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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 21 febbraio 2019 anno LXXII, numero 8 (3.982) Lotta alla fame

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 21 febbraio 2019anno LXXII, numero 8 (3.982)

Lotta alla fame

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

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GIANLUCA BICCINICo ordinatore

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Un ultimo, disperato tentativo di mandare amonte tutto. Due attentati mortali per sabota-re l’accordo faticosamente raggiunto dopo an-ni di consultazioni e dopo un lungo processodi pace. Le bombe esplose nella cattedrale diJolo il 27 gennaio e nella moschea di Zam-boanga tre giorni dopo intendevano far defla-grare anche la Legge fondamentale Bangsamo-ro (Bangsamoro Organic Law): quel provvedi-mento che, dopo un passaggio in parlamentoe un referendum popolare, istituisce la nuovaregione autonoma nella parte meridionaledell’arcipelago filippino. Gli attacchi kamikaze(23 vittime 88 feriti in tutto) hanno colpitodue luoghi di culto, uno cristiano e l’altro isla-mico: questo elemento simbolico ha avuto l’ef-fetto di unire, nel dolore e nella solidarietà, fe-deli cristiani e musulmani, generando maggio-re consapevolezza tra le popolazioni sui comu-ni nemici da estirpare: la violenza e il terrori-smo, soprattutto quando strumentalizzano ilnome di Dio per dispensare odio, distruzionee morte.

A Mindanao come a Manila, autorità civili,vescovi cristiani, ulama musulmani e leaderdelle società civile si preparavano a vivere laSettimana dell’armonia interreligiosa che si ce-lebra in tutto il mondo all’inizio di febbraio. Illutto, il pianto delle famiglie, le vite spezzateda atti malvagi, condannati con voci unanimi,hanno dato un sapore speciale a quelle giorna-te in cui persone di diverse fedi si sono unite«nel celebrare la verità, la sincerità e il perdo-no, valori essenziali per alimentare la speran-za», come hanno dichiarato i vescovi filippiniradunati in assemblea a Manila.

Con il referendum e con la Legge quadro,una rinnovata speranza è nata per le popola-zioni musulmane che da otto secoli abitano lavasta isola di Mindanao (grande un terzodell’Italia) e le isole limitrofe, come le Sulu e

Tawi-Tawi. È una consistente minoranza, com-posta da cinque milioni di cittadini di fedeislamica (il 5 per cento su 100 milioni di filip-pini), stanziati soprattutto in cinque provincenell’area occidentale di Mindanao. La comuni-tà islamica risulta, però, tutt’altro che omoge-nea: è frastagliata in 12 gruppi etnici, diversiper tradizioni culturali, costumi, occupazioni,dialetti, in un contesto esacerbato da povertà,corruzione e rivalità fra clan. Questo plurali-

smo interno è un fattore che contribuisce aspiegare perché il panorama della umma aMindanao risulta piuttosto frammentato e sifaticano a ritrovare comuni strategie e obietti-vi. Se la richiesta più comune, negli ultimi an-ni, è stata quella di un regime di autonomiaall’interno di uno stato federale, esistono cor-renti che tuttora invocano la lotta armata perottenere la secessione e si appellano all’antico“diritto di precedenza” precoloniale, rivendi-cando la formazione di uno stato confessionaleislamico. Senza contare le vere e proprie cellu-le jihadiste e i gruppi terroristi come Abu Sa-yyaf (“Il brando di Dio”) che negli hanno in-sanguinato la regione con violenze e attacchisui civili.

Mindanaofra propaganda dell’Ise antiche colpe

#internazionale

di PAOLO AF FATAT O

Gli attentatialla cattedrale

di Joloe alla moscheadi Zamboanga

affondano le radicinel colonialismo

e nell’i r re d e n t i s m oislamico

In tale cornice, a partire dagli anni ‘70 delsecolo scorso, gruppi guerriglieri nati all’inter-no della comunità musulmana si sono riallac-ciati alla tradizione degli antichi sultanati (ri-salenti al 1450), tenendo in scacco il governodi Manila con una resistenza armata che hacausato 120 mila vittime e 500 mila sfollati, inun’alternanza di conflitto e negoziati. La resi-stenza militare è stata, però, soltanto l’ultimafase di una complessa e antica questione che

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tocca il nodo dell’integrazione e della relazio-ne tra popoli e culture diverse. L’islam, infatti,è giunto nel Sudest asiatico fin dal XIII secolo,diffondendosi tra le popolazioni delle odierneMalaysia, Indonesia e Filippine non grazie aconquiste ma sulle rotte dei mercanti arabi chenavigavano verso i mari del Sud. Nel 1565, in-fatti, i colonizzatori spagnoli trovarono nelleFilippine gruppi di indigeni già islamizzati chechiamarono con l’appellativo (allora dispregia-tivo) di m o ro s , recalcitranti ad accettare i nuovidominatori, contrapponendoli agli indios chesi lasciavano cristianizzare. I musulmani eranoorganizzati in sultanati indipendenti fra loro:il sultanato di Maguindanao, il regno di Bua-yan e i sultanati Ranao sull’isola di Mindanao;il sultanato di Sulu nell’omonimo arcipelago;più a sud, nel Borneo, il sultanato del Brunei.Gli spagnoli cercarono senza successo di sotto-

variegate ragioni, a essere risolutivi. Il dittato-re Ferdinando Marcos sottoscrive una primaintesa a Tripoli del 1976, sotto l’egida dell’O nue della Conferenza islamica. Terminato il regi-me, è la nuova presidente Corazon Aquino aintavolare nuovi colloqui e a siglare nel 1989un accordo che istituisce la prima Regione au-tonoma di Mindanao musulmana. Successivitrattati di pace vengono firmati dai seguentigoverni di Fidel Ramos (nel 1996) e GloriaMacapagal Arroyo (nel 2008), finché BenignoAquino jr definisce nel 2014 un nuovo pattocon i guerriglieri, ridisegnando confini e com-petenze della regione autonoma. Il progetto dilegge, però, si arena in parlamento e, in segui-to a un’accesa battaglia politica, la mancata ra-tifica del congresso rimette per l’ennesima vol-ta la questione islamica al nuovo presidenteeletto nel 2016.

Il generale Sumners e i sultanidi Bayang e Oato (1902)

#internazionale

mettere le genti musulmane ma, fin da allora,quella minoranza nutriva una forte e chiaraidentità comunitaria, rafforzata dal fattore reli-gioso. Con il passaggio dalla dominazionespagnola a quella americana, avvenuto ai primidel ‘900, gli Stati Uniti lasciarono intatta la vi-ta della comunità musulmana, che era regolatada proprie leggi e costumi. I musulmani ap-prezzarono questo approccio, tanto che nonparteciparono al movimento indipendentistafilippino, coagulatosi intorno a José Rizal sulfinire del ‘900, né alla costruzione di una na-zione in cui si sentiranno de facto stranieri.Tanto che nel 1921 un gruppo di leader musul-mani delle Sulu chieds con una petizione chie-sero di restare sotto il protettorato americano,e lo ribadì nel 1935 in una lettera a Roosevelt,dopo che il congresso americano aveva già vo-tato l’Atto di indipendenza. Dopo la parentesidell’occupazione giapponese (1941-1945), conla proclamazione ufficiale della Repubblicadelle Filippine (4 luglio 1946) il problema deimoros resta irrisolto. Anzi, esplode in tutte lesue contraddizioni: frutto di malcontento, po-vertà, sottosviluppo e della distanza geograficada Manila, prende forma l’irredentismo islami-co di Mindanao, con la nascita del Fronte mo-ro di liberazione nazionale (Moro National Li-beration Front), primo storico gruppo che ainizio anni ’70 avvia la ribellione. Nel 1981 visi stacca il Fronte Moro di liberazione islamica(Moro Islamic Liberation Front), caratterizza-to da una più marcata connotazione religiosa.

Gli accordi che Manila stipula negli annicon i movimenti guerriglieri non riescono, per

Occorre, a detta di tutti, una decisa volontàpolitica. Il presidente Rodrigo Duterte ha ri-lanciato un accordo di pace con caratteridell’inclusività delle popolazioni e dei movi-menti islamici di Mindanao. La speranza è cheattraverso decisioni forti si riesca dare unascossa al processo di pace e all’annosa questio-ne dei m o ro s , avvelenata anche in tempi recentidalle mire espansionistiche del sedicente statoislamico (Is) che, perdendo terreno in Mediooriente, ha rivolto la sua attenzione e ha cerca-to di sfruttare la frustrazione di cellule jihadi-ste nel Sudest con l’idea di creare un mini-ca-liffato a Mindanao. Da qui è nata la clamorosaoccupazione della città di Marawi (provinciadi Lanao del Sur) nel 2017 e il conseguente as-sedio dell’esercito filippino, che è riuscito a ri-conquistare la città dopo una sfibrante guerri-glia porta a porta. Da queste influenze deriva-no i recenti tentativi di destabilizzare l’area edi far naufragare con la violenza terrorista ilprocesso di pace, che ha conferito ora un defi-nitivo assetto istituzionale alla regione autono-ma. Nell’ottica di assicurare pace e giustiziaalla popolazione delle Filippine meridionali —dove convivono cristiani, musulmani e tribalidetti lumads — la Chiesa cattolica ha sempresostenuto il processo di pace, promuovendoun accordo globale e inclusivo, come quelloappena ratificato, tra il governo e i gruppiguerriglieri. Nella speranza di inaugurare unanuova era di pacifica coesistenza e di sviluppoeconomico-sociale per la regione più tormenta-ta del paese.

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di ANDREA MONDA

NLa tecnologiaha bisognodell’alleanzatra eticapolitica e diritto

on ha sessant’anni Brad Smith e sembra anchemolto più giovane mentre sorride luminosa-mente osservando nei solenni saloni della Bi-blioteca Vaticana i manoscritti di RaimondoLullo e di Galileo e soprattutto la Bibbia diGutenberg. Il presidente di Microsoft ha ap-pena avuto un colloquio privato con il SantoPadre su un argomento, l’importanza di unapproccio etico alla tecnologia che è arrivataalla creazione di vere e proprie intelligenze ar-tificiali, che oggi si rivela una frontiera crucialeper il destino dell’uomo. C’è bisogno di una«voce umana» che si alzi oggi, ha detto BradSmith al Papa, «una voce umana come quella,alta e autorevole, della Chiesa» e il Papa haaggiunto una voce che «recuperi parole umaneche oggi rischiano di cadere dal dizionario co-me tenerezza, carezza, fraternità». Promotoredell’incontro tra il Papa e il presidente del piùgrande colosso nel campo della tecnologia è laPontificia Accademia della Vita che, come haspiegato il presidente monsignor Vincenzo Pa-glia, ha indetto un premio in collaborazionecon Microsoft per la migliore dissertazionedottorale sul tema delle intelligenze artificiali aservizio della vita umana. In esclusiva per«L’Osservatore Romano» Brad Smith ha rila-sciato un’intervista che ha preso lo spunto daltesto del Messaggio per la Giornata Mondialedelle Comunicazioni in cui il Papa afferma che«L’uso del social web è complementare all’in-contro in carne e ossa, che vive attraverso ilcorpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respirodell’altro. Se la rete è usata come prolunga-mento o come attesa di tale incontro, alloranon tradisce se stessa e rimane una risorsa perla comunione», da qui la sfida del passare dal-le community alla comunità, una comunità og-gi che soffre di una crisi innanzitutto di sfidu-cia.

La tecnologia è uno tra i principali attori delcambiamento che l’umanità sta attraversando. Inquesto momento storico, in cui c’è una grande crisidi fiducia globale (e la politica ne è solo l’esempiopiù evidente), da un lato la tecnologia è vista co-me qualcosa da temere, dall’altro viene percepitacome ciò che ci rende umani, come qualcosa chepuò distinguere gli uomini da ogni altra specie vi-vente. Secondo lei, come dobbiamo guardare allatecnologia? Come possiamo infondere sicurezza efiducia nell’impressionante potenziale del progressotecnologico?

La scienza e la tecnologia sono ingredientiessenziali della vita moderna. Trascendono iconfini locali e toccano la vita di quasi tuttinel nostro pianeta. L’evoluzione dell’umanitàpuò essere vista anche in termini di evoluzionetecnologica. Come il motore a vapore che hadato inizio alla prima rivoluzione industriale,anche la nuova tecnologia, qual è l’intelligenzaartificiale, sta cambiando il modo in cui lavo-riamo e viviamo. E come le ferrovie alimentateda quei motori a vapore, anche queste nuoveinvenzioni dovranno essere gestite e infine re-golamentate dalle società. Ogni nuova tecno-logia dal vasto impatto sociale richiederà nuo-ve leggi. La tecnologia è uno strumento cheha avuto un impatto profondo sulle persone,in modo sia positivo sia negativo. Anche una

la mente meno elevata lo usano per scrittimolto meno nobili. Come di fatto Einsteinaveva avvertito il mondo, nelle mani sbagliateogni strumento può diventare un’arma se laforza organizzatrice dell’umanità non riesce astare al passo con la tecnologia stessa. Per assi-curare che le persone credano e abbiano fidu-cia nella tecnologia, dobbiamo pensare oltre latecnologia stessa e affrontare la necessità diprincipi etici più forti, l’evoluzione delle leggi,

scopa può essere utilizzata per spazzare il pa-vimento o per darla in testa a qualcuno. Più lostrumento è potente, più è grande il beneficioo il danno che può recare. Le tecnologie dellecomunicazioni, dal telefono al software per lavideoscrittura a internet, hanno permesso allepersone di collegarsi tra di loro, informarsi sulmondo ed esprimersi in modi nuovi. Uno de-gli strumenti onnipresenti è il nostro MicrosoftWord. Molte volte Word viene usato da scrit-tori impegnati per promuovere le aspirazionipiù alte del mondo. Ma è indubbio che ci so-no anche momenti più bui, quando attori dal-

A colloquiocon Brad Smith

p re s i d e n t edi Microsoft

Papa Francesco con Brad Smithnel pomeriggio di mercoledì 13

#culture

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l’importanza di formare le persone con le nuo-ve competenze, e perfino le riforme del merca-to del lavoro. Se vogliamo trarre il massimodalla potente e promettente tecnologia dell’in-telligenza artificiale, tutte queste cose devonoconfluire. L’intelligenza artificiale avrà un im-patto su ogni ambito della società e non verràcreata e utilizzata solo dal settore tecnologico.Perciò il mondo deve incontrarsi per affrontaretali questioni con un senso di responsabilitàcomune.

Parlando della trasformazione prodotta dal cloudlei ha parlato di questa “responsabilità comune” edi fiducia e inclusività. Per rendere tale trasfor-mazione “non-inumana”, occorre sia che coesistanoquesti tre requisiti sia che si sviluppi un’alleanzatra istituzioni, settore privato e società civile. Comepossiamo costruire questa alleanza? Chi sta gui-dando questa trasformazione insieme all’immensaquantità di dati che vengono prodotti? In che mo-do le aziende private dovrebbero relazionarsi conla politica? Quali sono i reciproci limiti che ilmondo degli affari e la politica dovranno rispetta-re? Qual è l’ambito d’influenza e di partecipazionedella società civile?

Poiché la tecnologia si evolve in maniera co-sì rapida, quelli tra noi che creano l’intelligen-za artificiale, il cloud e altre innovazioni forsene sanno più della maggior parte delle perso-ne su come queste tecnologie funzionano. Maciò non significa necessariamente che sappia-mo come affrontare al meglio il ruolo che do-vrebbero svolgere nella società. Per questo ènecessario che le persone del governo, delmondo accademico, degli affari, della societàcivile e le altre parti interessate si uniscano peraiutare a modellare questo futuro. E abbiamosempre più bisogno di farlo non solo comesingola comunità o paese, bensì a livello glo-bale. Ognuno di noi ha la responsabilità dipartecipare, e anche un ruolo importante dasvolgere. Per esempio, lo sviluppo di servizi diintelligenza artificiale più efficaci esige l’uso didati, spesso il maggior numero di dati rilevanti

possibile. E tuttavia, l’accesso e l’uso dei daticoinvolge anche aspetti legislativi, che spazia-no dal garantire la tutela della privacy indivi-duale e la salvaguardia di informazioni sensi-bili e protette al rispondere a una serie di nuo-ve questioni relative al diritto della concorren-za. Trovare un equilibrio attento e produttivotra tali obiettivi esigerà dibattiti e cooperazio-ne tra governi, rappresentanti dell’industria, ri-cercatori accademici e società civile. Da un la-to, riteniamo che i governi dovrebbero aiutarea velocizzare i progressi nell’ambito dell’intelli-genza artificiale, promuovendo approcci comu-ni nel rendere i dati largamente disponibili perl’apprendimento automatico. Una grandequantità di informazioni utili è contenuta neidataset pubblici, dati che appartengono allostesso pubblico. Dall’altro, sarà importante chei governi sviluppino e promuovano approcciefficaci alla protezione della privacy, che ten-gano conto del tipo di dati e del contesto incui vengono usati. Per aiutare a ridurre il ri-schio di intrusioni nella privacy, i governi do-vrebbero sostenere e promuovere lo sviluppodi tecniche che consentano ai sistemi di utiliz-zare dati personali senza accedere o conoscerele identità degli individui. In Microsoft rite-niamo che promuovere il dialogo e la condivi-sione delle migliori pratiche tra governi, im-prenditoria, rappresentanti di organizzazioninon governative e società civile sarà essenzialeper massimizzare il potenziale che ha la tecno-logia di produrre benefici su ampia base. La-vorando insieme, possiamo individuare le que-stioni che hanno evidenti conseguenze socialio economiche e rendere prioritario lo sviluppodi soluzioni che proteggano le persone senzalimitare inutilmente l’innovazione futura.

Queste trasformazioni devono tendere a realizzareun mondo più coeso, garantire stabilità democrati-ca e una partecipazione sempre più “dal basso”, opossono invece creare le condizioni per una mag-giore lacerazione sociale?

In Microsoft riconosciamo che abbiamol’obbligo morale non solo di continuare a in-novare, ma anche di costruire tecnologia perrisolvere grandi problemi e essere una forza dibene nel mondo. Ci rendiamo conto che piùun’azienda è grande, più è grande la sua re-sponsabilità di pensare al mondo, ai suoi abi-tanti e alle loro opportunità a lungo termine.Affrontiamo questo obiettivo concentrandocisu strategie e interessi multipli; facendo levasulle nostre attività centrali per un impatto so-ciale positivo; migliorando la produttività per-sonale; assicurandoci che la nostra attività siasocialmente responsabile investendo in sosteni-

#culture

Lettere dal direttore

Abbiamo bisogno di una voce, unavoce umana. Lo ha detto Brad Smithil presidente di Microsoft parlandoprima con monsignor Paglia che loha invitato in Vaticano e poi con Pa-pa Francesco il quale ha aggiuntoche questa voce deve riscattaredall’oblio parole che oggi rischianodi cadere dal dizionario come tene-rezza, carezza, fraternità... paroleumane.

Ero lì presente, all’incontro tra ilcapo della più grande azienda quota-ta in borsa e il “cap o” della Chiesacattolica, due grandi influencer chenon si guardavano in cagnesco ma ri-flettevano seriamente sul momentocruciale che il mondo contemporaneosta vivendo. Tutti connessi oggi matutti soli, dice Smith che nota una“i n t ro v e r s i o n e ” della società, gli statisi isolano, vogliono fare da soli, crea-no divisioni e contrapposizioni, l’op-posto della logica delle connessioniche questa trasformazione tecnologi-ca sta realizzando. Soprattutto i gio-vani stanno dentro questo processodi iper-connessione e ipo-comunica-zione, però è lì la speranza, nei gio-vani, su questo i due influencer con-cordano: Smith racconta dei suoi più

giovani tecnici, capaci di creare mac-chine che aiutano a migliorare la vitadei non vedenti (dispositivi che rie-scono a “v e d e re ” e a dire quello chevedono), il Papa vede nell’alleanzatra giovani e adulti la speranza per ilfuturo, «se li incoraggiamo, spingen-doli verso la concretezza, a lavoraresu progetti concreti, i giovani ci sor-prendono con la loro genialità e di-ventano anche fieri delle loro opere».

La concretezza è anche la caratteri-stica propria dell’etica che non èun’idea astratta, vaga, che può essereapplicata oppure no, non è un optio-nal ha precisato Smith: se siamoumani siamo esseri morali. Tecnolo-gia e scienza non possono esseresganciate dall’umanesimo, nel direquesto il Papa ha toccato il puntonevralgico, si nota quasi un certo ti-more nelle parole con cui Brad Smithspiega al Papa che Microsoft sta pro-gettando macchine “intelligenti”, chesono capaci di prendere decisioni; c’èpreoccupazione nelle sue parole: stachiedendo aiuto, cerca una voce ami-ca, una voce autorevole, una voceumana.

A.M.

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bilità, accessibilità, privacy e sicurezza; e attra-verso la filantropia, con oltre un miliardo didollari di contributi per molte cause differenti,tra cui l’insegnamento di competenze digitalicome la programmazione e le scienze informa-tiche. Qui in Italia, in collaborazione con laOng locale Fondazione Mondo Digitale po-tremo formare 250.000 studenti delle superiori,specialmente ragazzi che vivono in aree svan-taggiate, e far loro scoprire il potere dell’intel-ligenza artificiale. Una tecnologia in rapidaevoluzione con un impatto su tutti i settori si-gnifica che i lavori del futuro richiederannomaggiori competenze digitali, dalla conoscen-za informatica di base all’informatica avanzata.Qui in Microsoft riteniamo di avere la respon-sabilità di aiutare a fornire ai nostri giovani unaccesso equo a corsi di informatica rigorosi ecoinvolgenti. Se non si affronta la questionedell’equo accesso, intere popolazioni verrannoescluse dalla piena partecipazione a questonuovo mondo, creando così quella “lacerazio-ne sociale” alla quale lei ha accennato prima.In Italia abbiamo in corso un progetto pro-mettente, “Ambizione Italia”, per accelerare latrasformazione digitale, usare l’intelligenza di-gitale e assicurare che nessuno venga lasciatoindietro. Al centro c’è un programma comple-to di formazione per fornire competenze, mi-gliorarle e riqualificarle. Il programma — incollaborazione con il Gruppo Adecco, Fonda-zione Mondo Digitale e altri partner — hal’obiettivo di raggiungere oltre due milioni digiovani, studenti, neet e professionisti in tuttoil paese entro il 2020, formando più di500.000 persone e fornendo attestati a 50.000p ro f e s s i o n i s t i .

L’intelligenza artificiale è sempre legata alla re-sponsabilità, per riprendere le sue parole, e lei haparlato spesso della necessità di regole per fornirea ogni attore tecnologico un quadro etico. Comepossiamo orientare l’intelligenza artificiale verso ilbene comune?

Dal momento che i computer acquistano la ca-pacità di apprendere dall’esperienza e prendo-no decisioni, che tipo di esperienza vogliamoche facciano e quali decisioni riteniamo chepossano prendere? La capacità di un computerdi vedere e riconoscere volti, di riconoscere ivolti delle persone da una foto o attraversouna telecamera — il riconoscimento facciale —ha messo il tema in grande rilievo. Questa tec-nologia può catalogare le tue foto, aiutare ariunire famiglie, oppure essere potenzialmenteusata in modo improprio e inopportuno. Il ri-conoscimento facciale solleva questioni chevanno dritte al centro della tutela dei dirittiumani fondamentali, come la privacy e la li-bertà di espressione. Sono questioni che fannoaumentare la responsabilità delle aziende tec-nologiche che creano tali prodotti. Secondonoi, esigono anche una regolamentazione go-vernativa ponderata e lo sviluppo di normecirca l’uso accettabile. In una repubblica de-mocratica non c’è altra via se non l’attività de-cisionale dei nostri rappresentanti eletti riguar-do alle questioni che esigono che si trovi unequilibrio tra la sicurezza pubblica e l’essenzadelle nostre libertà democratiche. Il riconosci-mento facciale esigerà che sia il settore pubbli-co sia quello privato si facciano avanti e agi-scano. A livello globale è una questione chesta appena iniziando. Se non agiamo, rischia-mo di svegliarci tra cinque anni e di scoprireche i servizi di riconoscimento facciale si sonodiffusi in modi che esasperano le problemati-che sociali. Allora, queste sfide diventerannomolto più difficili da controllare. In particola-re, non riteniamo che si faccia il bene della so-cietà con una corsa commerciale verso il basso,con le compagnie tecnologiche costrette a sce-gliere tra responsabilità sociale e successo di

mercato. Pensiamo che l’unico modo per pro-teggersi da questa corsa verso il basso sia dicostruire una piattaforma di responsabilità chesorregga una sana competizione di mercato. Eperché la piattaforma sia solida è necessarioche noi assicuriamo che questa tecnologia, e leorganizzazioni che la sviluppano e la utilizza-no, siano governate dallo stato di diritto. Im-prenditori, legislatori, ricercatori, accademici erappresentanti di gruppi non governativi devo-no impegnarsi insieme per assicurare che le

tecnologie basate sull’intelligenza artificialesiano disegnate e sviluppate in un modo checonquisti la fiducia delle persone che le usanoe degli individui i cui dati vengono raccolti.

Ritorniamo al messaggio del Papa per la Gior-nata delle Comunicazioni Sociali: l’uso delle retisociali è complementare agli incontri faccia a fac-cia. Se la rete è percepita come un’espansione delleopportunità di incontrarsi con altre persone e con-dividere esperienze, chiaramente rappresenta unagrande risorsa per tutti. Purtroppo, però, rete so-ciale non significa automaticamente coesione e in-clusività. Talvolta rappresenta la base per discus-sioni violente e perfino lacerazione sociale: qualepuò essere l’antidoto a tali pericoli?

Come Microsoft abbiamo la responsabilitàdi creare servizi online e comunità in cui lepersone si sentano sicure: lo scorso 5 febbraio,Giornata della sicurezza in rete, ovvero la gior-nata d’azione internazionale per promuovereun uso più sicuro e responsabile della tecnolo-gia, specialmente tra i bambini e i giovani, ab-biamo sviluppato un Digital Civility Index(indice della civiltà digitale) per dimostrareche i rischi in rete hanno conseguenze nelmondo reale. Siamo profondamente impegnatiper quanto riguarda la necessità di approfon-dire la formazione di adolescenti, giovaniadulti, genitori, educatori e legislatori in meri-to alle conseguenze nel mondo reale delle in-terazioni negative in rete, che possono inclu-dere la perdita di fiducia negli altri, un mag-giore stress, la privazione di sonno e perfinopensieri suicidi. Speriamo che quei risultatipossano servire come prova documentale peruna spinta globale verso la “civiltà digitale”.Anche la Digital Civility Challenge è un’op-portunità di sensibilizzazione, per incoraggiaregli utenti a essere responsabili del loro com-portamento online e a servire da modelli e/opaladini per gli altri. L’obiettivo del Challengeè di sostenere l’impegno a lungo termine diMicrosoft a promuovere interazioni sicure e in-clusive in rete e a sensibilizzare circa la neces-sità di “educazione digitale”.

#culture

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di DARIOFERTILIO

Sei anni sono pochi nella storia dell’arte, eppu-re furono sufficienti ai fondatori della rivista«Ver Sacrum» per imprimervi il loro sigillo.Più ancora dei nomi di coloro che parteciparo-no all’avventura, destinati comunque a diven-tare famosi, oggi colpisce lo spirito che li ani-mò, fra il 1898 e il 1903. Gli amanti del generepossono riscoprirlo grazie alla pubblicazioneedita da Skira che mantiene l’originario titolodella testata viennese e presenta a cura di Va-lerio Terraroli le opere più notevoli di quellastagione irripetibile. Vi si alternano forme si-nuose e ricche di rimandi simbolici, versi spes-so enigmatici e suggestivi, inquietanti scenemitologiche e le tipiche, preziose decorazionigrafiche che identificano immediatamente lostile della Secessione, così affine allo Jugenstil,all’Art Dèco o — per la cultura italiana — alLib erty.

È significativa, già a prima vista, la fusionedi arti figurative, musica, versi, saggi di esteti-ca, il tutto dichiaratamente alla ricerca dellaG e s a m t k u n s t w e rk , l’opera totale in grado diconciliare in armonia le più diverse espressionidi creatività. Per una fortunata coincidenza, lacompagnia di «Ver Sacrum» finì col raccoglie-re personaggi geniali, ognuno nel suo campo,come il pittore Gustav Klimt, l’architetto OttoWagner, i poeti Hugo von Hofmannstahl eRainer Maria Rilke, tutti affascinati dall’ideadi interpretare lo spirito del tempo e la crisidei valori a cavallo dei due secoli, sublimando-ne però l’angoscia in forme nuove, di una bel-lezza insieme sensuale e “sacra”.

Quest’ultimo aspetto, evocato già nel titolodella rivista, va ricondotto certo ai modelli ar-caici, ai riti latini e pagani legati al succedersidelle stagioni e al rinnovarsi delle generazioni,ma insiste con altrettanta forza sulla ricerca divalori assoluti e perenni, religiosi in senso lato,in grado di liberare gli spiriti dai lacci pesantidella politica e della storia.

E proprio in quest’aspirazione a raggiungereun significato superiore è possibile oggi co-gliere una risposta ai dubbi della modernità.Lo sguardo dello spettatore riposa sui ritratti

inquieti, gli scenari fiabeschi, le suggestioniorientaleggianti, si lascia sedurre dalle allusio-ni a un mistero perenne che non smette di in-terrogarci. Gli artisti di «Ver Sacrum» non sirifugiano però in torri d’avorio, ma si impe-gnano nel migliorare il senso estetico dei citta-dini comuni, si sforzano di offrire loro oggettid’uso quotidiano, come pettini, seggiole e ca-lendari, in uno sforzo utopistico di compren-dere, influenzare, migliorarne l’esistenza. È co-me se i corpi femminili di Klimt e Segantini, ipaesaggi mitologici di Max Klinger, le scultu-re di Rodin fossero sempre sul punto di comu-nicare un segreto, che però sfugge a causa deilimiti cui è soggetta la condizione umana.

Siamo lontani mille miglia dalle performan-ce astratte e dalle provocazioni puramente in-tellettuali in cui l’arte occidentale finirà spessocon l’insabbiarsi.

E forse il messaggio più suggestivo è rac-chiuso in una poesia di Hofmannstahl pubbli-

cata sulla rivista nel 1898. Una donna portaagilmente in mano una coppa e non ne lasciatraboccare nemmeno una goccia; un uomo pa-droneggia sicuro il suo cavallo; ma quandoi due si incontrano e lui vorrebbe beredal recipiente di lei, non riesce a sollevarloperché è troppo pesante. L’arte, come l’eros, ècosì potente da non poter essere dominata,né addomesticata, ed è vano illudersi di posse-derla.

Una stagioneirrip etibile

Quei sei annitra fine Ottocentoe inizio Novecentoin cui si pubblicò

a Viennala rivista d’arte«Ver Sacrum»

#scaffale

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La ricchezza delle Letture scelte per questa cele-brazione eucaristica può essere riassunta inuna sola frase: “Non abbiate paura”.

Il brano del Libro dell’Esodo ci ha presen-tato gli Israeliti presso il Mar Rosso, terroriz-zati dal fatto che l’esercito del Faraone li hainseguiti e sta per raggiungerli. Molti pensa-no: era meglio rimanere in Egitto e vivere co-me schiavi piuttosto che morire nel deserto.Ma Mosè invita il popolo a non avere paura,perché il Signore è con loro: «Siate forti e ve-drete la salvezza del Signore, il quale oggi agi-rà per voi» (Es 14, 13). Il lungo viaggio attra-verso il deserto, necessario per giungere allaTerra promessa, comincia con questa primagrande prova. Israele è chiamato a guardareoltre le avversità del momento, a superare lapaura e riporre piena fiducia nell’azione salvi-fica e misteriosa del Signore.

Nella pagina del Vangelo di Matteo (14, 22-33), i discepoli restano turbati e gridano per lapaura alla vista del Maestro che cammina sulleacque, pensando che sia un fantasma. Sullabarca agitata dal forte vento, essi non sono ca-paci di riconoscere Gesù; ma Lui li rassicura:«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (v. 27).Pietro, con un misto di diffidenza ed entusia-smo, chiede a Gesù una prova: «Comandamidi venire verso di te sulle acque» (v. 28). Gesùlo chiama. Pietro fa qualche passo, ma poi laviolenza del vento lo impaurisce di nuovo ecomincia ad affondare. Mentre lo afferra persalvarlo, il Maestro lo rimprovera: «Uomo dipoca fede, perché hai dubitato?» (v. 31).

Attraverso questi episodi biblici, il Signoreparla oggi a noi e ci chiede di lasciare che Luici liberi dalle nostre paure. “Liberi dalla paura”è proprio il tema scelto per questo vostro in-contro. “Liberi dalla paura”. La paura è l’ori-gine della schiavitù: gli israeliti preferirono di-

Superare la pauraper aprirsi all’i n c o n t ro

Papa Francescocelebra la messanella FraternaDomusdi Sacrofano

Nel pomeriggio di venerdì 15 febbraio il Papa si è recatoalla Fraterna Domus di Sacrofano, dove ha celebrato lamessa per i partecipanti al meeting «Liberi dalla paura».

#francesco

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ventare schiavi per paura. È anche l’origine diogni dittatura, perché sulla paura del popolocresce la violenza dei dittatori.

Di fronte alle cattiverie e alle brutture delnostro tempo, anche noi, come il popolod’Israele, siamo tentati di abbandonare il no-stro sogno di libertà. Proviamo legittima pauradi fronte a situazioni che ci sembrano senzavia d’uscita. E non bastano le parole umane diun condottiero o di un profeta a rassicurarci,quando non riusciamo a sentire la presenza diDio e non siamo capaci di abbandonarci allasua provvidenza. Così, ci chiudiamo in noi

cora qualche dubbio, ecco la sua parola chiara:«In verità io vi dico: tutto quello che avetefatto a uno solo di questi miei fratelli più pic-coli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).

Può essere compreso in questo senso anchel’incoraggiamento del Maestro ai suoi discepo-li: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!»(Mt 14, 27). È davvero Lui, anche se i nostriocchi fanno fatica a riconoscerLo: coi vestitirotti, con i piedi sporchi, col volto deformato,il corpo piagato, incapace di parlare la nostralingua... Anche noi, come Pietro, potremmoessere tentati di mettere Gesù alla prova e di

chiedergli un segno. E magari, dopo qualchepasso titubante verso di Lui, rimanere nuova-mente vittime delle nostre paure. Ma il Signo-re non ci abbandona! Anche se siamo uominie donne “di poca fede”, Cristo continua a ten-dere la sua mano per salvarci e permettere l’in-contro con Lui, un incontro che ci salva e cirestituisce la gioia di essere suoi discepoli.

Se questa è una valida chiave di lettura del-la nostra storia di oggi, allora dovremmo co-minciare a ringraziare chi ci dà l’occasione diquesto incontro, ossia gli “altri” che bussanoalle nostre porte, offrendoci la possibilità disuperare le nostre paure per incontrare, acco-gliere e assistere Gesù in persona.

E chi ha avuto la forza di lasciarsi liberaredalla paura, chi ha sperimentato la gioia diquesto incontro è chiamato oggi ad annunciar-lo sui tetti, apertamente, per aiutare altri a farelo stesso, predisponendosi all’incontro conCristo e la sua salvezza.

Fratelli e sorelle, si tratta di una grazia cheporta con sé una missione, frutto di affida-mento completo al Signore, che è per noil’unica vera certezza. Per questo, come singolie come comunità, siamo chiamati a fare nostrala preghiera del popolo redento: «Mia forza emio canto è il Signore, egli è stato la mia sal-vezza» (Es 15, 2).

Al termine della celebrazione eucaristica, PapaFrancesco ha pronunciato le seguenti parole.

Prima di congedarmi vorrei ringraziare ognu-no di voi per tutto quello che fate: il piccolopasso… Ma il piccolo passo fa il grande cam-mino della storia.

Avanti! Non abbiate paura, abbiate corag-gio! Che il Signore vi benedica. Grazie.

stessi, nelle nostre fragili sicurezze umane, nelcircolo delle persone amate, nella nostra routi-ne rassicurante. E alla fine rinunciamo al viag-gio verso la Terra promessa per tornare allaschiavitù dell’Egitto.

Questo ripiegamento su sé stessi, segno disconfitta, accresce il nostro timore verso gli“altri”, gli sconosciuti, gli emarginati, i fore-stieri — che peraltro sono i privilegiati del Si-gnore, come leggiamo in Matteo 25. E questosi nota particolarmente oggi, di fronte all’arri-vo di migranti e rifugiati che bussano alla no-stra porta in cerca di protezione, sicurezza eun futuro migliore. È vero, il timore è legitti-mo, anche perché manca la preparazione aquesto incontro. Lo dicevo l’anno scorso, inoccasione della Giornata Mondiale del Mi-grante e del Rifugiato: «Non è facile entrarenella cultura altrui, mettersi nei panni di per-sone così diverse da noi, comprenderne i pen-sieri e le esperienze. E così, spesso, rinuncia-mo all’incontro con l’altro e alziamo barriereper difenderci». Rinunciare a un incontro nonè umano.

Siamo chiamati invece a superare la pauraper aprirci all’incontro. E per fare questo nonbastano giustificazioni razionali e calcoli stati-stici. Mosè dice al popolo di fronte al MarRosso, con un nemico agguerrito che lo incal-za alle spalle: «Non abbiate paura», perché ilSignore non abbandona il suo popolo, ma agi-sce misteriosamente nella storia per realizzareil suo piano di salvezza. Mosè parla così sem-plicemente perché si fida di Dio.

L’incontro con l’altro, poi, è anche incontrocon Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui chebussa alla nostra porta affamato, assetato, fo-restiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo diessere incontrato e assistito. E se avessimo an-

#francesco

Quell’abbraccioalla giovanemigrante

Nell’abbraccio di Francescoa una giovane donnamigrante, che non hatrattenuto le lacrime di gioiae di speranza per undomani migliore, c’è l’invitoa essere «liberi dalla paura».Proprio questa espressione èstata il filo conduttore almeeting che ha riunito davenerdì 15 a domenica 17febbraio le realtà impegnatenell’accoglienza enell’integrazione deimigranti per dar loro mododi conoscersi e confrontarsi:famiglie, parrocchie,comunità e istituti religiosi.A promuovere e organizzarela “tre giorni” nella FraternaDomus di Sacrofano,comune alle porte di Roma,sono stati la fondazioneMigrantes della Conferenzaepiscopale italiana, laCaritas italiana e il CentroAstalli.Il Pontefice è arrivato inauto a Sacrofano pocoprima delle ore 16 e hasubito presieduto la messanella cappella. Presenticinquecento persone, tra cui90 rifugiati di diversenazionalità. Hannoconcelebrato, tra gli altri, ilcardinale vicario di Roma,De Donatis; i vescoviRusso, segretario generaledella Cei; Di Tora, ausiliaredi Roma e presidente dellafondazione Migrantes edella Commissioneepiscopale per lemigrazioni; Rossi, di CivitaCastellana; Lojudice,ausiliare di Roma esegretario dellaCommissione episcopale perle migrazioni; l’a rc i v e s c o v oBressan, emerito di Trento;il gesuita Czerny, sotto-segretario della Sezionemigranti e rifugiati delDicastero per il serviziodello sviluppo umanointegrale; don Soddu,direttore della Caritasitaliana; il gesuitaRipamonti, presidente delCentro Astalli; don DeRobertis, direttore dellaMigrantes.Papa Francesco ci chiede di«osare la solidarietà, lagiustizia e la pace»: conqueste parole il vescovosegretario generale dellaConferenza episcopaleitaliana ha salutato ilPontefice all’inizio dellamessa «a nome degli oltre500 partecipanti». E hafatto riferimento all’iconabiblica del meeting che«significativamente ha perprotagonista, insieme aGesù, l’apostolo Pietro cheosa avventurarsi sul mare intempesta». Un’icona, haaffermato monsignor Russo,che «ci dà l’esempio e ciincoraggia a non averepaura, a non ripiegare sucertezze consolidate perevitare il rischio di esporci,

ad avere il coraggio difidarci, fino al dono di noistessi».Nelle intenzioni dei fedeli,si è pregato per «iresponsabili delle nazioni,perché si impegnino adiffondere la cultura dellatolleranza, della convivenzae della pace, per fermareogni spargimento disangue»; poi perché «tutti icristiani reagiscano al malesecondo il Vangelo esappiano promuovere ilrispetto, il dialogo esoprattutto il perdono»;infine sono state ricordare«tutte le persone innocentiuccise per la loro religione».A conclusione dellacelebrazione il vescovo DiTora, ha espresso al Papagratitudine per «il segno divicinanza e di comunione»a quanti si impegnanonell’accoglienza. «La paroladel Papa di fronte a chioggi facilmente dimentica, oaddirittura trascura, ilVangelo dell’accoglienza —ha affermato — è veramentedeterminante e per noidiventa un motivo dirinnovata speranza e diimpegno». E se «oggi cisono tante difficoltà — haproseguito — tra le verepovertà quella dellemigrazioni è una realtàgrande: è gente che cercauna speranza e fugge dasituazioni umanamentedifficili come le guerre esappiamo che non c’è solola guerra delle armi maanche la guerra della fame,della miseria, della siccità,della desertificazione».Proprio per rispondere aquesta povertà, ha spiegatomonsignor Di Tora, cisiamo raccolti «insieme perpoterci raccontare, potercidire l’uno all’altro la propriaesperienza, i momentipositivi, le speranze e leansie di tanti che hannodovuto abbandonare la loroterra e hanno trovato unmotivo nuovo di gioia,comunione e speranza». Ecome segno concreto digratitudine il presidentedella Migrantes ha donato aFrancesco un dipinto sutela, opera del pittorebrasiliano Durval, cherappresenta Gesù che afferraPietro per non farlo affogaredicendogli «non temere».Una parola «che vale perPietro, per tutti i Pietrodella storia e per ciascunodi noi», ha concluso ilvescovo che ha presentato alPapa anche il dépliantillustrativo della mostraExodus dell’artista SafetZec, promossa e sostenutadalla Migrantes e dallaCaritas, che è stata poiinaugurata il 20 febbraionella chiesa romana di SanFrancesco Saverio delCaravita.Prima di far rientro inVaticano, il Pontefice hasalutato la comunità dellereligiose a cui è affidata laFraterna Domus.

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Sono lieto di incontrarvi in occasione della vo-stra Assemblea Plenaria. Ringrazio il Cardina-le Prefetto per le parole che mi ha rivolto e sa-luto tutti voi, membri, collaboratori e consul-tori della Congregazione per il Culto Divino ela Disciplina dei Sacramenti.

Questa Plenaria giunge in un tempo signifi-cativo. Sono passati cinquant’anni da quando,l’8 maggio 1969, San Paolo VI volle istituirel’allora Congregatio pro Cultu Divino, al fine didare forma al rinnovamento voluto dal Vatica-no II. Si trattava di pubblicare i libri liturgicisecondo i criteri e le decisioni dei Padri Conci-liari, in vista di favorire, nel Popolo di Dio, lapartecipazione “attiva, consapevole e pia” aimisteri di Cristo (cfr. Cost. Sacrosanctum Con-cilium, 48). La tradizione orante della Chiesaaveva bisogno di espressioni rinnovate, senzaperdere nulla della sua millenaria ricchezza,anzi riscoprendo i tesori delle origini. Nei pri-mi mesi di quell’anno sbocciarono così le pri-

bambini, del Matrimonio e delle esequie. Era-no i primi passi di un cammino, sul quale pro-seguire con sapiente costanza.

Sappiamo che non basta cambiare i libri li-turgici per migliorare la qualità della liturgia.Fare solo questo sarebbe un inganno. Perchéla vita sia veramente una lode gradita a Dio,occorre infatti cambiare il cuore. A questa con-versione è orientata la celebrazione cristiana,che è incontro di vita col «Dio dei viventi»(Mt 22, 32). A ciò è finalizzato anche oggi ilvostro lavoro, volto ad aiutare il Papa a com-piere il suo ministero a beneficio della Chiesain preghiera sparsa su tutta la terra. Nella co-munione ecclesiale operano sia la Sede Apo-stolica che le Conferenze dei Vescovi, in spiri-to di cooperazione, dialogo, sinodalità. LaSanta Sede, infatti, non sostituisce i Vescovi,ma collabora con loro per servire, nella ric-chezza delle varie lingue e culture, la vocazio-ne orante della Chiesa nel mondo. In questa

La via maestradella vita cristiana

#francesco

Alla Congregazioneper il culto divinoe la disciplinadei sacramentiil Papa parladella liturgia

mizie della riforma compiuta dalla Sede Apo-stolica a beneficio del Popolo di Dio. Proprionella data odierna fu promulgato il Motu pro-prio Mysterii paschalis circa il Calendario roma-no e l’Anno liturgico (14 febbraio 1969); quin-di, l’importante Costituzione Apostolica Mis-sale Romanum (3 aprile 1969), con cui il SantoPapa promulgava il Messale Romano. Nellostesso anno videro poi la luce l’Ordo Missae evari altri O rd o , tra cui quelli del Battesimo dei

Qui si inserisce anche la sfida della formazio-ne, oggetto specifico della vostra riflessione.Parlando di formazione, non possiamo dimen-ticare anzitutto che la liturgia è vita che forma,non idea da apprendere. È utile in proposito ri-cordare che la realtà è più importante dell’idea(cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 231-233). Edè bene perciò, nella liturgia come in altri am-biti della vita ecclesiale, non andare a finire insterili polarizzazioni ideologiche, che nascono

linea si è posto il Motu proprio Ma -gnum principium (3 settembre 2017),col quale ho inteso favorire, tra l’a l t ro ,la necessità di «una costante collabo-razione piena di fiducia reciproca, vi-gile e creativa, tra le Conferenze Epi-scopali e il Dicastero della Sede Apo-stolica che esercita il compito di pro-muovere la sacra Liturgia». L’auspicioè di proseguire nel cammino dellamutua collaborazione, coscienti delleresponsabilità implicate dalla comu-nione ecclesiale, in cui trovano armo-nia l’unità e la varietà. È un problemadi armonia.

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spesso quando, ritenendo le proprie idee vali-de per tutti i contesti, si arriva ad assumere unatteggiamento di perenne dialettica nei con-fronti di chi non le condivide. Così, partendomagari dal desiderio di reagire ad alcune insi-curezze del contesto odierno, si rischia poi diripiegarsi in un passato che non è più o difuggire in un futuro presunto tale. Il punto dipartenza è invece riconoscere la realtà della sa-cra liturgia, tesoro vivente che non può essereridotto a gusti, ricette e correnti, ma va accoltocon docilità e promosso con amore, in quantonutrimento insostituibile per la crescita organi-ca del Popolo di Dio. La liturgia non è “il

funzione formatrice e trasformatrice, occorreche i Pastori e i laici siano introdotti a coglier-ne il significato e il linguaggio simbolico,compresi l’arte, il canto e la musica al serviziodel mistero celebrato, anche il silenzio. Lostesso Catechismo della Chiesa Cattolica adottala via mistagogica per illustrare la liturgia, va-lorizzandone le preghiere e i segni. La mista-gogia: ecco una via idonea per entrare nel mi-stero della liturgia, nell’incontro vivente colSignore crocifisso e risorto. Mistagogia signifi-ca scoprire la vita nuova che nel Popolo diDio abbiamo ricevuto mediante i Sacramenti,

campo del fai-da-te”, ma l’epifania della co-munione ecclesiale. Perciò, nelle preghiere enei gesti risuona il “noi” e non l’“io”; la comu-nità reale, non il soggetto ideale. Quando sirimpiangono nostalgicamente tendenze passateo se ne vogliono imporre di nuove, si rischiainvece di anteporre la parte al tutto, l’io al Po-polo di Dio, l’astratto al concreto, l’ideologiaalla comunione e, alla radice, il mondano allospirituale.

È prezioso, in questo senso, il titolo dellavostra Assemblea: La formazione liturgica delPopolo di Dio. Il compito che ci attende è in-fatti essenzialmente quello di diffondere nelPopolo di Dio lo splendore del mistero vivo delSignore, che si manifesta nella liturgia. Parlaredi formazione liturgica del Popolo di Dio si-gnifica anzitutto prendere coscienza del ruoloinsostituibile che la liturgia riveste nella Chie-sa e per la Chiesa. E poi aiutare concretamen-te il Popolo di Dio a interiorizzare meglio lapreghiera della Chiesa, ad amarla come espe-rienza di incontro col Signore e con i fratelli e,alla luce di ciò, riscoprirne i contenuti e osser-varne i riti.

Essendo infatti la liturgia un’esperienza pro-tesa alla conversione della vita tramite l’assimi-lazione del modo di pensare e di comportarsidel Signore, la formazione liturgica non puòlimitarsi a offrire semplicemente delle cono-scenze — questo è sbagliato —, pur necessarie,circa i libri liturgici, e nemmeno a tutelare ildoveroso adempimento delle discipline rituali.Affinché la liturgia possa adempiere la sua

e riscoprire continuamente la bellezza di rin-novarla.

Circa le tappe della formazione, sappiamoper esperienza che, oltre a quella iniziale, oc-corre coltivare la formazione permanente delclero e dei laici, specie di quanti sono impe-gnati nei ministeri al servizio della liturgia. Laformazione non una volta, ma permanente.Quanto ai ministri ordinati, anche in vista diuna sana ars celebrandi, vale il richiamo delConcilio: «È assolutamente necessario dare ilprimo posto alla formazione liturgica del cle-ro» (Cost. Sacrosanctum Concilium, 14). Il pri-mo posto. Le responsabilità educative sonocondivise, pur interpellando maggiormente lesingole diocesi per la fase operativa. La vostrariflessione aiuterà il Dicastero a maturare lineee orientamenti da offrire, in spirito di servizio,a chi — Conferenze Episcopali, Diocesi, istitutidi formazione, riviste — ha la responsabilità dicurare e accompagnare la formazione liturgicadel Popolo di Dio.

Cari fratelli e sorelle, tutti siamo chiamatiad approfondire e ravvivare la nostra forma-zione liturgica. La liturgia è infatti la via mae-stra attraverso cui passa la vita cristiana inogni fase della sua crescita. Avete perciò da-vanti un compito grande e bello: lavorare per-ché il Popolo di Dio riscopra la bellezza diincontrare il Signore nella celebrazione deisuoi misteri e, incontrandolo, abbia vita nelsuo nome. Vi ringrazio per il vostro impegno evi benedico, chiedendovi di riservarmi sempreun posto — largo! — nella vostra preghiera.

#francesco

Non è il campodel fai-da-tema l’epifaniadella comunioneecclesiale

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HDue ore

Arrivato dieci minuti primadelle 9 a bordo diun’utilitaria blu, il Papa èstato accolto dai presidentidell’Ifad, Houngbo, e delConsiglio dei governatori,Hoogeveen, ambasciatoredei Paesi Bassi presso laFao. In una saletta ilPontefice ha avuto un breveincontro privato con ildirettivo dell’Ifad, lasciandoin dono la scultura “EcceHomo”. Opera del 2013dell’artista argentina Normad’Ippolito, rappresenta lemani di un uomo legate dauna corda, realizzate inmetallo scuro, chefuoriescono da un blocco dipietra chiara.Successivamente Francescoè salito al terzo piano persalutare i capi di Stato e diGoverno e le altrepersonalità presenti. Traloro, il presidente dellaRepubblica Dominicana,Medina Sánchez; ilpresidente del Consiglio deiministri italiano Conte, conil ministro dell’Economia edelle finanze, Tria; ilministro dell’Agricolturarwandese, Mukeshimana; ivicepresidenti del Consigliodei governatori dell’Ifad,l’argentina Boldorini el’indonesiano Hadiyanto; ildirettore generale della Fao,da Silva; il direttoreesecutivo del Pam, Beasley;la violinista Midori Goto,ambasciatrice di pace delleNazioni Unite,successivamente esibitasi inun breve interludiomusicale; la ballerina, attricee coreografa rwandeseSherrie Silver, “d i f e n s o re ”dei giovani nelle aree rurali(il cui ruolo è promuovereopportunità lavorative per igiovani al fine di ridurre lamigrazione forzatadall’Africa); la presidentedella fondazione Eat,Gunhild Stordalen, medicoe avvocato ambientalistanorvegese; e i quattrovicepresidenti aggiuntidell’Ifad. Quindi nella salaplenaria il Papa hapronunciato il primodiscorso della mattinata, alungo applauditodall’assemblea.Particolarmente toccante èstato l’incontro in unasaletta con una quarantinadi partecipanti al quartoForum mondiale dei popoliindigeni svoltosi dal 12 al 13febbraio. Rappresentavanoben 31 popolazionioriginarie provenienti daAmerica, Africa, Asia ePacifico. L’attivistanicaraguense dei miskitu,Myrna Cunningham, harivolto a nome di tutti ipresenti un saluto alPontefice. Il quale harisposto arricchendo il testopreparato con significativeaggiunte personali. InfineFrancesco è ridisceso al pianterreno per incontrare ilpersonale dell’Ifad nellagrande sala Verdetappezzata con le bandieredi tutti gli stati del mondo.(gianluca biccini)

La lotta alla fame non può esseresolo uno slogan

Il discorsodel Ponteficeal Consiglio

dei governatoridel Fondo

internazionaleper lo sviluppo

agricolo

«Con i miei migliori auguri e la mia preghieraperché continuiate, con il coraggio che vicaratterizza, nel vostro lavoro a favore delle zonerurali. E la mia gratitudine per il vostrocoraggio e i vostri sforzi. Che Dio vi benedica».Papa Francesco ha scritto in spagnolo,la sua lingua madre, sul libro degli ospiti ilmotivo della partecipazione, giovedì mattina,14 febbraio, alla cerimonia inauguraledella 42a sessione del Consiglio dei governatoridel Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo(Ifad), che si è svolta a Roma nella sededell’Organizzazione delle Nazioni Uniteper l’alimentazione e l’agricoltura (Fao).Per questo il Pontefice ha voluto recarsinel moderno complesso che sorge a Caracalla,dove si è trattenuto per circa due orepronunciando ben tre discorsi incentratisull’importanza dello sviluppo dei popolipiù bisognosi, della lotta alla famee alla malnutrizione e della salvaguardiadel creato.

#copertina

o accettato con piacere l’invito che lei,signor Presidente, mi ha rivolto a nomedel Fondo Internazionale per lo SviluppoAg r i c o l o (Ifad), per la cerimonia di aper-tura della quarantaduesima sessione delConsiglio dei Governatori di questa Or-ganizzazione i n t e rg o v e r n a t i v a .

La mia presenza desidera portare inquesta Sede gli aneliti e i bisogni dellamoltitudine di nostri fratelli che soffro-no nel mondo. Vorrei che potessimoguardare i loro volti senza arrossire, per-ché finalmente il loro grido è statoascoltato e le loro preoccupazioni consi-derate. Essi vivono situazioni precarie:l’aria è viziata, le risorse naturali pro-sciugate, i fiumi inquinati, i suoli acidifi-cati, non hanno acqua sufficiente né perloro né per le loro coltivazioni; le loroinfrastrutture sanitarie sono molto caren-ti, le loro abitazioni misere e scadenti.

E queste realtà si protraggono neltempo mentre, dall’altra parte, la nostrasocietà ha ottenuto grandi risultati in al-tri ambiti del sapere. Ciò vuol dire chestiamo dinanzi a una società che è capa-ce di progredire nei suoi propositi di be-ne; e vincerà anche la battaglia contro lafame e la miseria, se se lo prospetteràcon serietà. Essere decisi in questa lottaè fondamentale affinché possiamo ascol-tare — non come uno slogan ma vera-mente — «La fame non ha presente néfuturo. Solo passato». A tal fine, è ne-cessario l’aiuto della comunità interna-zionale, della società civile e di quantipossiedono risorse. Le responsabilitànon si evadono, passandosele l’uno l’al-tro, ma vanno assunte per offrire solu-zioni concrete e reali. Sono queste le so-luzioni concrete e reali che dobbiamopassarci l’uno l’a l t ro .

La Santa Sede ha sempre incoraggiatogli sforzi compiuti dalle agenzie interna-zionali per affrontare la povertà. Già neldicembre del 1964 san Paolo VI chiese aBombay (India) e poi ripropose in altrecircostanze, la creazione di un Fondomondiale per combattere la miseria edare un impulso decisivo alla promozio-ne integrale delle zone più impoveritedell’umanità (cfr. Discorso ai partecipantialla Conferenza Mondiale sull’Al i m e n t a z i o -ne, 9 novembre 1974). E da allora, noi,suoi successori, non abbiamo smesso dianimare e di promuovere iniziative ana-loghe, e uno degli esempi più evidentidi ciò è proprio l’Ifad.

La 42a sessione del Consiglio dei Go-vernatori dell’Ifad continua in questa lo-gica e ha dinanzi a sé un lavoro affasci-nante e cruciale: creare possibilità inedi-te, fugare ogni titubanza e mettere cia-scun popolo in condizione di affrontarei bisogni che lo affliggono. La comunitàinternazionale, che ha elaborato l’Ag e n d a2030 per lo Sviluppo Sostenibile, devecompiere ulteriori passi per il consegui-mento reale dei 17 obiettivi che la com-pongono. A tale proposito, l’app ortodell’Ifad risulta imprescindibile per po-

ter conseguire i primi due obiettividell’agenda, quelli riferiti allo sradica-mento della povertà, alla lotta contro lafame e alla promozione della sovranitàalimentare. E nulla di tutto ciò sarà pos-sibile se non si otterrà lo sviluppo rura-le, uno sviluppo di cui si sta parlandoda tempo ma che non si è ancora con-cretizzato. E risulta paradossale chebuona parte degli oltre 820 milioni dipersone che soffrono la fame e la mal-nutrizione nel mondo viva in zone rura-

li, e questo è paradossale, e si dedichialla produzione di alimenti e sia compo-sta da contadini. Inoltre, l’esodo dallacampagna alla città è una tendenza glo-bale che non possiamo ignorare nellenostre considerazioni.

Lo sviluppo locale ha pertanto valoredi per sé e non in funzione di altriobiettivi. Si tratta di far sì che ogni per-sona e ogni comunità possa dispiegarele proprie capacità in modo pieno, vi-

vendo così una vita umana degna di talenome. Aiutare a dispiegare tutto ciò, manon dall’alto in basso, ma con loro e perloro, “pour et avec”, ha detto il SignorP re s i d e n t e .

Esorto quanti hanno responsabilitànelle nazioni e negli organismi intergo-vernativi, come pure quanti possonocontribuire dal settore pubblico e priva-to, a sviluppare i canali necessari affin-ché si possano mettere in atto le misure

adeguate nelle regioni rurali della terra,perché possano essere artefici responsa-bili della loro produzione e del loro pro-g re s s o .

I problemi che al momento presentesegnano negativamente il destino dimolti nostri fratelli non si potranno ri-solvere in modo isolato, occasionale oeffimero. Oggi più che mai dobbiamounire gli sforzi, ottenere consensi, strin-gere legami. Le sfide attuali sono tantointricate e complesse che non possiamocontinuare ad affrontarle in modo occa-sionale, con risoluzioni di emergenza.Occorrerebbe dare protagonismo direttoa quanti sono colpiti dall’indigenza, sen-za considerarli meri recettori di un aiutoche può finire col generare dipendenze.E quando un popolo si abitua a dipen-dere, non si sviluppa. Si tratta di affer-mare sempre la centralità della personaumana, ricordando che «i nuovi processiin gestazione non possono sempre essereintegrati entro modelli stabiliti dall’ester-no ma provenienti dalla stessa culturalocale» (Lettera enciclica Laudato si’, n.144), che è sempre originale. E in talsenso, e come sta accadendo negli ultimianni, l’Ifad ha ottenuto risultati miglioriattraverso una maggiore decentralizza-zione, promuovendo la cooperazionesud-sud, diversificando le fonti di finan-ziamento e le modalità di azione, pro-muovendo un’azione basata sulle evi-denze e che, al tempo stesso, genera co-noscenza. Vi incoraggio fraternamente a

continuare lungo questo cammino, che èumile, ma è quello giusto. Un camminoche deve tradursi sempre nel migliora-mento delle condizioni di vita delle per-sone più bisognose.

Infine, condivido con voi alcune ri-flessioni più specifiche riguardo alla te-matica «Innovazioni e iniziative impren-ditoriali nel mondo rurale», che guidaquesta sessione del Consiglio dei Gover-natori dell’Ifad. Bisogna puntare sull’in-novazione, sulla capacità imprenditoria-le, sul protagonismo degli attori locali esull’efficienza dei processi produttivi,per ottenere la trasformazione rurale, alfine di sradicare la denutrizione e svi-luppare in modo sostenibile l’ambitoagricolo. E in questo contesto è necessa-rio promuovere una “scienza con co-scienza” e mettere la tecnologia realmen-te al servizio dei poveri. Del resto, lenuove tecnologie non devono contrap-porsi alle culture locali e alle conoscenzetradizionali, ma integrarle e agire in si-nergia con esse.

Incoraggio tutti voi, qui presenti, equanti lavorano abitualmente nel Fo n d oInternazionale per lo Sviluppo Agricolo, af-finché i vostri lavori, preoccupazioni edeliberazioni vadano a beneficio diquanti sono scartati — in questa culturadello scarto — e a beneficio delle vittimedell’indifferenza e dell’egoismo; e checosì possiamo vedere la sconfitta totaledella fame e un copioso raccolto di giu-stizia e di prosperità.

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L’Osservatore Romanogiovedì 21 febbraio 2019il Settimanale

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Ringrazio la signora Myrna Cunningham per lesue gentili parole e sono lieto di salutare quan-ti, in coincidenza con le sessioni del Consigliodei Governatori, hanno celebrato la quarta riu-nione mondiale del Forum dei Popoli Indigeni,convocata dal Fondo Internazionale per loSviluppo Agricolo (Ifad). Il tema dei vostri la-vori è stato: «promuovere le conoscenze e leinnovazioni dei popoli originari per creare re-silienza al cambiamento climatico e svilupposostenibile».

La presenza di tutti voi qui dimostra che lequestioni ambientali sono di estrema impor-tanza e ci invita a volgere nuovamente losguardo al nostro pianeta, ferito in molte re-gioni dall’avidità umana, da conflitti belliciche generano una marea di mali e di disgrazie,come pure dalle catastrofi naturali che lascianoal loro passaggio penuria e devastazione. Nonpossiamo continuare a ignorare questi flagelli,rispondendo ad essi con indifferenza e man-canza di solidarietà, o posponendo le misureche li devono affrontare in modo efficace. Alcontrario, solo un vigoroso senso di fraternitàrafforzerà le nostre mani per soccorrere oggiquanti ne hanno bisogno e aprire la porta deldomani alle generazioni che vengono dietro dinoi.

Dio ha creato la terra a beneficio di tutti,affinché fosse uno spazio accogliente in cuinessuno si sentisse escluso e tutti noi potessi-mo trovare una casa. Il nostro pianeta è riccodi risorse naturali. E i popoli originari, con laloro copiosa varietà di lingue, culture, tradizio-ni, conoscenze e metodi ancestrali, diventanoper tutti un campanello d’allarme, che mettein evidenza il fatto che l’uomo non è il pro-prietario della natura, ma solo colui che la ge-stisce, colui che ha come vocazione vegliare sudi essa con cura, affinché non si perda la suabiodiversità e l’acqua possa continuare a esseresana e cristallina, l’aria pura, i boschi frondosie il suolo fertile.

I popoli indigeni sono un grido vivente afavore della speranza. Ci ricordano che noi es-seri umani abbiamo una responsabilità condi-

che cos’è ascoltare la terra, vedere la terra, toc-care la terra. Conoscono l’arte del vivere benein armonia con la terra. E questo dobbiamoimpararlo noi che forse siamo tentati in unasorta di illusione progressista a spese della ter-ra. Non dimentichiamo mai il detto dei nostrinonni: “Dio perdona sempre, noi uomini per-doniamo a volte, la natura non perdona mai”.E lo stiamo vedendo, con il maltrattamento elo sfruttamento. A voi, che sapete dialogarecon la terra, è affidato il compito ditrasmetterci questa saggezza ancestrale.

Se uniremo le forze e, con spirito costrutti-vo, intavoleremo un dialogo paziente e gene-roso, finiremo col prendere maggiore coscienzadel fatto che abbiamo bisogno gli uni degli al-tri; che un comportamento dannoso per l’am-biente che ci circonda si ripercuote negativa-mente anche sulla serenità e sulla fluidità dellaconvivenza, che a volte non è stata convivenzabensì distruzione; che gli indigeni non posso-no continuare a subire ingiustizie e i giovanihanno diritto a un mondo migliore del nostroe si aspettano da noi risposte convincenti.

Grazie a tutti voi per la tenacia con cui af-fermate che la terra non esiste solo per esseresfruttata senza alcun riguardo, anche per can-tarla, custodirla, accarezzarla. Grazie perchéalzate la vostra voce per asserire che il rispettodovuto all’ambiente deve essere sempre salva-guardato al di sopra degli interessi esclusiva-mente economici e finanziari. L’esperienza del-ll’Ifad, la sua competenza tecnica, come pure imezzi di cui dispone, prestano un preziososervizio per spianare cammini che riconoscanoche “uno sviluppo tecnologico ed economicoche non lascia un mondo migliore e una quali-tà di vita integralmente superiore, non puòconsiderarsi progresso” (Lettera Enciclica Lau-dato si’, n. 194).

E, nel nostro immaginario collettivo, c’è an-che un pericolo: noi popoli cosiddetti civiliz-zati “siamo di prima classe” e i popoli cosid-detti originari o indigeni “sono di secondaclasse”. No. È il grande errore di un progressosradicato, svincolato dalla terra. È necessarioche i due popoli dialoghino. Oggi urge un“meticciato culturale” dove la saggezza dei po-poli originari possa dialogare sullo stesso livel-lo con la saggezza dei popoli più sviluppati,senza annullarsi. Il “meticciato culturale” sa-rebbe la meta verso la quale dovremmo tende-re con la stessa dignità.

Mentre vi incoraggio ad andare avanti, sup-plico Dio di non smettere di accompagnarecon le sue benedizioni le vostre comunità equelli che nell’Ifad lavorano per tutelare quan-ti vivono nelle zone rurali e più povere delpianeta, ma più ricche nella saggezza di convi-vere con la natura.

Meticciatoculturale

Al Forumdei popoli indigeni

#copertina

Pubblichiamo una traduzionedallo spagnolo del discorsodel Papa ai partecipanti allaIV riunione mondiale delForum dei popoli indigeniconvocata dal Fondointernazionale per loSviluppo agricolo, svoltasidal 12 al 13 febbraio. IlPontefice li ha incontrati inuna saletta della sede dellaFao dopo la cerimoniainaugurale della sessione delConsiglio dei governatoridell’Ifad.

visa nella cura della “casa comune”. E se de-terminate decisioni prese finora l’hanno rovi-nata, non è mai troppo tardi per imparare lalezione e acquisire un nuovo stile di vita. Sitratta di adottare un modo di procedere che,abbandonando approcci superficiali e abitudi-ni nocive o di sfruttamento, superi l’individua-lismo atroce, il consumismo convulsivo e ilfreddo egoismo. La terra soffre e i popoli ori-ginari sanno del dialogo con la terra, sanno

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L’Osservatore Romanogiovedì 21 febbraio 2019il Settimanale

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Ringrazio il Signor Presidente dell’Ifad per lasua attenzione, per la sua cortesia, e sono con-tento di potermi incontrare con voi, che lavo-rate ogni giorno per questa importante istitu-zione delle Nazioni Unite. Voi siete al serviziodei più poveri della terra: persone che, inmaggioranza, vivono in zone rurali, in regionilontane dalle grandi città, spesso in condizionidifficili e penose. A tutti voi qui presenti, co-me pure ai vostri colleghi ai quali non è statopossibile essere tra noi — siete tanti che lavora-te qui! —, rivolgo un saluto cordiale.

Pensando a voi, mi vengono in mente duesemplici parole. La prima, che scaturisce dalcuore, è “g ra z i e ”. Ringrazio Dio per il vostrolavoro al servizio di una causa tanto nobilequale la lotta contro la fame e la miseria nelmondo. Grazie perché andate controcorrente:la tendenza di oggi vede il rallentamento dellariduzione della povertà estrema e l’aumentodella concentrazione della ricchezza nelle manidi pochi. Pochi hanno troppo e troppi hannopoco. Pochi hanno troppo e troppi hanno po-co, questa è la logica di oggi. Molti non han-no cibo e vanno alla deriva, mentre pochi an-negano nel superfluo. Questa perversa corren-te di disuguaglianza è disastrosa per il futurodell’umanità. Grazie quindi perché voi pensatee agite controcorrente. E grazie anche per ilvostro lavoro silenzioso, spesso nascosto — di-rei anche alcune volte noioso —: nascosto co-me le radici di un albero, non si vedono, mada lì proviene la linfa che nutre tutta la pianta.Forse non ricevete molti riconoscimenti néonorificenze, ma Dio vede tutto, conosce l’ab-negazione e la professionalità — sottolineo laparola professionalità —, apprezza le ore chetrascorrete sollecitamente in ufficio e i sacrificiche ciò comporta. Dio, non scorda mai il benee sa ricompensare chi è buono e generoso.

Dal vostro lavoro traggono beneficio moltepersone bisognose e svantaggiate, che soprav-vivono con tante sofferenze nelle periferie delmondo. Per svolgere bene questo tipo di servi-zio, bisogna unire alla competenza una parti-colare sensibilità umana. Perciò vorrei consi-gliarvi di coltivare sempre la vita interiore e isentimenti che dilatano il cuore e nobilitano lepersone e i popoli. Sono tesori che valgonopiù di ogni bene materiale. Allargare il cuore.Grazie anche al vostro apporto si possono rea-lizzare progetti che aiutano bambini disagiati— sono tanti nel mondo, tanti! — donne, fami-glie intere. Molte belle iniziative si portanoavanti con il vostro sostegno. Vi ringraziodunque per questo lavoro, e lo faccio anche anome di tanti poveri che servite.

La seconda parola che vorrei dirvi, dopo il“g ra z i e ”, è “avanti!”. Significa proseguire conrinnovato impegno questa vostra opera, senzastancarvi, senza perdere la speranza, senza ce-dere alla rassegnazione pensando che sia solouna goccia nel mare. Madre Teresa diceva:«Sì, è una goccia nel mare, ma con quella

goccia il mare è diverso». Il segreto consistenel custodire e alimentare motivazioni alte. Inquesto modo, si vincono i pericoli del pessimi-smo, della mediocrità e dell’abitudinarietà, e siriesce a mettere entusiasmo in quello che si fagiorno per giorno, anche nelle cose piccole, lecose che io non vedo come finiranno. La paro-la “entusiasmo” è molto bella: possiamo inten-derla anche come “mettere Dio in quello chesi fa” — viene da lì: en-theos, entusiasmo, met-tere Dio in quello che si fa. Perché Dio non sistanca mai di fare il bene, non si stanca mai diricominciare. Ognuno di noi ne ha esperienza:quante volte abbiamo ricominciato nella nostravita! E questo è bello. Non si stanca mai didare una speranza. Egli è la chiave per nonstancarsi. E pregare — per chi può pregare —aiuta a ricaricare le batterie con energia pulita.Ci fa bene chiedere al Signore che lavori alnostro fianco. E la persona che non può pre-gare perché non è credente deve allargare ilcuore e desiderare il bene. Come dicono gliadolescenti: «mandare buone onde», desidera-re il bene degli altri. È un modo di pregareper coloro che non hanno la fede e non sonocredenti ma possono fare così.

Inoltre, in ogni documento che trattate, viconsiglio di cercare un volto. Questo è impor-tante: dietro ognuna delle carte c’è un volto,dieci volti, tanti volti... Cercate un volto: i vol-ti delle persone che stanno dietro quelle carte.Mettersi nei loro panni per capire meglio laloro situazione... È importante non rimanerein superficie, ma cercare di entrare nella realtàper intravedervi i volti e raggiungere il cuoredelle persone. Sono lontanissime ma sono“trascritte” qui. Allora il lavoro diventa unprendersi a cuore gli altri, le vicende, le storiedi tutti.

E un’ultima cosa: ricordiamo quanto dicevaSan Giovanni della Croce: «L’anima che cam-mina nell’amore non annoia gli altri, né stancasé stessa» (Parole di amore e di luce, 96). Perandare avanti c’è bisogno di a m a re . La doman-da da porsi non è «quanto mi pesano questecose che dovrò fare?», ma «quanto amoremetto in queste cose che ora faccio»? Chi amaha la fantasia per scoprire soluzioni dove altrivedono solo problemi. Chi ama aiuta l’a l t rosecondo le sue necessità e con creatività, nonsecondo idee prestabilite o luoghi comuni. Èun creatore: l’amore ti porta a creare, è sempreavanti.

Entusiasmo, cercare i volti, amare: così sipuò andare avanti, e così incoraggio anche voiad andare avanti, giorno per giorno.

Dio benedica voi, i vostri cari e il lavoro chesvolgete nell’Ifad a beneficio di molti, persconfiggere la gravissima piaga che è la famenel mondo. E anch’io chiedo qualcosa: vi chie-do per favore di non dimenticarvi di pregareper me, o almeno di mandarmi dei buoni pen-sieri.

Pochi hanno troppoe troppi hanno poco

La denunciadel Papa

nel discorsoal personale

dell’Ifad

#copertina

«Pochi hanno troppo etroppi hanno poco, questa èla logica di oggi». È quantoha denunciato il Papa neldiscorso rivolto in italianoal personale dell’Ifad,incontrato nella Sala Verdedella Fao, al terminedella visita di giovedìmattina, 14 febbraio.

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L’Osservatore Romanogiovedì 21 febbraio 2019il Settimanale

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LUNEDÌ 18Risposte di compromesso

a domande scomodeBasta con le nostre risposte di compromessealle domande scomode di Dio, il quale ci chie-de dov’è il nostro fratello che ha fame — nonbasta dargli un «buono mensa» della Caritas— o che è malato da solo in ospedale, o è incarcere, o non può andare a scuola, o è tossi-codipendente. Non si deve scappare dalla«domanda scomoda di Dio» scaricandoci lacoscienza e trovando mille scuse generiche, haaffermato Papa Francesco nella messa del mat-tino. Oltretutto, ha puntualizzato, l’imp egnoin prima linea della Chiesa nel sociale è volutodal Signore e non è certo l’attività di «un par-tito comunista».

«Il brano del libro della Genesi che abbia-mo ascoltato nella prima lettura — ha fatto su-bito notare Francesco riferendosi al passo li-turgico dell’Antico testamento (4, 1-15.25) — faparte di quel genere letterario che si ripetetante volte nella Bibbia: possiamo chiamarlo“domande scomode e risposte di compromes-so”». In effetti, ha affermato il Pontefice, «èproprio una domanda imbarazzante, quella ri-volta da Dio a Caino: “D ov’è tuo fratello?”».E «la risposta è una risposta, in questo casoun po’ di compromesso, ma anche una rispo-sta per difendersi: ma cosa c’entro io, nella vi-ta di mio fratello? Forse sono io il suo custo-de? Io me ne lavo le mani. Così Caino cercadi fuggire lo sguardo di Dio».

Il Papa ha ricordato che «Gesù ha fatto tan-te volte queste domande scomode a Pietro, peresempio: “Mi ami?”, tre volte. Alla fine Pietronon sapeva cosa più rispondere». Oppure «aidiscepoli: “La gente cosa dice di me?”. E lorodicono “che sei un profeta, il Battista” — “Mavoi, cosa dite?”». Sicuramente è «una doman-da imbarazzante». Ecco, dunque, che «Dio aCaino» fa questa domanda: «Dov’è tuo fratel-lo?». E «davvero — ha affermato Francesco —questa è una domanda scomoda: meglio nonfarla». Del resto, «noi conosciamo tante rispo-ste: è la sua vita, io la rispetto, me ne lavo lemani, io non mi immischio nella vita altrui,ognuno è libero di scegliere la propria strada».E «così — ha fatto presente il Pontefice — nel-la vita di tutti i giorni a queste domande sco-mode del Signore rispondiamo un po’ conprincipi generici che non dicono niente ma di-cono tutto, tutto quello che c’è nel cuore».

«Vorrei prendere adesso questa domandaapplicandola a noi» ha rilanciato il Papa. «IlSignore — ha detto — oggi a ognuno di noi faquesta domanda: “Dove è tuo fratello?”». E«forse qualcuno che è un po’ distratto può di-re: “È a casa, con sua moglie!”. No, no, “dov’ètuo fratello?”». In lui, ha insistito Francesco,si identifica «l’affamato, l’ammalato, il carcera-to, il perseguitato per la giustizia: “D ov’è tuofratello?” — “Non lo so” — “Ma tuo fratello èaffamato!” — “Sì, sì, sicuramente è a pranzonella Caritas della parrocchia, sì, sicuramentegli daranno da mangiare”». Così «con questarisposta di compromesso — ha commentato —salvo la pelle». E ancora: «dov’è l’altro tuofratello, l’ammalato” — “Sicuro che è in ospe-

dale!” — “Ma non c’è posto in ospedale! E hale medicine?” — “Ma è una cosa sua, io nonposso immischiarmi nella vita altrui, avrà deiparenti che gli danno le medicine”. E me nelavo le mani». Di più: «Dov’è tuo fratello, ilc a rc e r a t o ? ” — “Ah, sta pagando quello che simerita. L’ha fatta grossa, che la paghi. Noisiamo stanchi di tanti delinquenti per strada:paghi”».

«Magari, mai tu senti questa risposta dettaa te dalla bocca del Signore» ha affermato ilPontefice, che ha insistito: «Dov’è tuo fratel-lo? Dov’è tuo fratello sfruttato, quello che la-vora in nero, nove mesi l’anno per riprendere,dopo tre mesi, un altro anno? E così non c’èsicurezza, non c’è vacanze” — “Eh, oggi nonc’è lavoro e uno prende quello che può”», Maquesta è «un’altra risposta di compromesso».

«Vorrei anche che adesso — ha suggeritoFrancesco — ognuno di noi prendesse questaparola del Signore come se fosse rivolta aognuno di noi personalmente — il Signore ame domanda: “dov’è tuo fratello?” — e metterepoi il nome dei fratelli che il Signore nominanel capitolo 25 di Matteo: l’ammalato, l’affa-mato, l’assetato, quello che non ha vestiti, quelfratellino piccolino che non può andare ascuola, il drogato, il carcerato». Dov’è ciascu-no di loro, ciascuno di questi fratelli? Il Papaha proposto anche domande essenziali e diret-te, nello stile dell’esame di coscienza: «Dov’ètuo fratello nel tuo cuore? C’è posto per que-ste persone nel nostro cuore? O noi parliamo,sì, della gente, scarichiamo un po’ la coscienzadando un’elemosina, ma che non disturbinotroppo, per favore, perché con queste cose so-ciali dalla Chiesa finisce che sembri un partitocomunista e questo ci fa male. Va bene, ma ilSignore lo ha detto: dov’è tuo fratello? Non èil partito, è il Signore».

«Siamo abituati — ha riconosciuto il Ponte-fice — a dare delle risposte di compromesso,risposte per scappare dal problema, per nonvedere il problema, per non toccare il proble-ma». Per questo, ha aggiunto, «oggi ci faràbene ripetere: dov’è mio fratello? Fare la listadi tutti questi che il Signore nomina in Matteo25. Al contrario, da noi incomincia a farsi unavita oscura: il peccato è accovacciato alla tuaporta, dice il Signore a Caino, e quando por-tiamo questa vita oscura senza prendere in ma-no quello che il Signore Gesù ci ha insegnato,alla porta c’è il peccato, accovacciato, aspet-tando per entrare. E distruggerci». Ecco laforza della domanda: «dov’è tuo fratello?».Ma «c’è un’altra domanda del libro della Ge-nesi dopo il peccato di Adamo» ha fatto pre-sente il Papa. Il Signore chiede: «“Adamo, do-ve sei?”. E Adamo si nascose di vergogna, dipaura. Magari noi sentissimo questa vergo-gna» ha detto Francesco, suggerendo nuovedomande per l’esame di coscienza personale:«D ov’è tuo fratello? Dove sei? In quale mon-do vivi che non te ne accorgi di queste cose,di queste sofferenze, di questi dolori? Dov’ètuo fratello? Prendilo per mano. Dove sei?Non nasconderti dalla realtà». In conclusione,il Pontefice ha chiesto di «rispondere aperta-mente, con lealtà, con gioia anzi, a queste duedomande del Signore: «Dov’è tuo fratello?Dove sei?».

Le omeliedel Pontefice

#santamarta

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MARTEDÌ 19I sentimenti di Dio

«I nostri tempi non sono migliori di quelli deldiluvio universale» e le prime vittime sono ibambini, tra guerre e ingiustizie, e «i poveriche pagano il conto salato della festa». Perquesto gli uomini e le donne oggi dovrebberoavere gli stessi sentimenti di Dio pentendosi eaddolorandosi: è il suggerimento pastoralemolto intenso proposto dal Papa nella messamattutina. Con l’invito a mettere da parte«sentimentalismo» o «idee astratte» ed entrare«nel mistero del cuore di Dio».

«Nella prima lettura — ha subito fatto nota-re il Pontefice riferendosi al passo del librodella Genesi (6, 5-8; 7, 1-5.10) — si parla del di-luvio, ma vorrei soffermarmi su due verbi: diceche il Signore vide la malvagità degli uomini,che era tanto grande e si pentì di aver fatto

l’uomo sulla terra, se ne addolorò». E così, haaffermato il Papa, «il Dio onnipotente chepuò fare tutto ha dei sentimenti, è capace dipentirsi, di addolorarsi e prende una decisio-ne: “Cancellerò dalla faccia della terra l’uo-mo”: si è arrabbiato». Dio, ha proseguitoFrancesco, «si è adirato davanti a questo».

«Il nostro Dio — ha spiegato — si fa vederedall’inizio come padre, e dai profeti si presentasempre come un padre che ci prende nellebraccia, come dei bambini, ci carezza, ci custo-disce, ci fa crescere: un Dio con cuore, consentimenti. Non è un Dio astratto, pure idee.Come mai? Ce lo spiegano i teologi, ma lui sipresenta così: padre».

«I sentimenti di Dio», dunque. E «la do-manda può essere questa: ma Dio soffre? Equesto è il mistero del Signore. Paolo ammo-nisce i cristiani: “Non rattristate lo SpiritoSanto”. Si rattrista, è un mistero». «Ma siamosicuri — ha affermato il Pontefice — che, fattocarne, aveva la capacità di sentire come noi,col corpo e l’anima, il cuore di Dio fatto car-ne, il cuore di Gesù: è il cuore del Padre, ilcuore dello Spirito, è lì e ci accompagna con

dei sentimenti e soffre». Del resto, ha ricorda-to il Papa, «ci fu tanta sofferenza nel cuore diGesù». Ecco, allora, «i sentimenti di Dio: Diopadre che ci ama — e l’amore è un rapporto —ma è capace di arrabbiarsi, di adirarsi. È Gesùche viene e dà la vita per noi, con la sofferen-za del cuore». Ma, ha insistito Francesco, «ilnostro Dio ha dei sentimenti. Il nostro Dio ciama col cuore, non con le idee». E «quando cicarezza, ci carezza col cuore, e quando ci ba-stona, come un buon padre, ci bastona colcuore, soffre più lui di noi».

«Il diluvio— ha proseguito il Pontefice —non è un decreto freddo di un dio pagano,quello della mitologia: “Ma faccio questo, fac-cio quell’altro e così finisco, faccio la pulizia”.No. Se ne addolorò in cuor suo. Entrò in pas-sione». E «questo è il nostro padre, questo è ilnostro fratello Gesù. Questo è lo spirito chenoi non dobbiamo rattristare». Il Pontefice hafatto presente anche che «la nostra preghiera,il nostro rapporto con Dio non è un rapportodelle idee, ma un rapporto di cuore a cuore, difiglio a padre, che si apre, e se Lui è capace diaddolorarsi, anche noi saremo capaci di addo-lorarci davanti a Lui. E questo non è senti-mentalismo, è la verità». Francesco ha rilancia-to l’immagine di «questo padre che poi si pen-tì: prima si pentì di aver creato l’uomo, poi sipentì di aver fatto il diluvio e ha giurato dinon farlo più, di non distruggere, ma tolleraretante cose». E ha confidato: «Io non credoche i nostri tempi siano migliori dei tempi deldiluvio: le calamità sono più o meno le stesse,le vittime sono più o meno le stesse». In pro-posito il Papa ha invitato a pensare «peresempio ai più deboli, i bambini. La quantitàdi bambini affamati, senza educazione: nonpossono crescere in pace. Senza genitori per-ché sono stati massacrati dalle guerre. Bambinisoldato. Non credo che il tempo del diluvioera migliore di questo e il Signore soffre e ciaccompagna dalla croce, ci accompagna dalcuore, ci accompagna per non lasciarci cadere.E questo è amore».

Anche l’umanità di oggi deve piangere, co-me Gesù, «davanti ai problemi che abbiamo —ognuno di noi ne ha tanti — davanti alle cala-mità, ai poveri, ai bambini, agli affamati, aiperseguitati, ai torturati». E, ancora, c’è «lagente che muore della guerra perché buttanole bombe come se fossero caramelle — “Ah sì,sono morti tremila”». Dunque, ha ripetuto ilPapa, «anche noi dobbiamo piangere, comepianse Gesù guardando Gerusalemme». E«chiedere la grazia di avere un cuore che asso-migli al cuore di Dio; un cuore di fratello coni fratelli, del padre con i figli, di figlio con ipadri. Un cuore umano, come quello di Gesù,è un cuore divino».

«C’è — ha rilanciato il Pontefice — la grandecalamità del diluvio, c’è la grande calamitàdelle guerre di oggi dove il conto della festa lopagano i deboli, i poveri, i bambini, coloroche non hanno risorse». Per questo, ha con-cluso, «pensiamo che il Signore è addoloratoin cuor suo e avviciniamoci al Signore e par-liamogli: “Signore, guarda queste cose, io ticapisco”. Consoliamo il Signore: “ti capisco eti accompagno”».

Vassily Kandinsky«Composizione VI» (Diluvio

universale), 1913

#santamarta

Entriamo nel mistero del cuoreaddolorato di Dio che è Padree parliamo con Lui guardando

le tante calamità del nostro tempo

(@Pontifex_it)

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L’Osservatore Romanogiovedì 21 febbraio 2019il Settimanale

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VENERDÌ 15Il Santo Padre ha riconosciuto la natura defi-nitiva, a norma di legge, della decisione dellaCongregazione per la Dottrina della fede, cheha imposto la pena della dimissione dallo sta-to clericale a Theodore McCarrick, la qualerende il caso res iudicata, cioè non soggetta adulteriore ricorso. L’11 gennaio il Congressodella Congregazione aveva emanato il decretoconclusivo del processo penale a carico dell’ar-civescovo emerito di Washington, con il qualel’accusato era stato dichiarato colpevole dei se-guenti delitti perpetrati da chierico: sollecita-zione in confessione e violazioni del sesto co-mandamento del Decalogo con minori e adul-ti, con l’aggravante dell’abuso di potere. Poi il13 febbraio la sessione ordinaria (feria IV) della

Congregazione aveva esaminato gli argomentipresentati nel ricorso del ricorrente, decidendodi confermare il decreto del Congresso.

SA B AT O 16Continuare a mettersi «alla scuola dei Padri» e«perseverare nell’impegno di comunicare i va-lori intellettuali, spirituali e morali» che prepa-rano «a partecipare con saggezza e responsabi-lità alla vita della Chiesa e ai dibattiti sulle sfi-de cruciali del nostro tempo». È il mandatoaffidato da Francesco ai docenti e agli studentidell’Augustinianum, ricevuti in udienza nellaSala Clementina in occasione del cinquantesi-mo anniversario di fondazione dell’istituto pa-tristico (nella foto in alto il saluto al cardinaleProsper Grech).

DOMENICA 17Una riflessione sul brano delle Beatitudini

tratto dal vangelo di Luca (6, 17.20-26) — in

Si è svolta dal 18 al 20 febbraio la XXVIII riunionedei cardinali consiglieri con il Santo Padre FrancescoLa principale attività è consistita nell’aggiornamento

e nella rilettura della bozza della nuovacostituzione apostolica, il cui titolo provvisorio

è «Praedicate evangelium»

Inclusione, soprattutto delle fascepiù deboli della popolazione,e integrazione dei migranti:sono stati i temi al centrodei colloqui di giovedì pomeriggio,14 febbraio, tra la delegazionedella Repubblica italianae quella della Santa Sede,in occasione dell’i n c o n t ronell’ambasciata d’Italiaa Palazzo Borromeo,per le celebrazionidel novantesimo anniversariodei Patti lateranensi

”Alla comunitàdell’Augustinianum

Angelusin piazza San Pietro

Ai pellegrini dell’arcidio cesidi Benevento

cui «Gesù ci fa vedere con il suo sguardo, aldi là delle apparenze, oltre la superficie, e ciinsegna a discernere le situazioni con fede» —è stata offerta dal Pontefice ai fedeli che inpiazza San Pietro hanno partecipato all’Ange-lus di mezzogiorno. Egli «dichiara beati i po-veri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati; eammonisce coloro che sono ricchi, sazi, ridentie acclamati dalla gente» ha commentato il Pa-pa, spiegando che «la ragione di questa para-dossale beatitudine sta nel fatto che Dio è vi-cino a coloro che soffrono e interviene per li-berarli dalle loro schiavitù». Allo stesso modo,ha osservato Francesco, «il “guai a voi”, rivol-to a quanti oggi se la passano bene, serve a“svegliarli” dal pericoloso inganno dell’egoi-smo e aprirli alla logica dell’amore». Dunque,è la conseguenza per il Pontefice, si tratta di«riflettere sul senso profondo dell’avere fede,che consiste nel fidarci totalmente del Signo-re». Come? «Abbattendo gli idoli mondaniper aprire il cuore al Dio vivo e vero», il soloche «può dare alla nostra esistenza quella pie-nezza tanto desiderata eppure difficile da rag-giungere». Del resto «sono molti, anche ai no-stri giorni, quelli che si propongono come di-spensatori di felicità: vengono e promettonosuccesso in tempi brevi, grandi guadagni aportata di mano, soluzioni magiche a ogniproblema, e così via». In tal modo, ha messoin guardia il Papa, «è facile scivolare senza ac-corgersi nel peccato contro il primo comanda-mento: cioè l’idolatria».

MERCOLEDÌ 20Prima di recarsi nell’aula Paolo VI, France-

sco ha incontrato nella basilica vaticana i par-tecipanti al pellegrinaggio dall’arcidiocesi diBenevento, guidato dall’arcivescovo Felice Ac-crocca per ricambiare la visita che il Papa ave-va compiuto lo scorso 17 marzo a Pietrelcinain occasione del centenario dell’apparizionedelle stimmate permanenti di san Pio e nelcinquantesimo anniversario della morte.

#7giorniconilpapa

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L’udienza di oggi si sviluppa in due posti. Pri-ma ho fatto l’incontro con i fedeli di Beneven-to, che erano in San Pietro, e adesso con voi.E questo è dovuto alla delicatezza della Prefet-tura della Casa Pontificia che non voleva chevoi prendeste freddo: ringraziamo loro, chehanno fatto questo. Grazie.

Proseguiamo le catechesi sul “Padre nostro”.Il primo passo di ogni preghiera cristiana èl’ingresso in un mistero, quello della paternitàdi Dio. Non si può pregare come i pappagalli.O tu entri nel mistero, nella consapevolezzache Dio è tuo Padre, o non preghi. Se io vo-glio pregare Dio mio Padre incomincio il mi-stero. Per capire in che misura Dio ci è padre,noi pensiamo alle figure dei nostri genitori,ma dobbiamo sempre in qualche misura “raffi-narle”, purificarle. Lo dice anche il Catechi-smo della Chiesa Cattolica, dice così: «La pu-rificazione del cuore concerne le immagini pa-terne e materne, quali si sono configurate nellanostra storia personale e culturale, e che influi-scono sulla nostra relazione con Dio» (n.2779).

Nessuno di noi ha avuto genitori perfetti,nessuno; come noi, a nostra volta, non saremomai genitori, o pastori, perfetti. Tutti abbiamodifetti, tutti. Le nostre relazioni di amore le vi-viamo sempre sotto il segno dei nostri limiti eanche del nostro egoismo, perciò sono spessoinquinate da desideri di possesso o di manipo-lazione dell’altro. Per questo a volte le dichia-razioni di amore si tramutano in sentimenti dirabbia e di ostilità. Ma guarda, questi due siamavano tanto la settimana scorsa, oggi siodiano a morte: questo lo vediamo tutti i gior-ni! È per questo, perché tutti abbiamo radiciamare dentro, che non sono buone e alle volteescono e fanno del male.

Ecco perché, quando parliamo di Dio come“p a d re ”, mentre pensiamo all’immagine deinostri genitori, specialmente se ci hanno volu-to bene, nello stesso tempo dobbiamo andareoltre. Perché l’amore di Dio è quello del Padre“che è nei cieli”, secondo l’espressione che ci in-

vita ad usare Gesù: è l’amore totale che noi inquesta vita assaporiamo solo in maniera im-perfetta. Gli uomini e le donne sono eterna-mente mendicanti di amore, — noi siamo men-dicanti di amore, abbiamo bisogno di amore —cercano un luogo dove essere finalmente ama-ti, ma non lo trovano. Quante amicizie equanti amori delusi ci sono nel nostro mondo;tanti!

Il dio greco dell’amore, nella mitologia, èquello più tragico in assoluto: non si capiscese sia un essere angelico oppure un demone.La mitologia dice che è figlio di P o ro s e di Pe-nía, cioè della scaltrezza e della povertà, desti-nato a portare in sé stesso un po’ della fisiono-mia di questi genitori. Di qui possiamo pensa-re alla natura ambivalente dell’amore umano:capace di fiorire e di vivere prepotente inun’ora del giorno, e subito dopo appassire emorire; quello che afferra, gli sfugge sempre

via (cfr. PL AT O N E , Simposio, 203). C’èun’espressione del profeta Osea che inquadrain maniera impietosa la congenita debolezzadel nostro amore: «Il vostro amore è comeuna nube del mattino, come la rugiada cheall’alba svanisce» (6, 4). Ecco che cos’è spessoil nostro amore: una promessa che si fatica amantenere, un tentativo che presto inaridisce esvapora, un po’ come quando al mattino esceil sole e si porta via la rugiada della notte.

Mendicantidi amore

Al l ’udienzag e n e ra l e

il Papa parladel Padre Nostro

#catechesi

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Quante volte noi uomini abbiamo amato inquesta maniera così debole e intermittente.Tutti ne abbiamo l’esperienza: abbiamo amatoma poi quell’amore è caduto o è diventato de-bole. Desiderosi di voler bene, ci siamo poiscontrati con i nostri limiti, con la povertà del-le nostre forze: incapaci di mantenere una pro-messa che nei giorni di grazia ci sembrava fa-cile da realizzare. In fondo anche l’ap ostoloPietro ha avuto paura e ha dovuto fuggire.L’apostolo Pietro non è stato fedele all’a m o redi Gesù. Sempre c’è questa debolezza che ci facadere. Siamo mendicanti che nel cammino ri-schiano di non trovare mai completamentequel tesoro che cercano fin dal primo giornodella loro vita: l’a m o re .

Però, esiste un altro amore, quello del P a d re“che è nei cieli”. Nessuno deve dubitare di esse-re destinatario di questo amore. Ci ama. “Miama”, possiamo dire. Se anche nostro padre enostra madre non ci avessero amato — un’ip o-tesi storica —, c’è un Dio nei cieli che ci amacome nessuno su questa terra ha mai fatto epotrà mai fare. L’amore di Dio è costante. Di-ce il profeta Isaia: «Si dimentica forse unadonna del suo bambino, così da non commuo-versi per il figlio delle sue viscere? Anche secostoro si dimenticassero, io invece non ti di-menticherò mai. Ecco, sulle palme delle miemani ti ho disegnato» (49, 15-16). Oggi è dimoda il tatuaggio: “Sulle palme delle mie ma-ni ti ho disegnato”. Ho fatto un tatuaggio dite sulle mie mani. Io sono nelle mani di Dio,così, e non posso toglierlo. L’amore di Dio ècome l’amore di una madre, che mai si può di-menticare. E se una madre si dimentica? “Ionon mi dimenticherò”, dice il Signore. Questoè l’amore perfetto di Dio, così siamo amati daLui. Se anche tutti i nostri amori terreni sisgretolassero e non ci restasse in mano altroche polvere, c’è sempre per tutti noi, ardente,l’amore unico e fedele di Dio.

Nella fame d’amore che tutti sentiamo, noncerchiamo qualcosa che non esiste: essa è inve-ce l’invito a conoscere Dio che è padre. Laconversione di Sant’Agostino, ad esempio, ètransitata per questo crinale: il giovane e bril-lante retore cercava semplicemente tra le crea-ture qualcosa che nessuna creatura gli poteva

La piccola vedetta di Formia

#catechesi

dare, finché un giorno ebbe il coraggio di al-zare lo sguardo. E in quel giorno conobbeDio. Dio che ama.

L’espressione “nei cieli” non vuole esprimereuna lontananza, ma una diversità radicale diamore, un’altra dimensione di amore, un amo-re instancabile, un amore che sempre rimarrà,anzi, che sempre è alla portata di mano. Bastadire “Padre nostro che sei nei Cieli”, equell’amore viene.

Pertanto, non temere! Nessuno di noi è so-lo. Se anche per sventura il tuo padre terrenosi fosse dimenticato di te e tu fossi in rancorecon lui, non ti è negata l’esperienza fonda-mentale della fede cristiana: quella di sapereche sei figlio amatissimo di Dio, e che non c’èniente nella vita che possa spegnere il suoamore appassionato per te.

Da oltre oceano, da New York, è giunto nell’aulaPaolo VI mercoledì mattina, 20 febbraio, perraccontare al Papa una storia che risale agli annidella seconda guerra mondiale, dell’o ccupazionenazista in Italia e della persecuzione degli ebrei. Sichiama Anthony D’Urso e suo padre, Giuseppe, tral’8 settembre 1943 e il 17 maggio 1944, nascose eprotesse nei pressi di Formia due famiglie di ebreidi Napoli. All’epoca lui aveva 5 anni, ma i ricordisono molto netti. «Scappammo per paura deibombardamenti — racconta — e ci rifugiammo nellemontagne. Ricordo che con la scusa di badare a unpiccolo gregge io facevo da vedetta e avvisavoquando c’era il pericolo di presenze naziste.Portammo con noi le famiglie Sinigallia e Ascarelli,altrimenti destinate alla deportazione». Insiemecondivisero paure e ristrettezze del momento: «APasqua riuscimmo a rimediare solo due orecchied’asino da bollire e da dividerci per il pranzo...».L’amicizia generosa e coraggiosa di GiuseppeD’Urso fu poi ricambiata dalla famiglia Ascarelliche, dopo la guerra, ospitò per diversi mesi ilpiccolo Anthony, malato e bisognoso di unsoggiorno salubre nei pressi del mare. Sulla base deidiari della famiglia Ascarelli — una copia è statadonata al Papa — oggi è aperta l’inchiesta perinserire il nome di Giuseppe D’Urso fra quelli dei“Giusti tra le nazioni”.

Parole di speranza hanno ricevuto i genitori deibambini malati oncologici in cura presso l’osp edaleSalesi di Ancona. Sei famiglie giunte a Roma con illoro carico di dolore e di ansie. «La speranza — ciha detto Enrico, uno dei loro accompagnatori — èl’unica cosa che li aiuta e li sostiene. E per lorooggi ricevere la benedizione del Papa è fonteimportantissima di aiuto spirituale e psicologico».Fra i tanti doni ricevuti dal Pontefice, c’era ancheun pallone ovale da rugby: le firme che lopunteggiavano richiamavano i tanti volti sorridentied emozionati dei ragazzi e ragazze della BarnhallBuffaloes, una squadra londinese di atleti disabiligiunti a Roma per una partita organizzata daSpecial Olympics Italia. Il club inglese, ha spiegatol’allenatore, festeggia quest’anno cinquant’anni distoria e di impegno per l’inclusione e la solidarietà.Un’altra significativa presenza dal sud dell’Italia si èavuta con i pellegrini provenienti da San GiorgioLucano, in Basilicata. Hanno portato con loro lavenerata immagine della Madonna degli Angeli,detta “Madonna del pantano”, che è stata poibenedetta dal Pontefice. La statua raccoglie nellesue forme barocche e nei suoi colori intensi unareligiosità e una devozione che hanno nutritogenerazioni e generazioni di fedeli locali. (mauriziofontana)

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di ZOUHIRLO UA S S I N I

Fino gli anni ottanta del secolo scorso, la catte-drale di Tangeri e il suo campanile erano i pri-mi a vedersi arrivando via mare dalla Spagna.Fu uno sceicco proveniente da un paese delGolfo a elargire tantissimo denaro affinché ve-nisse costruita una moschea con un minaretopiù alto. Per lui era inaccettabile che in unpaese musulmano il monumento più imponen-te della città fosse un luogo di preghiera per icristiani. Oggi, i due luoghi di culto distanopochi metri l’uno dall’altro. Due torri chesembrano convivere serenamente. La gentepassa di là abituata a una realtà multipla incui le differenze hanno felicemente trovatol’espressione della loro ricchezza.

Il francescano Santiago Agrelo Martínez, ar-civescovo di Tangeri, mi ricorda che i quattor-dici chilometri che separano le due rive dellostretto, hanno portato un nuovo problema:quello degli immigrati che si fermano nella cit-tà aspettando il momento più adatto per latraversata verso una vita migliore. La chiesadiventa così un rifugio per gli ultimi. Barry,un immigrato guineano di 24 anni, sogna lafama come pugile in Europa. Guarda la chiesae ringrazia chi gli ha dato una mano da quan-do è arrivato, cinque anni fa. L’attesa si fa lun-ga ma lui non ha nessuna intenzione di molla-re il suo sogno di raggiungere un giorno “ilparadiso europeo”.

In Marocco nessuno nega che i cristiani vi-vano in pace la loro fede. Il salesiano Cristó-bal López Romero, arcivescovo di Rabat, inun’intervista che fa parte di un reportage suicristiani nel paese nordafricano, racconta lapassione con cui i fedeli desiderano professarela loro religione costruendo ponti di dialogocoi musulmani. «Sono i nostri fratelli, voglia-mo lavorare assieme al servizio delle grandicause dell’umanità» assicura il presule alla vi-

Una sentenzarivoluzionaria

Veduta panoramica di Tangeri

#dialoghi

gilia del viaggio papale tanto atteso da tutti icristiani del Marocco.

In questa realtà quasi perfetta un argomentopersiste diventando un vero tabù che i maroc-chini evitano di considerare: un musulmanonon può scegliere un’altra religione. La con-versione ad altre religioni è vietata per leggeed è in totale contraddizione con la costituzio-ne del paese che nel suo terzo articolo «garan-tisce a tutti il libero esercizio della fede».

Molte autorità governative cambiano argo-mento quando si fa presente l’importanza del-la libertà religiosa in un contesto in cui tutti sisforzano di sottolineare la tolleranza del-l’islam. Un problema che bisogna affrontare enon dissimulare facendo finta che non esista.Monsignor López Romero ammette le difficol-tà, ma si mostra ottimista dal momento che icristiani in Marocco iniziano a uscire alla lucedel giorno, a chiedere diritti e a rivendicare lapropria fede. I giornali ne parlano e questo insé è positivo.

Un ulteriore elemento di ottimismo è datodalla sentenza di un tribunale di Taza — a estdel paese — a seguito della denuncia da partedi un cittadino marocchino che accusava unamico di avergli «regalato libri sul Nuovo Te-stamento», gesto interpretato come un tentati-vo di convertirlo al cristianesimo. Ai sensidell’articolo 220 del codice penale, «chiunquefornisca incitamenti atti a scuotere la fede diun musulmano o convertirlo a un’altra religio-ne» incorre in una pena detentiva da 3 a 6mesi e in una multa da 200 a 500 dirhams.Qualsiasi tentativo di indurre un musulmanoalla conversione è illegale.

Ebbene, il tribunale non ha esitato il 22 no-vembre 2018 a dichiarare priva di consistenzal’accusa decretando l’innocenza dell’uomo. Lamotivazione si è basata su varie risoluzioni mala più significativa è stata senza dubbio che «ilNuovo Testamento, il libro dei cristiani, è rico-nosciuto e dichiarato come sacro anche per imusulmani». Una sentenza rivoluzionaria cheaprirà senza dubbio un sano dibattito nella so-cietà marocchina.

Nel Maroccoche si preparaad accoglierePapa Francesco

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di ENZOBIANCHI

N

La pagliuzzae la trave

3 marzoottava domenica

del tempoo rd i n a r i o

Luca 6, 39-45

Sebastian Vrancx«Il cieco che guida il cieco»( p a r t i c o l a re )

ell’ultima parte del discorso della pianura te-nuto da Gesù dopo essere disceso dal montecon i dodici discepoli da lui resi apostoli, Lu-ca ha raccolto sentenze diverse, parole e im-magini che definisce “parab ole” e che riguar-dano soprattutto la vita dei credenti nelle co-munità.

Gesù le aveva indirizzate per mettere inguardia i discepoli dai comportamenti di alcu-ni uomini religiosi allora sulla scena, scribi efarisei, ma Luca le aggiorna, le attualizza perla sua chiesa. Le stesse espressioni, infatti, nelvangelo secondo Matteo sono utilizzate conmaggior chiarezza polemica verso le guide diIsraele (cfr. 7, 16-18; 12, 35). Queste brevi sen-tenze sono espresse mediante accoppiamenti:due ciechi, discepolo e maestro, tu e il tuo fra-tello, due alberi, due uomini, due case (cfr.Luca 6, 46-48). Questo stile apparteneva certa-mente alla tecnica retorica orale, tesa a facilita-re l’imprimersi delle parole nella mente degliascoltatori.

Il primo insegnamento sgorga da una do-manda retorica posta agli ascoltatori: «Puòforse un cieco guidare un altro cieco? Non ca-drebbero entrambi in una buca?». L’ammoni-mento è evidente, ma a chi viene indirizzato?A ogni discepolo, tentato di non riconoscere leproprie incapacità, i propri errori, eppure abi-tato dalla pretesa di voler insegnare agli altri.Sono però rivolte anche alle “guide” della co-munità cristiana, quelli che al suo interno de-tengono l’autorità e insegnano agli altri ma avolte sono colpiti da cecità: denunciano i pec-cati altrui, condannano severamente gli altri,senza mai fare un esame su loro stessi e sulproprio comportamento. Nel vangelo secondoMatteo, Gesù ha avvertito questi «ciechi e gui-de di ciechi» (15, 14; 23, 16) e nel quarto van-gelo è testimoniato un suo esteso insegnamen-to sulla cecità degli uomini religiosi, che nonriconoscono di essere ciechi e dunque riman-gono in una condizione di peccato, senza pos-sibilità di conversione (cfr. Giovanni 9, 39-41).

Certo, gli uomini religiosi, e anche noiquando nella comunità cristiana abbiamo il

compito di guidare, ammonire e correggere chici è affidato, possiamo proprio essere tentati diinsegnare ciò che non viviamo e magari dicondannare negli altri quelli che sono i nostripeccati: denunciando le mancanze altrui, ci di-fendiamo dalla coscienza che ci condanna enon le riconosciamo anche come nostre. Perquesto occorre una grande capacità di autocri-tica, un attento esercizio all’esame della pro-pria coscienza, un saper riconoscere il maleche ci abita, senza spiarlo morbosamentenell’a l t ro .

Segue poi una sentenza sul rapporto tra di-scepolo e maestro, un vero richiamo alla for-mazione: il discepolo sta alla sequela del mae-stro, accetta di essere da lui istruito e formato,si dispone a ricevere con gratitudine ciò chegli viene insegnato. Di più, secondo la tradi-zione rabbinica il discepolo impara non sol-tanto dalla bocca del suo maestro ma standoaccanto a lui, condividendo la sua vita in unatteggiamento umile che non presume e non sicolloca mai nello spazio di un’autosufficienzache smentirebbe la sua qualità di discepolo.Un discepolo, dunque, non può essere più delsuo maestro e, quando avrà completato la for-mazione, sarà riconoscente al maestro per ilcammino percorso, fino a poter diventare lui

#meditazione

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pure maestro. Il maestro è autentico quando facrescere il discepolo e con umiltà sa trasmette-re l’insegnamento da lui stesso ricevuto; il di-scepolo è un buon discepolo quando riconosceil maestro e cerca di diventarlo anche lui, vi-vendo tutte le esigenze del discepolato.

Va però anche detto che Gesù non si limitaa collocare il rapporto maestro-discepolo entrola tradizione rabbinica, ma lo trascende, indi-cando come la sua sequela comporti di andareovunque egli vada (cfr. Ap o c a l i s s e 14, 4), di vi-

alla denuncia e anche questo ci impedisce diavere uno sguardo autentico e reale su noistessi. Ciò che vediamo negli altri come “tra-ve”, lo sentiamo in noi come pagliuzza; ciòche condanniamo negli altri, lo scusiamo innoi stessi. Allora meritiamo il giudizio di Ge-sù: “Ip o crita!”, perché ipocrita è chi è abitatoda uno spirito di falsità, chi non sa riconoscereciò che è vero e anzi è diviso tra ciò che appa-re e ciò che è nascosto, tra l’interiore e l’este-r i o re .

vere coinvolti nella sua vita fino a condividerel’esito della sua morte, dunque la resurrezione.Il cammino di Gesù, quello di vita-morte-re-surrezione, è il cammino del discepolo, e puòessere percorso solo mediante l’attrazione dellagrazia di Cristo, senza confidare sulle proprieforze.

Ecco poi un ammonimento alla secondapersona singolare, che merita di essere riporta-to per esteso: «Perché guardi la pagliuzza cheè nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgidella trave che è nel tuo occhio? Come puoidire al tuo fratello: “Lascia che tolga la pa-gliuzza nel tuo occhio”, mentre non vedi latrave che è nel tuo? Ipocrita! Togli prima latrave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene pertogliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratel-lo». Sì, il fratello cristiano, nella vita quotidia-na della comunità, può essere chiamato a cor-reggere il fratello perché questa è una necessi-tà della vita comune: camminare insieme com-porta l’aiutarsi a vicenda, fino a correggersi.

Ma proprio in riferimento alla correzioneGesù si fa esigente: questa non può essere maidenuncia delle debolezze dell’altro; non puòessere pretesa manifestazione di una verità chelo umilia; non può mai anche solo sembrareun giudizio né l’anticamera di una condannagià pronunciata nel cuore. Purtroppo nella vitaecclesiale spesso la correzione, anziché causareconversione, perdono, e riconciliazione, produ-ce divisione e inimicizia, finendo per separareinvece che per favorire la comunione. Il pecca-to degli altri ci scandalizza, ci turba, ci invita

In questa esortazione Luca significativamen-te fa risuonare a più riprese il termine “fratel-lo”, lo intende in senso cristiano e lo applica atutte le dimensioni della vita ecclesiale. E seMatteo per la correzione fraterna esige una ve-ra prassi, una procedura da adottarsi nella co-munità cristiana (correzione a tu per tu, corre-zione alla presenza di uno o due testimoni,appello alla comunità: cfr. Ma t t e o 18, 15-17),Luca delinea un cammino affinché la correzio-ne sia secondo il Vangelo: si tratta di non sen-tirsi mai giudice del fratello, di riconoscersipeccatore e solidale con i peccatori, di correg-gere con umiltà seguendo in tutto l’esempiodel maestro, Gesù.

Questa serie di sentenze è conclusa dall’im-magine dell’albero buono, che è tale perchéproduce frutti buoni, che invece non si posso-no raccogliere se l’albero è cattivo. Gesù ri-chiama alla realtà e invita gli ascoltatori a di-scernere il vero dal falso discepolo in base alcriterio dei frutti portati dalla sua vita. Non leparole, le dichiarazioni, le confessioni e nean-che la preghiera bastano per dire l’autenticitàdella sequela di Gesù, ma occorre guardare alcomportamento, ai frutti delle azioni compiutedal discepolo. Il cuore è la fonte del sentire,volere e operare di ogni essere umano. Se nelcuore c’è amore e bontà, allora anche il com-portamento dell’uomo sarà amore, ma se nelcuore domina il male, anche le azioni che eglicompie saranno male. Il discepolo è perciòchiamato all’esercizio del discernimento!

#meditazione

Hans Collaert, «La paraboladella pagliuzza e della trave»(sedicesimo secolo)

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L’

Vi invito a pregare in questi giorniper l’Incontro sulla protezione dei minori

nella Chiesa, evento che ho voluto come attodi forte responsabilità pastorale davanti

a una sfida urgente del nostro tempo

@Pontifex, 18 febbraio

#controcopertina

Quattro giorni che lasceranno il segnoincontro sulla protezione dei minori che sisvolge in Vaticano è destinato a lasciare il se-gno. Prima ancora che per l’a p p ro f o n d i m e n t osulle indispensabili indicazioni concrete su ciòche va fatto di fronte alla piaga degli abusi, alasciare il segno sarà la presa di coscienza daparte di tutta la Chiesa delle conseguenzedrammatiche e incancellabili provocate sui mi-nori che li hanno subiti.La voce dei bambini e dei ragazzi vittime indi-fese di queste turpi violenze non rimarrà ina-scoltata. Il loro grido è destinato a infrangerela barriera di silenzio che troppo a lungo haimpedito di comprendere.Il primo obiettivo, sulla scia della personaletestimonianza degli ultimi due Pontefici, chehanno sistematicamente incontrato i sopravvis-suti, li hanno ascoltati e hanno pianto e prega-to con loro, è dunque la consapevolezza chel’abuso sui minori da parte di chierici e reli-giosi rappresenta un atto abominevole. Un at-to che trafigge per sempre l’anima di bambinie bambine affidati dai loro genitori ai sacerdo-ti perché li educassero nella fede. Non si trattainnanzitutto di una questione di leggi e dinorme, né di cavilli burocratici e nemmeno distatistiche. Si tratta di ascoltare le vittime, cer-care di condividere il loro doloroso dramma,per far proprie le devastanti ferite che hannosubito. È un cambio di mentalità quello cheviene richiesto, perché mai più nessuno fingadi non vedere, insabbi, copra, minimizzi.Per la prima volta il tema verrà affrontato inchiave globale, secondo le diverse esperienze eculture. Il primo giorno il tema principale saràquello della responsabilità dei vescovi nel lorocompito pastorale, spirituale e giuridico. Il se-condo giorno tratterà soprattutto del “re n d e rconto”, dell’a c c o u n t a b i l i t y, discutendo le solu-zioni da adottare in accordo con il Diritto Ca-nonico per valutare i casi in cui i pastori sonovenuti meno al loro compito e hanno agito

con negligenza. Infine il terzo giorno sarà de-dicato all’impegno per la trasparenza, nelleprocedure interne alla Chiesa, nei confrontidelle autorità civili ma soprattutto di fronte alpopolo di Dio, il cui contributo per renderepiù sicuri i luoghi frequentati dai minori è in-dispensabile. La conclusione dei lavori, dome-nica, dopo la Messa celebrata nella Sala Re-gia, è affidata a Papa Francesco.Quello che si celebra in Vaticano è innanzitut-to un evento ecclesiale, un dialogo fra pastoriin comunione con il Successore di Pietro. Èper questo che la preghiera, accompagnatadall’ascolto delle vittime, scandirà ogni appun-tamento. I primi tre giorni di lavoro culmine-ranno nella liturgia penitenziale proprio per-ché, di fronte all’abisso del peccato, e di unpeccato così grave e abominevole, i credentisono chiamati a chiedere umilmente perdonoper la ferita inferta al corpo ecclesiale e allasua possibilità di testimonianza evangelica.Questo nuovo passo è per la Chiesa l’ultimoin ordine di tempo di una lunga serie iniziatapoco meno di vent’anni fa con l’intro duzionedi leggi sempre più severe ed efficaci per con-trastare la piaga degli abusi. Procedure chehanno permesso di ridurre drasticamente ilnumero dei casi, come dimostrano tutti i re-port pubblicati di recente: le denunce cheemergono riguardano infatti, nella stragrandemaggioranza, casi risalenti a molti anni fa, av-venuti prima dell’entrata in vigore delle nuovenorme.Con l’incontro che si apre in Vaticano la Chie-sa indica così una strada non soltanto alle pro-prie gerarchie e alle proprie comunità, ma of-fre pure una sofferta testimonianza e un impe-gno preciso a tutta la società. Perché la prote-zione dei minori è questione che riguarda tut-ti, come dimostrano le impressionanti cifre suiminori abusati nel mondo.

di ANDREA TORNIELLI