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L’Astrobiologia “Se gli altri animali contemplano a testa bas- sa la terra, la faccia dell’uomo l’ha alzata, gli ha imposto la vista del cielo perché levasse lo sguardo spingendolo fino alle stelle”. Così scrive Ovidio nelle Metamorfosi, rico- noscendo nella meraviglia di fronte al cielo stellato l’origine prima di quel senso del mistero, di quelle domande fondamenta- li che da sempre occupano la mente e il cuore di donne e uomini. Tra queste forse la più ricca di implicazioni riguarda l’ori- gine della vita, sulla quale esistono tante ipotesi, ma ancora poche certezze: dove e come è nata la vita? Quali sono le con- dizioni necessarie a sostenerla? Esiste la vita altrove nell’universo? I pezzi del puz- zle arrivano dalle discipline più diverse, dai laboratori, dal profondo degli oceani, dai luoghi più inospitali del nostro piane- ta, ma anche dallo Spazio: dalla Stazione Spaziale Internazionale, da Marte, dalla cometa Churyumov-Gerasimenko studiata dall’ambiziosa missione Rosetta. Questa breve introduzione all’astrobiologia è un volo di ricognizione nei vari luoghi, fisici o figurati, ove si sta cercando di rendere il mistero meno fitto. Preparatevi ad un viaggio vertiginoso e, se ogni tanto reste- rete senza fiato, fermatevi e sedetevi un attimo a contemplare il cielo stellato. Samantha Cristoforetti Missione Futura (2014) Foto: la costellazione del Granchio vista dal tele- scopio ESA HERSCHEL. Credits: ESA/NASA

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L’Astrobiologia

“Se gli altri animali contemplano a testa bas-sa la terra, la faccia dell’uomo l’ha alzata, gli ha imposto la vista del cielo perché levasse lo sguardo spingendolo fino alle stelle”.

Così scrive Ovidio nelle Metamorfosi, rico-noscendo nella meraviglia di fronte al cielo stellato l’origine prima di quel senso del mistero, di quelle domande fondamenta-li che da sempre occupano la mente e il cuore di donne e uomini. Tra queste forse la più ricca di implicazioni riguarda l’ori-gine della vita, sulla quale esistono tante ipotesi, ma ancora poche certezze: dove e come è nata la vita? Quali sono le con-dizioni necessarie a sostenerla? Esiste la vita altrove nell’universo? I pezzi del puz-zle arrivano dalle discipline più diverse, dai laboratori, dal profondo degli oceani, dai luoghi più inospitali del nostro piane-ta, ma anche dallo Spazio: dalla Stazione Spaziale Internazionale, da Marte, dalla cometa Churyumov-Gerasimenko studiata dall’ambiziosa missione Rosetta. Questa breve introduzione all’astrobiologia è un volo di ricognizione nei vari luoghi, fisici o figurati, ove si sta cercando di rendere il mistero meno fitto. Preparatevi ad un viaggio vertiginoso e, se ogni tanto reste-rete senza fiato, fermatevi e sedetevi un attimo a contemplare il cielo stellato.

Samantha Cristoforetti Missione Futura (2014)

Foto: la costellazione del Granchio vista dal tele-scopio ESA HERSCHEL. Credits: ESA/NASA

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Introduzione all’astrobiologia

L’astrobiologia è una disciplina che stu-dia l’origine, l’evoluzione e la distribu-zione della vita nell’universo. In altre parole tenta di rispondere alla fatidica domanda: c’è vita altrove? Per rispondere a questa domanda è ne-cessario mettere in campo conoscenze scientifiche diverse, come quelle proprie dell’astronomia, planetologia, biologia, chimica e geologia. Succede allora, per esempio, che i biologi parlino con gli astrofisici (qual è la connessione tra le prime stelle e le prime cellule? Come si sono formati gli elementi della vita?), con i chimici (come si è passati dalla chimica prebiotica alla vita cellulare?) come con gli astronomi (dove cercare i pianeti extrasolari? Attorno a quali stel-le? Quali indizi della vita ricercare?).La stretta integrazione tra queste disci-pline permette di definire le zone di abi-tabilità (cioè comprese tra una distanza minima e massima dalla stella, per cui l’acqua è allo stato liquido, se la pres-sione atmosferica è adeguata), ma an-che di decidere quali impronte dell’at-tività biologica ricercare nell’atmosfera e nel suolo di pianeti o lune nel nostro sistema solare oppure intorno ad altre stelle.

La ricerca di vita oltre la Terra dipen-de da cosa intendiamo per “vita”. Una definizione ampiamente condivisa dagli scienziati è quella di un sistema chimi-co in grado di autosostenersi e di an-dare incontro a evoluzione Darwiniana. Vale a dire basata su una macromole-cola organica (quale il nostro DNA) che si replica introducendo errori, cioè mu-tazioni, le quali, fornendo la varietà di combinazioni su cui agisce la selezione naturale, sono il vero motore dell’evo-luzione.Noi però, conosciamo un solo tipo di vita, quella basata sulla chimica del car-bonio, e che dipende dalla presenza di acqua allo stato liquido, carbonio, idro-geno, azoto, fosforo e zolfo (i CHNOPS, elementi più abbondanti nell’universo) e di una forma di energia, non esclusi-vamente solare, ma anche di tipo chi-mico.Il fatto che la vita sulla Terra sia fatta di elementi abbondanti nell’uni-verso la rende un evento probabile. Il fatto che un evento sia probabile non significa però che esso avvenga. Inol-tre, tendiamo a credere che dove c’è acqua allo stato liquido (follow the wa-ter) ci possa essere vita. Tuttavia, non necessariamente se c’è acqua c’è vita.

Foto: la galassia Majestic Sombrero ri-presa dal telescopio spaziale HUBBLE. Credits: NASA/ESA

“Vi porgo la mia contemplazione circa l’infinito, universo e mondi innumerabili”(Giordano Bruno, De l’Infinito Universo et Mondi - ANNO MDLXXXIIII)

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Se capire come la vita si sia originata sulla Terra è un presupposto per cer-carla altrove, allora non è trascurabile il fatto che persistano ancora grosse incertezze su come, dove e quando la scintilla della vita si sia accesa sul no-stro pianeta. Il primo esperimento di astrobiologia per verificare se i mattoni della vita (gli amminoacidi) si potessero formare dai componenti dell’atmosfera primor-diale (metano, idrogeno e ammonia-ca), in presenza di scariche elettriche, è stato condotto nel 1953 da Stanley Lloyd Miller e Harold Urey. Tuttavia, in questa sintesi prebiotica sia le dosi sia gli ingredienti del “brodo primordiale” possedevano un elevato grado di arbi-trarietà e quanto ciò possa aver influi-to sul risultato dell’esperimento è tut-tora oggetto di dibattito. Che le prime molecole biologiche si siano formate nel “brodo primordiale” in una miscela di elementi presenti nell’atmosfera del pianeta ai suoi esordi non è poi nean-che certo. Ciò nonostante, l’interesse per l’esperimento di Miller e Urey è an-cora accesissimo tanto che ne è stata riproposta la sua realizzazione in bassa orbita terrestre, utilizzando la Stazione Spaziale Internazionale per simulare un ambiente primordiale non protetto dell’odierna atmosfera (che come ben sappiamo, è stata modificata dall’attivi-tà degli organismi fotosintetici ossige-nici). Largamente condivisa è l’idea che l’ultimo antenato comune universale, cioè LUCA (Last Universal Common An-cestor), sia comparso nelle profondità oceaniche grazie all’interazione di alcu-ne sostanze chimiche con l’acqua alca-lina proveniente da camini idrotermali (noti come Lost City) al buio e in assen-za di ossigeno: in un ambiente, quindi, molto diverso dalla nostra idea antro-pocentrica di condizioni idonee alla vita. Questo suggerisce che i primi passi del-la chimica prebiotica ed il passaggio al mondo cellulare potrebbero non esse-re avvenuti nella piccola pozza calda di Charles R. Darwin (warm little pond), ma a temperature, dal nostro punto di

vista, elevate (superiori ai 100 °C) in un luogo infernale. In tali nicchie, circa 3.8 miliardi di anni fa, le prime forme di vita (parenti dei moderni microrganismi chemiolitotrofi, ipertermofili) avrebbero trovato rifugio dagli impatti sterilizzanti dei meteoriti, che letteralmente bom-bardavano la superficie terrestre, e dal-le nocive radiazioni ultraviolette (quelle a 254 nm, gli UVC, letali per il nostro DNA). Solamente dopo la comparsa dei cianobatteri capaci di fotosintesi ossi-genica, l’ossigenazione dell’atmosfera primitiva, avvenuta circa 2.5 miliardi di anni fa, e la formazione dell’ozono (che ci protegge dagli UVC) tutto è cambia-to! La Terra è diventata abitabile anche per organismi che respirano ossigeno, come l’essere umano.Ancora non sappiamo però se i matto-ni della vita (amminoacidi, DNA e RNA) si siano formati a partire da materiale terrestre (i CHNOPS formati da stelle e supernove) oppure extraterrestre. Am-minoacidi sono stati ritrovati su alcuni meteoriti, come quelle marziane (inclu-sa la famosa ALH 84001). Infine, alcune molecole organiche che possono essere precursori dei mattoni della vita sono state osservate nel mezzo interstella-re, mentre nella coda della cometa Wild 2, riportata sulla Terra dalla missione NASA Stardust (una missione di sample return), è stata trovata la glicina (un amminoacido che si trova nelle nostre proteine). Proveniamo dunque vera-mente dallo Spazio? Il modulo Philae ospitato sulla sonda europea Rosetta, che posandosi sulla crosta ghiacciata della cometa Churyumov-Gerasimenko verificherà in situ la presenza di mate-riale organico necessario a innescare il processo della vita su un pianeta abita-bile, contribuirà a rispondere a questa domanda.

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Gli Estremofili

Gli estremofili sono microrganismi, per lo più procarioti, appartenenti al gruppo degli archeobatteri, in grado di sopravvivere in condizioni proibitive dal punto di vista fisico e chimico per la maggior parte degli organismi viventi sulla Terra. Questi microorganismi hanno adottato diversi tipi di strategie che hanno permesso loro di adattarsi a condi-zioni ambientali ostili quali temperature estremamente alte o basse, elevata acidità, pressione o salinità. In particolare, gli estremofili che possono sopravvivere a tempe-rature molto elevate vengono chiamati termofili. Ne è un esempio il batterio Thermus aquaticus che prospera a temperature di 70°C, ma, può sopravvivere a temperature comprese in un intervallo tra i 50°C e gli 80°C. Al contrario, gli estremofili in grado di crescere e proliferare a temperature molto basse vengono chiamati psicrofili o criofili. Questi popolano le acque profonde oceaniche dove la temperatura si aggira media-mente intorno ai 2°C nonostante, a causa del contenuto salino, nelle aree più fredde, l’acqua possa raggiungere anche temperature pari a -12°C senza congelare. Tra le stra-tegie di adattamento di questi organismi vi è la produzione di sostanze, quali glicerolo e proteine anti-congelamento, che abbassano il punto di congelamento dell’acqua di alcuni gradi. Infatti, durante il processo di congelamento, l’acqua forma dei cristalli di ghiaccio che possono danneggiare l’organismo. Alcune specie di estremofili possono resistere anche alle elevate pressioni (barofili) che si registrano nelle profondità dei fondali oceanici. Nella Fossa delle Marianne sono stati ritrovati organismi in grado di sopravvivere a 11 km di profondità dove la pressione può raggiungere le 1100 atmo-sfere. Questi organismi sono difficili da studiare in laboratorio poiché ricreare artificial-mente queste condizioni di pressione è piuttosto difficoltoso. Infine, vi sono gli alofili che crescono in condizioni di elevata salinità, gli acidofili e gli alcalofili che sopravvivono rispettivamente in ambienti acidi (pH < 7) o alcalini (pH > 7).Gli estremofili sono di particolare interesse per l’astrobiologia in quanto molti di questi organismi sono in grado di sopravvivere in ambienti simili a quelli extraterrestri noti. Inoltre la loro scoperta sottolinea l’enorme adattabilità delle forme di vita primitive e quindi la possibilità di trovare forme di vita (almeno microbiche) nel Sistema Solare.

Foto: coltura batterica di Gloeocap-sa, prelevata nel Devon (UK), so-pravvisuta 553 giorni sulla ISS. Cre-dits: Connecticut College

Foto: Cultura di batteri estremofili Na-trialba magadii. Credits: Università di Buenos Aires

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Come è nata la vita?In questo scenario di incertezze si inserisce l’ipotesi della litopan-spermia (lithos=roccia, pan=tutto, sperma=origine): la vita, se protetta da materiale roccioso, potrebbe trasferirsi tra pianeti. La vita sul nostro pianeta potrebbe aver avuto dunque origine da microrganismi giunti sulla Terra dopo aver viaggiato nello Spazio per milioni di anni. Questa possibilità è però limi-tata a forme di vita particolari, come le spore batteriche o gli organismi estre-mofili dotati dei prerequisiti per soprav-vivere alle condizioni di temperatura, vuoto spaziale, radiazioni cosmiche e solari, legate alla fase di espulsione da un pianeta donatore in seguito ad un impatto, di/al transito nello Spazio e di/al rientro nell’atmosfera di un pianeta accettore. Alcuni esperimenti astrobiologici con-dotti in bassa orbita terrestre, espo-nendo spore batteriche e cianobatte-ri, licheni e funghi isolati da ambienti terrestri estremi (zone desertiche e di alta montagna) all’ambiente spazia-le, hanno contribuito a validare alcune fasi della fattibilità della litopanspermia (permanenza nello Spazio e ingresso in atmosfera del pianeta ricevente). Se così fosse avremmo confermato che la vita sulla Terra proviene dallo Spazio. Tuttavia, non avremmo spiegato come si è originata la vita. E anche se così fosse rimarrebbe comunque aperta la possibilità dell’esistenza nell’universo di vita 2.0. Cioè di una vita con una se-conda genesi, non collegata al nostro albero filogenetico, non imparentata con LUCA per intenderci. Immaginare come essa possa essere non è sempli-ce! Però la vita sulla Terra non è priva di fantasia: le sue potenzialità adattative in condizioni chimico-fisiche estreme, sempre dal nostro modestissimo punto di vista, non finiscono mai di stupirci. Di fatto alcune forme di vita non richiedono tutto il comfort di cui abbiamo bisogno noi! Il progresso delle strumentazioni

per l’esplorazione di luoghi sempre più ameni e ostili permette continuamente di scoprire nuovi estremofili: dei veri e propri alieni terrestri! Gli estremofili, che comprendono forme semplici di vita, tollerano, ma spesso ne dipendono, estremi di temperature come in prossimità dei geyser oppu-re al di sotto dei laghi ghiacciati (lago Vida, Antartide), ma anche pressioni elevate negli abissi marini, e la carenza di acqua nei deserti caldi e freddi (come il deserto dell’Atacama in Cile e quello di Ross in Antartide). E’ stupefacente che la vita possa fare a meno dell’ac-qua allo stato liquido anche per perio-di prolungati (decenni nel cuore iper-arido dell’Atacama)! Possiamo quindi escludere la presenza di forme di vita sul secco e freddo Marte, oppure sotto la crosta ghiacciata di Europa e di En-celado? Anche i luoghi dove vivono gli estre-mofili sembrano dei paesaggi alieni. Guardando il panorama di un deserto è spesso quasi impossibile distinguere se stiamo ammirando la “magnifica de-solazione” (per usare le parole dell’a-stronauta Buzz Aldrin nel descrivere la Luna) del cuore iper-arido del deserto dell’Atacama o delle Dry Valleys in An-tartide oppure un’immagine di Marte. Le stesse rocce rosse ossidate collezio-nate nel deserto del Mojave (Sud Cali-fornia) sono molto simili alle rocce Mar-ziane fotografate dal rover Curiosity. Però nei deserti caldi e freddi terrestri, che possono sembrare abiotici ad un primo sguardo, la vita esiste. Nascosta nelle rocce, al riparo dalle condizioni ostili presenti all’esterno!Licheni, funghi, cianobatteri e tardigradi isolati da ambienti desertici possiedono la straordinaria capacità di sopravvive-re alla completa disidratazione (un pe-culiare fenomeno biologico noto come anidrobiosi, vita senz’acqua) e sono sopravvissuti all’ambiente spaziale in condizioni di vuoto (che causa disidra-

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tazione), estremi di temperatura e dosi elevate di radiazioni cosmiche e solari. Questi esperimenti sono stati condotti utilizzando la piattaforma europea BIO-PAN (che rimane in bassa orbita terre-stre per due settimane e poi viene recu-perata a Terra) oppure per circa un anno utilizzando la piattaforma EXPOSE (col-locata all’esterno della ISS). Il record di sopravvivenza nello Spazio appartiene però alle spore del Bacillus subtilis: 6 anni a bordo della Long Duration Ex-posure Facility della NASA. Ma stupisce anche il caso del batterio Streptococ-cus mitis recuperato da un pezzo della sonda Surveyor rimasta sulla superficie lunare per quasi tre anni. Gli estremo-fili sono quindi degli interessanti siste-mi modello in astrobiologia sia per in-vestigare la tenacia della vita, sia per studiare la stabilità delle macromoleco-le biologiche in condizioni estreme e le loro modificazioni in condizioni extrater-

restri, contribuendo così alla ricerca di bio-impronte su Marte. Ma perché l’uo-mo si ostina a cercare la vita su Marte? Eppure i fallimenti non sono stati pochi a partire dalle missioni Viking negli anni ’70! La risposta sta non solamente nella sua collocazione nella zona di abilità del nostro sistema solare, ma anche nella sua storia evolutiva che è stata nei pri-mordi molto simile a quella della Terra, con presenza d’acqua allo stato liquido. Diverse agenzie spaziali hanno come obiettivo la colonizzazione non solamen-te della Luna ma anche di Marte. Certo questa è una grande sfida che neces-sita di diverse conoscenze scientifiche, comprese quelle relative ai meccanismi che sottendono la capacità degli estre-mofili di vivere in condizioni estreme, le quali possono contribuire allo sviluppo di sistemi biologici di supporto alla vita dell’uomo in ambiente extraterrestre.

Foto: roccia del suolo marziano analizzata dal rover Curiosity. Credits: NASA

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Curiosity e Exomars

Il rover Curiosity è stato lanciato dalla NASA il 26 novembre 2011 ed è atterrato su Marte il 6 agosto 2012. Lo scopo della missione nota come Mars Science Laboratory è quello di investigare sulla passata e presente capacità di Marte di sostenere la vita, focalizzando l’attenzione sulle rocce sedimentarie. La durata presunta della missione è di almeno un anno marziano (circa 2 anni terrestri). Al momento Curiosity ha trovato gli ingredienti della vita (carbonio, idrogeno, zolfo, azoto e fosforo) nel cratere Gale, dove nel passato c’era un lago. La prossima missione di esplorazione del Pianeta Rosso sarà Exomars dell’Agenzia Spaziale Europea, in programma per il 2018. In un futuro forse non troppo lontano, verranno pianificate, con una importante partecipazione dell’Agen-zia Spaziale Italiana, missioni su Marte con uomini a bordo.

I Tardigradi

I Tardigradi (Tardigrada, Spallanzani 1777) sono un phylum di invertebrati che com-prende poco più di un migliaio di specie animali. La loro capacità di sopravvivere in condizioni avverse è particolarmente elevata e sono diffusi in tutto il pianeta. Vi sono specie marine, terrestri e adattate alle acque dolci. Sono stati osservati in tutti i conti-nenti. Sono in grado di resistere per tempi lunghissimi al disseccamento e al congela-mento. Sebbene alcune specie siano predatorie, la maggioranza dei tardigradi si nutre di cellule vegetali.

Foto: “selfie“ del rover curiosity giunto sul suolo marziano. Credits: NASA

Foto: ingrandimento al microscopio di un tardigrade. Credits: Goldstein lab - tardigrades, 2008

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Un esperimento di astrobiologia sulla ISS: la tenacia di estremofili terrestri nello SpazioIl progetto didattico si colloca nel con-testo delle più recenti sperimentazioni in bassa orbita terrestre che utilizza-no la piattaforma dell’Agenzia Spaziale Europea EXPOSE, la quale viene collo-cata all’esterno della Stazione Spazia-le Internazionale con attività extravei-colare degli astronauti. Questo tipo di piattaforma permette l’esposizione alle condizioni spaziali e marziane simula-te in bassa orbita terrestre di organi-smi e biomolecole, contribuendo così alle ricerche sull’origine, evoluzione e distribuzione della vita nell’universo. Il presente progetto didattico intende prediligere le sperimentazioni sulla te-nacia degli estremofili e sulla stabilità dei loro costituenti cellulari, in condizio-ni spaziali e simulate marziane, le quali rappresentano i presupposti scientifici per la ricerca di vita in altri mondi, con particolare enfasi per Marte. La sua fi-nalità principale è quella di fornire agli studenti le competenze teoriche e prati-che per la comprensione sia degli espe-rimenti di astrobiologia condotti in bassa orbita terrestre nel passato, utilizzando la piattaforma Biopan, sia quelli più re-centi basati sull’impiego di EXPOSE. EXPOSE è una multi-user facility dedi-cata all’astrobiologia montata all’ester-no della ISS. E’ stata sviluppata dall’E-SA per missioni di lunga durata (oltre un anno e mezzo) ed è disegnata per consentire l’esposizione di materiale chimico e biologico allo Spazio esterno e di registrarne i dati durante il periodo di esposizione. La prima facility (EXPO-SE-E) fu installata all’esterno del labo-ratorio Columbus nel 2008. EXPOSE-R, collocata all’esterno del modulo Russo della ISS, fu posizionata per la prima volta nel 2009.BIOPAN, analogamente a EXPOSE, è una facility disegnata per investiga-

re gli effetti dell’ambiente spaziale sul materiale biologico ma con tempi più brevi dettati dalla durata della missio-ne del satellite che la ospitava. Biopan, che prende il nome dalla sua forma (pan=pentola), veniva istallata infatti sulla superficie esterna del satellite rus-so Foton. Il primo lancio risale al 1994.Attraverso due seminari introduttivi ver-ranno forniti agli studenti gli strumenti teorici per orientarsi negli scenari che sottendono alle passate missioni spa-ziali realizzate in ambito astrobiologico utilizzando spore batteriche, così come organismi terrestri isolati da ambienti terrestri estremi.Particolare attenzione verrà rivolta ai due esperimenti presenti su EXPOSE-R2: Biofilm Organisms Surfing Space (BOSS) and BIOlogy and Mars EXpe-riment (BIOMEX) portati a bordo della ISS il 23 luglio 2014 con il cargo Pro-gress 56 e collocati all’esterno nel mese di agosto. Questi due esperimenti in-tendono contribuire allo studio della te-nacia della vita come noi la conosciamo e all’identificazione di bioimpronte per la ricerca di vita su Marte.Al progetto BOSS partecipa un team di ricerca italiano con esperimenti su cia-nobatteri isolati da comunità litiche in deserti considerati gli analoghi terrestri di Marte, esposti a condizioni spaziali e marziane (CO2 e UV > 200 nm) come biofilm, forme primitive e tenaci di vita, al fine di verificarne le potenzialità di sopravvivenza.Al progetto BIOMEX partecipano due team di ricerca italiani con esperimen-ti su cianobatteri e funghi estremofili esposti a condizioni spaziali e marziane simulate in presenza di regoliti marziani e lunari; lo scopo è quello di validare l’ipotesi della litopanspermia (trasporto di forme di vita all’interno di materiale

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roccioso), identificare bio-impronte per la ricerca di forme di vita passate su Marte, e infine, ottenere risultati in pre-parazione di prossime missioni astro-biologiche sulla superficie lunare.Dopo un’esposizione di circa un anno alle condizioni spaziali e marziane si-mulate i campioni verranno riportati a terra analizzati per verificare gli even-tuali danni indotti a livello sub-cellulare e, una volta reidratati, testati per la loro potenzialità di riparare i danni. Inoltre verrà investigata la possibilità di uti-lizzare l’autofluorescenza dei pigmenti fotosintetici come bio-impronta. I risul-tati verranno confrontati con gli effet-

ti dell’esposizione a condizioni simula-te condotte presso il centro di ricerca nazionale tedesco per l’aeronautica e lo Spazio (DLR - Deutsches Zentrum für Luft - und Raumfahrt) di Colonia. Lo studio dei meccanismi molecolari e cellulari che sottendono alla tenacia di organismi estremofili in ambiente spa-ziale e marziano ha importanti ricadute a terra sia nell’ambito delle applicazio-ni biotecnologiche per il conferimento della resistenza allo stress in organi-smi altrimenti suscettibili, sia nell’am-bito delle biotecnologie spaziali per lo sviluppo di sistemi biologici a sostegno dell’esplorazione umana dello Spazio.

Foto: il box EXPOSE-R sulla ISS prima di essere montato al suo esterno. Credits: ESA

Foto: il box per esperimenti extraveicolari sulla ISS EXPO-SE-R. Credits: ESA

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Azioni educative ed obiettiviLe attività laboratoriali svolte presso il Laboratorio di Astrobiologia dell’Ateneo di Roma “Tor Vergata” permetteranno agli studenti di acquisire le competenze necessarie per orientarsi tra le più mo-derne metodologie cellulari e molecolari utilizzate per valutare gli effetti in cia-nobatteri e funghi estremofili dell’espo-sizione all’ambiente spaziale e simula-to marziano in bassa orbita terrestre. In particolare, verranno caratterizzati i danni indotti da simulazioni condot-te presso la DLR di Colonia del vuoto spaziale e da crescenti dosi di radiazio-ni ultraviolette, come atteso durante la missione EXPOSE-R2.A tale scopo gli studenti utilizzeran-no campioni di cianobatteri del genere Chroococcidiopsis e fungi meristemati-ci, selezionati unitamente ad altri estre-mofili, per gli esperimenti presenti nella missione spaziale EXPOSE-R2.Nello specifico gli studenti seguiran-no i protocolli sperimentali atti a valu-tare la vitalità cellulare e la presenza di danni alle membrane cellulari e al DNA genomico. A questo scopo verran-no impiegate le più moderne tecniche di bio-imaging applicate alla microsco-pia confocale a scansione laser (CLSM) e la reazione a catena della polimerasi (PCR); inoltre la permanenza dei pig-menti fotosintetici verrà testata me-diante CLSM in modalità di lambda scan. L’attività laboratoriale verrà documenta con riprese fotografiche e filmati sia du-rante lo svolgimento dei diversi proto-colli di biologia molecolare sia durante l’osservazione al microscopio confocale. Gli studenti, partecipando attivamen-te agli esperimenti proposti, amplie-ranno la loro percezione della tenacia della vita come noi la conosciamo e comprenderanno come questa fornisca un presupposto scientifico per l’esplo-razione del sistema solare alla ricerca di nicchie potenzialmente abitabili. La comprensione delle potenzialità di so-pravvivenza di estremofili in condizioni

spaziali e simulate marziane avvicinerà inoltre gli studenti alle tematiche della “Planetary Protection”. Al tempo stes-so la validazione sperimentale del ruolo protettivo giocato dai regoliti marziani e lunari implementerà la loro conoscenza dell’ipotesi della lito-panspermia e della possibilità di trasferimento di forme di vita tra pianeti se protette da materia-le roccioso. Infine la caratterizzazione della stabilità di macromolecole (DNA e pigmenti) in condizioni marziane avvi-cinerà gli studenti alle attuali strategie per la ricerca di vita su Marte.

I Materiali Necessari

Cianobatteri e funghi estremofili esposti a simulazione spaziale e marziana: kit di estrazione di DNA genomico; reagen-ti per reazione di PCR; termociclatore; Elettroforesi su gel di agarosio; mole-cular probe per l’integrità delle mem-brane citoplasmatiche (SYTOX-Green); microscopio confocale a scansione la-ser; incubatori termostati per la cresci-ta cellulare.

Attività previste

Attività n.1 - Valutazione dei danni al DNA genomico. Estrazione di DNA genomico da ciano-batteri e funghi esposti a condizioni si-mulate di vuoto spaziale e diverse dosi di radiazioni ultraviolette, mediante un opportuno kit. Set up della reazione di PCR-fingerprinting e valutazione del danno indotto al DNA mediante analisi su gel di agarosio; la presenza di danni sul DNA templato risulterà in una dimi-nuzione delle bande amplificate.

Attività n. 2 - Valutazione dei danni alle membrane citoplasmatiche.Colorazione di cianobatteri esposti a condizioni simulate con il colorante im-permeante SYTOX-Green e individua-

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zione delle cellule intatte (SYTOX-Green negative) e danneggiate (SYTOX-Green positive).

Attività n. 3 - Valutazione della fluore-scenza dei pigmenti fotosintetici.Cianobatteri esposti a condizioni simu-late verranno analizzati al CLSM utiliz-zando la modalità di lambda scan. Dopo aver eccitato le cellule con un laser a 543 nm, verranno selezionate delle re-gioni di interesse in modo da valutare l’emissione dei pigmenti fotosintetici a livello delle singole cellule.

Attività n. 4 - Sopravvivenza cellulare.Campioni di cianobatteri e funghi sot-toposti a simulazione verranno reidra-tati e piastrati su opportuni terreni di crescita; la comparsa di colonie indi-cherà la loro capacità di riparare i danni indotti e di andare incontro a divisione cellulare.

Risultati Attesi

Dallo svolgimento delle attività propo-ste è atteso un coinvolgimento degli studenti nella valutazione e discussione

delle modalità attraverso cui l’ambien-te spaziale e marziano inducono dan-ni alle strutture biologiche. Gli studenti saranno inoltre guidati nella formula-zione di ipotesi sui meccanismi cellulari e molecolari che sottendono la tenacia degli estremofili in condizioni simulate. Infine, alla luce dei risultati ottenuti in condizioni simulate, gli studenti discu-teranno i risultati attesi dalla missione EXPOSE-R2, la cui sfida risiede nel fatto che nello Spazio gli estremofili saranno esposti ad una combinazione di vuoto, estremi di temperatura, radiazioni co-smiche e solari, che non è possibile ri-produrre sulla Terra. Il progetto didattico intende inquadrare da un punto di vista teorico e pratico la comprensione degli esperimenti di astrobiologia condotti in bassa orbitata terrestre. Attraverso seminari introdut-tivi e sperimentazioni condotte nei la-boratori dei team italiani coinvolti nelle missioni spaziali BOSS e BIOMEX, gli studenti acquisteranno consapevolezza delle tematiche affrontate dall’astrobio-logia e dei risultati attesi dalla missione EXPOSE-R2.

Foto: studenti a lavoro presso un labo-ratorio scientifico dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Credits: Go-ogle

Foto: Andromeda ripresa dall’osser-vatorio multibanda Swift. Credits: NASA

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