I bronzi di Riace · base a ciò, Moreno ha ipotizzato che i due bronzi di Riace appartenessero al...

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I bronzi di Riace I Bronzi di Riace, considerati tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica, sono due statue bronzee raffiguranti due uomini nudi, originariamente armati di scudo e lancia, divenuti simbolo della città di Reggio Calabria. Le statue sono oggi esposte al Museo Archeologico di Reggio Calabria, dove sono tornate nel dicembre 2013 dopo il restauro del museo, tutt’ora in corso. I Bronzi furono ritrovati nel 1972, in eccezionale stato di conservazione, sul fondo del mar Ionio, nei pressi del comune di Riace Marina, da un appassionato subacqueo durante un’immersione a circa 200 m dalla costa ed alla profondità di 8 m. Le ipotesi sulla provenienza, sulla datazione e sugli autori delle statue sono diverse. Risalenti probabilmente alla metà del V sec. a.C., si è supposto che i Bronzi fossero stati gettati in mare durante una burrasca per alleggerire la nave che li trasportava o che l’imbarcazione stessa fosse affondata con le statue. Un primo restauro avvenne negli anni 1975-80 a Firenze, dove, oltre alla pulizia e alla conservazione delle superfici esterne, si cominciò a svuotarne l’interno dalla terra di fusione originaria. I Bronzi di Riace sono alti 1,98 e 1,97 metri e pesano 160 kg. Raffigurano due uomini completamente nudi, con barba e capelli ricci, il braccio sinistro piegato, e il destro disteso lungo il fianco. Ambedue indossavano un elmo, impugnavano una lancia o una spada nella mano destra e reggevano uno scudo con il braccio sinistro, elementi smontati al momento dell’imbarco per permettere di adagiare sulla schiena le statue e facilitarne il trasporto. Originariamente erano ancorati alla loro base grazie ad una colatura di piombo fuso fatto fluire sia entro i piedi sia nell’incavo predisposto nella base stessa. Una volta solidificato, il piombo assunse la forma di tenoni che i restauratori dovettero asportare per penetrare all’interno della statua. Sulle due statue si possono affermare alcuni punti fermi: 1. Le due statue sono di bronzo, dallo spessore molto tenue, tranne alcuni particolari in argento, in calcite e in rame. Sono in argento i denti della Statua A. In rame sono stati realizzati i capezzoli, le labbra e le ciglia di entrambe le statue, oltre che le tracce di una cuffia sulla testa del Bronzo B. In calcite bianca è la sclera degli occhi, le cui iridi erano in pasta di vetro, mentre la caruncola lacrimale è di una pietra di colore rosa. 2. I Bronzi di Riace sono opere originali della metà del V secolo a.C., con somiglianze tra loro talmente evidenti da rendere sicura la loro ideazione e realizzazione da parte di un medesimo Maestro. 3. Il loro stile esclude la fattura attica, ma rimanda a stilemi dorici, propri del Peloponneso e dell’Occidente greco. 4. Riguardo alle differenze cronologiche notate da molti studiosi, non si può non riconoscere come, fatta eccezione per la zona addominale e per la resa del volto, il resto del corpo delle due statue sia sorprendentemente simile, con particolari che rendono certa la realizzazione a opera della medesima mano di artista. Tale osservazione porta a considerare coeve le due statue. 5. Le due statue sono state visibili per molti anni. In epoca romana il Bronzo B fu danneggiato: si determinò la rottura del braccio destro, del quale, fatto unico a nostra conoscenza, fu eseguita una seconda fusione dopo averne fatto un accurato calco. 6. Le due statue sono state certamente eseguite ad Argo, nel Peloponneso, come ha dimostrato l’esame delle terre di fusione eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. 7. Delle due statue, che pure sono state esposte molto tempo, non abbiamo copie in marmo, tranne una proveniente da Roma, ora al Museo di Bruxelles, in marmo pentelico, acefala e mutila di tutti gli arti. Il ritmo compositivo sembra quello della statua di Riace, ma la mancanza di tutti gli arti e della testa non ci pare possa avere tutti i crismi della sicurezza assoluta. 8. Le due statue raffigurano due opliti, anzi un oplita (Bronzo A) e un re guerriero (Bronzo B). 9. I due Bronzi di Riace sono stati eseguiti per essere visti insieme, essendo volutamente simili, se pure diversi. In quest’ottica, sembra poco probabile che un artista, nel dovere fare un gruppo di alcune statue, le facesse tutte simili, senza giocare sui diversi atteggiamenti dei personaggi raffigurati. 10. A queste certezza, ci sembra possa fare da corollario l’ipotesi che, trattandosi di un gruppo statuario posto ad Argo, come testimoniano le terre di fusione, esso abbia a che fare con il mito dei Sette a Tebe, narrato da molti poeti e tragediografi antichi, che si pone come il “mito nazionale” argivo, mentre altrove i sette condottieri non ricevettero mai un culto pubblico come eroi. Dettagli Statue ALTEZZA 1,98m PESO 160Kg PERIODO DI CREAZIONE L’analisi delle terre di fusione rimaste dentro le due statue dimostra che esse sono state ad Argo, nel Peloponneso, in Grecia. RITROVAMENTO Il 16 agosto del 1972, il fotografo romano Stefano Mariottini, a circa 200 m dalla costa e alla profondità di 8 m. trovò le due statue. Dopo alcune vicende, il recupero fu curato dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria, che si avvalse del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri di Messina. NOME SCIENTIFICO Polinice (Statua A) ed Eteocle (Statua B).

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Page 1: I bronzi di Riace · base a ciò, Moreno ha ipotizzato che i due bronzi di Riace appartenessero al monumento di Argo o alla sua replica di Delfi. Inoltre, Il bronzo A, detto il Giovane,

I bronzi di RiaceI  Bronzi di Riace, considerati tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica, sono due statue bronzee raffiguranti due uomini nudi,originariamente armati di scudo e lancia, divenuti simbolo della città di Reggio Calabria. Le statue sono oggi esposte al Museo Archeologico di ReggioCalabria, dove sono tornate nel dicembre 2013 dopo il restauro del museo, tutt’ora in corso. I Bronzi furono ritrovati nel 1972, in eccezionale stato diconservazione, sul fondo del mar Ionio, nei pressi del comune di Riace Marina, da un appassionato subacqueo durante un’immersione a circa 200 m dallacosta ed alla profondità di 8 m. Le ipotesi sulla provenienza, sulla datazione e sugli autori delle statue sono diverse. Risalenti probabilmente alla metà del Vsec. a.C., si è supposto che i Bronzi fossero stati gettati in mare durante una burrasca per alleggerire la nave che li trasportava o che l’imbarcazione stessafosse affondata con le statue. Un primo restauro avvenne negli anni 1975-80 a Firenze, dove, oltre alla pulizia e alla conservazione delle superfici esterne, sicominciò a svuotarne l’interno dalla terra di fusione originaria. I Bronzi di Riace sono alti 1,98 e 1,97 metri e pesano 160 kg. Raffigurano due uominicompletamente nudi, con barba e capelli ricci, il braccio sinistro piegato, e il destro disteso lungo il fianco. Ambedue indossavano un elmo, impugnavanouna lancia o una spada nella mano destra e reggevano uno scudo con il braccio sinistro, elementi smontati al momento dell’imbarco per permettere diadagiare sulla schiena le statue e facilitarne il trasporto. Originariamente erano ancorati alla loro base grazie ad una colatura di piombo fuso fatto fluire siaentro i piedi sia nell’incavo predisposto nella base stessa. Una volta solidificato, il piombo assunse la forma di tenoni che i restauratori dovettero asportareper penetrare all’interno della statua.

Sulle due statue si possono affermare alcuni punti fermi:

1. Le due statue sono di bronzo, dallo spessore molto tenue, tranne alcuni particolari in argento, in calcite e in rame. Sono in argento i dentidella Statua A. In rame sono stati realizzati i capezzoli, le labbra e le ciglia di entrambe le statue, oltre che le tracce di una cuffia sulla testadel Bronzo B. In calcite bianca è la sclera degli occhi, le cui iridi erano in pasta di vetro, mentre la caruncola lacrimale è di una pietra dicolore rosa.

2. I Bronzi di Riace sono opere originali della metà del V secolo a.C., con somiglianze tra loro talmente evidenti da rendere sicura la loroideazione e realizzazione da parte di un medesimo Maestro.

3. Il loro stile esclude la fattura attica, ma rimanda a stilemi dorici, propri del Peloponneso e dell’Occidente greco.4. Riguardo alle differenze cronologiche notate da molti studiosi, non si può non riconoscere come, fatta eccezione per la zona addominale e

per la resa del volto, il resto del corpo delle due statue sia sorprendentemente simile, con particolari che rendono certa la realizzazione aopera della medesima mano di artista. Tale osservazione porta a considerare coeve le due statue.

5. Le due statue sono state visibili per molti anni. In epoca romana il Bronzo B fu danneggiato: si determinò la rottura del braccio destro, delquale, fatto unico a nostra conoscenza, fu eseguita una seconda fusione dopo averne fatto un accurato calco.

6. Le due statue sono state certamente eseguite ad Argo, nel Peloponneso, come ha dimostrato l’esame delle terre di fusione eseguitodall’Istituto Centrale del Restauro di Roma.

7. Delle due statue, che pure sono state esposte molto tempo, non abbiamo copie in marmo, tranne una proveniente da Roma, ora al Museo diBruxelles, in marmo pentelico, acefala e mutila di tutti gli arti. Il ritmo compositivo sembra quello della statua di Riace, ma la mancanza ditutti gli arti e della testa non ci pare possa avere tutti i crismi della sicurezza assoluta.

8. Le due statue raffigurano due opliti, anzi un oplita (Bronzo A) e un re guerriero (Bronzo B).9. I due Bronzi di Riace sono stati eseguiti per essere visti insieme, essendo volutamente simili, se pure diversi. In quest’ottica, sembra poco

probabile che un artista, nel dovere fare un gruppo di alcune statue, le facesse tutte simili, senza giocare sui diversi atteggiamenti deipersonaggi raffigurati.

10. A queste certezza, ci sembra possa fare da corollario l’ipotesi che, trattandosi di un gruppo statuario posto ad Argo, come testimoniano leterre di fusione, esso abbia a che fare con il mito dei Sette a Tebe, narrato da molti poeti e tragediografi antichi, che si pone come il “mitonazionale” argivo, mentre altrove i sette condottieri non ricevettero mai un culto pubblico come eroi.

Dettagli StatueALTEZZA1,98m

PESO160Kg

PERIODO DI CREAZIONEL’analisi delle terre di fusione rimaste dentro le due statue dimostra che esse sono state ad Argo, nel Peloponneso, in Grecia.

RITROVAMENTOIl 16 agosto del 1972, il fotografo romano Stefano Mariottini, a circa 200 m dalla costa e alla profondità di 8 m. trovò le due statue. Dopo alcune vicende, ilrecupero fu curato dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria, che si avvalse del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri di Messina.

NOME SCIENTIFICOPolinice (Statua A) ed Eteocle (Statua B).

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La vera storia dei Bronzi di Riace di Laura Corchia Due atleti? Due guerrieri? Oppure due eroi? Ancora oggi l’identità delle due opere rinvenute nel 1972 al largo di Marina di Riace desta molta curiosità.

La soluzione dell’enigma potrebbe venire dagli studi condotti da Paolo Moreno, docente d’Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana all’Università di Roma Tre.

Fondamentale per Moreno è stato il restauro, che gli ha consentito di identificare gli artisti: Spiega il docente: «Le statue, infatti, erano piene di terra, la cosiddetta terra di fusione, che, impregnata da secoli di salsedine, stava mangiandosi le statue dall’interno». La terra è stata estratta passando dai fori nei piedi grazie a ablatori dentistici ad ultrasuoni, pinze flessibili, spazzole rotanti, tutti controllati da microtelecamere che inviavano su un monitor immagini dell’interno delle statue, ingrandite da tre a sei volte. «Analizzando la terra così estratta, si è scoperto che quella del bronzo A apparteneva alla pianura dove sorgeva la città d’Argo, mentre quella del bronzo B proveniva dall’Atene di 2500 anni fa, più o meno nello stesso periodo e soprattutto si è scoperto che le statue furono fabbricate con il metodo della fusione diretta, poco usato perché non consentiva errori quando si versava il bronzo fuso, infatti il modello originale era perduto per sempre».

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Questi dati tecnici hanno portato Moreno a fare il nome di Agelada, uno scultore di Argo che, a metà del V secolo a.C., lavorò nel santuario greco di Delfi, nel Peloponneso e forse ad Olimpia. Infatti il bronzo A assomiglia moltissimo all’immagine di Atlante in una metopa del tempio di Zeus a Olimpia, pare realizzata da Agelada. «Quanto al bronzo B, i risultati dell’analisi hanno portato all’ipotesi che a scolpirlo fu Alcamene, nato sull’isola di Lemno, che pare avesse ricevuto la cittadinanza ateniese per i suoi meriti d’artista».

Il docente ha poi analizzato il testo greco di Pausania, autore tra il 160 e il 177 d.C. di una vera e propria guida turistica dei luoghi e monumenti della Grecia. Il questo prezioso documento Pausania scrisse di aver visto nella piazza principale di Argo un monumento ai Sette a Tebe, gli eroi che fallirono nell’impresa di conquistare la città di Tebe, e ai loro figli (Epigoni) che li riscattarono ripetendo l’impresa con successo. Il gruppo di Argo comprendeva dunque circa una quindicina di statue di eroi, tutte provviste di elmi, lance, scudi e spade.

Di questi eroi restano pitture su vasi greci o copie di marmo di statue di epoca romana. In particolare, su un vaso ritrovato a Spina sono raffigurati i Sette di Tebe e gli Epigoni con le loro consuete pose e attitudini. In base a ciò, Moreno ha ipotizzato che i due bronzi di Riace appartenessero al monumento di Argo o alla sua replica di Delfi. Inoltre, Il bronzo A, detto il Giovane, potrebbe rappresentare l’eroe Tideo, il bronzo B, detto il Vecchio, raffigurerebbe invece il profeta guerriero Anfiarao. Entrambi parteciparono alla mitica disastrosa spedizione degli eroi di Argo contro Tebe (I Sette contro Tebe).

Il restauro ha messo in luce anche preziosi dettagli, come il rosso del rame per colorare capezzoli e labbra, le pietre colorate per rendere più naturalistici gli occhi, l’argento per realizzare la dentatura. «Quest’ultimo particolare, finora unico esempio nella statuaria classica», dice Paolo Moreno, «enfatizza bene l’espressione di Tideo, che non è per nulla sorridente come sembra. Il suo è invece un ghigno satanico e bestiale, simbolo della ferocia del guerriero capace di divorare il cervello del nemico tebano Melanippo: un orrendo atto di antropofagia che costò all’eroe l’immortalità promessagli da Atena».

Resta un ultimo enigma. Come hanno fatto i due bronzi superstiti ad arrivare nel mare della Calabria? «All’inizio s’ipotizzò che i due bronzi fossero stati gettati in mare dall’equipaggio di una nave in difficoltà per il mare grosso», dice Moreno. «Ma nelle campagne di rilevamento successive si ritrovò un pezzo di chiglia appartenuta a una nave romana di età imperiale». Si notò inoltre che le due statue erano state ritrovate vicine e affiancate, cosa impossibile se fossero state gettate in mare contemporaneamente. Il ritrovamento sembra invece tipico di una nave naufragata, disfatta nei secoli a causa delle forti correnti e dell’acqua marina. «Una nave quindi trasportava i bronzi di Argo», conclude Moreno. Soltanto due? «Non è detto. Forse la nave apparteneva a un convoglio che trasportava l’intero gruppo, la cui sorte è ancora sconosciuta».

Raffigurati nella posa a chiasmo, i due bronzi presentano una notevole plasticità muscolare e trasmettono una notevole sensazione di potenza. mentre il bronzo A si caratterizza per un maggiore vitalismo, il bronzo B assume una posa più calma e rilassata. Tuttavia, quest’ultimo presenta una particolarità: la testa più piccola, segno che all’origine potesse indossare un elmo.

Oltre alla tecnica di fusione, il restauro ha messo in luce altri aspetti rilevanti: “intorno al simulacro iniziale, il modello finale (prima del perfezionamento nei dettagli con la cera), fu realizzato sovrapponendo varie centinaia di strisce d’argilla, rese facili da manipolare perché vi erano stati mescolati peli d’animali. Era questo un modo di lavoro particolarmente difficile e lento, che però alla fine riusciva a far crescere nel modo voluto le masse del corpo e dei muscoli, come dimostrano le stratificazioni concentriche dell’argilla trovata nelle gambe e nel torace dei due Bronzi. Il materiale, argilla costituita da prodotti di disgregazione di rocce calcaree, recuperato dall’interno delle statue durante l’ultimo restauro (quasi 60 kg per statua), per la prima volta è stato conservato per restare a futura disposizione per approfondimenti tecnici.

Fonti:

I.s.i.s. Marchesi;

G. De Palma, I bronzi di Riace. Restauro come conoscenza, Roma 2003.