali sono le priorità? Cosa evitare di fare, innanzitutto? Come garantire che l’obiettivo sia perseguito con continuità? Occorre porsi costantemente queste domande.

È altrettanto frequente fraintendere gli obiettivi ricevuti o comunicarli male; per questo motivo essi vanno scritti e continuamente ripetuti. Ogni occasione è buona per riprendere gli obiettivi che si stanno perseguendo e ricordarli, proprio per non perdere mai la possibilità di verificare che le persone stiano perseguendo gli stessi obiettivi. Infatti, non è improbabile che con il tempo le persone si trovino a perseguire obiettivi diversi senza rendersene conto.

Infine, l’obiettivo deve essere comunque curato anche perché è un parametro concreto di misurazione del lavoro svolto. Alla persona team

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leader servirà come parametro per poter valutare le persone e il loro contributo.

La cura dell’organizzare un team

L’organizzazione è una delle dimensioni del team. Ma in realtà, come gli obiettivi, la dimensione dell’organizzare è fondamentale in tutte le faccende umane. Questa dimensione, soprattutto in Italia, viene, a nostro modo di vedere, sottovalutata e sottoutilizzata. Molto spesso, problematiche all’interno del gruppo vengono personalizzate, imputate al carattere di una persona. In realtà, a ben vedere, le problematiche sono causate, spesso, da una inadeguata organizzazione o da una mancanza di metodo adeguato nell’organizzare i processi di lavoro.

Non voglio parlare di organizzazione, ma voglio evidenziare l’importanza, spesso decisiva, della dimensione organizzativa dei processi lavorativi. Voglio sottolineare anche una discreta difficoltà a definire lo stesso termine. Provate a pensare: cosa significa “organizzare”?

Organizzare per noi, qui, è “coordinare i vari elementi che costituiscono un insieme in modo che, integrandosi reciprocamente, concorrano alla realizzazione di un fine comune”. In questa definizione, gli elementi centrali sono proprio quelli a cui deve tendere chi ha una funzione di team leader: coordinamento, integrazione. Sono i compiti centrali della funzione di team leader. Egli deve tenere presente che ogni situazione richiede, in linea di principio, la sua organizzazione. Ogni situazione ha la sua forma di coordinamento adeguata. E il suo lavoro è quello di riorganizzare continuamente le cose, poiché le stesse cambiano, in funzione del miglioramento continuo nel raggiungere l’obiettivo prefisso. Questo processo continuo di riorganizzazione è spesso sentito come un problema o un limite, ma, in realtà, si tratta di un processo normale e necessario, anzi auspicabile. Le cose cambiano molto velocemente: mantenere la stessa organizzazione di processi, persone,

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organigrammi è spesso controproducente. Questa è una delle funzioni più delicate della leadership: avere la capacità di leggere se l’organizzazione di persone, processi o cose è adeguata al momento, agli obiettivi, ai tempi, alle risorse presenti. Poiché spesso la qualità del risultato dipenderà molto più dai processi organizzativi che dalla qualità delle persone. Inoltre, la rigidità dell’organizzazione è spesso la causa di conflitti tra le persone e non solo di cattivi risultati. Occorre organizzarsi in funzione della situazione e delle persone che si hanno a disposizione e non, contrariamente a quello che purtroppo si è costretti a fare in Italia, adattare le persone all’organizzazione. È una cosa ovvia che ricordo soprattutto per aiutare le persone che lavorano nelle organizzazione ad essere meno severe con se stesse e gli altri. In effetti le aziende operano in condizioni difficili, dal punto di vista dell’efficienza di gruppo, e non è colpa di nessuno. Finché il sistema del lavoro sarà rigidamente inquadrato dentro l’idea, sempre meno realistica, “un lavoro (sempre lo stesso) una persona (sempre la stessa)” sarà comunque difficile la gestione del gruppo. Nessuna seria squadra di calcio terrebbe sempre gli stessi giocatori per competizioni diverse o per scopi diversi.

Curare la decisione

Prima di definire i passaggi utili a decidere, una precisazione. Prendere una decisione è una funzione solo apparentemente difficile. In realtà la difficoltà del decidere sta, in molti casi, nella difficoltà di ricevere ed elaborare informazioni utili a prendere la decisione.

Un’azione importante in chi deve decidere o proporre una decisione al gruppo è saper leggere ciò che accade, trasformare i fatti, privi di significato in sé, in segni di qualcosa. Per questo diciamo: occorre saper leggere i segni. Per “leggere i segni” intendiamo la capacità di osservare la realtà circostante ed elaborare le informazioni ricevute. La lettura di segnali deboli, laterali, marginali al gruppo. La capacità di

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leggere tendenze e malumori del gruppo. Per questo è importante istituire momenti di verifica (vedi più avanti) dei risultati che si stanno ottenendo, delle difficoltà che si stanno incontrando. Risultati e difficoltà indicano cosa si deve considerare. Insieme a questo, si analizzeranno tendenze, si acquisiranno informazioni statistiche. L’abilità nel leggere i segni viene aumentata dalla capacità di ascolto e di confronto. Perciò, la definizione di una decisione sarà tanto più semplice nella misura in cui si tenderà ad ascoltare e confrontarsi con altri, ad individuare cosa accade e cosa fa fatica ad accadere. Di seguito sintetizziamo lo schema del processo che porta a prendere le decisioni, con le relative semplici indicazioni pratiche.

• Determinare in modo preciso qual è il problema Ascoltare tutte le persone coinvolte, comprese quelle che ne sono ai margini.

• Definire insieme al gruppo le diverse decisioni suscettibili di essere prese senza giudicarle in questa fase

Ricordare che per uno stesso problema ci sono più soluzioni.

• Analizzare i pro e i contro per ciascuna decisione possibile Non avere una sola soluzione: è importante che ci sia dissenso. • Decidere l’azione d compiere, chi la compie entro quando (e perché

quella persona) Una volta elaborata la decisione, condividerla e distinguerla dall‘azione.

• Agire chi deve agire, avere qualcuno di supporto Fare ciò che si è deciso.

• Verificare i risultati dell’azione tutti insieme con dati alla mano Verificare quanto si è fatto e valutare la conformità con quanto si era previsto.

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Curare la verifica

La fase di verifica, all’interno di un gruppo, è una parte decisiva della sua azione. Si tratta di una fase del lavoro che andrebbe concordata e strutturata più possibile all’interno del gruppo. Il processo di verifica andrebbe focalizzato e ricordato prima di ogni azione. Esso è una parte importante del lavoro, non qualcosa in più. La fase di verifica non è, infatti, né deve essere a discrezione della persona leader, ma deve essere parte del processo stesso di vita di un gruppo. La verifica è ciò che permette alle persone di poter determinare il senso del loro essere insieme. Il processo di verifica dovrebbe sfociare in feedback dati reciprocamente all’interno del gruppo. La persona leader valuta ed esprime il proprio feedback nei confronti degli altri e dagli altri riceve feedback. Il feedback ricevuto, inoltre, permette di acquisire quelle informazioni che, a loro volta, permettono una migliore lettura dei segni e, quindi, una maggiore capacità di decidere in modo adeguato.

Curare le relazioni in un gruppo

Non c’è gruppo senza relazioni. Dunque la relazione è l’anima di un gruppo. E la comunicazione è lo strumento di gestione delle relazioni. Quindi curare le relazioni significa curare la comunicazione che alimenta, nutre, attraversa un gruppo. Ora l’argomento è così vasto che non provo nemmeno a sfiorarlo, ma dico solo alcune cose che mi paiono emergere da ciò che ho vissuto, osservato e letto: 1. Il rispetto, nella molteplicità e complessità delle sue forme, è il principio guida di ogni comunicazione in un gruppo. È l’alimento più nutriente del gruppo. Rispetto non significa buonismo, né essere d’accordo, né eliminazione di conflitti. Rispetto in un gruppo significa che in ogni caso si cerca di far arrivare alle persone un segno di quanto esse siano importanti per quel gruppo. Ricordare che ogni persona, in un gruppo, può essere una risorsa

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e rispettarla. Se non si pensa che la persona sia importante per il gruppo allora non c’è molto da comunicare. O si cambia idea (si attuano comportamenti perché si possa cambiare idea da entrambe le parti) o è meglio prenderne atto ed escluderla dal gruppo o escludersi dal gruppo. Non tutti possono far parte di tutti i gruppi.

2. Esprimere, curare, accudire la dimensione affettiva. L’affettività è un altro elemento base del gruppo. L’affettività è la benzina che fa andare le cose di un gruppo. Le mette in moto attraverso la passione o l’entusiasmo che spingono ad ottenere risultati; oppure le orienta o trasforma attraverso la paura o la sofferenza. La tristezza, il senso di perdita, l’ansia accompagnano le azioni, qualsiasi azioni, perché non sappiamo cosa accadrà e possiamo temerlo, perché sappiamo che certi momenti bellissimi non torneranno più. Un gruppo non deve per forza fondarsi sull’affettività, ma in ogni caso deve curarla attraverso la possibilità di esprimere emozioni ed ascoltarle. Saper parlare di ciò che si prova e raccontare ciò che si vive costituisce il tessuto vitale di un gruppo. Parlarne lo mantiene vivo.

3. Lavorare sulle regole che riguardano sia il comportamento che la comunicazione. È una delle dimensioni più delicata e difficile da sintetizzare, ma il concetto è che equità e giustizia in un gruppo sono decisive. Così occorre fare attenzione alle regole e al loro rispetto. Attenzione a come gestire le infrazioni e le punizioni oppure le migliori performance e i premi. Ogni situazione ha le sue costruzioni ed è difficile generalizzare, ma diciamo che gran parte dei conflitti in un gruppo derivano da una scarsa chiarezza nelle regole e in forme percepite di ingiustizia. Le regole poi non devono valere solo per i comportamenti, ma anche per la parola. Le relazioni sono fondate sulla parola. La gestione consapevole, mirata e regolata, della parola è quindi essenziale in un gruppo. Occorre imparare a gestire gli incontri, le riunioni, i meeting, le conferenze, le conference call, le convention ecc., in modo adeguato, perché sono momenti vitali per il gruppo. Una riunione fatta mala non è solo una perdita di tempo, ma fa male alle persone inducendole alla demotivazione e/o al conflitto. Una riunione fatta male fa male alla vita di un gruppo, per questo è necessario curare la

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comunicazione formale e informale, regolare e saper gestire la comunicazione quando si tratta di incontri tra le persone.

4. Parlare della comunicazione nel gruppo. Comunicare sul gruppo, sullo stato delle sue relazioni, sulla sua stessa comunicazione è essenziale per un gruppo. Tanto più un gruppo ha la possibilità di parlare di sé, delle proprie dinamiche, della propria comunicazione, di come sono o potrebbero essere le relazioni interne, tanto più sarà forte e probabilmente longevo. Comunicare su come si parla e avere la capacità di correggere e trasformare la propria comunicazione crea un legame molto forte tra le persone. Ovviamente, in questa nostra società, educati a dire poco e male, in modo indiretto, parlare apertamente della comunicazione, in un’azienda come in una famiglia, non è affatto facile. Lo so. Tuttavia, noto che casi sempre più frequenti di gruppi in cui questo è richiesto, regolato, praticato. Ho fiducia che piano piano si affermerà questo principio essenziale in un gruppo.

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Riferimenti bibliografici

La letteratura sul tema è vastissima ed t’invito a cercare seguendo il tuo bisogno. Provo a dare solo alcuni suggerimenti.

Un testo di base ma molto accademico e classico è G.P. Quaglino, S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cortina editore, 1992.

Un testo più focalizzato, ma anche molto psicologico, è

Manfred F. R. Kets de Vries, Effetto porcospino. Il segreto per costruire team eccellenti, Ed. Ferrari Sinibaldi, 2012.

Il prof. Kets de Vries ha scritto molti testi sul tema del lavoro di gruppo molto interessanti, in genere un po’ tecnici, ma comunque interessanti.

Anche se non proprio centrato sul lavoro di gruppo, anche il libro di

Daniel Goleman, Lavorare con l’intelligenza emotiva, Rizzoli.

è importante da conoscere. Perché, alla fine, la vita di gruppo riflette il nostro modo di gestire l’emotività, l’affettività.

Infine, anche se l’approccio americano mi risulta essere, a volte, inapplicabile nei contesti italiani, ed anche un po’ troppo semplificante, indico un testo che è comunque stimolante:

John C. Maxwell, Le 17 leggi indiscutibili del lavoro di squadra, Gribaudi.

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Film

Anche di film ce ne sono moltissimi. Molti anche i documentari. Ovviamente molti film fanno riferimento alle guerre o allo sport. Tralasciando le prime, possiamo dire che su cosa significa gestire un team si veda il film Miracle, (2004) di Gavin O’Connor sull'incredibile vittoria del team americano contro quello russo ad hockey sul ghiaccio nelle Olimpiadi invernali del 1980. Si consideri anche quello che comunque lo sport e le aziende sono cose diverse. Così come la scuola. Un film interessante su come gestire gruppi è infatti Coach Carter (2005) di Thomas Carter che racconta di un allenatore di basket in un college americano. Sull’importanza del lavoro di squadra ne parla Eric Cantona, straordinario giocatore di calcio, nel film Il mio amico Eric, (2009) Ken Loach dove una situazione un po’ difficile viene risolta “lavorando” insieme.

Buona lettura e buona visione. Magari in gruppo.

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