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45 SCIENZE E RICERCHE • N. 31 • 15 GIUGNO 2016 | STORIA DELLA SCIENZA L’antica università di Altamura e la collezione del Gabinetto di Fisica e Mineralogia ROSARIA COLALEO Dottore magistrale in Filosofie della conoscenza, della morale e della comunicazione fino ad allora, in grado di studiare e conoscere la natura 1 . In tutta Europa sorgevano le Accademie, dall’Accademia del Cimento, fondata a Firenze nel 1657 dal Principe Leopol- do dei Medici e dal Granduca Ferdinando II, all’Académie des Sciences, creata nel 1666 su ordine di Luigi XIV; queste istituzioni consentivano di compiere regolarmente esperi- menti e dimostrazioni su svariati aspetti del mondo naturale, diventando veri e propri vivai per lo sviluppo del nuovo me- todo scientifico. Il successo delle lezioni di fisica era garantito anche dal fatto che, con la rivoluzione scientifica, si era di fatto deli- neata una nuova figura, quella del costruttore di strumenti scientifici, sempre più attento alle recenti invenzioni, dai te- lescopi ai microscopi, dai barometri ai termometri, fino agli orologi e alle pompe da vuoto. Nella capitale inglese, dove si era sviluppato un fiorente mercato della strumentazione scientifica, tali costruttori diventarono per i lecturers colla- boratori preziosi, mettendo a punto specifici strumenti per le nuove lezioni pubbliche di fisica. Essi, inoltre, godevano anche di una clientela variegata, dai marinai fino ai privati cittadini, sempre più desiderosi di poter avere in casa stru- menti come orologi e barometri 2 . 1 Il nuovo metodo sperimentale, tuttavia, si affermò lentamente nel cor- so del Seicento. Negli anni intorno al 1660, ad esempio, Robert Boyle, impegnato negli esperimenti che stava svolgendo in aria rarefatta, venne attaccato da Thomas Hobbes perché utilizzava una pompa da vuoto, stru- mento che dava luogo a fenomeni spettacolari ma che nulla avevano a che fare, secondo Hobbes, con la conoscenza reale della natura. Nonostante la controversia, proprio in virtù della spettacolarità degli esperimenti in aria rarefatta, la pompa da vuoto diventò in quegli anni uno dei simboli della nuova scienza sperimentale. 2 Tra i lecturers più importanti, si ricordi John Theophilus Desaguliers (1683–1744), che frequentò nel 1708 il corso di filosofia sperimentale di John Keill all’Università di Oxford, sostituito per alcuni anni proprio dal Desaguliers, il quale, a Londra, tenne pubbliche lezioni di fisica a partire dal 1713. Lo stesso, succedette a Hauksbee presso la Royal Society sia come Fellow sia come curatore degli esperimenti, forte dei suoi innume- revoli viaggi, in Inghilterra e all’estero. Il testo in cui raccolse le proprie lezioni, A course of experimental philosophy (2 voll., 1734-1744) venne tradotto in diverse lingue, stampato in diverse edizioni (ad esempio, quella N el Settecento, sulla scia della rivoluzione scientifica, si moltiplicarono in tutta Eu- ropa modalità di impartire lezioni di fisica del tutto innovative, fondate su esperi- menti e dimostrazioni: la definizione della fisica in senso moderno si andava sempre più delineando, suscitando interesse sia negli ambiti accademici che nei sa- lotti e presso le corti. Tra il 1743 e il 1764, l’abate Jean-Antoine Nollet, pro- fessore di fisica sperimentale presso il Collège de Navarre, nonché scienziato alla corte di Francia e maestro di fisica dei figli del re, scriveva l’opera, in sei volumi, dal titolo Leçons de physique expérimentale, affermando, tra le altre cose, di non poter più ammettere nulla, a maggior ragione nel campo della fisica, «che non sia provata con l’esperienza» (Talas 2011, p. 37); e ancora, nel 1770, nell’opera in tre volumi dal titolo L’art des expériences, a proposito delle esperienze finalizzate alla conoscenza delle cause dei fenomeni, preci- sava che «il nostro primo punto di vista deve essere di inse- gnare, illuminare, e non di sorprendere o imbarazzare» (Id.) La ricerca e l’insegnamento della fisica, in sostanza, si ba- savano su osservazioni, esperimenti e dimostrazioni spesso spettacolari, per i quali venivano sviluppati nuovi specifici strumenti; si andavano moltiplicando, inoltre, i cosiddetti Gabinetti di Fisica, nuclei iniziali dei laboratori ottocente- schi, vere e proprie raccolte di strumenti destinati alla ricerca e alla didattica. Con la centralità del ruolo degli strumenti nel processo di produzione della conoscenza si concretizzava in maniera emblematica uno dei connotati della scienza moderna: la sal- datura tra scienza e tecnica. Esperienze e osservazioni, insie- me ad accurate dimostrazioni matematiche, facevano sì che i fenomeni della natura potessero essere tradotti in precise leggi matematiche: si dissolveva la netta separazione tra la figura del matematico visto come semplice addetto alla misu- ra e al calcolo, e quella del filosofo naturale, l’unico ritenuto,

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SCIENZE E RICERCHE • N. 31 • 15 GIUGNO 2016 | STORIA DELLA SCIENZA

L’antica università di Altamura e la collezione del Gabinetto di Fisica e Mineralogia ROSARIA COLALEODottore magistrale in Filosofie della conoscenza, della morale e della comunicazione

fino ad allora, in grado di studiare e conoscere la natura1. In tutta Europa sorgevano le Accademie, dall’Accademia

del Cimento, fondata a Firenze nel 1657 dal Principe Leopol-do dei Medici e dal Granduca Ferdinando II, all’Académie des Sciences, creata nel 1666 su ordine di Luigi XIV; queste istituzioni consentivano di compiere regolarmente esperi-menti e dimostrazioni su svariati aspetti del mondo naturale, diventando veri e propri vivai per lo sviluppo del nuovo me-todo scientifico.

Il successo delle lezioni di fisica era garantito anche dal fatto che, con la rivoluzione scientifica, si era di fatto deli-neata una nuova figura, quella del costruttore di strumenti scientifici, sempre più attento alle recenti invenzioni, dai te-lescopi ai microscopi, dai barometri ai termometri, fino agli orologi e alle pompe da vuoto. Nella capitale inglese, dove si era sviluppato un fiorente mercato della strumentazione scientifica, tali costruttori diventarono per i lecturers colla-boratori preziosi, mettendo a punto specifici strumenti per le nuove lezioni pubbliche di fisica. Essi, inoltre, godevano anche di una clientela variegata, dai marinai fino ai privati cittadini, sempre più desiderosi di poter avere in casa stru-menti come orologi e barometri2.

1 Il nuovo metodo sperimentale, tuttavia, si affermò lentamente nel cor-so del Seicento. Negli anni intorno al 1660, ad esempio, Robert Boyle, impegnato negli esperimenti che stava svolgendo in aria rarefatta, venne attaccato da Thomas Hobbes perché utilizzava una pompa da vuoto, stru-mento che dava luogo a fenomeni spettacolari ma che nulla avevano a che fare, secondo Hobbes, con la conoscenza reale della natura. Nonostante la controversia, proprio in virtù della spettacolarità degli esperimenti in aria rarefatta, la pompa da vuoto diventò in quegli anni uno dei simboli della nuova scienza sperimentale. 2 Tra i lecturers più importanti, si ricordi John Theophilus Desaguliers (1683–1744), che frequentò nel 1708 il corso di filosofia sperimentale di John Keill all’Università di Oxford, sostituito per alcuni anni proprio dal Desaguliers, il quale, a Londra, tenne pubbliche lezioni di fisica a partire dal 1713. Lo stesso, succedette a Hauksbee presso la Royal Society sia come Fellow sia come curatore degli esperimenti, forte dei suoi innume-revoli viaggi, in Inghilterra e all’estero. Il testo in cui raccolse le proprie lezioni, A course of experimental philosophy (2 voll., 1734-1744) venne tradotto in diverse lingue, stampato in diverse edizioni (ad esempio, quella

Nel Settecento, sulla scia della rivoluzione scientifica, si moltiplicarono in tutta Eu-ropa modalità di impartire lezioni di fisica del tutto innovative, fondate su esperi-menti e dimostrazioni: la definizione della

fisica in senso moderno si andava sempre più delineando, suscitando interesse sia negli ambiti accademici che nei sa-lotti e presso le corti.

Tra il 1743 e il 1764, l’abate Jean-Antoine Nollet, pro-fessore di fisica sperimentale presso il Collège de Navarre, nonché scienziato alla corte di Francia e maestro di fisica dei figli del re, scriveva l’opera, in sei volumi, dal titolo Leçons de physique expérimentale, affermando, tra le altre cose, di non poter più ammettere nulla, a maggior ragione nel campo della fisica, «che non sia provata con l’esperienza» (Talas 2011, p. 37); e ancora, nel 1770, nell’opera in tre volumi dal titolo L’art des expériences, a proposito delle esperienze finalizzate alla conoscenza delle cause dei fenomeni, preci-sava che «il nostro primo punto di vista deve essere di inse-gnare, illuminare, e non di sorprendere o imbarazzare» (Id.)

La ricerca e l’insegnamento della fisica, in sostanza, si ba-savano su osservazioni, esperimenti e dimostrazioni spesso spettacolari, per i quali venivano sviluppati nuovi specifici strumenti; si andavano moltiplicando, inoltre, i cosiddetti Gabinetti di Fisica, nuclei iniziali dei laboratori ottocente-schi, vere e proprie raccolte di strumenti destinati alla ricerca e alla didattica.

Con la centralità del ruolo degli strumenti nel processo di produzione della conoscenza si concretizzava in maniera emblematica uno dei connotati della scienza moderna: la sal-datura tra scienza e tecnica. Esperienze e osservazioni, insie-me ad accurate dimostrazioni matematiche, facevano sì che i fenomeni della natura potessero essere tradotti in precise leggi matematiche: si dissolveva la netta separazione tra la figura del matematico visto come semplice addetto alla misu-ra e al calcolo, e quella del filosofo naturale, l’unico ritenuto,

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e che realizzava apparecchiature su richiesta del docente per eseguire materialmente esperienze dimostrative; egli, inol-tre, aveva anche l’incarico di apportare migliorie a strumenti acquistati e/o provenienti, a vario titolo, dall’esterno.

Anche in Puglia, in particolare ad Altamura, intellettuali e studiosi come Giuseppe Carlucci, Luca de Samuele Ca-gnazzi, Agazio Angelastri, Michele Continisio, Vitangelo Bisceglia, contribuirono allo sviluppo della fisica moderna in tutto il Mezzogiorno (Raucci 2003, p. 349). Ad Altamura, nel 1747, re Carlo di Borbone istituì una vivace università su proposta di monsignor Marcello Papiniano Cusani, arci-prete della chiesa locale, per utilizzare i risparmi di un fondo seicentesco detto “Monte a Moltiplico” (Capaccioli, Raucci 2003 e Gisondi 1980, pp. 87-138).

L’iniziale impostazione didattica dell’ateneo era di carat-tere umanistico e storico-giuridico, e questo perché il Cusani non volle urtare gli interessi del clero rischiando di perdere il consenso della cittadinanza; d’altronde, anche l’istituzione di un seminario gesuitico non sarebbe stata accolta favore-volmente da molti ministri napoletani5.

L’arciprete Cusani, pertanto, convincendo tutti che la fu-tura università avrebbe portato grande prestigio alla città di Altamura, presentò la sua richiesta alla Camera di Santa Chiara presentando un piano di studi tutto sommato inno-vativo; esso, infatti, comprendeva le tradizionali cattedre di Umanità, Filosofia Moderna, Geometria, Teologia Metodica e Canto Gregoriano ma, a causa dell’insufficienza dei fondi, non quelle di Matematica, Medicina e Giurisprudenza Ci-vile.

Successivamente, monsignor Celestino Galiani dettò le norme di gestione dell’istituto6. Il Galiani, fin dai tempi della sua nomina a cappellano maggiore, non era stato ben visto negli ambienti curiali per il suo atteggiamento aperto sulle questioni inerenti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa e per il suo ruolo di promotore delle moderne teorie scientifiche e filosofiche7.

5 Nel corso del Seicento, quando i padri gesuiti iniziarono ad interes-sarsi di istruzione, i loro collegi divennero gli istituti più accreditati per rigore morale, disciplina e preparazione impartita (Novi Chiavarria 1982, pp. 159-185).6 L’istituto, definito “Regio Studio”, era autonomo; la carica di rettore sarebbe stata associata all’ufficio di arciprete; al rettore era demandata la direzione dell’istituto, di per sé autonomo, con l’obbligo di comunicare alla corte di Napoli l’andamento dei corsi e il comportamento dei docenti, di sottoporre ad approvazione sovrana le nomine dei professori, di infor-mare circa il piano di studi adottato, il numero degli studenti, l’ammini-strazione economica e qualsiasi modifica nella didattica (Raucci 2003, p. 351).7 A Napoli Galiani era stato tra i fondatori dell’Accademia degli Studi Pubblici, detta anche Accademia della Scienza. L’abate si proponeva di svolgere una positiva opera di riabilitazione di Galileo Galilei e di divulga-zione delle opere di Gassendi e, coerentemente a ciò, di riformare l’ateneo partenopeo attraverso l’inserimento di cattedre sperimentali e l’apertura di nuovi settori di ricerca. Con il cambio di regime, vi fu un arresto della riforma ma Galiani, che restò cappellano maggiore, ripresentò il piano al nuovo re Carlo di Borbone nell’ottobre del 1735. Il programma, parzial-mente approvato dal re con dispaccio del 4 novembre, comportò, a fine novembre, l’abolizione delle cattedre ritenute inutili, affidando ai “miglio-ri ingegni” quelle di nuova istituzione (Ricuperati 1976, pp. 349-444). I progetti di riforma presentati da Celestino Galiani, andati perduti duran-

La fisica diventava sempre più popolare nei salotti e nelle corti, divertendo e istruendo con esperimenti spesso spetta-colari3. La fisica, oggetto di stupore e meraviglia, divenne molto popolare nel Settecento, preparando il terreno ai gran-di sviluppi che avrebbero caratterizzato il secolo successi-vo grazie anche ai nuovi trattati e alla vivace mobilità degli studiosi4.

In Italia, tra il secolo XVIII e il XIX, sorsero importanti Gabinetti di Fisica: a Padova nel 1738, a Torino intorno al 1721, a Bologna nel 1745, a Roma nel 1748, a Perugia nel 1759, a Pavia nel 1771, a Modena nel 1772, a Genova nel 1784, a Napoli nel 1813, a Urbino nel 1832.

I Gabinetti di Fisica erano delle raccolte omogenee di stru-menti scientifici per la ricerca e la didattica della fisica; que-sti strumenti avevano caratteristiche ben diverse tra di loro e solo alcuni permettevano di condurre esperimenti nuovi e di arrivare a scoperte innovative: è il caso, ad esempio, dei ge-neratori elettrostatici o delle pompe pneumatiche (o pompe da vuoto), sotto la cui campana di vetro si potevano effettua-re esperienze in aria rarefatta o eventualmente compressa.

La maggior parte degli strumenti scientifici che correda-vano i Gabinetti di Fisica, in realtà, erano squisitamente di-dattici, destinati a dimostrare e ripetere fenomeni all’epoca ormai ben noti nell’ambito della meccanica, dell’idrostatica o dell’ottica. Se, infatti, gli strumenti antichi avevano scopi essenzialmente pratici, quali la navigazione o l’agrimensura, strumenti come ad esempio termometri, barometri e pompe da vuoto erano invece “macchine fisiche” per l’osservazione dei fenomeni naturali e la dimostrazione delle leggi fisiche.

L’ausilio delle macchine fisiche a scopi dimostrativi era coerente col nuovo metodo di insegnamento della fisica che, alla fine del XVII secolo, fu introdotto presso le Università di Oxford, Cambridge, Londra e Leida. Gli apparati, tuttavia, si trovavano anche all’interno di veri e propri Gabinetti privati come quello dello zar Pietro il Grande, di lord W. Cowper a Firenze, di Laura Bassi a Bologna, del re Ferdinando II di Borbone a Napoli.

Se all’inizio, nelle università, le macchine fisiche furono di proprietà dell’insegnante di fisica sperimentale il quale, spesso, impartiva privatamente le sue lezioni, successiva-mente, le stesse macchine confluirono nei Gabinetti di Fisica universitari.

Un ruolo importante era anche quello svolto dal macchi-nista, un artigiano addetto alla manutenzione delle macchine

francese è del 1751) godendo di una vasta popolarità per tutto il Settecento.3 Nel 1740, ad esempio, fu scoperta la “bottiglia di Leida”, il primo con-densatore elettrico, proponendo di utilizzare dei generatori elettrostatici (strumenti costituiti da un cilindro, globo o disco di vetro messo in rota-zione e strofinato) corredati da un collettore metallico, molto più potenti dei semplici cilindri di vetro strofinati a mano utilizzati fino ad allora. Il successo fu clamoroso: furono pertanto proposte esperienze spettacolari: ad esempio, l’elettricità ottenuta per strofinio, grazie al generatore, veniva utilizzata per infiammare l’alcool contenuto in un cucchiaio.4 Di fondamentale importanza, a tal proposito, fu la proficua interazio-ne tra nuovi risultati teorici e applicazioni tecnologiche: la Rivoluzione Industriale, iniziata in Inghilterra nella seconda metà del Settecento, aprì una nuova fase nei rapporti tra scienza, tecnologia ed economia (Russo, Santoni 2010, pp. 226-283).

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Nel corso degli anni Ottanta, quel gruppo di studenti e pro-fessori che si dedicarono alle scienze matematiche piuttosto che alla filosofia e alla teologia furono l’anima della riforma degli studi universitari ad Altamura.

Il rettore de Gemmis presentò il suo programma a Ferdi-nando IV, sovrano illuminato che accolse la riforma presen-tata nel 1767 dall’abate Antonio Genovesi per l’ateneo par-tenopeo11, intenzionato a mettere al passo coi tempi le Regie Scuole di Altamura, pur consapevole dei limiti economici.

Nel giugno del 1784 vennero istituiti i corsi di Fisica Sperimentale, Botanica e Mineralogia: da sempre le lezio-ni universitarie si basavano sostanzialmente sulla lettura di manoscritti e libri da parte del docente e sulla stesura degli appunti da parte degli studenti; de Gemmis, invece, dispose che dalla lettura dei manoscritti si passasse alla distribuzione delle copie pubblicate da studiare, prevedendo che, alla fine dell’anno scolastico, i discenti stilassero delle dissertazioni relative a quanto studiato.

Fu poi istituita una biblioteca e lo stesso de Gemmis donò dei libri che mise a disposizione degli studenti, fornendo l’e-sempio per altri uomini colti della città: si formò, così, un consistente patrimonio librario, un vanto per una città uni-versitaria come Altamura.

I docenti presero ad incontrarsi e a riunirsi in riunione nel salotto del de Gemmis per discutere di didattica e di ag-giornamento delle metodologie d’insegnamento; progressi-vamente, a questi incontri parteciparono medici e avvocati, nobili e borghesi per confrontarsi su temi sociali, economici, politici, filosofici, ma anche di tecniche agricole e di riquali-ficazione del territorio12.

Il rettore poté contare sulla presenza di uomini altrettan-to illuminati, tra cui il vicario Vitangelo Bisceglia, sensibile all’impiego di nuove tecnologie, alla diffusione della cul-tura scientifica, insieme alle materie storiche, giuridiche ed ecclesiastiche; promotore degli studi di botanica, Bisceglia fu fondatore di un piccolo orto botanico, ad oggi non più esistente, ben documentato, però, dall’analisi delle lettere in-viate al vicario13.

11 La proposta di riforma avanzata dal de Gemmis ha molti punti in co-mune con quella del Genovesi (Bosna 1974, p. 98). Nell’ABMC, Fondo “Ottavio Serena”, cartella 4, si conserva un fascicolo con denominazione “Gaetano Filangieri” che comprende una cartella con brani di lettere inedi-te di Gaetano Filangieri al fratello e due lettere autografe datate 14 agosto 1784 e 30 agosto 1821: nella prima lettera, datata Cava, 14 agosto 1784, Filangieri comunica al fratello lo stato di spossatezza fisica e mentale cau-satogli dalla stesura della parte più difficile del suo piano di educazione.12 Un clima di maggiore apertura alle istanze della scienza moderna con-tribuì moltissimo a formare la nuova generazione degli altamurani, che non a caso si distinsero per la sensibilità e la capacità di accogliere proposte di riforma politica e sociale; nel 1799, anno della rivoluzione repubblicana, Altamura si distinse proprio per una spiccata maggiore coscienza politica, di autentico rifiuto dell’oppressione esercitata dal governo borbonico.13 Vitangelo Bisceglia (1749-1817) di Terlizzi, dopo gli studi in semina-rio, aveva seguito a Napoli il corso di Economia di Antonio Genovesi, con il quale intrattenne un fitto rapporto epistolare. Affascinato dalle raccolte degli orti botanici, Bisceglia coltivò la sua passione per le scienze naturali accanto agli studi storici; interessandosi di storia ecclesiastica, scrisse l’o-pera Difesa dei dritti e prerogative della real chiesa di Altamura contro le pretensioni del Vescovo di Gravina (Carabellese 1900).

Nominato rettore nel 1749, Cusani poté istituire la cattedra di Filosofia e Geometria e l’anno successivo quelle di Sacra Teologia, di Medicina e di Giurisprudenza Ecclesiastica e Civile8; i docenti candidati, da segnalare alla corte di Napoli, dovevano essere inattaccabili sia sul piano culturale sia su quello morale9.

Per la cattedra di Filosofia e Geometria, Cusani propose di nominare Giuseppe Carlucci, un professore altamurano di-stintosi per le doti intellettuali e per la capacità di mantenersi aggiornato10.

Destinato alla carriera religiosa, il Carlucci coltivò le scienze matematiche e filosofiche, procurandosi le opere di Galilei e di Newton e «per pruova del suo sapere in que-ste scienze scrisse una memoria dimostrando la certezza del moto della Terra intorno al Sole, rispondendo alle sciocche opposizioni, che allora si facevano» (Raucci 2003, p. 352).

La segnalazione del Carlucci per proporne la nomina al sovrano fu accolta con entusiasmo da monsignor Galiani, il quale ebbe modo di esprimersi sull’opera Ragionamento fi-losofico intorno al moto della Terra, scritta dal Carlucci nel 1766. Nel febbraio del 1749, quindi, il prof. Carlucci prese possesso della cattedra.

Per risolvere i problemi finanziari dell’ateneo, contravve-nendo per la prima volta apertamente alle disposizioni della Camera di Santa Chiara, Cusani chiese al sovrano di conce-dere un piccolo aumento di stipendio ai docenti. La richiesta non fu accolta e il prelato, amareggiato dal comportamento dei ministri nei confronti delle sue iniziative in seno all’uni-versità e alla Chiesa locale, nel 1752 lasciò l’arcipretura di Altamura.

I suoi successori decretarono la decadenza dell’ateneo e solo nel 1782, con l’assegnazione dell’ufficio arcipretale a monsignor Gioacchino de Gemmis, fu possibile farlo rina-scere. Egli, infatti, si impegnò nel rinnovare la programma-zione dei corsi e nel riorganizzare il piano di studi, cercan-do di conferire all’università un indirizzo di studi di taglio tecnico-scientifico.

te un incendio dell’ultima guerra, erano nell’Archivio di Stato di Napoli (ASN, Cappellania Maggiore, volume 34 e Carte Farnesiane, fasc. 1017).8 Di quest’ultima cattedra, Cusani fu il titolare: presso l’ABMC sono conservati quattro manoscritti di Cusani, dal titolo Institutiones Iuris Ci-vilis e, inoltre, nello stesso fondo vi sono le esercitazioni degli studenti (Raucci 2003, p. 351).9 Sui professori esiste un repertorio sugli scrittori altamurani (Sorrenti 1980, pp. 29-86). Altre notizie possono essere ricavate dal manoscritto Memorie di Luca de Samuele Cagnazzi di Luca de Samuele Cagnazzi, au-tobiografia dello scienziato conservato in: ABMC, Fondo “Ottavio Sere-na”, cc. 23r.-v.; cc. 41r.-42v.10 Così si esprime Luca de Samuele Cagnazzi sul Carlucci nel suo ma-noscritto, Notizie varie di Altamura. Raccolte, e scritte da me Luca de Samuele Cagnazzi l’anno 1839, conservato presso l’ABMC, Fondo “Mu-seo Civico”, fasc. 344, cc. 93-95; 102-103: «Il costante carattere di tale illustre uomo fu di somma giustizia, probità, ed umanità, che lealmente e apertamente gli mostrava coi fatti, opponendosi ben spesso a volgari o superstiziosi pregiudizi contro il buon senso, e contro ai suoi principii. E per questo lo rese qual Aristide odiato dagli ignoranti ed ipocriti, ma nonostante ciò fu generalmente amato da tutti» aggiungendo anche che «avea saputo superare l’ordinaria rozzezza e durezza di cuore del tempo e del paese, […] odiava la superstizione che si promoveva da sciocchi preti» (Raucci 2003, p. 352).

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cominciava con l’esplicare argomenti generali come le pro-prietà dei corpi, i fenomeni naturali e le relative leggi per poi potersi dedicare alla dinamica, alla meccanica, alla fisica dei solidi, all’idraulica.

Alla fine, esposti i principi, si sottoponevano delle verifi-che di studio agli studenti e a conclusione del ciclo di lezioni, questi dovevano scrivere dei sunti che a fine anno venivano rilegati in un unico testo: questo sistema di insegnamento doveva essere valido sia per le materie scientifiche che per quelle giuridiche e letterarie.

Con i moti del 1799, l’Università di Altamura subì una battuta d’arresto. Tra i rivoluzionari vi erano anche docenti e diversi studenti (Vicenti, Pupillo 1999; Jeva 2000, pp. 150-180; Pupillo 2000, pp. 89-150): dopo la tragica e gloriosa difesa di Altamura, durata nove giorni, quando il 10 maggio le bande del cardinale Ruffo entrarono nella città issando al posto dell’albero repubblicano la bandiera monarchica, il paese fu devastato; si rubò nelle case e tra le famiglie col-pite duramente dalle razzie ci fu quella di Cagnazzi: oltre a proprietà, beni, mobili, cose preziose, andarono persi «gran quantità di libri e macchine fisiche», così come testimoniato da una lettera dello stesso Luca de Samuele Cagnazzi del 20 aprile 1810 (Carabellese 1900, p. 114).

Nel periodo immediatamente successivo si instaurò un vero e proprio clima di terrore. Cittadini, tra cui alcuni pro-fessori che avevano prima promosso gli ideali repubblicani e poi aderito alla municipalità, finirono nella schiera dei so-spettati e furono interdetti dagli uffici pubblici per delitto di opinione: tra gli altri, anche Luca de Samuele Cagnazzi fu perseguitato e allontanato dalle Regie Scuole e lo stesso de Gemmis, accusato di aver partecipato ai moti insurrezionali, fu sostituito dal primicerio Girolamo Maffione di Bisceglie, incaricato di riportare ordine nell’ateneo.

Nel 1806, con il ritorno di monsignor de Gemmis, si ebbe una ripresa dell’attività didattica. Non potendo contare sull’aiuto dell’Intendente della Provincia di Bari per la rior-ganizzazione del piano di studi, il rettore poté chiedere solo quello degli altamurani: a causa delle enormi difficoltà eco-nomiche, tuttavia, nel 1812 fu decretata la fine ufficiale dei corsi e il successivo ritorno dei Borbone sul trono di Napoli contribuì, in larga parte, a vanificare la speranza di una rina-scita dell’ateneo16.

Solo verso la fine della prima metà dell’Ottocento, Ca-gnazzi, insieme al professor Gioacchino Grimaldi, propose al sindaco di Altamura di utilizzare le rendite del Monte a Moltiplico per istituire nella città un Gabinetto di Scienze. Ottenuta l’approvazione, i due professori si interessarono personalmente della scelta e dell’acquisto degli strumenti, riuscendo in poco tempo ad aprire il Gabinetto Fisico Mi-neralogico di Altamura: il nuovo laboratorio di scienze era composto da oltre 115 strumenti scientifici. Grimaldi si oc-

16 Di particolare interesse è la lettura dei numeri 4 e 9, entrambi datati 1884, della “Rassegna pugliese di Scienze, Lettere e Arti”, ove Ottavio Serena fornisce tra le prime e più importanti testimonianze edite «di un’an-tica Università degli Studi nelle Puglie» (Serena 1884a e Serena 1884b).

Altrettanto partecipe del programma di riforma del de Gemmis fu Luca de Samuele Cagnazzi, un ex studente dell’ateneo altamurano, chiamato inizialmente ad assiste-re l’anziano professore Carlucci nella cattedra di Filosofia e Geometria; ancor prima di essere inserito nell’organico, Cagnazzi aveva manifestato grandi capacità innovatrici, pro-ponendo una cattedra per un corso di Matematica che non prevedesse la sola Geometria piana14.

Pur essendo impegnato nell’ambiente universitario già dal 1785, Cagnazzi cominciò ad insegnare dal 1787, chiedendo subito al rettore di istituire un Gabinetto di Fisica per poter disporre di strumenti scientifici, essenziali per le dimostra-zioni. Egli, infatti, non ammetteva l’indottrinamento mera-mente teorico, pensando fosse molto più produttivo speri-mentare le scienze: la mancata esistenza dei registri relativi a tutto il rettorato di monsignor de Gemmis, tuttavia, non ci consente di sapere se gli strumenti furono acquistati o meno.

Il Cagnazzi, che nel frattempo scrisse la Memoria sulle curve parallele di Luca Cagnazzi con due lettere dello stesso riguardanti la detta memoria dirette al Signor D. Giuseppe Saverio Poli15, fornì di libri di carattere scientifico la biblio-teca universitaria; ebbe contatti con noti scienziati pugliesi, lucani, napoletani e stranieri che arricchirono la sua attività di ricerca e di studio.

Morto il professor Carlucci, Cagnazzi fu nominato titolare della cattedra di Filosofia. In attesa di dottorarsi a Napoli, ricevette nel 1790 la patente di Socio Nazionale della classe di Matematica: questo soggiorno gli consentì di accumulare e portare con sé nuove esperienze e nuovi stimoli, tra cui la sua raccolta di minerali, forse qualche strumento e importan-ti libri datigli dal naturalista padovano Alberto Fortis (1741-1803).

Tornato ad Altamura, Cagnazzi iniziò a insegnare Filoso-fia Naturale progettando di riformare il piano di studi che, inviato a Napoli nel 1791, prevedeva l’attivazione di nuovi insegnamenti ed assunzioni; riuscì a introdurre nel suo corso i principi della chimica e fu affiancato dal professore Paolo Ruggieri nella matematica e da un altro professore nella fi-sica.

I tre insegnanti si alternavano nelle lezioni e svolgevano il proprio programma seguendo la stessa metodologia: il do-cente stabiliva un ordine di discussione degli argomenti da trattare e preparava un libro di sui fondamenti della materia. Partendo dalle nozioni generali si passava, poi, alle lezioni specifiche per ogni argomento: per la fisica, ad esempio, si

14 Su Luca de Samuele Cagnazzi si veda, in particolare: Jatta 1887, pp. 939-941; Villani 1904, pp. 939-941; De Cesare 1913; Carano Donvito 1929; Pedrome 1952, pp. 3-10; Cutolo 1954, pp. 22-37; Stacca 1954, pp. 13-17; Sorrenti 1980, p. 39-41; Salvemini 1981; Raucci 2001, pp. 151-172. 15 L’opera fu scritta ad Altamura tra il 1787 e il 1789, poi consegnata a Pietro Napoli Signorelli, segretario dell’Accademia delle Scienze di Na-poli, nel 1789, ed edita dopo il 1794. (Raucci 2003, p. 357 ). Il medico e naturalista citato nell’opera del Cagnazzi, Giuseppe Saverio Poli (Molfetta 1746 - Napoli 1825), fu professore di fisica al “Collegio Medico degli Incurabili” a Napoli, viaggiò in diversi paesi d’Europa e raccolse materiale naturalistico costituendo un museo. Pubblicò memorie di fisica, meteoro-logia, geologia e zoologia, e l’opera Testacei delle Due Sicilie.

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metodologici nel campo dell’educazione. Tra questi, il già citato Luca de Samuele Cagnazzi il quale,

nell’anno accademico 1791-92, istituì un Osservatorio Me-teorologico e un Gabinetto per gli esperimenti di fisica17, convinto com’era dell’importanza dei laboratori, perché le scienze «si apprendono più con gli occhi che con le orec-chie» (Cafaro, Cornacchia, Quattromini 2011, p. 10) confer-mando di aver provveduto egli stesso a costruire gran parte delle apparecchiature.

L’arcidiacono Cagnazzi, infatti, fabbricò personalmente un rudimentale microscopio, alcune macchine elettroscopi-che e altri apparecchi per le esperienze elettriche, perfezionò gli strumenti di misurazione e realizzò una raccolta di mi-nerali, al fine di fornire ai giovani interessati alle scienze gli strumenti indispensabili per raggiungere un’adeguata prepa-razione18.

Non si dispone, purtroppo, di nessun documento originale in grado di descrivere il laboratorio, ma lo studio incrociato di fonti secondarie, in primo luogo il Discorso Meteorolo-gico dell’anno 1794 tenuto dal Cagnazzi e pubblicato nel “Giornale Letterario di Napoli” nel 1795 (Cutolo 1944, p.

17 Dalla Lettera dell’arcidiacono [Cagnazzi] a P. Bartolomeo Gandolfi delle Scuole pie PP. di Fisica nella Sapienza Romana, e Socio di varie illustri Accademie pubblicata nel “Giornale letterario di Napoli” del 14 febbraio 1798 risulta che il Gabinetto per gli esperimenti di fisica doveva essere dotato di «un corredo sufficiente di macchine per l’intiero corso di esperienze a giovani con qualche profitto» (Cafaro, Cornacchia, Quattro-mini 2011, p. 16).18 Sulle macchine del Cagnazzi: Raucci 2003, pp. 349-361; De Frenza 2005, pp. 82-88; Garuccio, Raucci 2007, pp. 119-122).

cupò, a titolo completamente gratuito, della custodia e della manutenzione delle apparecchiature fisiche.

Pochi anni dopo, il Gabinetto fu chiuso: della questione si interessarono diversi uomini di cultura e politici locali, tra cui il vice presidente del Consiglio Generale di Pubbli-ca Istruzione Saverio Baldacchini. Nel 1862, Grimaldi tornò nuovamente a occuparsi del laboratorio e all’atto di consegna dei beni e delle rendite del Monte a Moltiplico e del Gabinet-to Fisico Mineralogico venne allegato l’“Elenco delle mac-chine ed apparecchi e di altri oggetti esistenti nel Gabinetto Fisico Mineralogico di Altamura” (Raucci 2003, p. 361).

Nel 1865 il Gabinetto di Fisica dell’università di Altamura passò sotto la custodia del Liceo locale, ex Istituto Tecnico Ginnasiale: nasceva il Gabinetto di Fisica del Liceo classico “Cagnazzi”.

Nel corso degli anni, la raccolta primitiva è stata arricchita da apparecchiature moderne; anche se alcuni strumenti non esistono più, la parte superstite del nucleo più antico resta una validissima testimonianza del percorso delle scienze di una parte significativa del Mezzogiorno.

Il liceo classico “Cagnazzi” possiede e conserva oltre 250 strumenti scientifici databili fra il 1860 ed il 1900 (alcuni risalgono alla seconda metà del Settecento) utilizzati per l’insegnamento delle discipline scientifiche (Cafaro, Cornac-chia, Quattromini 2011).

La storia degli strumenti è legata ad alcuni illustri perso-naggi altamurani che, partecipi delle istanze di rinnovamen-to scientifico circolanti nel Regno di Napoli nel secolo dei Lumi, si fecero promotori di nuovi orientamenti didattici e

Un’antica immagine del liceo Cagnazzi di Altamura

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apparecchio di cristallo per la candela a gas idrogenato, due reti metalliche per la lampada di Davy e due palloncini di Bubresce; g) Elettromagnetismo, comprendente un telegra-fo elettro-magnetico con modifiche del professor Palmieri; un galvanometro, una calamita, due dischi di piombo e un apparecchio elettrodinamico d’Ampère; h) Magnetismo, con bussole e calamite di diversa fattura; i) Meteorologia, con due barometri e due igrometri, dei quali uno a cappello di Saussure così come modificato dal Cagnazzi; l) Astronomia, comprendente un sistema tellurio-planetario (con l’aggiun-ta della luna), due astrolabi, due orologi solari e due sfere armillari; m) Geodesia, comprendente un grafometro, due compassi, un quadrante graduato, tre semicerchi graduati e sei compassi di proporzione.

ABBREVIAZIONI

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56), consente di affermare che gli strumenti in uso erano i seguenti: barometri, igrometri di V. Chiminello e di H. B. de Saussure, termometri di Réamur, pluviometri, banderuole per le osservazioni meteorologiche; elettrometri a pagliuzze di Volta, generatori elettrostatici a disco verticale e conden-satori elettrostatici che, riproducendo alcuni fenomeni atmo-sferici, consentivano di effettuare altri esperimenti più spet-tacolari come, ad esempio, l’effetto luminoso di una scarica elettrica in un vuoto parziale.

Cagnazzi fabbricò anche delle lenti microscopiche con il torno e ne regalò alcune all’amico G. S. Poli; si interessò al «microscopio solare che ingrandiva prodigiosamente» (Ca-paccioli, Raucci 2011, p. 16) portato a Napoli nel 1834 per studiarne il meccanismo e costruirne uno simile.

Particolare attenzione fu riservata e alla chimica e alla fi-sica: Cagnazzi riteneva fondamentale analizzare le proprietà dei corpi al di là delle proprietà estrinseche ed apparenti, in-dagandone i principi e la struttura, dividendoli e ricompo-nendoli.

Gli avvenimenti del 1799 provocarono il declino dell’uni-versità di Altamura, nonostante alcuni professori continuas-sero ad impartire lezioni private presso la propria abitazione; gli stessi, probabilmente, si preoccuparono di trasferire in al-tre sedi quelle macchine fisiche risparmiate dalla furia delle truppe del cardinale Ruffo.

Si comprende, quindi, quanto sia prezioso il già citato Elenco delle macchine esistenti nel Gabinetto Fisico Minera-logico di Altamura: questo documento attesta che, all’epoca, il laboratorio possedeva il microscopio costruito dal Cagnaz-zi e l’igrometro a cappello modificato dallo stesso per perfe-zionare quello di Horace-Bénédict de Saussure. Quest’ulti-mo fu poi presentato all’Accademia dei Georgofili di Firenze nel 1801 e alla Reale Accademia di Scienze di Napoli nel 1819, così come attestato dalle “Considerazioni sugl’igro-metri colla migliorazione di quello di Saussure”, una me-moria di Luca de Samuele Cagnazzi letta all’Accademia dei Georgofili il 25 febbraio 1801 (Ib., p. 21).

Nell’Elenco, gli strumenti sono suddivisi in 12 gruppi così di seguito denominati: a) Statica e Dinamica, comprendente: una macchina di Atwood descritta come un «elegante mo-dello inglese di macchina composta di un sistema di puleg-ge, ed una vite perpetua» (Ib., 2011, p. 25) ed un’altra con un sistema di ruote dentate al posto della vite perpetua; una macchina «delle forze centrali e centrifuga» (Ib.) ; due va-sche idro-pneumatiche di cristallo; due piani di cristallo sme-rigliato per ottenere l’attrazione da contatto; b) Pneumatica, Idrostatica e Idrodinamica, con macchine e campane pneu-matiche; c) Calorico, con una eliopila, un pirometro, due lucerne ad alcool e tre termometri; d) Luce, con due cannoc-chiali (uno terrestre con l’obiettivo acromatico, l’altro detto “di Nairne”, senza obiettivo acromatico), cinque microscopi (tra cui quello fabbricato dal Cagnazzi) e diverse lenti; e) Elettricità e Statica, con due macchine elettrostatiche a disco di vetro, tre batterie di Leyda, due scaricatori elettrici, un elettroscopio di Henry e quattro pistole di Volta; f) Elettricità dinamica, con le pile; g) Elettrochimica, comprendente un

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