L'analisi della narrazione: aspetti teorici e di metodo

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Pier Cesare Rivoltella L'ANALISI DELLA NARRAZIONE: ASPETTI TEORICI E DI METODO [in R.Giannatelli, P.C. Rivoltella (a cura di), Teleduchiamo, Elledici, Torino-Leumann 1994] L'attenzione per la narrazione e per le sue forme è documentabile, a livello teorico, già a partire dall'illustre precedente della Poetica aristotelica ed attraversa un po' tutta la storia della poetica e della critica letteraria e spettacolare: le indicazioni, in tal senso, potrebbero essere numerosissime e ricavate dagli ambiti più disparati, dal dibattito delle teoriche teatrali cinque-secentesche alla riflessione classico-romantica nell'ottocento. Dal nostro punto di vista, cioè nella prospettiva di un'analisi decisamente formale e sistematica, i limiti temporali e di riferimento certo si restringono, consentendoci di risalire al massimo agli anni `50, ma non per questo ci semplificano il lavoro. Solo per citare i nomi più significativi, infatti, non si può non menzionare V. Propp, linguista ed appassionato di folklore, con cui questi studi hanno praticamente inizio. E dopo di lui riprendono ed approfondiscono le stesse ricerche sia etnologi come Levi-Strauss, che teorici della letteratura come Genette, Bremond, Todorov e Segre, od ancora linguisti (è il caso di Greimas ed Uspenskij) e sociologi, come Goffmann, o, in tempi più recenti, semiologi come Chatman o ermeneuti come Ricoeur. Evidente l'imbarazzo di chi si accosti a questo campo disciplinare. Come muoversi in questa selva di riferimenti? A quali rifarsi? E soprattutto come ricavare da essi una griglia di analisi praticabile? La strada che seguiremo, cercando di compendiare un'esigenza di semplificazione con il rigore che pure all'analisi è necessario mantenere, sarà di muovere dalla griglia di analisi proposta da F.Casetti e F. di Chio 1 , integrandola, quando opportuno, con spunti validi di altri teorici. Il tutto finalizzato a proporre un esempio di analisi della narrazione che mostri immediatamente in azione l'apparato teorico-metodologico abbozzato. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di annodare prima con cura i fili della riflessione. 1. L'analisi della narrazione: definizione e problemi 1F.CASETTI - F.DI CHIO, L'analisi del film, Bompiani, Milano 1990, pp. 164-213.

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Il contributo è contenuto in: R. Giannatelli, P.C. Rivoltella (a cura di), Teleduchiamo, Elledici, Torino-Leumann 1994, pp. 227-248.

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Pier Cesare Rivoltella

L'ANALISI DELLA NARRAZIONE: ASPETTI TEORICI E DI ME TODO

[in R.Giannatelli, P.C. Rivoltella (a cura di), Teleduchiamo, Elledici,

Torino-Leumann 1994]

L'attenzione per la narrazione e per le sue forme è documentabile, a livello teorico, già a partire dall'illustre precedente della Poetica aristotelica ed attraversa un po' tutta la storia della poetica e della critica letteraria e spettacolare: le indicazioni, in tal senso, potrebbero essere numerosissime e ricavate dagli ambiti più disparati, dal dibattito delle teoriche teatrali cinque-secentesche alla riflessione classico-romantica nell'ottocento. Dal nostro punto di vista, cioè nella prospettiva di un'analisi decisamente formale e sistematica, i limiti temporali e di riferimento certo si restringono, consentendoci di risalire al massimo agli anni `50, ma non per questo ci semplificano il lavoro. Solo per citare i nomi più significativi, infatti, non si può non menzionare V. Propp, linguista ed appassionato di folklore, con cui questi studi hanno praticamente inizio. E dopo di lui riprendono ed approfondiscono le stesse ricerche sia etnologi come Levi-Strauss, che teorici della letteratura come Genette, Bremond, Todorov e Segre, od ancora linguisti (è il caso di Greimas ed Uspenskij) e sociologi, come Goffmann, o, in tempi più recenti, semiologi come Chatman o ermeneuti come Ricoeur. Evidente l'imbarazzo di chi si accosti a questo campo disciplinare. Come muoversi in questa selva di riferimenti? A quali rifarsi? E soprattutto come ricavare da essi una griglia di analisi praticabile? La strada che seguiremo, cercando di compendiare un'esigenza di semplificazione con il rigore che pure all'analisi è necessario mantenere, sarà di muovere dalla griglia di analisi proposta da F.Casetti e F. di Chio1, integrandola, quando opportuno, con spunti validi di altri teorici. Il tutto finalizzato a proporre un esempio di analisi della narrazione che mostri immediatamente in azione l'apparato teorico-metodologico abbozzato. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di annodare prima con cura i fili della riflessione. 1. L'analisi della narrazione: definizione e problemi 1F.CASETTI - F.DI CHIO, L'analisi del film, Bompiani, Milano 1990, pp. 164-213.

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Cosa è narrazione? Le risposte a questa domanda, probabilmente sono infinite. Per economia metodologica ci limitiamo a due che ci sembrano suggestive di alcuni interessanti rilievi: quella di Segre, secondo cui la narrazione è "una realizzazione linguistica mediata, avente lo scopo di comunicare a uno o più interlocutori una serie di avvenimenti, così da far partecipare gli interlocutori a tale conoscenza, estendendo il loro contesto pragmatico"2, e quella di Casetti e di Chio che invece la intendono come "un concatenarsi di situazioni, in cui si realizzano eventi, e in cui operano personaggi calati in specifici ambienti"3. Riflettendo su queste due definizioni ci rendiamo conto di come esse siano, in un certo senso, tipologiche e richiamino la nostra attenzione su aspetti diversi ma ugualmente importanti del fatto narrativo. Ve-diamo quali. Anzitutto le due definizioni ci consentono di chiarire subito una intrinseca ambiguità della narrazione: essa può essere intesa sia come l'atto del narrare (definizione di Segre) che come il contenuto del narrare (definizione di Casetti e di Chio). E questo è un primo fatto da tenere in considerazione, almeno a livello di consapevolezza epistemica. Non solo. Le due definizioni affrontano la narrazione a partire da due differenti logiche cognitive, che sono poi le due prospettive a partire dalle quali qualsiasi discorso sulla narrazione può essere articolato. Parlare di narrazione come di un mettere al corrente qualcuno di qualcosa che è avvenuto significa, infatti, accostarsi al fenomeno muovendo da un punto di vista pragmatico. Nel narrare, secondo questo punto di vista, ciò che interessa è il passaggio di informazione, la mediazione comunicativa, la possibilità da parte di chi narra di interagire su un contesto di comunicazione. Più che l'organizzazione del narrato od il contenuto del narrare, in questa prospettiva, è il fenomeno linguistico, sociale e culturale che nel narrare si celebra a stare al centro dell'attenzione del ricercatore. Profondamente diverso, in questo senso, è occuparsi della narrazione come di un porre in relazione tra loro fatti accaduti ed individui che ne sono stati protagonisti. Al punto di vista pragmatico, in questo secondo caso, si sostituisce un nuovo punto di vista, che potremmo definire strutturale-sistemico. Evidentemente diverso l'approccio alla realtà della narrazione che da questo nuovo punto di vista consegue. Più che alla narrazione come fatto sociale e culturale, si guarderà infatti alle forme ed ai modi della sua organizzazione, alle strutture e ai modelli in base ai quali volta a volta essa si modula. Ancora, possiamo registrare un ulteriore elemento ricavabile da tutte e due le definizioni. Segre parla genericamente di una "realizzazione linguistica", Casetti e di Chio di una "concatenazione di eventi" senza chiarire di quale tipo di realizzazione linguistica o di eventi si tratti. Questo ci suggerisce almeno due osservazioni.

2C.SEGRE, Avviamento all'analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, p.265. 3CASETTI-DI CHIO, L'analisi..., p.165.

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Anzitutto la dimensione narrativa è qualcosa che può appartenere ad un testo (ogni testo è una "realizzazione linguistica") indipendentemente dal carattere diegetico o drammatico del testo stesso. La tradizionale scansione dramma/diegesi, intesa come la differenziazione tra il racconto e la performance, da questo punto di vista si può dire superata: ci può essere narrazione tanto nella forma della diegesi che nella forma del dramma, come non ci può essere in nessuno dei due casi. Segre è molto chiaro a questo proposito, e lo è muovendo dall'esempio di Aristotele4: "Esiste dunque un contenuto narrativo (una favola, per dirla con Aristotele) e la sua realizzazione, che può essere diegetica o no, può essere verbale ma anche non verbale o non solo verbale. Si può narrare una favola o la si può rappresentare..."5. Per intenderci, ha carattere e struttura narrativa Guerra e pace di Tolstoj, come La donna che visse due volte di Hitchcock; mentre la struttura narrativa può essere deliberatamente rifiutata o trasgredita tanto in un romanzo minimalista quanto in Aspettando Godot di Beckett o nei provocatori esperimenti cinematografici di Andy Warhol (si pensi a Empire o a The sleeper, riprese in tempo reale di situazioni in cui non succede assolutamente nulla). Più che espressione del racconto e del non-racconto, diegesi e performance diventano allora modi diversi di narrarare (o di non narrare): un narrare fabulatorio la prima, un narrare agito la seconda. E siamo alla seconda osservazione. Affermare che la narratività appartiene a qualsiasi "realizzazione linguistica" significa non solo estendere il suo spazio oltre i confini della diegesi, ma anche evitare di ridurla alla semplice dimensione verbale. A ben vedere, infatti, l'azione del raccontare si attribuisce tradizionalmente o all'aedo, al cantastorie, a livello di oralità, oppure, dopo l'avvento della scrittura e della diffusione del suo uso sociale, al libro. Ma è facile rendersi conto di come si possa raccontare qualcosa anche senza aprir bocca, cioè senza far ricorso alla codificazione linguistico-verbale. Come osserva sempre Segre: "Si può narrare una favola... con parole o con gesti (mimo) o con una strumentazione di parole, gesti, suoni, ecc. (film)" 6. Esemplificando, anche in questo caso, si può pensare a tutta la grande tradizione del mimo, dalle sue origini nel teatro greco-romano alle riprese cui è andato soggetto sulla scena teatrale e cinematografica contemporanea; ma anche la danza... racconta, e raccontano le titanomachie marmoree dei fregi del Partenone come le vetrate delle cattedrali medievali o il Giudizio Universale di Michelangelo... Ricapitolando, nella narrazione: 1. è opportuno distinguere il narrare dal narrato;

4Cfr. Poetica, 1459a, 18-25. 5SEGRE, Avviamento..., p.266. 6Ibidem.

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2. si può prestare attenzione alla comunicazione (aspetto pragmatico) o a ciò che viene comunicato (aspetto sistemico); 3. si deve distinguere il racconto agito dal racconto fabulatorio; 4. si deve distinguere il racconto verbale da quello non verbale. Ma quale prospettiva faremo nostra nel proporre una metodologia di analisi della narrazione? Nella impossibilità di affrontare il problema da più punti di vista ed in maniera esauriente diciamo che presteremo attenzione più al narrato che al narrare e di conseguenza il nostro approccio sarà più di tipo strutturale che di tipo pragmatico. A livello applicativo, poi, i testi cui faremo riferimento saranno soprattutto di tipo audiovisivo (ma questo non esclude la praticabilità del modello che elaboreremo anche a testi letterari). 2. Una griglia operativa Torniamo alla definizione della narrazione fornita da Casetti e di Chio: "La narrazione è di fatto un concatenarsi di situazioni, in cui si realizzano eventi, e in cui operano personaggi calati in specifici ambienti". Gli autori fanno notare come in questa definizione si possano individuare almeno tre elementi che qualificano da un punto di vista strutturale la narrazione: 1) qualcuno (o a qualcuno) 2) fa capitare (o capita) qualcosa 3) che produce dei cambiamenti. A questo qualcuno (e all'ambiente entro cui si trova ad agire) viene dato nome di esistente, il fatto che faccia capitare ( o gli capiti) qualcosa viene indicato con la categoria dell'evento, il prodursi dei cambiamenti, infine, è categorizzato nel concetto di trasformazione. In sostanza ogni narrazione si costruisce su degli esistenti, implica che vi si realizzino eventi, prevede il verificarsi di trasformazioni. E questo è quanto, tutto sommato, lo stesso Aristotele rileva analizzando la struttura della tragedia, quando osserva che:

Tragedia è opera imitativa di un'azione seria, completa, con una certa estensione, eseguita con linguaggio adorno, distintamente nelle sue parti per ciascuna delle forme che impiega, condotta da personaggi in azione, e non esposta in maniera narrativa, adatta a suscitare pietà e paura, producendo di tali sentimenti la purificazione che i patimenti rappresentati comportano 7.

Come si vede, c'è un'azione (l'evento, nella terminologia di Casetti-di Chio), condotta da dei personaggi (gli esistenti) che prevede uno svolgimento - finalizzato, in questo

7 ARISTOTELE, Dell'arte poetica, a cura di Carlo Gallavotti, Mondadori, Milano 1974.

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caso, alla provocazione di una partecipazione emotiva nello spettatore che sia in grado di produrre in lui un effetto catartico8. Dunque restano fissati gli elementi strutturali della narrazione: ma come è possibile sottoporli ad analisi? Quali strade risultano essere concretamente praticabili a questo riguardo? Casetti e di Chio propongono al riguardo un doppio itinerario, per così dire: un percorso in orizzontale, che muovendo dall'analisi degli esistenti e passando per l'analisi degli eventi giunge ad occuparsi delle trasformazioni che all'interno del racconto si verificano; ed un percorso in verticale, che invece individua la possibilità di articolare l'analisi di ciascuno dei tre momenti ad almeno tre livelli (definiti come fenomenologico, formale ed astratto), caratterizzati da un lavoro di progressiva formalizzazione ed impegnati a far evolvere l'analisi da un approccio psicologico-empirico ad uno formale-epistemico. L'intersecarsi dei due percorsi implica due conseguenze, una di carattere classificatorio, l'altra di ordine metodologico: a) anzitutto, la stessa categoria, verrà articolandosi secondo modalità differenti in rapporto al livello di analisi; così se in sede di analisi fenomenologica si parlerà di persone, comportamento e cambiamento, sul piano formale si parlerà, invece, di ruolo, funzione e processo e sul piano astratto, si utilizzeranno, infine, le sottocategorie di attante, atto e variazione strutturale; come a dire che la stessa categoria (il personaggio, supponiamo) si rende oggetto di analisi ora come personaggio, ora come ruolo, ora come attante, consentendo di portare in primo piano volta a volta aspetti differenti e comunque tutti di essa costitutivi; b) in secondo luogo, dal punto di vista metodologico, ne consegue la possibilità di articolare non uno, ma diversi percorsi di analisi, con la massima libertà ed in rapporto alle esigenze dello studio in corso; per esemplificare, sarà possibile svolgere un'analisi del personaggio a tutti e tre i livelli considerati, oppure un'analisi narrativa completa, ma solo sul piano formale, ecc. Un vincolo metodologico, da questo punto di vista, è di non ibridare l'analisi, cioè di mantenere per l'intera analisi il "taglio" metodologico scelto in partenza (senza "saltare" ad esempio dal piano fenomenologico a quello astratto). Tutto quanto siamo venuti dicendo è utilmente visualizzabile (cfr. TABELLA 1): sarà così possibile cogliere, anche graficamente, le diverse direzioni che il percorso di analisi può assumere.

8 Il problema della catarsi costituisce senza dubbio uno dei più interessanti temi teorici della riflessione drammaturgica occidentale. Per un approfondimento si vedano: A.CASCETTA, Alle origini della tragedia, in A.CASCETTA, a cura di, La tragedia inattuale, Vita e Pensiero, Milano 1986, p.41 ss.; P.C.RIVOLTELLA, La scena della sofferenza, in A.CASCETTA, a cura di, Forme della scena barocca, Vita e Pensiero, Milano 1993, pp.101-155.

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livello / elemento

personaggio

evento

trasformazione

fenomenologico

persona

comportamento

cambiamento

formale

ruolo

funzione

processo

astratto

attante

atto

variazione strutturale

Tabella 1 - Griglia ricapitolativa dell'analisi della narrazione Alla luce di tutto questo proviamo ora a vedere più da vicino in cosa consistano le diverse tappe dell'analisi, quali operazioni prevedano, prima di applicare l'intero modello, in conclusione, ad un testo narrativo per verificarne il funzionamento all'opera. Nel fare questo, lasciandoci guidare dal percorso descritto dai nostri due Autori, cercheremo di integrarlo con spunti provenienti da altre proposte analitiche e di mediarlo opportunamente in chiave didattica. 3. L'analisi del personaggio L'approccio metodologicamente più immediato e storicamente più consolidato al personaggio è quello che ci fa rapportare ad esso nei termini della dramatis persona, dell'individuo psicologicamente e socialmente qualificato. Tale approccio, come fa ben osservare Elam, consiste nella "visione "psicologica" e post-romantica del personaggio ancora vigente nella critica letteraria, che vede la dramatis persona come un insieme unificato, più o meno complesso, di tratti psicologici e sociali, cioè come una "personalità" piuttosto che una funzione della struttura drammatica"9. Concretamente esso consisterà, anzitutto nell'individuare all'interno dell'intreccio un congruo numero di personaggi ritenuti rilevanti per il posto che vi occupano, in secondo luogo nel rilievo, in margine ad essi, di alcuni elementi qualificanti. Si tratterà così di annotarne il nome, lo statuto sociale all'interno del mondo del racconto (figlio, gangster, amante, sposa tradita, ecc.) e le caratteristiche psico-fisiche (corporatura, comportamento vocale e gestuale, tratti di personalità, ecc.10).

9 K.ELAM, The Semiotics of Theathre anda Drama, London and New York, Methuen, 1980 (tr.it. Semiotica del teatro, Il Mulino, Bologna 1988, p.135. 10 Molti sono i criteri che a livello metodologico si possono indicare al fine di questa ricognizione fenomenologica sul personaggio: Richard Dyer, ad esempio (Stars, British Film Institute, London 1979), suggerisce di far riferimento ad una serie di marche di riconoscimento come il nome del personaggio, l'aspetto, gli oggetti ad esso riferiti, ciò che dice, i suoi gesti, l'azione. L'analista, in ordine a questo punto, può muoversi con la massima libertà, scegliendo di adottare una qualsiasi delle metodologie disponibili o di creare una propria griglia di elementi definitori del personaggio:

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Quando dall'attenzione per ciò che contraddistingue il personaggio nella sua identità (il profilo psicologico di Norman in Psyco di Hitchcock è unico ed irriducibile, come lo è quello del Carmagnola nell'omonima tragedia manzoniana) si passa a quella verso il ruolo che esso gioca all'interno della vicenda, scatta in questo cambio di prospettiva un processo generalizzante attraverso il quale quel personaggio perde i contorni che lo rendevano riconoscibile fra mille altri, per assumere un ruolo che è possibile riscontrare identico in pressoché tutte le strutture narrative (in questo senso, in quanto entrambi protagonisti della propria vicenda, Norman ed il Carmagnola rivestono lo stesso identico ruolo). Anche in questo caso all'indicazione di forma facciamo seguire delle prescrizioni concrete. Ci sembra di poterle sintetizzare nelle seguenti tre: anzitutto il ruolo d'azione globale11 del personaggio, che corrisponde alla classica coppia protagonista-antagonista ed indica la capacità del personaggio di orientare l'azione in un determinato senso; in secondo luogo, il suo ruolo come agente o paziente, che configura il personaggio o come colui che è responsabile dell'azione, o come colui che passivamente la subisce; infine, la sua possibile classificazione in uno stereotipo (è il caso dei racconti di genere, soprattutto) secondo coppie ormai codificate quali quelle di buono-cattivo, vittima-carnefice, ecc. E siamo al terzo livello di analisi, quello in cui il procedimento astrattivo (dal personaggio come persona al personaggio come ruolo) viene sostituito dal procedimento di formalizzazione (dal personaggio come ruolo al personaggio come funzione). A questo ulteriore livello il personaggio diventa un attante, cioè una struttura narrativa del racconto che, all'interno di esso, gioca una determinata funzione: tale funzione prende corpo in un certo tipo di relazione che esso intrattiene con gli altri attanti. Scegliendo, tra i tanti modelli attanziali disponibili, quello di Greimas12 è possibile individuare tre coppie attanziali, precisamente quelle di soggetto-oggetto, opponente-adiuvante, destinante-destinatario. Cerchiamo di vederle nel particolare. Soggetto e Oggetto

l'unico criterio che dovrà rispettare sarà quello della maggior completezza possibile. In ordine, poi, allo studio psicologico del personaggio, si possono vedere le bellissime analisi di Raymond Bellour (L'analyse du film, Paris, Albatros, 1979). 11 Il termine, come i due successivi, è di Elam. 12 Le ragioni di questa scelta sono soprattutto due: anzitutto il modello greimasiano è dinamico, cioè non si limita ad esibire la funzione del singolo attante ma la colloca all'interno del contesto narrativo indicando anche le sue relazioni con le altre strutture attanziali; in secondo luogo, è dotato di un elevato valore di universalità, cioè non risulta applicabile solo ad alcuni tipi di testi (come succede, ad esempio, per i modelli di Propp e Souriau, validi rispettivamente per la fiaba russa di magia e per i testi drammatici) ma, ingenerale, a qualsiasi testo dotato di struttura narrativa.

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L'asse Soggetto-Oggetto costituisce la direttrice diegetica principale di qualsiasi narrazione e si esprime sinteticamente col dire che c'è qualcuno che vuole realizzare/conseguire/raggiungere qualcuno (o qualcosa). In schema, semplicemente:

soggetto oggetto

Ma cosa sono Soggetto ed Oggetto? Il Soggetto (o Eroe) è colui che vuole raggiungere l'Oggetto, cioè è legato ad esso da una relazione di desiderio e che, proprio per questo, mette in atto determinati comportamenti (performance) al fine di conseguirlo. Questi comportamenti richiedono delle condizioni perché possano essere attuati: una condizione oggettiva, e cioè il fatto che qualcuno o qualcosa dia mandato al Soggetto di porli in atto, ed una condizione soggettiva, e cioè che il Soggetto sia in grado di tener fede a questo mandato (competence). L'efficacia del comportamento attuato, infine, è sanzionata o dal premio (il conseguimento dell'Oggetto) o dalla punizione. L'Oggetto (o Bene cercato), per parte sua, è contemporaneamente la meta ideale del desiderio del Soggetto e l'obiettivo reale dei suoi comportamenti. Sinteticamente, dunque: il Soggetto, sulla base di un mandato e della sua competenza, desidera e ricerca un Oggetto, che potrà riuscire o meno a conseguire. Adiuvante e Opponente Questo asse diegetico principale, che costituisce la struttura più scarna ed essenziale della fabula, si arricchisce di due assi di supporto che lo intersecano perpendicolarmente specificando ulteriormente le funzioni narrative che lo caratterizzano. Il primo di questi assi è quello che si organizza attorno alla coppia attanziale di Adiuvante ed Opponente e che si esprime sinteticamente col dire che c'è qualcuno che vuole realizzare/conseguire/raggiungere qualcuno (o qualcosa) e qualcuno lo aiuta, mentre altri lo ostacolano. In schema, semplicemente:

soggetto

oggetto

adiuvante opponente

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Facile intuire il ruolo che queste due nuove figure attanziali occupano. L'Adiuvante ha il compito di collaborare attivamente con il Soggetto perché riesca a realizzare il proprio mandato; l'Opponente, al contrario, che spesse volte nel corpo della narrazione viene a rivestire il ruolo di un vero e proprio Antieroe (il "cattivo" di tante fiabe o plot cinematografici) agisce in direzione simmetricamente opposta, ostacolando il Soggetto nelle proprie intenzioni. Ancora una volta, in sintesi, potremmo dire che l'Adiuvante collabora con il Soggetto nella ricerca dell'Oggetto, l'Opponente lo ostacola. Destinante e Destinatario E siamo al secondo asse, per così dire, ausiliario. Su di esso si dispongono i due ruoli attanziali del Destinante e del Destinatario. Il primo è il "punto d'origine dell'Oggetto"13, l'istanza che, da una parte può essere depositaria della competenza del Soggetto, dall'altra si pone a dispensatrice nei suoi confronti di premi o punizioni. Il Destinatario, invece, è colui cui il Destinante si rivolge, sia in quanto mandante, che in quanto dispensatore della sanzione (in questo senso nulla esclude che esso possa essere lo stesso Soggetto). Alla luce di questo terzo ed ultimo asse diviene allora possibile completare il quadro delle funzioni attanziali. In schema:

soggetto

oggetto

adiuvante opponente

destinante destinatario

Con questo si può dire che la nostra analisi del personaggio sia conclusa e diventa possibile occuparsi delle altre due variabili (eventi, trasformazioni) che abbiamo indicato come caratteristiche dell'universo narrativo. 4. L'analisi degli eventi

13 CASETTI, L'analisi..., p. 178.

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Il primo e più immediato livello al quale l'azione14 si organizza è il comportamento. Anche questo termine, come quello precedentemente focalizzato di persona, è mutuato dalla psicologia, in particolare dalla psicologia sociale. L'analogia di fondo che rende possibile il recupero è l'affinità profonda, ben evidenziata tra gli altri da Goffman, tra la società e l'universo del racconto in quanto entrambi sistemi di relazioni. Come in un sistema sociale l'individuo è chiamato a mettere in atto opportune strategie al fine di raggiungere la soddisfazione dei propri bisogni (condizionamento biologico), integrarsi al sistema (conformismo sociale) realizzare valori (motivazione valoriale), così, nel microuniverso sociale del racconto, il personaggio, che è depositario di un vissuto proprio, come abbiamo visto, si rende protagonista di una serie di atti, a breve o lungo termine, che gli consentano di attuare una dinamica analoga: "Gli uomini sviluppano dei sistemi di azione a lunga scadenza: essi vincono la resistenza delle cose osservandone le caratteristiche, modificandole ed inventando degli utensili. La loro azione crea delle condizioni nuove che danno vita a nuovi bisogni ed a nuovi fini che servono come sprone ad altro lavoro e ad altre invenzioni. Nel corso di tali attività gli uomini modificano l'ambiente circostante e, nello stesso tempo, modificano se stessi"15. Alla luce di questi rilievi, dunque, la descrizione del comportamento del personaggio nel testo dovrà consistere nella registrazione delle concrete modalità del suo agire all'interno del racconto. Si tratterà, allora, di fissare: il tipo di azione realizzata, specificando i caratteri di essa distintivi (volontaria, cosciente, singola, individuale,...) e il suo rilievo sociale, e cioè il peso da essa esercitato in funzione dell'adattamento sociale del personaggio (secondo il modello di Merton16 può rispondere a conformismo, innovazione, ritualismo, ritiro e ribellione17).

14 Casetti e di Chio distinguono l'azione, di cui ci stiamo per occupare, dall'avvenimento, facendo notare come gli "eventi si possano dividere in due grandi categorie, sulla base dell'agente che li provoca: se questi è un agente animato, si parla più specificamente di azioni; se invece l'agente è un fattore ambientale o è una collettività anonima, si parla di avvenimenti"(CASETTI - DI CHIO, L'analisi..., p.182). Semplificando abbiamo scelto di concentarci esclusivamente sull'azione, in quanto meglio caratterizzante l'universo narrativo. 15S.ASCH, Psicologia sociale, SEI, Torino 1963. 16R.K. MERTON, Social Theory and Social Structure, Free Press of Glencoe, 1957 (tr.it. Teoria e struttura sociale, Il Mulino, Bologna 1966). 17Per conformismo si intende il comportamento conforme agli schemi culturali ed agli atteggiamenti socialmente condivisi all'interno di un determinato organismo sociale. Quando questo comportamento viene attuato da un individuo particolarmente insicuro, può evolvere in ritualismo, cioè in quella forma di conformismo che sacrifica qualsiasi idealità ed aspirazione ad una routinaria ripetizione di gesti rassicuranti ("quello che ho mi basta", "chi me lo fa fare...", ...). Innovazione e ribellione, invece, dicono della messa in opera di un cambiamento. Il comportamento innovatore è quello dello scaltro, che cambia le regole del gioco al fine di trarne un vantaggio personale; il ribelle, invece, è il rivoluzionario, colui che con i propri atteggiamenti mira a sostituire alla struttura sociale vigente una struttura alternativa. In nessuno di questi atteggiamenti si può riconoscere quello di rifiuto, incarnato emblematicamente nel cinema dal personaggio di Charlot: "Il prototipo, nel cinema, è il personaggio di Charlot; egli rappresenta in un certo senso l'uomo medio del nostro tempo di fronte alla società urbana e tecnologica, diviso tra il timore di essere schiacciato se partecipa alla lotta e quello di cadere in una rassegnazione senza speranza se la rifiuta. Il vagabondo di Charlot è di grande conforto perché trionfa delle forze perniciose che fan lega contro di lui e ci fa

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Quando dalla descrizione del valore psicologico e sociale delle azioni del personaggio, necessariamente particolare, ci spostiamo a considerare la possibilità di una sua generalizzazione, non parliamo più del comportamento del personaggio, ma della funzione che esso svolge all'interno della narrazione. Il termine è tecnico ed è entrato nell'uso grazie al linguista russo V.Propp18, che è stato il primo teorico a fornirne una definizione - l'azione del personaggio in quanto descritta a partire dal punto di vista del significato che essa riveste in rapporto allo svolgersi della vicenda narrata - ed a stilare un elenco completo dei diversi tipi di funzione analizzando la raccolta di favole russe di magia curata da Afanàs'ev. Il lavoro di Propp, che gli ha consentito di rintracciare in tutti i testi riconducibili al genere "fiaba di magia" il ricorrere di trentuno di queste funzioni, ciascuna suscettibile di descrizione, denotazione ed indicazione formalizzata mediante un apposito segno convenzionale, non è evidentemente applicabile con sufficiente semplicità al nostro tipo di analisi. Più facile - ed efficace - sembra invece seguire Bremond19, il cui modello appare sicuramente più lineare. Lo si può ridurre, semplificando, a tre funzioni fondamentali che potremmo chiamare stato iniziale, modificazione dello stato iniziale, stato finale. La funzione intermedia, poi, a sua volta può essere intesa nel senso di un miglioramento o di un peggioramento. A questo schema, estremamente semplice possono essere ricondotte le grandi metafore che hanno caratterizzato i grandi racconti di tutte le epoche: così, l'occasione alla mutazione della situazione iniziale può essere offerta da una privazione, che assume la forma sia della mancanza iniziale che si tratta di colmare (I predatori dell'arca perduta di Spielberg), sia della sottrazione di qualcosa che si dovrà riconquistare (Qualcuno volò sul nido del cuculo di Forman); in seguito a questa privazione, poi, la vicenda può assumere la forma dell'allontanamento, cioè della separazione che dice anche di una ricerca del nuovo (Barry Lindon di Kubrick) e prender corpo nel viaggio, inteso come dislocazione fisico-geografica, ma anche come tragitto psicologico-conoscitivo (Paris Texas di Wenders). In questo viaggio-itinerario il protagonista potrà poi confrontarsi con divieti, obblighi, prove, passando attraverso i quali potrà rimuovere la mancanza iniziale, raggiungere il proprio oggetto, celebrare il proprio ritorno (Ulisse). Siamo così al terzo livello di analisi che ci riconduce al quadro attanziale disegnato da Greimas. Su questo piano non abbiamo più a che fare con comportamenti o con funzioni ma, in termini ancora più astratti, con atti , cioè, come dice Greimas, con "ciò che fa essere"20. Con questo sono già indicate le due forme fondamentali (enunciati elementari, li chiama Greimas) che gli enunciati narrativi possono assumere: si parlerà così di enunciati di fare e di enunciati di essere. I primi mettono

pensare che il rifuggire dalle ambizioni sociali sia il risultato di una scelta piuttosto che il segno di una sconfitta" (A.KARDINER, The Psychological Frontiers of Society, Columbia University Press 1945, tr.it. Le frontiere psicologiche della società, Il Mulino, Bologna 1973, p.369). 18V.PROPP, Morfologija skazki, 1928 (tr.it. Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1966). 19C.BREMOND, Logique du récit, 1973 (tr.it. La logica del racconto, Bompiani, Milano 1977). 20A.GREIMAS, Du Sens II. Essais sémiotiques, Editions du Seuil, Paris 1983 (tr.it. Del senso II, Bompiani, Milano 1984, p.65).

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capo ad una relazione di giunzione, che "è la relazione che determina lo "stato" del soggetto in rapporto ad un oggetto di valore qualunque"21, i secondi, invece, presiedono all'istituzione di relazioni di trasformazione, cioè rendono conto "di ciò che avviene nel passaggio da uno stato all'altro"22. Cerchiamo di vedere concretamente gli effetti che queste due forme di relazione comportano sull'analisi del racconto. La giunzione, anzitutto, va articolata nelle due forme ulteriori della congiunzione e della disgiunzione, a loro volta affermabili o negabili. Se, cioè, indichiamo con ∧ la congiunzione, con ∨ la disgiunzione e con ¬ la negazione, posto che S è il soggetto ed O l'oggetto, avremo le seguenti quattro possibilità: S ∧ O che esprime il possesso di O da parte di S ¬ (S ∧ O) che esprime la perdita di O da parte di S S ∨ O che esprime il fatto che S non ha mai posseduto O ¬ (S ∨ O) che esprime il fatto che S entra in possesso di O23. Se torniamo a considerare le grandi metafore della narrativa di tutti i tempi cui sopra abbiamo accennato - la mancanza, la perdita, ecc. - sarà facile osservare come esse siano trascrivibili, sul piano formale, proprio nei termini proposti dai diversi tipi di giunzione. Anche la trasformazione, come la giunzione, può essere formalizzata mediante la notazione mutuata dalla logica. Sempre seguendo Greimas, posto che S ed O indicano sempre il soggetto e l'oggetto, che → indica la trasformazione e date D1 e D2 come variabili proposizionali che indicano rispettivamente il Destinante ed il Destinatario, avremo due tipi di enunciati di fare: S → O D1 → O → D2 Un fatto risulta subito evidente: la trasformazione ingaggiata dal Soggetto implica un fare, ma questo fare, a sua volta, non può essere definito in maniera elementare. In particolare, come osserva Greimas, esso presuppone un essere (la competenza) e modalizza24 un essere (performanza). In altre parole, il fatto che S → O esige come condizione che S abbia la competenza per farlo, presuppone in S un essere capace di fare quello che sta facendo, ma anche comporta come effetto dell'atto che viene posto

21GREIMAS, Del senso II, p.68. 22GREIMAS, Del senso II, p.68. 23A margine si può far notare come logica proposizionale e semiotica discorsiva non si equivalgano nella valutazione dell'operazione logica della negazione: per la semiotica discorsiva, infatti, ¬ (S ∧ O) non equivale a S ∨ O, indicando ciascuna delle due proposizioni un diverso modo di S nel rapportarsi ad O. 24 Il concetto di modalizzazione traduce la funzione della reggenza tipica del verbo.

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lo stabilirsi di una nuova situazione, formalizzabile con: S ∧ O (ogni trasformazione, cioè, presuppone uno stato e ne produce un altro). A queste due modalizzazioni (la competenza è un essere che modalizza un fare, nel senso del saper fare, del voler fare, del poter fare; la performanza è un fare che modalizza un essere) ne vanno aggiunte, a completare il quadro, altre due: quella in cui l'essere modalizza l'essere (tipica della sanzione) e quella in cui il fare modalizza l'essere (mandato)25. 5. L'analisi delle trasformazioni Dopo aver preso in considerazione l'azione ed i suoi protagonisti, restano da considerare, per completare la nostra analisi, le trasformazioni che nell'universo narrativo questi personaggi in azione comportano. Seguendo ancora una volta lo schema di Casetti e di Chio, muoveremo da un esame fenomenologico delle trasformazioni per passare, poi, gradualmente a livelli di indagine sempre più astratti ed universali. Fenomenologicamente considerate, le trasformazioni ci si presentano nella forma dei cambiamenti subiti od agiti dal personaggio. Uno degli assiomi, infatti, già dei vecchi approcci strutturalisti al mondo della narrazione era di prendere in considerazione, nell'analisi del personaggio, il suo quadro psicologico all'inzio ed alla fine del racconto proprio per valutare le trasformazioni cui fosse andato eventualmente soggetto. Tali trasformazioni potranno interessare il carattere del personaggio od i suoi atteggiamenti e consentiranno all'analista di valutare se nel corso della vicenda esso sia andato descrivendo un percorso di maturazione, di crisi, di autochiarificazione interiore, ecc. Quando dal piano fenomenologico si passa a quello formale, anche il punto di vista da cui si considerano le trasformazioni cambia: non si parlerà più, così, di semplici cambiamenti, ma di processi, in quanto tali non riconducibili alle occorrenze particolari delle singole narrazioni, ma tipici dell'universo narrativo in senso proprio, qualsiasi forma esso possa assumere. Mutuando dai diversi modelli narratologici proposti è possibile pensare ogni storia come un itinerario in tre tappe che prima stabilisce un problema, in seconda istanza lo elabora ed infine lo risolve; l'insorgere del problema, solitamente coincide con la rottura di un equilibrio iniziale che di conseguenza deve essere ripristinato. Se lo stato di equilibrio viene nuovamente raggiunto si potrà leggere la storia in questione alla luce della categoria todoroviana del miglioramento; se non viene più raggiunto, anzi, se la storia è occasione del suo definitivo smarrimento, la categoria da utilizzare sarà invece quella del peggioramento. A questo proposito potranno tornare utili all'analisi alcune domande-chiave, come suggerisce David Lusted: Cosa è cambiato nel mondo della storia? Cosa è stato trasformato? Cosa è stato guadagnato o perso nel processo? Come hanno 25 Ci fermiamo qui nella nostra analisi, sebbene il discorso greimasiano sia molto più complesso ed articolato. Si vedano in proposito, nel già citato Del senso 2, i due saggi: Gli attanti, gli attori e le figure (pp.45-63) e Per una teoria della modalità (pp.65-88).

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modificato i personaggi le loro posizioni reciproche di status e di potere? Tutto questo potrà consentire di formalizzare i cambiamenti realizzati nella storia, venendo a capo delle trasformazioni generali cui esssa è andata soggetta. L'ultimo passaggio da compiere sarà di operare astrattivamente sui processi così individuati catalogandoli nelle variazioni strutturali corrispondenti. Seguendo Casetti e di Chio tali variazioni possono essere individuate nel numero di cinque, ciascuna rappresentabile mediante formalismo logico. Ci si potrà, così, trovare di fronte ad una storia che presenti la classica situazione narrativa di saturazione: in tale situazione, dato uno stato iniziale A, al termine della narrazione si perviene a questo stesso stato iniziale (A → A). E' questo il caso di tutti i plot (si pensi ai fouilleton o a tutte le storie a lieto fine) in cui già dalle premesse è possibile intuire a quali conclusioni si potrà arrivare, cosicché l'intreccio altro non diventa che l'occasione perché si possano esplicitare. Abbastanza simile a questa situazione è quella della stasi narrativa, in cui il passaggio da A ad A (A → A) va inteso non come esplicitazione di un implicito, ma come vero e proprio blocco dell'azione, rifiuto del mutamento (ne sono esplicito esempio i drammi di Beckett). Diverso è il caso dell'inversione, in cui l'intreccio è occasione non di conferma, ma di simmetrico rovesciamento di quanto annunciato nelle premesse della storia (A → ¬A). A questo tipo di variazione strutturale si può ricondurre tutta la tragedia classica, che proprio sul παρα την δοξαν, sul paradosso inteso come sovvertimento della logica abituale delle cose, è costruita26. Quando, invece, da uno stato iniziale A non si perviene né a questo stesso stato né al suo contrario, ma la situazione rimane aperta vuoi nel senso di un finale tronco (A → 0), vuoi nel senso di un finale aperto a tutte le possibili soluzioni (A → ?), si parla di sospensione. Infine, si parla di sostituzione quando la conclusione B dell'azione non sembra avere legami con la situazione iniziale A a partire dalla quale viene raggiunta (A → B). Con questo, seppur rapidamente, possiamo dire di avere esaurito la nostra ricognizione sulla metodologia dell'analisi narrativa di un testo. Si tratterà ora di raccogliere in sintesi in una griglia operativa tutte le notazioni fino a questo momento emerse. Tale griglia verrà fatta infine funzionare quale strumento d'analisi di un testo narrativo: in tal modo il momento della elaborazione teorica troverà la sua logica conclusione nell'applicazione operativa, chiarificandosi, crediamo, nei suoi momenti più impegnativi27.

26Per un'analisi della tragedia classica costruita proprio sulla centralità della categoria del paradosso intesa nei termini accennati si vedano i contributi di Alexander Nicev: L'enigme de la catharsis tragique dans Aristote, Sophia, Editons de l'Academie Bulgare des Sciences, 1970; La catharsis tragique d'Aristote, Nouvelles contributions, Sophia, Editions de l'Université de Sophia "Kliment Ohridski", 1982. 27 Esempi di analisi analoghi a quello che stiamo per fornire si possono trovare in CASETTI-DI CHIO, L'analisi..., dove gli Autori conducono una bella analisi narrativa di Ombre rosse di John Ford, e in SEGRE, Avviamento..., pp.111-118, in cui viene sottoposta ad analisi la famosa novella di Andreuccio da Perugia.

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livello / elemento

personaggio

evento

trasformazione

fenomenologico

persona nome statuto sociale caratteristiche psico-fisiche

comportamento tipo d'azione rilievo sociale

cambiamento quadro psicologico carattere atteggiamento

formale

ruolo ruolo d'azione globale agente/paziente stereotipo

funzione stato iniziale modificazione stato finale privazione, viaggio, ecc.

processo equilibrio rottura dell'equilibrio

astratto

attante

atto giunzione trasformazione

variazione strutturale saturazione stasi narrativa inversione sostituzione sospensione

Tabella 2 - Griglia ricapitolativa dell'analisi della narrazione 6. Un esempio di analisi: La giara di Luigi Pirandello L'esempio d'analisi che abbiamo scelto di elaborare riguarda una novella famosissima di Luigi Pirandello, La giara28, interessante sia perché la sua brevità ne consente un'analisi rapida, anche se attenta, sia perché fatta oggetto di riduzione cinematografica dai fratelli Taviani che vi hanno dedicato uno degli episodi del loro film Kaos. Proprio per questa duplice matrice, letteraria e cinematografica, cercheremo nell'analisi di tenere in considerazione sia l'originale letterario che la sua riduzione cinematografica. Il mondo dei personaggi: una dialettica complessa

28Pubblicata già il 20 ottobre del 1909 sul Corriere della Sera, poi comparsa nel 1928 a dare il titolo al volume delle Novelle per un anno di cui fa parte, La giara fornì a Pirandello anche lo spunto per trarne una riduzione teatrale, pubblicata da Bemporad a Firenze nel 1925 ma già rappresentata in prima nazionale a Roma, al Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo Musco il 9 luglio del 1927.

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Tre sono di fatto i personaggi che, nel racconto di Pirandello e nel film dei Taviani, popolano l'universo narrativo: don Lollò Zirafa, Zi' Dima Licasi e la folla dei lavoranti, dei popolani, delle donne e dei bambini che si ritagliano sullo sfondo della vicenda di cui essi sono protagonisti funzionando ad un tempo da scenario naturale (si parlava in introduzione di ambiente) e da vero e proprio catalizzatore di tutta la narrazione. Cerchiamo di dirne qualcosa ai diversi livelli che abbiamo individuato per l'analisi. Don Lollò, innanzitutto. Un uomo alto e secco, ben caratterizzato da un Ciccio Ingrassia in grande spolvero che sa visualizzarne magistralmente i tratti somatici e di personalità: "gli occhi lupigni", le "guance rase" insidiate dalla "barba prepotente" che rispunta dopo la rasatura, il "cappellaccio bianco" calcato sulla fronte e sulla nuca con tanta energia da staccarsene poi a fatica. Il suo status sociale è quello del ricco latifondista del sud, abituato a comandare e pronto a difendere i propri averi con le unghie e coi denti, tra una bestemmia e una minaccia. Una figura tipica, ben riconducibile allo stereotipo tante volte frequentato dalla narrativa mondiale del ricco avaro, con le sue fobie e le sue ossessioni. Gli fa da antagonista Zi' Dima, "un vecchio sbilenco, dalle giunture storpie e nodose, come un ceppo antico d'olivo saraceno". Anche in questo caso la scelta dei Taviani si dimostra azzeccata: Franco Franchi, spalla naturale di Ciccio nell'immaginario culturale dello spettatore, gioca alla perfezione la propria complementarietà rispetto a lui anche all'interno del film. E tuttavia rovesciando, per così dire, l'abituale gioco delle parti: infatti tanto è chiassoso ed irrequieto don Lollò, tanto Zi' Dima è silenzioso, non si sa se per tristezza indotta dal suo corpo deforme o per "sconfidenza" nei confronti di tutti, a difesa gelosa del proprio segreto. Come splendidamente osserva Pirandello: "Per cavargli una parola di bocca ci voleva l'uncino"! A chiudere la simmetria delle due figure, si può certo osservare come anche Zi' Dima si possa inquadrare in uno stereotipo, che è senz'altro quello dell'arguto, di chi si serve del proprio ingegno per avere la meglio sulla prepotenza, il denaro, il potere. Detto questo risulta subito chiaro anche quale sia il gioco dei ruoli che tra i due personaggi si innesca: un gioco, lo anticipiamo, decisamente dialettico. Infatti don Lollò, da protagonista responsabile dell'azione e capace di catalizzarla quale si presenta all'inizio della novella, diventa antagonista e paziente alla fine, quando è Zi' Dima, inizialmente succube della sua azione, a proporsi quale vero protagonista agente. Una struttura a chiasma, dunque, in cui dialetticamente il signore diviene servo ed il servo signore. Tutto questo diviene ben rappresentabile se ci sforziamo di pensare questi ruoli d'azione in termini più astratti organizzandoli nello schema attanziale di Greimas. Qui il discorso diviene articolato. Infatti risulta subito chiaro come non sia unico il modello attanziale elaborabile a partire dai due personaggi precedentemente individuati.

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Un primo modello infatti si ottiene riconoscendo a Don Lollò il ruolo di protagonista agente della vicenda. In questo caso Don Lollò (Soggetto) per riparare la giara, inavvertitamente spaccata in due parti (Oggetto), ricorre ai servizi di Zi'Dima Licasi (Adiuvante), nei confronti del quale funge anche da mandante, sia affidandogli il compito di riparare la giara, sia disponendosi a dispensatore della sanzione per il lavoro eseguito (in un primo tempo positiva, poi, dopo la scoperta che Zi'Dima è rimasto chiuso nella giara, negativa!). Alternativo a questo primo modello è quello in cui è Zi'Dima ad essere pensato quale protagonista agente della vicenda: in questo caso il "conciabrocche" (Soggetto e Destinatario dell'azione) riceve mandato da Don Lollò (Destinante) di aggiustare la giara, consentendogli di mettere alla prova il suo mastice miracoloso (Oggetto). Lo stesso Don Lollò, in questo secondo schema, funge poi anche da opponente all'azione di Zi'Dima esigendo da lui i "punti" alla brocca, cioè impedendogli di realizzare il proprio obiettivo. Sullo sfondo di questa dialettica, come già abbiamo anticipato, si ritaglia la folla anonima dei lavoranti di Don Lollò, vero e proprio protagonista della vicenda, come di tutta l'arte pirandelliana, se per un momento tralasciamo il filo rosso della nostra indagine narratologica per raccogliere in sintesi alcune riflessioni di carattere ideale. Come diceva bene Massimo Bontempelli: "L'umanità del mondo pirandelliano è veramente - per servirmi d'una parola venuta in grande uso alcuni anni più tardi, cioè con la guerra - massa". Una massa in cui lo scrittore siciliano trova concretizzata quella "smania di vivere", quella vitalità istintiva che fa da sfondo alla grande letteratura europea del periodo, quella di Joyce e Proust per fare i due nomi più significativi. La logica degli eventi Se ora abbandoniamo l'analisi dei personaggi per occuparci dei comportamenti che essi sanno far scattare nell'economia della narrazione, ci rendiamo subito conto di come la dialettica polarizzata nelle due figure di Don Lollò e Zi'Dima si esprima in una corrispondente dialettica dell'azione. Tale dialettica è possibile leggerla nei termini di un conflitto tra conformismo e innovazione che si organizza ad almeno due livelli di senso, l'uno più universale dell'altro. Anzitutto, sul piano delle relazioni individuali, il racconto contrappone a Don Lollò, nevroticamente attaccato alle proprie ricchezze e preoccupato di mantenerle29, Zi'Dima, nativamente entusiasta della propria creazione ed ansioso di vederla all'opera: uomo del dovere il primo, pragmaticamente fermo alla logica dei fatti, uomo dell'ideale il secondo, utopicamente lanciato dietro alle proprie aspirazioni. Questa prima dialettica, ad un livello ulteriore, cessa di farsi leggere solo nei termini della contrapposizione tra due caratteri individuali ed implica il riferimento alle istanze sociali che essi sono in grado di portare in gioco. Così la preoccupazione di Don Lollò per i propri beni 29 Una preoccupazione questa che prende corpo in una clinica coazione a ripetere rintracciabile nel rituale del consulto legale.

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diviene rinvio efficace all'atteggiamento conformistico e conservatore della classe aristocratico-borghese, volta alla legittimazione e perpetuazione del proprio potere, mentre l'idealistica ambizione di Zi'Dima esemplifica l'atteggiamento del subalterno, scaltro, che proprio perché tale cerca di cambiare le regole del gioco per trarne un vantaggio personale. E' in sostanza il mondo popolare della creatività e della fantasia di contro al mondo borghese della prassi e della routine. Volendo leggere tale conflitto dal punto di vista funzionale potremmo dire che lo schema del racconto si presenta come costruito in forma di chiasma, caratterizzato com'è da un duplice percorso. Da una parte Don Lollò fa aggiustare la sua giara nuova (modificazione dello stato iniziale), misteriosamente rotta (stato iniziale), da Zi'Dima ed ottiene - non volendo prestare fede alle qualità del suo mastice miracoloso - che la giara si rompa di nuovo ed irrimediabilmente (stato finale). Dall'altra Zi'Dima, frustrato da Don Lollò nelle sue ambizioni (stato iniziale) proprio attraverso la sua arguzia (modificazione) riesce ad ottenere alla fine quel riconoscimento sociale che Don Lollò gli aveva negato (stato finale). Volendo formalizzare dal punto di vista logico questo doppio percorso (e passiamo dall'analisi delle funzioni all'analisi degli atti) potrebbe risultarne la seguente espressione: ¬ (S1 ∧ O1) → ¬ (S1 ∧ O1) ∧ (S2 ∨ O2) → ¬ (S2 ∨ O2) Dove: S1 = Don Lollò O1 = la giara S2 = Zi'Dima O2 = riconoscimento sociale. Detto in termini discorsivi: mentre Don Lollò, col suo agire, non riesce a porre rimedio alla perdita della giara (¬ [S1 ∧ O1] ), Zi'Dima, invece, che all'inizio del racconto vuole dimostrare il suo valore cercandone riconoscimento a livello sociale ( [S2 ∨ O2] ) riesce alla fine ad ottenerlo (¬ [S2 ∨ O2] ). Il racconto come universo in trasformazione Muovendo ancora una volta, inizialmente, dal piano fenomenologico, possiamo dire che la differenza già riscontrata tra Don Lollò e Zi'Dima sul piano della tipologia del carattere, si possa indefinitiva rilevare anche al livello dei cambiamenti cui essi vanno soggetti nel corso della vicenda. Don Lollò, dall'inizio alla fine del racconto, non evolve, non modula il proprio carattere, anzi, se vogliamo, è sua caratteristica peculiare di insistere a reiterare il proprio atteggiamento prevaricante ed ossessivo: questo decreterà la sua sconfitta! Zi'Dima, invece - ed è sintomatico dell'arguzia

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tipica dello stereotipo che egli incarna - si adatta alla situazione nuova che viene ad incontrare e questo alla fine è sintomatico del fatto che risulti vincente dal confronto. Ora, a ben vedere, questo doppio itinerario trova conferma anche a livello dei processi attivati all'interno del racconto. Infatti lo schema todoroviano di miglioramento/peggioramento vale in maniera inversa nei due casi: mentre Don Lollò parte con una giara spaccata in due metà e si ritrova alla fine del racconto con una giara in mille pezzi, Zi'Dima, invece, oltre ad aver dato prova che la giara, dopo il suo trattamento, veramente risuona come una campana, si ritrova investito dalla folla dei braccianti di un ruolo socialmente positivo. Inutile sottolineare come, strutturalmente , tutto questo faccia propendere per la riconduzione della Giara alla classica situazione della saturazione narrativa: come la letteratura popolare e la sapienza gnomica hanno sempre insegnato, inevitabilmente il ricco prepotente finisce punito, mentre il povero arguto premiato!