L'anatomia dei Bronzi di Riace -...

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di Mario Micheli e Massimo Vidale L'anatomia dei Bronzi di Riace L'endoscopia applicata alle cavità interne delle grandi statue bronzee del mondo antico ha consentito l'acquisizione di dati che rivoluzionano le nostre conoscenze sull'antica metallurgia greca e romana N el mondo antico le statue bronzee di grandi dimen- sioni avevano importanti valori estetici, ideologici e politici e, al contempo, erano una forma di capita- lizzazione della ricchezza. Gli scrittori greci e romani descrivono templi e re- cinti sacri affollati da centinaia di bron- zi - ritratti di divinità, di eroi, di atleti vincitori, ma anche oggetti rituali e fi- gure di animali con funzione votiva - molti dei quali creati da celebri scultori. A partire dal II secolo a.C., con l'e- spansione di Roma nel Mediterraneo e la formazione di grandi patrimoni pri- vati, alla committenza pubblica di tem- pli e comunità cittadine, tipica della Grecia arcaica e classi, si affiancò quella di facoltose famiglie. Ville e giar- dini si riempirono di statue rubate ai santuari e agli altri edifici pubblici delle città greche o di altre regioni del Medi- terraneo. Ben presto, per la crescente domanda e lo spirito di emulazione dei privati, i bronzisti iniziarono ad appli- care complesse tecniche di calco, neces- sarie a produrre statue in serie. Con la caduta dell'Impero romano, questo enorme patrimonio fu sistema- ticamente saccheggiato e avviato alla ri- fusione. Molte opere greche in bronzo sono note solo grazie a copie in pietra di età romana. Le statue greche origi- nali recuperate grazie al loro improvvi- so seppellimento o naufragio sono po- chissime e, di queste, solo il 5 per cento è in bronzo. Gli originali greci, quindi, hanno un enorme valore scientifico. Ipotesi sulle antiche tecniche di fusione Lo studioso tedesco Kurt Kluge, egli stesso scultore e fonditore in bronzo, aveva ipotizzato che la bronzistica gre- ca e romana si fosse evoluta dallo sta- dio della fusione in sabbia, propria del cosiddetto «stile severo» (VI secolo- inizi V secolo a.C.), alla fusione a cera perduta con metodo diretto in età clas- sica (V-IV secolo a.C.), e quindi alla variante indiretta in età ellenistica (fine del IV-II secolo a.C.). Queste idee, pubblicate tra il 1927 e il 1929, ri- masero a lungo indiscusse, in quanto Kluge e i tedeschi erano stati gli unici a occuparsi di tecnologia antica, in un ambiente dominato da interessi preva- lentemente estetici e stilistici. Nel 1955 venne dimostrato che l'Auriga di Delfi, su cui Kluge aveva basato la sua teoria della fusione in sabbia, era in realtà una fusione a cera perduta. Apparve ben presto chiaro che questa tecnica era l'unica a essere stata applicata nell'antichità. La se- quenza evolutiva proposta da Kluge per la storia della bronzistica venne scartata insieme con la sua errata ipo- tesi della colata in sabbia. Gli archeo- logi tornarono a chiedersi quando fos- se stato introdotta la fusione a cera perduta con metodo indiretto (si veda la finestra a pagina 74), la sola tecnica a essere ben conosciuta grazie all'ana- logia con le procedure contemporanee. Quale tecnica usavano gli antichi bronzisti greci? I dati archeologici indi- cano che procedure di fusione indiretta, che si servivano di stampi, erano in uso già a partire dall'VIII secolo a.C., ma solo per realizzare piccoli manufatti - sostegni, prese, applique, ornamenti - impiegati per la fabbricazione di oggetti assemblati, come tripodi o calderoni. Ma gli scavi eseguiti nelle antiche fon- derie di grandi statue non avevano re- stituito alcuna traccia degli stampi ne- cessari al metodo indiretto. In realtà, frammenti di stampi e di impronte compaiono solamente in età ellenistica e romana; anche le informazioni degli antichi scrittori citano l'uso di queste tecniche nella statuaria solamente a partire dalla metà del IV secolo a.C. Malgrado l'assenza di prove mate- riali, tra gli anni settanta e gli anni no- vanta alcuni archeologi e studiosi di tecnologia antica promossero l'idea che il metodo indiretto e la produzione mediante calchi fossero stati introdotti e ampiamente adottati già nel corso del V secolo a.C., e questa ipotesi go- dette largo credito. Ma l'idea di cerca- re indicatori tecnologici all'interno del- le cavità delle statue invece che sulla superficie esterna, oggetto di attenti processi di rifinitura, si fece gradual- mente strada, e si rivelò, alla lunga, decisiva. È a questa linea di ricerca, in- fatti, che dobbiamo una importante Nella pagina a fronte, il busto della statua A di Riace. Qui sopra, due momenti del microscavo dell'interno della statua B. Il braccio operatorio è inserito nella cavità del piede destro (in alto), i cui margini so- no protetti da gomma siliconica. La parte anteriore della pianta del piede è ancora parzialmente colma del tenone di piombo originario. Gli elastici applicati a interval- li regolari sulla gamba destra (in basso) indicano la posizione delle sezioni trasver- sali realizzate nel microscavo per docu- mentare le stratigrafie delle terre interne. revisione delle ipotesi correnti sullo sviluppo della metallurgia della statua- ria antica. Scrutare all'interno delle statue La storia dell'esplorazione interna dei grandi bronzi inizia con l'Efebo di Selinunte, in Sicilia. La sproporzione di questa opera era una vera cro- ce per gli storici del- l'arte. Il corpo appare infatti innaturalmente lungo, quasi deforme. Rubata dal Municipio di Castelvetrano, la sta- tua venne recuperata nel 1968. Gravemente danneggiata, essa fu og- getto di un nuovo re- stauro presso l'Istituto Centrale del Restauro di Roma. Su idea del direttore, Giovanni Ur- bani, e di un restaura- tore di genio, Alberto Di Maio, l'Efebo fu la prima statua di bron- zo esplorata all'interno con tecniche endoscopi- che. Con un boroscopio (cioè un endoscopio ri- gido ottico) Di Maio scoprì che la statua, do- po la costruzione, era stata tagliata in corri- spondenza del torace e della parte superiore delle gambe, dove, me- diante ricolata di bron- zo, vennero inserite tre fasce di allungamento. La sproporzio- ne della statua non era dovuta quindi all'ingenuità dell'artigiano, ma a un in- tervento tecnico intenzionale e com- plesso. La nostra ipotesi è che essa, a un certo punto della sua storia, sia sta- ta posta più in alto, e che l'allungamen- to si sia reso necessario per correggerne la deformazione ottica mediante un as- setto prospettico modificato. A partire dagli inizi degli anni ottan- ta si condussero in parallelo indagi- ni radiografiche ed endoscopiche delle 68 LE SCIENZE 372/ agosto 1999 LE SCIENZE 372/ agosto 1999 69

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di Mario Micheli e Massimo Vidale

L'anatomia dei Bronzi di RiaceL'endoscopia applicata alle cavità interne

delle grandi statue bronzee del mondo antico ha consentitol'acquisizione di dati che rivoluzionano le nostre conoscenze

sull'antica metallurgia greca e romana

N

el mondo antico le statuebronzee di grandi dimen-sioni avevano importanti

valori estetici, ideologici e politici e, alcontempo, erano una forma di capita-lizzazione della ricchezza. Gli scrittorigreci e romani descrivono templi e re-cinti sacri affollati da centinaia di bron-zi - ritratti di divinità, di eroi, di atletivincitori, ma anche oggetti rituali e fi-gure di animali con funzione votiva -molti dei quali creati da celebri scultori.

A partire dal II secolo a.C., con l'e-spansione di Roma nel Mediterraneo ela formazione di grandi patrimoni pri-vati, alla committenza pubblica di tem-pli e comunità cittadine, tipica dellaGrecia arcaica e classi, si affiancòquella di facoltose famiglie. Ville e giar-dini si riempirono di statue rubate aisantuari e agli altri edifici pubblici dellecittà greche o di altre regioni del Medi-terraneo. Ben presto, per la crescentedomanda e lo spirito di emulazione deiprivati, i bronzisti iniziarono ad appli-care complesse tecniche di calco, neces-sarie a produrre statue in serie.

Con la caduta dell'Impero romano,questo enorme patrimonio fu sistema-ticamente saccheggiato e avviato alla ri-fusione. Molte opere greche in bronzosono note solo grazie a copie in pietradi età romana. Le statue greche origi-nali recuperate grazie al loro improvvi-so seppellimento o naufragio sono po-chissime e, di queste, solo il 5 per centoè in bronzo. Gli originali greci, quindi,hanno un enorme valore scientifico.

Ipotesi sulle antichetecniche di fusione

Lo studioso tedesco Kurt Kluge, eglistesso scultore e fonditore in bronzo,

aveva ipotizzato che la bronzistica gre-ca e romana si fosse evoluta dallo sta-dio della fusione in sabbia, propria delcosiddetto «stile severo» (VI secolo-inizi V secolo a.C.), alla fusione a ceraperduta con metodo diretto in età clas-sica (V-IV secolo a.C.), e quindi allavariante indiretta in età ellenistica (finedel IV-II secolo a.C.). Queste idee,pubblicate tra il 1927 e il 1929, ri-masero a lungo indiscusse, in quantoKluge e i tedeschi erano stati gli unici aoccuparsi di tecnologia antica, in unambiente dominato da interessi preva-lentemente estetici e stilistici.

Nel 1955 venne dimostrato chel'Auriga di Delfi, su cui Kluge avevabasato la sua teoria della fusione insabbia, era in realtà una fusione a ceraperduta. Apparve ben presto chiaroche questa tecnica era l'unica a esserestata applicata nell'antichità. La se-quenza evolutiva proposta da Klugeper la storia della bronzistica vennescartata insieme con la sua errata ipo-tesi della colata in sabbia. Gli archeo-logi tornarono a chiedersi quando fos-se stato introdotta la fusione a ceraperduta con metodo indiretto (si vedala finestra a pagina 74), la sola tecnicaa essere ben conosciuta grazie all'ana-logia con le procedure contemporanee.

Quale tecnica usavano gli antichibronzisti greci? I dati archeologici indi-cano che procedure di fusione indiretta,che si servivano di stampi, erano in usogià a partire dall'VIII secolo a.C., masolo per realizzare piccoli manufatti -sostegni, prese, applique, ornamenti -impiegati per la fabbricazione di oggettiassemblati, come tripodi o calderoni.Ma gli scavi eseguiti nelle antiche fon-derie di grandi statue non avevano re-stituito alcuna traccia degli stampi ne-cessari al metodo indiretto. In realtà,frammenti di stampi e di improntecompaiono solamente in età ellenisticae romana; anche le informazioni degliantichi scrittori citano l'uso di questetecniche nella statuaria solamente apartire dalla metà del IV secolo a.C.

Malgrado l'assenza di prove mate-riali, tra gli anni settanta e gli anni no-vanta alcuni archeologi e studiosi ditecnologia antica promossero l'ideache il metodo indiretto e la produzionemediante calchi fossero stati introdotti

e ampiamente adottati già nel corsodel V secolo a.C., e questa ipotesi go-dette largo credito. Ma l'idea di cerca-re indicatori tecnologici all'interno del-le cavità delle statue invece che sullasuperficie esterna, oggetto di attentiprocessi di rifinitura, si fece gradual-mente strada, e si rivelò, alla lunga,decisiva. È a questa linea di ricerca, in-fatti, che dobbiamo una importante

Nella pagina a fronte, il busto della statuaA di Riace. Qui sopra, due momenti delmicroscavo dell'interno della statua B. Ilbraccio operatorio è inserito nella cavitàdel piede destro (in alto), i cui margini so-no protetti da gomma siliconica. La parteanteriore della pianta del piede è ancoraparzialmente colma del tenone di piombooriginario. Gli elastici applicati a interval-li regolari sulla gamba destra (in basso)indicano la posizione delle sezioni trasver-sali realizzate nel microscavo per docu-mentare le stratigrafie delle terre interne.

revisione delle ipotesi correnti sullosviluppo della metallurgia della statua-ria antica.

Scrutare all'internodelle statue

La storia dell'esplorazione internadei grandi bronzi inizia con l'Efebo di

Selinunte, in Sicilia. Lasproporzione di questaopera era una vera cro-ce per gli storici del-l'arte. Il corpo appareinfatti innaturalmentelungo, quasi deforme.Rubata dal Municipiodi Castelvetrano, la sta-tua venne recuperatanel 1968. Gravementedanneggiata, essa fu og-getto di un nuovo re-stauro presso l'IstitutoCentrale del Restaurodi Roma. Su idea deldirettore, Giovanni Ur-bani, e di un restaura-tore di genio, AlbertoDi Maio, l'Efebo fu laprima statua di bron-zo esplorata all'internocon tecniche endoscopi-che. Con un boroscopio(cioè un endoscopio ri-gido ottico) Di Maioscoprì che la statua, do-po la costruzione, erastata tagliata in corri-spondenza del torace edella parte superioredelle gambe, dove, me-diante ricolata di bron-zo, vennero inserite tre

fasce di allungamento. La sproporzio-ne della statua non era dovuta quindiall'ingenuità dell'artigiano, ma a un in-tervento tecnico intenzionale e com-plesso. La nostra ipotesi è che essa, aun certo punto della sua storia, sia sta-ta posta più in alto, e che l'allungamen-to si sia reso necessario per correggernela deformazione ottica mediante un as-setto prospettico modificato.

A partire dagli inizi degli anni ottan-ta si condussero in parallelo indagi-ni radiografiche ed endoscopiche delle

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Terre di saldatura del colloe delle braccia

di composizione anomala

Struttura a lastreconcentriche conasticelle verticali

carbonizzate

STATUA A STATUA B

Pettoralie spallesono realizzaticon pacchettidi lastre paralleleripiegate a U

Il torace èliscio, privo

diarticolazioni

volumetriche;il nucleointerno è

grossolano

Fasce di terradi saldaturadelle braccia: misceladi terra e gesso

Bracciosostituitoin etàellenistico--romana,con terra dicomposizionee strutturadiversa

.z27

Entrambele gambe

sono costruitea partire

da un'unica barrain ferro

Entrambele gambe

sono realizzatecon lastre preformate

concentriche

La gambadestra èmodellataa partire dadue barredi supportoin ferro

Fori di perno riempiticon strisce

di argilla verticalia sezione subtriangolare

Fori di pernoriempiticon striscedi argilla verticalia sezione sub-triangolare

-o

cavità interne di diverse statue, con ilduplice fine di caratterizzare lo stato diconservazione e la natura della materiametallica e di ricostruire le tecniche dimanifattura, correlando le tracce di su-perficie con i difetti di fusione interni.Quando studiammo la statua equestredi Marco Aurelio fu necessario applica-re l'indagine endoscopica a cavità nonaccessibili. Zampe e coda del cavallo,braccia e gambe dell'imperatore furonoesaminate nel 1981 con un endoscopioflessibile a fibre ottiche. Lo strumentoconsentiva l'osservazione di zone nonin asse con il foro di accesso dello stru-mento, superando percorsi tortuosi. Illimite era dato, come per i boroscopiottici, dal sistema di osservazione, li-mitato a un oculare utilizzabile da unoperatore alla volta, dalla tecnica didocumentazione, ancora di tipo foto-grafico, e dalla qualità dell'immagine,parzialmente compromessa dal reticolodelle fibre ottiche, che riduceva non po-co la definizione dei dettagli.

A partire dall'indagine sul MarcoAurelio importammo dalla medicina edal controllo non distruttivo industria-le alcune innovative tecniche endosco-piche. Nel 1985 fu avviata una ricercasull'uso della videoendoscopia; da po-co negli Stati Uniti era stata sviluppatauna nuova tecnologia per l'e-same di cavità che si avvale-va di sensori video in biancoe nero, di una sorgente stro-boscopica tricromaticae di un processore delsegnale video che ri-combinava le infor-mazioni a colori rea-li. Questo strumento,per la prima volta,consentiva la visionesu monitor e la vi-deoregistrazione in-tegrale delle cavitàinterne delle statue.Tra i casi studiati vifurono il Dioniso contirso dal Museo nazio-nale romano, l'Apollodalla casa del Polibio diPompei, il Pugilatore e ilPrincipe ellenistico del Mu-seo nazionale romano.

Quando le terre di fusio-ne - caso raro - sono con-servate, si presenta la pos-sibilità di distinguere il me-todo indiretto da quello di-retto mediante lo stu-dio della loro strati-grafia. Con ilmetodo diretto,infatti, l'animainterna è model-

Entrambele gambe

/ lifLa parte inferioredella gamba

ki‘it /

sono realizzate

concentrichepreformate

con lastre

è modellatacon un pacchetto ribh,di lastre parallele

Ricostruzione della struttura dell'animadi fusione delle due statue di Riace, conindicazione degli elementi costruitivi.

lata manualmente intorno a un pernoin ferro, il che consente di mantenereuna struttura composita, articolata inmasserelle sovrapposte o strati in cre-scita dall'interno verso l'esterno; con ilmetodo indiretto, invece, la terra puòessere applicata in masserelle all'inter-no delle lastre in cera, in crescita dall'e-sterno verso l'interno, oppure dai duelati delle valve formate dalle pareti incera. Se, come si è pensato a lungo, laterra di fusione fosse stata introdottain forma liquida, il nucleo argilloso in-terno avrebbe assunto un aspetto omo-geneo e amorfo. Nel caso del metododiretto, inoltre, ci si può attendere chele discontinuità di fase interne alla ter-ra (vuoti, porosità, minerali e fibre or-ganiche) assumano orientamenti paral-leli e regolari, mentre nel caso oppostogli assetti interni devono essere tenden-zialmente caotici. Per capire la tecnicacostruttiva di una statua bronzea, allo-ra, occorre «entrare» nel suo interno eosservarne l'anima di fusione prima ditrasferire la terra all'esterno, poiché l'e-

strazione distrugge la stratigrafia.

I Bronzi di Riace,«pazienti» speciali

Gli sviluppi successividell'esplorazione degliinterni delle statue in

bronzo sono legati aidue famosi Bronzidi Riace. Le duestatue - l'una, de-nominata A, datatada gran parte degli

studiosi intorno al460 a.C., l'altra, detta B,

al 430 a.C. - furono casual-mente recuperate tra il 21 e il22 agosto 1972 al largo diRiace Marina, in Calabria.Presso le statue non si trova-rono tracce certe di relitti, ele vicende della loro cadutain mare sono probabilmentedestinate a rimanere un mi-stero. Le statue, colme del-l'originaria terra di fusio-

ne, vennero traspor-tate a Firenze peril restauro. Nelcorso dell'inter-vento (1976-1981)i restauratori si re-sero conto che leterre interne, intri-

La parte inferioredella gamba

La parte inferiore

è priva

della gamba

della barra

è priva di barra

di supporto

di supporto

in ferroin ferro

epigastrica sonoaccuratamente

modellatesul torace

Le spallesono realizzate

con pacchettidi lastre parallele

ripiegate a U

/

Costole e arcata

La gamba sinistra èmodellata a partire

da un'unica barra disupporto in ferro

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Fusione in sabbia:la teoria di Kurt Kluge

se di sali, assorbendo umidità con l'at-mosfera, causavano intensi processi dicorrosione sulle pareti interne deibronzi; tentarono così uno svuotatnen-to totale degli interni. Poiché tutti rite-nevano che le statue fossero state rea-lizzate con il metodo indiretto, e che leterre di fusione, come avviene nellabronzistica contemporanea, fosserostate immesse in forma liquida o semi-liquida, non si pensò che valesse la pe-na di documentarne la stratigrafia.

Lo svuotamento delle due statueprocedette da piccole aperture sulle te-ste e soprattutto dai vuoti delle piantedei piedi, da cui erano stati rimossi glioriginari tenoni in bronzo. Allo scopofurono usate barre e tubi di acciaio,quindi bagni in acqua ossigenata e gettid'acqua compressa, che disgregavano inuclei terrosi. Si scavarono due galleriepassanti nelle gambe destre, mentre lesinistre, piegate in avanti, si rivelaronopiù impervie; venne rimossa buonaparte della terra dei toraci, insieme consegmenti delle originali barre interne inferro. Quando lo scavo, addentrandosinei toraci, perse la sua efficacia, le sta-tue vennero considerate vuote. Alla finedell'intervento, i bronzi iniziarono unmemorabile viaggio, tra folle affascina-te, verso la loro definitiva destinazione,il Museo di Reggio Calabria.

Nel 1984, l'Istituto Centrale per ilRestauro, allora diretto da UmbertoBaldini, iniziò un programma di inda-gini teso a stabilire il reale stato di con-servazione dei Bronzi di Riace. Il pro-getto diagnostico comprendeva una va-sta serie di indagini chimiche e fisiche eil controllo del microclima. Il 6 feb-braio 1986 i Bronzi di Riace vennerosottoposti a una ricognizione completadegli interni mediante videoendosco-pio. Le due statue risultarono ancoracolme di terra nelle gambe e, in parte,nel torace (in seguito, alla fine del no-stro intervento, avremmo estratto 56chilogrammi di terra di fusione dallastatua B e 72 dalla statua A). Poiché lapermanenza della terra nelle due statuecontinuava a causare pericolosi proces-si corrosivi dell'interno, progettammouna nuova fase di svuotamento.

Nel frattempo, in campo endoscopi-co si erano avute innovazioni rivolu-zionarie. Sostituimmo i vecchi videoen-doscopi con nuove telecamere di picco-le dimensioni (del diametro di soli 18millimetri) caratterizzate da ottiche in-tercambiabili e da un sensore CCD acolori con un numero di pixel confron-tabile con apparecchiature di dimensio-ni ben superiori. Iniziammo a speri-mentare le nuove telecamere applican-dole a diversi tipi di bracci articolabili acontrollo remoto, provvisti di monitor

Attività di microscavo delle terre di fu-sione delle due statue presso il Museoarcheologico di Reggio Calabria (a de-stra). Lo scavo, come nella chirurgia la-paroscopica, viene seguito su un moni-tor esterno. Un frammento di terra difusione estratto dal torace della statua.A(qui sotto) mostra i resti di un lungochiodo distanziatore in ferro, usato perfissare la parte esterna della forma (ca-micia) alla parte interna (anima) primadella colata bronzea. Si noti lo strato diarrossamento superficiale dovuto a ri-scaldamento. L'immagine in basso è unasezione sottile di un campione di terra difusione della statua B. Le due strutturescure allungate sono due fibre di proba-bile origine animale. L'orientamento pa-rallelo delle fibre indica che la terra difusione è stata costruita applicando l'u-na sull'altra lastre parallele o concentri-che. La parte superiore della sezionecorrisponde a uno strato di argilla più fi-ne utilizzato per le finiture superficialidel modellato.

Agli inizi del secolo lo studioso te-desco Kurt Kluge, archeologo

ed egli stesso fonditore, sostenneche le prime grandi statue bronzeegreche fossero fabbricate impron-tando entro matrici di sabbia modelliscolpiti in legno, e versando il bronzofuso negli stampi così ottenuti. Klugepensava che l'Auriga di Delfi, celebreopera della fine del VI secolo a.C., fos-se stata realizzata in questo modo.

Oggi sappiamo che l'ipotesi erasbagliata. Kluge, in quanto bronzista,si basava sulle sue esperienze e co-gnizioni - questa tecnica era ampia-

per l'osservazione dei terminali opera-tori all'interno delle statue. Grazie a unprovvidenziale finanziamento di Fin-meccanica, che ha contribuito costante-mente al progetto anche con i suoi tec-nici, presso il Museo calabrese si allestìun laboratorio per l'esecuzione dellosvuotamento. Ma i primi frammentiestratti dalla statua B mostrarono unastruttura interna a strati concentrici so-vrapposti, incompatibile con la teoriadella colata liquida. La rarità delle sta-tue e l'eccezionalità della conservazionedelle terre rendeva queste stratigrafieindicatori unici e preziosi degli antichiprocessi metallurgici. Decidemmo per-

mente usata dalle industrie del tem-po - ed era stato colpito dall'assettoverticale, quasi cilindrico, del corpo edel torace dell'Auriga di Delfi. La sta-tua gli appariva tecnicamente perfet-ta, ma arcaica e rigida. Da ciò, Klugeaveva dedotto l'uso di un grande mo-dello scolpito a partire da un unicotronco ligneo. La sua ipotesi, coeren-te col pensiero evoluzionista domi-nante, postulava un continuo pro-gresso tecnico dalla scultura su legnoa quelle su pietra e metallo e spiega-va la rigidità della figura con il tipo dimateria prima usata per il modello.

ciò di trasformare lo «svuotamento» in«microscavo», usando strumenti sno-dabili azionati, questa volta, dalla sen-sibilità della mano umana.

Fonte di ispirazione fu la chirurgiamini-invasiva endoscopica, che da po-chissimo era entrata nella routine medi-ca ospedaliera. Per capire quanto que-ste ricerche fossero innovative, si pensiche solo nel 1987, a Lione, PhilippeMouret aveva compiuto la prima abla-zione della cistifellea per via endoscopi-ca. Con la collaborazione determinantedi Vincenzo Calafiore iniziammo a spe-rimentare diversi tipi di strumenti arti-colabili dall'esterno. Si giunse così a

Microscavo dell'interno della statua B diRiace: le due barre in ferro parallele nellagamba destra, riprese con un boroscopio.

creare una serie di bracci meccanici adoppio snodo, con movimentazionecontinua tramite cavi d'acciaio interniazionati da una manopola unica postasull'impugnatura, in grado di azionaresimultaneamente, in modo graduale efluido, le due articolazioni. Partendodalle piante dei piedi, si poté così acce-dere a zone come le parti superiori dellegambe, le cavità delle ascelle e la partesuperiore delle braccia. Il terminale discavo, sull'estremità degli strumenti,era formato da una microtelecamera,da una fibra ottica e da un ablatore ul-trasonoro di tipo dentistico.

Segreti svelatiLe operazioni di microscavo e docu-

mentazione, condotte con GiuseppeSgrò e Irene Spuri, richiesero circa dueanni. Via via che il microscavo proce-deva, si registravano sezioni di tipoquasi tomografico, a intervalli medi di5 centimetri; il nostro archivio ne con-tiene circa 80, che documentano l'«a-natomia» interna delle due statue. Leoperazioni erano filmate (sono dispo-

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Microscavo dell'interno della statua B di Riace: vista dell'interno del torace, con le duecavità dei muscoli pettorali (in alto) e residui di terra di fusione in corrispondenza del-la schiena (in basso). Il foro circolare, sul fondo, è l'interno del collo. Nella pagina afronte, uno scultore lavora su una replica a grandezza naturale della statua A. Egli pre-para una scultura in plastilina, finita in ogni dettaglio, dalla quale trarrà dei calchi, perpoi procedere con la fusione a cera perduta con il metodo indiretto.

La fusione a cera perduta

nibili circa 80 ore di registrazione) e se-guite da una stazione informatica capa-ce di acquisire e rielaborare immaginidigitali. Solo così si poteva ottenereuna documentazione efficace, capacedi compensare il carattere inevitabil-mente distruttivo dell'intervento. Per laprima volta nella storia dell'archeolo-gia, si sono dunque studiati in dettagliola composizione e l'assetto interno del-le intere anime di fusione: nella rico-struzione, esse appaiono come due veree proprie «sculture» di terra cruda, i-dealmente liberate del guscio bronzeo.

La composizione chimica e mineralo-gica delle terre, studiata da GianniLombardi e Pierluigi Bianchetti, è abba-stanza simile per le due statue, indican-done la provenienza da un unico baci-no geologico, quasi sicuramente in ter-ritorio greco, ma da due microambientidiversi. Grazie alla precisione centime-trica consentita dal microscavo, abbia-mo scoperto in entrambe le statue terredi origine del tutto diversa. Il bracciodestro della statua B, che si sapeva es-sere stato sostituito in età ellenistico-ro-mana, contiene infatti una terra diffe-rente e, in contrasto con il resto dell'a-nima, è costruito con una tecnica amasserelle informi sovrapposte, compa-tibile con il metodo indiretto. Alle sal-dature è associata una miscela di terra egesso, ma nella statua A la terra usataper la saldatura delle braccia e del colloè completamente diversa da quella del-l'anima: essa presenta altissime percen-tuali di un raro fosfato di stronzio, cir-costanza ancora misteriosa. Forse i fon-ditori portavano con sé una specialeterra per la saldatura, o per qualchemotivo questa operazione fu eseguita inun luogo diverso da quello di fusione.

La tecnica costruttiva mediante so-vrapposizione graduale di lastre con-centriche ricorre, molto simile, nellegambe delle due statue. Le lastre eranopreformate appiattendo con un «mat-terello» una mistura di argilla limosa ealte percentuali di peli animali, che pro-babilmente agivano da rinforzo struttu-rale, un po' come nella moderna vetro-resina. I campioni estratti indicano chele lastre erano incollate l'una sull'altracon stesure di argilla liquida. Probabil-mente i modellatori seguivano regolegeometriche e proporzioni rigidamentedefinite: il conto del numero delle lastreera un espediente efficace. Strati di ar-gilla semiliquida erano probabilmenteapplicati a formare anche una «pelle»esterna, per regolarizzare i volumi. Latecnica delle lastre fu una sorpresa, an-che perché è del tutto ignorata dagliscrittori greci e romani. Alcuni aspettisono ancora inspiegati: per esempio, lacoscia sinistra della statua B include,

V

i sono due diversi metodi di fusio-ne a cera perduta, detti rispetti-

vamente «diretto» e «indiretto». Con ilmetodo diretto, una figura d'argilla -l'anima - viene plasmata su un'ossatu-ra interna in ferro o legno; i volumidella figura riproducono, su scala lie-vemente minore e senza dettagli,quelli del modello desiderato. Il mo-dello viene creato applicando sull'ani-ma essiccata un sottile strato di cera;su questa vengono poi tracciati o ap-plicati i dettagli superficiali, portandoil modello a finitura. Si mettono quindiin opera i canali per la colata del me-tallo e lo sfiato dei gas. Il modello incera, a sua volta, viene rivestito di stra-ti di terra, che costituiscono la formaesterna o «camicia». Anima e camiciavengono fissate l'una all'altra da unaserie di chiodi in ferro o bronzo che neimpediscono il disassamento. La for-ma così assemblata viene scaldata; ilmodello in cera si liquefa e fuoriesceda appositi fori; nell'intercapedine vie-ne colata la lega bronzea, che intrap-

pola e sigilla l'anima in terra. Un'im-

portante caratteristica dell'anticabronzistica greca e romana è la fusio-ne separata di parti come testa, brac-cia, mani, torace, gambe, che veniva-no poi assemblate mediante saldatureper sovrafusione. Spesso, come nel ca-so dei due Bronzi di Riace, gli artigianilasciavano la terra dell'anima di fusio-ne entro le cavità bronzee.

Con il metodo indiretto, viceversa,lo scultore plasma un modello in argil-la, portandolo a finitura nei minimidettagli. Da questo modello si ricava-no impronte negative in gesso o in ar-gilla. Entro questi negativi, la cera vie-ne applicata per colata, a pennello o informa di pannelli prefabbricati;le cere vengono poi ricomposte, ripro-ducendo così in positivo la superficiedell'intero modello di partenza, in unasorta di «guscio» di lastre di cera,internamente vuoto. Con il metodoindiretto, l'anima interna siottiene colando nel guscio formatodalle cere vuote materiale liquido, op-

tra gli strati concentrici, una serie diasticelle lignee poste a intervalli regola-ri, carbonizzate dalla colata metallica.

La gamba destra della statua B pre-senta due barre interne, mentre la sta-tua A, nella stessa posizione, ne ha unasola. In entrambe le opere, la parteinferiore della gamba sinistra, flessa inavanti, risulta priva di armatura in fer-ro. Questo arto era modellato a parte eapplicato al ginocchio mediante un ap-posito incasso. A volte le lastre concen-triche sono sostituite da pacchetti di la-stre parallele, come nella parte inferio-re della gamba sinistra della statua B.

pure applicando manualmente mas-serelle d'argilla. Si continua quindicon il procedimento a cera perduta,già descritto per il metodo diretto.

Mentre con il metodo diretto lamodellazione avviene in due fasi (lacostruzione manuale dell'anima in-terna grossolana, e quella del vero eproprio modello finito in cera), con ilmetodo indiretto lo scultore si con-centra sul suo originale in argilla,mentre sul guscio in cera riempita diterra vengono eseguite solo rifinitu-re. Il metodo indiretto, inoltre, a dif-ferenza di quello diretto, preserva al-l'esterno il prototipo originale cuil'artista può ricorrere per replicare lastatua, una sua parte, o addiritturaper procedere a forme di produzionein serie di statue uguali o simili. Il me-todo indiretto, in età moderna, di-venne il più comune, ed è l'unico chevenga oggi usato dai bronzisti.

Questa differenza potrebbe indicare ilcontributo di mani diverse nella realiz-zazione dell'anima della statua B.

All'interfaccia tra i toraci e le gambe,in tutti e quattro i casi, sono state messein luce strutture di insospettata com-plessità: serie di fori cilindrici con dia-metri di 5-6 centimetri, lunghi fino a10-12 centimetri, che sfondano le strut-ture concentriche. A nostro avviso, i fo-ri erano incassi per perni rigidi usati da-gli scultori per fissare le gambe ai tora-ci, in cerca dell'assetto più armonioso.Il fatto che i fori si sovrappongano gliuni agli altri indica che le operazioni diassemblaggio e distacco erano ripetutepiù volte, e che le anime di toraci egambe erano modellate separatamentee assemblate in un secondo tempo.

A volte i fori erano riempiti con ma-teriale terroso di varia consistenza,spesso associato a strisce di argillapreformate a sezione triangolare, conincassi posteriori a coda di rondine, cheservivano a innestare le strisce, entro ifori, l'una sull'altra. Queste strisce sonosimili a quelle usate dai ceramisti percostruire i vasi con la tecnica detta «acolombino». Probabilmente questa tec-nica permetteva di colmare i fori cilin-drici in modo preciso, evitando il for-marsi all'interno dell'anima di cavitàche, con la colata del bronzo fuso,avrebbero sprecato inutilmente metallo.

La precedente rimozione della terradai toraci non ci permette di osservarnein dettaglio la tecnica costruttiva, checomunque, almeno all'esterno, usavasimili lastre. Le spalle, sia in A sia in B,erano costruite mediante «pacchetti»di sottili lastre ripiegate a U.

Un altro dato che emerge chiaramen-te dal microscavo è la diversità stilisticadel modellato interno delle due statue.Nella statua A, che risente ancora degliechi dello stile «severo», il torace è piat-to e poco articolato. Buona parte dellamuscolatura e il delicato rilievo dellecostole evidentemente erano stati mo-

dellati solo in cera. Al contrario, nellastatua B, che molti accostano allo stiledel grande bronzista Policleto, sono ingrande evidenza la muscolatura dell'in-guine, realizzata con masserelle rego-larmente accostate, quella del ventre,realizzata con sfoglie sovrapposte, e irilievi delle costole. In questa statua,l'anima fu accuratamente modellata se-guendo precisi criteri anatomici, e la ce-ra fu applicata sotto forma di lastrepreformate ai rilievi del torace, quasicome una pelle. La selezione del mate-riale è in accordo con questa tecnica: lelastre interne sono porose e hanno tes-situra grossolana, mentre gli strati piùesterni usati per i rilievi muscolari sonofatti di argilla più fine, plastica e privadi porosità. Questi dati sono in accor-do anche con lo spessore medio delledue statue: circa 12 millimetri per lastatua A e 9 per la B.

La nostra ipotesi attuale è che duestrutture così complesse potessero es-sere costruite non inserendo la terra en-tro forme cave di cera, come richiede ilmetodo indiretto, ma modellando libe-ramente l'anima delle varie membra in-torno ai perni in ferro, secondo la tecni-ca diretta. Le conseguenze di questaipotesi sono importanti: a differenzadegli scultori moderni, Fidia e Policletonon lavoravano su modelli rifiniti in ar-gilla che sopravvivevano alla fusionedella statua, ma su originali in cera chevenivano distrutti con la fusione a ceraperduta. Le loro opere, in altre parole,non erano replicabili. Più che «artisti»,questi grandi scultori ci appaiono «arti-giani capi», coordinatori dei responsa-bili di vari compiti. Se la nostra teoria ècorretta, Kurt Kluge non aveva avutotorto nell'ipotizzare, per la grande sta-gione della bronzistica greca classica, ilmetodo diretto, e la sua integrazionecon le procedure per calco in età elleni-stica. Solamente il microscavo dell'in-terno di altre statue della stessa epocapotrà permettere le necessarie verifiche.

MARIO MICHELI è restauratore all'Istituto Centrale per il Restauro di Romae docente di teoria e tecnica del restauro dei manufatti archeologici all'Universitàdegli studi di Viterbo. MASSIMO VIDALE è archeologo all'ICR di Roma e si oc-cupa dello studio e della ricostruzione delle antiche tecnologie artigianali.

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