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l’area diBroca Mariella Bettarini, Da che denaro è denaro 2 Margherita Adda, Il denaro 3 Luca Baiada, Due poesie 3 Cinzia Bellini, Soldi soldi 4 Mariella Bettarini, Il denaro e certe sue alfabetiche filiazioni 4 Massimiliano Chiamenti, da Teknostorie 5 Graziano Dei, Al prossimo semaforo 5 Mirco Ducceschi, La povertà del denaro 5 Alessandro Franci, Nostalgia della miseria 7 Gabriella Maleti, Il portafoglio 8 Alessandro Mirannalti, La moneta cattiva 9 Maria Pia Moschini, Ladri 10 Massimo Orgiazzi, Due poesie 11 Giovanni Stefano Savino, Due poesie 11 Luciano Valentini, Mammona in commedia 11 Valerio Vallini, Due poesie 13 Roberto Voller, (s’io fossi) 14 Massimo Acciai, Denaro e letteratura 14 Marco Bellucci, Economia e cooperazione 15 Roberto Maggiani, Economia di Comunione 16 Giovanni R. Ricci, I molti volti dell’avarizia 17 In memoria di Aldo Remorini 21 Indice Denaro

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l’areadiBroca

Mariella Bettarini, Da che denaro è denaro 2

Margherita Adda, Il denaro 3

Luca Baiada, Due poesie 3

Cinzia Bellini, Soldi soldi 4

Mariella Bettarini, Il denaro e certe sue alfabetiche filiazioni 4

Massimiliano Chiamenti, da Teknostorie 5

Graziano Dei, Al prossimo semaforo 5

Mirco Ducceschi, La povertà del denaro 5

Alessandro Franci, Nostalgia della miseria 7

Gabriella Maleti, Il portafoglio 8

Alessandro Mirannalti, La moneta cattiva 9

Maria Pia Moschini, Ladri 10

Massimo Orgiazzi, Due poesie 11

Giovanni Stefano Savino, Due poesie 11

Luciano Valentini, Mammona in commedia 11

Valerio Vallini, Due poesie 13

Roberto Voller, (s’io fossi) 14

Massimo Acciai, Denaro e letteratura 14

Marco Bellucci, Economia e cooperazione 15

Roberto Maggiani, Economia di Comunione 16

Giovanni R. Ricci, I molti volti dell’avarizia 17

In memoria di Aldo Remorini 21

Indice

Denaro

L’area di Broca 2

Da che denaro è denaro…Un fascicolo arduo, complesso, composito, magari anche contraddittorio, per un tema

altrettanto composito, complesso, discutibile (e qua discusso, ci pare), concreto e insie-me “astratto”, etico, ideal-ideologico, (psicologico anche), socio-politico, mai futile. Untema che è – quasi – un mondo (il mondo? l’attuale – nostro – mondo? mondo così dif-ficilmente umano).

Dopo il fascicolo precedente dedicato a un tema come “Gli altri”, non potevamonon immergerci ancor più a fondo nella fonda, inesauribile, inevitabile dialettica ricchez-za-povertà, mercato-gratuità, ingiustizia-(speranza di) giustizia; nella dura dialettica –ancora una volta - nord-sud, sfruttatori-sfruttati, possidenti-indigenti, Paesi (e singoli) cre-ditori (si fa per dire…)-debitori/indebitati, e così di seguito.

I testi che qua pubblichiamo constano – al solito - di racconti, poesie, aforismi,riflessioni, brevi (e meno brevi) saggi su questo “tema dei temi”, tema ancora una volta“globale” (eppure anche così intimo, “segreto”, individuale), su questo argomento passe-partout, su questa vera e propria “cartina di tornasole” di individui e governi, di coscien-ze singole e di collettività, di privato/pubblici vizi e virtù, di raziocinii e slanci, avariziee prodigalità, tornaconti e solidarietà, malaffari-mafie e tutto quanto è il loro contrario;(economico) potere e (all’apparenza “debole”) forza dell’umana onestà.

Non ci illudiamo di aver scritto, espresso, proposto nulla di nuovo e di origina-le su un tema tanto gigantesco; di aver minimante inciso (a parole, poi…) su un’idracosì feroce e onnivora. Tuttavia, siamo convinti che non si possa (e dunque non sidebba) esimerci dal portare il nostro minimo - magari miserrimo – contributo ad undiscorso nient’affatto superfluo o superficiale, la nostra pietruzza e tessera di mosai-co ad una diatriba, ad un problema, ad un rovello, ad una realtà (il denaro) davvero“epocale”, da che denaro è denaro e da che il pensiero e la coscienza umani vi siaggirano e vi si logorano intorno.

Mariella Bettarini

“Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione,ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare,

quello sono io stesso. (…) Forse che il denaro non trasforma tutte le deficienze nel loro contrario?”

Karl Marx(da Manoscritti economico-filosofici, 1844)

“Vi supplico di essere sempre indignati”

Martin Luther King

“La qualità della vita non va giudicata dallo stile di vitadei ricchi, ma da quella di coloro che sono ai piani più

bassi della scala sociale”

Muhammad Yunus(premio Nobel per la pace 2006)

“Naturalmente gli omini desiderano sapere”Leonardo da Vinci

L’area di Broca3

Margherita AddaIl denaro

Gesù, il denaro a tutto tondo sei tu. Un chicco di grano, una che-wingum che alita la bocca e io, giovane aitante, volo sul mondo. Conla macchina fotografica a tracolla, vivo “misurando a passi tardi elenti” la mia povertà.

Ho piume d’uccello, una coda d’asino, stivali e pantaloni rimboc-cati. Sono incappucciata come il gatto e la volpe nella favola diPinocchio e come Pinocchio credo nell’albero dei miracoli.

Sono andata ad una festa e, quando sono tornata, ho trovato nelportamonete quattro euro in più. Miracolo!

Mi ridono dietro i sassi, un cane abbaia alla mia sinistra figura,vado mendicando un soldo, un’arcigna signora con una crocchia gri-gia mi getta dalla finestra un secchio di acqua gelata sulla testa.

Estraggo dalla borsa il “dollar bill” di Andy Warhol (il feticcio ame-ricano per eccellenza), lo sventolo in aria e lo appendo sulla portadella casa fantasma, come annuncio di prosperità.

Un bel mattino,il mio amico barbone Federico e io decidiamo diandare a Roma, come due pellegrini scalzi. Veniamo da lontano, damolto lontano, dalle verdi praterie d’irlanda, con i suoi sterminaticampi da golf e i maneggi dove pascolano cavalli di razza, da NotreDame de Paris, con le sue gotiche e suggestive guglie, dalle corridedi Madrid, insanguinate di rosso vermiglio.

La piazza è gremita di fedeli e papa Ratzinger, dopo essersi affac-ciato alla finestra e aver benedetto la folla osannante, lancia banco-note di cento e duecento euro. Che visione in questi tempi di crisi!Volete saperne qualcosa di più dei papi?

Nel tardo Medioevo erano i padroni di buona parte dell’Italia e nedetenevano anche il potere economico. C’erano preti simoniaci chevendevano gli oggetti sacri per arricchirsi e confessori che perdona-vano i peccati ai fedeli e assicuravano loro la salvezza celeste in cam-bio di denaro.

Il mio amico barbone Federico ha chiesto un piatto di minestra aun prete e, come risposta, ha ricevuto uno schiaffo morale “primavieni a sentire la messa e poi avrai il tuo piatto di minestra”.

Il denaro è il più briccone di tutti i bracconieri: stana la volpe incasa, imprigiona il lupo nella trappola.

Il denaro è una tentazione del demonio: una collega di lavoroindossa pantaloni Versace, una maglia Blumarine e mi mostra i capicostosi di vestiario, acquistati nella più rinomata boutique di Asiago,accarezzandoli con mani proterve. La guardo efferata, e ammiccandocon un sorrisetto ironico, le faccio il verso “ecco il mio Versace, maregalato, la camicetta Lacoste, anch’essa regalata”, le volto le spalle,mi genufletto e sporgo una natica, stretta dai pantaloni attillati marcaVersace, in segno di irrisione: i ricchi zii di Cittadella si servono nellastessa boutique, riempiono le borse della Caritas dei vestiti usati unpaio di volte e poi buttati, la “cuginetta” arriva con la sua piccola uti-litaria, saluta festante e stende sul letto della camera di mia madre icostosi capi. Chi se ne frega? E, intanto, senza volerlo, vesto Versacee Blumarine, facendo finta di niente e un po’ vergognandomi. Ildenaro non paga!

Il denaro spesso compra. La gloria, il successo, l’amicizia, persinol’amore. Quando questi valori dovrebbero essere sacri. Di contro ilsuccesso compra l’amicizia, l’amore.

Il protagonista di Ho servito il re d’Inghilterra di Hrabal, scrittorececo, si arricchisce, da povero che era, con i francobolli, procurato-gli dalla moglie tedesca, durante i rastrellamenti nazisti nelle casedegli ebrei.

Di contro, Tolstoj, da ricco che era, in punto di morte, abbando-na la sua elegante dimora per andare a morire, poveramente, su una

fredda panchina, stretto dalla morsa del gelo nella Russia di fineOttocento.

La conclusione di questa timida affabulazione è che il denaro siconta, ma conta poco.

C’è chi va alle Maldive, chi ai Caraibi. Io viaggio con il pensiero,accoccolata sulla sedia, davanti alla mia scrivania, e solo lì riesco adessere un po’ felice.

Luca BaiadaDue poesie

Orfana la fortuna

C’è un angolo di pausa, Getsemani fumoso,ingombro di cartacce, ceneri di speranza:è la sala scommesse, ventricolo affannosodove balena l’oro sognato in lontananza.Qui una rugosa schiera di bimbi presto vecchiribatte i duri chiodi della sua adulta età,scambiando voci roche, graffiando sguardi secchi,mentre conta i cascami sfuggiti all’onestà.Scrivono pezzi d’anima su impegni col futuro,ma breve come il fiato d’una sanguigna corsa;fissano occhi rapaci a un disadorno murodove gli schermi affondano le zampe nella borsa.Come scrutano svegli il vuoto delle ore,questi musi taglienti, questi orchi da sbadigli!Con che progetti a pezzi, con che randagio cuorescambiano ovvi segreti con pelosi consigli!La cicca maledetta fra le labbra bugiardepromette vizio sudicio, magro ma condiviso;le occhiaie di rancore sanno noie infingarde,con la merda nell’alito sotto un vile sorriso.Gli abiti esalano ombra, afrore di minestra,coi mesi calcolati a passo di cambiali.Gli sguardi hanno sudato la vita alla finestracon slanci e con miserie, in fondo sempre uguali.Questi sporchi innocenti, di colpa provvisoria,trascinano catene su un’eterna salita.L’attesa che li indebita è esilio dalla storia:pagano senza scampo la tassa sulla vita.L’ovvio che tutto stinge ha in questo tempio opacoil suo pozzo vorace, che agita marionette;come pesci in acquario sciama un’orda nel braco,mentre sulla sua carne un poeta scommette.

Ossa nella vetrina

La tomba, l’obitorio, il cheto cimitero,il gesto d’un croupier, l’occhio di uno strozzino,il muso di una biscia, il fango di un tombinohanno, quanto a freddezza, un avversario vero.Il morso dell’insonnia, la lingua di una spia,il «no» di un secondino o un assicuratoresono baci di gioia, sono doni d’amoredi fronte alla vetrina di una gioielleria.Qui oggettini conformi, banalità palpabili

L’area di Broca 4

segnano ricorrenze in muto calendario.Pezzi d’indifferenza sotto un falso sudario,beffe alla carne fragile: loro, gli inossidabili.Questo lindo deposito che sulla via scintillaè un silo di valore, cioè un orcio di lavororaggrumato nei sassi, nell’argento e nell’oro,cioè in briciole di terra. Quella rara, che brilla.Come la crosta ruvida parla della ferita,queste caccole secche sputate dalla storiasono segni che gridano le voci di memoria,fisarmoniche atroci al fiato della vita.I mucchi di metalli e sassolini cresconoe scemano, respirano, presi, cavati, sciolti,nei lussi trionfali, nei saccheggi sconvolti,sempre gli stessi, scorrono, entrano, stanno, riescono.Qui l’anello di Priamo nuota dentro un bracciale,là una gemma di Ur occhieggia in un catino.Dal tesoro dei Galli ecco un po’ di orecchino,dalla preda del Messico splende chiaro un opale.I metalli d’Egitto rubati dagli Ebrei,gli ori siriani e turchi rubati dai crociati,i bottini degli Arabi, dei barbari e Sarmatisi mischiano con l’oro grattato dai trofei.La realtà del mondo si traveste con poco,si condensa in balocchi e si liquefa in guerra.Mentre la pace fruga, Pluto il superfluo interra.La gioia nel gioiello muore, e rivive il gioco.Il luogo che scandisce i pegni del piacere,casa del regalino, deposito di ornato,è la cloaca ombrosa del segno riciclato,veicolo sotterraneo fra il perdere e il tenere.Ho un brivido di gelo, di fronte alla vetrina.Fiuto un peso di polvere, e tintinna un concerto:è un tramestio d’ossa lontano, nel deserto.E qui, spargo oro gratis: calda, effimera orina.

Cinzia BelliniSoldi soldi

Drin drin drin, non è un campanello, è il suono del cassetto chesi apre.

Si apre, drin, si chiude. Si apre e incassa. Si inizia con un fondocassa, certo che un po’ di soldi servono per partire, servono sempre isoldi, figurarci poi per partire, per dare inizio ad una nuova avventura.Inizia così dicevo, con un fondo cassa e poi , dopo un buongiorno,una buonasera ed un sorriso, la cifra, ventotto euro, trenta euro, ses-santacinque euro, duecento euro (si sa sotto Natale la gente spende),e cosa c’è meglio di un libro? E allora la vedo questa cultura farsi viva,la Littizzetto va forte quest’anno, bene anche Augias, anche questoSaviano che ha scritto sulla camorra, sì, vendono vendono, rifletto chequelli che vendono di più hanno facile accesso alla tv, e così…… drindrin drin, questo cassetto via via si fa sempre più contento, mangiasoldi, mangia soldi, dice aummmmmm buoni, ancora ancora, e io lìpronta ad accontentarlo, ecco per te altri venti euro.

Un passaggio con la penna ottica sul codice a barre et voilà, appa-re la cifra, che si somma ad un’altra e che veloci si traducono in carta,carta che passa di mano e drin, il cassetto l’ingoia.

Io sono contenta, sono contenta di avere successo, sono contenta

di vedere così tanta gente e così tanti soldi, soldi che mi sporcano lemani, sia chiaro, provate voi a maneggiare per ore del denaro evedrete i vostri polpastrelli annerirsi pieni di batteri, ma ho finalmen-te toccato un pezzo da cinquecento! Chi l’aveva visto mai un belpezzo da cinquecento! Chi lo sapeva di che colore era, se fosse statoazzurro al posto di rosso per me sarebbe stato lo stesso! E poi sonoentrata in confidenza con vari pezzi da duecento! Quelli da cento nonmi fanno più effetto, per non parlare di quelli da cinquanta, dei qualisembra che tutta l’umanità sia provvista, da cinquanta e da venti.Mentre nessuno più ha un centesimo. Che sia rimasto solo Paperonde Paperoni a possedere un centesimo? Nessuno ha più monetine!Finiti i cinque centesimi, i due centesimi, anche i dieci centesimi sem-bra che facciano un po’ schifo. Io m’impunto a darle in resto questemonetine, spesso la gente mi dice lasci stare e io: ”no no tenga, èsuo.”, e gli faccio aprire la mano per un cent., e allora soddisfattariparto alla caccia di denaro, perché questo cassetto è proprio quiaccanto a me voglio farlo felice, e allora drin drin!

Le carte, lo so, sono sempre soldi: ”Signora, bancomat o carta?”, lacanzone più in voga quest’anno è “carta, carta” che se non mi sba-glio è come dire “pagherò”, e allora via veloci operazioni, firme, ope-razioni da ripetere per il traffico elettronico, linee affollate, e pinerrati, dimenticati. Tutto si paga con la carta anche piccole spese, pic-coli acquisti, sette euro pagati con carta di credito, non ci credete?Credeteci. Invece una mamma si è presentata alla cassa con il propriofiglio ed il salvadanaio, il bambino ha pagato così il regalo che si erafatto con i propri risparmi, e l’ha svuotato lì davanti a me, insiemeabbiamo contato le monetine (per fortuna ci sono ancora i bambini)ed ha avuto il suo bello scontrino; per dirla tutta poteva contarselianche a casa i soldi!

E drin drin il cassetto si apre e si chiude e ingrassa al punto che nonne può più, al mio portafogli non è mai capitata un’avventura simile,mai una volta che non riuscissi a chiuderlo, mai! Quando è così pienodevo provvedere con velocità, devo contare questi soldi e versarli inuna bocca più grande, il viaggio è lungo, questa è solo una tappa, maaccidenti una tappa fondamentale, sì, girate per la libreria, leggete,guardate, prendetevi tutto il tempo che volete, ma poi venite qui dame, io sono qui, vi accoglierò con un sorriso e in cambio dei libri sot-tovoce vi darò qualche numero, venti euro, trenta euro, quindici, cin-quanta, ottantadue, cinque e cinquanta, mi spiace per voi ma ho quiun cassetto da far felice, ha bisogno di me, di voi, del vostro denaro.

Dimenticavo, questi segnalibri potete prenderli, sono gratis!

Mariella BettariniIl denaro e certe sue alfabetiche filiazioni

Affari – acquisti – assegni – azioni (male-azioni?) – avidità –[avarizia –

Business – banche e banchieri – banconote – beni (?) – Borse –[baratti e barattieri –

Conii – conti – contanti – commerci (spesso marci) – compravendite– crediti – casseforti – consumi – capitali –

[cambi – cambiali – corruzione – Denaro – dìnari – dollari-dollari – denaro (sporco) – debiti –Economia (tremenda eco-anomia) – estorsioni – euro (mangia-

[stipendi) – eredità – evasori –Finanze (farina-del demonio?) – frodi (spesso finanze-frodi) – fisco

[(spesso frodante) – fondi – fatture – falsari – fallimenti – Guadagno (ultra-guadagno) di ladri gaudenti –

L’area di Broca5

Help!Inflazioni – imprese – imprenditori – importi – investimenti –

[ipoteche – imbrogli –Ladrocinii – (ex)-lire – listini-prezzi – liquidi (ma ben solidi!)Mercati – multe – multinazionali – mafia – mutui (non certo

[mutuo amore) – miseria – monete (e disonore) –Niente da dichiarare (molto da vergognarsi) –Oro – opimi troni – obbligazioni –- o pure un onorario (inver

[ raro l’onore) – Prestito – paga – prezzo (la vita a troppo caro…) – padroni –

[patrimonio: povertà-povertà – Quotazioni: che quantità risibili (prive di nobiltà) –Rupìe – rubli – risparmi – ricevute – rimborsi – rate – rincari –

[ricavi – rendimenti – ricchezze (vergognose) – Saldi – soldi – sterline – strozzini – sfruttamenti – shopping –

[spese – salari – scellini – scambi – sconti –Tasse – tassi – tangenti - tesoro (loro! e dove metti l’oro?) –Usura – utili (a chi s’impingua) –Vendite – s/valute – (simoniache finanze) vaticane – Zecca: discorsi vecchi – sempre ”nuovi di Zecca”

Massimiliano Chiamentida Teknostorie

# 67. soldi: eliminate tutte le distinzioni in base al sesso al gene-re alla razza alla politica alla fede alla dinastia l’unica cosa che rima-ne a discriminare e distinguere gli umani è il denaro. il denaro èpotere e viceversa è l’essenza della vita sociale. se vuoi toglierepotere a qualcuno devi togliergli i soldi. se vuoi avere potere e vive-re bene devi avere soldi. sono i soldi la rivoluzione del mondo lacausa delle guerre e delle migrazioni. per i soldi gli uomini uccido-no senza soldi si muore. per questo quando i nazisti decisero diuccidere tutti gli ebrei cominciarono col prendergli i soldi quella fula prima mossa decisiva. una persona povera non ha mezzi perdifendersi soccombe. per questo gli immigrati che arrivano in italiaassaltano le ville e uccidono la gente ricca per i soldi per questo gliitaliani che sbarcarono in america vi portarono la mafia per i soldi.per questo gli islamici hanno decollato le torri del potere economi-co mondiale per questo i soldati italiani vengono mandati a morirein iraq per questo l’occidente invade l’oriente per questo l’orienteinvade l’occidente e il sud combatte col nord e il nord col sud ilpadre col figlio il fratello col fratello per questo le gole vengonotagliate e i malati lasciati senza cure a morire gli assetati senza acquapura: per i soldi. per questo vengono abbattuti boschi e distrutti rac-colti di arance per i soldi per il mercato per il commercio per i male-detti soldi. nummus nummus nummus. medioevo prossimo venturoanzi già presente e vigente e fetente. tutto stravolto dal consumismotutto corrotto tranne il cane il cinghiale la rondine l’oleandro. tuttocorrotto, tranne te.

Graziano DeiAl prossimo semaforo

Un semaforo, la fila di auto. Il ragazzo si avvicina con aria burbe-ra, tirata, la faccia di chi non ha dormito. Fa un cenno con quellaspecie di spatola in mano… «Capo, ehi, Capo! » E tu, pronto, con l’in-dice che vibra all’unisono con la testa e con le sopracciglia inarcate:

«No, no!» E ancora «no…» Il ragazzo insiste, questa volta prova a sor-ridere, con lo sguardo invitante, come se l’offerta fosse da non per-dere, sarà un lavoretto perfetto, una passata energica, fatta con pro-fessionalità. Non te ne pentirai. E in fondo cosa ti costa? Niente. Unamoneta, di quelle che sono lì, sì, lì in basso sotto il cruscotto. Ma sìche ci sono dài, le vedo da qui… « No! Ho detto che non ci sono, midispiace, no». A quel punto Il ragazzo torna serio, fa un’improvvisasmorfia con le labbra che significa delusione e torna a guardarti perun attimo con quell’aria torva e assonnata. Ma non ce l’ha con te, allafine accenna quasi un saluto poi si gira e se ne va. Finalmente arrivail verde, si riparte. Nemmeno tu ce l’hai con lui, anzi quell’ultimosaluto ti ha fatto provare un sottile senso di colpa, che per fortunase ne è andato velocemente.

Poi però ti sei trovato per un attimo a vagare con la mente traimmagini di roulottes sgangherate, di sigarette gettate sul prato, dibottiglie di plastica rimaste sulle panchine. Allora, forse, saresti anchetornato indietro, avresti pregato il ragazzo di lavarti il vetro, e con unsorriso un po’ forzato gli avresti allungato dei soldi.

Poi guardi in basso, le monete sono lì sotto il cruscotto, e allora,come in un gioco ti diverti a pensare al loro strano potere, alla loronatura. Ti viene da associarle a certe amanti, passive e un po’ insi-diose, appiccicose, che per quanto tu cerchi di allontanarle non timollano.

Rifletti sulla natura del denaro, sul suo abbandonarsi remissivo etenace, pensi a tutte le volte che provando un brivido quasi sensua-le lo hai tenuto ancora con te, ancora un poco. In fondo è fatto peressere posseduto, solo così si fa seducente. Pensi a quell’ebbrezzasottile che provi tutte le volte che rinunci a comprare qualcosa,lasciandoti ancora delle possibilità, in un gioco sempre più audace.Pensi a quel piacere del non fare, alla leggera vertigine di rimaneresempre sul filo della tentazione.

Allora, come per caso, allunghi la mano verso quelle poche mone-te e con un gesto leggero le inserisci nel taschino della giacca. Sonoal sicuro adesso, ancora un poco. Al prossimo semaforo non dovrainemmeno fare la fatica di scuotere la testa.

Mirco DucceschiLa povertà del denaro

Paradossalmente, anche il più blando dei discorsi sul denaro haun suo costo, che lo si voglia o no.

Parlando di denaro, siamo tutti portati a fingere di non sapere,di non ambire, di non possedere, di non esercitare. Io? Quando mai?Ce ne guardiamo bene (al punto che, dalla rabbia, non esiterei afarmi pagare).

Lavorare per sé, per i propri cari, per gli altri, per i bisognosi: cosac’è (o c’è mai stato) di più distante dal denaro?

(E per converso chiedersi: cosa c’è di meno risarcitorio dei soldi?)

Al tempo che dedichiamo a noi stessi, e più liberamente agli altri,non diamo un prezzo, non diamo di fatto alcun valore. Se qualcunoci pagasse per ciò che facciamo (e noi stessi per assurdo) ci sentirem-mo umiliati, completamente smarriti, e in breve non ci sarebbe piùpossibile alcunché. Verremmo spazzati via con la nostra unica ric-chezza, che è solo quella di un tempo interiore vuoto e immane.Privati della libertà di dare diventeremmo pazzi o finiremmo perimplorare chicchessia di renderci schiavi per sempre.

L’area di Broca 6

Cosa c’è di più povero del denaro?

È questo che non ho mai condiviso in Marx: che ha lasciato valo-re di merce a qualcosa che è un bene solo una volta smaterializzato.

Anche il sindacalismo dei nostri giorni è un sindacalismo intima-mente capitalistico e laddove non lo è, e si conserva ideologico, ètanto anacronistico quanto vacuo. Il fatto è che ogni scala di valori siè ormai cristallizzata su una mera disputa economica o incancrenitasu un’altrettanto sterile avversione di fondo, ridotta insomma, secon-do i casi, a mercimonio o ad anatema. Se ogni altra idea di giustiziatarda ed è lontana, la responsabilità è tuttavia soltanto nostra: mai chesi osi promuovere un’etica più alta che scompagini questo tristemondo del lavoro.

Lavorando da anni a meno di 500 metri da un inceneritore, almomento di destinare il beneamato TFR sceglierò senz’altro chevenga cremato.

Alla soglia di povertà dovrebbe ragionevolmente contrapporsi unasoglia di ricchezza, ma siccome per tolleranza non si impedisce anessuno di diventare barbone…

Il denaro chiarisce bene solo ciò che siamo disposti a fare perpossederne. Non ci dice di che pasta siamo fatti, ma quanto stimia-mo di valere.

Il denaro non è fonte di ingiustizia, ma il suo possesso in qual-che misura lo è sempre, se non altro potenzialmente. Avere moltisoldi non rende di per sé ingiusti, è vero, ma estendere il proprio iotramite loro sì.

Non si può scendere a patti con il possesso. Gesù ha detto che è meglio non avere, ma non è stato ascoltato,

le rivoluzioni hanno ripetuto che è meglio che tutti abbiano, mahanno fallito. In un caso come nell’altro non si sarebbe mai dovutiscendere a patti. Anche il più piccolo compromesso, infatti, non è cheun capestro.

I borghesi hanno sempre vissuto dietro alti cancelli proprio comeci vivono oggi, i buoni compagni di adesso, come quelli di un tempo,dietro più modesti cancellini. Eppure, un tempo, il loro sguardo diproprietari non era così velenosamente uguale.

Il denaro mantiene le distanze

Il tempo è denaro. Bisognerebbe uccidere chi lo ha detto propriocome quando si incontra il Buddha.

È a causa del sacrificio di possedere denaro che le chiese sonoquasi sempre chiuse.

Le autorità ecclesiastiche ci ripetono di continuo cosa fare delnostro povero corpo, nella calura della fregola come nelle devastazio-ni della malattia, ma non sprecano parole sul destino delle nostrearrabattate ricchezze, proprio laddove il Cristo ha fatto l’esatto contra-rio. Così, capita ancora che qualcuno, non sapendo bene cosa farne,alla fine dei propri giorni le lasci a loro.

Ciò che nel denaro non è mai stato soggetto a svalutazione è ildesiderio di possederne.

Ci sono sempre compratori e ci sono sempre comprati. Il denaronon è potere. Non lo è mai stato. Anche un cane fa ciò che vogliamose gli agitiamo davanti al muso un osso di bistecca. Ora, questo nonfa ancora di noi il signore degli anelli.

Il denaro perde ogni fascino se non si può comprare qualcosa,come perde ogni potere se gli altri non ne riconoscono più il valore.Fa tristezza che sia stata la storia (e non il cuore e non l’intelligenza)a mostrarci quanto sia infinitamente più preziosa una semplice patata.

Quando ricchezza e povertà sono termini correlati, il denaro quasinon c’entra. Possiamo anche credere di avere una parte del tutto irri-levante in ciò che rende così ingiusto il mondo, e tuttavia il denaro èsempre colpa nostra.

Il denaro è quel linguaggio universale che ciascuno parla da solo.

La generosità non è di tutti, è vero, essa riguarda infatti solo chi haqualcosa da dare, con tutto ciò che ne consegue. Sollievo o sensi dicolpa, principalmente, i due modi gemelli di guardare la stessa cosa:una condizione spirituale (e filosofica) percepita come negativa madifficile da gestire come tale. È senz’altro bene essere generosi, mafinché lo si può essere è giusto ricordare che non si è ancora abba-stanza distaccati dalle cose per poter semplicemente spartire.

Il denaro come protezione.

Senza soldi non si sono mai fatte guerre, tutt’al più rivolte.

Un tempo con il denaro si acquistavano tranquillamente le indul-genze. Oggi, con il crollo del potere di acquisto, ci si deve accon-tentare tout court dell’indulgenza.

Concepisco il possesso di denaro solo al fine di difendere la liber-tà intellettuale. Lo so che è un fine semplicemente spregevole, ma èanche l’unico fine che danneggia interamente chi lo persegue.

Creso e Arpagone sono due versioni esemplari dell’angoscia in cuida sempre si lacera il mondo.

Il primo soffre che la ricchezza si riveli un ostacolo quando si trat-ta di nutrire l’anima, il secondo che chiunque ce ne possa privaresenza che per questo l’anima ne risulti nutrita.

Se tutti fossimo ricchi nessuno più lo sarebbe; è quasi stupidoannotarlo se non fosse che continuiamo ad inseguire la ricchezza conuna bramosia così disperata da svelare i tratti di una cieca sete di ven-detta. Non risulta infatti essere mai stata veramente la povertà quellache vorremmo debellata e sconfitta, quanto invece la ricchezza in séche inconsapevolmente vorremmo morta, triturata, fatta a pezzi, fla-gellata, distrutta e immolata, da infaticabili deicidi quali siamo. In que-sto senso trovo sia ancora adeguato parlare di dio denaro.

Nessun ricco, da tempo, si vergogna più di esserlo, mentre aipoveri succede sempre più spesso. (Secolarizzazione?).

La cruna dell’ago e il cammello. La facilità con cui si può avere acces-so. Certo, bisogna anche dire che oggi si trovano in commercio aghimolto più grandi (e che tutto è diventato terribilmente più complesso).

Quando ancora oggi sento dire «l’anima del commercio» mi doman-do come sia stato possibile mettere anche solo in discussione quelladell’embrione.

L’area di Broca7

Di fronte allo scenario di un capitale accumulato che sta ormai peringoiarsi il mondo - un mondo in cui ben presto avremo diritto di cit-tadinanza solo se consumatori o produttori materiali di beni - lanostra passività morale è sconcertante proprio come lo è sempre stataquella dei più di fronte al sorgere delle peggiori dittature. «Come dia-volo intervenire?» si interrogavano costoro. Noi che dobbiamo aggiun-gere: «Se siamo già tutti piccoli azionisti di qualcosa?»…

Oggi San Francesco sarebbe per tutti «uno che non ce l’ha fatta».

Senza il denaro forse saremmo semplicemente persi nel dare unapriorità ai valori terreni, ma le cose tornerebbero ad essere semplicicose, questo è certo. Ciò che non possediamo non sarebbe più ciò cheancora non posso permettermi, sarebbe ciò che ora non c’è e basta.

Lo so che non è possibile eliminare il denaro, esattamente comenon è possibile eliminare l’alfabeto con il quale parliamo, e almenonon finché entrambi continueranno ad essere ritenuti l’irrinunciabileespressione di chissà che cosa.

Ciò non toglie che, nell’uno come nell’altro caso, non compresi,sia già possibile tacere.

Alessandro FranciNostalgia della miseria

“Chi abbia letto le altre pagine di que-sto libro si sarà forse convinto che io siaun sognatore. Costui si ricreda. Per esse-re un sognatore mi manca il denaro.”

Fernando Pessoa(da Il libro dell’inquietudine)

L’individuo sogna colpevolmente; non possedendo più niente,ormai depredato di patrimoni o risorse, si lascia travolgere senzamisura da sterili aspirazioni e da smanie. Se riuscisse, non a sognarepiù, ma almeno a dimenticarsi del suo status, forse potrebbe vedererealizzato qualche progetto. Così, infatti, vaneggia rincorrendo chime-re e assaporando poi, dopo ogni risveglio, amarezze e disinganni.Alla fine però dovrà persuadersi a scendere da quell’inutile piedistal-lo di sicumera che si è fabbricato nei secoli, e rivelare finalmente,anche a se stesso, il vero volto. È il denaro che lo rende unico! Finoa quando si dedicherà a scorrazzare nel desiderabile o anche nelnecessario alla propria sopravvivenza, privo di quell’identità che loriscatti dalla sua meschina natura, resterà sempre un individuo. Unindividuo pensante, autonomo, libero e utopista dei peggiori. È solo;non è prevista alcuna relazione con società, istituzioni o enti, o altrerealtà oggettive. Sono rapporti disciplinati da codici, norme, leggi,convenzioni, dove il denaro è il tramite che facilita o il muro che ritar-da, oppure impedisce i medesimi rapporti. La necessità di un lavoro,di una casa, di un servizio, è dei “non occupati” o “disoccupati”, dei“senza casa”, degli “sfrattati”, degli “utenti”. Pur di non nominarlo lozibaldone di sinonimi si rigenera senza soluzione di continuità.Sarebbe imbarazzante, infatti, conoscere quali sono i reali bisogni diun individuo, quindi è l’identificativo che necessita di cure e attenzio-ni. Chi non ha un lavoro e pertanto non può avere neppure un allog-gio, che dorme sotto un ponte, riacquista subito quella nobile e anti-ca dignità rimasta indelebile solo nei romanzi, anche se per evitarel’imbarazzo di considerarlo appena umano, si ricorre normalmente al

senza fissa dimora, o ancor meglio al barbone, almeno che noncommetta reati altrimenti è persino un balordo. L’individuo è pove-ro, anzi un vero e proprio nullatenente. Dovrà affrancarsi da una cosìspregevole condizione per poter sognare ancora. Di fronte a qualsia-si esigenza, dovrà presentarsi munito di denaro. Povero com’è, nonavrà la soddisfazione di veder realizzata anche la più elementare dellefantasie. È il “cliente che ha sempre ragione”, l’avventore, quindi,l’individuo che ha, non lo spiantato idealista; chi entra in un luogo e,dopo aver corrisposto del denaro, ha anche il diritto di protestare, seritiene di non essere soddisfatto delle prestazioni o beni ricevuti.Senza il denaro, quella carta di identità essenziale non ha alcun dirit-to di protestare. Non ha accesso alcuno a quel bene o a quel servi-zio, infatti “a caval donato non si guarda in bocca”, come dire: nonhai speso un soldo, vorresti pure protestare? Si dona sempre all’indi-viduo; ma la dignità te la dà il denaro solamente, non certo la sostan-za morale e civile l’onorabilità che distingue. Con l’avvento del con-sumatore, tuttavia, anche i bisogni finalmente si sono elevati, e cosìanche i sogni. La sua condizione poi, più di altre, senza il minimoscandalo è accettata e persino raffinata, nel senso peculiare, da agget-tivi quale “consapevole”; come a specificare la premeditazione di undelitto verso la libertà personale: non sono un semplice consumato-re, bensì un consumatore consapevole, cioè non solo non sono unindividuo, ma non lo sono pur essendone consapevole. Oppure,essendo consapevole di essere un consumatore, almeno mi prendo lalicenza di consumare senza approfittare degli altri, venendo comun-que meno al mio diritto di essere un individuo. La possibilità di scel-ta, il medesimo desiderio, sono limitati dalla “qualifica” di consuma-tore; non è una persona a scegliere, a desiderare, a volere o persinoesigere, ma sono tutti presupposti che la escludono o l’autorizzanosoltanto se pensa, agisce, desidera da consumatore.

Ma sarà bene ammettere che, finalmente, da consumatore ci si puòpermettere il vero lusso, che non è quello di spendere il proprio dena-ro a piacimento, ma quello di non pensare, di non decidere e addirit-tura di non desiderare. Da individui saremmo costretti, nostro malgra-do, a farci venire in mente esigenze e persino desideri. Tutto ciò, affi-nato ormai in un contesto ben codificato, ci è suggerito e imposto dachi, al posto nostro, ci fornisce, suggerisce, stimola l’esigenza. Per for-tuna ora l’autonomia di giudizio potrà essere relegata nei decadentimusei destinati all’intelligenza dell’umanità, dove da tempo vengonoconservate virtù rugose, indossate come abiti logori da quegli indivi-dui che ancora hanno dubbi, che si pongono domande, esitano eriflettono. Ma cosa vi è di più piacevole che facilitare la propria esi-stenza scansando qualsiasi fatica, qualsiasi sforzo, dal momento checon poco denaro si può acquistare persino qualcosa di cui mai avrem-mo bisogno. Ma perché, viene legittimo chiedersi, c’è ancora almondo chi crede di poter opporsi a simili traguardi? È davvero scioc-co pensare che ancora l’individuo possa badare a se stesso come neimigliori romanzi, che possa eguagliare quella dignitosa miseria.

Di fatto, quando la miseria era diffusa, aspirare a un bene signi-ficava che senza di esso, la possibilità di sopravvivere si riduceva oaddirittura si annullava. Perlopiù il bene era un morso di pane, illatte per i bambini o un raro pezzo di carne per i più bisognosi; lapenuria suggeriva semplici sogni: pochi spiccioli per riscattare unadignità polverizzata dal bisogno spietato. Torme di miserabili si aggi-ravano nei sobborghi e tra i vicoli di grandi città alla ricerca di avan-zi, elemosine, o addirittura pretendendo lavori, benché umilissimi,barattandoli con una minestra. Ai margini delle ricchezze, individuidi ogni genia erano pronti a tutto, in cambio di un pur timido sognoche permettesse loro di sperare ancora in un altro po’ di sopravvi-venza. Gli indigenti più giovani, o anche soltanto i più sani, nel buiodelle incertezze, potevano concedersi (quasi fossero fortunati) lacontinuità di quel sogno, scambiando la propria fatica con qualche

L’area di Broca 8

moneta. Inconsapevoli si stavano avviando verso la propria deriva,perdendo definitivamente le virtù che fino a quel momento li aveva-no resi noti, effettivi, singoli nelle moltitudini ancorché provati dallafame e dall’esclusione. Già chiedevano – pur di uscire definitivamen-te dalla spiacevole condizione di individuo – un segno distintivo cheli indennizzasse, che li rendesse partecipi di una vita nella qualesarebbero stati veri protagonisti. Un solo soldo in tasca, li avrebbefinalmente sospinti in un altro luogo fino a quel momento sognato.Per far questo avevano capito che l’unico modo era richiedere il solodocumento di identità possibile: quella moneta. Ancora non vi eranoutenti, consumatori, clienti, ma soltanto individui. Ed è stato que-sto il gran passo: la scomparsa dell’individuo! Con la sua sparizioneanche l’indigenza è scomparsa; quella miseria è stata sospinta altro-ve dalle contraffazioni imposte nei sistemi economici occidentali.Relegata ormai nelle zone più appartate delle coscienze. Persino lafame finalmente ha una sua rispettabilità. Se l’occasione, infatti, èquella di notare quanto un tempo la scarsezza di cibo avesse un pesosociale quale adesso è per altri meno fortunati, non si tende mai adevidenziare l’assenza del cibo come ragione preminente, bensì vieneelencata la qualità e la quantità di quel poco cibo esistente. Non èstimata l’assenza ma, comunque sia, soltanto la presenza. Sul concet-to di fame, non si parla di mancanza ma di insufficienza. Chi peresperienza diretta racconta la fame subita, non si riferisce propria-mente all’assoluta mancanza di cibo, perché è vivo e può testimonia-re. Chi ha provato la fame fino in fondo, non appartiene più alla cate-goria dei testimoni; la fame è la morte. I racconti delle passate care-stie sono incentrati non sugli stomaci vuoti, bensì sui tentativi diriempirli. Nei racconti dei sopravvissuti alla fame c’è la presenza dipochi frutti carpiti ad alberi già spogli, di pani secchi, di animali soli-tamente rifiutati, ma infine ugualmente uccisi e divorati; ci sono radi-ci, scarti, bucce, sostanze immangiabili mangiate lo stesso. Dove nonvi è stata neppure la pochezza di un magro raccolto, c’è il nulla.Popoli interi nei secoli hanno fuggito la fame, cercando in un qual-siasi altrove la salvezza: il cibo. L’insopportabile infamia, la grandecolpa dei popoli affamatori sta nell’assassinio taciuto, anzi giustifica-to dal marchio di brevetto sulle sementa, imposto da organizzazionieconomiche di stampo inqualificabile, che in virtù di presunti pro-gressi della scienza creano la fame invece di debellarla.

Gabriella MaletiIl portafoglio

Il portafoglio gonfio di danaro era lì sul tavolo. L’aveva appoggia-to l’uomo, con delicatezza, rientrando. Ora lo guardava da lontano,dalla poltroncina consunta dov’era andato subito a sedersi. La finestracentinata alle sue spalle aveva alcuni vetri rotti, riparati con pezzi dicompensato, così, da quelli sani, arrivava un residuo di tramonto, unaluce rossastra sporcata dal nero del crepuscolo.

Il portafoglio dalla gran pancia, nella luce che mutava velocemen-te all’interno della stanza, assumeva colori diversi. Non era più rico-noscibile quella bella tinta marron chiaro, né si vedeva la consunzio-ne degli angoli. Ora pareva un tozzo scuro animale nell’ombra, o unpezzo di pane nero.

Camminando spedito e un po’ curvo, avvolto nello spolverinobeige scuro e malandato, l’uomo, per strada, l’aveva già aperto: erazeppo di soldi. Il cuore s’era messo a battere veloce. Così l’avevarichiuso, di colpo, col rumore basso ma secco di due parti che si riuni-scono. Poi l’aveva infilato nella tasca dello spolverino.

Ora, seduto, lo fissava da un po’. Quasi lo temeva. Poi, appoggian-dosi ai braccioli della poltrona si alzò, andò lento al tavolo, prese ilportafoglio e tornò a sedere. Lo fece girare tra le mani, poi lo aprì.Contò il danaro. Proprio quello che gli serviva. Da quanto avevaaspettato di trovare un portafoglio per strada? Anni. Oramai il buio erasceso e nella stanza non si distinguevano che ombre, anche se la lucedi un lampione esterno entrava di sguincio nella stanza, tagliando insegmenti luminosi qualche oggetto, una sedia. L’uomo, con il porta-foglio sulle ginocchia, allungò le mani sul tavolinetto accanto e acce-se la candela ficcata in un bicchierino da grappa. Subito la fiammaapparve, tremò, per assestarsi più sicura. Ma non tanto. Nel chiaroresi intravide un letto appoggiato a una parete, un tavolo quadrato conqualche piatto sopra, un catino, un secchio a terra, una brocca e unabottiglia di plastica in un angolo, una sedia coperta di indumenti but-tati alla rinfusa e un paio di scarpe. Ci sarà stato sicuramente anchequalcos’altro, ma non si distingueva. L’uomo accostò una sigaretta allafiamma della candela. Da quella luce emerse un profilo secco, conlabbra appena accennate. Fece tre, quattro tiri, e il fumo copiosonascose subito quelle fattezze.

“Che fai, Maso?”, gli chiedeva la donna, sorridendo.“Niente”.“Hai scritto qualcosa, oggi?”L’uomo, seduto sotto al portico, faceva una smorfia piegando la

bocca all’ingiù, gli occhi bassi. Era un diniego. Allora lei lo accarezza-va sulla testa: “Vai a chiudere gli animali, vai…”, gli diceva in un sus-surro. C’erano da rinchiudere le galline, le anatre, il maiale. Lei por-tava l’acqua in casa dal pozzo, accendeva la lampada ad olio, accen-deva il camino, chiudeva le imposte sghangherate. Poi dalla porta loavrebbe chiamato.

“Maso, hai finito? Maso! Vieni!”.“Arrivo…”.A lunghi passi l’uomo si dirigeva verso casa, poi però svoltava a

destra. Andava nell’orto a strappare qualche pomodoro e foglie diradicchio. Quand’era stagione entrava in casa dicendo: “Le cipollesono ancora indietro. Peccato”.

“In compenso abbiamo le patate, durano ancora”, diceva gioiosa-mente la donna.

L’uomo, seduto al tavolo, si passava le dita sulla barba di quattrogiorni.

“Ma non ti fai la barba?”, chiedeva lei.“Sì sì…”, rispondeva annoiato, poi sospirava lasciandosi andare

allo schienale della sedia.“Ma insomma, non ti viene proprio niente? Intendo, il tuo lavoro

non va avanti?”Con le mani incrociate dietro la nuca, i gomiti larghi, l’uomo

rispondeva: “Il mio lavoro si è fermato. Non so più scrivere. Anzi,forse lo saprei fare, ma appena mi metto al tavolo e penso alla scrit-tura mi viene da alzarmi e andare a zappare l’orto”.

“Ooh, perché?”, chiedeva lei, dispiaciuta, e poi costernata: “maperché?”

“Non te lo so dire. È come se trovassi tutto inutile. Come se tro-vassi vita solo tra erbe, radicchi, finocchi, patate; insomma, nella natu-ra, in quello che ci permette di avere. In aperta solitudine. Ad esem-pio: vedi questo radicchio rosso, forte, consistente, questo radicchioche ho appena colto?”. Aveva alzato il mazzo di radicchio e lo stavamostrando alla donna, intenta a rigirare qualcosa in un tegame sullastufa a legna.

“Ehi, guarda!”, aveva detto l’uomo col radicchio che penzolava.“Sì, sì”, aveva detto lei, girando il capo.“Dicevo, vedi questo radicchio rosso?”“Sì, sì, certo!”

L’area di Broca9

“Bene. Io parlo naturalmente col radicchio. Con il foglio bian-co, no!”

La donna aveva sospirato, dicendo poi: “Però, se tu continuassiquel romanzo, qualche soldo finirebbe sul tavolo. Dovresti sforzarti,cercare di andare avanti… infine, sei uno scrittore…”.

L’uomo non rispose. Aveva abbassato radicchio e capo. Poi eraarrivata la minestra fumante nel piatto. Assorto, l’uomo sentì come dalontano la voce della donna che gli diceva: “Dovresti fare un po’ dilegna… domani”.

Qualche tempo dopo, un mattino, alzandosi, l’uomo non la ritro-vò. La donna se n’era andata. Sul tavolo, accanto alla scodella dellafrutta dove giaceva qualche mela raggrinzita, rinvenne un biglietto:“Addio, Maso”. Vicino aveva lasciato due banconote di basso tagliotenute insieme da una forcina per capelli: “Ti serviranno”, aveva scrit-to sul retro di uno scontrino del mercato.

Ora l’uomo fece un piccolo balzo sulla poltroncina: il mozziconedi sigaretta gli stava bruciando le dita. Con un grugnito lo buttò aterra, schiacciandolo brutalmente col tacco.

Era venuto via pure lui dalla bicocca di campagna, aveva vendu-to il pollame e il maiale, ricavandone qualcosa. S’era trovato poi quel-la stanza miseranda, dove ora abitava, in un casale abbandonato allaperiferia della piccola città. Un po’ l’aveva sistemata portando con uncarrello del supermercato, trovato per strada, qualche masserizia dellavecchia casa. Un camino nella stanza c’era, e anche la legna era repe-ribile all’intorno. Il casale era circondato da campi incolti, e sentieriche si inoltravano in un boschetto poco lontano. La piccola città vici-na distava da lì circa due chilometri, che l’uomo si faceva mattina esera. Arrivava nella cittadina al mattino verso le dieci, andando asedersi in un punto strategico di passaggio. S’era abituato a stare così,con le gambe incrociate, in quel punto, ponendo davanti a sé un pic-colo recipiente tondo di rame, trovato nel casale abbandonato. Poiaspettava a testa china. Gli occhi chiusi. Si udiva un gran scalpiccìodi passi e ogni tanto qualche moneta cadeva, fornendogli, se pur avolte assopito, un suono benefico. Quando era certo di non esservisto, toglieva la moneta rapidamente dal recipiente, intascandola. Peril resto, rimaneva immobile. Aspettava. All’imbrunire qualcosa avevaraccattato. Allora tornava al suo rifugio, facendo ballare con unamano le monete nella tasca. S’era anche fatto un piccolo orto, dietroalla colonica. Aveva trovato qualche attrezzo arrugginito, da contadi-ni. Zappe, una vanga, una carriola di legno con la ruota in buonecondizioni, della grossa corda, due canestri, una falce con la lamaintaccata in vari punti. “Avrà incontrato sassi, arbusti…”, aveva pen-sato l’uomo, passando un dito su quella lama, quasi carezzandola,lieto di quel ritrovamento.

Col tempo s’era anche comprato un quaderno a quadretti e un paiodi biro blu. Ma tutto era rimasto sul tavolinetto, intonso il quaderno,incappucciate le biro. Erano anche ora, lì, accanto a lui e al danaro.

Poi, il ritrovamento di quel portafoglio, un qualcosa di scuro aterra, forse di indefinito ma, ai suoi occhi, chissà perché, ben chiaro:un portafoglio. Ora lo teneva stretto nella mano, sulle ginocchia.Sentiva la bella sensazione della pelle morbida (un portafoglio da ric-chi), imbottita. Pareva una spalla della donna da lui fuggita. Tonda.Quella spalla di portafoglio era quasi calda. Avrebbe voluto tenerlasul cuore, invece mosse alternativamente il pollice e l’indice ad acca-rezzare quella pelle, quella rotondità, per lungo tempo. Poi si fermòe alla luce della candela lo aprì. Tirò fuori lentamente il danaro, loguardò, contandolo. Quanto era! Fra sé pensò: “Mio Dio!”. I soldirimasero così, ammucchiati disordinatamente sul tavolino. Poi, l’uo-mo esplorò le tasche interne del portafoglio. Ne uscirono spiccioli,

carte di credito con nomi astrusi, stranieri, numeri di telefono, prome-moria e, infine, la carta d’identità. L’aprì incuriosito. La foto di ricono-scimento rappresentava un viso tondo d’uomo – forse glabro –, gliocchi grandi e chiari guardavano davanti con senso di stupore, men-tre il naso tondo a maialino era rivolto un poco in su. Le labbra abba-stanza carnose, semiaperte, parevano attendere una spiegazione,mentre sulle gote, alquanto rubiconde, ci si aspettava di trovare stra-de e vicoli di venuzze rosse, come di chi beve. Le sopracciglie nonavevano voli, piatte si stendevano sulle arcate occipitali come dueminuscoli materassi a coprire quello sguardo sorpreso, quegli occhiimbambolati..

L’uomo guardava ora la fotografia, ora il danaro sul tavolino.Niente corrispondeva. Come poteva possedere tanti soldi un tontosimile? I capelli, poi, fluenti e ondulati, chiari, non gli coprivano leorecchie, che sembravano uscire un po’ slabbrate, da parere molli.“Ma no, – disse forte l’uomo – le orecchie stanno in piedi ben sode,non possono essere molli, caso mai il lobo…”, guardò più da vicino:“È vero, tendono un po’ all’esterno, ma…”. Ghignò. Dopo un’ultimaocchiata a quel volto ridivenne serio. Sollevò, parve con soddisfazio-ne, una banconota e la avvicinò alla fiamma della candela. Subitoprese fuoco. “Certo – disse – certo!”. Osservava il rattrappirsi deldanaro come se non lo riguardasse. Divenne cenere. L’uomo vi passòun dito sopra, poi se lo guardò. Polvere. Sollevata la carta di identitàmise alla fiamma anche quella. Via via, dapprima stentatamente e poicon ardore, s’incendiò. Il fuoco abbracciò il viso del tonto, gli scom-parvero lentamente i capelli, gli occhi, le orecchie, la bocca, il mento,arrivando al nome, all’indirizzo, alla professione. “Ehi ehi, che profes-sione era la tua per avere tanti soldi!”. L’uomo aveva tentato di leg-gere, ma il fuoco stava facendo scomparire tutto. Rimase una picco-la fiamma che venne alimentata con altro danaro, e poi ancora, eancora, fino a quando fogli infuocati non caddero sul bracciolo dellapoltroncina. Il piccolo incendio si allargò, il velluto verde scuro presenaturalmente fuoco. All’inizio non faceva quasi rumore. Poi venneattaccato dal fuoco anche il tavolinetto con sopra il quaderno a qua-dretti e le biro che, lentamente, come storia non scritta, si disfecero.Ora cominciavano i crepitii.

L’uomo s’era portato al fondo della stanza, accanto alla porta. Dalì guardava. Scaldandosi.

Alessandro MirannaltiLa moneta cattiva

Il cugino Alfonzo, al quale i suoi genitori tenevano tanto per unadimestichezza che risaliva agli anni dell’infanzia, non aveva perdona-to a Beniamino l’iscrizione alla facoltà di Economia e Commercio,sembrava che la considerasse una specie di affronto fatto apposta alui. Questo parente a Beniamino col passare degli anni era rimastosempre più antipatico. Ora poi non poteva proprio sopportarlo conla sua cultura, la sua onestà, la sua modestia, le sue ironie, sicché aquel pranzo non voleva assolutamente andare, e soltanto per le insi-stenze della madre alla fine accondiscese. Tanto più che il vino avevapotere di estrarre dal garbo del cugino Alfonzo forti dosi di aggressi-vità. Il pranzo invece andò benissimo, anche per Beniamino: squisi-tezza e abbondanza nei cibi, vini di qualità secondo tradizione alfon-ziana, ironie e motteggi con punzecchiature anch’essi secondo tradi-zione, e la migliore, perché Alfonzo, persona intelligente, buon par-latore, informato, se in vena e non avversato da malumori, è perso-naggio interessante e spiritoso, e la moglie donna di primordine.Benissimo andò comunque fino al gelato. Con la mousse di ciocco-

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lato in coppetta e il cucchiaino in mano nell’atto di aggredirla,Alfonzo si rivolse, in perfetta buona fede, a Beniamino: “Ti dispiace-rebbe spiegarmi il senso profondo del famoso apoftegma: la monetacattiva caccia sempre quella buona?” Il ragazzo si mise a ridere: “MaAlfonzo, faccio il primo anno, per ora studio matematica, diritto, lin-gue, e poi mi sa tanto che i nostri studi tendano a formare più deicommercialisti che degli economisti!” La risposta non soddisfece pernulla il cugino Alfonzo, e tanto meno la risatella che l’aveva precedu-ta: finì il gelato, si versò un buon bicchiere di vino e lo buttò giù congusto, poi disse: “Non mi sorprende che proprio un economista nonsappia spiegare uno degli apoftegmi fondamentali della sua discipli-na: oserei dire che il profilo lo e-si-ge.” Livelli di guardia nell’aciditàdel sarcasmo: “Oddio!, si disse Beniamino, ci siamo!” Vino purtroppon’era scorso parecchio.

E così iniziò la tirata: “Ogni universo ha sue leggi che lo regolano.La ragione umana nella sua opera indefessa di indagine e decrittazio-ne del reale procede individuandone approssimazioni progressive chepoi condensa in definizioni, simboli, apoftegmi, che hanno l’utile pro-prietà di riassumere in fortissima sintesi concettuale il loro senso.Ebbene, l’economia – di cui io spudoratamente di fronte a costui mivanto di non sapere nulla – possiede un apoftegma di un’efficacia cosìpotente che a me pare, quando ci penso, quasi impossibile sia scatu-rito dal seno di quel mondo arido, freddo, materialistico, gretto, utili-tario, angusto, asfittico. Tale apoftegma è riferito alla moneta e recita:la moneta cattiva caccia sempre quella buona. Se qualcuno mi chie-desse che cosa ciò voglia effettivamente dire, in termini economiciintendo, io non saprei rispondere, e perciò chiesi lumi, ma invano, algiovine accosto sedentemi. Io mi sono fatto l’idea di un significato, manon so in coscienza se si tratti di interpretazione corretta o di una miamera invenzione. Insomma il significato di cui dico è il seguente:quando in un paese, in una regione, in un contesto economico qual-sivoglia, insistano due monete, una buona, cioè basata su valori reali,garantita da uno stato ricco e prospero, da una banca fornita di riser-ve auree, seria, positiva ecc., e un’altra moneta, invece, fondata sucarta, voci, credenze subdolamente diffuse ecc., ebbene quest’ultima,basata sul nulla, sulla menzogna, sulle illusioni, su aspettative indotteingannevolmente, scaccia quella concreta, solida ecc., nel senso chetutti si buttano a comprare la fasulla, scambiarla, commerciarla ecc.lasciando l’altra a dormire nei forzieri. Ebbene, c’è in quest’idea un’in-tuizione profondissima. Perché coglie nel segno, è anzi una descrizio-ne perfetta della realtà sociale. Dovunque e sempre si constata – e gliautori di tutte le età sono pieni di stupore e di sconforto nel notarlo– che tutto ciò che è bene, è bello, grande, degno d’ammirazione edi rispetto, giace negletto, abbandonato, se non deriso e osteggiato,mentre al contrario ciò che attiene al male, il volgare, il meschino,l’abbietto, lo spregevole è in grande auge, domina, impera da tuttirispettato e riverito…”. Il tono diventa via via più pedante, perento-rio, invadente, e la voce stentorea, soverchiante, sicché la moglieinterviene sempre più spesso: “Alfonzo, ora basta bere, parla piùpiano, ma stai calmo…”. Ma tutto è vano: Alfonzo, alquanto alterato,non si ferma: “Perché il problema di fondo dell’homo socialis è chevu-o-le essere ingannato. Tutti vogliamo essere ingannati. Perché? E’un fatto: desideriamo essere ingannati, siamo alla ricerca continua del-l’ingannatore. Perché? La verità è che l’ingannatore impera perché noilo a-mi-a-mo. Cosa ha di tanto seducente l’ingannatore? Eppure loconosciamo bene, sappiamo che è mentitore, imbroglione, farabutto,e sappiamo anche che egli ci disprezza, ci ritiene inferiori e sprege-voli, lo sappiamo, ma tanto più lo vediamo mentire, disprezzarci,offenderci e farsi beffe di ogni legge umana e divina, tanto più noi nesiamo affascinati e…”. “Basta, Alfonzo, sei ubriaco…”. Insomma ilpranzo finì in un duro litigio tra moglie e marito, gli ospiti ammutoli-ti, interdetti. Quando arrivarono ad andarsene, la moglie espresse il

suo avvilimento e le scuse, Alfonzo in camera a smaltire i fumi. I geni-tori di Beniamino restarono assai mortificati e se ne andarono mogimogi, il figlio non disse verbo, ma dopo di allora in casa non si parlòpiù di inviti a pranzo del cugino Alfonzo.

Maria Pia MoschiniLadri

Era di coccio, rotondo come una palla, gli occhi in rilievo: duesporgenze inerti. Il maialino salvadanaio.

Io e lui, il Fratellino Atipico, lo chiamavamo Nini, come il maia-le del contadino. Goloso, inghiottiva le monete in silenzio, si appe-santiva rigido sulla mensola di marmo.. A volte, il desiderio di unlibro, di una scatola di matite Giotto, di un’automobilina a carica, ciassaliva.

I nostri genitori consideravano la povertà una punizione divina.Lui no, il maialino era ricco, avido, potente.Quelle monete ci erano state regalate dagli zii senza figli, dai

nonni impietositi.Una sera, pensando a una piccola giostra musicale, togliemmo l’i-

dolo dalla mensola di marmo e, con un temperino, cominciammo araschiare la fessura sul dorso.

Non aveva tappi né fori nel sottopancia: era un vero salvadanaio,un archetipo.

Raschia, raschia, la fessura si allargò e i soldi cominciarono acadere sulla coperta. Silenziosi.

Li contammo increduli: la giostra era nostra.In ultimo cadde sul letto un pezzo di carta piegato in quattro.Il Fratellino Atipico, spaventato, si tappò le orecchie cominciando

a cantare. Io, che sapevo leggere, spiegai il foglio come sospinta daun vento di morte.

Al centro del biglietto un occhio disegnato col carbone e sottouna parola lapidaria, terribile: LADRI.

* * *

Urlavano nel lungo corridoio buio, accusandosi: le due cognate,mia madre e mia zia, due belve intorno a un osso. L’osso era la pen-sione di guerra della nonna, una miseria, ma quei pochi soldi appe-na riscossi alla posta con una croce (mia nonna era analfabeta), spa-rivano subito dopo il rientro a casa.

- Ladra… ladra… – gridavano con voci sorde per non farsi senti-re dai vicini che, tutti i mesi, si aspettavano quella scena ed eranogià affacciati alle finestre delle case campanile.

Lei, la nonna, nel suo vestitino nero di Rayon un po’ sghembo,ridacchiava fra sé e sé e mi teneva la mano sulla testa mentre dice-va: – Meno male che non somigli a tua madre, meno male . . . –.

Correvo a guardarmi allo specchio mangiato dal salnitro, vedevoun viso bianco da santa e capelli lisci, pettinati di lato, ordinati. Lalite finiva al tramonto per proseguire il giorno dopo in altra veste.C’era il frugare, il cercare di soppiatto, il rovistare. Invano. Poi lanonna cominciò a dare segni di demenza senile e quella pensione furiscossa per delega dal figlio maggiore.

Dei soldi scomparsi? Nulla. Poi, una sera, mentre con il FratellinoAtipico giocavamo a palla nel lungo corridoio, sentimmo un tonfometallico, un deeeen . . . sinistro.

Era caduto il tubo dell’ombrelliera, un mobile composito stileliberty, un po’ specchiera, un po’ cappelliera, con due vaschette dizinco in basso per la raccolta dell’acqua piovana lasciata dagliombrelli.

L’area di Broca11

Raccogliemmo il tubo e… miracolo! Da questo cominciarono auscire rotoli di carta moneta, stretti stretti, infilati ad arte nella cavi-tà. Ci riempimmo le tasche con quella magica fortuna e corremmo anasconderci. Ma la mamma, sulla porta, ci stava osservando.

A suon di ceffoni ci vuotò le tasche urlando: - Ladri . . . Ladri ,dove li avete nascosti? -. Non pensando che la nonna, malfidandosidelle nuore, aveva trovato il nascondiglio giusto per farle impazzire.

Mia madre tacque, noi anche. Il mese dopo comparve in casa unmanichino che sembrava vivo (mia madre faceva la sarta). Aveva ilseno e il sedere. Io e il Fratellino Atipico, di nascosto, ci divertiva-mo a fargli le inezioni che subiva senza un gemito, finché una gros-sa chiosa umida cominciò a spandersi sul retro.

Quello fu il “mistero”. Mia madre portava tutti a vedere il “mistero”.Solo noi sapevamo, solo noi.

Massimo OrgiazziDue poesie

tutto minuscolo

certo ti eri perso. lo capisco quando chiami il mattino prestoper dirci che parti per shanghai. non penso alla tua ragazza presa nuova sulla retee ti vedo. un video telefono non farebbe meglio seduto a guardare fuori che mi parlie non ti frega l’auto, il matrimoniodisastrato, l’aspettativaper startene sei mesi mi dici un anno in cina.

invece mi passa in mente tuo cugino mortolui che a quarant’anni era una spugna e non riusciva piùa scambiare due parole con chiunqueme lo sento ancora dire “attenda prego” senza venire al dunque.

mi compari ancora adesso che sei partitoa volte dibatti in televisionee cerchi di spiegarmi col mutismo di tuo cuginoil potere d’acquisto dell’euro il perché della fugacon il tuo cavallo di battagliache per allevare un figlio dalla nascita al liceosono duecento cinquanta mila testoni qua in italia

Star clusters

Era una di quelle serate che li tenevo d’occhio, intentia disseppellire gli averi dall’orto. Una sera splendida, di quelle diventocon le nebulose a portata di mano, gli ammassi stellari visibilicol solo binocolo. Come scusa, naturalmente, c’era il seeing delmomento.

Dal parcheggio sopraelevato, se li vedevoprendevo a guardarli, lei e lui pensionati.Ci misi stagioni a capire quel che facevano,una notte al mese passata a scavareper mettere e togliere i risparmi, gli averi.Restavo stranito a fissare le ombre, quasi impalato.Di giorno alle volte incrociavo lei, piccola e grigia.Sorrideva. E qualche altra volta li trovavo a passeggio, nell’isolato.A braccetto, due ex contadini fuggiti alla fuga dalle valli in montagna.Si sapeva in giro che cosa scavavano nelle notti serene.

La solita voce maligna pensò a riferirmelo.

Era una di quelle serate di marzo, e fu l’ultima che scavarono insie-me.Morì lui per primo: un infarto.Lei non le importava più niente, le ultime pensioni le tenne per casa.

E ora che la sera ci sono solo le stelle,scavo più dentro, dove tutto il ricordo è rimastoe sorrido come a un saluto, a passeggio nell’isolato.

Giovanni Stefano SavinoDue poesie

IAmica, per la tua rivista chiediversi sul dollaro, sulla sterlina,sui marchingegni in carta e in metallo,che rendono l’esistere a scadenzecon l’ammenda e la multa, se ritardi.Per la montagna e il mare resta semprequalcosa, però tutto il tuo denarofinisce nelle tasche dello stato.Prendi da un lato e dall’altro tu rendi,e il conto in banca sarà sempre smilzo;così va il mondo nostro ed il lamentoda questa parte è inutile: si trattadi pagare. Ad un ponte del Mugnonedorme di stracci ricoperto un uomo…

II…fruga nei cassonetti, quando è sveglio,e trova il necessario, a quanto pare.Non gli importa dei voli sulla luna,della conquista a gara dello spazio,né del metano russo, né di guerreo di rivoluzioni in tutto il globo,né di bambini dai grandi occhi aperti,che mioiono di fame o di malaria;gli basterebbe una minestra caldache, stando in fila, talvolta rimediae al suo giaciglio tra l’erba ritorna:stato di libertà a troppo alto prezzo.Forse chiedevi di più, ma il mio direnasce per strada, e delusa perdona.

6-14 novembre 2006

Luciano ValentiniMammona in commedia

Seduti al tavolo di un bar di un centro cittadino, affollato da turi-sti e sfaccendati di tutti i tipi, in un tardo pomeriggio invernale, men-tre fuori il cielo era scuro ed i lampioni della piazza centrale emana-vano la loro luce giallognola, che si irradiava nella leggera nebbia chesi stava alzando sopra i tetti delle case di fronte, alcuni antichi filoso-fi, tra un bicchiere di cioccolata calda ed un caffè con il dolcificante,stavano parlando pacatamente tra loro.

L’area di Broca 12

Forse era un nuovo simposio, una riunione conviviale in cui pro-babilmente si discuteva un argomento di comune interesse. Mi misi asedere ad un tavolo vicino, cercando di orecchiare i loro discorsi, emi sembrò che l’argomento da loro trattato fosse di estrema importan-za e che riguardasse anche me direttamente, visto che, essendo allafine del mese, il mio misero stipendio si stava esaurendo negli ultimicentesimi di euro che dovevo sborsare per il succo di ananas, pienodi conservanti, che stavo lentamente sorbendo.

Ma di cosa stavano parlando quei grandi cultori della sapienzaumana? Di una cosa semplicissima e banalissima, cioè del denaro, delvile denaro.

I nomi di quei cari amici, che riconobbi anche dalle loro candidebarbe fluenti, rispondevano ai nomi di Socrate, Platone ed Aristotele:mi sembravano piuttosto male in arnese, indossavano vestiti vecchi esgualciti, avevano i pochi capelli arruffati ed uno sguardo perduto nelvuoto: forse non avevano neanche il denaro necessario per pagare ciòche stavano consumando.

Ma ecco ciò che sentii e che cerco di riportare fedelmente, alme-no per quanto è possibile alla mia memoria piuttosto disastrata:

“Socrate: Cari amici, tanti secoli sono passati da quando fui

costretto a suicidarmi. Ma ho sempre creduto che l’anima umana siabuona e perfetta e che, se essa fa il male, lo fa soltanto per igno-ranza. Ma ancor oggi bisogna saper usare il mio tipo d’ironia, per-ché, adesso più che mai, so di non sapere. Cari amici, vorrei citar-vi, a tal fine, l’inizio di un bel romanzo abbastanza moderno di unoscrittore senese, un certo Federigo Tozzi, che ai miei tempi dovevaancor nascere; il romanzo è intitolato Con gli occhi chiusi e in que-sto brano si parla del padre del protagonista: “Usciti dalla trattoria icuochi e i camerieri, Domenico Rosi, il padrone, rimase a contarein fretta, al lume di una candela che sgocciolava fitto, il denaro dellagiornata. Gli si strinsero le dita toccando due biglietti da cinquantalire; e, prima di metterli nel portafogli di cuoio giallo, li guardòun’altra volta, piegati; e soffiò su la fiammella avvicinandosi con labocca. Se la candela non si fosse consumata troppo, avrebbe con-tato anche l’altro denaro nel cassetto della moglie; ma chiuse laporta, dandoci poi una ginocchiata forte per essere sicuro che avevagirato bene la chiave. Di casa stava dall’altra parte della strada,quasi dirimpetto.

Ormai erano trent’anni di questa vita; ma ricordava sempre i primiguadagni, e gli piaceva alla fine d’ogni giorno sentire in fondo all’a-nima la carezza del passato: era come un bell’incasso…

Del resto, sentiva la necessità di arricchire di più; per paura delleinvidie. Quanti avrebbero fatto di tutto per rivederlo senza un soldo!”.

Cari amici, come si possono spiegare la psicologia ed il comporta-mento di questo personaggio, se non riferendosi alla sua avidità, cioèad un vizio morale?

Platone: E’ vero, caro Socrate, hai proprio ragione. D’altronde, altripensatori, che ai miei tempi non potevo conoscere, soprattutto teolo-gi e religiosi, hanno scritto cose terribili sul denaro e sulle persone ric-che. Sentite questo brano tratto da una lettera di un certo Giacomo,seguace di un certo Gesù Cristo, morto in croce: “ E ora a voi, ricchi:piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchez-ze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; ilvostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la lororuggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostrecarni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto levostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchiedel Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi sietesaziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avetecondannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.” Tra

i seguaci di Cristo, si deve ricordare il voto di povertà di Valdo, ex-ricco mercante di Lione, e di San Francesco d’Assisi.

In realtà, il denaro è un’invenzione umana, che ha un’essenzaastratta e simbolica: gli animali infatti non hanno denaro; esso perciòè uno strumento economico per facilitare i commerci, cioè per agevo-lare la circolazione delle merci, ed è un mezzo di scambio oltre cheriserva di valore. E’ semplicemente uno strumento tecnico: il suo usorientra però nella sfera etica, poiché esiste un’umana esigenza mora-le di giustizia sociale, di uguaglianza in una ipotetica società perfettasu questa terra. Qualcuno parla di utopia, poiché la vera strutturadella società umana, secondo alcuni, risiede nel comportamentomorale dell’uomo e non nella realtà economica esterna, che ne è sol-tanto una conseguenza: essa è davvero una sovrastruttura ed è anchelo strumento principale per realizzare la giustizia sociale rispetto allavolontà di condotta etica. E’ l’uso morale del denaro che realizza lagiustizia, che è il vero principio morale a cui la politica sociale devetendere. Il male, quindi, è nell’anima umana e non nella società, cheè pur sempre composta da esseri umani con le loro singole volontà.Occorre, pertanto, una grande opera pedagogica.

Aristotele: No, caro amico, qui non sono d’accordo con te, poi-ché, secondo me, l’economia è una scienza empirica ed oggettiva edè necessario studiare la struttura economica della società mondialee le sue leggi ricorrenti. Lo stanno a dimostrare i seri studi di colle-ghi venuti dopo di noi: Adam Smith, David Ricardo, Thomas RobertMalthus, Carlo Marx, John Maynard Keynes, John Kenneth Galbraithe tanti altri. Teorie economiche, che sono spesso in contraddizionel’una con l’altra, questo è vero, com’è vero che hanno avuto spessoun forte successo nell’attività politica umana e nella storia dottrinecompletamente illogiche e vuote. Del resto, mi sembra che tu, caroPlatone, contraddica proprio il pensiero di un nostro carissimo col-lega, Carlo Marx, la cui dottrina, nel bene e nel male, ha avuto unagrandissima influenza nella storia dell’umanità. In Salario, prezzo eprofitto, Marx infatti afferma a proposito della produzione del plu-svalore di una merce: “Comperando la forza-lavoro dell’operaio epagandone il valore, il capitalista, come qualsiasi altro compratore,ha acquistato il diritto di consumare o di usare la merce ch’egli hacomperato”. Insomma, per ottenere un plusvalore, occorre un sopra-lavoro e un sopra-prodotto. Inoltre nella stessa opera Marx afferma:“ Un uomo (l’operaio o altro lavoratore dipendente….) che non dis-pone di nessun tempo libero, che per tutta la sua vita, all’infuoridelle pause puramente fisiche per dormire e per mangiare e così via,è preso dal suo lavoro per il capitalista, è meno di una bestia dasoma. Egli non è che una macchina per la produzione di ricchezzaper altri, è fisicamente spezzato e spiritualmente abbrutito. Eppure,tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se nongli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericor-dia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della piùprofonda degradazione… Se si aumenta l’intensità del lavoro, unuomo può essere costretto a consumare in un’ora tanta forza vitalequanta ne consumava prima in due ore… Opponendosi a questisforzi del capitale con la lotta per gli aumenti di salario corrispon-denti alla maggiore tensione del lavoro, l’operaio non fa niente altroche opporsi alla svalutazione del suo lavoro e alla degenerazionedella sua razza”. Ed ancora: “Lo schiavo riceve una quantità fissa ecostante di mezzi per il suo sostentamento; l’operaio salariato no.Egli deve tentare di ottenere, in un caso, un aumento di salari, nonfosse altro, almeno, che per compensare la diminuzione dei salarinell’altro caso (e, quindi, la diminuzione del potere d’acquisto deisalari….). Se egli si rassegnasse ad accettare la volontà, le imposi-zioni dei capitalisti come una legge economica permanente, eglicondividerebbe tutta la miseria di uno schiavo, senza godere la posi-zione sicura dello schiavo”.

L’area di Broca13

Ricordiamoci, amici miei, che questa è ancor oggi la situazione dimolti lavoratori, soprattutto stranieri, ma non solo, nei paesi svilup-pati, e la realtà di molti paesi sottosviluppati è perfino peggiore.

Platone: Belle parole ed anche giuste e vere: Marx era un grandemoralista. Ma poi bisogna vedere come le sue affermazioni teorichesi sono realizzate nella realtà politica e pratica, dove sono stati effet-tuati gli esperimenti economici e sociali ispirati al suo pensiero, làdove si sono verificate situazioni fortemente tragiche, tuttora scono-sciute ai più: forse le amare conseguenze di queste utopie (sarei ten-tato di parlare di inganni nei confronti degli operai e del popolo…),applicate con una intransigenza ed una rigidità spesso assolute, nonsono credute da chi non le ha mai conosciute. Infatti la storia politi-ca sta a dimostrare che se non c’è il privato capitalista, c’è lo Statocapitalista (anche se si chiama socialista…), totalitario e intollerante,con la sua organizzazione gerarchica e burocratica e la sua corruzio-ne ed inefficienza, con i suoi dirigenti sfruttatori e, spesso, la man-canza di rispetto dei diritti umani…. E poi cosa dire degli odierni ban-chieri mondiali che, per contratto, acquistano beni concreti in tutto ilmondo, in cambio di denaro, che poi diviene carta straccia, aumen-tando il debito dei paesi poveri?

Socrate: Forse hai ragione tu, caro Platone, anche perché ancoroggi, in un mondo molto più vasto di quello dei nostri tempi, esisto-no grandi ingiustizie sociali: gente che muore di fame e di malattiefacilmente curabili; e tutto questo per una povertà causata dall’egoi-smo umano che sollecita la nostra indignazione morale. Questo, esoltanto questo, io so di sapere…

Ero stanco; avevo ormai finito di sorseggiare il mio succo di ana-nas e non volevo ascoltare più nulla. Non sapevo capacitarmi di ciòche avevo visto e sentito. Forse era tutto un sogno? Forse ero incon-sapevolmente ubriaco? O era soltanto uno scherzo di alcuni mieiamici buontemponi? Com’era possibile che nella realtà fossero ritor-nati in vita personaggi così antichi? Io sono sempre stato un tipo pra-tico, concreto e realista: figuriamoci se potevo lasciarmi impressiona-re dalle strane allucinazioni di un pomeriggio invernale… Guardaiverso il tavolo dove erano i filosofi, ma non c’era più nessuno; c’era-no rimasti soltanto le tazze ed i bicchieri vuoti e sporchi, i tovaglioliusati ed alcune monete sopra il conto…

Fuori la nebbia aveva invaso ormai tutta la piazza e all’interno delbar era insopportabile il vocìo dei clienti…. Allora pagai anch’io, get-tando il denaro sul tavolo…

Uscii fuori, rabbrividendo per il freddo: mi rinchiusi nel mio cap-potto e mi avviai lungo il vicolo buio e deserto verso casa.

Valerio ValliniDue poesie

Ah la Cina!

“Ad afferrarla la bestia -esclama la voce della piazza -sarebbe facile, basterebbe rivoltare le carte, nuova spinta ai valori di sempre: la tradizione.Ah la Cina! Capitalcomunisti e i sindacati a pezzi. Ovunque rifiuti di metalli e di uomini: fosfori, amianti e sangue...Ah la Cina! Sono un miliardo e quattrocento milioni,quante pellicce e scarpe, quanti soldi...”

“Avevano la polvere da sparo, conoscevano gli astri - dice una voce sottofondo - quando voi

in Europa, eravate a steccate e ferri, e guerricciole di contadini e pezzenti...A prenderla, la bestia, ormai è tardi, è contagiata da ricchezza e potenza.Oh il nostro mare, le città dell’arte! Un luminoso avvenire di camerieri e serventi.”

“Le nuvole di Pisa”

(omaggio a Ezra Pound)

E alla curva ruinata dell’Arno in San Vito (1), la torre lucchese(2) fu disfatta

dalle fondamenta. Fu trafugato il bianco e prezioso marmo,

da un democristo per un pugno di soldi promessi all’odiato nemico:

la falciolata bandiera.

Quarant’anni e più sono passati e la genìacorrotta ancora impera,

detta il suo stile putrido: la Tangentopoli perenne. Così séguita la rovina del simbolo, il nome spregiato della rosa.

Tutto non è molto distante dal vortice del Gulag, lo strapotere che mandava/manda

“secondo che avvinghia”, i gironi del diurno male e la Polis trentatre volte morta una per ogni girone.

Bisogna tuttavia curare il sogno: che sfugga, si dimeni alle troppe spire della serpe,ai vulcani dentro le bocche degli uomini e delle donne.

“The Pisan clouds are undoubtedly various” *Appellarsi dunque alle vele del Duomo: il ricamo, il traforo dei marmi,

le trine ricche della bellezza e i verdi splendidi, il miracolo della piazza...tutto dentro il sacro recinto.E sopra le mura ataviche oggi, la nuova violenza dei vermi.

Deriva della parola fino a Bocca d’Arno e poi in quel delle terre di Firenze e gli sproloqui e il falso, e la fiera famelicadi potere e denaro che non è se non vuota ignoranza, pallido furore, treponema perverso

* “The Pisan clouds are undoubtedly various”: “Certamente le nuvole diPisa sono varie”. E’ un verso ripreso dal canto LXXVII dei Canti Pisanidi Pound

1-San Vito era uno dei villaggi che confluirono nella terra murata di SantaCroce sull’Arno. La torre medievale fu distrutta negli anni sessanta delNovecento.

2- Lucchese perché nell’alto medio evo San Vito era sotto la diocesi diLucca.

L’area di Broca 14

Roberto Voller(s’io fossi)

Qu’on sache donc que les faits furentce que les dis, ma l’interpétation quej’en tire c’est ce que je suis – devenu

Jean Genet (da Journal du voleur)

(s’io fossi)no noooo eppoi no lo dico sinceramente senza tormentati pudori e

fasulle ipocrisie se fossi stramiliardario in lire o stramilionario in euri micomporterei esatta mente come i puzzoni manderei senz’altro in culotutti quei poveracci quei morti di fame e anche gli illusi che non sannodi esserlo ma scherziamo vivrei nel lusso più sfrenato più sfrontato velo garantisco volterei le spalle e il resto agli amici ai cosiddetti compa-gni ma di cheee mi comprerei cominciando dai piedi scarpe a puntalunghe settanta centimetri perlomeno pelli di dieci cervi ci vorrebberoper farle e a proposito di scarpe vi ricordate anni fa rimproveraronoall’uomo più intelligente e conscio d’esserlo della sinistra d’indossarneun paio che costavano un milione di lire ma viaaa ora ci si compranole stringhe se sono griffate e salendo la figura le migliori firme mettereisopra il corpaccio e che diamine in fondo la miseria mi ha sempre fattoautenticamente schifo porca miseria si dice nooo frequenterei quelmondo dorato giocherei a golf magari ci morrei sopra come quel con-sigliere del presidente del consiglio che splendida morte per un puzzo-ne wow mi viene sempre puzzone anche da ricco si è appiccicata laparola nel sottolingua sì ci morrei magari però più vecchio più vecchiodell’esempio citato che fantastici uominidonne sono i ricconi come par-lano avete presente quel raffinato accento piemontese del presidente diConfindustria à propos tirare coca però non m’interessa con questiribassi anche i pezzenti possono procurarsela giorni fa è morto pureun capitalista gentiluomo che uomo gentile quello che s’intendeva digomme come ammorbidiva i sottosottoposti in quei bagni salubri certoche se si dice che lui era un capitalista gentiluomo vuol dire che è cosarara tra i puzzoni trovarne e io non condivido nella mia nuova ipote-tica lussuosa veste avrei una barca che in confronto a quella compra-ta in cooperativa dall’uomo più intelligente e conscio d’esserlo dellasinistra sempre luii sarebbe come il compianto Rex nastro azzurro dal’33 al ’35 e con quella andrei con i miei amici barcaioli sulla CostaSmeralda a fare crepare d’invidia quella folla d’idioti binocolati invidio-si sì ma anche fieri di noi puzzoni e gli operai le fabbriche chi se nefrega marcite pure tanto non vi si sente nemmeno più abbaiare brutticani troppi morti sul lavorooo e dove deve morire un lavoratore senon sul lavoro giustooo lavorate lavorate a voi il sufficiente e a noi l’e-sagerato vero cari nostri amici politici di tutte le bandiere andare comei genuini puzzoni wow senza mai denaro contante in tasca da tutticonosciuto e riverito wow i segretari i servi pensano ai conti da paga-re nooo che vita ragazzi e vecchi che vita sarebbe se fossi ricco maricco ricco come l’ottavo nano eeeh non mi accontento mica d’una villane voglio sedici eeeh con parchi annessi e relativo mausoleo uno perogni componente della famiglia lu’ s’è operato al core in america manon il trapianto però e io se m’opero voglio andare più lontano tra icanguri magari wow come e quanto mi piacerebbe essere puzzone trai puzzoni e invece eccomi qua tra gli spiantati gli idealisti gli ambien-talisti gli onesti i democratici uffa a parlare peste e tante tante corna deldenaro della ricchezza dell’ingiustizia dei puzzoni insomma sperandovigliaccamente che mes copains non abbiano sentito questo mio ric-chissimo sfogo

febbraio 2007

Massimo AcciaiDenaro e letteratura:tra utopia e distopia

Due opere emblematiche, entrambe appartenenti al genere fanta-scientifico nella sua accezione più ampia, entrambe nate in Francia –a distanza di un paio di secoli – entrambe affrontano il tema del ruolodell’artista nella società e del rapporto tra creatività e denaro. Qui sifermano però le analogie: la prima opera appartiene al genere utopi-co (descrive ossia una situazione ideale, contrapposta alla realtà sto-rica dell’autore) mentre la seconda nasce in un’epoca in cui l’Utopiaera già definitivamente tramontata e stava sorgendo il filone opposto,quello distopico1 .

Al genere utopico appartiene infatti il romanzo postumo L’autremonde ou les états et empires de la Lune (1657) di Savinien Cyranode Bergerac (1619-1655). Cyrano conosceva bene infatti le opere difilosofi quali Campanella, Tommaso Moro e Luciano di Samosata, ilcui influsso è evidente nei suoi romanzi. Il protagonista – nella finzio-ne letteraria lo stesso Cyrano – compie quello che è considerato unodei primi viaggi romanzeschi sul nostro satellite (dopo quello celeber-rimo di Astolfo ne L’Orlando Furioso) e vi trova un mondo non menobizzarro di quello immaginato dall’Ariosto. La Luna è l’antico Eden dacui i primi uomini sono stati scacciati, poi ripopolato da strane crea-ture. Tra tante stravaganze proprie dei lunariti (lunaires), vi è appun-to quella della moneta locale:

“…quando i versi sono stati composti, l’autore li porta alla Cortedelle Monete, dove risiedono i poeti giurati del regno. Là questi versi-ficatori ufficiali esaminano le varie composizioni e, se giudicate dibuona fattura, attribuiscono loro un valore, non in ragione della lun-ghezza ma dell’acume. Così, quando qualcuno muore di fame, vuoldire ch’è un cretino, mentre le persone sensibili non hanno problemi”.2

Sulla Luna infatti la Poesia è moneta, e tra le righe appare chiarol’intento satirico contro la società letteraria del tempo, più attenta allaforma che alla sostanza, sempre pronta a piegarsi alle mode e alPotere (rappresentato spesso dal potente protettore da compiacere).Una critica lanciata in nome di quella libertà ed indipendenza intellet-tuale più volte sostenuta dall’autore3, spirito libero e “folle”, una vocefuori dal coro della sua epoca.

Passano due secoli ed arriviamo al curioso romanzo di Jules Verne(1828-1905), Paris au XXe siècle, abbandonato alla prima stesura nel1863 e pubblicato solo nel 1994 dalla casa editrice francese Hachette(che annunciò con grande clamore la riscoperta).

Nei mondi futuri immaginati dagli autori più moderni si prefigura-no tempi duri per la letteratura. In qualche caso resta un gruppo diribelli che ne tramandano la memoria (come avviene in Fahrenheit451 di Ray Bradbury, un romanzo del 1951). Si tratta spesso di unabattaglia persa e i classici sono destinati a soccombere insieme agliultimi strenui difensori, in nome del progresso e di una società domi-nata dalla scienza e dalla ricerca del profitto.

Verne immagina la capitale francese nel 1960, quasi un secolo nelfuturo rispetto alla sua epoca, come una città dominata dalla tecnolo-gia, con moderne linee metropolitane, le automobili, la folla, la luceelettrica che illumina i boulevard, con straordinaria preveggenza.Siamo in pieno clima positivista; Verne ci mostra tuttavia una scienzadegenerata nell’adorazione delle macchine e del denaro e nel ripudiodi tutto ciò che non è “pratico”, come l’arte e la poesia.

Il romanzo si apre con la descrizione della cerimonia annuale didistribuzione dei premi della Società Generale di Credito Istruzionale,

L’area di Broca15

un enorme istituto scolastico che riunisce in sé tutti i livelli d’istruzio-ne, dalle scuole elementari all’Università. L’educazione ha raggiuntotutte le classi sociali cosicché “se nessuno leggeva più, almeno tuttisapevano leggere, e addirittura scrivere”; l’istruzione scolastica èdiventata, nel 1937, un’impresa privata perché “costruire e istruire ètutt’uno per degli uomini d’affari, visto che l’istruzione, in fondo, nonè altro che un tipo di costruzione, solo po’ meno solido”.Naturalmente le materie privilegiate sono quelle scientifiche ed eco-nomiche, mentre quelle umanistiche risultano sacrificate. Il protago-nista, un giovane di nome Michel Dufrénoy, uno dei pochi artistirimasti, ritira il premio per una composizione in latino (il premio con-siste in un libro di economia) arrossendo per la vergogna tra l’ilaritàgenerale. L’intero romanzo oscilla continuamente tra il tragico e ilcomico. Michel, figlio d’arte, rimasto orfano nell’infanzia, è ospitepoco gradito in casa dello zio banchiere, uomo pratico ma insignifi-cante. Attraverso la sua descrizione, Verne traccia il ritratto dell’uomod’affari suo contemporaneo:

“disprezzava sovranamente le arti, e soprattutto gli artisti, per darea credere che li conosceva; per lui, la pittura si fermava al bozzetto,il disegno all’assonometria, la scultura al calco, la musica al fischiodelle locomotive, la letteratura ai bollettini della Borsa”. 4

Questi impone al nipote un lavoro da ragioniere nella sua banca,occupazione per la quale non è evidentemente portato. Dopo unaserie di incidenti e figuracce viene assegnato alla dettatura del LibroMastro. Qui conosce Quinsonnas, musicista clandestino che, in atte-sa di tempi migliori, redige il gigantesco libro mastro, alto venti piedicon pagine larghe tre metri, dotato di un meccanismo intelligente perorientarlo come un telescopio e con un sistema di passerelle che sialzano e abbassano. I due diventano subito amici e frequentano insie-me la casa di un altro zio di Michel, Huguenin, rinnegato dalla fami-glia perché amante della letteratura antica. Questo terzo personaggio,che si unisce al gruppetto di “bocche inutili per la società”, incorag-gia ed insieme mette sull’avviso il nipote sui rischi di tale mentalità.Da notare che qui la lettura non è proibita dalla legge come nelromanzo di Bradbury sopra ricordato, tuttavia il destino di chi non siallinea col resto della massa non è meno duro: Michel, esaltato dallospirito degli antichi scrittori, morirà di fame e di freddo alla fine delromanzo, invocando il nome dell’amata Lucy.

Michel aveva incontrato lo zio impiegato alla Biblioteca Imperialeal termine di un inutile pellegrinaggio tra le varie biblioteche parigi-ne, alla ricerca dei classici del XIX secolo. Verne ci dà un assaggiodivertito dei titoli delle raccolte di poesie moderne; le Armonie elet-triche, le Meditazioni sull’ossigeno, le Odi decarbonate, e così via(ci ricordano lo stile futurista con le sue celebrazioni della macchinae del progresso). Il quadro è desolato:

“La letteratura è morta (...) guarda queste sale deserte, e questilibri sepolti nella loro polvere; non si legge più; io sono il guardianodi questo cimitero, dove l’esumazione è vietata”.4

In Paris au XXe siècle il riferimento costante è a quel processo diindustrializzazione della cultura che si andava realizzando nel corsodel XIX secolo. Il fenomeno “industria culturale” può essere definitocome “il concetto di un sistema ben sviluppato e articolato di mezzidi comunicazione tecnologicamente avanzati operanti in un mercatodi massa.”5 Si può parlare di industria culturale quando entra in giocola riproducibilità tecnica6 da una parte, ma occorre anche un pubbli-co vasto abbastanza da ammortizzare gli elevati costi fissi della pro-duzione. Queste condizioni si realizzano non prima del XX secolo; altempo di Verne è più esatto parlare di “protoindustrializzazione”, ter-

mine introdotto da Franklin Mendels per indicare una fase intermediaverso l’industrializzazione matura. Due esempi di protoindustria sipossono trovare in Italia nel campo della produzione libraria e dell’o-pera lirica tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento: in entram-bi c’era già un sistema di fabbrica, tuttavia, a causa dell’alto tasso dianalfabetismo in un caso e nell’alto costo del biglietto d’ingresso aglispettacoli nell’altro caso, il pubblico era ridotto.

Per un banale incidente Quinsonnas e Michel perdono il posto allabanca; il primo cercherà fortuna all’estero, mentre il secondo tenteràla sorte al Grande Emporio Drammatico, una fabbrica di testi teatralirubati e rimaneggiati dai secoli passati. Il teatro produce ormai soloopere divertenti e spensierate. La tragedia è stata abolita.

Michel passa da una divisione all’altra prima di andarsene disgu-stato. Scrive un libro di poesie dal titolo (involontariamente ironico)di Le speranze e comincia la ricerca di un editore. Naturalmente nontrova neanche un libraio disposto soltanto a leggerlo. Morirà nel rigi-do inverno 1962 dopo aver speso gli ultimi risparmi per un mazzettodi fiori per la fidanzata. La tragica morte di Michel richiama allamemoria il già citato brano di Cyrano; sarebbe interessante indagarese Verne avesse in mente proprio quelle parole del suo illustre con-nazionale.

1. Ossia il ribaltamento (dis-) dell’Utopia: un mondo immaginario cheriassume le paure dell’autore, di una società, di un’epoca. Un sinoni-mo di “distopia”, meno usato, è “anti-utopia” o “utopia negativa”.

2. Cyrano de Bergerac, L’altro mondo ovvero Stati e Imperi della Luna, Roma,Theoria, 1982.

3. Si pensi anche alla rivisitazione teatrale di Cyrano da parte diE.Rostand.

4. Jules Verne, Parigi nel XX secolo, Roma, Newton, 1995. Si tratta dellaprima edizione italiana.

5 Cfr. D.Forgacs, “Protostoria dell’industria culturale italiana”, inMorcellini, Mario (a cura di), Il medioevo. TV e industria culturalenell’Italia del XX secolo, Roma, Carocci, 2000, p.159.

6 Cfr. W. Benjamin,, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischenReproduzierbarkeit, 1955, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag (Trad.it. di Enrico Filippini, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilitàtecnica, Torino, Einaudi, 1966). Secondo Benjamin, quale parte da unaconcezione anticapitalistica, l’avvento delle nuove tecniche oltre cheinevitabile è considerato positivo in quanto mette fine ad una conce-zione aristocratica dell’arte a favore del proletariato che può quindiaccedere a valori, privilegio in precedenza delle classi dirigenti.

Marco BellucciEconomia e cooperazione

Il capitalismo non è intelligente,non è bello, non è giusto, non è virtuo-so e non produce i beni necessari. Inbreve, non ci piace e stiamo comin-ciando a disprezzarlo. Ma quando cichiediamo cosa mettere al suo posto,restiamo estremamente perplessi.

John Maynard Keynes

Quando nell’oramai lontano 2003 mi sono iscritto al corso di“Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale” presso laFacoltà di Economia di Firenze avevo ancora nella testa e nel cuorel’emozione, la voglia di cambiamento e l’entusiasmo del Social Forum

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Europeo. Quella manifestazione fu - ed è ancora dentro di me, di noi- una avanguardia.

In quei giorni a Firenze si discuteva di un altro mondo possibile.Possibile, ma soprattutto necessario, perché quello attuale non è piùsostenibile. Questo bisogna capirlo.

Non è più sostenibile da un punto di vista economico e tende anon esserlo sempre più. Le 200 persone più ricche del mondo dispon-gono di risorse superiori a quelle che dispongono i due miliardi dipersone più povere; ogni anno il 20% più ricco della popolazione per-cepisce l’80% del reddito mondiale e ottiene il 93% dei prestiti eroga-ti globalmente dalle banche. Le disuguaglianze di reddito su scala glo-bale (e sempre più anche a livello nazionale) sono alte e purtroppotendono ad aumentare. I mercati finanziari sono spesso fuori control-lo e si prestano a speculazioni, contribuendo ad uno scollamentodella finanza dai fondamentali economici e prestando il fianco adimprovvise crisi economiche. Gli aiuti internazionali ai paesi in via disviluppo non mostrano una sostanziale e generalizzata crescita, maanzi tendono a diventare sempre più bilaterali e legati.

Non è più sostenibile da un punto di vista sociale. I paese sotto-sviluppati sono ostaggi del debito estero, spesso contratto per pagareprecedente debito, e così via. Le istituzioni nazionali sono deboli, ibeni pubblici carenti ed i mercati fragili ed incompleti. Non c’è previ-denza sociale. I vaccini e le cure mediche sono spesso coperte da bre-vetti che alzano i prezzi, fanno la fortuna di grandi multinazionali e lamorte di milioni di uomini e donne. Sull’onda dell’internazionalizza-zione dei mercati, adesso la globalizzazione rappresenta anche unimportante fattore sociale, i cui rischi risiedono nell’appiattimento cul-turale, nella perdita di saper fare tradizionale, nello stravolgimentodegli stili di vita.

Non è più sostenibile da un punto di vista ambientale. L’uomo hacondotto per secoli un’economia da Cow-boy: si muoveva in stermi-nate praterie con disponibilità di risorse naturali infinitamente supe-riore alle sue esigenze e a quelle della sua mandria. Il ciclo economi-co capitalista odierno è basato sul petrolio, risorsa esauribile ed inqui-nante per eccellenza. Si sono realizzati per anni profitti dallo sfrutta-mento spesso indiscriminato del territorio. Solo recentemente si è arri-vati ad una prima definizione condivisa di “sviluppo sostenibile”: unosviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senzacompromettere la possibilità che le generazioni future riescano asoddisfare i propri. Purtroppo attualmente siamo ancora lontani daquesto tipo di sviluppo. E se tutti gli uomini della terra consumasse-ro risorse e producessero rifiuti quanto un cittadino occidentale,avremmo bisogno di altri due pianeti per soddisfare i bisogni di tutti.

Ho scelto di studiare economia dello sviluppo per capire.Analizzare le cause e gli effetti delle profonde differenze di ricchez-za e di reddito tra diverse parti del mondo. Osservare l’operato delleistituzioni internazionali e valutare i progetti di sviluppo. Apprenderei meccanismi, individuare gli attori, conoscere le regole, comprende-re se è possibile cambiarle. Capire dove stiamo andando, capire peragire. Sentivo l’esigenza di osservare, analizzare, sbrogliare, dipana-re e conoscere un po’ più da vicino alcuni temi estremamente attua-li nel nostro mondo. Sottosviluppo, crescita economica, svilupposostenibile, lotta alla povertà, modernizzazione, democratizzazione,globalizzazione.

Questo spaventoso intreccio di questioni affascina e terrorizza altempo stesso. Da una parte ti pone di fronte a delle sfide che nonpossono vederti perdente perché ne va del tuo futuro e di quello dellepersone che ti succederanno su questo pianeta; dall’altro ti pietrificaa causa dell’immensità di tutto ciò. Cos’è una persona di fronte a talicolossali questioni? Cosa può fare? Nel suo piccolo molto. E quel poco

è già tutto. Perché la chiave è unirsi, cooperare. Avere unione diintenti, accantonare i particolarismi e gli interessi economici di pochi,riuscire finalmente a smuovere le coscienze di un mondo che puòdavvero – col piccolo aiuto di tanti - essere migliore.

Roberto MaggianiEconomia non sempre è sinoni-mo di danaro che arricchiscepochi…

Economia. Scienza sociale che studia la produzione, la distribuzio-ne, lo scambio e il consumo di beni e servizi, analizzando il modo incui individui, gruppi, imprese e governi cercano di raggiungere inmodo efficace l’obiettivo economico che si sono prefissati. Si ipotizzache gli individui si comportino razionalmente, ossia che i consumatoricerchino di spendere il proprio reddito in modo da massimizzare l’uti-lità e che gli imprenditori perseguano il maggior profitto possibile.

Comunione (diritto). Situazione in cui due o più persone sonotitolari di uno stesso diritto reale sullo stesso bene.

Dal 1992, dopo il viaggio di una donna in Brasile, è natal’Economia di Comunione. Essere testimoni oculari dell’estremapovertà che ancora, e in varie forme, attanaglia il nostro mondo, lanostra civiltà (e qui già cadiamo nella contraddizione – si legge infat-ti sull’enciclopedia: Civiltà. Sinonimo di “progresso” e di “evoluzione”nell’uso comune…), è origine di sconcerto (almeno per me lo è) efrustrazione; è la coscienza che per pochi istanti vibra, tremante eimpotente – soltanto impensierita o realmente scossa? – in tale occa-sione, se abbiamo vicino qualcuno, diciamo, come ora sto facendo,qualche bella frase contro l’ingiustizia e la povertà, ma pochi metridopo ci aspettano i nostri interessi, quali una casa accogliente, perquanto modesta, e le nostre quotidiane attività (intendo qui con casae quotidiane attività i simboli del fluire sereno delle nostre giornate)che ci porta a rilassare quella tensione tremenda in cui ci ha postol’immagine di un povero o di bambini alla fame visti alla televisione,simboli dell’ingiustizia sociale; tutto questo, ammettendo che la tele-visione, con i suoi effluvi sibillini non abbia messo a tacere la nostracoscienza già da lungo tempo rendendo normali le visioni di pover-tà, fame e ingiustizia.

Quella volta, in Brasile, osservando le “corone di spine” – favelas– che circondano le città, nel pensiero e nella coscienza di quelladonna, il disagio non si è ri-depositato sul fondale del cuore ma hadato vita a una domanda: “Che cosa posso fare?”. Come si sa da unadomanda può scaturire un tentativo di risposta e magari anche unasoluzione alla domanda stessa. La risposta di questa donna è statal’Economia di Comunione; non una carità immediata, che è sì unarisposta, ma non una soluzione, ma una risposta-azione che miri adare una soluzione al problema povertà alla cui origine v’è un’ingiu-stizia sociale, la iniqua distribuzione dei beni, una soluzione sicura-mente non immediata ma che sul lungo tempo sta già portando inalcune regioni geografiche i suoi interessanti risultati.

Ella propose, a coloro che la seguivano nel suo Ideale*, di realiz-zare un nuovo tipo di azienda che desse origine a un nuovo tipo dieconomia. Tali aziende dovevano essere inserite nel mercato quindiseguire le normali leggi di mercato con tanto di ricerca di utili e pro-fitto, ma un profitto di cui dovevano essere titolari persino i poveri.Propose, a tal fine, che un terzo degli utili dovesse andare all’azienda

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stessa, un terzo ai poveri e, ed è qui a mio avviso la grandezza del-l’idea, un terzo dovesse andare allo sviluppo della cultura del dare,senza la quale, pensò, non si sarebbe potuta sviluppare e realizzarela condivisione non solo spirituale ma anche dei beni.

L’Economia di Comunione è soltanto la punta di un iceberg di unnuovo modo di impostare la vita e le sue relazioni, essa rende piùmanifesto un popolo nuovo che ha messo alla base della propria esi-stenza individuale e sociale un nuovo paradigma, quello del DARE enon dell’AVERE, cercando di impregnare la cultura, la conoscenza eanche l’economia di questa nuova aria.

L’Economia di Comunione ha trovato sin dall’inizio l’adesione ditantissime aziende già esistenti ma anche ha dato impulso a nuoviimprenditori a fondare aziende che aderissero a tale progetto nonsolo in Brasile ma in tutto il mondo. Tale modo di vivere l’economiaha destato gli interessi anche del mondo accademico e di molti lau-reandi che nel corso di questi anni hanno sviluppato la nuova teoriaeconomica fondata sul dare anziché sull’avere.

Anch’io ho lavorato per lungo tempo in una azienda informatica diRoma aderente a questo progetto, azienda come le altre, ma in cui sirespirano elementi essenziali quali la legalità e la trasparenza e si vivo-no rapporti sani di persone che, dall’Amministratore all’addetto allapulizia dei locali, vivono per un comune ideale: la giustizia sociale.

Giovanni R. RicciI molti volti dell’avarizia

L’avarizia è uno dei sette peccati capitali,1 associata iconografica-mente al lupo, in primis nel suo genere femminile. Basti pensare cheuna delle tre fiere in cui Dante s’imbatte, al principio del suo imma-ginario viaggio oltremondano, è appunto una lupa “che di tuttebrame / sembiava carca nella sua magrezza, / e molte genti fe’ giàviver grame” (Inferno, canto I, vv. 49-51), una “bestia sanza pace” (v.58), ossia insaziabile, che risospinge il pellegrino verso la “selva oscu-ra” (v. 2) da cui è uscito.2 Poco più avanti il poeta si incontra conVirgilio e questi gli ribadisce che quella bestia “ha natura sì malvagiae ria, /che mai non empie3 la bramosa voglia, / e dopo ‘l pasto hapiù fame che pria” (vv. 97-99), chiara rappresentazione allegorica del-l’insaziabilità propria dell’avaro. La lupa, anzi, pare qui essere la piùtemibile delle tre fiere, in primo luogo perché l’attaccamento al dena-ro è, agli occhi di Dante, la causa prima della corruzione in cui ver-sava la Chiesa, sì che il poeta fa dire a Virgilio che quella fiera saràdistrutta da un veltro, che non aspirerà né a possedimenti territorialiné alla ricchezza,4 prefigurazione allegorica di un Papa spirituale cheriportasse la Chiesa alla povertà evangelica,5 secondo un’aspirazionediffusa in Italia fra la fine del Duecento e i primi del Trecento.

Ma è anche da considerare che, fino almeno al medioevo, il con-cetto di “avarizia”, o “cupidigia”, poteva riferirsi sia allo specificocomportamento dell’avaro che, più in generale, all’irrefrenabile moti-vazione appetitiva che è al fondo di ogni peccato (inclusa l’accidia,ove il desiderio ha per obiettivo il non fare): come ha scritto S. Paolo,“radix omnium malorum cupiditas” (“la cupidigia […] è la radice ditutti i mali”).6 Più in generale, la teologia cristiana definisce “peccaticapitali” quei vizi che sono all’origine dei peccati più gravi e frequen-ti. In quest’ottica l’avarizia, specie quand’è definita “cupidigia”, par-rebbe essere un peccato particolarmente grave. È noto, però, che,nella storia della drammaturgia, a rappresentare storie di avari è stato

abitualmente il genere “commedia”: ricordiamo ad esempio Euclionedell’Aulularia di Plauto, un classico avaro che vive miseramente per-ché non si scopra come, dopo averla rinvenuta, abbia celato una pen-tola piena d’oro nascosta a suo tempo da suo nonno, e che sospettachiunque di attentare al suo tesoro (nel finale rinsavisce ma ciò deri-va solo dall’esigenza del lieto fine); il celebre Harpagon (Arpagone)de L’avare di Molière che, più modernamente, ha anche qualche trat-to dell’usuraio;7 il curioso e meno noto Monsieur de Chauteaudor deL’avare fastueux di Carlo Goldoni, un avaro appunto fastoso, ossiaun tirchio che ama ostentare una ricchezza di facciata.8 L’ansia estre-ma che spesso si connette alla loro avarizia ha certo anche qualcheimplicazione quasi drammatica, ma si tratta in primo luogo di perso-naggi marcatamente comici. E in campo letterario, il cupo Raccontodi Natale di Dickens, con quella autentica quintessenza dell’avariziache è Mr. Scrooge, non manca di un consolante lieto fine e nascecome racconto per bambini. Del resto Walt Disney ha chiamato UncleScrooge (Zio Scrooge) quello che per noi è Zio Paperone.

Torniamo ora, ricollegandoci all’avvio di questo breve saggio,all’Inferno dantesco: nel canto VII (quello che inizia col celebre e fintroppo discusso “Pape Satàn, pape Satàn aleppe!”9), i due pellegrinisi imbattono negli avari e nei prodighi, due differenti schiere condan-nate a rotolare in eterno massi, procedendo su e giù, l’una in unadirezione e l’altra in quella opposta, scambiandosi ingiurie ogni voltache si incontrano. Fra gli avari vi sono “cherci” (vv. 38 e 46), cioèchierici, ed anche “papi e cardinali” (v. 47): ma Dante, contrariamen-te alle sue abitudini, né si sofferma a parlare con qualcuno di loro,né di alcuno ci dice il nome. Certo lo stesso poeta ci fa intendere chenon sono riconoscibili in quanto hanno condotto una “sconoscentevita” (v. 52), cioè sono stati privi di quel discernimento che consentedi operare il bene. Tuttavia ritengo vi sia anche la difficoltà ad asso-ciare un peccato come l’avarizia (o la prodigalità) ad una dannazio-ne eterna. Del resto, anche gli ignavi dell’Antinferno (canto III), cioècoloro che per viltà non hanno fatto il bene (sì che nessuno dei treregni soprannaturali li ha voluti), non meriterebbero una menzione,tanto che Virgilio dice a Dante il celebre verso: “non ragionam di lor,ma guarda e passa” (v. 51). Eppure il poeta vi riconosce in particola-re, oltre ad altri innominati, “l’ombra di colui / che fece per viltà ilgran rifiuto” (vv. 59-60),10 e poco importa, dal mio punto di vista, chenon ce ne dica il nome. Nel Purgatorio (canto XIX), ove avari e pro-dighi sono a terra bocconi, con mani e piedi legati, Dante dialoga conAdriano V, al secolo Ottobuono dei Fieschi che, nel 1276, fu Papa persolo trentotto giorni: ora sconta, e insieme purifica, la sua colpa; epoiché, divenuto pontefice, ha abbandonato l’avarizia che lo caratte-rizzava, accederà in un tempo finito, come tutte le anime purganti,alla beatitudine metafisica del Paradiso. Lo stesso vale per UgoCapeto, in Purgatorio per la sua cupidigia, con cui Dante dialoga nelcanto XX mentre, dal XXI all’ultimo della cantica, ai due pellegrini siaccompagna - restando con Dante anche quando Virgilio esce discena - il poeta romano Stazio: questi, dopo esser stato fra i prodighi(e prima fra gli accidiosi), si è ormai purificato e accederà al Paradiso.Insomma, questa differenza fra le due cantiche, e cioè l’identità ano-nima degli avari (e dei prodighi) dell’Inferno ed il colloquio di Dantecon alcuni avari (ed un prodigo) del Purgatorio, pare anche indica-re, a mio avviso, che l’avarizia può essere sì un peccato mortale, marestando, in questa stessa categoria, una sorta di peccato minore.

Nella cultura cristiana questo tema è stato affrontato in particolareda Tommaso d’Aquino, pensatore la cui filosofia ha avuto ed ha unruolo primario fra i fondamenti teologici della Chiesa. L’Aquinate si èoccupato dell’avarizia in vari suoi scritti, in particolare nelleQuestiones disputatae De malo (“Questioni disputate sul male”) e inquella poderosa costruzione filosofica, di segno aristotelico-cristiano,che è la Summa theologiae. Per Tommaso l’avarizia è sempre un pec-

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cato la cui gravità tuttavia dipende dal rapporto che questo vizio capi-tale11 ha con le virtù della liberalità e della giustizia.

Quest’ultima prevede che vi sia “il giusto mezzo dell’eguaglianza,stabilita nelle stesse cose possedute, in modo, cioè, che ciascunoabbia ciò che gli è dovuto”.12 Chi, dunque, per brama del denaro, sot-tragga beni altrui, praticando il furto e la rapina, commette peccatomortale poiché, in questo caso, l’avarizia si oppone alla giustizia.13 Maanche “un peccato di questo genere può essere veniale”:14 a questoproposito Tommaso rimanda alle pagine della Summa dedicate alfurto ove si legge che “la necessità che spinge a rubare (…) diminui-sce o toglie del tutto la colpa”.15 Inoltre, nelle Qaestiones disputataeDe malo, il filosofo precisa che - sebbene l’avarizia, nel suo opporsialla giustizia, sia peccato mortale - tuttavia non lo sono “i primi motiin questo genere di peccato”.16 Si tratta dei “primi moti della sponta-neità istintiva e irriflessa (che si riscontrano p. es. nei bambini) chespingono a prendere i beni altrui, ma che non sono frutto di una deli-berazione e di una scelta”.17

Riguardo alla liberalità, che consiste nel tenere “il giusto mezzonella brama delle ricchezze”,18 se l’amore dei beni materiali “cresce alpunto da superare la carità, cosicché per l’amore delle ricchezze unonon esita ad agire contro l’amore di Dio o del prossimo, allora l’ava-rizia è peccato mortale. Se invece il disordine suddetto non passacodesto limite, sicché un uomo, pur amando eccessivamente le ric-chezze , non le preferisce all’amore di Dio (…), allora l’avarizia è unpeccato veniale”.19 Insomma “l’avarizia molte volte è peccato venia-le”20 e, in ogni caso, “non è il più grave dei peccati”.21 Infatti - secon-do Tommaso - la gravità di un peccato si può valutare “in rapporto albene che il peccato disprezza o distrugge: cosicché più grande ècodesto bene e più grave è il peccato. E sotto quest’aspetto i peccatipiù gravi son quelli contro Dio; seguono i peccati contro la personadel prossimo; e finalmente vengono i peccati contro le cose esternedestinate all’uso dell’uomo, tra i quali rientra l’avarizia”.22 Ma anche,aggiunge il filosofo, la gravità di un peccato “si può considerare inrapporto al bene cui si sottomette l’appetito dell’uomo”:23 più il beneè inferiore, più il peccato è vile e vergognoso. Ebbene, i beni mate-riali “sono gl’infimi beni dell’uomo” essendo “al disotto dei beni delcorpo; i quali sono inferiori ai beni dell’anima, che a loro volta sonosuperati dal bene divino”.24 Così l’avarizia, rispetto ad altri peccati, “hain qualche modo una deformità [deformitatem] più grande”.25 Ma ilconcetto di “deformitas” è teologicamente assai meno strutturato diquelli di peccato mortale e veniale.

Le considerazioni di Tommaso, come ho già detto, sono state fatteproprie dalla teologia cristiana come conferma ad esempio la voce“Avarizia” dell’Enciclopedia cattolica, che riprende alla lettera leasserzioni su questo vizio prospettate dal filosofo.26 Questi è vissutonel XIII secolo. E se per i tempi, quanto scrive sul furto per stato dinecessità appare in effetti assai ‘moderno’, il suo sottolineare la fre-quente venialità dell’avarizia e il suo asserire che si possono amareintensamente le ricchezze, purché si ami di più Dio, sono risultati fun-zionali, a mio avviso, alla politica della Chiesa di Roma. Dante, nellastessa epoca, al canto XIX dell’Inferno, riprende quel concetto dellaChiesa come magna meretrix che accomunava gli oppositori dellaplutocrazia papale: fin dai primi versi il poeta recrimina che, sebbenele cariche ecclesiastiche avrebbero dovuto essere “di bontade (…)spose” (vv. 2-3), ossia tenute sempre dai buoni, i simoniaci riuniti inquella terza bolgia sono stati “rapaci / per oro e per argento” (vv. 3-4). Dante immagina siano infissi a testa in giù, in buche del terreno,mostrando al di fuori le gambe con le piante dei piedi tormentate daun fuoco eterno. In ogni buca vi sono, uno sopra l’altro, più dannatie quello di cui si vedono le gambe è il più recente mentre i prece-denti sono sprofondati più in basso. Nella buca dei Papi vi è, sopraaltri pontefici, Nicolò III che attende l’arrivo del suo successore

Bonifacio VIII,27 il gran nemico di Dante, cui farà seguito, in quel foro,Clemente V, regnante mentre il poeta scriveva l’Inferno. Dei pontefi-ci indegni, parlando a Niccolò III, Dante dice fra l’altro: “la vostra ava-rizia, il mondo attrista,28 / calcando29 i buoni e sollevando30 i pravi”(vv. 104-105). Anche in una sua epistola del maggio-giugno 1314,indirizzata ai cardinali italiani, Dante esprime considerazioni analo-ghe: era morto Clemente V, il Papa francese che aveva trasferito lasede papale ad Avignone;31 Dante scrive ai suoi destinatari perché, alconclave di Carpentras, cercassero di far eleggere un Papa italiano cheriportasse il Papato a Roma (anche se gli italiani erano solo sei su ven-tiquattro); ebbene, ai Cardinali italiani, il poeta, a proposito dell’esse-re la “Madre Chiesa” giunta a “un’ora quasi mortale”,32 scrive: “E qualmeraviglia? Ognuno si tolse in moglie la cupidigia, come voi stessipure avete fatto: la cupidigia che non è mai, come la carità, genitricedi pietà e di equità, ma sempre di empietà e di iniquità”.33 Chissà cosaavrebbe detto se avesse saputo che secoli dopo l’Inquisizione spagno-la avrebbe censurato, nel Don Chisciotte di Cervantes, un’unica frase,relativa proprio alla carità: “Le opere di carità fatte con tiepidezza ofiacchezza non hanno alcun merito e valore”.34 Evidentemente il fareelemosine senza troppo zelo era, nella cattolicissima Spagna, una pra-tica abituale fra nobili, prelati e ricchi borghesi.

Tornando al canto XIX dell’Inferno, Dante si scaglia contro unaChiesa romana dedita al “puttaneggiar coi regi” (v. 108), ossia a pro-stituirsi nella disputa fra Stati. Quest’ultimo è un problema delucida-to, in seguito, da Lorenzo Valla con la scoperta che la cosiddetta“Donazione di Costantino”, ossia il documento con cui l’ImperatoreCostantino avrebbe donato a Papa Silvestro I Roma e il Lazio, era unfalso;35 questione risolta sul piano pragmatico solo il 20 settembre1870 con l’entrata in Roma dei bersaglieri italiani da un varco dellacelebre Porta Pia. Ma, anche prescindendo dai trascorsi possessi tem-porali della Chiesa e dalle figure (frequenti per Dante) dei Papi simo-niaci, la moderata gravità media dell’avarizia nella cultura cristiana, esoprattutto cattolica, penso dipenda proprio dalla propensione all’ec-cessiva ricchezza di cui la Chiesa ha dato prova per secoli. Non acaso, proprio all’epoca di Dante, sono fioriti movimenti cristiani criti-ci verso una Chiesa che aveva perso la purezza evangelica, movimen-ti che la Chiesa stessa ha quasi sempre perseguitato, qualificandolicome eretici. E se San Francesco è riuscito a veder approvata laRegola sia nel 1210 da Innocenzo III, sia nella versione definitiva daOnorio III nel 1223, è dall’alveo del francescanesimo che si sono svi-luppati il movimento degli spirituali, più volte condannato da bolle ealtri editti papali, ed indirettamente quello dei fraticelli, giudicato ere-tico e scismatico. San Francesco è sempre stato ubbidiente nei riguar-di dei Papi e del Vescovo di Assisi, ma scorgiamo la cultura francesca-na sullo sfondo di figure come quella di Gherardo Segarelli,36 arsovivo a Parma il 18 luglio 1300, o quella del suo discepolo Fra Dolcino,il cui rogo ha avuto luogo a Vercelli il 1° luglio 1307 (la sua compa-gna Margherita era stata bruciata a Biella un mese prima). Altri oppo-sitori della corruzione papale hanno avuto altre origini (come adesempio i Valdesi) e la Riforma protestante, nel suo non prevedere unPapa e uno Stato pontificio, ha allentato il legame fra Chiesa, comeistituzione, e propensione alla ricchezza. Anche nel mondo protestan-te ad ogni modo l’avarizia si è solitamente associata a un genere tea-trale o letterario non tragico: ho già citato Il racconto di Natale diDickens, cui si può aggiungere per esempio Il mercante di Veneziashakespeariano, con la figura dell’ebreo Shilock. Anche questa è unacommedia dai toni spesso cupi, tuttavia con un innegabile lieto fine(non per Shilock ma, nella logica del testo, si merita quanto gli acca-de37). A tale proposito, ma questo vale per tutti i peccati, la teologiacattolica, a differenza di quelle protestanti, prevede che il peccatorepossa pentirsi e salvarsi l’anima anche in fin di vita: l’avarizia, quindi,di frequente è un peccato veniale, come evidenziava già San

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Tommaso, e in ogni caso basta un pentimento in extremis e i giochisono fatti.

Insomma, l’avarizia sembra spesso un peccato “che se ne va conl’acqua benedetta”, per dirla con le parole utilizzate da fra’ Timoteonella Mandragola (III.11) di Machiavelli, disquisendo di un altrogenere di peccato a suo dire veniale. Del resto negli ultimi secoli l’a-varizia è slittata dalla teologia al campo della morale e, se l’essereavaro costituisce tutt’oggi un tratto comportamentale sgradevole (agliocchi degli altri), l’importanza del denaro è un segno distintivo dellanostra epoca. Il successo di giochi a premi e lotterie mostra come ipiù auspichino di avere non solo quanto può loro servire per una vitadignitosa, ma molto di più. E questo - l’avere in abbondanza - è pro-babile sia stato un sogno dell’umanità fin dai tempi più antichi. Citeròqui ancora una volta Dante: “Oh cupidigia , che i mortali affonde38 /sì sotto te, che nessuno ha podere39 / di trarre gli occhi fuor delle tueonde!” (Paradiso, XXVII, 121-123).40 D’altro canto, se oggi di avariziain senso stretto si può parlare, a venire in mente è prima di tutto lasituazione debitoria dei paesi del terzo mondo nei confronti dellenazioni più ricche della Terra: il fatto che quel debito non sia statoancora azzerato è segno lampante che la cupidigia dei ricchi (indivi-dui, istituzioni, stati) è spesso, tuttora, assai forte. Ed è davvero unacolpa dell’Occidente, oltre che frequentemente delle classi dirigentilocali, se continuano ad esservi paesi dove si muore di fame o dovemietono vittime malattie da noi debellate o curabili con facilità.

L’era contemporanea è stata un periodo di poderoso sviluppo e,specie nel Novecento, di quasi indicibili orrori. Così, mentre si avvia-va la scristianizzazione dell’Occidente e insieme il trionfo del capita-lismo, associare avarizia (non più peccato, ma tratto psicologico) etragedia è divenuto possibile. Tuttavia la forma che il tragico haassunto nell’età contemporanea è stata quella del “dramma” o, spes-so, del grottesco (si pensi a Pirandello o a Beckett). Qui citerò treesempi di giunzione fra avarizia e ‘dramma’ anteriori alle reali e tre-mende tragedie della seconda guerra mondiale. Il primo ha peroggetto un capolavoro della storia del cinema: Greed (1924-1925) diErich von Stroheim, un film muto tratto dal romanzo Mc Teague: AStory of San Francisco (1899) di Frank Norris. L’ambientazione è inCalifornia, all’inizio del Novecento. I tre protagonisti sono l’ex mina-tore Mc Teague (interpretato da Gibson Gowland) che si è messo afare il dentista; sua moglie Trina (Zasu Pitts) che, dopo aver vinto5000 dollari alla lotteria, si dimostra patologicamente avara; Marcus(Jean Hersholt), ex amico di Mc Teague ed ex fidanzato di Trina.Marcus, geloso di Mc Teague e invidioso della vincita, fa in modo difar chiudere al rivale lo studio dentistico rivelando alle autorità cheesercita la professione senza laurea. Il fatto che Trina non vogliaspendere nulla, e la chiusura dell’attività, portano Mc Teague e suamoglie alla povertà. La donna infine lo lascia, portando con sé la vin-cita, ed egli si dà all’alcool. Disperato e ridotto alla fame, quandoincontra di nuovo Trina, le chiede del denaro; al suo diniego, la ucci-de, fuggendo coi 5000 dollari nel deserto della Death Valley. Marcuslo insegue e, dopo un lungo inseguimento, lo ammanetta, ma McTeague riesce a ucciderlo, per poi morire a sua volta di sete, amma-nettato al cadavere dell’ex amico, accanto alla borsa con le moneted’oro. Anche per Stroheim, come per San Paolo, il denaro è all’origi-ne di tutti i mali: ma non si tratta qui di peccati, bensì del male che,spinti dalle loro pulsioni economicistiche, gli umani fanno a se stessied al loro prossimo.

Il secondo esempio è una fosca storia narrata da FëdorDostoevskij nel suo celebre I Fratelli Karamazov (1879-1880),romanzo ove torniamo ad una tormentata dimensione religiosa. Alcapitolo III del libro VII, Grusen’ka narra ad Alësa e a Rakitin unafavola che, quand’era bambina, le è stata raccontata da una serva cheora le fa da cuoca. Eccone la trama: una “donna cattiva cattiva”41

(anch’ella anonima, come gli avari dell’Inferno dantesco) morì senzaaver compiuto nella sua vita alcuna opera buona; i diavoli, dunque,la precipitarono all’Inferno; ma il suo angelo custode si ricordò, e cosìdisse al Signore, che la donna, una volta, aveva donato una cipollinadel suo orto a un povero; così il Signore le concesse di appendersi aquella cipollina: se l’angelo fosse stato in grado di tirarla su fino alParadiso, bene; se invece la cipollina si fosse rotta, la donna sarebbericaduta per sempre nel lago di fiamme; la donna si appese e l’ange-lo iniziò a tirare; ella era quasi del tutto uscita dal lago infuocato,quando molti altri dannati, volendo esser tratti fuori anche loro, siaggrapparono a lei che, come sempre assai cattiva, prese a scalciarligridando: “Stanno tirando me e non voi, la cipollina è mia, nonvostra”;42 al che la cipollina si spezzò e la donna ricadde per semprefra le fiamme infernali. Ecco, ancora, una quasi dantesca dannatadell’Inferno: della sua cattiveria Dostoevskij menziona proprio lacupidigia fondata sul non dare, ma anche una misera cipollina dona-ta sarebbe bastata alla sua salvezza; per cui a dannarla è, in fondo,quella mancanza di pietà verso gli altri che infine la porta, egoistica-mente, a voler solo lei raggiungere il Paradiso. Potremmo dire che,nella logica di questa storia, ossia in un contesto teologico ortodossoche non prevede l’esistenza del Purgatorio, l’avara ha avuto quel chesi merita. Ma a scompensare, ritengo, l’idea che tutto torni, vi è ildolore finale dell’Angelo che si allontana in preda alle lacrime. Sonolacrime di pietà che danno una nuance drammatica a questo raccon-to cristiano.

Infine, grazie a una segnalazione nel volumetto Avarizia di PhyllisA. Tickle,43 citerò un poco noto racconto di David Herbert Lawrence,“The Rocking-Horse Winner” (“Il vincitore sul cavallo a dondolo”,1933), un testo che credo meriti d’essere letto tutt’oggi. Una coppiaaveva tre figli, un ragazzo (Paul) e due bambine, che la madre nonamava perché “in fondo al suo cuore, c’era un qualche cosa di duroche non poteva sentire amore (…) per nessuno”;44 ed era un senti-mento negativo che i suoi figli percepivano; i coniugi si sforzavanodi vivere da gente ricca, ma avevano redditi modesti e, in quella casa,il denaro non era mai abbastanza; c’era anzi una frase, non pronun-ciata da alcuno che, pure, i bambini sentivano bisbigliata di continuo:“Ci vuole più danaro! Ci vuole più danaro!”;45 la madre, ad alcunedomande del ragazzo sulla loro condizione economica, rispose cheerano poveri perché non erano fortunati; Paul - ci dice l’autore - siconvinse che il suo cavallo a dondolo poteva portarlo dove c’era lafortuna e per questo lo cavalcava spesso con frenesia estrema; da uncerto giorno, in effetti, riuscì spesso a sapere chi avrebbe vinto allecorse dei cavalli; si mise segretamente in società col giardiniere e conuno zio, senza tuttavia rivelare loro il suo metodo; gli disse però chelo faceva per sua mamma, per essere almeno lui il fortunato dellafamiglia e perché la casa, una volta che fossero divenuti ricchi, smet-tesse di bisbigliare; le vincite erano ingenti e un avvocato, su loroincarico, fece avere molto denaro alla madre, facendo finta arrivasseda un lontano parente; le puntate sui cavalli proseguirono e la fami-glia divenne ricca; sennonché - ed ecco che, in questi genitori,cominciamo a cogliere il germe della cupidigia - le voci della casaripresero a farsi sentire da Paul ma ora erano gridate e dicevano: “Civuole più danaro. Oh, adesso, adesso! Adesso…ci vuole più danaro!Più che mai! Più che mai!”;46 per due volte le previsioni del ragazzonon si avverarono ed egli voleva vincere in tutti i modi al prossimoDerby; era stanco e teso sì che lo zio gli disse di non preoccuparsi seavevano perso e la madre, invano, cercò di convincerlo ad andare almare; con l’avvicinarsi del Derby, Paul divenne sempre più strano ela madre era in ansia per lui; in realtà, come scrive Lawrence, “ilsegreto dei segreti di Paolo47 era il suo cavallo di legno”;48 due gior-ni prima del Derby, i suoi genitori erano a un ricevimento, ma lamente di sua madre era concentrata su di lui, così telefonò alla gover-

L’area di Broca 20

nante che le disse come Paul fosse già a letto; rientrati i coniugi acasa, la madre salì alla camera del figlio, sentendo da fuori uno stra-no rumore; entrata nella stanza e accesa la luce, vide Paul “che si don-dolava come un pazzo sul suo cavallo”;49 la madre gli chiese che cosafacesse, ma il ragazzo gridò “con voce strana è forte”: “È Malabar! (…)È Malabar!”;50 poi cadde a terra; la madre lo rialzò, ma il ragazzo,ormai “in preda a febbre cerebrale”,51 non faceva che ripetere il nome“Malabar” e solo lo zio chiarì che si trattava di uno dei cavalli impe-gnati nel Derby; il giorno della corsa, il giardiniere andò a portare aPaul, che giaceva a letto in gravi condizioni, la notizia che Malabaraveva vinto; e Paul rivelò ai presenti che, se cavalcava il suo cavalloa dondolo fino ad essere sicuro del cavallo vincente alle corse, la vin-cita era garantita; le sue ultime parole furono per la madre: “Mamma,te l’ho mai detto? Sono fortunato”;52 “No, non me l’hai mai detto”53

rispose la donna, ormai ricchissima per il sacrificio di un figlio; quel-la notte, infatti, il ragazzo morì. Sbaglia la già citata Tickle a scrivereche “come c’era da aspettarsi, i parenti spingono il ragazzo a dondo-lare sempre più in fretta, sempre più forte, finché muore per lo sfor-zo proprio sotto i loro occhi”:54 a parte il fatto che Paul non muorementre cavalca, non sono i suoi “parenti”, pur affetti da cupidigia, aspingerlo a dondolare, se non altro perché, come ho già detto, finoalla fine, al pari del lettore, non apprendono il suo segreto. Ma è tra-gica la figura di questo ragazzo che - in un mondo apparentementesenza Dio (le sue stesse intuizioni non si da dove gli arrivino) - muoreperché i suoi possano essere felici, anche se forse non basterà loroneppure la strabiliante vincita fatta dallo zio con Malabar. È un tragi-co che, in effetti, specie nell’originale inglese, ci appare sotteso dauno sguardo autoriale ironico: ma ho già ricordato prima come l’iden-tità assunta dalla tragedia nella nostra epoca sia spesso il grottesco(inteso come sintesi fra il tragico e il comico).

Il terzo giorno di malattia del ragazzo, il “giorno critico” in cui“aspettavano un mutamento”55 (ma la notte seguente Paul sarebbemorto), l’autore ci informa che “sua madre (…) sentiva che il cuorele era morto, le era diventato proprio di pietra”:56 considerato quan-to Lawrence ci ha detto all’inizio sul cuore duro della donna, par-rebbe confermarsi la sua incapacità di amare (psicologicamenteinterpretabile come una difesa dalle proprie emozioni e qui, in par-ticolare, dal dolore). Anche se, in verità, nel corso della vicenda, ellaci è apparsa meno anaffettiva verso il figlio di quanto ci dica l’auto-re. È il ragazzo, ad ogni modo, che si imbarca nella sua folle impre-sa per darle la gioia e guadagnarsene l’amore. E questa conquistadell’affetto materno egli la lega all’avere più che all’essere. Per Paulè, certo, un avere per dare. Ma qui essere fortunato significa soloottenere tanti soldi, triste paradigma della pervasiva propensioneeconomicistica del nostro tempo.

1 L’elenco dei sette peccati capitali come lo conosciamo oggi - avarizia,superbia, lussuria, invidia, ira, gola e accidia - si deve a Papa GregorioI Magno (VI-VII sec.). Sette sono anche, considerate nel loro insieme,le virtù teologali (Fede, Speranza, Carità) e quelle cardinali (Prudenza,Temperanza, Giustizia, Fortezza). Già, comunque, nella letteraturaromana, troviamo in un’Epistola (I, 1) di Orazio la citazione di settevizi che ricordano quelli poi teorizzati dal Cristianesimo: avaritia, lau-dis amor (l’amore delle lodi, corrispondente sostanzialmente allasuperbia) e l’atteggiamento di chi è invidus (invidioso), iracundus(iroso), iners (accidioso), vinosus (amante del vino), amator (lussurio-so), cui il poeta peraltro aggiunge l’essere ferus (selvaggio) mentre quiessere un beone è evidentemente ritenuto un comportamento piùgrave (o diffuso) dell’essere genericamente goloso. Secondo poi ilmonaco Giovanni Cassiano (ca. 350-ca. 435) ed altri autori i vizi capi-tali erano otto, ossia i sette oggi noti con l’aggiunta della tristezza (cfr.Richard Newhauser, The Early History of Greed: The Sin of Avarice in EarlyMedieval Thought and Literature, Cambridge, Cambridge University

Press, 2000, pp. 110-111).

2 L’associazione lupa (o lupo) - avarizia è fra le correlazioni più saldeed univoche fra quelle in cui, a denotare i sette peccati (o vizi) capi-tali, erano usate immagini di animali: la troviamo ad esempio confer-mata nella celebre Iconologia (1593) di Cesare Ripa. Lo stesso Dante,nel Purgatorio (canto XX), scrive: “Maladetta sie tu, antica lupa, / chepiù che tutte l’altre bestie hai preda / per la tua fame sanza fine cupa!”(vv. 10-12).

3 “Sazia”.

4 Cfr. Inferno, canto I, vv. 100-111.

5 In subordine, Dante potrebbe aver voluto alludere ad un Imperatorein grado di ristabilire la distinzione fra potere temporale e potere spi-rituale.

6 I Tim., VI, 10. L’originale greco suona: “Riza gar panton ton kakonestin e philarguria” (ove quest’ultimo termine vale letteralmente come“attaccamento al denaro”). La condanna della cupidigia è netta anchenell’induismo, nel buddismo e nelle altre religioni orientali, oltre chenell’ebraismo: cfr. Phyllis A. Tickle, Avarizia, trad. it., Milano, RaffelloCortina Editore, 2006, pp. 17-20.

7 Cfr. Luigi Lunari, “L’avaro di Molière fra teatro e realtà”, in Molière,L’avaro, a cura di L. Lunari, Rizzoli, Milano, 19883, pp. 15-28.

8 Di questa commedia che Goldoni ha scritto in francese, durante l’ulti-mo periodo della sua vita, trascorso appunto oltralpe, l’autore haredatto anche una versione italiana: L’avaro fastoso. Inoltre figure diavari sono pure presenti in altri suoi lavori, ad esempio nelle comme-die L’avaro, Il geloso avaro e Il vero amico.

9 È ancora valida l’interpretazione data dal Sapegno nella sua edizionedel poema: cfr. Dante Alighieri, La divina commedia, a cura di NatalinoSapegno, vol. I (Inferno), Firenze, La Nuova Italia, 1968, nota al v. 1del canto VII.

10 Forse si tratta di Pilato e non, come si è spesso scritto in passato, diun Papa spirituale come Celestino V: cfr. op. cit., nota di N. Sapegnoal v. 59, p. 34.

11 “L’avarizia, che consiste nella brama di denaro, è un vizio capitale”(Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II,II, quaestio 118, articulus 7:v. S. Tommaso d’Aquino, La somma teologica, trad. e commento deiDomenicani italiani [testo latino dell’Edizione Leonina], vol. XIX [Lealtre virtù riducibili alla giustizia], a cura di P. Tito S. Centi O. P., s. l.[Firenze], Casa Editrice Adriano Salani, 1967, pp. 254-257, cit. a p. 256).

12 Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae De malo, q. XIII, a. 1: I vizicapitali (dalle Questioni disputate sul male), a cura di UmbertoGaleazzi, Milano, Rizzoli, 1996, p. 445.

13 Cfr. Summa, II, II, q. 118, a. 4: op. cit., p. 246.

14 Ibid.

15 Summa, II, II, q. 66, a. 6: S. Tommaso d’Aquino, La somma teologica,trad. e commento dei Domenicani italiani (testo latino dell’EdizioneLeonina), vol. XVII (La giustizia), a cura di P. Tito Centi O. P., Bologna,Edizioni Studio Domenicano, 1984, pp. 218-221, cit. a p. 218 (cfr.anche a. 7: op. cit., pp. 220-223).

16 Questiones disputatae. De malo, q. XIII , a. 2: I vizi capitali, cit., p. 457.

17 Ibid., nota del curatore.

18 Summa, II, II, q. 118, a. 3: La somma teologica, cit., vol. XIX, p. 242.

19 Summa, II, II, q. 118, a. 4: op. cit., p. 246.

20 Ibid.

21 Summa, II, II, q. 118, a. 5: op. cit., p. 250.

22 Summa, II, II, q. 118, a. 5: op. cit., p. 248.

23 Ibid.

24 Ibid.

25 Summa, II, II, q. 118, a. 5: op. cit., p. 250.

26 Cfr. Pietro Lambreras, voce “Avarizia”, in Enciclopedia Cattolica, vol. II,Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il libro cattolico,Firenze, Sansoni, 1949, p. 507.

L’area di Broca21

27 Avendo regnato dal 1294 al 1303, era Papa in quel 1300 in cui Danteha ambientato la Commedia.

28 “Corrompe”.

29 “Deprimendo”.

30 “Esaltando”.

31 Il trasferimento fu dovuto alle discordie fra gli stati italiani, alle pressio-ni del Re di Francia Filippo il Bello (che, per impossessarsi delle ric-chezze dei templari, indusse Clemente V a perseguitarli e a sopprime-re l’ordine), ad una maggioranza di francesi nel Collegio cardinalizio.

32 Dante, “Epistola XI, ai Cardinali italiani” (maggio-giugno 1314), para-grafo 6, in Le lettere di Dante, a cura di Arnaldo Monti, Milano, U.Hoepli, 1921, p. 281. La lettera è in latino; le mie citazioni sono dallaversione italiana di Monti.

33 Op. cit., paragrafo 7, pp. 281-282. In effetti i Cardinali italiani punta-vano a far eleggere un cardinale italiano, anche se nato in Francia,Guglielmo di Mandagot, Vescovo di Palestrina, che avrebbe riportatola sede pontificia a Roma; ma il 14 luglio 1314, armati francesi guida-ti dal nipote del Papa morto irruppero nel Conclave costringendo gliitaliani a fuggire; il Conclave si chiuse; infine, più di due anni dopo,il 7-8-1316 divenne Papa un altro francese, Jacques Duèse, col nomedi Giovanni XXII. Il Papato tornò a Roma, ponendo termine allacosiddetta “cattività avignonese”, solo nel 1376.

34 Cfr. Joseph Perez, Breve storia dell’Inquisizione spagnola, trad. it.,Milano, Corbaccio, p. 194.

35 L’opera in cui il Valla ha esposto la sua scoperta è il De falso creditaet ementita Constantini donatione libellus, scritto redatto nel 1440 estampato nel 1520.

36 Ripeteva spesso “Penitentiagite” come poi Salvatore nel Nome dellarosa di Umberto Eco.

37 Naturalmente oggi non possiamo disconoscere qualche tratto antise-mita in questo testo, malgrado vi sia una battuta di Shilock (atto III,scena 1) a funzione in buona misura antirazzista (anche per come haaffrontato questa problematica è pressoché ineccepibile il film TheMerchant of Venice [2004] di Michael Radford).

38 “Sommergi”.

39 “Potere”.

40 Come ha scritto Fernando Savater “nessuno ha veramente bisognodella maggior parte delle cose che possiede o desidera, e così è sem-pre stato nella storia dell’umanità” (I sette peccati capitali, trad. it.,Milano, Mondadori, 2007, p. 5).

41 Cito da Fëdor Michajlovic Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. it. diMaria Rosaria Fasanelli, vol. I, Milano, Garzanti, 1999 (1a ed. 1992), p.489. Fra i personaggi di Dostoevskij, un’altra esplicita figura di avaroè il protagonista del racconto Il signor Procharcin.

42 Ibid.

43 Cfr. P. A. Tickle, op. cit., pp. 77-78.

44 D. H. Lawrence, “Il vincitore col cavallo a dondolo”, in Racconti, trad.it., Milano, Mondadori, 19622, pp. 943-960, cit. a p. 945 (la traduzio-ne è di Aldo Camerino). La prima idea di questo racconto è venuta aLawrence nel 1926: cfr. Piero Nardi, “Nota informativa”, in op. cit., pp.1047-1048. È stato edito nello stesso anno sul periodico Harper’sBazaar ed è poi uscito nella raccolta postuma The Lovely Lady(London, Martin Secker, 1933).

45 Op. cit., p. 946 (corsivo nell’originale).

46 Op. cit., p. 956.

47 Il traduttore Aldo Camerino ha preferito italianizzare il nome del pro-tagonista. Mentre il nome dello zio, Oscar, è invariato in italiano einglese, solo negli ultimi righi apprendiamo che la madre di “Paolo”si chiama Hester.

48 Op. cit., p. 957.

49 Op. cit., p. 959.

50 Ibid.

51 Ibid. L’espressione medica inglese “brain fever”, come scrive

Lawrence, o “cerebral fever”, allo stesso modo della terminologia corri-spondente italiana (“febbre cerebrale”), sono obsolete. Corrispondono,in genere, all’odierna diagnosi di meningite o encefalite.

52 Op. cit., p. 960.

53 Ibid.

54 P. A. Tickle, op. cit., p. 78.

55 D. H. Lawrence, op. cit., p. 959.

56 Op. cit., pp. 959-960.

IN MEMORIA DI ALDO REMORINI

Il carissimo Aldo; il tenero, autentico, coraggioso, sfortunato,“spaesato” amico Aldo; il forte, ironico, doloroso, amoroso poetaAldo Remorini non è più con noi. E’ morto nella sua casa, a Bientina(Pisa), all’alba del giorno di Pasqua 2007. Avrebbe dopo pochissimigiorni compiuto 58 anni, essendo nato a Bientina il 20 aprile 1948.Gli aggettivi sopra usati non sono affatto “abusati” per uno come lui,fedele a sé e agli amici, fedele sino in fondo alla scrittura, alla poesiache da dentro lo “illuminava” e di certo lo sosteneva in un camminofaticoso, difficile quale per lui era la vita.

Liceale prima, operaio alla Piaggio poi, era soprattutto un poeta,un Dino Campana di questi nostri anni spesso troppo squallidi pervalutare appieno anime dolorose, delicate e forti come la sua.

Noi (voglio dire il primo nucleo redazionale di “Salvo imprevisti”)lo conoscevamo da ormai trent’anni. Nel 1978 avevamo pubblicato ilsuo primo intenso libro di versi, Spaese, cui era seguito, nel 1989, unaltro volume bellissimo di poesia: Innocuo dialogo con l’amore quo-tidiano, da cui erano stati tratti due lavori teatrali: “Amosfera” e “Ilbagaglio rosa”, andati in scena con la compagnia teatrale diPontedera. Sue poesie, intanto, erano apparse su varie riviste.

La sua voce poetica era incisiva, complessa, talora apocalittica,spesso “profetica”. Da anni ed anni “aveva nel cassetto” (come sidice) il terzo – ora rimasto inedito – libro di poesia, dal toccante tito-lo Feste e feste, da cui i testi seguenti sono tratti.

Caro, dolce amico Aldo, che la terra ti sia lieve, e che tu possa“festeggiare” Altrove ciò che non sei riuscito a festeggiare appienoqui. Con tutto il mio (e nostro) affetto

Mariella Bettarini

Aldo Remorinida Feste e feste

III

Dolcezze ma durano se perse ancora,io valgo più antico che il velocePasto: il Sogno la Luce la Calmail Lavoro che perde vita nelle biondefeste, come una perdizione di piogge,come un bosco fuori stagione, comeun giuoco estinto cui sedere miseri, che ci ospita il confine del voltoper ognuno sacro come la difesaparsimoniosa di un infelice luogo – limite di tolleranza stanza abbandono– dimissione, intimando perdizione o duro labirintodi mille occupazioni negli scuri inverni.

L’area di Broca 22

Io vengoIo vengo dalla Cattedra, da Polpedi Finali, da pulpiti dove l’Angosciachiacchiera da sola con la mia politica,

con i miei pochi anni…traguardi, a cui chiedevo perché siete immorali.Perché d’estate la neve fitta dalla fine pioggia,mondata da un nascere ventoso, laborioso

e disonesto…che fa corona ad Animule, sedute su panchea visite in fabbrica, a sirene, a scuole, a rinfreschi

di anni, con al collo la Perlache fa Collana di fanciulle e paesaggi morti

dolce ho mangiato anche questo giorno,pure oggi ho presentato la paura, tuttoil silenzio appreso e mai più raggiante,per Gambe Tese, per interrogare la Musa,in Archi, in zuccheri verdi, nel saperelimitrofo che dicevano i miei pochi anni.Più di un anno sotto la Fanatica Stella dello scrivere il moto del mio grido– sulla riga che neve fa con le spalle (lucide).

(Giallo)L’allergia lo pensavola potesse esprimereil Parlare. La scenaè quella di un fuoriuscitoe dipinto legnoche lego col Libroda leggere di nascosto, di rimpiatto…Così vivo che fa pensare purea solitudini, a moti,a ricchi messeri, a turibolidi incendi, a pioggeper affollati semidi inverni che tessonoFabbriche Fuori Conclave:con la chiave ripresaa camminare col primofreddissimo sognoo luce che sa di pronunciaredentro le calze, la candela (accesa)azzurra e rosa che imporpora, cosìviva, così fissa, la fabbrica d’amore.

(anni ’90)

Gabriella Maleti Per Aldo Remorini

Buia necessariamente la localitàper quella pioggia a grumi,mista a nevee ne revamo intrisi tutti fin nelle ossa(anche l’Alfa nera)e per fortuna il basco grigio copriva la fronte.

Lo vedemmo camminarescrutabilmente sonoro,chiamava qualcuno che si disperse,allora gli dicemmo ma senza ombrello guarda accidenti,difatti i capelli che sembravano lisis’erano inzuppati.

Ah poeta candido malgovernato.Mitezza d’un branco inimitabile.Seguire orme e l’arnia del tuo dire cosìcondivisibile,andare per pranzi riscattati,per omnie saggezze e calamità materiali,scrutare ciò che scruti, alimentarela famiglia che siamo, la soporositàdegli infreddoliti per scelta,dei nullatenenti perché è meglio così, perchéuna scuola ci salva, ben messa, e tu che diciecco, la mia stanza è lì, è pulita,è quella che abito, ma piove.

Non sappiamo più che dartiun bacio, un caffè, poi leggi un foglio esu quella testa viene da posare il basco grigio,un momento, ma sì, a te sta bene, certoun po’ più riparatoe un calore scioglie la vita intera,quello che lì, appena sotto, ci governa.

(da Parola e silenzio, Gazebo, Firenze, 2004)

L’area di Broca23

Massimo Acciai è nato a Firenze nel 1975 dove vivee lavora. È laureato in Lettere all’Università di Firenze.Lavora presso uno studio fotografico fiorentino. Redattoredi “Nova sento” (organo della Gioventù EsperantistaItaliana), e co-redattore de “L’Esperanto”, ha pubblicatovarie plaquettes di poesia e narrativa con “Segreti diPulcinella”, rivista in rete da lui fondata nel 2003 conFrancesco Felici. E’ redattore de “L’area di Broca”.

Margherita Adda è nata a Vicenza nel 1962.Laureata a Padova in Letteratura italiana con una tesisu Fausta Cialente, con le Edizioni Gazebo ha pubbli-cato i seguenti libri di versi: Mia pargola Egle (1996),Lungo l’epicentro (1998) e L’implume cuore (2005).

Luca Baiada vive e lavora a Roma. Nel 2002 hapubblicato il libro di poesia Le maschere del caos nel-l’ingranaggio armato. Può essere contattato all’in-dirizzo elettronico: [email protected]

Cinzia Bellini è fiorentina, diplomata con maturitàartistica. Nel 1983, insieme al Teatro Arkhè, gruppoteatrale condotto e diretto da Ugo Chiti, esordiscecome attrice, realizzando vari spettacoli. Lavora poicon Vito Zagarrio e Nicola Zavagli. Da sempre dipinge,scrive poesie e brevi racconti.

Marco Bellucci, nato a Firenze nel 1984, vive aScandicci (Fi). È laureato in “Sviluppo economico ecooperazione internazionale” presso la facoltà diEconomia dell’Università di Firenze. In internet curaun forum pluritematico: http://www.topicamente.it

Mariella Bettarini è nata nel 1942 a Firenze,dove vive e lavora. Nel ’73 ha fondato e diretto ilquadrimestrale di poesia “Salvo imprevisti” e attual-mente dirige “L’area di Broca”. Con Gabriella Maleticura le Edizioni Gazebo. Collabora a varie riviste. Hapubblicato più di venti libri di poesia (l’ultimo deiquali dal titolo Balestrucci, Gazebo, 2006), alcuni dinarrativa e di saggistica, oltre a vari interventi critici involumi antologici. Negli anni Settanta ha tradottoscritti di Simone Weil. Con i genitori di Alice Sturialeha curato Il libro di Alice (Polistampa, 1996; Rizzoli,1997), tradotto in molte lingue. Nel 2003 e nel2004, nell’università “La Sapienza” di Roma e inquella di Chieti, sono state discusse due tesi sullasua poesia.

Massimiliano Chiamenti, nato a Firenze nel1967, vive a Bologna. Insegna letteratura italianapresso la New York University (Firenze) e scrive libriscolastici per emmebi edizioni (Firenze). Ha pubbli-cato opere di filologia e raccolte di poesie, tra cui p't(post), (Gazebo, 1996), e le teknostorie, (Zona,2005). Sta attualmente lavorando a un poemaepico dal titolo “angelicati”, e si diletta di musica rocke di strada.

Graziano Dei, nato a Impruneta (Fi) nel 1957, vivee lavora a Firenze. Per circa otto anni ha lavorato inteatro con Ugo Chiti nella Compagnia “Teatro Arkhè”,per due anni col gruppo Krypton e, a lungo, con lasede RAI di Firenze. Protagonista di vari video diGabriella Maleti, è redattore de “L’area di Broca”.

Mirco Ducceschi è nato a Losanna nel 1961. Conle Edizioni Gazebo ha pubblicato le raccolte di proseLa sabbia e la polvere (1993), La descrizione (2000)e Favola per bambina a sola (2005). È traduttore dalfrancese.

Alessandro Franci, nato nel 1954 a Firenze, dovesi è laureato in architettura, vive a Compiobbi (FI). Nel1988 ha pubblicato nelle Edizioni Gazebo il libro dipoesie Senza luogo e nel 1994, per le stesse edizio-ni, i racconti Delitti marginali. È stato redattore di“Salvo imprevisti” e lo è de “L'area di Broca”.

Roberto Maggiani è nato a Carrara nel 1968.Laureato all’Università di Pisa con una tesi di fisicanucleare, vive e lavora a Roma. Per le Edizioni Gazeboha pubblicato due libri di poesia: Sì dopo sì (1998) eForme e informe (2000). Nel 2006 ha pubblicatoun altro volume di versi: L’indicibile (Fermenti, Roma).

Gabriella Maleti è nata a Marano sul Panaro(Mo) nel 1942 e vive a Firenze. Fotografa, è ancheautrice di numerosi video. È stata redattrice di “Salvoimprevisti” e lo è de “L'area di Broca”. Cura conMariella Bettarini le Edizioni Gazebo. Ha pubblicatootto volumi di poesia, tra cui Madre padre (1981),La flotta aerea (1986), Fotografia, (1999) e alcunidi narra-tiva, tra cui: Morta famiglia (1991), Due rac-conti (1995) e Amari asili (1995), tradotto in ingle-se dalla Edizioni Carcanet (Manchester, 1999). Suoiracconti sono pubblicati su quotidiani, riviste e volu-mi antologici.

Note bio-bibliografiche degli autori

Ultimi volumi pubblicati:

Collana GAZEBO(…)79 Mirco Ducceschi, Favola per Bambina a sola (prosa)80 Maria Pia Moschini, Abitare il fantasma (prosa)81 Giorgio Gazzolo, Parabola di Piero (poesia)82 Anna Manara, Ciao, maestra (prosa)83 AA.VV., Genesi (antologia poetica)84 Flaviano Pisanelli, Perla e argilla (poesia)85 G. Maleti, G. S. Savino, M. Bettarini, Trialogo (poesia)86 Nadia Agustoni, Dettato sulla geometria degli spazi (poesia)87 AA.VV., Parole che premono (antologia poetica)88 Aldo Roda, Suoni mercuriali (poesia) 89 Alessandro Ghignoli, Fabulosi parlari (poesia) 90 Irene Santori, In tempo e disparte (poesia) 91 Giovanni Stefano Savino, Anni solari III (poesia) 92 Anna Piccardi, Il sole oscuro (prosa)93 Roberto Voller, Plazer (poesia)94 Guido Pellegrini, Il fiume d’argento (poesia)

Collana GAZEBO VERDE(…)12 Roberto Voller, Grammi (poesia)13 Maggio Bianca Bozzolla, Di nuovo tutto è nuovo (poesia)14 Gianna Pinotti, Diametràl (poesia)15 Mariella Bettarini, Balestrucci (poesia)16 Nadia Agustoni, Il libro degli haiku bianchi (poesia)17 Aldo Roda, Alchimie dello studiolo di Francesco I de’ Medici (poesia)

I QUADERNI DI GAZEBO(…)10 Giuseppina Luongo Bartolini, Del cuore delle cose11 Giovanni R. Ricci, L’Amleto shakespeariano e la morte di Francesco

Maria I Della Rovere (edizione bilingue italiano-inglese)

Gazebo Libri Via San Zanobi, 36 – 50129 Firenze - Tel. 055/289569e-mail: [email protected]. emt.it/gazebo

GAZEBO LIBRICollane di poesie e prosa a cura di Mariella Bettarini e Gabriella Maleti

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Alessandro Mirannalti, nato a S.Piero a Sieve,vive a Firenze. Nelle Edizioni Gazebo ha pubblicato illibro di versi Teoria della sopravvivenza (Firenze,1986). Ha collaborato alle riviste “Salvo imprevisti” e“L’area di Broca”.

Maria Pia Moschini è nata nel 1939 a Firenze,dove vive. Poeta lineare, pubblica nel 1983Rizomata. Nello stesso anno fonda “IntravisioniArea”, spazio di ricerca artistica in cui predomina ilLaboratorio della Parola. Autrice di varie opere tea-trali, ha pubblicato nelle Edizioni Gazebo il volumedi testi teatrali Bataclan (1997), testi spesso rappre-sentati, e la raccolta di racconti Abitare il fantasma.Nel 2003, con R. Lo Russo e L. Ugolini, pubblica Lapissera (Ediz. Ripostes). Collabora alle EdizioniMorgana di Alessandra Borsetti Venier. È redattricede “L’area di Broca”.

Massimo Orgiazzi è nato a Torino nel 1973, madal 1990 vive e lavora in Valsesia. Ingegnere mec-canico, si occupa di rassegne e attività cinemato-grafiche nella sala della sua città, Varallo. Ha pubbli-cato la raccolta di racconti brevi Gli aerei volanoancora (2003). Sue poesie sono state raccolte inriviste e rubriche on-line e in alcune antologie. Ha creato nel 2005 il blog LiberInVersi(http://www.liberinversi.splinder.com). Collaboracon le riviste Atelier e PaginaZero ed è fondatore

e redattore della rivista letteraria on line L’At-tenzione (www.lattenzione.com).

Giovanni R. Ricci è nato nel 1953 a Pisa, dovevive. Laureatosi in lettere con una tesi di semioticateatrale, si è specializzato in Psicologia presso laFacoltà medica dell'Università di Siena. Insegna storiadello spettacolo all'Accademia di Belle Arti di Carrara.Nel 1976 ha pubblicato nei Quaderni di “Salvo impre-visti” il libro di versi Il giuoco di Marien-bad. Ha cura-to per Sellerio la riedizione di un testo settecentescosul pantomimo classico (V. Requeno, L'arte di gestirecon le mani). Nei Quaderni di Gazebo ha pubblicatoil saggio L’interpretazione rimossa (Firenze, 1999) enel 2005 L’Amleto shakespeariano e la morte diFrancesco Maria I Della Rovere (edizione bilingue ita-liano-inglese). Redattore di “Salvo imprevisti” dal1974, lo è de “L’area di Broca”.

Giovanni Stefano Savino è nato a Firenze nel1920. Impiegato fino al ’49; soldato dal ’40 al ’45;insegnante (scuola elementare, media inferiore emedia superiore) fino al 1979, per molti anni hatenuto letture ad una radio privata. Dal 1993 ha scrit-to migliaia di poesie, una scelta delle quali, dal ’99 al2006, si trova nei volumi Anni solari (Gazebo2002), Anni solari II (Gazebo 2004), Trialogo con G.Maleti e M. Bettarini (Gazebo 2006) e Anni solari III(Gazebo 2007).

Luciano Valentini è nato a Siena, dove vive edinsegna. Laureatosi in pedagogia all’Università diFirenze, ha collaborato con articoli e racconti a rivi-ste letterarie e quotidiani locali. Nel 1979 ha pubbli-cato il libro di versi Il marasma nei “Quaderni diSalvo imprevisti”, nella cui redazione è stato a lungo.E’ presente con poesie e racconti in volumi antolo-gici. Inseguire il vento è il suo ultimo libro di poesia(Siena, 2003).

Valerio Vallini, nato nel 1941, giornalista pubbli-cista-, laureato in Scienze Politiche, ha diretto la rivi-sta Etruria On Line. È stato fra i redattori di “SalvoImprevisti” e del “Grande Vetro”, ha collaborato e col-labora a “Erba d’Arno”. Ha pubblicato racconti elibri di poesia, fra i quali Diario di un pazzo (1967);Immagini dal vetro (Nuovedizioni Vallecchi, 1980);Viaggio obbligato (Quaderni di Barbablù, 1986);Andar per versi (Quaderni di Erba d’Arno, 1995) eLa corda tesa (Ediz. Gazebo, 1998). Ha esordito nelromanzo con il volume Fra le ali dell’angelo(Titivillus, 2003).

Roberto Voller (Firenze 1938) è stato per lunghianni nella redazione di “Salvo imprevisti”.È presente in antologie e riviste letterarie. Ha pubbli-cato cinque libri di poesia (l’ultimo dei quali è Plazer,Gazebo, 2007) e due ciclostilati di poesia, di cui unocon Luigi Di Ruscio.

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