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La presenza femminiLe neLLarte deL novecento © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS 1 LETTERATURA E ARTE LA PRESENZA FEMMINILE NELL ARTE DEL NOVECENTO Fig. 1 Johann Zoffany, Gli Accademici della Royal Academy, 1771-72, part. Olio su tela, 120,6x151 cm. Come si nota nel dipinto, le uniche donne appartenenti alla Royal Academy sono presenti solamente in effigie, nei due dipinti al muro. Fig. 2 Claude Cahun, Autoritratto, 1927. Perché la storia dell’arte non annovera ar- tiste donne della portata di Raffaello, Miche- langelo, Picasso o Matisse? Linda Nochlin, una delle curatrici della mostra Donne artiste: 1550-1950, tenutasi a Los Angeles nel 1977, così rispose: “Può es- sere spiacevole ammetterlo, ma non ci sono grandi donne artiste come non ci sono gio- catori di tennis esquimesi o pianisti di jazz li- tuani. Il problema della donna nell’arte rien- tra nel più generale problema dell’egua- glianza”. In altre parole ciò non dipendereb- be dal fatto che le donne non abbiano i re- quisiti per la grandezza, ma dalle dinamiche sociali che, almeno fino alla metà del XX se- colo, hanno precluso loro sia la formazione sia un impegno davvero professionale nel campo artistico. Si pensi, per esempio, che alle donne che volessero apprendere il dise- gno anatomico non era consentito disporre di un modello nudo, diversamente da quan- to accadeva agli uomini. In un ritratto del 1772 in cui sono raffigurati gli artisti della Royal Academy di Londra davanti a due nu- di maschili, figurano tutti i rappresentanti dell’istituzione ad eccezione di Angelica Kauffmann, che ne era la vicepresidente. Il comune senso del pudore consentiva alle donne di posare nude, ma non di copiare corpi dal vero, neppure modelle femminili. A queste forme di tutela del ruolo dome- stico e parzialmente recluso della donna vennero date spiegazioni più o meno razio- nali: l’opinione corrente tra gli intellettuali, A. LA DONNA ARTISTA a cura di A. Vettese

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    RTELA PRESENZA FEMMINILE

    NELL’ARTE DEL NOVECENTO

    Fig. 1 Johann Zoffany, Gli Accademici della Royal Academy, 1771-72, part. Olio su tela, 120,6x151 cm.

    Come si nota nel dipinto, le uniche donne appartenenti alla Royal Academy sono presenti solamente in effigie, nei due dipinti al muro.

    Fig. 2Claude Cahun,

    Autoritratto, 1927.

    Perché la storia dell’arte non annovera ar-tiste donne della portata di Raffaello, Miche-langelo, Picasso o Matisse? Linda Nochlin, una delle curatrici della

    mostra Donne artiste: 1550-1950, tenutasi aLos Angeles nel 1977, così rispose: “Può es-sere spiacevole ammetterlo, ma non ci sonograndi donne artiste come non ci sono gio-catori di tennis esquimesi o pianisti di jazz li-tuani. Il problema della donna nell’arte rien-tra nel più generale problema dell’egua-glianza”. In altre parole ciò non dipendereb-be dal fatto che le donne non abbiano i re-quisiti per la grandezza, ma dalle dinamichesociali che, almeno fino alla metà del XX se-colo, hanno precluso loro sia la formazionesia un impegno davvero professionale nel

    campo artistico. Si pensi, per esempio, chealle donne che volessero apprendere il dise-gno anatomico non era consentito disporredi un modello nudo, diversamente da quan-to accadeva agli uomini. In un ritratto del1772 in cui sono raffigurati gli artisti dellaRoyal Academy di Londra davanti a due nu-di maschili, figurano tutti i rappresentantidell’istituzione ad eccezione di AngelicaKauffmann, che ne era la vicepresidente. Ilcomune senso del pudore consentiva alledonne di posare nude, ma non di copiarecorpi dal vero, neppure modelle femminili. A queste forme di tutela del ruolo dome-

    stico e parzialmente recluso della donnavennero date spiegazioni più o meno razio-nali: l’opinione corrente tra gli intellettuali,

    A. LA DONNA ARTISTA

    a cura diA. Vettese

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    Sopra Fig. 3Georgia O’Keeffe

    Oriental Poppies, 1928.Olio su tela, 76x102 cm.Minneapolis. Frederick R.

    Weisman Art Museum.

    Sopra a destra Fig. 4Georgia O’Keeffe,

    Radiator Building-night,New York, 1927.

    Olio su tela, 121,9x76,2 cm.New York, Fisk University.

    Si noti la sensualità dei fiori edei fumi; lo stile precisionistaanticipa l’iperrealismo e il foto-realismo degli anni Settanta.

    Nel primo periodo le artiste donne non so-no affatto mancate, ma tranne qualche ecce-zione sono entrate nel mondo dell’arte gra-zie a un marito artista o comunque a un le-game sentimentale; spesso si accontentaro-no di un posto d’onore nell’ambito delle co-siddette arti minori: fu il caso di Anni Albers(1899-1994), moglie di Josef, di Sophie Täu-ber (1899-1943), moglie di Hans Arp, e so-prattutto di Sonia Delaunay (1885-1979). Isuoi disegni per stoffa divennero in brevetempo talmente ambiti nell’alta società pari-gina che Robert ebbe a lamentarsi di tantosuccesso. Ma in seguito lei dichiarò con di-sappunto: “C’è un’ingiustizia flagrante franoi due, io sono stata classificata nelle artidecorative e non hanno voluto ammettereche io fossi una pittrice in ogni senso”. Un simile meccanismo si ripeté anche nel

    secondo dopoguerra: Kay Sage (1898-1963)riuscì ad avere dignità di artista solo quandosi presentò come vedova e non più comemoglie di Yves Tanguy; Lee Krasner (1908-1984) passò molta parte della sua vita a do-

    minare l’alcolismo di Jackson Pollock, suomarito, e a cercare di favorirne il successo;quando questi morì ebbe molta difficoltà aottenere un riconoscimento proprio, tantoche, riguardo al critico Harold Rosenberg,ebbe a lamentarsi: “Le poche volte che mi hanominato dopo la morte di Pollock, ha sem-pre detto Lee Krasner, ‘la vedova di Pollock’,come se avessi bisogno di quell’appiglio”.Malgrado la sua recente fortuna critica,quando era in vita Frida Kahlo (1907-1954)non ricevette le commesse pubbliche che in-vece resero suo marito Diego Rivera una sor-ta di eroe nazionale del Messico. Un caso a parte fu quello dell’americana

    Georgia O’Keeffe (1887-1986), già menzio-nata sopra, la cui fortuna come artista fu de-terminata dal marito fotografo-editore-galle-rista Alfred Stieglitz: fu proprio con una mo-stra della moglie che egli concluse l’attivitàdella galleria. Il legame tra la giovane prove-niente dal Texas e il più maturo fotografo,che aveva già girato il mondo e viveva aNew York, fu leggendario, fatto di amore,

    B. DALLE AVANGUARDIE STORICHE AGLI ANNI SESSANTA

    oltre che nelle fasce popolari, era che già dalpunto di vista biologico fosse precluso alladonna il seme della genialità. Questa situazione non era molto cambiata

    agli inizi del XX secolo, se è vero che AlfredStieglitz, nel presentare la mostra di GeorgiaO’Keeffe, scrisse: “‘Le donne sono solo ingrado di creare figli’, dicono gli scienziati.Ma io affermo che sono anche capaci dicreare arte, e O’Keeffe ne è la prova”. Al concetto che l’arte fosse affare di uomi-

    ni, peraltro, si adattarono le donne stesse:molte di coloro che avevano scelto di esserecomunque artiste assumevano atteggiamenti

    maschili, accettando implicitamente l’ideache la femminilità fosse in contraddizione ri-spetto alla creatività. Era il tempo in cui la fo-tografa Claude Cahun non nascondeva, maanzi accentuava la sua omosessualità dichia-rata vestendosi ‘alla maschietta’, mentre lastilista Coco Chanel lanciò e impose alledonne un abito di taglio maschile. Poiché questa succinta panoramica ana-

    lizza l’arte femminile del XX secolo, possia-mo schematicamente dividerlo in due pe-riodi: dall’inizio delle Avanguardie storichefino ai tardi anni Sessanta, e dagli anni Set-tanta al 2000.

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    erotismo e affinità intellettuale. Stieglitz inpiù di 500 fotografie ritrasse ogni particolaredel corpo della moglie. Sempre vestita di ne-ro, Georgia O’Keeffe divenne la Greta Garbodel mondo dell’arte e, come la star del cine-ma, nella maturità scelse di fare una vita riti-rata nel deserto del New Mexico e divenneun simbolo dell’emancipazione femminile.Dal punto di vista artistico, tuttavia, l’inter-pretazione che molti critici dettero della suaarte, specialmente dei suoi grandi particolaridi fiori, non sfuggì allo stereotipo dell’arte‘femminile’ permeata di sessualità e delica-tezza. Solamente dopo una grande retrospet-tiva negli anni Settanta il suo lavoro fu lettocome quello di una anticipatrice sia del Co-lor field sia del Fotorealismo, conferendolecosì un posto specifico nella storia della pit-tura moderna. Una breve parentesi di parità fu inoltre

    quella che coincise, in Russia, con la faseimmediatamente precedente alla Rivoluzio-ne d’ottobre. Molte donne ebbero un ruolodecisivo fino all’arrivo al potere di Stalin.Non può infatti essere sottovalutata l’impor-tanza di artiste come Olga Rozanova,Alexandra Exter, Natalja Goncǎrova, LjubovPopova, Varvara Stepanova. Né va sottaciuto il contributo delle donne

    nell’ambito espressionista: Gabriele Münter(1877-1962), berlinese, studiò a Monaco do-ve conobbe Kandinskij di cui fu allieva ecompagna per dieci anni. Si trovò poi a con-dividere le esperienze del Blaue Reiter insie-me a Marc e Macke. Il suo quadro La barca(1911) è costruito come una piramide al cuivertice sta appunto Kandinskij, che si ergecome capo indiscusso. Alla base vengono ri-tratte la moglie e il figlio di Jawlenskij; Ga-briele è di spalle, intenta a remare. Il dipintoè di derivazione fauve, ma la costruzione ablocchi di colore è ispirata alla pittura su ve-

    tro tradizionale della Bavaria (in Baviera),che conduce a una semplificazione delleforme, poi ripresa dallo stesso Kandinskij.

    Paula Modersohn-Becker (1876-1907),nata a Dresda e morta di parto giovanissima,si incamminò verso un’accentuazione delprimitivismo di Gauguin e fu capace di anti-cipare gli sviluppi ulteriori che in questa stes-sa direzione furono realizzati da altri Espres-sionisti tedeschi. È significativo che la sua ri-valutazione sia iniziata nel 1976, dopo unaretrospettiva a Brema certamente condizio-nata dal clima femminista di quegli anni. Ma l’atteggiamento dei protagonisti delleAvanguardie nei confronti delle donne, no-nostante le loro dichiarazioni verbali, non sidiscostava da quello della gente comune delprimo Novecento: non a caso non troviamoalcuna donna tra i firmatari dei Manifestiteorici nati in Europa Occidentale, con ec-cezioni solamente in Russia. I Futuristi, con il loro mito della virilità,

    erano fondamentalmente maschilisti; fra iCubisti l’unica donna artista rilevante fuMarie Laurencin (1883-1956), che del restodivenne nota più per la tempestosa relazio-ne con Guillaume Apollinaire e per l’ap-partenenza alla ‘Banda Picasso’ che per isuoi dipinti.Anche nel circolo dadaista, specialmente

    quello più politicizzato, la presenza femmi-nile può dirsi importante solo con HannahHöch (1889-1978), compagna del più notoRaoul Hausmann, la quale contribuì in mo-do decisivo allo sviluppo tecnico del foto-montaggio: le immagini che ritagliava dalleriviste illustrate dell’epoca venivano rico-struite secondo una logica ironica e dissa-crante. Benché a parole i Surrealisti fossero parti-

    colarmente vicini al culto della femminilità,

    Sopra Fig. 5Olga Rozanova,

    Composizione non-oggettiva(Volo di aeroplano), 1916. Olio su tela, 118x101 cm.

    Samara, Museo d’Arte.

    Sopra a destra Fig. 6Natalja Goncǎrova,

    Gatti (rayist percep.[tion]) in rosa nero e giallo, 1913. Olio su tela, 84x83,8 cm.Solomon R. Guggenheim

    Museum.

    Fig. 7Varvara Stepanova, 1928.

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    ben poche artiste ebbero accesso al lorogruppo; alcune, tra cui Léonor Fini (1908-1996), trovarono nei princìpi surrealisti unmodo per sublimare la propria omosessua-lità. Leonora Carrington (1917) e Do-rothea Tanning (1910) ebbero visibilità inquanto entrambe mogli di Max Ernst. Me-ret Oppenheim (1913-1985) fu emarginatadal gruppo non appena cessò di essere so-lo la modella di Man Ray, ottenendo suc-cesso come artista con le sue sculture og-gettuali.Quanto al Bauhaus, la scuola che doveva

    portare verso un mondo rinnovato e più giu-sto, le donne continuarono ad avervi unapresenza secondaria: le troviamo negli ate-lier di tessitura, di arredo, di costumistica,spesso anche in posizione dirigente, ma nes-suna occupò le prestigiose cattedre di pittu-ra che furono di Kandinskij, Klee o Itten.Quand’anche la creatività femminile fos-

    se considerata importante, essa veniva pursempre ritenuta un aspetto secondario del-

    la tendenza alla manutenzione della casae, quindi, alla decorazione, ricacciandolanell’ambito dell’arte applicata; va detto an-che che le donne stesse accettarono questoruolo senza troppo combattere, quasi che,nella prima parte del XX secolo, gli scoglida superare per avere una credibilità di ar-tiste pure fossero troppo elevati.Una simile posizione subalterna si vide

    anche nell’ambito dell’Espressionismoastratto americano, nel quale pure nonmancarono artiste di un certo rilievo comeJoan Mitchell (1926-1992) e soprattuttoHelen Frankenthaler (1928). Il suo Moun-tains and Sea, del 1952, con i colori piattie la tecnica del pigmento assorbito com-pletamente dalla tela, ebbe notevole in-fluenza su artisti quali Kenneth Noland eMorris Louis. Il successo dell’artista fu an-che appoggiato dal critico modernista Cle-ment Greenberg, che in lei vedeva l’inter-prete ideale delle proprie teorie sul quadropiatto, astratto, non illusionistico.

    A lato Fig. 8Ljubov Popova,

    Natura morta, 1916. Novgorod, Museo d’Arte.

    A destra Fig. 9Gabriele Münter,La barca, 1910.

    Olio su tela, 125x73,3 cm.Milwakee Art Museum

    Collection.

    Sotto al centroFig. 10

    Paula Modersohn-Becker,Natura morta con caffettiera

    d’argilla, 1907.Olio su tavola, 38x47 cm.

    Collezione privata.

    Sotto a destraFig. 11

    Helen Frankenthaler,Mountains and Sea, 1952.Olio su tela, 220x297 cm.

    Washington, National Gallery of Art.

    Nonostante le notevoli dimen-sioni il quadro sembra un ac-querello quasi astratto, costrui-to con larghe macchie di colo-re così diluito da impregnare latela fino nella sua trama. Que-sta pratica anticipa quella dellacorrente Color field e, in gene-rale, dell’Espressionismo astrat-to americano.

    Sotto Fig. 12Meret Oppenheim

    fotografata da Man Ray,s.d., 12x6,8 cm.

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    In concomitanza con i movimenti politicinati nell’ambito della protesta giovanile de-gli anni Sessanta, le donne artiste iniziaronoa organizzarsi in gruppi di orientamentofemminista, a pubblicare bollettini come ilFeminist Art Journal (New York 1972), a or-ganizzare mostre in luoghi alternativi per at-taccare le istituzioni museali che tendevanoa emarginarle. Una delle occasioni più im-portanti fu la mostra Art and Technology(1970), tenuta al Los Angeles County Mu-seum, dove non vi era traccia di presenzefemminili. Lo stesso museo, in seguito alleproteste di gruppi femministi, non tardò acompiere un atto riparatorio con la gigante-sca mostra ricognitiva alla quale si è accen-nato all’inizio: Donne artiste: 1550-1950. In questa fase le donne iniziarono a pro-

    porsi come artiste senza il supporto di mari-ti o compagni: fra i pionieri della pitturaanalitica o minimalista annoveriamo senzadubbio Agnes Martin (1912-2004), mentrela danza performativa vide gli apporti diYvonne Rainer (1934), Meredith Monk(1942) e più tardi Lucinda Childs (1940) eCarolyn Carlson (1943). Nella scultura antiform fu decisivo l’ap-

    porto di Lynda Benglis (1941); nell’Arte con-cettuale ricordiamo l’opera della tedescaHanne Darboven (1941), centrata su un ma-niacale scavo nei meccanismi matematici esequenziali che regolano la memoria. Nel Post Partum Document (1973) di

    Mary Kelly (1941), un diario su pietra che ri-corda la stele di Rosetta, troviamo una primariflessione fatta da una donna sul tema dellanatività. Da ricordare Alyce Aycock (1946),Mary Miss (1944), Rebecca Horn (1944) e leitaliane Carla Accardi (1924), Marisa Merz(1931) e Carol Rama (1918). Particolarmente attive furono le artiste che

    varcavano il confine tra atti pubblici ed emo-zioni private: tra queste Ketty La Rocca(1938-1976), Yoko Ono (1933), Valie Export(1940), Annette Messager (1943), MiriamShapiro (1923), Nancy Spero (1926).

    Spesso le loro opere erano caratterizzatedall’offerta del corpo femminile in terminisacrificali, come metafora di quanto accadenel corpo sociale. La cubana Ana Mendieta (1948-1985) è

    stata tra le prime latino-americane a inserir-si nel mondo dell’arte; in una sua perfor-mance l’artista simulò nel suo appartamentoun delitto con stupro, facendosi trovare a ter-ra ricoperta di sangue, nell’intento di mette-re in luce come costante del vissuto femmi-nile il fatto di subire violenza. La brasiliana Lygia Clark (1920-1988), che

    giunse fino al completo rifiuto di considerar-si artista nonostante la grande attenzione cheriscosse, percorse il tratto che passava dal-l’Arte cinetica, con oggetti sempre più pic-coli e manipolabili come giocattoli, a psico-drammi simili a sedute di psicoanalisi ingruppo: elemento comune tra esperienzetanto diverse fu il desiderio di coinvolgere sestessa e il pubblico in una sorta di relazionebiunivoca, in cui lo spettatore non fosse pu-ramente passivo, ma compartecipasse all’a-zione e vivesse il dualismo vittima-carnefice. Quanto a Judy Chicago (1939) è rimasta

    celebre l’installazione The Dinner Party, rea-lizzata nel 1979 al San Francisco Museum ofModern Art. Essa mimava la più monumen-tale celebrazione del contributo storico del-la donna in diversi ambiti culturali: un gran-de tavolo a forma di triangolo equilatero reg-geva trentanove piatti disegnati dall’artista,ciascuno dei quali celebrava una donna fa-mosa; il pavimento in marmo recava incisi inomi di 999 donne meritevoli di ricordo. Alla fine degli anni Ottanta è iniziato un

    processo di revisione storica e di valorizza-zione del contributo femminile. Nel frattem-po il mondo dell’arte ha iniziato ad accoglie-re, tra gli esordienti, le donne in misura iden-tica a quella degli uomini. Per gli anni No-vanta si può anzi parlare di una ‘moda fem-minile’: nessun curatore che si rispetti avreb-be allestito una mostra senza dare alla parte-cipazione femminile un grande rilievo.

    C. DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI

    Sopra Fig. 13Lygia Clark,

    Cannibalismo, 1963. Performance.

    Sopra a destra Fig. 14Judy Chicago,

    The Dinner party, 1974-79.14,6x14,6x14,6 m.

    Installazione multimediale.

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    COME RAPPRESENTARE SE STESSAUno dei problemi che si è presentato alle donne nella loro storia di artiste, che si ri-trova quasi solamente nel XX secolo, è stato quello della rappresentazione di sé. La femminilità era sempre stata rappresentata da artisti maschi secondo alcuni tipi fis-si: la Madre, la Venere, la Musa, o all’opposto l’Eva tentatrice, la donna viziosa e por-tatrice di peccato. Neppure i protagonisti delle Avanguardie si sono sottratti al rispettodi questi stereotipi: basti pensare alle donne angelicate di Chagall e Modigliani, da unlato, e dall’altro alle prostitute di Otto Dix o alle Women di Wilhem de Kooning; nelXX secolo, anzi, in corrispondenza con la scoperta dell’inconscio e dell’immaginarioerotico, è possibile notare un aumento di rappresentazioni segnate dalla misoginia,dalle donne aggressive di Picasso alla Poupée di Hans Bellmer e oltre.Non stupisce se alla fine degli anni Sessanta, quando cioè il movimento femministainiziò a fare breccia nella roccaforte dell’arte maschile, il mezzo che le artiste inizia-rono a prediligere fu la performance, intesa come modalità ancestrale di comunica-zione e di offerta di sé. Emblematica fu l’azione che la serba Marina Abramovič (1946) eseguì a Napoli nel1971: dopo avere preparato su un tavolo vari strumenti di tortura, tra cui coltelli e ca-tene, si mise passivamente a disposizione del pubblico. Dopo qualche minuto di esi-tazione le persone presenti iniziarono a toccarla, graffiarla, strapparle gli abiti in uncrescendo di aggressività che durò circa due ore e che, seppur condotta dai maschi,veniva incitata dalle donne presenti. Simili atteggiamenti masochistici divennero la cifra costante del lavoro di artiste co-me Gina Pane (1939-1990) in Europa e Ana Mendieta negli Stati Uniti. Quest’ulti-ma, per ironia del destino, morì cadendo da una finestra, una tragica fine spesso pre-figurata dalle sue performance. Se per secoli le donne hanno convissuto con l’immagine del proprio corpo come luo-go peccaminoso, oggi vengono sottoposte a una dittatura morale inversa, ma altret-tanto severa: si deve essere magre, alte, slanciate e seducenti come modelle: anores-sia, bulimia e altre forme di autolesionismo ne sono la conseguenza, come testimo-niano opere estreme degli anni Novanta. L’americana Janine Antoni (1964) nel 1993 espose degli autoritratti che a prima vistasembravano di bronzo e di marmo, ma che si rivelavano essere di cioccolato e sapo-ne: due materiali che evocano il desiderio per il cibo e l’ossessione per l’igiene perso-nale. Ciascuna delle dodici teste era stata lesionata dall’artista, morsicando il cioccolatoe dilavando il sapone, come a volere al tempo stesso costruire e distruggere la propriaeffigie. I suoi blocchi smangiati di cioccolato e lardo hanno un significato analogo.L’austriaca Elke Krystufek (1970), pittrice e performer, costruisce diari di immagininei quali espone la propria nudità ora magnifica, ora condotta al limite del porno indisegni e fotografie. Una delle prime opere dell’italiana Vanessa Beecroft (1969) consiste nell’avere steso undiario dove veniva annotata giorno per giorno la dieta seguita nel corso di un anno.Altre artiste fanno riferimento all’immaginario pornografico maschile, come l’ameri-cana Sue Williams (1954): i suoi grandi dipinti sembrano eleganti esercitazioni nel-lo stile dell’Espressionismo astratto, ma i singoli particolari nascondono scene di stu-pro; in tutti questi casi la vergogna e il senso di inadeguatezza emergono dietro allapatina di rispettabilità e seduzione.

    Sopra Fig. 15Nan Goldin,

    Misty in Sheridan Square,1991. Cibachrome,

    76,2x101,6 cm. Collezione privata.

    © Galleria Neg, Milano.

    Sopra a destra Fig. 16Janine Antoni

    Lick and Lather, 1993.Sette autoritratti a mezzo

    busto in cioccolato e sapone, 60,9x40,6x33 cm

    ognuno. Particolare. Collezione privata. © Foto John Bessler.

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    Sopra Fig. 17Camille Claudel,

    Sakountala, dal 1888 al 1905.

    Marmo bianco.

    Sopra a destra Fig. 18Camille Claudel, La vague, 1898. Onice e bronzo, 62x56x50 cm.

    Parigi, Musée Rodin.

    Se è possibile riscontrare esempi di pittu-ra femminile già dal periodo del Manieri-smo, per trovare una scultrice di spessorenotevole è necessario giungere al tardo XIXsecolo: prima di allora il contatto delledonne con la materia bruta e con le tecni-che necessarie a dominarla veniva consi-derato non solo fisicamente inadatto, maanche socialmente inaccettabile. In un certo senso, quindi, è proprio l’af-

    fermarsi della scultura femminile che san-cisce il vero ingresso delle donne in cam-po artistico. Del resto solo molto tardi glistorici dell’arte hanno iniziato a considera-re importanti le esperienze femminili: neisuoi saggi sulla scultura riuniti nella rac-colta Passaggi, persino la critica femministaRosalind Krauss non ne fa menzione; solodagli anni Novanta si è incominciato a ri-considerare questo settore con attenzionespecifica. La prima ribellione importante al dettato

    sociale che impediva alla donna di scolpi-re avvenne per mano della francese Camil-le Claudel (1864-1943), allieva prima e poiamante di Auguste Rodin. La follia le impedì di lavorare nell’età

    matura, per cui le opere più significative sicollocano tra il 1888 e il 1913, anno delsuo internamento in manicomio. La suaopera più famosa, Sakountala o L’Abban-dono, fu composta dal 1888; vi si ricono-scono un uomo e una donna abbracciati,che secondo una leggenda si sarebbero ri-

    trovati nel Nirvana dopo una lunga lonta-nanza; la materia scultorea è sfuggente, maè evidente una componente carnale che fapensare all’opera di Rodin; solo oggi si ri-conosce come in parte il delirio persecuto-rio di Camille contro i ‘furti stilistici’ delmaestro fosse giustificato, in quanto è assaipiù probabile che sia stato Rodin a trarreda lei, sua assistente nella fase della sboz-zatura e ottima scalpellatrice, alcuni sug-gerimenti. In altre opere l’abitazione o al-meno la copertura appare come un’esten-sione del corpo stesso. Nella piccola scul-tura in onice La Vague vediamo comeun’onda funga insieme da protezione ute-rina, ma anche da pericolo incombente, al-le tre piccole figure femminili che vi dan-zano dentro. Non soltanto il funzionamento del corpo,

    ma anche la sua decadenza e il rapporto travita e morte sembrerebbero connotare mol-ta parte della scultura femminile. Vale la pena ricordare che anche la lette-

    ratura femminile ha sempre dato una enor-me rilevanza alla fisicità e ai suoi misteri, apartire dal romanzo di Mary ShelleyFrankenstein (1818) in cui viene data la vi-ta a un corpo morto. Forse non è casualeche alcune tra le prime cere anatomiche at-tendibili, create a partire dalla dissezionedi cadaveri, siano state modellate dal me-dico Annamaria Manzolini (ora visibilipresso il museo dell’Università di Bologna).Né va taciuto come il corpo femminile

    D. LA SCULTURA FEMMINILE

    Fig. 19Ritratto di Camille

    Claudel, 1882.

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    Sopra Fig. 20Louise Nevelson,

    Royal Winds, 1960. Legno e oro,

    83x34,5x29 cm. GalleriaGiò Marconi, Milano.

    Sopra al centro Fig. 21Germaine Richier,Il corridore, 1955.

    Bronzo, 120x59x47 cm.National Galleries

    of Scotland.

    Sopra a destra Fig. 22Barbara Hepworth,

    Forma ovale con stringhe e colore, 1966.

    sia stato a lungo la sede più visibile dellarepressione sociale esercitata sulla donna:ne danno un’immagine metaforica oltreche una riprova pratica i busti rigidi che lamoda impose fino alla Prima Guerra Mon-diale. Non a caso le prime ricerche di Sig-mund Freud, quelle che lo avrebbero con-dotto alla fondazione della Psicoanalisi, ri-guardarono l’isteria, ovvero quelle manife-stazioni di paralisi o altra malattia fisica si-mulata a livello inconscio, come modalitàdi espressione di condizioni psichiche al-terate derivanti dalla necessità di nascon-dere desideri ed emozioni. Malattia fem-minile per eccellenza, come designa lostesso suo nome derivante dal greco hy’ste-ros (utero), l’isteria è poi stata soppiantatanel corso del XX secolo da manifestazionidi rifiuto del proprio corpo come l’anores-sia e la bulimia.Questi accenni possono spiegare come

    la performance estrema sia stata tanto im-portante per l’arte femminile recente, maanche alcune ricorrenze nella scultura piùclassica. A uno sguardo complessivo, infatti, a

    partire dall’opera di Claudel, essa si con-nota per l’apparire di alcuni temi specifici:la corporeità; i luoghi dell’abitare; il rilievodato alla memoria, legato a una manifesta-zione più acuta che nella scultura maschi-le dell’attività introspettiva. Louise Nevelson (1899-1988), russa di

    nascita e divenuta poi americana, lavoròcome assistente del realista americano BenShahn e del muralista messicano DiegoRivera, dai quali apprese la dimestichezza

    con i temi legati alla storia collettiva e conle opere di dimensione ambientale. In se-guito perfezionò la sua pittura con HansHofmann, a New York, per poi passare de-cisamente alla scultura solo negli anniQuaranta. Da allora compose grandi scan-sie ottenute con cassette di legno dentroalle quali inseriva oggetti trovati, renden-dole simili a un archivio di cose, ma anchedi esperienze emotive; dopo avere acco-stato le cassette in assemblaggi di grandis-sima dimensione, uniformava l’insieme di-pingendolo di un colore unitario: bianco,nero e oro, i colori di una memoria che co-pre interi periodi di luce, di lutto o displendore.La scultrice francese Germaine Richier

    (1904-1959), formatasi nell’atelier pariginodi Émile-Antoine Bourdelle, utilizzò so-prattutto la fusione in bronzo per ottenereforme animali e vegetali, delle quali sotto-lineava l’aspetto più fisico e collegato alladecomposizione dei corpi. Fu questa venain parte macabra a suscitare una serie dipolemiche attorno a un suo Cristo Croce-fisso del 1950, la cui morte è resa in ma-niera particolarmente realistica.Barbara Hepworth (1903-1975), inglese,

    si appassionò a una scultura “di levare”, ot-tenuta scolpendo il marmo o il legno inmodo da ottenere figure astratte ma bio-morfe, levigate fino al punto in cui la lorosuperficie otteneva l’aspetto di una pelle.Vicina per un certo periodo al gruppoastrattista denominato Abstraction Créa-tion, contese all’amico Henry Moore il pri-mato della scultura ottenuta attraverso la

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    Sopra Fig. 23Niki de Saint Phalle,La ruota della fortuna,

    Garavicchio, Il giardino dei Tarocchi.

    Sopra a destra Fig. 24Niki de Saint Phalle,

    Hon-en katedral, 1966.Stoccolma,

    Moderna Museet.

    valorizzazione degli spazi cavi, in una pra-tica che derivava dalla lezione dadaista diHans Arp non meno che da quella costrut-tivista di Archipenko. Tuttavia, a differenzadi Moore, le cavità assumono per la scul-trice non soltanto un ruolo formale; essehanno soprattutto il compito di mostrarecome dal vuoto nasca il pieno e come lanascita possa trovare posto solo all’internodi zone cave e protette.Nell’ambito dell’Astrattismo europeo oc-

    corre anche ricordare l’esperienza di Ka-tarzyna Kobro (1898-1951), formatasi nel-la seconda generazione delle Avanguardierusse e fuggita poi in Polonia. Le sue strut-ture di ferro, generalmente dipinte secondoi colori primari e spesso sospese (e in que-sto anticipatrici insieme a Calder dell’ideadi scultura mobile), venivano definite sullabase di un progetto quasi architettonico edovevano designare una sorta di monu-mentalità domestica, non lontana daiprincìpi che animarono i creatori di mobi-li del Bauhaus, ma nel suo caso prive difunzionalità immediata. Nella seconda fase della sua opera, du-

    rante il secondo dopoguerra, corpi di don-na modellati in modo semplice ma ritrattiin pose contorte presero il sopravvento sul-le prime forme geometriche e sull’afflatoutopistico di cui erano pervase.

    Nel secondo dopoguerra la scultura fem-minile ebbe una svolta decisiva segnata danumerose protagoniste: tra queste la franco-americana Niki de Saint Phalle (1930-

    2002), affiliata al gruppo dei NouveauxRéalistes, il cui soggetto ricorrente è unadonna dalle accentuate caratteristiche ma-terne, resa gioiosa dalle forme pingui e daicolori fortissimi con cui venivano dipinte lecosiddette Nana. La più famosa, Hon-en ka-tedral, fu una gigantesca donna-cavernarealizzata nel 1966 per il Moderna Museetdi Stoccolma; date le sue dimensioni, ilpubblico poteva entrare attraverso la sua va-gina in un grembo cavernoso e accogliente,che avrebbe dovuto riportarlo a vivere espe-rienze prenatali e un giocoso ritorno all’in-fanzia. A Garavicchio, in Toscana, l’artistaha inoltre costruito un Giardino dei Tarocchiispirato al Parco Güell di Antoni Gaudí, incui tutte le sculture appaiono praticabili e sipropongono come grandi corpi meraviglio-si, ludici e accoglienti.Più radicale fu il contributo di Eva Hesse

    (1936-1970), che nei suoi soli sei anni diattività propose una versione ‘organica’della scultura minimalista: le forme geo-metriche e squadrate, ottenute attraversoresine la cui superficie ricordava una pellevivente, diventavano metafore per un cor-po colto nell’atto del suo funzionamento o,piuttosto, della sua malattia, un tumore ce-rebrale che fu causa della morte prematuradell’artista; mille fili di plastica infilati al-l’interno di un cubo trasformavano un vo-lume secco in un’area anatomica pullulan-te di villi; rettangoli in resina, dai bordislabbrati e collegati tra loro da cavi, diven-tavano l’occasione per ricordare le diversefunzioni corporali e il loro collegamento;

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    Sopra Fig. 25Magdalena Abakanowicz,Catarsi, 1985. Bronzo.

    Sculture nel Parco di VillaCelle a Pistoia.

    Sopra a destra Fig. 26Yayoi Kusama,

    Dots Obsession, 1998. Installazione.

    L’artista afferma: “Le mie os-sessioni sono una fonte d’ispi-razione del mio lavoro; arteossessiva, così la chiamo io”. L’uso dello specchio crea nel-lo spettatore un disorienta-mento spaziale.

    semplici pinnacoli, grazie a una forma ir-regolare, evocavano guglie ma anche tubidigerenti e luoghi di spasmi fisici; la formaasettica, insomma, assumeva, attraversouna sottile ribellione al dettato minimali-sta, una capacità evocativa e narrativa. Le sculture dell’anglo-palestinese Mona

    Hatoum (1952), spesso rese inquietanti daparticolari pericolosi, e quelle dell’ingleseRachel Whiteread (1963), calchi di spazivuoti (in una stanza, in una libreria, nellezone cave dei mobili), possono essere con-siderate sviluppi delle ricerche di Eva Hesse.La polacca Magdalena Abakanowicz

    (1930) ha utilizzato corpi veri per ottenere fi-gure in bronzo da cogliere, prevalentemen-te, in posizioni mortuarie e sotto forma di ca-vità anziché di rilievi; le trentatré figure checompongono l’opera Catarsi (1985), in parti-colare, si presentano come un esercito disarcofagi aperti, in posizione verticale e spet-trale, come guerrieri sconfitti dalla caducitàdella vita fisica. La giapponese Yayoi Kusama, nata nel

    1928 da una famiglia facoltosa, fin dall’in-fanzia soffrì di una malattia mentale ac-compagnata da allucinazioni. Le donne ar-tiste erano allora considerate in Giapponequasi alla stregua di prostitute, per cui lasua vocazione artistica si manifestò controil parere della famiglia: nel 1958 fu a NewYork, dove ebbe una prolungata corrispon-denza epistolare con Georgia O’Keeffe. Lesue prime opere furono gouaches fatte diaccumulazioni di reti e di punti, seguite da

    sculture di stoffa composte con escrescenzedi chiara simbologia fallica: ogni cosa pote-va esserne ricoperta, divani, mobili, vestiti,interi ambienti nei quali spesso Kusama siesibiva in performances. L’aggravarsi dellamalattia la costrinse a ritirarsi volontaria-mente in una casa di cura di Tokyo, dovecomunque continuò a lavorare. A lungo di-menticata, ha iniziato ad avere riconosci-menti importanti come una mostra al Mo-MA di New York solo negli anni Novanta. Chiudiamo questa succinta galleria con

    la franco-americana Louise Bourgeois(1911-2010), la quale, benché attiva daglianni Trenta (vedi Storia dell’Arte 4, pagg.414, 415) trovò notorietà e in qualche mo-do anche una poetica originale solo daglianni Ottanta.Il fatto che la Galleria Tate Modern di Lon-

    dra, aperta nel 2000, abbia accolto alcunesue enormi sculture nella hall d’ingresso, in-stallate in maniera permanente, rende pale-se quale enorme percorso abbia compiutosia l’artista, sia la scultura femminile in sé,sia il riconoscimento che critici, storici e cu-ratori sono disposti a darle. Mediante l’uti-lizzo di una vasta gamma di materiali e ditecniche, che vanno dal marmo al bronzo, ainstallazioni polimateriche e complesse,Louise Bourgeois riassume tutti gli aspettiche abbiamo individuato come caratteristi-che permanenti della scultura femminile: fi-sicità, racconto, sessualità, vita domestica ealternanza di vissuti buoni o aggressivi ri-guardo alla propria identità.

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    1. Tante nuove artiste alla ribaltaNegli ultimi anni è aumentato enormemente il numerodelle artiste internazionali presenti alle grandi mostre.Per averne un’idea basti citare quelle presenti alle dueedizioni della Biennale di Venezia del 2005 e del 2007:la spagnola Pilar Albarracín (1968) che ci invita ad ana-lizzare lo stereotipo delle donne spagnole; l’egizianaGhada Amer (1963) che da anni con la sua opera mettein discussione la dinamica maschile-femminile, Oriente-Occidente, arte sublime-artigianato; l’italiana Micol As-saël (1979) che propone installazioni impossibili con mo-tori, prese elettriche e termostati che saltano; la brasilianaLaura Belém (1974) con opere basate sul suono e instal-lazioni ambientali; la turca Semiha Berksoy (1910-2004),artista figurativa che propone figure deformate; la statuni-tense Donna Conlon (1966), che osserva attentamentecome la gente si libera dai rifiuti; l’italiana Bruna Esposi-to (1960); la guatemalteca Regina José Galindo (1974)che si esibisce in performance di denuncia; la spagnolaCristina García Rodero (1949) che indaga il mondo conla fotografia; la columbiana Maria Teresa Hincapié deZuluaga (1954) che opera con performance; l’artista delBangladesh Runa Islam (1970) che vive a Londra e rea-lizza film e video; la palestinese Emily Jacir (1970) confilm che parlano di guerra, esilio, distruzione; la coreanaSoo-ja Kim (1957) con video e performance di analisi so-ciale e e di denuncia; la sudafricana Berni Searle (1964)con performance e opere video; la pakistana ShahziaSikander (1969) che opera su elementi di cultura regio-nale; la tedesca Paloma Varga Weisz (1966) con installa-zioni di manichini e sculture di grande impatto; la porto-ghese Joana Vasconcelos (1971) attiva nei campi dellascultura e dell’installazione; la francese Yto Barrada(1971), che vive in Marocco, attiva nella fotografia e nelvideo; la francese Sophie Calle (1953) che opera nelcampo della fotografia e del video; l’americana ChristineHill (1968) con originali installazioni e performance gio-cate sul rapporto tra arte e commercio; e tante altre.

    • Svolgi una ricerca su una di queste artiste consultandoil loro sito e quello della Biennale di Venezia.

    Bibliografia

    • Emanuela De Cecco, Gianni Romano (a cura di), Contemporanee, Costa & Nolan, Milano 2000

    • Amazzoni dell’Avanguardia, catalogo della mostra alla Peggy Guggenheim Collection, Venezia 2000

    • Lea Vergine, La Body Art e storie simili. Il corpo come linguaggio, Skira, Milano 2000

    • Enrica Ravenni, L’arte al femminile. Dall’Impressionismo all’ultimo Novecento, Editori Riuniti, Roma 1998

    • Louise Bourgeois, catalogo della mostra personale presso la Fondazione Prada, Milano 1997

    • Reine-Marie Paris, Camille Claudel, frammenti di un destino d’artista, Marsilio, Venezia 1989

    • Lea Vergine, L’altra metà dell’avanguardia, catalogo della mostra a Palazzo Reale, Milano 1986

    SitografiaArte al femminilehttp://www.artcyclopedia.com/artists/women-artists-20th.htmlhttp://www.artcyclopedia.com/artists/women-artists-20thb.htmlVasto repertorio digitale sulle principali figure artistiche femminili del xx secolo con link a siti monografici e alle opere con-servate nei più importanti musei; la prima pagina web è dedicata alle artiste fino alla prima metà del Novecento, la secondaall’arte contemporanea.

    Fig. 27Pilar Albarracín, Viva España, 2004. Videoperformance.

    Venezia, 51a Biennale.

    APPROFONDIMENTI E RICERCHE